qualcuno. Il che <strong>in</strong> fondo è bene, perchè non soffri quando la vita media si allungò di dodici centesimi di secondo e lui ritornò a essere uno come gli altri.
L’ora del te Ogni pomeriggio, verso le c<strong>in</strong>que, mamma e papà bevono il te. Il che cosa?, direte voi. E questo è il problema: che cosa davvero bevano non è chiaro affatto. Una cosa è chiara. Mamma e papà accendono il fornello, scaldano l’acqua, la versano <strong>in</strong> un pentolone panciuto con un coperchio, un manico e un beccuccio e ci aggiungono certi loro sacchetti di carta. Dopo un po’, prendono il pentolone per il manico e dal beccuccio esce un liquido marronc<strong>in</strong>o, che va a f<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> due tazze. Ci aggiungono zucchero e latte e bevono, facendo conversazione. Se gli chiedi che cosa stanno bevendo ti rispondono «Un te», così sembra che bevano la stessa cosa. E <strong>in</strong>vece no. Bisogna fare altre domande, andare più a fondo, e allora si capisce. Anzi, allora non si capisce più niente. Quello che beve papà e un te con l’acca - un the, voglio dire. Il the con l’acca ha un profumo lontano, nel suo colore marronc<strong>in</strong>o si riflettono alberi <strong>in</strong>tricati, quando lo avvic<strong>in</strong>i alla bocca sudi come se l’aria venisse a mancare, come se fossi sotto una tenda <strong>in</strong> una giungla umida e soffice, e tutto <strong>in</strong>torno si sentono strani rumori: forse il ruggito di una tigre, forse il fischiare di una serpe, uno sbattere d’ali, il brontolio di un tuono, chissà. Quando bevi il te con l’acca ti viene una specie di torpore; il fumo che sale dalla tazza prende forme un po’ paurose e mentre le guardi non riesci a muoverti, perchè le forme ti vogliono parlare e tu vuoi ascoltarle, e hai paura ma vuoi ascoltarle lo stesso. E forse loro, le forme paurose, non dicono nulla, ma quando hai f<strong>in</strong>ito di bere è come se qualcuno ti avesse raccontato una lunga storia, e non sai che storia fosse e neppure importa, ma sai che ti ha fatto star bene. Mamma, <strong>in</strong>vece, beve il te con l’accento - il te, <strong>in</strong>somma. E il te è tutto un’altra cosa. Ha un sapore aspro e prepotente: ti sveglia e ti fa venir voglia di muovere mani e piedi, di correre per strada, di pedalare nella pioggia, di salire a piedi per un ghiacciaio, un passo dopo l’altro, lasciando orme profonde. E il rumore che fa è tutto diverso: si sentono schiocchi come di un tram a cavalli, fischi come di una vaporiera, urla secche a poppa e a babordo, colpi come di carab<strong>in</strong>a, o di fuochi d’artificio. Quando lo bevi ti sembra di essere <strong>in</strong> treno e di stare per arrivare: la locomotiva corre più <strong>in</strong> fretta che può, gli scambi ti sbattono di qua e di là, una galleria, un ponte, un viadotto coprono il sole per un momento e poi te lo ributtano <strong>in</strong> faccia ancora più forte, e un po’ ti fa anche male ma non ti dispiace perchè sai che cosa ti aspetta alla f<strong>in</strong>e del viaggio. Sai che allora si stara tutti <strong>in</strong>sieme e si andrà a spasso e ci sarà chiaro di notte. Ogni pomeriggio, verso le c<strong>in</strong>que, mamma e papà accendono il fornello, scaldano l’acqua e la versano <strong>in</strong> quel loro pentolone con un coperchio, un manico e un beccuccio. Poi ci aggiungono i sacchetti e versano il tutto <strong>in</strong> due tazze; si siedono e