COLLATERALRegia Micahel MannSceneggiatura Stuart BeattieFotografia Dion BeebeScenografia David WascoMusica James Newton HowardMontaggio Jim Miller, Paul RubellCostumi Jeffrey KurklandCon Tom Cruise, Jamie Foxx, Jada Pinkett-Smith, MarkRuffalo, Peter Berg, Bruce McGill, Irma P. Hall, BarryShabaka Henley, Richard T. Jones, Debi Mazar, JavierBardemProduzione UsaAnno 2004Durata 119’LA TRAMALos Angeles, atmosfera sincopata. Max, tassistamodello, compie una corsa con un procuratore donna che avrebbe dovuto discutere uncaso in tribunale la mattina successiva. Immediatamente dopo, un nuovo cliente, Vincent,che gli fa una proposta allettante, accompagnarlo per l'intera notte in cambio di 700 dollari.Max si fa convincere, senza sapere che da quel momento avrebbe iniziato un viaggio allucinante.Vincent è infatti un killer di professione che deve regolare i conti con cinque persone, unadelle quali, a sua insaputa, sta a cuore al conducente di taxi.PREMIBAFTA alla migliore fotografia a Dion Beebe e Paul CameronNational Board of Review Awards 2004: miglior regista2 Satellite Awards 2005: miglior montaggio, miglior sonoroLA CRITICACollateral è una sinfonia notturna dedicata a Los Angeles, il ritratto mobile di una città: Michael Mannpiega al suo estro uno script piuttosto interessante e gira almeno un’ora e mezza di cinema strepitoso. Seil dato sostanziale è, come al solito, alquanto attraente – la storia cogliendo i protagonisti in medias res evedendoli operare nel tempo concentrato di una notte – e il rapporto tra i due personaggi, rilevandosi il lorograduale cambio di ruoli, sviluppato con ludica geometria, è vero d’altronde che le modalità con le qualiquesti elementi vengono resi risulta ancora più eclatante: Mann (che gira in digitale gran parte dell’opera)non è stato mai tanto efficace nel celebrare a dovere l’immagine in movimento e nel dipingere, da pittoresensibilissimo, un’atmosfera e una situazione. Superfluo è dire allora della suprema tecnica dell’artefice,della sua capacità di spogliare le vicende di ogni orpello e di riportarle, prosciugate, dal chiuso di un abitacoloagli esterni luminescenti di una città. E se Cruise appare così bravo è perché non è, come al solito,la star che ha da imporsi sul resto ma, come in Eyes wide shut, elemento perfettamente integrato in un quadroche assume rilevanza nella sua globalità (Collateral è un film di Michael Mann non un film con TomCruise). L’ultima parte si inchina alle ragioni del thriller triviale e fa perdere quota a una pellicola fino adallora perfetta, ma questo inciampo è peccato che perdoniamo facilmente a un regista che usa in quellamanciata di minuti la maschera del blockbuster solo per coprire allo sguardo vorace di Hollywood il sembiantedel vero artista.Luca Pacilio www.spietati.it33
Nel processo di significazione dell’immagine-cinema, il lavoro compiuto da Michael Mann rappresentaprobabilmente il discorso estetico più rigoroso e coerente svolto da un regista all’interno del cinema americanodegli ultimi venti anni. Anche dopo la separazione dal fido collaboratore alla fotografia DanteSpinotti - con cui non lavora dai tempi di Insider, il punto forse più alto della carriera di entrambi - il cineastaè comunque riuscito a portare avanti un’idea di cinema assolutamente precisa e riconoscibile, la cui cellulaprimaria e portante è proprio la composizione dell’immagine: un’inquadratura estrapolata da operecome Manhunter, Heat, o Alì contiene in sé un lavoro di sperimentazione e di significazione rigorosa difficilmenterintracciabili in altri registi con una tale consapevolezza e coerenza. Il taglio e l’angolazione dell’inquadratura,l’uso del fuoco o del grandangolo, oppure più semplicemente della sola luce: tutte questecomponenti, assemblate tra loro sempre secondo una stessa filosofia estetica, hanno portato alla composizionedi un mosaico di rara bellezza, che racchiude in sé più pellicole legate tra loro, ed il cui filo conduttoreè appunto la pregnanza e potenza del lavoro sull’immagine. Ora, la cosa assolutamente straordinariadel lavoro di Mann è che è riuscito a caricare talmente la sua visione cinematografica proprio sottraendoal resto delle componenti di cui un film è composto: un primo piano su Al Pacino, su Robert De Niro oRussell Crowe, su William Petersen o Will Smith contengono in sé già un così grande numero di informazionipsicologiche che allora l’autore si è potuto permettere di sottrarre spazio ala lungaggine della parola,del dialogo, procedendo così ad una sublimazione capace di alleggerire e slanciare tutti i suoi film. Nelleopere più riuscite di Mann il lavoro di sottrazione e stilizzazione visiva ha compiuto l’impresa di eliminarela parola; l’immagine, sempre più rarefatta e preziosa, è diventata il primo ed assoluto veicolo di racconto,comunque sempre diretta verso un processo di sintesi inaudito.Ora, perseguendo tale scelta stilistica, a noi pare assolutamente coerente che Mann arrivasse prima o poi atentare la strada del digitale, (non)formato capace di scarnificare al massimo l’immagine, ma allo stessotempo pronto a decretarne definitivamente l’importanza se usato secondo criteri coerenti e soprattutto voltia non considerarlo un “parente povero” della pellicola. Va da sé perciò che sotto questo punto di vistaCollateral è l’opera più rischiosa e sperimentale di Mann, e questo anche se il risultato estetico non fossestato così assolutamente straordinario. Finalmente, cosa che il cineasta ha sempre tentato di fare, ambientee personaggi riescono a fondersi in un unico marasma di colore e soprattutto di oscurità; sfruttando intutte le sue potenzialità l’appiattimento, la mancanza di profondità che il digitale fornisce all’immagine, ilregista è riuscito a condensare la sua triste e sfavillante Los Angeles in una serie di fotografie oseremmodire surreali, in cui si dipana la storia altrettanto borderline del tassista Jamie Foxx e del suo inquietantepasseggero Tom Cruise. Strade deserte, non-luoghi densi di colori saturati come la discoteca, soprattutto iltaxi in cui i due protagonisti-antagonisti si conoscono e si confrontano: tutti gli ambienti di Collateral sonoallo stesso tempo tangibili ed astratti, semplicemente riconoscibili ma non identificabili, e diventano a lorovolta attore di ruolo fondamentale nel processo di stilizzazione del film, che tocca vertici inusitati. Ed insie-34