E. Bencivenga, La filosofia in quarantadue favole - SEPHIROT
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L’uomo immortale<br />
Un giorno, chissà come, nacque un uomo immortale. Voglio dire: poteva morire se<br />
voleva, bastava che bevesse l’acqua delle Fonti Maligne, ma poteva anche non<br />
morire, e questa era una gran fortuna. Così almeno pensavano i suoi amici e parenti,<br />
che non la smettevano di congratularsi con lui.<br />
L’uomo immortale crebbe, si trovo un lavoro, si sposò ed ebbe dei figli. E visse<br />
felice e contento, per un po’. Poi <strong>in</strong>torno a lui la gente com<strong>in</strong>ciò a morire: tutti quelli<br />
che conosceva, e sua moglie e i suoi figli, sparirono uno dopo l’altro. C’era gente<br />
nuova <strong>in</strong> giro adesso, e l’uomo immortale dovette com<strong>in</strong>ciare daccapo: sposarsi<br />
un’altra volta, avere altri figli, farsi altri amici. Ogni volta che <strong>in</strong>contrava qualcuno,<br />
doveva raccontargli tutta la sua storia dall’<strong>in</strong>izio, perchè quelli che la storia la<br />
sapevano non c’erano più, ed era una lunga storia, e diventava più lunga di giorno <strong>in</strong><br />
giorno. E sempre più l’uomo immortale pensava che non valesse la pena di<br />
raccontarla, perchè tanto anche questo nuovo amico di un anno o di un’ora avrebbe<br />
f<strong>in</strong>ito per sparire. E sempre meno gli riusciva di sopportare la paura e la rabbia che<br />
leggeva negli occhi dell’altro.<br />
Una sera d’estate l’uomo immortale si recò alle Fonti Maligne, si sedette di fronte<br />
all’acqua che scorreva e passò lunghe ore a guardarla. In realtà non la vedeva affatto:<br />
pensava <strong>in</strong>vece a quella sua vita implacabile. Quando <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e si alzo, si ch<strong>in</strong>ò e bevve,<br />
i pochi curiosi lì <strong>in</strong>torno si guardarono stupiti. E anche gli altri, quando la notizia si<br />
diffuse nelle grandi città affollate di rabbia e di paura, non seppero darsene ragione.