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MAT RAB INAF ERIA FER ILE - Zizioli+Lorenzini

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l’inversione del bianco e nero, quasi a farlo sembrare un negativo fotografico, insegue<br />

le forme, fino a illuminarle da dentro e far trasparire la loro essenza in bilico tra<br />

materia e spirito.<br />

L’intima natura ricompare, così, dall’oscurità drammatica e soffusa, per rivelarsi<br />

come manifestazione spontanea del perpetuo fiorire e sfiorire, intimità dell’essere<br />

che scopre il principio che rende eterni i fiori.<br />

Il colore, inteso come involucro emotivo della forma, scompare, per alludere alla<br />

forma primigenia, all’illuminazione di quell’istante in cui la forma è evanescente. Nei<br />

grigi e nei neri abissali, i loro steli si inclinano, la compostezza delle loro corolle si<br />

sfascia, mentre l’ultima parvenza di petalo sfoglia e ondeggia.<br />

Nel loro dinamismo di linee e movimenti sinuosi, si cristallizza la visione della fugacità<br />

dell’attimo, l’emersione dell’oscurità che cerca la luce, il desidero di sottrarsi all’abisso<br />

metafisico e impalpabile del mondo, la volontà di librarsi là dove il nulla incontra il<br />

vuoto. La loro esistenza e la loro vitalità di margherite si annullano per assumere le<br />

forme dell’inquietudine, della precipitazione, dello spreco di energie, dell’impazienza<br />

verso l’ignoto. Come ogni fiore, esse si scoprono prive di importanza nella pienezza<br />

cosmica. Pertanto, il nostro sguardo deve agire con delicatezza e tenerezza.<br />

A loro bisogna chiedere soltanto ciò che è conforme alla loro natura. Come per<br />

il poeta giapponese Basho, il nostro sguardo dev’essere quello dell’artista che<br />

guarda ogni fiore con il più modesto rispetto, convinto che ognuno di essi accolga<br />

in sé il segreto profondo della natura, che è “arte senza arte”. Ogni fiore, si sa, è<br />

sinonimo di una manifestazione di forte energia, nella quale è implicita l’idea del suo<br />

futuro esaurimento; ma il significato sotteso è quello che il fiore e l’uomo mutano e<br />

periscono, mentre la loro essenza permane e può vincere il tempo. La loro vita è<br />

soltanto una danza: i loro gambi si muovono come linee sinuose d’indicibile soavità,<br />

mentre i petali si dissolvono come tracce o riflessi di ondulazioni spirituali. Le forme<br />

non oppongono resistenza al soffio del vento: nel loro abbandono, fluttuano e in<br />

questo modo rimangono intatte. La loro materia è delicatissima e impalpabile, tenace<br />

e precaria, come ogni corpo e sostanza, mentre lo spirito che li anima svanisce nel<br />

tempo. Nella ricerca dell’artista, tesa alla perfezione della forma e alla manipolazione<br />

della luce, le margherite appaiono scheletri di forma che rappresentano l’inafferrabile,<br />

l’informale, il silenzio, la bellezza discreta che cela l’intangibile, il mistero del cosmo,<br />

la perdita dell’Io e l’abbandono del mondo.<br />

La fotografia di Ausilia Scalvinoni ci parla, così, di luce e oscurità, di dinamismo e<br />

immobilità, di silenzio e incomunicabilità, di vita e morte. La materia è destinata a<br />

perdere la forma, ma negli ultimi movimenti di vitalità riecheggia l’inno all’amore,<br />

la danza nel silenzio e nel vuoto, nella trasparenza dell’aria e nella profondità<br />

dell’acqua che ci riconduce al fiume eterno: essenze floreali al limite estremo della<br />

semplificazione, entità alla ricerca di una danza che corrisponda al ritmo delle<br />

pulsazioni del loro spirito vitale, emanazioni di luce e riverberi di natura che si<br />

estendono all’infinito.

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