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Lezioni di Chirurgia Plastica - Skuola.net

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Maurizio Giuliani<br />

<strong>Lezioni</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong><br />

Hanno collaborato:<br />

G. Zoccali<br />

G. Orsini<br />

E. R. Angelone


Presentazione<br />

Questo libro, preparato con l’obiettivo <strong>di</strong> presentare i concetti essenziali della<br />

<strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong>, in modo semplice e chiaro, potrà garantire agli studenti<br />

un’adeguata preparazione nello specifico ambito chirurgico <strong>di</strong> riferimento,<br />

riuscendo anche a mettere in evidenza, laddove necessario, i richiami a<br />

<strong>di</strong>scipline <strong>di</strong> base come la biologia, l’anatomia, la fisiologia. Alla luce della<br />

costante evoluzione delle scienze biome<strong>di</strong>che che ha comportato una<br />

rivisitazione completa e complessa della me<strong>di</strong>cina, mantenere questo proposito<br />

è stato realmente un formidabile impegno da parte dell’Autore.<br />

La scienza non è statica e l’aggiornamento è un aspetto fondamentale che<br />

deve essere con<strong>di</strong>viso dagli esperti <strong>di</strong> un settore particolarmente <strong>di</strong>namico come<br />

quello della <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> e dagli studenti che devono comprendere la<br />

necessità <strong>di</strong> raggiungere costantemente nuovi gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento.<br />

Nel complimentarmi sinceramente con l’Autore, Maurizio Giuliani, Professore<br />

<strong>di</strong> <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> della Facoltà <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>cina e <strong>Chirurgia</strong> dell’Università<br />

dell’Aquila, per la capacità <strong>di</strong> sintesi e, nel contempo, la completezza degli<br />

argomenti trattati, sono certa che gli studenti e gli specializzan<strong>di</strong> che<br />

utilizzeranno questo testo, sapranno apprezzare il senso armonico che emerge<br />

dall’analisi degli argomenti affrontati e la particolare flui<strong>di</strong>tà della loro<br />

lettura, con<strong>di</strong>zioni che rendono semplice e gradevole lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> una<br />

specialistica complessa come la <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong>.<br />

Maria Grazia Cifone<br />

Preside della Facoltà <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>cina e <strong>Chirurgia</strong><br />

Università degli Stu<strong>di</strong> - L’Aquila


INDICE<br />

1. Introduzione pag. 1<br />

2. Anatomia e fisiologia della cute pag. 5<br />

3. Biologia della cicatrizzazione pag. 11<br />

4. Incisioni chirurgiche e suture pag. 18<br />

5. Le ferite <strong>di</strong>fficili pag. 24<br />

6. Cicatrici patologiche pag. 36<br />

7. Innesti e lembi pag. 39<br />

8. Ustioni e congelamenti pag. 55<br />

9. Tumori maligni della cute pag. 69<br />

10. Anomalie vascolari pag. 76<br />

11. Malformazioni congenite pag. 86<br />

12. Patologie della mano pag. 99<br />

13. Patologie della mammella pag. 106<br />

14. Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti pag. 123<br />

15. Laserchirurgia cutanea pag. 126<br />

16. L’invecchiamento cutaneo pag. 135<br />

17. Argomenti <strong>di</strong> <strong>Chirurgia</strong> Estetica pag. 145<br />

18. Principi <strong>di</strong> Anestesia pag. 160


Introduzione<br />

CENNI STORICI<br />

Le origini della chirurgia in Italia trovano le loro ra<strong>di</strong>ci in due<br />

<strong>di</strong>scendenze: il ramo greco con le scuole della Magna Grecia, <strong>di</strong> cui è<br />

giusto ricordare la scuola <strong>di</strong> Agrigento (Empedocle), <strong>di</strong> Catania<br />

(Filistone) e <strong>di</strong> Crotone (Alcmeone e Democede) ed il ramo etrusco<br />

<strong>di</strong> cui si sa poco e niente ma che sicuramente doveva avere valenti<br />

chirurghi a giu<strong>di</strong>care dagli strumenti estremamente raffinati<br />

ritrovati dagli archeologi. Da queste due culture trae le sue origini la chirurgia<br />

dell'antica Roma che per <strong>di</strong>versi secoli non conobbe gloria per la bassa considerazione<br />

che i Romani avevano della me<strong>di</strong>cina in generale a tal punto che l’esercizio era<br />

lasciato agli schiavi greci ed ai plebei. Successivamente Giulio Cesare <strong>di</strong>ede i <strong>di</strong>ritti<br />

politici ai me<strong>di</strong>ci e più tar<strong>di</strong> l'imperatore Augusto incrementò il loro stato sociale<br />

esentandoli dal pagamento delle tasse. In questo periodo troviamo il primo lavoro<br />

che parla <strong>di</strong> <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong>: il "De re me<strong>di</strong>ca" <strong>di</strong> Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50<br />

d.C.) nel quale sono descritti alcuni principi fondamentali della specialità ovvero<br />

osservazioni sulla tensione dei margini della ferita (“…non vi cogendum est...”) e<br />

sull'uso <strong>di</strong> lembi per riparare per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza tegumentarie ("...neque enim<br />

creatur ibi corpus, sed ex vicino adducitur..."). Durante il periodo imperiale la<br />

chirurgia venne fortemente stimolata come testimoniano i ritrovamenti nella "Casa<br />

del chirurgo" <strong>di</strong> Pompei e nel II secolo Galeno (131-199 d.C.) scrisse un trattato <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>cina in 20 volumi nei quali si ritrovano anche attente <strong>di</strong>ssertazioni sul labbro<br />

leporino e sulla ipospa<strong>di</strong>a. Nel secolo successivo fu molto popolare Antillo e con le<br />

testimonianze <strong>di</strong> Oribasio (me<strong>di</strong>co dell'imperatore Giuliano l'Apostata), sappiamo che<br />

erano praticati con successo interventi sulle palpebre, guance, fronte e naso secondo<br />

i principi co<strong>di</strong>ficati da Celso. Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, e l'<br />

avvento della cultura bizantina, compaiono i primi ospedali e tra i me<strong>di</strong>ci spicca<br />

Paolo <strong>di</strong> Aegina (625-690) che riprende i concetti <strong>di</strong> Celso per riparare l'ernia<br />

inguinale. Ma in questo periodo l'influenza della Chiesa inasprisce la separazione ed il<br />

conflitto fra me<strong>di</strong>cina e chirurgia: da un lato il concetto <strong>di</strong> compassione per il malato<br />

e la reverenza a Cristo come Taumaturgo fanno aumentare la cura per il paziente,<br />

dall'altro la <strong>di</strong>sapprovazione della Chiesa per le incisioni sanguinarie ("...ecclesia<br />

1


Introduzione<br />

abhorret a sanguine...") frenano il settore chirurgico. I secoli successivi,<br />

caratterizzati dai conflitti fra le culture Cristiana, Bizantina ed Araba, sono segnati<br />

da una forte riduzione del fervore scientifico ma la rinascita delle arti me<strong>di</strong>che<br />

avviene intorno all'anno 1000 con la fondazione della Scuola Me<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> Salerno.<br />

Costantino d'Africa, un monaco arrivato a Salerno nel 1060, dà un nuovo impulso alla<br />

chirurgia insieme a Ruggero <strong>di</strong> Parma e Rolando dei Capezzuti che scrivono la<br />

"Rogerina" e la "Rolan<strong>di</strong>na" dove trattano, fra l'altro, della riparazione delle soluzioni<br />

<strong>di</strong> continuo dei tessuti molli del viso e della importanza delle suture nelle ferite della<br />

faccia e del naso. Nascono le prime Università: Teodorico da Lucca opera a Bologna<br />

(1205) e analizza nei suoi scritti la <strong>di</strong>fferenza fra “guarigione per prima e per<br />

seconda intenzione” mentre Guglielmo da Saliceto (1301) si sofferma sul trattamento<br />

delle fratture del naso. Un allievo <strong>di</strong> quest' ultimo, Lanfranco da Milano, scrive due<br />

volumi, "<strong>Chirurgia</strong> parva" e "<strong>Chirurgia</strong> magna", riprendendo le tecniche riparative del<br />

naso del maestro, e fonda la Scuola <strong>di</strong> <strong>Chirurgia</strong> dell'Università <strong>di</strong> Parigi. Si arriva così<br />

al XV secolo quando una famiglia <strong>di</strong> chirurghi empirici, i Branca, lavora a Catania:<br />

sembra che il padre, Gustavo, praticasse la ricostruzione della piramide nasale con la<br />

tecnica <strong>di</strong> Celso, mentre suo figlio Antonio con un lembo prelevato dalla faccia<br />

interna dell'avambraccio del paziente <strong>di</strong>ventando il primo ad usare una tecnica<br />

Italiana per la ricostruzione del naso, del labbro e delle orecchie. L'eco <strong>di</strong> questo<br />

successo fu enorme, sia in Italia che all'estero: se ne trova riferimento, ad esempio,<br />

in un trattato del 1460 <strong>di</strong> Heinrich von Pfholsprundt, un famoso chirurgo militare<br />

tedesco. Un membro della famiglia Vianeo, <strong>di</strong> Tropea in Calabria, fu allievo dei<br />

Branca e <strong>di</strong>venne così esperto nell'uso della meto<strong>di</strong>ca da far coniare il termine <strong>di</strong><br />

"magia tropoensium". Negli anni successivi, sulla chirurgia ricostruttiva, la Scuola<br />

italiana continua a raccogliere successi e riconoscimenti con Gaspare Speranza<br />

Manzoli (1410-1475), Alessandro Benedetti, Baldassarre Pavone <strong>di</strong> Catania, Leonardo<br />

Fioravanti, Giulio Cesare Aranzio anatomista dell'Università <strong>di</strong> Bologna, Geronimo<br />

Fabrizio d'Acquapendente (1537-1619), anatomista e chirurgo <strong>di</strong> Padova, Durante<br />

Sacchi <strong>di</strong> Fabriano che nel lavoro "Subsi<strong>di</strong>um me<strong>di</strong>cinae" descrive molte tecniche per<br />

il labbro leporino e per la rinoplastica. Tutto questo fermento culturale, in un'epoca<br />

ricca <strong>di</strong> genio umano, spianano la strada all'opera del Tagliacozzi, che vide la luce<br />

nel 1597, e che venne riassunta in una frase del grande Leonardo da Vinci: "La forma<br />

è l'immagine plastica della funzione". Questo può ancora oggi essere considerato lo<br />

scopo della <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong>. Gaspare Tagliacozzi nacque a Bologna nel febbraio del<br />

1545. Suo padre, Giovanni Andrea, era un tessitore <strong>di</strong> raso finanziariamente<br />

benestante. Nel 1565 inizia gli stu<strong>di</strong> in Me<strong>di</strong>cina all'Università <strong>di</strong> Bologna, già allora<br />

2


Introduzione<br />

venerata come la più antica d'Europa, e si forma con gli insegnamenti, fra gli altri, <strong>di</strong><br />

G.C. Aranzio e sul voluminoso trattato <strong>di</strong> Andreas Vesalius "Il tessuto del corpo<br />

umano". Nel 1570 si laurea e viene imme<strong>di</strong>atamente nominato professore <strong>di</strong> anatomia<br />

e chirurgia e nel 1576 riceve la seconda laurea, in Filosofia, <strong>di</strong>ventando membro del<br />

Collegio <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>cina e Filosofia. Lo stu<strong>di</strong>o e la ricerca delle tecniche <strong>di</strong> ricostruzione<br />

del naso erano già state fortemente stimolate in Italia da <strong>di</strong>versi fattori: le guerre, i<br />

duelli all'arma bianca per le strade, la sifilide e la legge <strong>di</strong> Sisto V che infliggeva<br />

l'amputazione del naso ai ladri ed alle donne adultere. Qualunque fosse l'influenza,<br />

Tagliacozzi dal 1586 in poi approfondì questi stu<strong>di</strong> con forte spirito critico,<br />

evidenziando gli errori dei suoi predecessori sull'uso del muscolo dell'avambraccio e<br />

respingendo le critiche <strong>di</strong> Ambroise Paré che lo definiva un intervento troppo<br />

doloroso e <strong>di</strong>fficile. Il lavoro <strong>di</strong> Tagliacozzi culmina nel 1597 con la pubblicazione del<br />

suo "De curtorum chirurgia per insitionem" che può essere considerato una pietra<br />

miliare nella storia della <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> mon<strong>di</strong>ale. Il libro <strong>di</strong>venne rapidamente un<br />

best-seller chirurgico dell'epoca e Gaspare Tagliacozzi era al culmine della notorietà<br />

nelle alte sfere accademiche ma nel 1599, all'età <strong>di</strong> soli 54 anni, morì<br />

improvvisamente, lasciando alle sue spalle una pesantissima ere<strong>di</strong>tà. Di fatto il suo<br />

brillante genio giacque sepolto per più <strong>di</strong> 2 secoli prima <strong>di</strong> essere riscoperto. Come<br />

tutti gli uomini <strong>di</strong> grande intelletto, aveva avuto gran<strong>di</strong> intuizioni ed era proiettato<br />

nel futuro. Nonostante fosse scoraggiato da tutti, perseguì le proprie idee aprendo la<br />

strada a nuove frontiere chirurgiche fino ad allora impensabili e ponendo le<br />

fondamenta della moderna chirurgia ricostruttiva. Dopo il grande fermento<br />

scientifico culminato con le opere <strong>di</strong> Tagliacozzi, la <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> Italiana<br />

conobbe un lungo periodo <strong>di</strong> oscurantismo che durò più <strong>di</strong> 2 secoli a causa<br />

soprattutto <strong>di</strong> osteggiamenti <strong>di</strong> stampo etico e religioso da parte della Chiesa<br />

Cattolica che considerava questo tipo <strong>di</strong> chirurgia non necessaria, voluttuaria e<br />

"peccaminosa". Verso la fine del XVIII secolo, e per tutto il XIX, si assiste ad una lenta<br />

e graduale ripresa della specialità con Giuseppe Costantino Carpue, Canella,<br />

Signoroni, Fabrizi, Baroni, Petrali, Clementi, Cappelleti, Vanzetti, Fuschini,<br />

Veronese, Chiminelli e Porta. Si arriva così agli inizi del XX secolo quando compare<br />

un'altra pietra miliare della storia della chirurgia plastica: Gustavo Sanvenero<br />

Rosselli. Il Chirurgo nacque in Liguria nel settembre del 1897, nel 1926 lasciò la<br />

Clinica Chirurgica <strong>di</strong>retta da Malan a Torino per trasferirsi a Parigi da Lemaitre dove<br />

conobbe Ferris Smith. Ebbe frequenti contatti con Joseph a Berlino, Burian a Praga,<br />

Gillies a Londra, Morestin, Limberg e molti altri. Alla fine raggiunse Milano dove<br />

rilevò il Dipartimento <strong>di</strong> Stomatologia. Nel 1932 scrisse il libro "La chirurgia plastica<br />

3


Introduzione<br />

del naso", nel 1934 "La <strong>di</strong>visione congenita del labbro e del palato". Nel 1936, a<br />

Berlino, propose una nuova tecnica <strong>di</strong> riparazione della palatoschisi e durante la<br />

Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale operò al Baggio <strong>di</strong> Milano ed a Lecco con Bosio e Castol<strong>di</strong>.<br />

Dopo la Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale trasformò il Dipartimento <strong>di</strong> Stomatologia e fondò<br />

il "Pa<strong>di</strong>glione Mutilati del Viso" ideato per le vittime della guerra. Grazie al suo<br />

entusiasmo la specialità acquisì definitivamente la propria identità, sebbene<br />

nell’immaginario collettivo vi fosse ancora <strong>di</strong>ffidenza e si tentasse <strong>di</strong> gettare<br />

<strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to sulla <strong>di</strong>sciplina chiamandola "la chirurgia della bellezza". Nel 1956 fondò in<br />

Italia la prima Scuola <strong>di</strong> Specializzazione, prima a Torino e poi a Milano e grazie a<br />

questo la chirurgia plastica ricevette il riconoscimento ufficiale, raggiunse <strong>di</strong>gnità<br />

scientifica e <strong>di</strong>venne materia <strong>di</strong> insegnamento. Gustavo Sanvenero Rosselli morì il 17<br />

marzo del 1974, lasciando ai posteri la <strong>di</strong>sciplina che aveva tanto amato,<br />

profondamente trasformata dalle sue opere. Fu un chirurgo <strong>di</strong> eccezionale abilità<br />

tecnica, dotato <strong>di</strong> creatività ed immaginazione, uomo <strong>di</strong> grande cultura e <strong>di</strong> grande<br />

perseveranza nel raggiungimento dei propri scopi. Fu un grande pioniere della<br />

moderna <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> e gli specialisti italiani contemporanei si devono<br />

considerare tutti suoi figli o nipoti.<br />

4


Anatomia e fisiologia della cute<br />

ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA CUTE<br />

La cute è un organo del corpo<br />

umano dotato <strong>di</strong> un’ampia<br />

gamma <strong>di</strong> funzioni che esulano<br />

dalla semplice funzione <strong>di</strong><br />

rivestimento e protezione<br />

meccanica. La sua estensione<br />

me<strong>di</strong>a varia da 1,3 a 2m², il suo<br />

peso può arrivare anche ad una<br />

decina <strong>di</strong> Kg, il suo spessore è<br />

compreso tra 0,4mm nelle<br />

regioni palpebrali e 3-6mm in quelle palmo-plantari. Il colore della cute è<br />

<strong>di</strong>pendente da fattori in<strong>di</strong>viduali (razza, costituzione, età, regione corporea) ed è<br />

determinato dalla presenza <strong>di</strong> pigmenti (melanina, carotenoi<strong>di</strong>) e dalla quantità <strong>di</strong><br />

sangue contenuta nei vasi. La superficie cutanea non appare levigata. Vi si osservano<br />

pieghe permanenti (pieghe genitali) e transitorie (da contrazione muscolare o<br />

articolare), orifizi dei follicoli piliferi e delle ghiandole eccrine (pori sudoripari),<br />

creste e solchi riscontrabili a livello palmo-plantare. Le creste appaiono come<br />

leggere rilevatezze a <strong>di</strong>sposizione parallela separate da piccole depressioni dette<br />

solchi. Peculiari caratteristiche meccaniche della cute sono la <strong>di</strong>stensibilità e<br />

l’elasticità. La cute è <strong>di</strong>visa in due strati separati da una membrana (membrana<br />

basale o giunzione dermo-epidermica). Lo strato superficiale <strong>di</strong> natura epiteliale e <strong>di</strong><br />

derivazione ectodermica è detto epidermide, mentre lo strato profondo, <strong>di</strong> origine<br />

mesodermica e struttura con<strong>net</strong>tivale, è costituito dal derma e dal tessuto a<strong>di</strong>poso<br />

sottocutaneo. La presenza nel derma <strong>di</strong> vasi, nervi ed annessi cutanei (follicoli<br />

pilosebacei, ghiandole apocrine, ghiandole eccrine) completa il quadro microscopico<br />

della cute.<br />

L’epidermide è un epitelio pluristratificato in cui l’elemento cellulare predominante<br />

è il cheratinocita, cellula <strong>di</strong> origine epiteliale in continuo rinnovamento e soggetta al<br />

fenomeno della cheratinizzazione.<br />

I cheratinociti si <strong>di</strong>spongono a formare quattro <strong>di</strong>versi strati: basale, spinoso,<br />

granuloso e corneo; nelle regioni palmo-plantari tra gli strati granuloso e corneo è<br />

presente un quinto strato denominato lucido. Ognuno <strong>di</strong> questi possiede delle<br />

5


Anatomia e fisiologia della cute<br />

caratteristiche morfologiche proprie e rappresenta la fase evolutiva del sottostante<br />

strato. Il cheratinocita, infatti, si riproduce e migra progressivamente dalla sede<br />

basale verso la superficie cutanea subendo il processo della cheratinizzazione. Il<br />

tempo necessario affinché una cellula dello strato basale raggiunga lo strato corneo<br />

<strong>di</strong>pende dall’età, dalla stagione, dal sesso, da influenze ormonali, ed è <strong>di</strong> circa 28<br />

giorni. Interposte ai cheratinociti si osservano poi le “cellule ospiti” dell’epidermide,<br />

tra cui vengono annoverate i melanociti, <strong>di</strong> derivazione neuroectodermica, le cellule<br />

dendritiche <strong>di</strong> Langerhans, che sono <strong>di</strong> origine midollare, le cellule <strong>di</strong> Merkel, <strong>di</strong><br />

probabile derivazione epidermica ed i linfociti T epidermotropi. Nel complesso la<br />

superficie epidermica presenta un aspetto orizzontale rettilineo, mentre il limite<br />

inferiore confinante con la membrana basale ha un aspetto ondulato con<br />

estroflessioni dermiche (papille dermiche) alternate a proiezioni epidermiche (creste<br />

epidermiche). Lo strato basale è costituito da 1-2 file <strong>di</strong> cheratinociti colonnari a<br />

maggior asse orientato perpen<strong>di</strong>colarmente rispetto alla linea <strong>di</strong> confine con il<br />

derma. Queste cellule hanno un grande nucleo <strong>di</strong> forma ovalare e citoplasma basofilo<br />

ricco <strong>di</strong> ribosomi e tonofilamenti (filamenti interme<strong>di</strong> <strong>di</strong> cheratina <strong>di</strong>stribuiti con<br />

or<strong>di</strong>ne nel citoplasma). La membrana plasmatica del polo basale fa parte della<br />

giunzione dermo-epidermica e vi si osservano gli emidesmosomi, strutture <strong>di</strong><br />

ancoraggio per mezzo delle quali gli elementi cellulari aderiscono alle porzioni più<br />

interne della membrana basale. Nella regione apicale questa cellula è invece dotata<br />

<strong>di</strong> veri desmosomi tramite cui avviene l’unione e la comunicazione intercellulare. Nel<br />

complesso lo strato basale svolge le funzioni proliferativa e <strong>di</strong> ancoraggio dermo-<br />

epidermico. Lo strato spinoso o malpighiano è costituito da 4-8 filiere <strong>di</strong> cellule<br />

poligonali, con nucleo rotondo e citoplasma ben rappresentato ricco <strong>di</strong> filamenti <strong>di</strong><br />

cheratina. La caratteristica principale è la presenza <strong>di</strong> numerosissimi desmosomi che<br />

conferiscono un aspetto “spinoso” a questi elementi cellulari. Nel citoplasma delle<br />

cellule localizzate nelle assisi superiori dello strato spinoso si osservano anche i<br />

granuli lamellari o corpi <strong>di</strong> Odland. Lo strato granuloso è formato da 2-3 strati <strong>di</strong><br />

cellule appiattite in cui si osservano grossi granuli citoplasmatici <strong>di</strong> “cheratoialina”<br />

contenenti proteine, enzimi e fosfolipi<strong>di</strong>. Questo strato cellulare è assente nelle<br />

mucose e può apparire ridotto o più evidente a seconda che il processo della<br />

cheratinizzazione sia molto attivo o rallentato. Lo sta<strong>di</strong>o maturativo successivo<br />

comporta la per<strong>di</strong>ta del nucleo e l’appiattimento della cellula. Lo strato corneo è<br />

infatti costituito da numerose assisi (15-20) <strong>di</strong> cellule piatte (corneociti), prive sia <strong>di</strong><br />

nucleo che <strong>di</strong> organuli citoplasmatici e in cui si evidenzia un citoplasma eosinofilo<br />

costituito completamente da filamenti <strong>di</strong> cheratina aggregati in macrofibrille. Questi<br />

6


Anatomia e fisiologia della cute<br />

corneociti vengono continuamente rilasciati nell’ambiente esterno sotto forma <strong>di</strong><br />

squame. Nelle regioni palmo-plantari tra gli strati granuloso e corneo è poi presente<br />

un quinto strato, denominato lucido, costituito da 2-3 assisi <strong>di</strong> cellule contenenti<br />

“elei<strong>di</strong>na” una sostanza omogenea e rifrangente.<br />

L’epidermide ospita anche <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> cellule: i melanociti, le cellule <strong>di</strong> Merkel, le<br />

cellule dendritiche <strong>di</strong> Langerhans e i linfociti T epidermotropi.<br />

I melanociti originano dalle creste neurali e raggiungono l’epidermide intorno alla<br />

settima settimana <strong>di</strong> gestazione. Si localizzano a livello dello strato basale ma<br />

possono essere presenti anche nel derma me<strong>di</strong>o, nel bulbo del pelo e in regioni<br />

extracutanee quali le mucose del cavo orale e del naso, l’uvea, la retina e le<br />

leptomeningi. Il rapporto melanocita/cheratinocita varia considerevolmente in<br />

relazione alla regione corporea: è <strong>di</strong> 1 a 4 al volto e <strong>di</strong> 1 a 10 agli arti superiori. I<br />

melanociti presentano un aspetto dendritico con gran<strong>di</strong> prolungamenti<br />

citoplasmatici, sono privi <strong>di</strong> desmosomi e la loro funzione principale è la<br />

melanogenesi. Nel loro citoplasma sono presenti caratteristici organuli, i<br />

melanosomi, all’interno dei quali è contenuto l’enzima tirosinasi capace <strong>di</strong><br />

convertire l’aminoacido tirosina in melanina. I melanosomi vengono trasportati lungo<br />

i prolungamenti dendritici e quin<strong>di</strong> trasferiti nei cheratinociti determinando la<br />

pigmentazione dell’epidermide. L’insieme del melanocita e delle cellule basali che<br />

vengono raggiunte dai suoi prolungamenti (circa 36) costituisce l’unità melanica<br />

epidermica. Le cellule <strong>di</strong> Langerhans sono cellule dendritiche <strong>di</strong> origine midollare con<br />

un fenotipo simile alle cellule della serie monocito-macrofagica. Esprimono infatti gli<br />

antigeni del complesso maggiore <strong>di</strong> istocompatibilità (MHC) <strong>di</strong> classe II, i recettori<br />

per il frammento Fc-Ig, la proteina S-100 e l’antigene Ia. Sono situate negli strati<br />

soprabasali dell’epidermide ed i loro processi dendritici si estendono in alto fino allo<br />

strato granuloso ed in basso fino alla giunzione dermo-epidermica. La loro funzione<br />

principale è quella <strong>di</strong> processare gli antigeni e presentarli ai linfociti T in<br />

associazione con le molecole MHC <strong>di</strong> classe II, consentendo, in tal modo, la risposta<br />

immunitaria. Le cellule <strong>di</strong> Merkel, <strong>di</strong> probabile derivazione epidermica, si localizzano<br />

preferenzialmente in <strong>di</strong>stretti cutanei sprovvisti <strong>di</strong> peli e dotati <strong>di</strong> un’elevata<br />

sensibilità tattile. Sono situate nello strato basale, intercalate tra i cheratinociti, ai<br />

quali sono adese tramite una fitta rete <strong>di</strong> desmosomi. Presentano un nucleo lobulato,<br />

un citoplasma chiaro contenente granuli specifici <strong>di</strong> forma sferica e si associano a<br />

terminazioni nervose amieliniche tanto da essere considerati dei veri<br />

meccanorecettori. Infine nell’epidermide è possibile trovare i linfociti T, che non<br />

risiedono ma transitano attraverso la cute e che possono aumentare in maniera<br />

7


Anatomia e fisiologia della cute<br />

esponenziale in con<strong>di</strong>zioni patologiche <strong>di</strong> natura infiammatoria. La giunzione dermo-<br />

epidermica è la struttura che separa l’epidermide dal derma. E’ costituita dalla<br />

sovrapposizione <strong>di</strong> due <strong>di</strong>versi strati che sono, dall’esterno verso l’interno, la<br />

membrana plasmatica del polo basale dei cheratinociti e la lamina basale<br />

propriamente detta, a sua volta costituita da tre strati sovrapposti: la lamina lucida,<br />

la lamina densa e la lamina fibroreticolare. Nell’insieme la giunzione dermo-<br />

epidermica appare come una linea omogenea, positiva alla colorazione PAS,<br />

interposta tra l’epidermide ed il derma. Il derma è un tessuto <strong>di</strong> supporto per<br />

l’epidermide costituito da sostanza fondamentale in cui sono immerse sia una<br />

componente cellulare (fibroblasti, cellule <strong>di</strong> origine ematica) che una componente <strong>di</strong><br />

natura fibrosa (fibre collagene ed elastiche). Il derma contribuisce in maniera<br />

rilevante a determinare alcune caratteristiche della cute quali lo spessore, la<br />

<strong>di</strong>stensibilità, l’elasticità, la forza <strong>di</strong> tensione. Nel derma sono contenuti vasi<br />

sanguigni e linfatici, nervi e recettori sensoriali, che svolgono un ruolo nella<br />

termoregolazione, nell’omeostasi dei liqui<strong>di</strong>, nella percezione sensoriale e nel<br />

sostegno e nutrizione dell’epidermide. In base all’organizzazione strutturale si<br />

<strong>di</strong>stinguono due <strong>di</strong>versi compartimenti dermici: il derma papillare e il derma<br />

reticolare. Il derma papillare è compreso tra la giunzione dermo-epidermica ed il<br />

plesso vascolare superficiale. E’ costituito da piccoli fasci <strong>di</strong> fibre collagene e da<br />

fibre elastiche immerse nella sostanza fondamentale e con una <strong>di</strong>sposizione<br />

perpen<strong>di</strong>colare alla superficie cutanea. Il derma reticolare è invece compreso tra il<br />

plesso vascolare superficiale ed il tessuto sottocutaneo. I fasci <strong>di</strong> fibre collagene ed<br />

elastiche presentano spessore maggiore e decorso parallelo rispetto al piano<br />

cutaneo, mentre le componenti cellulare e vascolare sono modeste, come anche la<br />

quantità <strong>di</strong> sostanza fondamentale che appare inferiore rispetto al derma papillare. Il<br />

tessuto sottocutaneo è rappresentato quasi esclusivamente da a<strong>di</strong>pe organizzato in<br />

lobi e lobuli separati da setti <strong>di</strong> natura con<strong>net</strong>tivale. Il grasso sottocutaneo svolge le<br />

funzioni <strong>di</strong> riserva energetica e <strong>di</strong> isolamento dermico. La circolazione sanguigna<br />

della cute è organizzata secondo uno schema che prevede lo sviluppo <strong>di</strong> due plessi<br />

vascolari localizzati rispettivamente al confine tra il derma papillare e reticolare<br />

(plesso superficiale) e tra il derma reticolare ed il tessuto sottocutaneo (plesso<br />

profondo). Esistono vasi sanguigni che mettono in comunicazione i due plessi, mentre<br />

dal plesso superficiale si <strong>di</strong>staccano vasi capillari che si <strong>di</strong>rigono nelle papille<br />

dermiche. La circolazione prevede che il sangue arterioso raggiunga il plesso<br />

superficiale tramite i vasi comunicanti e quin<strong>di</strong> si <strong>di</strong>riga verso l’epidermide<br />

percorrendo i capillari all’interno delle papille. Il sangue refluo percorre invece vasi<br />

8


Anatomia e fisiologia della cute<br />

venosi che hanno un orientamento parallelo a quelli arteriosi. La componente<br />

nervosa della cute è costituita da una ricca rete <strong>di</strong> fibre afferenti sensitive e fibre<br />

simpatiche efferenti. I recettori della componente sensitiva possono essere<br />

rappresentati da fibre nervose libere o associati in strutture quali i corpuscoli del<br />

Pacini, <strong>di</strong> Golgi e <strong>di</strong> Meissner. Le fibre simpatiche regolano la pervietà ed il <strong>di</strong>ametro<br />

dei vasi e la secrezione ghiandolare. Gli annessi cutanei sono costituiti dalle<br />

ghiandole sebacee, dalle ghiandole sudoripare apocrine ed eccrine, dalle unghie e<br />

dai follicoli piliferi.<br />

Ghiandole Sebacee: hanno una struttura acinoso-ramificata, una secrezione<br />

olocrina ed una <strong>di</strong>stribuzione preferenziale al volto, cuoio capelluto, regione sternale<br />

e perineo. I lobi della ghiandola sono connessi con il follicolo del pelo e la<br />

secrezione, regolata dagli ormoni androgeni, drena in un comune dotto escretore<br />

detto sebaceo. La sostanza secreta (sebo), costituita da una miscela <strong>di</strong> lipi<strong>di</strong><br />

frammisti a detriti cellulari, contribuisce alla formazione del “film idrolipi<strong>di</strong>co”<br />

cutaneo.<br />

Ghiandole Sudoripare: sono ghiandole tubulari semplici e si <strong>di</strong>vidono in<br />

apocrine ed eccrine. Le ghiandole apocrine fanno parte del complesso follicolo-<br />

sebaceo localizzandosi soprattutto nelle regioni ascellari ed anogenitali. Prendono<br />

origine dall’epitelio follicolare e sono formate da una componente secretoria, situata<br />

nel derma profondo, e da un lungo dotto che le collega con il follicolo pilifero. Le<br />

ghiandole eccrine sono più numerose, non associate ai follicoli piliferi e<br />

maggiormente <strong>di</strong>stribuite nelle regioni ascellari, palmo-plantari e al volto. Anch’esse<br />

sono costituite da un dotto escretore e da una porzione glomerulare secernente una<br />

sostanza a base <strong>di</strong> NaCl, urea, aci<strong>di</strong> grassi, aminoaci<strong>di</strong> e proteine. Le ghiandole<br />

sudoripare svolgono importanti funzioni quali la termoregolazione e la formazione del<br />

film idrolipi<strong>di</strong>co.<br />

Follicoli piliferi: sono costituiti dal pelo e dalle guaine ad esso associate e si<br />

trovano <strong>di</strong>stribuiti su tutta la superficie corporea ad eccezione <strong>di</strong> alcune aree quali<br />

palmo delle mani e pianta dei pie<strong>di</strong>, glande, prepuzio, piccole labbra e falangi<br />

ungueali. Il follicolo pilifero può essere considerato un’introflessione dell’epidermide<br />

la cui struttura, particolarmente complessa, è <strong>di</strong>visa in senso prossimo-<strong>di</strong>stale in tre<br />

<strong>di</strong>fferenti tratti: infun<strong>di</strong>bolo, istmo e tratto inferiore. La porzione compresa tra il<br />

punto in cui l’epidermide si invagina e lo sbocco del dotto sebaceo è denominata<br />

infun<strong>di</strong>bolo; l’istmo rappresenta la parte centrale che dallo sbocco sebaceo giunge<br />

fino al punto <strong>di</strong> inserzione del muscolo erettore del pelo; la porzione più <strong>di</strong>stale e<br />

profonda, o tratto inferiore, è la regione del follicolo in cui è presente il bulbo<br />

9


Anatomia e fisiologia della cute<br />

pilifero dalle cui cellule (cellule della matrice pilifera) originano il fusto del pelo e la<br />

guaina interna. Il fusto del pelo a sua volta è costituito da tre strati concentrici quali<br />

cuticola e corticale, i più esterni e con funzione <strong>di</strong> sostegno, e una porzione centrale<br />

chiamata midollare. Nel complesso il pelo è contornato da tre <strong>di</strong>verse guaine che<br />

dall’esterno verso l’interno sono la guaina perifollicolare, la guaina esterna e la<br />

guaina interna.<br />

Muscolo erettore del pelo: è un piccolo muscolo liscio annesso al follicolo<br />

pilifero la cui contrazione favorisce lo svuotamento della ghiandola sebacea e<br />

l’erezione del pelo.<br />

Unghie: sono costituite da una lamina dura <strong>di</strong> cheratina (lamina ungueale) e<br />

da alcuni tessuti strutturalmente e funzionalmente ad essa connessi (matrice<br />

ungueale, letto ungueale, perinichio, iponichio). La lamina ungueale è una<br />

formazione cornea in continuo rinnovamento. Ha un aspetto ovoidale, una superficie<br />

liscia o lievemente convessa e si localizza in regione dorsale delle falangi <strong>di</strong>stali. E’<br />

adagiata sul letto ungueale, strutturalmente costituito da epitelio squamoso<br />

cheratinizzato ed è circondata prossimo-lateralmente da una piega cutanea<br />

denominata perinichio. La lamina ungueale origina dalla matrice ungueale il cui<br />

epitelio germinativo è localizzato al <strong>di</strong> sotto della porzione prossimale del perinichio,<br />

mentre all’estremità delle <strong>di</strong>ta è separata dalla cute del polpastrello tramite un<br />

solco denominato iponichio.<br />

La cute può essere considerata un vero e proprio organo che svolge numerose e<br />

complesse funzioni:<br />

- rivestimento e protezione. Ricoprendo completamente la superficie corporea e<br />

grazie ad alcune caratteristiche quali l’elasticità e la resistenza, la cute svolge<br />

funzione <strong>di</strong> protezione verso insulti <strong>di</strong> natura meccanica (traumi), chimica (aci<strong>di</strong>,<br />

alcali) e fisica (raggi ultravioletti, corrente elettrica). Rappresenta anche la prima<br />

barriera nei confronti degli agenti patogeni, svolgendo sia un ruolo <strong>di</strong> passiva<br />

opposizione fisica che un’attiva sorveglianza immunitaria.<br />

Termoregolazione: la cute agisce sia da regolatore termico che da isolante.<br />

Un’importante quota <strong>di</strong> calore viene rimossa dall’organismo per mezzo<br />

dell’evaporazione del sudore, mentre l’alternarsi <strong>di</strong> vasocostrizione e<br />

vaso<strong>di</strong>latazione determina un rapido cambiamento della portata ematica capillare in<br />

relazione alla temperatura dell’ambiente esterno. Grazie poi alla bassa capacità<br />

termica del pannicolo a<strong>di</strong>poso la cute avvolge ed isola l’intero organismo<br />

consentendo <strong>di</strong> mantenere costante la temperatura corporea interna.<br />

10


Anatomia e fisiologia della cute<br />

Funzione sensoriale: la cute è dotata <strong>di</strong> un’innervazione sensoriale per mezzo della<br />

quale è in grado <strong>di</strong> percepire stimoli <strong>di</strong> natura meccanica, termica e dolorifica. E’ in<br />

comunicazione con il sistema nervoso centrale e consente all’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> adattarsi<br />

alle con<strong>di</strong>zioni ambientali esterne.<br />

Funzione secretiva: la cute è in grado <strong>di</strong> eliminare cataboliti prodotti dall’organismo.<br />

Tramite le ghiandole sudoripare e sebacee vengono <strong>di</strong> fatto secreti acqua, anidride<br />

carbonica, sebo e piccole quantità <strong>di</strong> ioni minerali (calcio, cloro, potassio, magnesio<br />

e so<strong>di</strong>o). Tale processo aumenta con l’aumentare dell’attività metabolica.<br />

Funzione <strong>di</strong> assorbimento: funzione selettiva, sempre più sfruttata per la<br />

somministrazione transdermica dei farmaci.<br />

Funzione semeiotica: importante organo spia <strong>di</strong> patologie interne in grado <strong>di</strong><br />

comunicare con le sue variazioni molti segnali quali pallore, cianosi, secchezza,<br />

pastosità ed edema.<br />

11


Biologia della cicatrizzazione<br />

BIOLOGIA DELLA CICATRIZZAZIONE<br />

La crescita, la rigenerazione e la riparazione sono i processi per la formazione <strong>di</strong><br />

nuovi tessuti. Durante l’embriogenesi la <strong>di</strong>visione degli strati cellulari forma organi<br />

<strong>di</strong>stinti ed i tessuti aumentano <strong>di</strong> volume ma mantengono un’architettura<br />

estremamente organizzata. Lo stu<strong>di</strong>o della cute fetale durante il primo periodo <strong>di</strong><br />

gestazione ha fornito modelli <strong>di</strong> guarigione tissutale senza la formazione <strong>di</strong> cicatrici.<br />

La normale guarigione <strong>di</strong> una ferita successiva alla nascita comprende una<br />

combinazione <strong>di</strong> rigenerazione e riparazione. Tre sono i meccanismi necessari: a)<br />

epitelizzazione, b) contrazione della ferita c) sintesi della matrice extracellulare.<br />

Durante la riparazione si attiva una complessa catena <strong>di</strong> eventi per la formazione<br />

della cicatrice. Il processo richiede il<br />

coor<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> una varietà <strong>di</strong><br />

attività cellulari, che comprendono:<br />

la fagocitosi, la chemiotassi, la<br />

mitogenesi, la sintesi del collagene<br />

ed i componenti extracellulari della<br />

matrice. In alcune circostanze il<br />

processo cellulare porta ad una<br />

riparazione irregolare in eccesso o in<br />

<strong>di</strong>fetto producendo cicatrici<br />

patologiche (ipertrofica, cheloide,<br />

cicatrice ipotrofica) o una lesione<br />

cronica.<br />

Guarigione della ferita<br />

Sono possibili 4 tipi <strong>di</strong> guarigione<br />

della ferita:<br />

1. per prima intenzione,<br />

2. per prima intenzione ritardata<br />

3. per seconda intenzione<br />

4. guarigione delle ferite a spessore parziale.<br />

Guarigione per prima intenzione<br />

La guarigione per prima intenzione si realizza quando una ferita viene chiusa subito<br />

dopo la sua formazione. I bor<strong>di</strong> della ferita sono avvicinati <strong>di</strong>rettamente usando la<br />

12


Biologia della cicatrizzazione<br />

sutura o altro mezzo meccanico. Il metabolismo del collagene provvede alla forza<br />

tensile lungo i margini della ferita quando la sintesi è normale. Gli enzimi<br />

metalloproteinasi della matrice regolano il collagene e la degradazione della matrice<br />

extracellulare e permettono il rimodellamento della ferita lasciando una cicatrice<br />

relativamente sottile. La riepitelizzazione provvede alla copertura della ferita ed<br />

agisce come una barriera contro la colonizzazione batterica.<br />

Guarigione per prima intenzione ritardata<br />

La guarigione per prima intenzione ritardata si manifesta quando una ferita è lasciata<br />

aperta perché inquinata o infetta. La cute ed i tessuti sottocutanei restano esposti e<br />

vengono suturati quando la ferita è detersa. Dopo 3 o 4 giorni i fagociti, accorrendo<br />

nella lesione, danno inizio all’angiogenesi e le cellule infiammatorie presenti<br />

<strong>di</strong>struggono i batteri. I bor<strong>di</strong> della ferita sono avvicinati dopo <strong>di</strong>versi giorni. Il<br />

metabolismo del collagene non è <strong>di</strong>sturbato e si sviluppa una forza tensile che<br />

favorisce la chiusura imme<strong>di</strong>ata.<br />

Guarigione per seconda intenzione<br />

Nella guarigione per seconda intenzione la ferita rimane aperta e si chiude per la<br />

contrazione e la riepitelizzazione dei bor<strong>di</strong>, la lesione si riduce ed incominciano a<br />

definirsi i meccanismi <strong>di</strong> questo processo. I miofibroblasti, comunque, si pensa<br />

giochino un ruolo importante. Questa cellula è descritta come una cellula che<br />

presenta caratteristiche e proprietà strutturali tra un fibroblasto ed una cellula<br />

muscolare liscia. I miofibroblasti derivano dai fibroblasti e sono presenti nella fase <strong>di</strong><br />

contrazione della ferita, contengono un sistema <strong>di</strong> microfilamenti <strong>di</strong> actina ben<br />

definiti: beta e gamma. Le cellule appaiono nella ferita approssimativamente il terzo<br />

giorno dopo la sua formazione e aumentano <strong>di</strong> numero fino a raggiungere un livello<br />

massimo tra il decimo ed il ventunesimo giorno per scomparire quando la contrazione<br />

è completa. Esiste una correlazione <strong>di</strong>retta tra il numero dei miofibroblasti e<br />

l’estensione della contrazione della ferita.<br />

Guarigione della ferita a spessore parziale<br />

La lesione a spessore parziale interessa la parte superficiale del derma e può guarire<br />

con la riepitelizzazione. Le cellule epiteliali con gli annessi dermici, follicoli piliferi e<br />

ghiandole sebacee si replicano fino a coprire il derma esposto. Si deposita una<br />

minima quantità <strong>di</strong> collagene e manca la contrazione della ferita.<br />

Il processo <strong>di</strong> guarigione delle ferite avviene con una cascata sequenziale ed or<strong>di</strong>nata<br />

<strong>di</strong> cellule attive che hanno una funzione <strong>di</strong> fagocitosi, chemiotassi, mitogenesi,<br />

sintesi <strong>di</strong> collagene e sintesi <strong>di</strong> altre componenti della matrice. Una soluzione <strong>di</strong><br />

continuo dei tessuti comporta il sanguinamento, la coagulazione, l’infiammazione, la<br />

13


Biologia della cicatrizzazione<br />

duplicazione cellulare, l’angiogenesi, l’epitelizzazione e la sintesi della matrice. La<br />

lesione tissutale è caratterizzata da un danno microvascolare e <strong>di</strong> stravaso <strong>di</strong> sangue<br />

nella ferita. I vasi lesi si contraggono e viene attivata la cascata dei fattori della<br />

coagulazione che riducono la per<strong>di</strong>ta ematica. Le cellule infiammatorie rilasciano<br />

ammine vasoattive e altri me<strong>di</strong>atori che contribuiscono alla formazione del plasma e<br />

delle proteine nella ferita e permettono alle cellule efficaci <strong>di</strong> entrare. La<br />

coagulazione guida l’emostasi. Le piastrine intrappolate nel coagulo sono essenziali<br />

per l’emostasi così come per una normale risposta infiammatoria. Gli α granuli delle<br />

piastrine contengono fattori <strong>di</strong> crescita, come i fattori <strong>di</strong> crescita piastrine-derivati<br />

(PDGF), fattori β <strong>di</strong> trasformazione della crescita (TGF-f3) e fattore IV piastrinico.<br />

Queste proteine avviano la sequenza dei fattori <strong>di</strong> guarigione della ferita richiamando<br />

ed attivando i fibroblasti, le cellule endoteliali ed i macrofagi. Le piastrine inoltre<br />

contengono corpi densi che liberano amine vasoattive, come la serotonina in grado <strong>di</strong><br />

aumentare la permeabilità dei capillari. La fibrina è il prodotto finale della<br />

coagulazione intrinseca ed estrinseca da cui deriva il fattore I conosciuto anche come<br />

fibrinogeno. La fibrina è essenziale per l’inizio della guarigione delle ferite perché<br />

provvede alla formazione della matrice nella quale le cellule possono migrare. Il<br />

coagulo, formato da fibrina e fibrinogeno, intrappola le piastrine, le cellule del<br />

sangue e le proteine del plasma. La rimozione della matrice temporanea <strong>di</strong> fibrina<br />

impe<strong>di</strong>sce la guarigione della ferita. Nella fase successiva della guarigione,<br />

l’infiammazione inizia con l’attivazione del complemento e della cascata classica<br />

molecolare, che guida l’ infiltrazione nella ferita da parte dei granulociti entro le 24-<br />

48 ore dalla lesione. Queste cellule sono attratte nella sede della ferita da una<br />

quantità <strong>di</strong> agenti, inclusi i componenti del complemento come il C5a, il<br />

formilmetionilpeptide, prodotti dai batteri, e il TGF-13.<br />

In breve tempo i granulociti cominciano ad aderire alle cellule endoteliali dei vasi<br />

sanguigni vicini con un processo chiamato <strong>di</strong> marginazione ed incomincia una attività<br />

attraverso la membrana cellulare nota come <strong>di</strong>apedesi. I granulociti sono attratti<br />

nella sede della lesione attraverso la chemiotassi grazie a messaggeri chimici<br />

rilasciati dai tessuti danneggiati, dalle piastrine, dai batteri e dai prodotti<br />

dell’infiammazione. La funzione maggiore dei granulociti è quella <strong>di</strong> rimuovere i<br />

batteri ed i frammenti della ferita, prevenendo in questo modo l’infezione. La<br />

deplezione <strong>di</strong> queste cellule non mo<strong>di</strong>fica significativamente la guarigione. I<br />

macrofagi sono le cellule più importanti presenti nella guarigione della ferita e<br />

sembrano comportarsi come la chiave che regola la riparazione. Quando mancano i<br />

monociti e i macrofagi tissutali si manifestano importanti alterazioni nei meccanismi<br />

14


Biologia della cicatrizzazione<br />

<strong>di</strong> riparazione tissutale con scarsa possibilità <strong>di</strong> guarigione, ritardata proliferazione<br />

dei fibroblasti, inadeguata angiogenesi e cattiva fibrosi. Una volta che i monociti<br />

circolanti sono passati attraverso la parete dei vasi sanguigni e dentro la ferita,<br />

questi sono considerati: “wound macrophage”. Tra 48 e 72 ore dopo la lesione, il<br />

macrofago rappresenta la cellula dominante all’interno della lesione sia per la<br />

funzione <strong>di</strong> cellula fagocitaria, essendo produttore primario del fattore <strong>di</strong> crescita,<br />

sia per la produzione e la proliferazione della matrice extracellulare (ECM) per i<br />

fibroblasti, sia per la proliferazione <strong>di</strong> cellule muscolari lisce e <strong>di</strong> cellule endoteliali<br />

che seguono all’angiogenesi. I macrofagi sono attratti da una varietà <strong>di</strong> elementi che<br />

includono: il complemento, le componenti del coagulo, i frammenti delle<br />

immunoglobuline G (IgG), i prodotti del <strong>di</strong>sfacimento del collagene e dell’elastina<br />

ovvero le citochine: leucotriene B4, fattore piastrinico IV, PDGF, e TGF-β linfociti<br />

che sono le ultime cellule a raggiungere la ferita durante la fase infiammatoria<br />

richiamate dalla interleuchina-1, dalle IgG e dai prodotti del complemento. Si ritiene<br />

che la interleuchina-1 rivesta un ruolo chiave nella regolazione della collagenasi,<br />

mostrando che i linfociti possono essere coinvolti nel rimodellamento del collagene e<br />

dell’ ECM. Una buona guarigione richiede la migrazione <strong>di</strong> cellule mesenchimali:<br />

stimolate dai fattori <strong>di</strong> crescita, la migrazione dei fibroblasti nella ferita avviene<br />

attraverso l’EMC ed in 7 giorni sono le cellule dominanti nella ferita. Dopo 5-7 giorni<br />

dal trauma i fibroblasti cominciano a sintetizzare il collagene, che aumenta in modo<br />

lineare da 2 a 3 settimane. I collageni costituiscono la più grande famiglia <strong>di</strong> proteine<br />

del corpo umano e la loro funzione è quella <strong>di</strong> provvedere alla robustezza ed alla<br />

integrità <strong>di</strong> tutti i tessuti. Il collagene Tipo 1 è il maggior componente nella<br />

ristrutturazione delle ossa, della cute e dei ten<strong>di</strong>ni. Il collagene Tipo II è contenuto<br />

in modo predominante nella cartilagine. Il collagene <strong>di</strong> Tipo III, assieme al Tipo I, si<br />

trova in <strong>di</strong>verse proporzioni <strong>di</strong>pendenti dal tipo <strong>di</strong> tessuto. Il collagene Tipo IV è<br />

presente nella membrana basale mentre quello <strong>di</strong> Tipo V si trova nella cornea. Fino<br />

ad oggi sono stati identificati almeno 13 <strong>di</strong>stinti tipi <strong>di</strong> collagene con 25 uniche<br />

catene polipepti<strong>di</strong>che. Imme<strong>di</strong>atamente dopo la lesione, il collagene esposto viene a<br />

contatto con il sangue stimola l’aggregazione piastrinica e l’attivazione dei fattori<br />

chemiotattici coinvolti nella risposta alla lesione. In seguito, il collagene <strong>di</strong>venta il<br />

substrato della matrice extracellulare della lesione. L’invasione dei fibroblasti<br />

incomincia a sintetizzare e a secernere collagene tipo I e II per formare la nuova<br />

matrice. Si definisce angiogenesi il processo che interessa la neoformazione dei vasi<br />

sanguigni. Le piastrine entrano nella ferita nella fase iniziale <strong>di</strong> riparazione e <strong>di</strong><br />

secrezione, il TGF-β in<strong>di</strong>rettamente favorisce l’angiogenesi e attira i macrofagi. Le<br />

15


Biologia della cicatrizzazione<br />

piastrine inoltre secernono PDGF, che attrae i macrofagi ed i granulociti favorendo<br />

l’angiogenesi. I macrofagi giocano un ruolo importante rilasciando una quantità <strong>di</strong><br />

sostante angiogeniche compreso il fattore α (TNF-a) <strong>di</strong> necrosi tumorale e il fattore<br />

essenziale <strong>di</strong> crescita dei fibroblasti (FGF). La funzione maggiore dell’epitelio<br />

<strong>di</strong>fferenziato è quella <strong>di</strong> formare una barriera tra l’ambiente interno ed esterno. Una<br />

rottura dello strato epiteliale favorisce la pe<strong>net</strong>razione dei flui<strong>di</strong> e dei batteri della<br />

cute. Nella lesione a tutto spessore la migrazione epiteliale avviene soltanto dai<br />

margini della ferita. L’epitelio cresce incrociando la lesione e occupando i margini<br />

con i fagociti che per primi detergono dai detriti e dal plasma. La mitosi delle cellule<br />

epiteliali comincia 72 ore dopo il danno. La velocità <strong>di</strong> copertura epiteliale è<br />

incrementata se la lesione è detersa, se la lamina basale è intatta e se la ferita è<br />

mantenuta umida. Molti fattori <strong>di</strong> crescita modulano la riepitelizzazione tra cui il<br />

fattore <strong>di</strong> crescita epidermico (EGF) che è un potente stimolatore della mitogenesi<br />

epiteliale e della chemiotassi ed il fattore <strong>di</strong> crescita dei cheratinociti. La sintesi del<br />

collagene e la rottura si equilibrano in forma stabile all’incirca il 21° giorno dopo la<br />

lesione. Si ha la sintesi e la rottura del collagene che continua, mentre l’ECM è<br />

continuamente rimodellato. La degradazione del collagene si raggiunge da specifiche<br />

matrici metalloproteinasi che sono prodotte da un gran numero <strong>di</strong> cellule nella sede<br />

della lesione, compreso i fibroblasti, i granulociti e i macrofagi. L’attività della<br />

matrice metalloproteinasi si riduce e gli inibitori della metalloproteinasi sono<br />

incrementati dalla TGF-β che possono influenzare la capacità della TGF-3 <strong>di</strong> favorire<br />

l’accumulo della matrice. Le fibronectine sono molecole della matrice coinvolte<br />

nella contrazione delle ferite, nell’interazione cellula-cellula e cellula-matrice, nella<br />

migrazione cellulare, nella deposizione della matrice del collagene e<br />

nell’epitelizzazione; agiscono come una impalcatura per la deposizione del<br />

collagene, sono prodotte dai fibroblasti, dalle cellule epiteliali e dai macrofagi e si<br />

trovano nel tessuto stromale e nella lamina basale. Sono le prime proteine che<br />

coprono la ferita fresca, perciò formano parte della matrice provvisoria della ferita.<br />

La loro funzione più importante, nelle fasi della riparazione tissutale, è quella <strong>di</strong><br />

favorire l’interazione cellula-cellula e cellula-matrice e durante la guarigione della<br />

ferita, la fibronectina <strong>di</strong>venta legame crociato al coagulo <strong>di</strong> fibrina facilitando<br />

l’adesione del fibroblasto. La sua quantità <strong>di</strong>minuisce man mano che la ferita matura<br />

e il collagene Tipo I rimpiazza il Tipo III. La sostanza <strong>di</strong> superficie o stroma è un’altra<br />

componente importante della matrice della ferita, composta da proteoglicani e<br />

glicosamminglicani (GAG). I proteinglicani costituiscono il nucleo proteico, hanno un<br />

legame covalente con i GAC e fanno parte dei polisaccari<strong>di</strong>. Ci sono quattro tipi<br />

16


Biologia della cicatrizzazione<br />

principali <strong>di</strong> GAG che fanno parte della struttura tissutale e della cicatrizzazione:<br />

condroitinsolfato, eparan solfato, cheratan solfato e acido ialuronico. L’acido<br />

ialuronico (HA) è una sequenza perio<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>di</strong>saccari<strong>di</strong> senza nucleo proteico e<br />

solfurico,questo si forma nella ferita molto prima degli altri tre GAG, tutti questi<br />

composti sono solfatati e hanno un nucleo proteico. Il ruolo dei proteinglicani nella<br />

cicatrizzazione della ferita è poco conosciuto, sembra che inducano una<br />

iperidratazione che facilita la mobilità cellulare, probabilmente forniscono le<br />

proprietà viscoelastiche del tessuto con<strong>net</strong>tivo normale. Solo recentemente<br />

incomincia ad essere chiaro che molti fattori <strong>di</strong> crescita sono responsabili della<br />

modulazione della risposta infiammatoria. L’ identificazione <strong>di</strong> questi fattori ha<br />

ampliato la conoscenza del processo <strong>di</strong> cicatrizzazione e può inoltre permettere la<br />

manipolazione della guarigione delle ferite. I fattori <strong>di</strong> crescita possono essere<br />

me<strong>di</strong>ati da funzioni cellulari coinvolti nella cicatrizzazione, questi sono costituiti da<br />

proteine, <strong>di</strong> peso compreso tra 4.000 e 60.000 Daltons che interessano l’attività<br />

cellulare quando sono presenti in piccole concentrazioni. Questi inviano un messaggio<br />

biochimico particolare ad uno specifico bersaglio cellulare attraverso uno specifico<br />

recettore <strong>di</strong> membrana. I fattori <strong>di</strong> crescita possono influenzare la funzione cellulare<br />

attraverso molti <strong>di</strong>fferenti meccanismi endocrini, paracrini, autocrini ed olocrini. I<br />

fattori <strong>di</strong> crescita endocrini sono prodotti da una cellula e quin<strong>di</strong> trasportati<br />

attraverso il circolo in una sede <strong>di</strong>stante dove agiscono. I fattori paracrini sono<br />

prodotti da una cellula a<strong>di</strong>acente alla sede in cui il fattore agisce. I fattori <strong>di</strong> crescita<br />

autocrini sono rilasciati dalla stessa cellula sulla quale agiscono. Infine i fattori <strong>di</strong><br />

crescita olocrini si comportano come la cellula che li ha prodotti. La maggior parte<br />

dei fattori <strong>di</strong> crescita nella cicatrizzazione agiscono in maniera autocrina e paracrina.<br />

I fattori <strong>di</strong> crescita coinvolti nella guarigione della ferita e meglio caratterizzati<br />

comprendono l’ EGF, il PDGF, il FGFs acido e basico, il TGF-β, TGF-α, IL-1, e TNF-α.<br />

Il fattore <strong>di</strong> crescita epiteliale è un polipeptide costituito da 53 amminoaci<strong>di</strong> ed è<br />

stato isolato dalle ghiandole salivari del topo. Si trova in un gran numero <strong>di</strong> tessuti e<br />

viene rilasciato durante la degranulazione delle piastrine. Le cellule epiteliali hanno<br />

il più grande numero <strong>di</strong> recettori per l’EGF; inoltre recettori sono presenti anche<br />

nell’endotelio, nei fibroblasti e nelle cellule della muscolatura liscia. L’EGF esercita<br />

un’azione chemiotattica sulle cellule epiteliali, endoteliali e sui fibroblasti, e i<br />

fibroblasti si comportano come uno stimolante mitogeno per questi tipi <strong>di</strong> cellule.<br />

Oltre questo effetto sulle cellule epiteliali e sulla riepitelizzazione l’EGF stimola<br />

l’attività angioge<strong>net</strong>ica e quella collagenasica. I fattori <strong>di</strong> crescita del fibroblasto<br />

sono stati in origine descritti come mitogeni per le cellule mesenchimali, ma in<br />

17


Biologia della cicatrizzazione<br />

seguito si è osservato che stimolano l’angiogenesi e altre funzioni cicatrizzanti. La<br />

famiglia delle FGF è formata da minimo 7 membri comprendenti forme acide e<br />

basiche che contengono il 50% <strong>di</strong> sequenze amminoaci<strong>di</strong>che analoghe al KGF. L’FGF<br />

basico è 10 volte più potente come stimolante angiogenico degli altri membri della<br />

famiglia dell’FGF; orbene sia la forma acida che basica dell’FGF contribuiscono<br />

all’angiogenesi della ferita stimolando la proliferazione delle cellule endoteliali. Le<br />

cellule endoteliali producono e rispondono all’ FGF. L’ FGF basico inoltre stimola la<br />

sintesi del collagene, la contrazione della ferita, l’ epitelizzazione e la sintesi della<br />

matrice. Il fattore <strong>di</strong> crescita dei cheratinociti è increto dai fibroblasti e le sole<br />

cellule che posseggono i recettori KGF sono le cellule epiteliali. Stu<strong>di</strong> recenti hanno<br />

mostrato che i derivati dermici dall’azione del KGF in forma paracrina stimolano la<br />

proliferazione delle cellule epiteliali durante la cicatrizzazione. Stu<strong>di</strong> sulla<br />

cicatrizzazione fatti su animali transgenici, che sono stati segnalati come carenti del<br />

recettore KGF, hanno manifestato un forte ritardo nella cicatrizzazione. Perciò, si<br />

crede che il KGF giochi un ruolo importante nella cicatrizzazione attraverso la<br />

regolazione della riepitelizzazione. Il fattore <strong>di</strong> crescita derivato dalle piastrine è<br />

localizzato nei granuli α delle piastrine. E’ una glicoproteina da 30.000 a 32.000 D<br />

con 2 subunità A e B la cui porzione omologa è il 56%. Il co<strong>di</strong>ce ge<strong>net</strong>ico è localizzato<br />

sui cromosomi 7 e 22. L’etero<strong>di</strong>mero AB è il prodotto primario delle piastrine umane.<br />

Altri tipi <strong>di</strong> cellule rilasciano fattori come il PDGF. Il PDGF attiva Il TGF-β, stimola i<br />

neutrofili, i macrofagi, la chemiotassi e la mitogenesi sia dei fibroblasti che delle<br />

cellule muscolari lisce; stimola inoltre la sintesi del collagene, l’attività della<br />

collagenasi e l’angiogenesi. Sebbene nessun recettore <strong>di</strong> PDGF sia presente sulle<br />

cellule epiteliali o endoteliali, il PDGF sembrerebbe iniziare l’angiogenesi. Questo<br />

può essere secondario al potente effetto del PDGF sulle cellule infiammatorie. Ci<br />

sono 5 isoforme <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> TGF-β tre dei quali (β1, β2, β3) sono presenti nei<br />

mammiferi. Il TGF-β è stato il primo fattοre <strong>di</strong> crescita che si è <strong>di</strong>mostrato efficace<br />

nella guarigione della ferita in un modello animale. Infatti il TGF-β come la vitamina<br />

A, mo<strong>di</strong>fica l’inibizione causata dai glucocorticoi<strong>di</strong>. Si trova come un omo<strong>di</strong>mero con<br />

un peso molecolare <strong>di</strong> 25.000 D ed è stato isolato da quasi tutti i tipi <strong>di</strong> tessuto. Si<br />

trova in alte concentrazioni nei granuli α delle piastrine ed è rilasciato al momento<br />

del danno. Il TGF-β funziona in maniera tale da regolare la sua stessa produzione;<br />

stimola anche i monociti a nascondere altri fattori <strong>di</strong> crescita includendo l’FGF, il<br />

PDGF, il TNF-α e l’IL-1, il TGF-β è chemiotassico per i macrofagi e stimola la<br />

chemiotassi e la proliferazione del fibroblasto. Può essere anche il più potente<br />

stimolatore della sintesi del collagene, attiva i fibroblasti a produrre fibronectina e<br />

18


Biologia della cicatrizzazione<br />

proteinglicani. In generale il TGF-β evoca l’accumulo dell’ECM e la fibrosi nella sede<br />

della ferita. L’interleuchina-1 è stata descritta originariamente come uno stimolatore<br />

<strong>di</strong> proliferazione linfocitaria. E’ prodotta dai macrofagi così come altri tipi <strong>di</strong> cellule.<br />

E’ chemiotassico per le cellule epiteliali, i neutrofili, i monociti e i linfociti ma non<br />

per i fibroblasti. Stimola la proliferazione dei fibroblasti, la sintesi del collagene e<br />

l’attività collagenasica e ialuronidasica. Inibisce la proliferazione delle cellule degli<br />

endoteli vascolari. L’interleuchina-1 gioca inoltre un ruolo nel rimodellamento della<br />

ferita dovuto all’influenza sull’attività collagenasica. Il fattore-α <strong>di</strong> necrosi del<br />

tumore ha costituito la prima scoperta come tumor killer-cell in vitro. E’ un peptide<br />

amminoaci<strong>di</strong>co prodotto dai macrofagi quando sono stimolati dal TGF-β. E’ mitogeno<br />

per i fibroblasti e stimola la sintesi del collagene e della collagenasi. Il TNF-α può<br />

inoltre stimolare l’angiogenesi.<br />

19


Incisioni chirurgiche e suture<br />

INCISIONI CHIRURGICHE E SUTURE<br />

In chirurgia plastica la tecnica operatoria segue<br />

principi generali che non si <strong>di</strong>scostano da quelli <strong>di</strong><br />

altre specialità chirurgiche. E’ però doveroso<br />

sottolineare l'assoluta necessità <strong>di</strong> trattare i<br />

tessuti con estrema delicatezza, ricordando che,<br />

se contusi o danneggiati da manipolazioni<br />

grossolane, essi sono più facilmente soggetti ai<br />

danni da sofferenza vascolare o da infezione. Ciò, se è importante anche per il<br />

chirurgo generale, lo è a maggior ragione per il chirurgo plastico, cui si chiede<br />

sempre una cicatrice poco visibile o comunque migliore <strong>di</strong> altra già esistente.<br />

Incisioni chirurgiche<br />

La prima regola per ottenere una buona sutura, e quin<strong>di</strong> una buona cicatrice, è <strong>di</strong><br />

praticare una buona incisione: un'incisione corretta deve essere esattamente<br />

perpen<strong>di</strong>colare al piano cutaneo, così che i margini combacino perfettamente all'atto<br />

della sutura.<br />

Esistono <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> bisturi, che solo l'esperienza può insegnare come e quando<br />

scegliere: è invece fondamentale sapere come impugnarli a seconda dell'effetto che<br />

si vuole ottenere:<br />

incisione corretta, perfettamente perpen<strong>di</strong>colare al piano cutaneo;<br />

incisione obliqua rispetto al piano cutaneo.<br />

Il bisturi impugnato con forza, come un coltello, serve a praticare un'incisione decisa,<br />

a tutto spessore, <strong>di</strong> <strong>di</strong>screta lunghezza, su cute ricca <strong>di</strong> sottocutaneo: ad esempio per<br />

un intervento <strong>di</strong> addominoplastica, sui glutei, sulle cosce.<br />

Per incisioni più lunghe, che non richiedono una pe<strong>net</strong>razione tanto decisa ma<br />

devono piuttosto costituire una<br />

prima traccia <strong>di</strong> quanto s'intende<br />

fare, il bisturi va impugnato<br />

invece come un archetto <strong>di</strong><br />

violino e con altrettanta<br />

<strong>di</strong>sinvoltura deve essere<br />

maneggiato: ad esempio nello<br />

20


scolpimento <strong>di</strong> un lembo cutaneo.<br />

Incisioni chirurgiche e suture<br />

Quando infine si vuole ottenere precisione e delicatezza con brevi incisioni, come sul<br />

viso, il bisturi verrà impugnato come una penna. Diversamente da quanto accade per<br />

le ferite accidentali, nell'incisione programmata per un determinato intervento il<br />

chirurgo ha <strong>di</strong> solito la possibilità <strong>di</strong> scegliere la <strong>di</strong>rezione della ferita (e quin<strong>di</strong> della<br />

successiva cicatrice). Ciò è molto importante, perché la cute presenta delle linee <strong>di</strong><br />

elasticità o <strong>di</strong> tensione lungo le quali conviene praticare l'incisione per ottenere una<br />

miglior cicatrizzazione. Il primo a stu<strong>di</strong>are e descrivere minuziosamente questa serie<br />

<strong>di</strong> linee fu Langer, da cui prendono il nome. Le linee <strong>di</strong> Langer sono <strong>di</strong>sposte<br />

perpen<strong>di</strong>colarmente alla <strong>di</strong>rezione della contrazione dei muscoli sottostanti alla<br />

cute, perché, come hanno rilevato Kraissl e Conway a proposito delle rughe del<br />

volto, le pieghe cutanee sono determinate dal fatto che la cute non segue il muscolo<br />

nel suo accorciamento. La cicatrice situata in tali pieghe tenderà ad essere<br />

<strong>di</strong>ssimulata dalla loro presenza ed in ogni caso la sua evoluzione nel tempo non<br />

porterà alla retrazione. Giova qui ricordare che le linee <strong>di</strong> Langer al viso coincidono<br />

con le pieghe cutanee dovute alla mimica e con le eventuali rughe, mentre a livello<br />

delle articolazioni coincidono con le pieghe articolari. Quest' ultimo fatto è<br />

importante soprattutto nella faccia palmare della mano e delle <strong>di</strong>ta, dove è d'obbligo<br />

evitare <strong>di</strong> attraversare con l'incisione chirurgica le pieghe articolari per non creare<br />

danni funzionali con la successiva cicatrice un evento traumatico o da un'incisione<br />

chirurgica. In chirurgia plastica essa assume un'importanza particolare, perché la sua<br />

qualità può con<strong>di</strong>zionare pesantemente la riuscita <strong>di</strong> un intervento. Per eseguire una<br />

sutura corretta bisogna margini della ferita chirurgica per tutta la sua lunghezza e<br />

per tutto il suo spessore, evitando al massimo ogni tensione sul piano cutaneo ed<br />

ogni infossamento con la ricostruzione accurata dei piani profon<strong>di</strong>. Si otterrà così che<br />

i labbri della ferita giungano quasi a collabire ed i punti <strong>di</strong> sutura cutanei avranno il<br />

solo compito <strong>di</strong> mantenerli delicatamente a contatto senza provocare ischemie<br />

21


Incisioni chirurgiche e suture<br />

marginali, responsabili <strong>di</strong> molte deiscenze. Eventuali tensioni residue possono essere<br />

<strong>di</strong>stribuite alla cute circostante con l'applicazione <strong>di</strong> cerotti posti trasversalmente<br />

sulla ferita o me<strong>di</strong>cazioni adesive elastiche; infine potrà essere utile immobilizzare la<br />

regione interessata in una posizione che non solleciti l'elasticità della cute.<br />

Materiali <strong>di</strong> sutura<br />

Va innanzitutto ricordato che il filo <strong>di</strong> sutura, quali che siano le sue caratteristiche<br />

fisiche e biologiche, costituisce in ogni caso un corpo estraneo: andrà quin<strong>di</strong> scelto<br />

sempre fra quei materiali che, dotati <strong>di</strong> buona resistenza, abbiano però un'azione<br />

irritante minima nei confronti dei tessuti. Per la sutura dei piani profon<strong>di</strong> sono<br />

ancora ampiamente in uso il catgut semplice e cromico, quest'ultimo preferito<br />

quando si ritiene <strong>di</strong> dover prolungare maggiormente nel tempo la funzione <strong>di</strong><br />

trazione esercitata dalla sutura profonda. Attualmente sono sempre più spesso usati i<br />

fili riassorbibili sintetici (derivati poliglicolici quali Dexon e Vicryl), perché dotati <strong>di</strong><br />

miglior tollerabilità e più lento assorbimento, oltre che <strong>di</strong> maggior resistenza. Per la<br />

sutura della cute sempre valida è la seta naturale, anche se molto spesso sostituita<br />

da altri materiali, da quelli metallici (acciaio, tantalio) a quelli sintetici quali nylon,<br />

mersilene, propilene. Il vantaggio <strong>di</strong> questi fili (siano essi intrecciati o sotto forma <strong>di</strong><br />

monofilamento) rispetto alla seta naturale sta nella loro maggior inerzia e nel fatto<br />

che non si imbibiscono a contatto con i liqui<strong>di</strong> organici, e quin<strong>di</strong> lasciano una traccia<br />

del loro passaggio meno evidente, una volta rimossi. Per contro la seta naturale tiene<br />

meglio il nodo, rispetto al nylon e ai monofilamenti in genere, anche se ormai con<br />

mersilene e propilene intrecciati questo problema sembra esso pure superato. Anche<br />

l'ago è estremamente importante in chirurgia plastica: quasi esclusivo è ormai<br />

l'impiego dei cosiddetti aghi atraumatici, cioè aghi <strong>di</strong> acciaio che montano il filo<br />

<strong>di</strong>rettamente pinzato alla loro parte terminale, evitando così l'ispessimento dato<br />

dalla presenza della cruna, sia essa aperta o chiusa, e dal conseguente<br />

raddoppiamento del filo. Per la cute esistono aghi atraumatici <strong>di</strong> varia curvatura e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>verse, proporzionate al calibro del filo, ma importante è soprattutto<br />

che abbiano sezione triangolare e punta molto aguzza, che ne facilitano il passaggio<br />

attraverso l'epidermide ed il derma. Per i piani profon<strong>di</strong>, possono essere usati aghi a<br />

sezione rotonda come in chirurgia generale, sebbene alcuni chirurghi plastici<br />

preferiscano anche per il sottocute aghi atraumatici a sezione triangolare.<br />

22


Tecniche <strong>di</strong> sutura<br />

Incisioni chirurgiche e suture<br />

Classicamente si <strong>di</strong>stinguono due gran<strong>di</strong> gruppi fra i vari tipi <strong>di</strong> sutura: la sutura a<br />

punti staccati e la sutura continua.<br />

Sutura a punti staccati<br />

È il tipo più usato ed è costituita da una serie <strong>di</strong> punti che affrontano i margini della<br />

ferita giacendo in <strong>di</strong>rezione perpen<strong>di</strong>colare ad essa. L'ago deve pe<strong>net</strong>rare nella cute<br />

perpen<strong>di</strong>colarmente, a qualche millimetro dal margine cruento, approfondendosi nel<br />

sottocute parallelamente al margine <strong>di</strong><br />

sezione; nel margine opposto della ferita<br />

l'ago pe<strong>net</strong>ra nel sottocute prima e viene<br />

fatto fuoriuscire poi dalla cute con le<br />

stesse modalità, badando che la <strong>di</strong>stanza<br />

fra il foro dell'ago ed il margine sia<br />

eguale sui due labbri della ferita, onde<br />

evitarne slivellamenti. Quando però i due margini sono asimmetrici, non hanno<br />

eguale spessore o sono sezionati a becco <strong>di</strong> flauto anziché perpen<strong>di</strong>colarmente, per<br />

ottenere l'affrontamento senza slivellamenti sarà necessario comprendere nel punto<br />

maggior quantità <strong>di</strong> tessuto sul labbro meno mobile della ferita ovvero su quello più<br />

spesso o sezionato ad angolo ottuso. Il filo, una volta passato nei due margini, sarà<br />

annodato lateralmente alla linea d'incisione cutanea, ad evitare che il nodo decubiti<br />

<strong>di</strong>rettamente sulla ferita. Esso dovrà avere giusta tensione e mai essere troppo<br />

stretto per non provocare ischemie del tratto <strong>di</strong> cute compreso nel punto: è meglio<br />

dare qualche piccolo punto in più, piuttosto che applicare pochi grossi punti annodati<br />

strettamente, i quali nel migliore dei casi lasceranno un segno là dove il filo ha<br />

decubitato sulla cute. Vi sono alcune varianti <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> sutura con<br />

caratteristiche particolari.<br />

Sutura punti staccati marginali <strong>di</strong> Dufourmentel<br />

L'ago viene introdotto nel labbro<br />

della ferita esattamente al<br />

margine della superficie<br />

cruenta, poi si approfonda<br />

obliqua-mente nel sottocute per<br />

passare simmetricamente sul<br />

labbro opposto della ferita. Non<br />

si causa ischemia per<br />

23


Incisioni chirurgiche e suture<br />

compressione da parte dei fili né restano segni del passaggio dell'ago sulla cute e la<br />

cicatrice quin<strong>di</strong> resta quasi invisibile.<br />

Sutura a punti staccati ad U<br />

Particolarmente utile quando si debba<br />

esercitare una certa trazione o si<br />

debbano affrontare margini <strong>di</strong> spessore<br />

molto <strong>di</strong>verso.<br />

Il punto a U orizzontale si esegue dando<br />

un primo punto semplice con le modalità<br />

descritte; lateralmente ad esso, con la<br />

stessa <strong>di</strong>stanza dai margini, si esegue un secondo punto <strong>di</strong> ritorno in modo da<br />

annodare i fili sullo stesso lato della ferita.<br />

Nel punto a U verticale la seconda ansa del filo, anziché essere a lato della prima,<br />

giace al davanti <strong>di</strong> essa, più vicina al margine della ferita. In entrambi i casi, se la<br />

tensione esercitata sui labbri della ferita è notevole, può essere utile interporre fra<br />

le anse del filo e la cute piccoli rotoli <strong>di</strong> garza o garza vasellinata per evitare che<br />

decubitino sulla cute. Per un<br />

affrontamento più preciso dei margini<br />

cutanei è utile il punto a U <strong>di</strong> Blair-<br />

Donati, che è un punto a U verticale la<br />

cui seconda ansa attraversa solo<br />

l'epidermide e il derma: con la prima<br />

ansa si avvicinano i tessuti profon<strong>di</strong>, con<br />

la seconda i margini cutanei giungono a combaciare perfettamente.<br />

Sutura continua.<br />

Nata per i tessuti profon<strong>di</strong>, si può applicare anche alla cute; è più rapida <strong>di</strong> quella a<br />

punti staccati, ma a volte a scapito della precisione nell'affrontamento dei margini e<br />

del risultato estetico.<br />

Sutura continua semplice a sopraggitto<br />

Si dà un primo punto, che viene annodato<br />

subito, perpen<strong>di</strong>colarmente alla ferita; si<br />

prosegue quin<strong>di</strong> senza tagliare il filo,<br />

facendogli percorrere un tragitto a spirale<br />

nel quale l'ago viene sempre infisso<br />

perpen<strong>di</strong>colarmente alla ferita, mentre il<br />

24


Incisioni chirurgiche e suture<br />

filo giace obliquamente ad essa in superficie. L'ultimo punto viene annodato con il<br />

primo perpen<strong>di</strong>colarmente alla linea <strong>di</strong> sutura con l'ultima ansa del filo.<br />

Sutura continua con punti a materassaio<br />

E’ in pratica costituita da una serie <strong>di</strong> punti a U orizzontali applicati l'uno accanto<br />

all'altro senza mai interrompere il filo ed annodando solo il primo e l'ultimo <strong>di</strong> essi.<br />

E’più precisa della precedente nell'affrontamento dei margini e dà <strong>di</strong> solito un<br />

risultato estetico migliore.<br />

Sutura continua intradermica<br />

E’ forse la sutura <strong>di</strong> maggior interesse per il chirurgo<br />

plastico. Con essa si possono ottenere risultati estetici<br />

veramente sod<strong>di</strong>sfacenti ed attualmente (anche per<br />

l'ottima qualità del materiale <strong>di</strong> sutura oggi <strong>di</strong>sponibile)<br />

viene usata con sempre maggior frequenza. Si esegue con<br />

monofilamento <strong>di</strong> nylon o <strong>di</strong> acciaio che non provocano<br />

reazione nel derma, non si imbibiscono e si sfilano<br />

facilmente a breve <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo. Il filo viene fatto passare alternativamente da<br />

un margine all'altro della ferita infiggendo l'ago nel derma e quin<strong>di</strong> teso facendo<br />

trazione sulle due estremità, che vengono fissate alla cute con cerotti o annodate.<br />

Dopo una settimana, per taluni anche solo 3-4 giorni, il filo può essere rimosso e<br />

sostituito con semplici cerottini embricati sulla linea cicatriziale. Questo tipo <strong>di</strong><br />

sutura non può essere applicato quando l'incisione non è rettilinea o i margini della<br />

ferita sono in tensione.<br />

Tecnica <strong>di</strong> sutura-non-sutura,<br />

consiste nell'affrontare i margini cutanei <strong>di</strong> una ferita<br />

senza far uso <strong>di</strong> ago e filo ma con l’utilizzo <strong>di</strong> specifici<br />

cerotti <strong>di</strong> carta che vengono applicati secondo le linee <strong>di</strong><br />

trazione della cute. Naturalmente può essere utilizzata<br />

solo in caso <strong>di</strong> ferite non molto profonde, poco estese,<br />

lineari ed in se<strong>di</strong> esposte.<br />

25


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

LE FERITE DIFFICILI<br />

Le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza tegumentarie vengono classificate in: ferite, piaghe, ulcere.<br />

Le ferite sono soluzioni <strong>di</strong> continuo tegumentarie <strong>di</strong> recente insorgenza; le piaghe<br />

sono ferite estese con una lenta tendenza alla guarigione; le ulcere sono lesioni<br />

secondarie, <strong>di</strong> vecchia data, con scarsa tendenza alla guarigione. Tra le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

possono essere incluse le:<br />

Lesioni dà decubito<br />

Ulcere venose, arteriose e miste<br />

Ulcere <strong>di</strong>abetiche<br />

Ulcere post-traumatiche<br />

Ulcere post-ustione<br />

Ulcere post-chirurgiche<br />

Ulcere post-ra<strong>di</strong>oderrniti<br />

Cicatrici <strong>di</strong>strofiche e acromiche<br />

Ulcere da stravaso <strong>di</strong> chemioterapici<br />

Necrosi post-settiche<br />

E’ stato già ampiamente descritto come il processo <strong>di</strong> riparazione cutanea sia<br />

caratterizzato da una complessa cascata <strong>di</strong> eventi che coinvolge risposte cellulari e<br />

umorali volte a restaurare la continuità del tessuto ed a ripristinare una con<strong>di</strong>zione<br />

morfologica e funzionale il più possibile vicina a quella originaria. Per quanto<br />

riguarda le ferite acute, il processo <strong>di</strong> guarigione si articola in quattro fasi principali:<br />

• coagulazione<br />

• infiammazione<br />

• proliferazione cellulare e riparazione della matrice<br />

• epitelizzazione e rimodellamento del tessuto cicatriziale.<br />

Questi sta<strong>di</strong> raggruppano una sequenza <strong>di</strong> processi che in parte si susseguono e in<br />

parte si sovrappongono mostrando una stretta inter<strong>di</strong>pendenza con una tempistica<br />

variabile e poco preve<strong>di</strong>bile ma <strong>di</strong> tutte le fasi quella del rimodellamento è la più<br />

lunga, potendo durare anche 2 anni. Punto chiave del meccanismo riparativo è la<br />

tendenza dell’organismo a ricoprire la zona danneggiata attraverso la migrazione<br />

dell’epitelio <strong>di</strong> superficie. In seguito queste cellule, a contatto con il tessuto<br />

sottostante, vengono sottoposte a una serie <strong>di</strong> segnali biologici che, all’interno <strong>di</strong> un<br />

processo <strong>di</strong> riparazione normale, portano alla ricostituzione <strong>di</strong> una superficie<br />

26


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

epiteliale ben <strong>di</strong>fferenziata ed alla corretta reazione del tessuto mesenchimale<br />

sottostante. Solitamente, il destino successivo della riparazione cutanea è la<br />

cicatrice, caratterizzata da un tipico addensamento del tessuto con<strong>net</strong>tivo in cui le<br />

fibre collagene si organizzano in spessi fasci paralleli ma quando per varie ragioni<br />

l’organismo si <strong>di</strong>scosta da questo processo, per <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> riparazione, le ferite<br />

evolvono in ulcere croniche. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> guanto si osserva nelle ferite acute, in<br />

quelle croniche la sequenza or<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> eventi riparatori viene sovvertita o<br />

“arrestata” in uno sta<strong>di</strong>o interme<strong>di</strong>o. Ciò che accade nelle ulcere croniche è la<br />

mancanza <strong>di</strong> un’adeguata riepitelizzazione che comporta in genere un<br />

prolungamento dello stato infiammatorio. Quando le cellule dell’epidermide non<br />

riescono a migrare attraverso il tessuto delta ferita, si assiste a una<br />

iperproliferazione ai margini della stessa che interferisce ulteriormente con la<br />

normale migrazione cellulare attraverso il letto della ferita. La comprensione dei<br />

processi cellulari che sottintendono alla guarigione fornisce informazioni preziose<br />

sulle ferite che non guariscono.<br />

Coagulazione<br />

Durante la prima fase, il danno lesivo a carico dei vasi determina la fuoriuscita del<br />

sangue e quin<strong>di</strong> la formazione del coagulo. Lo spazio compreso tra i margini della<br />

ferita viene così ad essere occupato da una ricca rete <strong>di</strong> fibrina, plasma, leucociti ed<br />

altri elementi cellulari ematici. Le piastrine attivate durante il processo <strong>di</strong> emostasi<br />

danno inizio alla guarigione della ferita rilasciando <strong>di</strong>versi me<strong>di</strong>atori solubili, tra i<br />

quali fattori <strong>di</strong> crescita e <strong>di</strong> migrazione cellulare. Questi <strong>di</strong>ffondono rapidamente<br />

dalla ferita attirando nell’area della lesione <strong>di</strong>verse cellule infiammatorie.<br />

All’interno della ferita i fattori <strong>di</strong> crescita stimolano la proliferazione <strong>di</strong> vari tipi <strong>di</strong><br />

cellule (cellule epiteliali, fibroblasti, cheratinociti e cellule dell’endotelio vascolare)<br />

e ne regolano le funzioni, come la produzione delle proteine della matrice<br />

extracellulare che forniscono il substrato per il nuovo tessuto <strong>di</strong> granulazione.<br />

Infiammazione<br />

La coagulazione del sangue e il processo <strong>di</strong> degranulazione delle piastrine danno il<br />

via alla fase dell’infiammazione caratterizzata da una notevole vaso<strong>di</strong>latazione,<br />

aumentata permeabilità capillare, attivazione del complemento e migrazione <strong>di</strong><br />

granulociti neutrofili e macrotagi verso la sede della ferita. I neutrofili e i macrofagi<br />

svolgono un’azione <strong>di</strong> protezione dalla contaminazione batterica e <strong>di</strong> detersione del<br />

sito <strong>di</strong> lesione me<strong>di</strong>ante <strong>di</strong>gestione dei detriti tessutali danneggiati. Essi infatti sono<br />

in grado <strong>di</strong> fagocitare e <strong>di</strong>struggere i microrganismi patogeni e <strong>di</strong> rilasciare proteasi<br />

che degradano i componenti danneggiati della matrice extracellulare.<br />

27


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

Tra le sostanze liberate dai macrofagi ci sono le citochine, importanti messaggeri<br />

attraverso i quali le cellule infiammatorie comunicano tra loro esercitando segnali <strong>di</strong><br />

stimolo e <strong>di</strong> inibizione che consentono il controllo della risposta infiammatoria. Nel<br />

passaggio alla fase <strong>di</strong> proliferazione, i macrofagi svolgono dunque un ruolo<br />

fondamentale rilasciando fattori <strong>di</strong> crescita e fattori chemiotattici che richiamano<br />

nella ferita fibroblasti, cellule epiteliali e cellule dell’endotelio vascolare per<br />

formare, a circa 5 giorni dalla lesione, il tessuto <strong>di</strong> granulazione.<br />

Proliferazione cellulare e riparazione della matrice<br />

Con il progressivo decremento del numero <strong>di</strong> cellule infiammatorie nella ferita, i<br />

fibroblasti, le cellule endoteliali ed i cheratinociti dell’epidermide assumono il<br />

controllo della sintesi dei fattori <strong>di</strong> crescita che continuano a promuovere la<br />

migrazione e la proliferazione cellulare. Per sod<strong>di</strong>sfare le elevate esigenze<br />

metaboliche della proliferazione cellulare e della sintesi <strong>di</strong> nuova matrice<br />

extracellulare in questa fase si osserva un marcato aumento della vascolarizzazione<br />

dell’area della lesione e grazie alle cellule endoteliali si realizza la neoformazione <strong>di</strong><br />

capillari mentre i fibroblasti, cellule fondamentali del tessuto con<strong>net</strong>tivo,<br />

sintetizzano i componenti della matrice extracellulare. Questo tessuto, formato da<br />

una densa popolazione cellulare <strong>di</strong> macrofagi e fibroblasti immersi in una matrice <strong>di</strong><br />

tessuto fibroso lasso riccamente vascolarizzato, costituisce il tessuto <strong>di</strong> granulazione.<br />

La per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tessuto dovuta alla lesione viene inizialmente riempita da una matrice<br />

provvisoria costituita prevalentemente da fibrina e fibronectina. Via via che i<br />

fibroblasti vengono attirati nella matrice sintetizzano nuovo collagene, elastina e<br />

altre molecole che formano la cicatrice iniziale e secernono la lisilossidasi, la quale<br />

crea un reticolo nel collagene della matrice extracellulare. Tuttavia, prima che i<br />

componenti della matrice <strong>di</strong> nuova sintesi possano integrarsi adeguatamente con la<br />

matrice dermica esistente, è necessario che vengano rimosse tutte le proteine<br />

danneggiate. Tale compito viene svolto dalle proteasi liberate da fibroblasti e cellule<br />

endoteliali, comprese le collagenasi e le gelatinasi, che fanno parte della<br />

superfamiglia delle metalloproteasi <strong>di</strong> matrice (MPM). Per azione <strong>di</strong> queste sostanze<br />

enzimatiche inizia il rimodellamento della matrice provvisoria e la mo<strong>di</strong>ficazione del<br />

tessuto <strong>di</strong> granulazione fino a ricostituire una matrice con<strong>net</strong>tivale in cui il rapporto<br />

tra collagene <strong>di</strong> tipo I e <strong>di</strong> tipo IV è riportato a valori più vicini alla norma. Da ultimo<br />

si realizza l’epitelizzazione della lesione ovvero la proliferazione e lo scivolamento<br />

delle cellule epiteliali dai margini lìberi della ferita verso il centro. Le cellule<br />

epiteliali migrano sul tessuto <strong>di</strong> granulazione e vanno a ricostituire lo strato<br />

epidermico, portando a termine la riorganizzazione tessutale relativamente al<br />

28


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

numero degli strati e loro <strong>di</strong>fferenziazione. Normalmente la proliferazione e la<br />

riparazione durano <strong>di</strong>verse settimane finché il completamento della barriera<br />

epiteliale induce un arresto dei fenomeni reattivi sia infiammatori che proliferativi<br />

mentre l’angiogenesi ritorna a valori normali con rimozione dei vasi in eccesso.<br />

Epitelizzazione e rimodellamento del tessuto cicatriziale<br />

Lo sta<strong>di</strong>o finale della riparazione <strong>di</strong> una ferita prevede la formazione della cicatrice<br />

che inizia simultaneamente alla formazione del tessuto <strong>di</strong> granulazione e si completa<br />

con il suo rimodellamento. Durante la fase <strong>di</strong> sintesi delle molecole della nuova<br />

matrice extracellulare. che prosegue per <strong>di</strong>verse settimane dopo l’iniziale chiusura<br />

della ferita, la cicatrice è spesso visibilmente rossa e rilevata. Nell’arco <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />

mesi l’aspetto della ferita <strong>di</strong> solito migliora: passa dal rosso violaceo al rosa<br />

biancastro, <strong>di</strong>viene più morbida ed elastica e si appiattisce. Scompaiono inoltre<br />

sintomi quali il prurito e il bruciore che spesso accompagnano le fasi iniziali del<br />

rimodellamento cicatriziale. A livello cellulare questo processo è caratterizzato<br />

dall’azione delle collagenasi che intervengono nel delicato equilibrio tra la sintesi e<br />

la degradazione <strong>di</strong> fibre collagene e matrice extracellulare. Una parte della<br />

popolazione <strong>di</strong> fibroblasti si mo<strong>di</strong>fica in miofibroblasti, acquistando motilità e<br />

capacità contrattile e determinando la contrazione e la conseguente riduzione<br />

dell’estensione della ferita. Nella fase finale del rimodellamento la resistenza alla<br />

trazione raggiunge il suo massimo con la formazione <strong>di</strong> tessuto cicatriziale<br />

relativamente elastico costituito da tessuto con<strong>net</strong>tivo fibroso denso. La frazione<br />

solubile del collagene si riduce mentre aumenta quella insolubile nonché il numero e<br />

lo spessore delle fibre collagene che passano da una <strong>di</strong>stribuzione fibrillare<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata ad uno stato <strong>di</strong> aggregazione in gran<strong>di</strong> fasci sempre più compatti e<br />

organizzati. Le ferite croniche sono caratterizzate da un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> rimodellamento<br />

della matrice extracellulare e da un arresto della fase <strong>di</strong> riepitelizzazione che<br />

comportano un prolungamento dello sta<strong>di</strong>o infiammatorio. Nelle ferite acute le<br />

citochine infiammatorie raggiungono la concentrazione massima nel giro <strong>di</strong> qualche<br />

giorno e poi, se la ferita non è infetta, tornano a livelli molto bassi. Nelle ferite che<br />

non guariscono i livelli permangono elevati, mantenendo così l’ambiente<br />

infiammatorio impedendo il passaggio alla fase proliferativa della guarigione. Nelle<br />

normali risposte <strong>di</strong> riparazione tessutale giocano un ruolo importante numerose<br />

proteasi, tra cui le metalloproteasi che regolano la migrazione cellulare ed il<br />

rimaneggiamento della matrice extracellulare. La loro azione è in parte modulata<br />

dall’intervento degli inibitori tessutali delle metalloproteasi e l’equilibrio tra<br />

l’azione <strong>di</strong> questi e quella delle metalloproteasi appare cruciale nel determinare il<br />

29


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

buon esito della guarigione. Nel letto delle ferite croniche, probabilmente a causa<br />

dell’effetto proinfiammatorio del tessuto necrotico e <strong>di</strong> una pesante carica batterica,<br />

si osservano profonde mo<strong>di</strong>ficazioni a livello cellulare e biochimico tra cui un<br />

aumento dei livelli delle proteasi che degradano la matrice extracellulare appena<br />

formata. Ne risulta una compromissione della migrazione cellulare e della<br />

deposizione <strong>di</strong> tessuto con<strong>net</strong>tivo. Si ritiene che le ulcere venose si “arrestino” alla<br />

fase infiammatoria e che quelle <strong>di</strong>abetiche non vadano oltre la fase proliferativa.<br />

Nelle ferite acute la secrezione delle molecole della matrice extracellulare (come la<br />

fibronecfina e la trombospon<strong>di</strong>na) ha un andamento ben definito. Nelle ferite<br />

croniche sembra esserci una iperproduzione <strong>di</strong> molecole della matrice come<br />

conseguenza <strong>di</strong> una sottostante <strong>di</strong>sfunzione e <strong>di</strong> un’alterata regolazione cellulare . Il<br />

fibrinogeno e la fibrina sono ben presenti nelle ferite croniche e si ritiene che queste<br />

e altre macromolecole si leghino ai fattori <strong>di</strong> crescita e ad altre molecole che hanno<br />

un ruolo nel favorire la riparazione della ferita. Così i fattori <strong>di</strong> crescita, seppur<br />

presenti nella ferita in grande quantità, possono venire intrappolati e quin<strong>di</strong> non<br />

essere <strong>di</strong>sponibili per il processo <strong>di</strong> riparazione. I fibroblasti del derma producono<br />

importanti proteine della matrice quali la fibronectina, le integrine ed il collagene<br />

con cui formano una lamina basale sulla quale migrano i cheratinociti. Una scarsa<br />

responsività <strong>di</strong> queste cellule può dunque ritardare notevolmente la riepitelizzazione<br />

della ferita. Vari stu<strong>di</strong> hanno analizzato l’essudato delle ferite croniche al fine <strong>di</strong><br />

comprendere i meccanismi che provocano l’arresto della guarigione. Molti altri sono<br />

in corso per valutare se alcuni componenti possano rappresentare marker <strong>di</strong> facile<br />

misurazione in grado <strong>di</strong> guidare le decisioni cliniche e monitorare la risposta al<br />

trattamento. Parecchi dati <strong>di</strong>mostrano che l’essudato, rispecchiando la produzione<br />

da parte del tessuto per la maggior parte dei suoi componenti, è sufficientemente<br />

atten<strong>di</strong>bile nel fornire informazioni sulla composizione dell’ambiente della ferita.<br />

L’esame dell’essudato ha rivelato che il letto delle ferite croniche è esposto a un<br />

ambiente ipossico e proteolitico che degrada i componenti della matrice<br />

extracellulare e in cui vi è un’espressione <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori chimici dell’infiammazione<br />

maggiore che nelle ferite acute. Per esempio le ulcere venose delle gambe devono<br />

essere considerate una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> infiammazione cronica, come <strong>di</strong>mostra il fatto<br />

che l’essudato da queste prelevato contiene un’elevata concentrazione <strong>di</strong><br />

interleuchine, proteasi e ra<strong>di</strong>cali liberi dell’ossigeno se comparato con quello delle<br />

ferite acute. Lo stress ossidativo, in particolare, potrebbe essere implicato nella<br />

patogenesi delle ulcere croniche, rendendosi responsabile del danno <strong>di</strong> molti<br />

costituenti biochimici che intervengono nel normale processo <strong>di</strong> guarigione.<br />

30


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

L’essudato delle ferite croniche inoltre è <strong>di</strong>verso, da un punto <strong>di</strong> vista biochimico, da<br />

quello delle ferite acute: rallenta o ad<strong>di</strong>rittura blocca la proliferazione <strong>di</strong> cellule<br />

come i cheratinociti, i fibroblasti e le cellule endoteliali che sono essenziali per il<br />

processo <strong>di</strong> guarigione della ferita. Diversamente da quanto succede per le ferite<br />

acute, l’essudato delle ferite croniche:<br />

inibisce la proliferazione dei fibroblasti<br />

impe<strong>di</strong>sce l’adesione cellulare e la migrazione delle cellule e attraverso il letto<br />

della ferita<br />

mantiene la risposta infiammatoria attraverso livelli elevatì <strong>di</strong> citochine<br />

proinfiammatorìe<br />

contiene macromolecole che, inibendo i fattori dì crescita, bloccano la<br />

proliferazione cellulare contiene livelli elevati <strong>di</strong> metalloproteasi <strong>di</strong> matrice o MPM<br />

che <strong>di</strong>struggono o alterano la matrice neoformata.<br />

Dal momento che l’essudato delle ulcere croniche può ridurre le possibilità <strong>di</strong><br />

guarigione, risulta chiara la necessità <strong>di</strong> intervenire sul letto della ferita per<br />

ripristinare l’ambiente adatto affinché la guarigione possa realizzarsi. E’<br />

fondamentale dunque trattare adeguatamente le “ferite <strong>di</strong>fficili” poiché una lesione<br />

cutanea che rimane aperta per troppo tempo:<br />

obbliga quoti<strong>di</strong>anamente alle me<strong>di</strong>cazioni (proce<strong>di</strong>mento che richiede tempo e<br />

denaro);<br />

provoca un dolore continuo<br />

espone al rischio <strong>di</strong> contrarre infezioni che richiedono ulteriori cure.<br />

Le piaghe da decubito<br />

Le piaghe da pressione originano da un complesso<br />

processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione dei tessuti. I termini: piaghe da<br />

pressione, ulcere da decubito e piaghe da decubito<br />

sono stati usati come sinonimi per riferirsi alle<br />

ulcerazioni dei tessuti comunemente osservate nei<br />

pazienti debilitati. Il termine decubito deriva dalla<br />

parola latina “decumbere” che significa “giacere <strong>di</strong>steso” e sebbene questo termine<br />

possa essere appropriato per i pazienti che sono costretti a letto non descrive<br />

correttamente le ulcere dei pazienti che sono mobili. Poiché il processo fisiologico<br />

comune è la pressione continua, piaghe da “pressione” è il miglior termine<br />

descrittivo. In aggiunta alla pressione continua, i fattori che contribuiscono alla<br />

formazione delle piaghe da pressione includono: alterata percezione sensoriale,<br />

incontinenza, esposizione all’umi<strong>di</strong>tà, alterata attività e mobilità, frizione e forze <strong>di</strong><br />

31


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

taglio. In<strong>di</strong>vidualmente ciascuno <strong>di</strong> questi fattori non porta alla formazione <strong>di</strong> una<br />

ulcera ma in combinazione con la pressione senza sollievo, può dare origine ad un<br />

danno irrevetsibile dei tessuti. Il sistema <strong>di</strong> classificazione più comunemente<br />

accettato è quello della Conferenza <strong>di</strong> Sviluppo del Comitato Consultivo Nazionale<br />

per l’accordo sulle Piaghe da Pressione (1989).<br />

Sta<strong>di</strong>o Descrizione<br />

Sta<strong>di</strong>o I Cute intatta ma arrossata per più <strong>di</strong> 1 ora dopo rilascio della pressione<br />

Sta<strong>di</strong>o II Flittene o altra interruzione del derma + infezione<br />

Sta<strong>di</strong>o III Distruzione sottocutanea del muscolo + infezione<br />

Sta<strong>di</strong>o IV Coinvolgimento dell’osso o articolazione + infezione<br />

Nel corso degli ultimi 25 anni sono stati effettuati molti stu<strong>di</strong> per determinare<br />

l’incidenza delle piaghe da pressione che coinvolge circa il 9% <strong>di</strong> tutti i pazienti<br />

ospedalizzati. Comunemente citata in tutti gli stu<strong>di</strong> è la loro associazione con altri<br />

problemi clinici, includendo malattie car<strong>di</strong>ovascolari (41%), malattie neurologiche<br />

acute (27%) e lesioni ortope<strong>di</strong>che (15%). In aggiunta a questi, l’età è un fattore<br />

associato. Da un punto <strong>di</strong> vista eziopatoge<strong>net</strong>ico la pressione è il fattore eziologico<br />

più importante. La compressione sui tessuti molli dà origine ad un’ischemia che, se<br />

non rilevata, evolve verso la necrosi e l’ulcerazione e nei pazienti a rischio, questa<br />

sequenza <strong>di</strong> eventi può essere accelerata da altre fonti endogene come l’infezione, il<br />

<strong>di</strong>abete, una con<strong>di</strong>zione neurologica alterata. Di tutte le ulcere da pressione, il 96%<br />

insorge al <strong>di</strong> sotto della linea dell’ombelico ed il 75% sono localizzate intorno alla<br />

cintura pelvica. Lan<strong>di</strong>s nel 1930 determinò la pressione dei capillari sanguigni in un<br />

singolo capillare che varia da 12 mm Hg, alla terminazione venosa, a 32 mm Hg alla<br />

terminazione arteriosa: se la forza <strong>di</strong> compressione esterna supera la pressione del<br />

letto capillare la perfusione è compromessa e si svilupperà un’ischemia. Tuttavia<br />

questo effetto non è istantaneo ma esiste una relazione inversa tra il grado <strong>di</strong><br />

pressione ed il tempo richiesto per l’insorgenza. Altri elementi importanti nella<br />

genesi della piaga da decubito sono l’infezione, l’edema e la denervazione locale: il<br />

rapido in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> deca<strong>di</strong>mento cutaneo che si osserva nelle piaghe da pressione è<br />

segno <strong>di</strong> un processo batterico poichè la cute compressa ha una minore resistenza<br />

all’invasione batterica. La cute compressa e denervata <strong>di</strong>venta edematosa a causa <strong>di</strong><br />

molti processi: una volta che la pressione esterna supera 12 mm Hg le vene <strong>di</strong>ventano<br />

turgide e la pressione totale del tessuto aumenta con uno stravaso <strong>di</strong> plasma ed<br />

edema locale. La presenza <strong>di</strong> tessuto denervato aggrava ulteriormente questo<br />

processo con la per<strong>di</strong>ta del tono simpatico dei vasi sanguigni. Inoltre l’edema è anche<br />

il risultato <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori infiammatori rilasciati in risposta al trauma della<br />

compressione. La normale omeostasi tra la PGF e le PGE è mo<strong>di</strong>ficata in favore della<br />

32


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

PGE con aumentata per<strong>di</strong>ta attraverso le membrane cellulari ed accumulo <strong>di</strong> fluido<br />

interstiziale. Man mano che la concentrazione del plasma interstiziale cresce, il sebo<br />

cutaneo, importante nella <strong>di</strong>fesa contro le infezioni sia da streptococco che da<br />

stafilococco, viene <strong>di</strong>luito perdendo progressivamente la capacità <strong>di</strong> barriera<br />

protettiva.<br />

Il piede <strong>di</strong>abetico<br />

L’ eziologia principale del piede <strong>di</strong>abetico è la neuropatia che è presente in circa<br />

l’80% dei pazienti con ulcere al piede. La neuropatia ha componenti metaboliche,<br />

ischemiche ed anatomiche. Alti zuccheri nel sangue alterano il pathway dei<br />

mioinositali nei neuroni, portando così ad un aumento delle concentrazioni<br />

intracellulari <strong>di</strong> sorbitolo ed una <strong>di</strong>minuzione dell’attività del Na + . Ciò porta<br />

all’edema ed alla <strong>di</strong>sfunzione del nervo. Il processo è parzialmente reversibile con<br />

l’inibizione della conversione del glucosio in sorbitolo.<br />

Alterazioni nella microcircolazione e nella <strong>di</strong>stribuzione<br />

<strong>di</strong> ossigeno nel nervo porta ad una per<strong>di</strong>ta focale dei<br />

nervi mielinici e non. Inoltre, questi nervi edematosi<br />

viaggiano attraverso stretti tunnel anatomici che li<br />

comprimono ed accelerano il loro deterioramento. La<br />

sensibilità protettiva viene persa ed i pazienti sono incapaci <strong>di</strong> sentire danni<br />

incipienti o esistenti al piede. La neuropatia autonoma ha 2 effetti: l’anidrosi e<br />

l’apertura degli shunt AV. L’anidrosi comporta lesioni cutanee e fornisce un punto<br />

potenziale <strong>di</strong> entrata ai batteri. L’apertura <strong>di</strong> shunt AV permette al sangue <strong>di</strong><br />

aggirare parzialmente i capillari cutanei con un ridotto nutrimento cutaneo.<br />

Aggirando l’alta resistenza del letto capillare cutaneo, il grado <strong>di</strong> afflusso attraverso<br />

la gamba aumenta e la temperatura risultante del piede è <strong>di</strong> 2-3 più alta del<br />

normale. Si pensa che questo afflusso maggiore attraverso l’osso contribuisca al<br />

collasso precoce delle ossa della parte centrale del piede (piede Charcot) che si<br />

osserva in 1 <strong>di</strong>abetico su 800. Infine, la neuropatia motoria può portare alla graduale<br />

denervazione dei muscoli intrinseci del piede con per<strong>di</strong>ta progressiva della flessione<br />

metatarso-falangea e l’insorgenza <strong>di</strong> un piede a tenaglia. Quando il paziente spinge,<br />

durante la normale andatura, la mole del peso rimane sulle articolazioni metatarso-<br />

falange e non è trasferita alle <strong>di</strong>ta con il risultato finale che la maggior parte delle<br />

ulcere si formano sopra le teste metatarsali.<br />

Classificazione <strong>di</strong> Wagner :<br />

Callosità, ulcere guarite, deformità cutanee.<br />

Ulcera superficiale.<br />

33


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

Dal sottocute all’osso, ten<strong>di</strong>ni, legamenti, capsula.<br />

Osteite, osteomielite, ascesso.<br />

Gangrena del <strong>di</strong>to.<br />

Gangrena del piede.<br />

Fino al 60% dei <strong>di</strong>abetici con ulcere che non guariscono è presente una malattia<br />

vascolare. Le arterie interessate sono principalmente quelle <strong>di</strong>stali rispetto<br />

all’arteria poplitea, specificatamente le arterie tibiali e peronee. I <strong>di</strong>abetici hanno<br />

una ridotta risposta immunitaria e quin<strong>di</strong> hanno un’aumentata sensibilità alle<br />

infezioni. Le infezioni superficiali del piede <strong>di</strong>abetico sono solitamente causate da<br />

batteri gram-positivi, come lo Streptococco o lo Stafilococco aureo ma quelle più<br />

profonde tendono ad essere polimicrobiche e sono sostenute da cocchi gram-positivi<br />

e bacilli gram-negativi aerobi così come dagli anaerobi. La cancrena sinergica <strong>di</strong><br />

Meleney è causata da uno streptococco anaerobio in associazione con lo Stafilococco<br />

aureo.<br />

Le ulcere cutanee<br />

Le ulcere cutanee (UC) rappresentano una patologia<br />

<strong>di</strong> elevato significato sociale in termini <strong>di</strong> spesa<br />

pubblica assistenziale e <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> giornate<br />

lavorative. Stu<strong>di</strong> epidemiologici su vasta scala<br />

riguardanti le ulcere cutanee sono piuttosto rari:<br />

nel 1800 nell’ospedale <strong>di</strong> Bristol (Gran Bretagna) il<br />

19% dei pazienti chirurgici ricoverati ed il 42% <strong>di</strong> quelli afferenti all’ambulatorio<br />

chirurgico erano affetti da UC. In tempi più recenti gli stu<strong>di</strong> epidemiologici in<strong>di</strong>cano<br />

una prevalenza variabile dallo 0.15 all’1.02 %. Tale variabilità è giustificata da una<br />

consistente <strong>di</strong>fferenza dei campioni <strong>di</strong> popolazione esaminati e dalla modalità <strong>di</strong><br />

raccolta dei dati. Tuttavia, è chiaro che si tratta <strong>di</strong> patologie a carico delle fasce<br />

avanzate <strong>di</strong> età. La prevalenza varia dallo 0.3% a 60 anni all’1% a 65 anni fino a<br />

raggiungere il 5% a 90 anni. Nel complesso è stato calcolato che il rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare una UC nel corso della vita coinvolge il 2.7 % della popolazione. I dati<br />

riportati derivano da stu<strong>di</strong> condotti in paesi occidentali industrializzati laddove<br />

fattori ge<strong>net</strong>ici e <strong>di</strong> stile <strong>di</strong> vita (sedentarietà, <strong>di</strong>eta) favoriscono le patologie<br />

vascolari <strong>di</strong> base e l’insufficienza venosa cronica (IVC). La patogenesi è<br />

genericamente secondaria ad un’alterata funzione delle strutture vascolari<br />

34


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

venose, arteriose e linfatiche ovvero ai danni<br />

ischemici conseguenti ad una prolungata<br />

pressione (decubito). La UC identifica una lesione<br />

derivante dalla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza cutanea in<br />

assenza della normale tendenza <strong>di</strong> una ferita alla<br />

guarigione spontanea: è la naturale conseguenza<br />

<strong>di</strong> fenomeni <strong>di</strong> degenerazione tissutale e/o delle<br />

strutture sottostanti (fascia muscolare, muscoli,<br />

ten<strong>di</strong>ni). Qualunque sia la causa primitiva il<br />

danno è sostenuto da un’alterazione del sistema<br />

vascolare che mantiene il bilancio omeostatico<br />

delle strutture cutanee con la riduzione <strong>di</strong>:<br />

1) <strong>di</strong>ffusione per impe<strong>di</strong>mento degli scambi <strong>di</strong><br />

nutrienti tra circolo ematico e tessuti (come per edema o formazione <strong>di</strong> cuffia<br />

fibrinica perivascolare) 2) perfusione per inadeguatezza della quantità <strong>di</strong> sangue nel<br />

tessuto. Nella eziopatogenesi dell’ulcera cutanea l’omeostasi tissutale può essere<br />

alterata su 4 livelli <strong>di</strong>versi: 1) livello <strong>di</strong> organo (es. l’arto inferiore); 2) livello<br />

tissutale specifico (microcircolo cutaneo); 3) livello cellulare (cellule endoteliali,<br />

ematiche, fibroblasti e, attraverso questi ultimi, l’intera matrice extracellulare); 4)<br />

livello subcellulare (processi metabolici, ph, temperatura, osmolarità, funzione<br />

coagulativa, anticorpi ed immunocomplessi circolanti, funzione complementare,<br />

etc.). E’ evidente che tali livelli <strong>di</strong> controllo dell’equilibrio nutritivo e funzionale<br />

della cute sono intercomunicanti e l’anomalia <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> essi crea delle mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

a catena. Da questa impostazione fisiopatologica deriva uno schema classificativo<br />

sulla base del <strong>di</strong>stretto circolatorio danneggiato e del profilo anatomico/funzionale.<br />

Nella tabella riassuntiva non sono riportate le ulcere linfatiche come entità<br />

autonoma poichè la compromissione del sistema linfatico è essenzialmente<br />

secondaria alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> insufficienza venosa cronica e ne rappresenta una<br />

frequente complicanza. E’ stato considerato invece fattore causale il deficit della<br />

funzione <strong>di</strong> pompa muscolare, primitivo o secondario, che è responsabile <strong>di</strong><br />

un’alterata funzionalità del <strong>di</strong>stretto circolatorio venoso in assenza <strong>di</strong> apparenti<br />

patologie strutturali.<br />

Da tutto quanto espresso in precedenza appare chiaro che la cura delle ferite <strong>di</strong>fficili<br />

è caratterizzata da un coacervo <strong>di</strong> presi<strong>di</strong> terapeutici finalizzati ad una gestione<br />

globale e coor<strong>di</strong>nata delle lesioni non soltanto per accelerare i processi endogeni <strong>di</strong><br />

guarigione ma anche per promuovere l’efficacia delle <strong>di</strong>fferenti misure terapeutiche.<br />

35<br />

Le ulcere cutanee: classificazione<br />

Venose<br />

Arteriose<br />

Miste<br />

Microangiopatiche<br />

Pressione e cause chimico-fisiche<br />

Neuropatiche<br />

Infettive<br />

Metaboliche<br />

Ematologiche<br />

Neoplastiche<br />

Deficit pompa muscolare


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

I protocolli <strong>di</strong> cura prevedono una fase iniziale comune caratterizzata dalla<br />

preparazione del letto della ferita (wound bed).<br />

Il “wound bed “prevede:<br />

deibridement della ferita con me<strong>di</strong>cazioni avanzate in grado <strong>di</strong> eliminare i tessuti<br />

necrotici (es. idrogel, fibrinolitici);<br />

gestione dell’essudato e della carica batterica con me<strong>di</strong>cazioni assorbenti e<br />

mo<strong>di</strong>camente antisettiche (schiume poliuretaniche, alginati; idrocolloi<strong>di</strong>;<br />

me<strong>di</strong>cazioni a base <strong>di</strong> argento);<br />

correzione del microambiente, biologico, con me<strong>di</strong>cazioni che stimolano la<br />

riparazione tissutale (acido jaluronico in matrice o in granuli) o innesti ingegnerizzati<br />

che sostituiscono i tessuti alterati.<br />

Lo scopo <strong>di</strong> tutto questo iter terapeutico è quello <strong>di</strong> condurre una ferita <strong>di</strong>fficile ad<br />

una corretta guarigione o per Io meno verso un’adeguata preparazione del letto della<br />

ferita al fine dì rendere possibile un successivo intervento ricostruttivo. Tra le<br />

possibilità <strong>di</strong> trattamento delle “ferite <strong>di</strong>fficili” possiamo inoltre schematicamente<br />

includere:<br />

tecniche ancillari (elastocompressione, angioplastica, ossigenoterapia iperbarica<br />

vacuum assisted closure therapy, perdurale continua);<br />

me<strong>di</strong>cazioni avanzate;<br />

tessuti ingegnerizzati;<br />

chirurgia;<br />

L’elastocompressione è la tecnica utilizzata per il trattamento e la prevenzione delle<br />

ulcere da stasi venosa e linfatica. Il meccanismo <strong>di</strong> azione sì basa sull’aumento della<br />

pressione interstiziale al fine <strong>di</strong> controbilanciare l’aumentata pressione veno-<br />

linfatica e capillare. L’elastocompressione, inoltre, è fondamentale per migliorare il<br />

ritorno venoso aumentando la compressione estrinseca sulla rete venosa.<br />

L’angioplastica è tecnica che consente la rivascolarizzazione degli arti inferiori<br />

colpiti da ischemia critica Viene utilizzata quando valori <strong>di</strong> pressione sistolica alla<br />

caviglia inferiori ai 50 mmHg ed all’alluce inferiori ai 30 mmHg sono associati a<br />

dolore incoercibile presente da più <strong>di</strong> 2 settimane o ad ulcera o gangrena delle <strong>di</strong>ta<br />

del piede. La perdurale continua è una tecnica che consente <strong>di</strong> ottenere una<br />

analgesia continua e determina anche una vaso<strong>di</strong>latazione a livello periferico.<br />

L’ ossigenoterapia iperbarica è una meto<strong>di</strong>ca non invasiva che è molto utilizzata nei<br />

processi degenerativi in quanto favorisce la rigenerazione tissutale. Tale tecnica,<br />

infatti, consente <strong>di</strong> avere un metabolismo aerobio, <strong>di</strong> ridurre le concentrazioni <strong>di</strong><br />

acido lattico me<strong>di</strong>ante metabolizzazione ossidativa, permette <strong>di</strong> ridurre l’edema e <strong>di</strong><br />

36


Le ferite <strong>di</strong>fficili<br />

conseguenza l’ischemia tissutale; essa, infine, ha una importante azione antinfettiva<br />

ed è determinante nel demarcare la cosiddetta “zona migliorando cioè la vitalità dei<br />

tessuti scarsamente ossigertati La VAC è un sistema non invasivo il cui meccanismo <strong>di</strong><br />

azione è quello <strong>di</strong> applicare una pressione negativa controllata e localizzata, la quale<br />

favorisce la guarigione <strong>di</strong> ferite acute e croniche Tale meto<strong>di</strong>ca consente l’ottimale<br />

rimozione degli essudati ripristina la pressione ottimale e quella del flusso capillare e<br />

stimola la granulazione. Le me<strong>di</strong>cazioni avanzate sono rappresentate da materiali <strong>di</strong><br />

copertura che hanno caratteristiche <strong>di</strong> biocompatibilità: determinano, infatti,<br />

un’interazione del materiale con i tessuti, evocando una specifica risposta.<br />

Generalmente si tratta <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cazioni occlusive che realizzano un ambiente umido<br />

nell’interfaccia tra la lesione e la me<strong>di</strong>cazione stessa. Esistono molti tipi <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>cazioni avanzate (idrogel, schiume in poliuretano, me<strong>di</strong>cazioni all’argento<br />

microcristallino me<strong>di</strong>cazioni composte, ecc.), e la scelta tra esse è determinata dal<br />

particolare caso clinico. Generalmente le me<strong>di</strong>cazioni avanzate vengono utilizzate<br />

sempre, in associazione o meno ad altre meto<strong>di</strong>che proprio perché consentono <strong>di</strong><br />

preparare il letto della ferita in quanto favoriscono il debridement, consentono Ia<br />

corretta gestione degli essudati e correggono il microambiente biologico delle ferite.<br />

I tessuti ingegnerizzati sono tessuti viventi processati in laboratorio, costituiti da<br />

cellule autologhe (prelevate me<strong>di</strong>ante biopsia cutanea del paziente) seminate in un<br />

biomateriale naturale (acido jaluronico). Oggi è possibile produrre in laboratorio il<br />

derma, l’epidermide, la cartilagine sono ancora in fase <strong>di</strong> preparazione il tessuto<br />

a<strong>di</strong>poso e la cute one-step (derma + epidermide). In chirurgia plastica gli innesti<br />

<strong>di</strong>.cute ingegnerizzata vengono utilizzati come riparazione <strong>di</strong> per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza<br />

(derma e poi cheratinociti) o come preparazione del letto della ferita (solo derma),<br />

infine come riempitivo. Campi <strong>di</strong> applicazione tipici sono: le ulcere <strong>di</strong>abetiche degli<br />

arti inferiori, le ulcere venose, arteriose, miste; le ulcere da decubito post-<br />

chirugiche. La chirurgia viene riservata ai casi in cui sono presenti lesioni <strong>di</strong>strofìche<br />

su osteomielite, o quando. c’è esposizione ossea o articolare; è la tecnica <strong>di</strong> scelta<br />

anche nelle lesioni da decubito <strong>di</strong> IV sta<strong>di</strong>o, soprattutto a livello ischiatico, e quando<br />

siamo <strong>di</strong> fronte ad ulcere da stravaso <strong>di</strong> chemioterapici. Essa si avvale <strong>di</strong> numerose<br />

possibilità ricostruttive, che spaziano dai lembi fasciocutanei a quelli miocutanei fino<br />

ai lembi liberi<br />

37


Cicatrice ipotrofica<br />

Cicatrici patologiche<br />

CICATRICI PATOLOGICHE<br />

La cicatrice atrofica o ipotrofica è determinata da una <strong>di</strong>minuita produzione <strong>di</strong><br />

tessuto <strong>di</strong> granulazione e da una ritardata epitelizzazione secondaria a fattori<br />

esogeni (deficit alimentari, infezioni, corpi estranei, fenomeni compressivi) ed a<br />

fattori endogeni (turbe circolatorie, malattie metaboliche, patologie cutanee,<br />

malattie infettive croniche, deficit immunitari). Clinicamente si presenta come<br />

un’area depressa traslucida, ipopigmentata, talvolta marezzata per la presenza <strong>di</strong><br />

teleangectasie periferiche, con occasionali ulcerazioni. La cicatrice atrofica è<br />

particolarmente possibile nei pazienti affetti da <strong>di</strong>abete mellito: dati sperimentali<br />

in<strong>di</strong>cano che non è l’iperglicemia che inibisce la guarigione della ferita ma,<br />

piuttosto, la mancanza <strong>di</strong> insulina. Altre anormalità manifestate nei <strong>di</strong>abetici<br />

comprendono un deterioramento dei fibroblasti, della proliferazione delle cellule<br />

endoteliali, della epitelizzazione, una riduzione del deposito <strong>di</strong> collagene ed una<br />

ridotta forza della cicatrice. Fattori ambientali possono contribuire alla normale<br />

guarigione della ferita. Tutti i fattori richiesti per una normale sintesi del collagene<br />

(ossigeno, amminoaci<strong>di</strong> essenziali, adeguata energia calorica per permettere la<br />

sintesi delle proteine) sono con<strong>di</strong>zione in<strong>di</strong>spensabile per un fisiologico iter<br />

cicatriziale: l’ascorbato (vitamina C) è un cofattore richiesto per l’idrossilazione<br />

della prolina e la lisina durante la formazione del collagene. La sua carenza<br />

(scorbuto) può causare una inadeguata produzione <strong>di</strong> collagene idrossilato, che è<br />

degradato rapidamente o non riesce a formare legami crociati adeguati. Basse<br />

concentrazioni <strong>di</strong> elementi quali zinco, rame e ferro interferiscono con la guarigione<br />

così come alcuni farmaci (steroi<strong>di</strong> e sostanze antineoplastiche) interagiscono<br />

negativamente con la proliferazione cellulare o la<br />

sintesi delle proteine. Una parte significativa nel<br />

turnover tissutale nella cicatrizzazione normale è<br />

me<strong>di</strong>ata dagli elementi della matrice del gruppo delle<br />

metalloproteinasi (MMP). Le MMPs costituiscono un<br />

gruppo <strong>di</strong> endopeptidasi zinco-<strong>di</strong>pendenti che includono<br />

le collagenasi, le gelatinasi e le stromelisine. Un aumento del turnover della matrice<br />

extracellulare può ostacolare il normale sviluppo del tessuto cicatriziale.<br />

38


Cicatrice ipertrofica e cheloide<br />

Cicatrici patologiche<br />

La cicatrice ipertrofica ed il cheloide sono proliferazioni <strong>di</strong> tessuto fibroso cutaneo<br />

conseguenti ad un trauma o ad un evento infiammatorio locale. La prima insorge<br />

circoscritta nella sede primaria della lesione mentre il cheloide interessa anche le<br />

aree a<strong>di</strong>acenti. Materiale estraneo esogeno o endogeno nell’area traumatizzata o<br />

sede <strong>di</strong> un evento infiammatorio, un trauma, infezioni batteriche locali e particolari<br />

regioni anatomiche (pa<strong>di</strong>glioni auricolari, collo, spalle, tronco superiore) possono<br />

favorire lo sviluppo delle due anomalie cicatriziali. Esistono anche fattori generali<br />

pre<strong>di</strong>sponenti <strong>di</strong> tipo familiare (autosomici dominanti e recessivi) e <strong>di</strong> tipo razziale.<br />

Le neoformazioni insorgono dopo qualche mese dall’evento traumatico o<br />

infiammatorio come papule o placche rilevate, <strong>di</strong> color rosa-rosso, dure, <strong>di</strong> forma<br />

sovrapponibile alla lesione primitiva traumatica. In questa fase non è possibile<br />

<strong>di</strong>stinguere una cicatrice ipertrofica da un potenziale cheloide. La crescita può<br />

cessare dopo qualche mese oppure continuare in maniera anche intermittente per<br />

tempi più lunghi. La cicatrice rimane sempre ben circoscritta, mentre il cheloide<br />

dopo qualche mese si estende oltre l’area originale. Entrambe le lesioni possono<br />

essere pruriginose ed il cheloide viene spesso associato a dolore e parestesia locale.<br />

Alcune volte soprattutto i cheloi<strong>di</strong> possono essere particolarmente sfiguranti e<br />

inabilitanti. Grossi cheloi<strong>di</strong> sono stati descritti in pazienti affetti da sclerosi<br />

sistemica, da progeria, da pachidermoperiostosi e da altre rare sindromi complesse.<br />

La cicatrice anomala comincia generalmente a svilupparsi nelle settimane subito<br />

dopo il danno, mentre il cheloide si può sviluppare fino ad un anno più tar<strong>di</strong>.<br />

Istologicamente la <strong>di</strong>fferenza tra cicatrice ipertrofica e cheloide è minima, tutte e<br />

due <strong>di</strong>fferiscono dalla cicatrice normotrofica per la ricca vascolarizzazione, per l’alta<br />

densità del mesenchima e per l’ addensamento dello strato dermico. Le fibre <strong>di</strong><br />

collagene sono organizzate in un vortice, inoltre la sostanza mucinosa è presente in<br />

grande quantità nei cheloi<strong>di</strong> ma la densità dei fibroblasti è minore che nelle cicatrici<br />

ipertrofiche. La microscopia a scansione elettronica mostra la <strong>di</strong>fferenza morfologica<br />

ultrastrutturale nelle cicatrici ipertrofiche che hanno fibre collagene meno marcate<br />

che nella cute normale o cicatriziale. Si osserva altresì che nelle cicatrici<br />

ipertrofiche le fibre collagene sono accorciate e sono <strong>di</strong>sposte in modo ondulato.<br />

I cheloi<strong>di</strong> sono sempre meno organizzati e presentano larghe e irregolari fibre<br />

collagene e ridotta <strong>di</strong>stanza interfibrillare. Il nodulo <strong>di</strong> collagene è assente nelle<br />

cicatrici mature, ma è presente nelle cicatrici ipertrofiche e nei cheloi<strong>di</strong>, contiene<br />

un’ alta densità <strong>di</strong> fibroblasti e le fibrille del collagene sono uni<strong>di</strong>rezionali ed<br />

estremamente orientate. Biochimicamente si osservano marcate <strong>di</strong>fferenze tra la<br />

39


Cicatrici patologiche<br />

cute normale, la cicatrice matura e la cicatrice anomala, infatti la sintesi del<br />

collagene è 3 volte maggiore nei cheloi<strong>di</strong> che nelle cicatrici ipertrofiche e 20 volte<br />

nei cheloi<strong>di</strong> rispetto alla cute normale. La quantità <strong>di</strong> collagene solubile è aumentata<br />

anche nei cheloi<strong>di</strong> ed è in<strong>di</strong>cativo l’aumento della sintesi <strong>di</strong> collagene e l’aumentata<br />

degradazione o riduzione del legame crociato. Le cicatrici mature hanno un<br />

contenuto più alto <strong>di</strong> collagene <strong>di</strong> quello che si trova nei cheloi<strong>di</strong>. L’attività della<br />

collagenasi è 14 volte più grande nei cheloi<strong>di</strong> che nella cicatrice normale mentre<br />

nella cicatrice ipertrofica è aumentata <strong>di</strong> 4 volte rispetto alla cute normale. C’è<br />

inoltre nel siero della cicatrice anomala una <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> inibitori della proteinasi<br />

(α1 antitripsina e α2 macroglobulina) che contribuiscono ad un aumento della<br />

deposizione <strong>di</strong> collagene sia nei cheloi<strong>di</strong> che nelle cicatrici ipertrofiche. La<br />

valutazione biochimica della matrice extracellulare in<strong>di</strong>ca un aumento della<br />

fibronectina e acido ialuronico nei pazienti con cicatrizzazione anomala rispetto a<br />

quelli con cute normale. Il tipo <strong>di</strong> collagene presente è anch’esso <strong>di</strong>verso nei pazienti<br />

con cicatrizzazione anomala. Il tessuto cheloideo contiene il 32% <strong>di</strong> collagene tipo III<br />

rispetto al collagene <strong>di</strong> tipo normale. Il collagene <strong>di</strong> tipo II ha un legame crociato<br />

immaturo, il che in<strong>di</strong>ca un processo patologico durante il quale la matrice<br />

extracellulare non matura e perciò non raggiunge una stabilità normale. L’influenza<br />

del fattore della crescita sulla cicatrice abnorme è fino ad ora poco chiara. Una<br />

cicatrice ipertrofica con seguente a proliferazione fibroblastica riduce la risposta all’<br />

EGF ma non al TNF-α o PDGF. Diversamente dai fibroblasti normali quelli delle<br />

cicatrici ipertrofiche <strong>di</strong>mostrano <strong>di</strong> non aumentare la sintesi del collagene quando<br />

sono influenzati dal TGF-β. La miglior terapia dei cheloi<strong>di</strong> e delle cicatrici<br />

ipertrofiche resta poco chiara e <strong>di</strong> non facile scelta. L’escissione chirurgica da sola<br />

comporta un’altissima percentuale <strong>di</strong> reci<strong>di</strong>ve e deve essere preceduta o seguita da<br />

irra<strong>di</strong>azione e/o somministrazione intralesionale <strong>di</strong><br />

steroi<strong>di</strong>. Il trattamento non chirurgico dei cheloi<strong>di</strong><br />

può essere sud<strong>di</strong>viso in due gruppi maggiori: fisico e<br />

farmacologico. Tra gli esempi <strong>di</strong> trattamento fisico si<br />

annoverano la ra<strong>di</strong>oterapia, gli ultrasuoni la<br />

crioterapia, la pressoterapia, la laserterapia e la<br />

pressoterapia protratta per 4-6 mesi. I protocolli farmacologici sono <strong>di</strong>versi ma quelli<br />

usati maggiormente sono gli steroi<strong>di</strong> per via intralesionale, la penicillamina, l’acido<br />

retinoico, il destrano solfato, agenti antineoplastici, strisce adesive <strong>di</strong> zinco e gel <strong>di</strong><br />

silicone, l’interferone γ (nelle cicatrici ipertrofiche) l’interferone-α (nei cheloi<strong>di</strong>).<br />

40


Innesti o trapianti<br />

Classificazione<br />

Innesti e lembi<br />

INNESTI E LEMBI<br />

Gli innesti <strong>di</strong> tessuti possono essere classificati in base:<br />

1. al rapporto esistente tra donatore e ospite;<br />

2. in rapporto alla sede <strong>di</strong> impianto rispetto alla sede <strong>di</strong> origine;<br />

3. rispetto alle modalità tecniche adottate per l'esecuzione chirurgica del trapianto.<br />

1) Dal rapporto esistente tra donatore e ospite risultano:<br />

a) trapianto autologo, o autotrapianto. Il trapianto è un lembo <strong>di</strong> tessuto trasferito<br />

da una se de all'altra dello stesso organismo, per cui donatore e ricevente sono la<br />

stessa persona. Esempio <strong>di</strong> trapianto autologo può essere dato da un lembo <strong>di</strong> cute<br />

prelevato dalle cosce o dall'addome e trapiantato sul viso o sul le mani dello stesso<br />

paziente. Altro esempio è rappresentato da segmenti ten<strong>di</strong>nei prelevati dal campo<br />

degli estensori dei pie<strong>di</strong> e trapiantati in funzione <strong>di</strong> flessori delle mani; altro ancora,<br />

un frammento osseo prelevato dalla tibia o dalla spina iliaca antero-superiore e<br />

trapiantato nelle mani o sul volto.<br />

b)trapianto omologo: lembo <strong>di</strong> tessuto trasferito da un in<strong>di</strong>viduo all'altro della stessa<br />

specie (fra uomo e uomo, fra ratto e ratto, fra cane e cane). Esempio <strong>di</strong> trapianto<br />

omologo: lembi cutanei donati dalla madre al figlio a copertura <strong>di</strong> aree <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione<br />

cutanea o lembi <strong>di</strong> cute <strong>di</strong> cadavere utilizzati allo stesso scopo nei gran<strong>di</strong> ustionati.<br />

Tipico esempio <strong>di</strong> trapianto omologo è rappresentato dai trapianti corneali.<br />

Sempre nel campo degli omoinnesti, il <strong>di</strong>verso grado <strong>di</strong> vicinanza ge<strong>net</strong>ica esistente<br />

tra donatore e ospite della stessa specie, trova una più precisa classificazione:<br />

trapianto singinesico in<strong>di</strong>ca il tessuto trasferito tra <strong>di</strong>retti consanguinei (da padre o<br />

madre a figlio, per esempio, e viceversa); isotrapianti corrispondono a tessuti<br />

scambiati tra in<strong>di</strong>vidui consanguinei che, in seguito a prolungate ibridazioni, hanno<br />

raggiunto un alto grado <strong>di</strong> uniformità ge<strong>net</strong>ica; trapianti isoistogenici sono lembi <strong>di</strong><br />

tessuto scambiati tra in<strong>di</strong>vidui consanguinei che hanno raggiunto attraverso<br />

l'ibridazione una completa identità nella qualità, numero e <strong>di</strong>stribuzione dei singoli<br />

elementi ge<strong>net</strong>ici. Negli animali risultanti isoistogenici fra <strong>di</strong> loro l'unico elemento<br />

<strong>di</strong>fferenziale è rappresentato dal cromosoma sessuale Y. Non vengono compresi fra<br />

gli omologhi i trapianti scambiati tra gemelli monovulari, perchè risultano dalla<br />

sud<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> un unico ovocita, pur trattandosi <strong>di</strong> due <strong>di</strong>stinti in<strong>di</strong>vidui.<br />

41


Innesti e lembi<br />

c) Trapianto eterologo: tessuto trasferito da un in<strong>di</strong>viduo all'altro <strong>di</strong> specie <strong>di</strong>versa.<br />

2) La classificazione risultante dalla posizione originaria del trapianto rispetto alla<br />

sede in cui viene trasferito è la seguente:<br />

a) Trapianto isotopico: tessuto trasferito da una sede ad un'altra topograficamente<br />

coincidente. E' un trapianto autologo isotopico un frammento osseo prelevato dalla<br />

tibia <strong>di</strong> una gamba e trasferito nella identica posizione dell'arto controlaterale.<br />

b)Trapianto ortotopico: tessuto trasferito nella sede anatomica naturale senza che<br />

l'area donatrice coincida necessariamente con quella ricevente.<br />

Si definisce trapianto ortotopico un lembo cutaneo prelevato dall'addome e trasferito<br />

sulle mani o sul volto, o un segmento del nervo surale posto nella soluzione <strong>di</strong><br />

continuo del nervo me<strong>di</strong>ano.<br />

c)Trapianti eterotopici vengono definiti quei tessuti trasferiti in una posizione<br />

anomala rispetto alla loro originale sede anatomica. Trapianti autologhi eterotopici<br />

sono, per esempio, lembi <strong>di</strong> cute trasferiti a riparare soluzioni <strong>di</strong> continuo <strong>di</strong> mucosa<br />

o frammenti <strong>di</strong> osso o <strong>di</strong> cartilagine trasferiti a scopo <strong>di</strong> sostegno in una sede dove<br />

normalmente cartilagine od osso non esistono.<br />

3) L'utilizzazione clinica riconosce <strong>di</strong>verse modalità <strong>di</strong> esecuzione chirurgica dei<br />

trapianti.<br />

Si definiscono trapianti liberi quei tessuti cutanei (o ten<strong>di</strong>nei, nervosi, cartilaginei,<br />

ossei, fasciali, <strong>di</strong> grasso, ecc.) che vengono completamente staccati dal territorio <strong>di</strong><br />

origine e trapiantati liberamente in altra sede. Trapianti peduncolati sono quei<br />

tessuti cutanei - includenti anche il grasso sottocutaneo - che vengono trasferiti da<br />

una sede all'altra imme<strong>di</strong>atamente a<strong>di</strong>acente dello stesso organismo me<strong>di</strong>ante<br />

l'ausilio <strong>di</strong> un peduncolo nutritivo che ne assicura una sufficiente irrorazione fino al<br />

definitivo attecchimento nella nuova sede <strong>di</strong> impianto. Trapianti peduncolati<br />

tubolizzati sono quei tessuti cutanei provvisti <strong>di</strong> grasso sottocutaneo che, grazie a<br />

particolari accorgimenti chirurgici vengono fatti lentamente migrare da una sede ad<br />

un'altra, anche molto lontana, dello stesso organismo, acquisendo negli intervalli fra<br />

una <strong>di</strong>slocazione e l'altra nuovi, sufficienti peduncoli nutritivi. Fra i trapianti<br />

peduncolati viene inoltre inserito il trapianto vascolare (artery flap degli<br />

anglosassoni), rappresentato da un lembo cutaneo includente anche il tessuto<br />

sottocutaneo ricavato dall'area <strong>di</strong> irrorazione <strong>di</strong> una determinata arteria, che viene<br />

isolata col relativo vaso venoso al l'atto del prelievo del trapianto e spostata rispetto<br />

al suo orientamento originale per seguire il lembo cutaneo nel la sua nuova sede <strong>di</strong><br />

impianto. Per innesto cutaneo si intende un tratto <strong>di</strong> epidermide e derma <strong>di</strong><br />

grandezza e spessore variabili, che, avulso dalle connessioni vascolari con la sua zona<br />

42


Innesti e lembi<br />

<strong>di</strong> origine (area donatrice), viene trasferito ad altra area (ricevente), sede della<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza cutanea.<br />

Innesti <strong>di</strong> cute<br />

Per innesto cutaneo si intende un tratto <strong>di</strong> epidermide e derma <strong>di</strong> grandezza e<br />

spessore variabili, che, avulso dalle connessioni vascolari con la sua zona <strong>di</strong> origine<br />

(area donatrice), viene trasferito ad altra area (ricevente), sede della per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

sostanza cutanea. (Fig.1)<br />

Fig.1 Tecnica <strong>di</strong> prelievo cutaneo con il<br />

dermotomo manuale<br />

Gli innesti <strong>di</strong> cute si definiscono:<br />

autologhi (il donatore è il paziente stesso);<br />

omologhi (il donatore appartiene alla stessa specie);<br />

eterologhi (il donatore appartiene ad una specie <strong>di</strong>versa).<br />

Nell’ambito degli innesti autologhi si <strong>di</strong>stinguono innesti sottili, <strong>di</strong> me<strong>di</strong>o spessore o<br />

spessi e innesti <strong>di</strong> cute totale. (Fig.2)<br />

I primi comprendono nel prelievo, oltre all’epidermide, il solo derma papillare<br />

(trapianto dermo-epidermico a 1/3 <strong>di</strong> spessore) o il derma papillare e parte del<br />

derma reticolare o ad<strong>di</strong>rittura gran parte <strong>di</strong> quest’ultimo (trapianto dermo-<br />

epidermico a 2/3 <strong>di</strong> spessore). Gli innesti <strong>di</strong> cute totale, invece, prevedono nella loro<br />

compagine lo strato epidermico ed il derma in toto fino all’ipoderma.<br />

L’attecchimento <strong>di</strong> un innesto cutaneo si realizza in tre fasi:<br />

a) fase <strong>di</strong> inbibizione plasmatica, che è tipica delle prime 24-36 ore, nella quale la<br />

nutrizione del trapianto avviene a spese della trasudazione plasmatica dei capillari<br />

dell’area ricevente. In questa fase il colorito dell’innesto appare pallido.<br />

b) fase <strong>di</strong> rivascolarizzazione: a partire dalla terza giornata si creano anastomosi va<br />

scolari tra il letto ricevente e il trapianto per la migrazione <strong>di</strong> gettoni <strong>di</strong> angioblasti<br />

43<br />

Fig.2: Spessore degli innesti <strong>di</strong> cute


Innesti e lembi<br />

che avanzano con sempre maggior facilità nei vasi dell’innesto. In questa fase il<br />

colorito del trapianto è roseo.<br />

c) fase <strong>di</strong> organizzazione: a partire dal 4°-5° giorno lo strato <strong>di</strong> fibrina e leucociti<br />

che separa letto ricevente ed innesto viene invaso dai fibroblasti. Saranno questi<br />

elementi del tessuto con<strong>net</strong>tivo i responsabili della minore o maggiore retrazione<br />

cicatriziale successiva. Il colorito dell’innesto in questa fase e nel periodo seguente<br />

si presenta ancora roseo, tendente nel tempo ad assumere un aspetto simile alla cute<br />

circostante. È evidente che gli innesti sottili attecchiscono più facilmente <strong>di</strong> quelli<br />

spessi o <strong>di</strong> cute totale: ciò è dovuto al fatto che tali innesti sono in grado <strong>di</strong><br />

sopravvivere meglio alla prima fase <strong>di</strong> imbibizione plasmatica, e che quin<strong>di</strong> anche la<br />

seconda fase, quella della rivascolarizzazione, può completarsi più rapidamente. Gli<br />

innesti cutanei rappresentano il metodo più largamente in uso per la copertura <strong>di</strong><br />

aree cruente <strong>di</strong> una certa <strong>di</strong>mensione, esiti <strong>di</strong> traumi o <strong>di</strong> ustioni, o come imme<strong>di</strong>ata<br />

correzione <strong>di</strong> deficit tegumentari susseguenti alla exeresi <strong>di</strong> neoplasie cutanee. Il<br />

loro impiego è altresì utile ed, a volte, in<strong>di</strong>spensabile, nella correzione <strong>di</strong> aree<br />

cicatriziali o in caso <strong>di</strong> cicatrici retraenti, soprattutto a livello delle superfici<br />

articolari. Si utilizzano generalmente innesti cutanei <strong>di</strong> spessore sottile o me<strong>di</strong>o nei<br />

casi in cui la copertura rappresenta una necessità imme<strong>di</strong>ata; esempio tipico è<br />

rappresentato dalle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza cutanea post-traumatiche, laddove si è in<br />

presenza <strong>di</strong> un letto ricevente non sufficientemente deterso, e quin<strong>di</strong><br />

l’attecchimento <strong>di</strong> un trapianto <strong>di</strong> spessore maggiore <strong>di</strong>verrebbe insicuro. Altri casi<br />

sono rappresentati dalla copertura <strong>di</strong> piaghe o ulcere torpide, al solo scopo <strong>di</strong><br />

favorire o completare la sterilizzazione della lesione (uso temporaneo). Questo tipo<br />

<strong>di</strong> innesti cutanei viene prelevato facendo uso <strong>di</strong> una meto<strong>di</strong>ca chirurgica<br />

estremamente semplice, potendo <strong>di</strong>sporre de gli strumenti idonei. Le aree donatrici<br />

possono essere le più svariate, ma si preferisce per evidenti ragioni estetiche dare la<br />

priorità alle zone del corpo meno visibili, o meglio più facilmente occultabili. Dette<br />

aree sono le regioni glutee e le superfici anteriori e posteriori delle cosce.<br />

L’innesto <strong>di</strong> cute totale comprende l’intero spessore della cute. A causa del suo<br />

spessore, questo tipo <strong>di</strong> trapianto cutaneo, è più lentamente rivascolarizzato,<br />

rispetto agli innesti sottili o me<strong>di</strong>, e richiede quin<strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni ottimali, quali un<br />

adeguato apporto ematico e una totale immobilizzazione. Rispetto agli innesti sottili,<br />

la cute totale presenta peraltro <strong>di</strong>versi vantaggi:<br />

a) ha minor tendenza alla retrazione, soprattutto quando è trapiantato in un’area<br />

dove è notevole la presenza <strong>di</strong> tessuto mobile e morbido, quali il viso, il collo, le<br />

ascelle;<br />

44


Innesti e lembi<br />

b) ha minore tendenza alla iperpigmentazione;<br />

c) la copertura è, dal punto <strong>di</strong> vista funzionale, migliore.<br />

L’innesto a tutto spessore viene generalmente impiegato per la definitiva copertura,<br />

per esempio, <strong>di</strong> una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza del viso, laddove si ritiene <strong>di</strong> poter ottenere<br />

un risultato estetico migliore rispetto all’uso <strong>di</strong> un lembo <strong>di</strong> vicinanza, oppure<br />

quando ciò non è possibile o facilmente realizzabile. Questi tipi <strong>di</strong> trapianto offrono<br />

la soluzione ideale per la ricostruzione, per esempio, delle palpebre, dove la<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> tessitura e colore è praticamente in<strong>di</strong>stinguibile. Altra in<strong>di</strong>cazione<br />

estremamente importante è rappresentata dalla copertura <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetti residuati dalla<br />

escissione <strong>di</strong> neoplasie cutanee, in particolare quelle situate nel <strong>di</strong>stretto cefalico.<br />

Le cause principali <strong>di</strong> fallimento <strong>di</strong> questa meto<strong>di</strong>ca sono rappresentate da:<br />

a) Ematoma;<br />

b)Fattori meccanici esterni (insufficiente immobilizzazione ed improprio bendaggio);<br />

c) Necrosi del letto ricevente (è sconsigliabile apporre un innesto <strong>di</strong>rettamente sul<br />

tessuto a<strong>di</strong>poso, in quanto questo è assai povero <strong>di</strong> vasi);<br />

d) Infezione.<br />

L'area cruentata dal prelievo <strong>di</strong> un lembo epidermico ripara spontaneamente nello<br />

spazio <strong>di</strong> 8-10 giorni, grazie ad una rapida proliferazione dell'epitelio partente dai<br />

lumi delle ghiandole sudoripare e sebacee e dai margini della lesione. La stessa area<br />

donatrice può essere utilizzata per un successivo prelievo a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tre settimane<br />

dal primo. Un tempo analogo è necessario per la guarigione <strong>di</strong> un'area sottoposta al<br />

prelievo <strong>di</strong> un trapianto a 1/3 <strong>di</strong> spessore. Anche in questo caso è possibile<br />

riutilizzare l'area donatrice a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> un mese circa per un successivo prelievo e<br />

ciò si spiega con la <strong>di</strong>minuzione nel numero dei lumi ghiandolari che si incontrano<br />

negli strati più profon<strong>di</strong> del derma. Non raramente la guarigione <strong>di</strong> queste aree<br />

donatrici si verifica con la partecipazione <strong>di</strong> processi con<strong>net</strong>tivali che tendono a<br />

lasciare qualche esito cicatriziale. Le aree scelte per il prelievo <strong>di</strong> un trapianto<br />

cutaneo a tutto spessore guariscono, in rapporto alla loro estensione, me<strong>di</strong>ante<br />

l'affrontamento e la sutura <strong>di</strong>retta dei margini; quando ciò non sia possibile me<strong>di</strong>ante<br />

il trasferimento <strong>di</strong> un trapianto libero a mezzo spessore prelevato in altra sede.<br />

45


Innesto o trapianto <strong>di</strong> cute: (Fig.3)<br />

a: per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza<br />

b: prelievo da area donatrice<br />

c: posizionamento e fissaggio<br />

d: me<strong>di</strong>cazione<br />

Innesti <strong>di</strong> cartilagine<br />

Innesti e lembi<br />

Tra i materiali <strong>di</strong> sostegno, la cartilagine è un tessuto che ben si presta ad essere<br />

utilizzato come innesto, qualora si voglia sfruttare le sue prerogative strutturali <strong>di</strong><br />

elasticità, flessibilità e resistenza.<br />

Tuttavia, mentre alcuni decenni ad<strong>di</strong>etro era considerata il miglior materiale per<br />

questo scopo, tanto che Gillies lo definiva come «impareggiabile» e Sanvenero<br />

Rosselli «il materiale <strong>di</strong> gran lunga più adatto»; progressivamente ha perso terreno;<br />

Sanvenero Rosselli, infatti, più tar<strong>di</strong> afferma che «<strong>di</strong>vide con l’osso il numero delle<br />

in<strong>di</strong>cazioni in fatto del miglior materiale da innestare».<br />

Attualmente, pur essendo ancora uno dei materiali più largamente usati dal chirurgo<br />

plastico, il suo impiego si è andato delimitando a precise in<strong>di</strong>cazioni cliniche nelle<br />

quali pur tuttavia è in grado <strong>di</strong> fornire sicuri risultati, sia morfologici che funzionali,<br />

restando in questi casi, insostituibile. Non tratteremo in questa sede della biologia<br />

generale <strong>di</strong> questo innesto né dei suoi vari tipi (omoinnesto, isoinnesto, eteroinnesto<br />

con cartilagine viva, con cartilagine morta) ma soltanto degli innesti autoplastici, gli<br />

unici che abbiano sino ad oggi una valida applicazione clinica secondo il criterio della<br />

«restaurazione biologica» in senso stretto; infatti se si vogliono realizzare con<strong>di</strong>zioni<br />

ottimali <strong>di</strong> successo, gli innesti cartilaginei dovranno essere autogeni e viventi ed il<br />

materiale <strong>di</strong> restauro dovrà non solo provenire dall’in<strong>di</strong>viduo che ne ha bisogno, ma<br />

anche avere la maggiore identità possibile con quello perduto o che si deve<br />

sostituire. Gli innesti <strong>di</strong> cartilagine omoplastica, per la loro particolare costituzione<br />

strutturale (cellule immerse nella sostanza fondamentale che le protegge dal<br />

contatto <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> eventuali cellule linfoi<strong>di</strong>), sopravvivono per molto tempo e più a<br />

lungo <strong>di</strong> altri omoinnesti (cute, osso, ecc.), e pertanto vengono utilizzati con una<br />

46<br />

Fig.3: Esecuzione tecnica <strong>di</strong> un innesto <strong>di</strong> cute


Innesti e lembi<br />

certa frequenza, data la facilità del loro prelievo (ad es. settorinoplastica<br />

correttiva), sia come omoinnesti freschi, sia come omoinnesti conservati e posti in<br />

frigorifero a 4 °C.<br />

La cartilagine è un particolare tessuto <strong>di</strong> origine mesenchimale costituito<br />

fondamentalmente da:<br />

a) sostanze intercellulari (matrice) che contengono fibre collagene ed eventualmente<br />

elastiche, immerse nella sostanza fondamentale, la quale oltre a sostanze proteiche<br />

non specifiche ed una proteina complessa specifica (il condroproteide) il cui gruppo<br />

prostetico (l’acido condroitinsolforico) è un polisaccaride solforato;<br />

b) elementi cellulari (condrociti), contenuti in numero <strong>di</strong> 1, 2, 3, 4, in particolari<br />

lacune della sostanza intercellulare, che costituiscono la cellula parenchimale<br />

cartilaginea, alla quale è legato il destino dell’innesto stesso.<br />

Caratteristica del tessuto cartilagineo è la completa assenza <strong>di</strong> vasi nel suo contesto,<br />

come si riscontra nella cornea e nell’epidermide; la sua nutrizione avviene<br />

unicamente per imbibizione me<strong>di</strong>ante scambi osmotici con l’ambiente che lo<br />

circonda: il pericondrio in con<strong>di</strong>zioni normali, l’area ricevente quando <strong>di</strong>venta<br />

innesto. La facilità <strong>di</strong> prelievo <strong>di</strong> questo innesto, la sua relativa abbondanza come<br />

materiale donatore, la possibilità <strong>di</strong> poter essere con facilità modellato nelle forme<br />

più <strong>di</strong>verse, la capacità <strong>di</strong> mantenere costante il suo volume originario, sono<br />

prerogative che lo rendono utile e talora insostituibile. L’innesto <strong>di</strong> cartilagine<br />

tuttavia non prende mai solida connessione organica con la nuova sede <strong>di</strong> impianto;<br />

altro svantaggio è che in breve tempo può subire fenomeni <strong>di</strong> torsione dal lato<br />

pericondrale e ciò può alterare in modo notevole un risultato inizialmente brillante.<br />

Il problema della torsione dell’innesto cartilagineo è stato recentemente stu<strong>di</strong>ato ed<br />

almeno in parte ne è stata fornita spiegazione assai atten<strong>di</strong>bile: nella cartilagine<br />

esisterebbero «forze interreagenti» che solo un evento traumatico metterebbe in<br />

evidenza; tali «forze intrinseche deformanti» determinerebbero la anomalia solo<br />

dopo che una lesione o un intervento chirurgico abbiano rotto l’equilibrio delle due<br />

superfici con formazione <strong>di</strong> zone <strong>di</strong> tensione e relativa compressione che tendono poi<br />

a perpetuare nel tempo la deformazione. Ottima procedura è quella <strong>di</strong> modellare<br />

l’innesto in maniera tale da contenere esattamente su ogni lato un eguale strato <strong>di</strong><br />

cartilagine sub-pericondrale. Mentre in tutte le varietà <strong>di</strong> cartilagine le cellule hanno<br />

caratteri pressoché uniformi, sia pur con <strong>di</strong>sposizione e densità <strong>di</strong>versa, la sostanza<br />

intercellulare si presenta con caratteri fisici e strutturali <strong>di</strong>versi. Si <strong>di</strong>stinguono così<br />

tre tipi <strong>di</strong> cartilagine a seconda della natura delle fibrille della sostanza<br />

fondamentale: cartilagine ialina, cartilagine elastica e cartilagine fibrosa.<br />

47


Innesti ossei<br />

Innesti e lembi<br />

L’osso è un tessuto con<strong>net</strong>tivo molto <strong>di</strong>fferenziato la cui caratteristica durezza è<br />

dovuta ai sali <strong>di</strong> calcio precipitati nella sostanza fondamentale interposta ad una<br />

densa matrice <strong>di</strong> fibre collagene. La parte esterna o corticale è formata da osso<br />

compatto, mentre la parte interna è rappresentata da uno spazio virtuale, la cavità<br />

midollare, riempita da midollo osseo e rivestita da una membrana vascolare,<br />

l’endostio. Fra questi due strati è compreso l’osso spugnoso caratterizzato da<br />

trabecole ossee intercalate a midollo. Esternamente l’osso è avvolto da una<br />

membrana fibrosa detta periostio. L’unità strutturale <strong>di</strong> base del tessuto osseo è<br />

l’osteone; è costituito da lamelle concentriche che circondano un canalicolo<br />

centrale, canale <strong>di</strong> Havers, nel quale sono presenti vasi sanguigni e fibrille nervose.<br />

Tra le lamelle esistono cavità ovali, le lacune, contenenti gli osteociti i cui<br />

prolungamenti protoplasmatici, attraverso i canalicoli si mettono in contatto con<br />

altri osteociti limitrofi. Gli osteociti prendono origine dagli osteoblasti situati nello<br />

strato profondo del periostio e dell’endostio. Gli osteoblasti assumono proprietà<br />

osteoformative durante lo sviluppo, l’accrescimento ed i processi <strong>di</strong> riparo del l’osso.<br />

La ricostruzione <strong>di</strong> per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza scheletriche me<strong>di</strong>ante innesti ossei è una<br />

pratica terapeutica frequente e <strong>di</strong> notevole importanza nella chirurgia ricostruttiva.<br />

Il successo <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> intervento è legato a fattori <strong>di</strong> carattere generale, buone<br />

con<strong>di</strong>zioni del paziente, scrupolosa osservazione dell’asepsi, atraumaticità<br />

nell’eseguire le varie manovre. Il processo <strong>di</strong> guarigione è legato soprattutto a fattori<br />

<strong>di</strong> carattere biologico: l’osso attecchisce nella nuova sede soltanto se l’innesto è<br />

autologo (autoinnesto), se cioè proviene dallo stesso in<strong>di</strong>viduo in cui viene innestato.<br />

L’innesto omologo (omoinnesto), effettuato con osso prelevato da altro in<strong>di</strong>viduo<br />

della stessa specie, è soggetto invece ad un processo <strong>di</strong> riassorbimento e viene<br />

progressivamente ma completamente sostituito da osso neoformato proveniente<br />

dall’ospite. L’innesto eterologo (eteroinnesto), è una pratica <strong>di</strong> rara applicazione in<br />

chirurgia ricostruttiva. L’esperienza clinica ha <strong>di</strong>mostrato che l’osso spugnoso<br />

presenta caratteristiche anatomoistologiche più favorevoli all’attecchimento rispetto<br />

all’osso corticale. L’osso spugnoso in fatti stabilisce entro pochi giorni anastomosi<br />

<strong>di</strong>rette con i vasi sanguigni dell’ospite; la sua particolare struttura e il suo<br />

metabolismo gli permettono <strong>di</strong> sopravvivere durante le prime ore, sfruttando<br />

l’imbibizione dei liqui<strong>di</strong> biologici dell’ospite stesso. In queste circostanze parte degli<br />

osteociti sopravvive e mantiene integra la matrice calcificata dell’innesto; gli<br />

osteoblasti riassumono le proprie capacità osteoformative e producono nuovo tessuto<br />

osseo necessario alla riparazione. Nello stesso tempo anche gli osteoblasti<br />

48


Innesti e lembi<br />

dell’ospite, al punto <strong>di</strong> contatto con l’innesto, entrano in attività e contribuiscono<br />

alla saldatura definitiva dell’osso trasferito nella nuova sede. Perché questi processi<br />

si svolgano in con<strong>di</strong>zioni ottimali è necessario che l’osso venga inserito nell’ospite a<br />

<strong>di</strong>retto contatto con tessuto osseo sano e ben vascolarizzato.<br />

L’osso corticale presenta caratteristiche anatomo-istologiche <strong>di</strong>verse e meno<br />

favorevoli all’attecchimento. Il deficit nutritizioiniziale dovuto alle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

stabilire comunicazioni con l’ospite provoca la morte <strong>di</strong> quasi tutte le cellule e<br />

l’innesto va incontro a rapido riassorbimento. Pertanto nella maggior parte dei casi<br />

viene utilizzato in blocco con l’osso spugnoso, cui conferisce la rigi<strong>di</strong>tà richiesta da<br />

alcune esigenze cliniche. Le zone donatrici utilizzate con maggior frequenza per i<br />

prelievi degli innesti sono la cresta iliaca e le coste.<br />

Innesti <strong>di</strong> ten<strong>di</strong>ne<br />

È necessario ricorrere all’innesto ten<strong>di</strong>neo ogni qualvolta non sia possibile unire le<br />

due estremità <strong>di</strong> un ten<strong>di</strong>ne precedentemente leso sia per un <strong>di</strong>fetto della sutura<br />

primaria sia per una mancata sutura primaria.<br />

L’innesto può essere:<br />

a) autologo;<br />

b) omologo liofilizzato;<br />

c) protesi ten<strong>di</strong>nee.<br />

a) L’innesto ten<strong>di</strong>neo autologo è quello prelevato dallo stesso in<strong>di</strong>viduo. E’ l’innesto<br />

più usato sia per le sue garanzie <strong>di</strong> attecchimento sia per le numerose fonti <strong>di</strong><br />

prelievo.<br />

b) L’innesto ten<strong>di</strong>neo omologo liofilizzato è un trapianto prelevato da soggetti della<br />

stessa specie e conservato. Il suo uso è limitato poiché i risultati sono generalmente<br />

scarsi ed il suo impiego non è giustificato se non in particolarissimi casi in cui non sia<br />

<strong>di</strong>sponibile altro materiale.<br />

c) E’ una protesi sostitutiva del ten<strong>di</strong>ne, costituita da materiale in silastic rinforzato<br />

nelle sue estremità <strong>di</strong>stali da metallo ancora in fase sperimentale.<br />

Le se<strong>di</strong> <strong>di</strong> prelievo per un innesto ten<strong>di</strong>neo sono:<br />

1) il ten<strong>di</strong>ne palmare superficiale;<br />

2) il ten<strong>di</strong>ne plantare gracile;<br />

3) i ten<strong>di</strong>ni estensori comuni delle <strong>di</strong>ta del piede;<br />

4) la parte prossimale del flessore superficiale delle <strong>di</strong>ta della mano.<br />

Qualunque sia la zona <strong>di</strong> prelievo dell’innesto ten<strong>di</strong>neo esso deve avere le seguenti<br />

caratteristiche:<br />

a) essere <strong>di</strong> lunghezza adeguata;<br />

49


) avere un calibro ridotto;<br />

c) essere privo <strong>di</strong> paratenon.<br />

Innesti e lembi<br />

a) E essenziale prima <strong>di</strong> procedere al prelievo <strong>di</strong> un innesto rendersi conto della<br />

lunghezza necessaria per colmare il gap tra i monconi del ten<strong>di</strong>ne leso. Se, ad<br />

esempio, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza andrà dalla regione volare del carpo alla estremità<br />

delle <strong>di</strong>ta lunghe, si renderà necessario un prelievo <strong>di</strong> pIantare gracile. Qualsiasi<br />

altra zona <strong>di</strong> prelievo non potrà sod<strong>di</strong>sfare le esigenze operatorie.<br />

b) Un innesto <strong>di</strong> notevole calibro non sarà certamente l’innesto ideale. Sapendo che<br />

la riabitazione e <strong>di</strong> conseguenza il rimaneggia mento biologico <strong>di</strong> un innesto ten<strong>di</strong>neo<br />

<strong>di</strong> pendono da fattori estrinseci ad esso, l’attecchimento sarà tanto più celere ed<br />

efficace quanto più rapida sarà la rivascolarizzazione dell’innesto. Un ten<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>e e <strong>di</strong> picco le <strong>di</strong>mensioni sarà <strong>di</strong> conseguenza l’innesto ideale.<br />

c) La presenza o l’assenza del paratenon con<strong>di</strong>zionano la sopravvivenza funzionale<br />

del trapianto stesso.<br />

Innesti dermo-a<strong>di</strong>posi<br />

Gli innesti dermo-a<strong>di</strong>posi sono utilizzati come materiale biologico <strong>di</strong> imbottitura e <strong>di</strong><br />

sostegno nelle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza sottostanti al piano cutaneo (sottocutaneo,<br />

muscolare, scheletrico) e nella riparazione <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>fetti congeniti, (atrofia<br />

congenita della faccia), nel deficit volumetrico congenito o acquisito del seno, così<br />

pure negli esiti <strong>di</strong> lesioni complesse traumatiche del viso nelle quali si siano<br />

evidenziate depressioni isolate o <strong>di</strong>ffuse che alterano la morfologia del viso. Gli<br />

innesti dermo-a<strong>di</strong>posi, dopo il trasferimento, vanno incontro a mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

determinate dal riassorbimento <strong>di</strong> circa la metà del volume e del peso iniziale:<br />

mentre infatti una parte del tessuto sottocutaneo innestato si mantiene inalterata, la<br />

rimanente, in misura percentualmente variabile, va incontro ad atrofia ed a processi<br />

regressivi e viene sostituita da tessuto con<strong>net</strong>tivale fibroso, la cui funzione <strong>di</strong><br />

sostegno risulta clinicamente parimenti apprezzabile. E stato anche osservato che il<br />

riassorbimento è minore se l’innesto <strong>di</strong> grasso viene prelevato in blocco<br />

comprendendo in superficie il derma e in profon<strong>di</strong>tà lo strato aponeurotico (innesto<br />

composito). In base a questi dati, nel formulare un piano terapeutico bisogna tenere<br />

presente <strong>di</strong> prevedere <strong>di</strong> ipercorreggere il <strong>di</strong>fetto e prelevare quin<strong>di</strong> una quantità <strong>di</strong><br />

tessuto superiore al fabbisogno reale del 30%. Il tessuto a<strong>di</strong>poso, come è noto,<br />

presenta <strong>di</strong>versità morfologiche regionali: le zone donatrici tipiche sono la regione<br />

addominale e quella glutea, ma è preferibile quest’ultima in quanto offre maggior<br />

superficie ed inoltre rimane sempre meno esposta. L’intervento deve essere<br />

praticato con manovre atraumatiche e in assoluta asepsi: l’infezione provocherebbe,<br />

50


Innesti e lembi<br />

infatti, una liponecrosi nel periodo particolare della fase dell’attecchimento, con<br />

grave pregiu<strong>di</strong>zio del risultato.<br />

Innesti <strong>di</strong> fascia.<br />

La fascia aponeurotica rappresenta un prezioso materiale biologico per la sua<br />

caratteristica resistenza e robustezza. E stato <strong>di</strong>mostrato che la fascia innestata<br />

attecchisce per la sua maggior parte, ben si adatta alle sollecitazioni meccaniche<br />

nella nuova sede ed è estremamente resistente alle infezioni. Numerose sono le<br />

con<strong>di</strong>zioni patologiche nelle quali è utilizzata con successo: laparoceli postoperatori,<br />

fistole della trachea o dell’esofago, per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza del <strong>di</strong>aframma o delle<br />

meningi, ernie muscolari, paralisi del nervo faciale, ptosi palpebrale, lesioni<br />

ten<strong>di</strong>nee, artroplastiche.<br />

I lembi<br />

Definizione<br />

Con il termine <strong>di</strong> lembo si intende un artifizio chirurgico che prevede l’allestimento<br />

<strong>di</strong> porzioni <strong>di</strong> tessuto (singolo o composto) che viene trasferito da una sede ad<br />

un'altra del corpo dello stesso in<strong>di</strong>viduo conservando un peduncolo nutritizio con la<br />

sede del prelievo: il peduncolo sarà permanente (lembo allestito nella imme<strong>di</strong>ata<br />

prossimità della zona in cui verrà trasferito) o temporaneo (lembo trasferito in più<br />

tempi ad una zona lontana a quella <strong>di</strong> prelievo). Le con<strong>di</strong>zioni per il buon esito nel<br />

trasferimento <strong>di</strong> un lembo peduncolato sono le seguenti:<br />

- un peduncolo vascolare tale da garantire un sufficiente afflusso <strong>di</strong> sangue<br />

arterioso ed un agevole deflusso <strong>di</strong> quello venoso (è molto più frequente la necrosi <strong>di</strong><br />

un lembo per <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> circolazione reflua -congestione- che non per insufficiente<br />

apporto <strong>di</strong> sangue arterioso);<br />

- la forma e le <strong>di</strong>mensioni proporzionate a quelle del suo peduncolo (la lunghezza<br />

del lembo non deve essere superiore alla larghezza).<br />

Lembi cutanei <strong>di</strong> vicinanza<br />

Essi vengono scolpiti sulla cute contigua alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza da ricoprire ed<br />

hanno come caratteristica comune il fatto che il loro peduncolo non verrà reciso<br />

dopo il trasferimento ma rimarrà definitivamente a far parte della nuova situazione.<br />

Classicamente si <strong>di</strong>stinguono:<br />

lembi <strong>di</strong> scorrimento (Fig.4);<br />

lembi <strong>di</strong> avanzamento (Fig.5);<br />

lembi <strong>di</strong> rotazione (Fig.6);<br />

lembi <strong>di</strong> trasposizione (Fig.7).<br />

Fig.4: Lembo <strong>di</strong> scorrimento<br />

51


Fig.5: Lembi <strong>di</strong> avanzamento<br />

Fig. 6: Lembo <strong>di</strong> rotazione<br />

Lembi cutanei a <strong>di</strong>stanza<br />

Innesti e lembi<br />

Quando si rende necessario ricoprire una deficit cutaneo in una zona dove per ragioni<br />

anatomiche sia interdetto l'uso <strong>di</strong> un lembo locale, è possibile ricorrere ad un lembo<br />

allestito in una zona donatrice <strong>di</strong>versa. La selezione dell'area donatrice viene fatta<br />

tenendo presente da una parte la qualità (colore, spessore, tessitura) della pelle <strong>di</strong><br />

cui si ha bisogno, dall'altra l'opportunità <strong>di</strong> scegliere un metodo <strong>di</strong> trasferimento che<br />

comporti il minor numero possibile <strong>di</strong> tempi chirurgici ed il minor danno per il<br />

paziente. I lembi <strong>di</strong> lontananza possono essere <strong>di</strong>stinti in <strong>di</strong>retti ed in<strong>di</strong>retti, a<br />

seconda che le con<strong>di</strong>zioni anatomiche consentano o meno <strong>di</strong> avvicinare tra <strong>di</strong> loro la<br />

zona ricevente e donatrice. Nel primo caso il lembo viene allestito e parzialmente<br />

trasferito sulla zona ricevente, alla quale, in un secondo tempo, avvenuto<br />

l'attecchimento delle parti connesse, sezionato il peduncolo verrà completamente<br />

fissato e modellato secondo le necessità. I lembi in<strong>di</strong>retti sono costituiti per la<br />

maggior parte dai lembi tubulati. L'allestimento <strong>di</strong> un lembo tubulato deve obbe<strong>di</strong>re<br />

a regole precise, venendo meno alle quali si andrebbe incontro più o meno<br />

fatalmente a <strong>di</strong>sturbi trofici. In primo luogo la regione sulla quale si intende<br />

preparare un lembo tubulato dovrà possedere una cute priva <strong>di</strong> cicatrici o <strong>di</strong> altre<br />

con<strong>di</strong>zioni patologiche. La regione prescelta dovrà essere libera da pressioni fortuite<br />

e non dovrà far parte delle superfici <strong>di</strong> decubito nelle posizioni naturali. Ancora la<br />

52<br />

Fig. 7: Lembi <strong>di</strong> trasposizione


Innesti e lembi<br />

costruzione del lembo non dovrà attraversare confini naturali <strong>di</strong> aree <strong>di</strong><br />

vascolarizzazione, quali la linea alba addominale o la linea inguino-crurale.<br />

Lembi biologici<br />

Una menzione a parte meritano i cosiddetti «lembi biologici» che sono quelli in cui<br />

nel peduncolo è presente un gruppo vascolare formato da una arteria <strong>di</strong>retta cutanea<br />

ad andamento assiale accompagnata da una o più vene. Questo gruppo vascolare può<br />

essere coperto dal peduncolo cutaneo, e in tal caso il lembo assume il nome <strong>di</strong><br />

peninsulare, oppure, me<strong>di</strong>ante preparazione anatomica del gruppo vascolare può<br />

trasformarsi in lembo ad isola. Nel primo caso il peduncolo cutaneo-vascolare può<br />

restare così fatto o subire un trattamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sepitelizzazione che ne consente il<br />

trasferimento nella sede <strong>di</strong> utilizzazione passando sotto un ponte cutaneo. Viceversa<br />

esso può essere tubulizztto temporaneamente costituendo un tramite aereo che<br />

verrà successivamente eliminato ad attecchimento avvenuto della parte utile.<br />

Ovviamente il principale vantaggio dei lembi biologici, noti anche come lembi<br />

arterializzati, consiste nell'affrancamento, salvo casi particolari, dalla necessità della<br />

autonomizzazione.<br />

Lembi miocutanei<br />

L'applicazione clinica dei lembi miocutanei ha fatto segnare un notevole passo avanti<br />

a tutta la chirurgia ricostruttiva poiché ha permesso il superamento <strong>di</strong> vincoli<br />

<strong>di</strong>mensionali e temporali legati ai lembi solo cutanei. I vantaggi <strong>di</strong> questi lembi sono<br />

dovuti alla possibilità <strong>di</strong> utilizzare isole cutanee <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, <strong>di</strong> spessore<br />

notevole e <strong>di</strong> una mobilità pressoché assoluta (rotazioni sul peduncolo fino a 180° in<br />

tutte le <strong>di</strong>rezioni). Tuttavia, l'uso dei lembi miocutanei non deve essere<br />

in<strong>di</strong>scriminato, poiché ai fattori positivi deve venir contrapposto il grave svantaggio<br />

costituito dalla <strong>di</strong>sinserzione <strong>di</strong> un muscolo scheletrico. La scelta del lembo deve<br />

essere preceduta da una valutazione accurata dei motivi a favore e a sfavore,<br />

essendo sempre pronti a rinunciare al suo trasferimento se si vede una soluzione<br />

chirurgica meno lesiva. La notevole varietà dei sistemi vascolari della cute è formata<br />

dalle arterie cutanee pure che giungono al sottocute e al plesso della fascia<br />

superficiale contribuendo al rifornimento del plesso dermico (ad es. arteria<br />

epigastrica superficiale) e dalle arterie miste che, originando dal peduncolo<br />

vascolare <strong>di</strong> un muscolo, si portano ai plessi cutanei (ad es: arterie provenienti dalle<br />

intercostali). Infine, vi sono le arterie miocutanee <strong>di</strong>rette ed in<strong>di</strong>rette che, a<br />

partenza dal peduncolo vascolare del muscolo, perforano la fascia e si <strong>di</strong>rigono verso<br />

la cute anastomizzandosi con i plessi che incontrano. Per questo motivo, anche dopo<br />

interruzione dei vasi cutanei propriamente detti, si può avere la completa<br />

53


Innesti e lembi<br />

sopravvivenza della cute in quanto più che sufficientemente nutrita dai vasi<br />

perforanti miofasciali. In tal modo si sono potuti in<strong>di</strong>viduare sulla superficie corporea<br />

tanti <strong>di</strong>stretti autonomi quante sono le zone anatomiche in cui si possa reperire un<br />

muscolo in sede imme<strong>di</strong>atamente sottocutanea. Tali <strong>di</strong>stretti, le isole miocutanee,<br />

traggono quin<strong>di</strong> nutrimento dal peduncolo vascolo-nervoso del muscolo che offre un<br />

sufficiente apporto sanguigno e neurotrofìco alla massa cutanea sovrastante.<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. sternocleidomastoideo<br />

Le regioni che possono essere raggiunte con il trasferimento <strong>di</strong> questo lembo<br />

corrispondono alla metà omolaterale della regione cefalica (emifaccia, collo e nuca).<br />

E’ inoltre, possibile ricostruire per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza ossea della man<strong>di</strong>bola con il<br />

trasferimento <strong>di</strong> un segmento <strong>di</strong> clavicola insieme al lembo. Le controin<strong>di</strong>cazioni<br />

all'uso <strong>di</strong> questo lembo sono legate all'eventuale presenza <strong>di</strong> metastasi dei linfono<strong>di</strong><br />

laterocervicali e retrosternomastoidei, al sospetto che precedenti interventi<br />

chirurgici sul collo abbiano compromesso le connessioni vascolari fra la componente<br />

fasciomuscolare e la cute, alla presenza <strong>di</strong> patologie a carico della tiroide o <strong>di</strong> altri<br />

organi con sede nel collo, al torcicollo congenito o a facilità a mialgie reumatiche del<br />

muscolo.<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. grande pettorale<br />

Il muscolo gran pettorale può fornire un lembo cutaneo <strong>di</strong> vasta estensione (circa 15<br />

x 25 nell'adulto normotipo) atto a coperture e ricostruzioni <strong>di</strong> buona parte della<br />

parete toracica anteriore e posteriore, <strong>di</strong> tutta la regione cervico-facciale ed<br />

endorale. Le controin<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> questo lembo sono rappresentate dal suo più<br />

limitato uso in pazienti <strong>di</strong> sesso femminile (minor superficie cutanea utilizzabile a<br />

causa della mammella e cicatrici deturpanti in tale sede). (Fig.8)<br />

Fig. 8: Lembo miocutaneo<br />

54


Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. trapezio<br />

Innesti e lembi<br />

La duplice <strong>di</strong>sposizione anatomica sia dei fasci muscolari del trapezio sia dei suoi<br />

peduncoli vascolari permette ricoperture <strong>di</strong> notevole estensione in tutte le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong><br />

sostanza del capo, del collo ed endorali. Le controin<strong>di</strong>cazioni sono dovute al fatto<br />

che, vista l'importanza della muscolatura, esso non deve essere <strong>di</strong>sinserito in pazienti<br />

in giovane età per evitare compromissioni nello sviluppo della colonna vertebrale.<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. gran dorsale<br />

Il lembo miocutaneo <strong>di</strong> muscolo gran dorsale può essere considerato uno dei più<br />

versatili e duttili che il corpo umano possa offrire: infatti, sia come lembo ad isola<br />

sia in toto, può essere utilizzato nelle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza del volto, della regione<br />

temporo-auricolare, nucale ed occipitale; della regione endorale, della regione<br />

cervicale anteriore e man<strong>di</strong>bolare; della spalla e del braccio omolaterali. Inoltre,<br />

assume una grande importanza nelle ricostruzioni mammarie imme<strong>di</strong>ate o a <strong>di</strong>stanza<br />

dopo mastectomia. Infine, può essere utilizzato nelle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza della<br />

regione ascellare ed epigastrica omolaterali. L'ultima in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> tale lembo è<br />

data dalla possibilità <strong>di</strong> correzione del linfedema postmastectomia del braccio per<br />

mezzo <strong>di</strong> uno scarico me<strong>di</strong>ato dalle fibre muscolari (Bocca, 1980).<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. grande gluteo<br />

Si tratta <strong>di</strong> un doppio lembo, che può essere trasferito su un peduncolo sia superiore<br />

sia inferiore. Le sue in<strong>di</strong>cazioni sono date da tutte le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza (decubiti,<br />

traumi, ra<strong>di</strong>onecrosi, ecc.) della regione sacrale, ischiatica e trocanterica.<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. tensore della fascia lata<br />

Il lembo miocutaneo <strong>di</strong> tensore della fascia lata consente copertura delle regioni<br />

dell'anca, ipogastrica, perineale e sovrapubica.<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. gracile<br />

Le regioni che possono essere raggiunte con il trasferimento <strong>di</strong> questo lembo<br />

corrispondono al bacino ed a tutto l'arto inferiore.<br />

Lembo miocutaneo <strong>di</strong> m. peronieri<br />

Il lembo miocutaneo <strong>di</strong> muscoli peronieri permette la copertura del terzo me<strong>di</strong>o e<br />

<strong>di</strong>stale della gamba. Il lembo scolpito sul peroniero lungo, a causa del più prossimale<br />

esaurimento della compagine muscolare, è più corto e può essere ruotato soltanto<br />

sulla regione del terzo superiore e me<strong>di</strong>o della gamba. Per ottenere la massima<br />

lunghezza del lembo, esso deve essere allestito in blocco su ambedue i muscoli.<br />

Controin<strong>di</strong>cazioni all'uso <strong>di</strong> questi lembi sono le alterazioni dell'apparato vascolare<br />

arterioso che impe<strong>di</strong>scono una sufficiente nutrizione.<br />

Lembomiocutaneo <strong>di</strong> m. abduttore V <strong>di</strong>to del piede<br />

55


Innesti e lembi<br />

Il lembo miocutaneo <strong>di</strong> muscolo abduttore del V <strong>di</strong>to del piede, grazie alla sua<br />

mobilità sul peduncolo prossimale, permette la copertura sia della regione<br />

malleolare esterna sia della regione me<strong>di</strong>o-plantare.<br />

Lembi fasciocutanei<br />

Possono essere considerati come lembi cutanei con supporto fasciale (vascolare e<br />

strutturale). Hanno le stesse caratteristiche ma con un <strong>di</strong>verso rapporto<br />

lunghezza/larghezza, che <strong>di</strong>viene <strong>di</strong> 1:3 o più, e non necessitano <strong>di</strong> autonomizzazione<br />

preventiva. Sono soprattutto in<strong>di</strong>cati per le coperture degli arti dove i muscoli<br />

scheletrici (necessari per i lembi miocutanei) non possono essere <strong>di</strong>sinseriti se non a<br />

scapito <strong>di</strong> un grave deficit funzionale.<br />

Lembi mio-fasciocutanei<br />

Vengono utilizzati nei casi in cui si voglia ampliare la superficie <strong>di</strong> un lembo<br />

miocutaneo. Infatti, a causa della <strong>di</strong>sposizione anatomica dei vasi mio-fasciocutanei,<br />

si può ottenere un trasferimento <strong>di</strong> cute maggiore se, insieme al muscolo, si solleva<br />

parte della fascia a<strong>di</strong>acente da esso nutrita che a sua volta irrora la pelle ad esso<br />

soprastante. Esempi <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> lembi sono quelli <strong>di</strong> muscolo trapezio<br />

orizzontale, che può essere prolungato fino al terzo superiore del braccio se si<br />

solleva in blocco con la fascia deltoidea-brachiale, oppure <strong>di</strong> grande pettorale che<br />

può essere scolpito fino all'epigastrio.<br />

Lembo fasciocutaneo <strong>di</strong> fascia surale<br />

Questo lembo può essere considerato come il sostituto del lembo miocutaneo <strong>di</strong><br />

gastrocnemio. Di esso conserva i vantaggi e le in<strong>di</strong>cazioni senza i rischi connessi alla<br />

<strong>di</strong>sinserzione dei muscolo vettore. Il lembo <strong>di</strong> fascia surale è in<strong>di</strong>cato per le<br />

coperture del terzo me<strong>di</strong>o e superiore della gamba; la sua notevole estensione in<br />

larghezza e in lunghezza consente ricostruzioni <strong>di</strong> deficit cutanei anche importanti. A<br />

causa della sua larghezza, il lembo può essere scolpito anche me<strong>di</strong>ale o laterale per<br />

le più varie esigenze <strong>di</strong> trasferimento, <strong>di</strong>venendo, in tal modo notevolmente più<br />

mobile.<br />

Lembo fasciocutaneo <strong>di</strong> fascia trapezio-deltoideo-brachiale<br />

Si tratta <strong>di</strong> un lembo in<strong>di</strong>cato per qualsiasi copertura a livello del capo e del collo,<br />

del torace e del dorso (regione del cingolo scapolo-omerale). Le sue possibilità <strong>di</strong><br />

trasferimento sono le medesime del lembo miocutaneo <strong>di</strong> trapezio orizzontale con<br />

prolungamento deltoideo-brachiale ma a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> questo non richiede il<br />

sacrificio dei rami orizzontali del muscolo. La notevole lunghezza del lembo (cm 40 x<br />

12) e la sua mobilità consentono ricostruzioni anche del naso e del mento, del vertice<br />

del capo e della regione ascellare.<br />

56


Lembo fasciocutaneo antibrachiale<br />

Innesti e lembi<br />

Si tratta <strong>di</strong> un lembo <strong>di</strong> cospicue <strong>di</strong>mensioni (cm 8 x 15), scolpito sulla regione volare<br />

dell'avambraccio, che può essere utilizzato sia come lembo locale (coperture della<br />

regione del gomito) sia come lembo a <strong>di</strong>stanza, data la mobilità dell'avambraccio<br />

stesso, per ricostruzioni della regione cranio-facciale e soprattutto del palmo della<br />

mano controlaterale.<br />

Lembo ra<strong>di</strong>ale (lembo cinese)<br />

Si tratta <strong>di</strong> un lembo cutaneo (o fasciocutaneo) nutrito assialmente dall'arteria<br />

ra<strong>di</strong>ale, con il ritorno venoso assicurato, probabilmente, da un'inversione del flusso<br />

delle vene ra<strong>di</strong>ali satelliti. Utilizzato per coperture sia locali sia a <strong>di</strong>stanza, può<br />

essere ruotato sul peduncolo prossimale (stesse in<strong>di</strong>cazioni del lembo fasciocutaneo<br />

antibrachiale) o sul peduncolo <strong>di</strong>stale (mano omolaterale, volto, arto inferiore,<br />

ecc.). La rotazione sul peduncolo <strong>di</strong>stale è quella che offre le possibilità <strong>di</strong> copertura<br />

con maggior apporto trofico, grazie alla ricca vascolarizzazione del lembo (flusso<br />

sanguigno controcorrente dall'arteria ulnare), in ogni sede del corpo, data la sua<br />

mobilità (180° sul peduncolo arterioso).<br />

Tale lembo, sia a causa del sacrificio dell'arteria ra<strong>di</strong>ale, sia per le sequele estetiche<br />

reliquate all'avambraccio, deve essere utilizzato solamente in caso <strong>di</strong> reale<br />

necessita.<br />

57


Ustioni<br />

Ustioni e congelamenti<br />

USTIONI E CONGELAMENTI<br />

L’ustione è soluzione <strong>di</strong> continuo che riconosce <strong>di</strong>versi gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà,e agenti<br />

etiologici <strong>di</strong>versi: liqui<strong>di</strong> bollenti, fuoco, metalli surriscaldati,energia elettrica, aci<strong>di</strong><br />

e alcali. L’azione <strong>di</strong> danno <strong>di</strong> tali agenti <strong>di</strong>pende dall’entità e dalla durata della loro<br />

applicazione. Liqui<strong>di</strong> a temperature relativamente basse sui 60-70 °C richiedono un<br />

tempo <strong>di</strong> applicazione relativamente maggiore, rispetto ad un liquido bollente, per<br />

provocare lo stesso or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> danni. Per produrre quin<strong>di</strong> lo stesso effetto ustionante<br />

possono agire alte temperature per un tempo minimo, e temperature più basse per<br />

un tempo maggiore. I <strong>di</strong>versi agenti ustionanti possiedono proprietà caratteristiche<br />

(ossidazione, riduzione, causticazione, idrolisi, ecc.) capaci <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionare<br />

l’intensità dell’azione lesiva. Risulta ovvio che una grave ustione costituisca uno tra i<br />

più traumatici eventi che si possa affrontare in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio e <strong>di</strong> pericolo per la<br />

vita. Recenti statistiche in<strong>di</strong>cano che la frequenza dell’ustione è sorprendentemente<br />

alta. Su 100 ustionati 70 sono <strong>di</strong> origine domestica e i rimanenti 30 sono da attribuirsi<br />

a cause industriali, <strong>di</strong> cui le più frequenti sono: getti <strong>di</strong> ghisa fusa, contatto con<br />

lamine metalliche, esplosione <strong>di</strong> recipienti contenenti aci<strong>di</strong> o alcali, fuoco da<br />

benzina o altri liqui<strong>di</strong> infiammabili. Nell’ambito domestico, predominano le ustioni<br />

da acqua o da altri liqui<strong>di</strong> bollenti, da vapore acqueo, da fuoco, da esplosioni <strong>di</strong> gas,<br />

da termofori e impianti <strong>di</strong> riscaldamento.<br />

Criteri valutativi delle ustioni<br />

Estensione = percentuale della superficie corporea interessata;<br />

Profon<strong>di</strong>tà = grado;<br />

Localizzazione = gravità del danno in<br />

rapporto alla importanza funzionale ed<br />

estetica della localizzazione<br />

dell’ustione.<br />

La valutazione estensiva <strong>di</strong> una ustione<br />

può essere fatta in cm 2 o calcolando la<br />

percentuale <strong>di</strong> superficie corporea<br />

colpita. Il metodo più semplice,anche se<br />

ne riesce una valutazione approssimativa,<br />

58<br />

testa e collo 9%<br />

arto superiore destro 9%<br />

arto superiore sinistro 18%<br />

arto inferiore destro 18%<br />

arto inferiore sinistro 18%<br />

regione anteriore del tronco 18%<br />

regione posteriore del tronco 18%<br />

genitali 1%


Ustioni e congelamenti<br />

è quello in<strong>di</strong>cato dallo schema <strong>di</strong> Wallace, che <strong>di</strong>vide la superficie corporea in aree<br />

rispettivamente del 9% o <strong>di</strong> multipli del 9:<br />

La profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> una ustione prevede:<br />

il I grado che può essere causato da un’esposizione prolungata al sole o da un breve<br />

contatto con una fonte <strong>di</strong> calore più intensa. Caratteristica espressione <strong>di</strong> questa<br />

lesione è il dolore urente, che si manifesta in coincidenza con la comparsa <strong>di</strong> altri<br />

sintomi come l’eritema e un modesto edema degli strati più profon<strong>di</strong> della cute dopo<br />

un periodo <strong>di</strong> latenza variabile in relazione alla natura dell’agente ustionante. Una<br />

ustione <strong>di</strong> primo grado può guarire in pochi giorni senza lasciare esiti riconoscibili a<br />

<strong>di</strong>stanza, se si eccettua una pigmentazione più o meno intensa.<br />

Nel II grado l’azione <strong>di</strong> danno è maggiore tanto da<br />

provocarela morte e la sofferenza <strong>di</strong> molti elementi<br />

cellulari dello strato malpighiano. Tipica<br />

espressione del secondo grado è la bolla, creatasi<br />

per lo scollamento degli strati dell’epidermide in<br />

seguito alla pressione dei liqui<strong>di</strong> trasudati dai<br />

capillari alterati. Anche la bolla può comparire dopo un periodo <strong>di</strong> latenza variabile e<br />

le sue <strong>di</strong>mensioni pare <strong>di</strong>pendano dalle caratteristiche dell’agente ustionante. La<br />

cupola della bolla è formata da epidermide più o meno spessa, a seconda della<br />

regione colpita. Il liquido che la riempie appare dapprima sieroso e dopo qualche<br />

giorno può assumere una consistenza gelatinosa;esso è lassamente aderente al<br />

derma. Aperta la bolla, si scorge lo strato papillare del derma, <strong>di</strong> colorito rosso vivo,<br />

estremamente dolente alla pressione, limitato da un alone eritematoso, caldo,<br />

urente. Le ustioni <strong>di</strong> secondo grado sono in genere causate da una breve esposizione<br />

ad intense vampate <strong>di</strong> calore, da liqui<strong>di</strong> bollenti o da getti <strong>di</strong> vapore riscaldato, o<br />

possono costituire la zona periferica <strong>di</strong> una ustione più profonda. I sintomi soggettivi<br />

sono molto più accentuati delle lesioni <strong>di</strong> primo grado. Il dolore, molto intenso,<br />

perdura per 5-6 giorni. Il periodo della risoluzione è legato alla quantità del tessuto<br />

<strong>di</strong>strutto e all’eventuale sopraggiungere <strong>di</strong> complicazioni infettive. La guarigione <strong>di</strong><br />

una ustione <strong>di</strong> secondo grado non si accompagna mai ad esiti cicatriziali <strong>di</strong> una<br />

qualche importanza, e qualora vi siano, sono da attribuirsi a danni profon<strong>di</strong> (III<br />

grado), passati inosservati.<br />

Nel III grado si verifica la morte dei tessuti cutanei, a<br />

tutto spessore fino ed oltre l’ipoderma o fasce<br />

muscolari. Se l’agente ustionante è il fuoco o un corpo<br />

caldo, l’area necrotica si presenta secca, dura, <strong>di</strong><br />

59


Ustioni e congelamenti<br />

aspetto grigio rossastro o anche più scura. Se l’agente ustionante è rappresentato da<br />

acqua bollente o da altri liqui<strong>di</strong>, l’aspetto dell’area lesa varia in rapporto alle<br />

caratteristiche della cute del soggetto colpito. Nei bambini è <strong>di</strong> colorito biancastro,<br />

negli adulti la naturale pigmentazione della cute conferisce ai tessuti necrotizzati un<br />

colore grigiastro. Quando non si tratti <strong>di</strong> una vera e propria carbonizzazione,<br />

esercitando una modesta pressione sull’area ustionata si avverte al <strong>di</strong> sotto e<br />

marginalmente ad essa una consistenza pastosa, dovuta all’edema in rapida<br />

formazione. Il dolore, meno accentuato che nei secon<strong>di</strong> gra<strong>di</strong>, si manifesta<br />

particolarmente alla periferia delle aree <strong>di</strong> necrosi. L’evoluzione varia in rapporto<br />

alla estensione e profon<strong>di</strong>tà e gli esiti della guarigione spontanea sono sempre<br />

cicatriziali. All’aspetto <strong>di</strong>dattico delle lesioni da ustione corrisponde una realtà<br />

clinica quasi sempre <strong>di</strong>versa, che in<strong>di</strong>ca come prevalente il “carattere misto” delle<br />

lesioni. Ogni lesione <strong>di</strong> secondo grado sfuma inevitabilmente in lesione <strong>di</strong> primo<br />

grado e partecipa molto spesso a quelle <strong>di</strong> terzo, come lesioni <strong>di</strong> necrosi a tutto<br />

spessore sfumano marginalmente nei gra<strong>di</strong> minori e possono contenere isole non<br />

identificabili <strong>di</strong> secondo grado. Una valutazione del danno o una valutazione che si<br />

avvicini verosimilmente alla realtà è necessaria per l’impostazione <strong>di</strong> una coerente<br />

terapia me<strong>di</strong>ca e la prognosi della gravità <strong>di</strong> più tar<strong>di</strong>vi interventi chirurgici. La<br />

localizzazione delle ustioni <strong>di</strong> terzo grado può assumere particolare importanza<br />

prognostica quando vengono interessate quelle zone del nostro corpo che, colpite<br />

isolatamente o come parte <strong>di</strong> una ustione più estesa, presentano particolari <strong>di</strong>fficoltà<br />

<strong>di</strong> trattamento. Per questi motivi sono state definite come “aree <strong>di</strong> crisi” le seguenti<br />

regioni: il volto e il collo; le ascelle, le pieghe del gomito e le mani;la regione sacro-<br />

genito-perineale; gli arti inferiori dall’altezza dell’inguine ai pie<strong>di</strong>. Volto e collo se<br />

colpiti da ustione <strong>di</strong> terzo grado richiedono particolari cure imme<strong>di</strong>ate e tar<strong>di</strong>ve.<br />

Quasi sempre sono interessate le alte vie respiratorie ed è facile pertanto<br />

l’insorgenza <strong>di</strong> forme bronco-polmonari. L’edema, specie nei bambini, può essere<br />

molto intenso e tale da ostacolare la respirazione.<br />

Ascelle e pieghe dell’inguinali: la spontanea guarigione <strong>di</strong> queste aree provoca una<br />

notevole <strong>di</strong>minuzione nei movimenti degli arti superiori e pericolose posizioni viziate<br />

degli arti inferiori, che per fatti retrattivi arrivano a formare, molto spesso, un<br />

angolo retto con l’asse verticale del bacino.<br />

Mani e pie<strong>di</strong>: la conformazione anatomica <strong>di</strong> queste regioni porta a concentrare in<br />

uno spazio estremamente limitato e superficiale elementi <strong>di</strong> notevole importanza<br />

funzionale come ten<strong>di</strong>ni, vasi, nervi, ossa. Risulta facile quin<strong>di</strong> un loro danno,<br />

prodotto da una qualsiasi ustione <strong>di</strong> terzo grado, anche se non molto profonda.<br />

60


Ustioni e congelamenti<br />

L’edema, che non può espandersi per mancanza <strong>di</strong> spazio, la stasi venosa e linfatica<br />

che ne deriva, possono portare ad una precoce sclerosi dei piani <strong>di</strong> scorrimento dei<br />

ten<strong>di</strong>ni e dei piccoli muscoli della mano.<br />

Arti inferiori: l’ustione delle cosce rappresenta un motivo in<strong>di</strong>retto <strong>di</strong> aggravamento<br />

<strong>di</strong> tutte le altre lesioni, in quanto sottrae alla terapia chirurgica le aree donatrici <strong>di</strong><br />

elezione, da cui si eseguono i prelievi per riparare le zone <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione cutanea.<br />

Fisiopatologia dell’ustione<br />

La malattia ustione è<br />

contrassegnata da una serie<br />

<strong>di</strong> eventi patologici e<br />

clinicamente la malattia<br />

ustione evolve attraverso<br />

tre fasi: un primo periodo<br />

<strong>di</strong> deficit circolatorio, un<br />

secondo tossi-infettivo ed un terzo ipoproteinemico-<strong>di</strong>strofico.<br />

I fase o periodo <strong>di</strong> deficit circolatorio: è universalmente nota col termine <strong>di</strong> shock<br />

secondario. Questa sindrome è caratterizzata da agitazione, sete, vomito, polso<br />

piccolo e frequente, caduta dei valori pressori, <strong>di</strong>spnea,oliguria, dolore ed effetti<br />

emotivi del trauma subito. Può essere controllata solo con una ben dosata terapia<br />

sedativa generale e locale. La sete costituisce uno dei primi sintomi. Permettendo<br />

all’ustionato <strong>di</strong> ingerire la quantità <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong> che desidera, si corre il rischio <strong>di</strong><br />

vedere insorgere un quadro <strong>di</strong> intossicazione da acqua. Il meccanismo patoge<strong>net</strong>ico<br />

dello shock secondario sembra abbastanza chiaro quando si invochi la <strong>di</strong>retta azione<br />

del calore sulla cute che provoca coagulazione massiva del sangue nei vasi, un’azione<br />

<strong>di</strong> danno dell’endotelio dei capillari, con abbassamento della pressione<br />

colloidosmotica e l’azione dei tossici comporta una aumentata capacità dell’albero<br />

circolatorio con abbassamento della pressione idrostatica capillare. In con<strong>di</strong>zioni<br />

fisiologiche, lo scambio <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong> tra il letto circolatorio e l’interstizio avviene quasi<br />

interamente nei capillari e i fattori principali che regolano il passaggio dei sali e<br />

dell’acqua attraverso le loro pareti sono:<br />

1) pressione idrostatica del sangue nei capillari<br />

2) permeabilità capillare<br />

3) <strong>di</strong>fferenza tra la pressione osmotica del plasma e quella del liquido interstiziale.<br />

4) drenaggio linfatico.<br />

Dall’analisi <strong>di</strong> questi fattori risulta che da una parte la pressione idrostatica tende a<br />

produrre una enorme filtrazione <strong>di</strong> liquido del plasma negli spazi interstiziali,<br />

61


Ustioni e congelamenti<br />

dall’altra che l’effetto delle proteine plasmatiche è quello <strong>di</strong> sottrarre acqua al<br />

liquido interstiziale e <strong>di</strong> avviarla verso il liquido plasmatico più concentrato. Questi<br />

fattori, nel caso <strong>di</strong> ustione, sono i primi, ad essere alterati. Si avrebbe perciò una<br />

lesione massiva, dove la quantità <strong>di</strong> liquido interstiziale sarebbe limitata soltanto<br />

dalla capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stendersi del tessuto. La quantità dell’edema viene influenzata<br />

dalle con<strong>di</strong>zioni idrosaline dell’organismo, come si può <strong>di</strong>mostrare dal suo aumento<br />

introducendo in animali da esperimento, ustionati, soluzioni isotoniche <strong>di</strong> NaCl. Il<br />

rapporto albumine-globuline è sempre aumentato rispetto al plasma. Tale fatto è<br />

spiegato dalla maggiore grandezza delle molecole globuliniche e quin<strong>di</strong> dalla<br />

maggiore <strong>di</strong>fficoltà al passaggio attraverso la membrana capillare. Poichè l’acqua e<br />

gli elettroliti vengono perduti dal plasma ancor più rapidamente, ciò porta ad un<br />

aumento della concentrazione proteica del sangue, tendendo così a compensare la<br />

oligoemia risultante dalle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> liquido, con l’assorbimento <strong>di</strong> liquido<br />

interstiziale dai tessuti sani verso il sistema vasale. Questo fatto rappresenta<br />

senz’altro uno dei più complessi meccanismi <strong>di</strong> compenso delle ustioni in pazienti<br />

non tempestivamente trattati. L’acqua e gli elettroliti circolanti liberamente nei<br />

capillari, a causa dell’insulto termico, vengono spostati per l’aumentata permeabilità<br />

del capillare. La quantità <strong>di</strong> globuli rossi <strong>di</strong>strutta in una ustione varia molto da caso<br />

a caso. Costituisce un problema <strong>di</strong> un certo interesse nelle ustioni <strong>di</strong> terzo grado,<br />

mentre è <strong>di</strong> minore importanza nei casi <strong>di</strong> ustioni <strong>di</strong> secondo grado, anche se estese.<br />

Il meccanismo dell’imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong>struzione dei globuli rossi può riassumersi come<br />

segue:<br />

a) i globuli rossi, presenti nella zona venuta <strong>di</strong>rettamente a contatto con l’agente<br />

ustionante, subiscono l’istantanea emolisi con la messa in circolazione <strong>di</strong><br />

emoglobina,da cui emoglobinuria.<br />

La quantità <strong>di</strong> emoglobina libera circolante in un soggetto ustionato <strong>di</strong> recente può<br />

dare una precisa valutazione della gravità della lesione.<br />

b) Emolisi ritardata può osservarsi dopo 24 ore, come conseguenza <strong>di</strong> parziale danno<br />

dei globuli rossi.<br />

c) La coagulazione del sangue nei capillari lesi contribuisce a ridurre gli eritrociti<br />

circolanti.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista clinico si può presumere che in una ustione grave la <strong>di</strong>struzione<br />

dei globuli rossi si aggiri approssimativamente intorno al 10-15% della massa totale,<br />

nelle prime 48 ore.<br />

La fase dello shock è compresa entro limiti <strong>di</strong> tempo variabili tra i 2-5 giorni.<br />

62


II fase o periodo tossi-infettivo<br />

Ustioni e congelamenti<br />

Di regola si fa coincidere l’inizio del periodo tossi-infettivo con la comparsa della<br />

febbre. I fattori chiamati in causa per spiegare i meccanismi patoge<strong>net</strong>ici sono<br />

essenzialmente due: l’intossicazione e l’infezione. Ad alimentare lo stato <strong>di</strong><br />

intossicazione <strong>di</strong> un ustionato possono contribuire vari elementi: l’assorbimento <strong>di</strong><br />

sostanze, prodotto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sfacimento delle cellule dei focolai <strong>di</strong> ustione. Marginalmente<br />

alle aree <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione cutanea e propriamente all’interno dei focolai <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione<br />

stessa, si liberano sostanze proteolitiche capaci <strong>di</strong> favorire la <strong>di</strong>sintegrazione dei<br />

tessuti e la demolizione dei grossi aggregati proteici. Sembra certo che l’istamina<br />

partecipi al quadro della intossicazione generale e non sia estranea alla genesi <strong>di</strong><br />

alcuni fenomeni. L’iperpotassiemia è una concausa dello stato tossico e sarebbe da<br />

ricercarsi nell’emolisi nonché nella necrosi e nell’alterato metabolismo degli<br />

elementi cellulari La sepsi è considerata una componente patologica obbligata della<br />

malattia; almeno negli ustionati <strong>di</strong> una certa gravità. Il focolaio <strong>di</strong> ustione può essere<br />

inquinato o primitivamente, al momento dell’episo<strong>di</strong>o ustionante, o in tempo<br />

successivo. La presenza <strong>di</strong> terriccio, catrame, indumenti, ecc. all’atto dell’offesa<br />

termica sono la causa più frequente dei l’infezione. Inoltre va tenuto presente che<br />

con la <strong>di</strong>sepitelizzazione viene eliminata la barriera <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa dall’infezione. Nei<br />

focolai <strong>di</strong> ustione sono stati reperiti cocchi piogeni (stafilococco aureo, streptococco<br />

anemolitico e beta emolitico), bacilli gram-negativi (alcune specie <strong>di</strong> proteus,<br />

piocianeo, coli), cocchi gram-positivi (stafilococco aureo emolitico e anemolitico),<br />

bacilli anaerobi purulenti (clostri<strong>di</strong>um tetani). La sintomatologia clinica dello stato<br />

tossico inizia verso il 4°-5° giorno della malattia ustione e prosegue con febbre<br />

continua, accompagnata da cefalea nausea, lingua patinosa. Si possono osservare<br />

turbe <strong>di</strong> ritmo car<strong>di</strong>aco e <strong>di</strong>minuzione della gittata sistolica, da cui mo<strong>di</strong>ca<br />

ipotensione. Fin dai primi giorni della fase tossica, compaiono i sintomi <strong>di</strong><br />

ulcerazione gastrointestinale, caratterizzati da nausea, vomito, improvvisa<br />

ematemesi e melena. Progressivamente la malattia evolve verso il quadro ben<br />

definito della sepsi. La febbre si mantiene elevata, continuo-remittente o<br />

intermittente, con ampie oscillazioni da minime <strong>di</strong> 37° a massime <strong>di</strong> 40°. Le puntate<br />

febbrili si accompagnano a brivido,cefalea,agitazione. Sono frequenti anche emboli a<br />

carico dei polmoni, per messa in circolo <strong>di</strong> materiale trombotico delle aree lese,<br />

nonché ascessi a varia localizzazione. La durata e la gravità della fase tossi-infettiva<br />

sono <strong>di</strong>rettamente proporzionali alla gravità dell’ ustione ed alle eventuali<br />

complicazioni. Infatti, se la comparsa del movimento febbrile, il suo decorso e la sua<br />

63


Ustioni e congelamenti<br />

remissione sono da attribuirsi all’assorbimento <strong>di</strong> sostanze tossiche dai focolai <strong>di</strong><br />

ustione, il prolungarsi della febbre per perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> alcuni mesi, nei gran<strong>di</strong> ustionati,<br />

trova sua valida giustificazione nel sovrapporsi <strong>di</strong> uno stato settico, favorito dalle<br />

con<strong>di</strong>zioni locali e generali, che fin qui abbiamo esaminato.<br />

III fase o periodo ipoproteinemico-<strong>di</strong>strofico<br />

Dal periodo tossi-infettivo il grande ustionato passa insensibilmente in una fase che,<br />

per le sue caratteristiche cliniche, è stata definita ipoproteinemica-<strong>di</strong>strofica,<br />

sfociante, qualora non siano messe in atto adeguate terapie, in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

conclamata cachessia. Negli ustionati minori la risoluzione del quadro generale può<br />

aversi in poche settimane. Nelle ustioni estese <strong>di</strong> terzo grado, superanti il 30% del la<br />

superficie corporea, l’evoluzione della malattia è lenta e complessa. In questo<br />

periodo l’organismo si trova impegnato, con tutte le sue forze, a lottare per la<br />

sopravvivenza. Tutte le sue energie sono mobilitate nel tentativo <strong>di</strong> guarigione delle<br />

vaste aree <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione cutanea me<strong>di</strong>ante processi <strong>di</strong> rivascolarizzazione,<br />

mobilitazione con<strong>net</strong>tivale, <strong>di</strong> ricanalizzazione <strong>di</strong> vasi trombizzati, ecc. Da un punto<br />

<strong>di</strong> vista patoge<strong>net</strong>ico, le cause della <strong>di</strong>strofia possono essere in<strong>di</strong>viduate in<br />

un’alterazione del metabolismo nella <strong>di</strong>svitaminosi, in stati carenziali, nell’anemia<br />

ecc. Esistono numerosi dati sperimentali che confermano l’alterato bilancio e<br />

ricambio delle vitamine. Sembra che, anche per effetto degli antibiotici, l’organismo<br />

<strong>di</strong> un ustionato abbia perduto la peculiare capacità <strong>di</strong> produrre e accumulare queste<br />

sostanze.<br />

L’anemia sarebbe legata a vari fattori, che possono così riassumersi:<br />

alterata sintesi del nucleo dell’ematina;<br />

alterato ricambio del ferro per un’eccessiva fissazione o <strong>di</strong>spersione istogena<br />

(specie nell’area lesa);<br />

alterata sintesi della globina forse conseguente alla carenza proteica generale;<br />

riscontro <strong>di</strong> emoglobina libera in alta percentuale, legata a fatti emolitici<br />

manifestazioni emorragiche a livello gastro-intestinale e del focolaio <strong>di</strong> ustione,<br />

specie durante il periodo delle granulazioni<br />

Visto alla luce delle alterate attività regolatrici dell’organismo, il quadro clinico <strong>di</strong><br />

un ustionato, nel terzo periodo, risulta caratterizzato da: febbricola, astenia,<br />

a<strong>di</strong>namia muscolare, anemia marcata, anoressia, <strong>di</strong>magrimento. La <strong>di</strong>strofia generale<br />

si ripercuote sul focolaio <strong>di</strong> ustione, la cui riparazione procede con notevole<br />

lentezza. La comparsa del tessuto <strong>di</strong> granulazione, quasi sempre appiattito, pallido e<br />

anemico,rappresenta non già un punto <strong>di</strong> partenza per la definitiva guarigione, bensì<br />

la fonte <strong>di</strong> nuove complicazioni. La prima <strong>di</strong> queste è il dolore,che richiede ad ogni<br />

64


Ustioni e congelamenti<br />

me<strong>di</strong>cazione una particolare preparazione e somministrazione <strong>di</strong> analgesici, capaci <strong>di</strong><br />

peggiorare le con<strong>di</strong>zioni generali. L’infezione del tessuto <strong>di</strong> granulazione è<br />

facilissima: i coaguli e l’essudato rappresentano un pabulum ideale per la crescita e<br />

lo sviluppo <strong>di</strong> qualsiasi tipo <strong>di</strong> germi. La leggera febbre del periodo <strong>di</strong>strofico subisce<br />

allora improvvise e violente riaccensioni, che talvolta durano settimane. La<br />

complicanza maggiore e più grave però è rappresentata dall’emorragia. Emorragie<br />

violente, provocate dalle me<strong>di</strong>cazioni, e le continue piccole emorragie <strong>di</strong> ogni giorno<br />

che si manifestano ai più modesti traumi. Se a tutto questo aggiungiamo l’anoressia,<br />

cui sovente il paziente è preda, l’interessamento delle “aree <strong>di</strong> crisi”, che complica<br />

la introduzione <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong> e ostacola le anestesie, le trombosi dei tronchi venosi più<br />

facilmente reperibili, qualche embolo polmonare, si può comprendere l’importanza<br />

clinica e la gravità <strong>di</strong> questo periodo terminale dell’ustione. Ai <strong>di</strong>versi gra<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

ustione fanno riscontro tipici quadri anatomo-patologici, cui corrispondono<br />

caratteristici aspetti evolutivi.<br />

L’ustione <strong>di</strong> I grado è istologicamente caratterizzata da uno slaminamento dello<br />

strato corneo, edema dermico, <strong>di</strong>latazione vasale. I vasi sono zaffati da emazie, fuse<br />

in ammassi. La reazione leucocitaria è precoce. Si tratta dunque <strong>di</strong> lesioni reversibili.<br />

Nella ustione <strong>di</strong> II grado l’elemento bolloso presenta un tetto o volta, formato<br />

dall’epidermide, sollevato in toto e un pavimento costituito dalle papille del derma,<br />

denudato dall’epitelio o con qualche residua cellula basale degenerata. Le cellule<br />

dello strato malpighiano sono tumide ed edematose con evidenti alterazioni della<br />

trama nucleare. Nel derma si nota accumulo <strong>di</strong> edema, tumefazione e <strong>di</strong>ssociazione<br />

dei fasci collageni, <strong>di</strong>latazioni vasali e linfatiche. Col passar del tempo appare, ai<br />

margini, una reazione istioleucocitaria, con carattere reattivo e demarcante. La<br />

riparazione è piuttosto rapida, completandosi nel giro <strong>di</strong> 2-3 settimane. Essa avviene<br />

a partenza dai margini o dagli annessi cutanei rimasti indenni anche al centro della<br />

lesione. L’aspetto della cute,avvenuta la riparazione, è quasi sempre iperemico,<br />

sottile e ipotrofico. L’evenienza <strong>di</strong> una cicatrice cheloidea è rara ma non esclusa.<br />

Nella ustione <strong>di</strong> III grado l’epidermide e il derma sono interessati da fenomeni <strong>di</strong><br />

necrosi massiva. Lo strato epidermico appare uniformemente pallido e coagulato in<br />

una massa unica col derma. I vasi superficiali e profon<strong>di</strong> del corion sono trombosati.<br />

La reazione istio-leucocitaria è intensa e si approfonda al <strong>di</strong> sotto della zona<br />

ricoperta dall’escara. Ogni tipo <strong>di</strong> fibra è <strong>di</strong>strutto. La rigenerazione avviene<br />

attraverso i seguenti sta<strong>di</strong>:<br />

65


Ustioni e congelamenti<br />

a) eliminazione dei tessuti necrotici (l’escara, dopo una iniziale tenace aderenza con<br />

la cute circostante e con il fondo, per il sopravvento <strong>di</strong> processi autolitici,viene<br />

gradatamente <strong>di</strong>staccata ed eliminata;<br />

b) comparsa del tessuto <strong>di</strong> granulazione, costituito da un con<strong>net</strong>tivo cellulare a tipo<br />

embrionale, raccolto attorno ad anse vascolari <strong>di</strong> neoformazione;<br />

c) nuovi vasi si formano per gemmazione, dalla parete dei capillari preesistenti. Si<br />

<strong>di</strong>spongono in una fitta rete a tralci paralleli, ortogonali alla superficie cutanea. La<br />

loro fragilità è notevole e le emorragie facili;<br />

d) le cellule, <strong>di</strong> tipo plasmocitario, linfocitario e fibroblastico, riempiono gli spazi<br />

intervasali;<br />

e) le fibre assumono i caratteri <strong>di</strong> fibre collagene, mentre scarse sono quelle<br />

elastiche.<br />

Le lesioni <strong>di</strong> I e II grado evolvono spontaneamente verso la guarigione; nelle lesioni <strong>di</strong><br />

III grado, invece, è in rapporto anche alla loro estensione. I meccanismi riparativi si<br />

rivelano sempre insufficienti e imperfetti, per cui la guarigione può essere<br />

notevolmente ritardata o non realizzarsi affatto. Da qui la necessità <strong>di</strong> intervenire<br />

con adeguate e tempestive terapie me<strong>di</strong>che e poi chirurgiche come procedura<br />

in<strong>di</strong>spensabile per ottenere un riparo funzionalmente ed esteticamente valido e per<br />

ridurre il periodo <strong>di</strong> malattia del paziente.<br />

Lesioni da sostanze chimiche<br />

Le sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute sono presenti ovunque<br />

nella vita <strong>di</strong> oggi. Una esposizione a tali sostanze può verificarsi in casa, a lavoro,<br />

mentre si gioca. La classificazione più semplice degli agenti nocivi li <strong>di</strong>vide in<br />

composti alcalini, aci<strong>di</strong> e organici. Le sostanze alcaline sono idrossi<strong>di</strong>, carbonati e la<br />

soda caustica e le lesioni si manifestano più spesso negli addetti alla pulizia <strong>di</strong> forni,<br />

delle industrie e delle fogne e in chi ha contatto con i fertilizzanti. Sono un<br />

costituente importante del cemento e dei derivati cementizi. Le sostanze acide sono<br />

presenti in molte aree. Sono contenute nelle sostanze per la pulizia dei bagni e nei<br />

composti per la rimozione della ruggine e si possono trovare nelle aree residenziali e<br />

commerciali a contatto o vicino a piscine. I composti organici causano sia lesioni da<br />

contatto che effetti sistemici. Tra questi troviamo i fenoli, i solventi ed i derivati del<br />

petrolio. Il grado <strong>di</strong> severità del danno è proporzionale al tipo, alla concentrazione<br />

ed al volume della sostanza chimica che lo ha indotto e alla durata del contatto con<br />

essa. Le conseguenze saranno <strong>di</strong>rettamente proporzionali al fattore tempo. Un danno<br />

continuo dei tessuti può verificarsi quando vi sia un ritardo nella rimozione del<br />

composto chimico nocivo. Sono molto pochi gli antidoti specifici. Qualunque sia la<br />

66


Ustioni e congelamenti<br />

sostanza, il trattamento iniziale consiste nel rimuovere i vestiti impregnati (inclusa la<br />

biancheria intima, le scarpe ed i guanti), spazzolare la cute se la sostanza è una<br />

polvere e, lavare copiosamente con acqua. Nessuna sostanza si è <strong>di</strong>mostrata migliore<br />

dell'acqua. Il lavaggio deve continuare per tutto il tempo, dal momento del<br />

rinvenimento della lesione fino a che il paziente non sia giunto alla osservazione in<br />

ospedale. Non bisogna perdere tempo cercando un antidoto specifico e <strong>di</strong>sperdere<br />

energie nel tentativo <strong>di</strong> neutralizzare l'aci<strong>di</strong>tà o la basicità; la generazione <strong>di</strong> calore<br />

che si determina in tale operazione contribuirebbe infatti ad aggravare la lesione. In<br />

linea <strong>di</strong> massima, il lavaggio dovrebbe essere continuato fino a che si possa<br />

intraprendere un trattamento definitivo o il paziente riferisca una <strong>di</strong>minuzione del<br />

dolore e del bruciore delle lesioni. Diversamente dagli aci<strong>di</strong>, le sostanze alcaline si<br />

legano alle proteine dei tessuti e richiedono un lavaggio prolungato per ridurre gli<br />

effetti nocivi. L'irrigazione con acqua o soluzione salina rappresenta in urgenza il<br />

trattamento migliore. Il paziente con una lesione agli occhi da sostanze alcaline<br />

presenta gonfiore ed imme<strong>di</strong>ato blefarospasmo. Nel tentativo <strong>di</strong> consentire un<br />

lavaggio adeguato, le palpebre devono essere mantenute aperte per permettere<br />

l'irrorazione dell'occhio. Si preferisce usare, se a <strong>di</strong>sposizione, semplice acqua o una<br />

soluzione salina bilanciata. Certamente il lavaggio non deve essere ritardato e deve<br />

essere continuato mentre il paziente viene portato ad un centro specializzato dove<br />

può essere visitato da un oculista. Contatti prolungati con gasolio, kerosene o<br />

benzina <strong>di</strong>esel possono produrre una ustione chimica che nelle prime fasi può<br />

apparire come lesione solo parzialmente profonda, ma successivamente a tutto<br />

spessore. Se il tempo <strong>di</strong> esposizione è protratto e se il danno coinvolge ampie<br />

superfici corporee, si può determinare un assorbimento sistemico responsabile <strong>di</strong><br />

insufficienza d'organo e <strong>di</strong> morte. Questa complicanza si manifesta entro 6-24 ore e<br />

coinvolge i polmoni, il fegato ed i reni. La benzina che contiene piombo tetraetile<br />

(ormai non più usata) è molto tossica. Il contatto con essa richiede che i pazienti<br />

siano imme<strong>di</strong>atamente trasferiti in un centro ustioni. Estrema cautela dovrà avere il<br />

personale <strong>di</strong> soccorso a causa della possibile combustione degli idrocarburi volatili.<br />

L'acido fluoridrico è l'acido inorganico che determina il danno maggiore. Le lesioni<br />

sono dovute alla pe<strong>net</strong>razione dello ione fluoro e al suo legame con strutture<br />

profonde. La sua attività cessa quando si combina con il calcio o il magnesio a<br />

formare un sale insolubile. Questo acido viene ampiamente utilizzato dalle industrie<br />

<strong>di</strong> semiconduttori ed è presente nei prodotti per la rimozione della ruggine sia ad uso<br />

industriale che domestico. Il trattamento imme<strong>di</strong>ato consiste nella copiosa<br />

irrigazione con acqua o, se prontamente a <strong>di</strong>sposizione, con soluzioni <strong>di</strong> benzalconio<br />

67


Ustioni e congelamenti<br />

cloruro. Il dolore causato da tali lesioni è molto intenso e può essere un in<strong>di</strong>catore<br />

dell'efficacia dell'intervento terapeutico. In accordo a questo, bisogna fornire solo un'<br />

anestesia leggera in quanto grosse dosi <strong>di</strong> narcotici <strong>di</strong>minuendo il dolore privano il<br />

me<strong>di</strong>co del più importante in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> inattivazione del fluoro.<br />

Lesioni da elettricità<br />

Le lesioni da elettricità con<strong>di</strong>vidono molte caratteristiche con quelle termiche. Ci<br />

sono, tuttavia, <strong>di</strong>fferenze nel modo in cui la corrente elettrica causa il danno dei<br />

tessuti. Tale danno è per la maggior parte dovuto alla produzione <strong>di</strong> calore da parte<br />

della corrente. Si pensa che i <strong>di</strong>versi tessuti dell'organismo abbiano <strong>di</strong>verse resistenze<br />

elettriche, la resistenza elettrica più alta è a livello delle ossa. Di conseguenza, le<br />

ossa si comportano come un elemento del campo elettrico che produce calore e<br />

questo spiega la presenza <strong>di</strong> lesioni profonde vicino alle ossa in assenza <strong>di</strong> lesioni<br />

superficiali. I dati recenti hanno messo in <strong>di</strong>scussione questa teoria suggerendo che<br />

un arto può comportarsi come un modello a compartimento singolo. Sebbene tale<br />

questione sia irrisolta, è certo comunque che dopo un insulto elettrico (soprattutto<br />

se con corrente ad alto voltaggio) le lesioni dei tessuti profon<strong>di</strong> siano maggiori <strong>di</strong><br />

quelle osservate in superficie. Un fenomeno comune è la progressiva per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

vitalità dei tessuti che si manifesta nei primissimi giorni dall'evento lesivo. I muscoli,<br />

in particolare, possono apparire vitali e contrattili subito dopo, ma non più ad un<br />

esame successivo. La spiegazione più classica <strong>di</strong> tale fenomeno consiste in una<br />

trombosi ritardata del microcircolo causata da un "effetto singolare" della corrente<br />

elettrica. È stato <strong>di</strong>fficile tuttavia <strong>di</strong>mostrare sperimentalmente questa trombosi e<br />

l'eziologia <strong>di</strong> tale lesione ritardata non è chiara, sebbene gli stu<strong>di</strong> più recenti<br />

focalizzino l'attenzione sulla progressiva <strong>di</strong>struzione dei tessuti ad opera <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori<br />

rilasciati dalle cellule danneggiate. Un danno aggiuntivo viene causato dalle ustioni<br />

ad arco che si manifestano a livello delle superfici flessorie del corpo e specialmente<br />

al polso, a livello della fossa antecubitale e <strong>di</strong> quella poplitea. La contrazione<br />

muscolare o il tetano indotti dalla corrente rende la vittima incapace <strong>di</strong> staccarsi<br />

dalla sorgente elettrica e ciò aumenta enormemente il danno. Inoltre i vestiti della<br />

vittima spesso possono prendere fuoco e perciò avremo anche ustioni superficiali<br />

causate da tale evento. L'incidenza <strong>di</strong> lesioni associate è molto elevata. L'insulto<br />

elettrico, soprattutto quando dovuto al contatto con i fili dell'alta tensione, si<br />

verifica spesso ad una certa altezza dal suolo. Dovranno perciò essere ricercate<br />

lesioni traumatiche conseguenti alla possibile caduta. L'estensione <strong>di</strong> un danno da<br />

elettricità è strettamente correlata con l'intensità <strong>di</strong> corrente. Questa è sconosciuta<br />

al clinico ma può essere ricavata dal voltaggio. Dato che il voltaggio e l'amperaggio<br />

68


Ustioni e congelamenti<br />

sono <strong>di</strong>rettamente proporzionali, una lesione con corrente ad alto voltaggio implica<br />

un danno potenziale dei tessuti profon<strong>di</strong>. Sebbene sia controversa la teoria delle<br />

<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> resistenza dei <strong>di</strong>versi tessuti del corpo, deve essere chiaro che,<br />

maggiore è la resistenza <strong>di</strong> una struttura, maggiore sarà il calore generato dalla<br />

corrente mentre l'attraversa. La corrente alternata, specialmente quella a basso<br />

voltaggio, è più pericolosa: a 40-200 cicli per secondo è in grado <strong>di</strong> causare la<br />

fibrillazione del miocar<strong>di</strong>o. Fra le sorgenti <strong>di</strong> tale corrente, negli Stati Uniti, vengono<br />

incluse le prese <strong>di</strong> casa, dove la corrente è fornita a 60 cicli per secondo.<br />

L'estensione <strong>di</strong> un danno da elettricità è strettamente correlata anche con la durata<br />

del contatto ed il cammino della corrente attraverso il corpo, sebbene alle volte non<br />

si sia in grado <strong>di</strong> stabilire un punto <strong>di</strong> entrata ed un punto <strong>di</strong> uscita. Il punto <strong>di</strong><br />

contatto determina esso stesso una lesione, specialmente quando la corrente<br />

attraversa il cuore, il collo e la testa. In tali circostanze aumenta il rischio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbi<br />

rispettivamente car<strong>di</strong>aci e neurologici. Il primo intervento nel danno da elettricità è<br />

quello ovviamente <strong>di</strong> spostare il più velocemente possibile la vittima dalla sorgente<br />

elettrica. Resta inteso comunque che il soccorritore dovrà stare attento a non<br />

entrare egli stesso in contatto con tale sorgente. Se i vestiti stanno prendendo fuoco,<br />

bisogna adoperarsi per spegnere tale incen<strong>di</strong>o. A questo punto il trattamento è lo<br />

stesso <strong>di</strong> quello che viene effettuato per qualsiasi traumatizzato. L'arresto car<strong>di</strong>aco e<br />

respiratorio sono abbastanza frequenti. Spesso i pazienti sono soggetti giovani ed in<br />

buona salute e le chances <strong>di</strong> una rianimazione sono eccellenti. Gli sforzi prolungati<br />

per la rianimazione car<strong>di</strong>opolmonare sono quin<strong>di</strong> giustificati.<br />

<strong>Chirurgia</strong> ricostruttiva<br />

Gli esiti devastanti <strong>di</strong> gravi, ma anche moderate lesioni da<br />

calore, sono evidenti per tutti coloro che hanno in cura questi<br />

sfortunati in<strong>di</strong>vidui. Se la terapia e le tecniche chirurgiche<br />

migliorano costantemente, bisogna riconoscere dolorosamente<br />

che un grande numero <strong>di</strong> pazienti non ritornerà al livello <strong>di</strong><br />

funzionalità professionale e personale precedente all'evento<br />

traumatico. Uno dei più importanti obiettivi raggiunti in questi pazienti per quanto<br />

riguarda la terapia ricostruttiva è stato il comprendere che in molti <strong>di</strong> essi, tanto più<br />

è aggressivo il trattamento iniziale, tra cui una precoce escissione e l'apposizione <strong>di</strong><br />

innesti, tanto ridotta sarà in seguito la necessità <strong>di</strong> un intervento <strong>di</strong> ricostruzione. Ad<br />

esempio, una precoce ed estesa escissione ed innesto a livello delle contratture delle<br />

palpebre ha virtualmente eliminato la necessità <strong>di</strong> una tarsorrafia <strong>di</strong> protezione del<br />

globo oculare sottostante le ferite da ustione e ciò, a sua volta, ha reso obsoleto<br />

69


Ustioni e congelamenti<br />

l'intervento <strong>di</strong> correzione delle deformità che conseguivano all'intervento <strong>di</strong><br />

tarsorrafia.<br />

Nonostante però gli ottimi risultati raggiunti grazie agli interventi aggressivi e<br />

precoci e grazie ad una terapia acuta ben pianificata, il problema e la necessità <strong>di</strong><br />

interventi <strong>di</strong> ricostruzione permangono. Molte delle tecniche <strong>di</strong> ricostruzione<br />

sviluppate dalla chirurgia plastica sono applicabili anche nel paziente ustionato ma,<br />

nonostante ciò, la ricostruzione è resa spesso <strong>di</strong>fficile da numerosi fattori: 1) è<br />

presente un'ampia area <strong>di</strong> tessuto <strong>di</strong>strutto, sfregiato o anormale rispetto al paziente<br />

con altri tipi <strong>di</strong> problema; ciò rende <strong>di</strong>fficile o insod<strong>di</strong>sfacente l'impiego <strong>di</strong> una<br />

procedura <strong>di</strong> ripristino del tessuto locale; 2) le deformità indotte sono spesso<br />

complesse, con per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tessuto, fenomeni cicatriziali, per<strong>di</strong>ta della funzionalità,<br />

dolore a <strong>di</strong>versi livelli che creano una ferita tri<strong>di</strong>mensionale, non curabile in maniera<br />

sod<strong>di</strong>sfacente con le normali meto<strong>di</strong>che; 3) gli effetti devastanti <strong>di</strong> una ustione<br />

spesso limitano il contributo che il paziente può fornire alla propria riabilitazione e<br />

alla ricostruzione. Per tutte queste ragioni, come nel caso <strong>di</strong> ustioni acute, la terapia<br />

ricostruttiva deve essere realizzata da una équipe multi<strong>di</strong>sciplinare per in<strong>di</strong>rizzare i<br />

vari problemi al più competente, per risolverli e per assicurarsi il migliore risultato<br />

possibile dalle procedure <strong>di</strong> ricostruzione. In<br />

generale, la ricostruzione viene rimandata fino a<br />

che non matura la cicatrice ipertrofica. Fa<br />

eccezione il caso in cui la cicatrice possa<br />

compromettere una funzione vitale, come ad<br />

esempio la contrattura della palpebra, che<br />

determina l'esposizione della cornea, e lo sviluppo <strong>di</strong> cheratiti. Nella maggior parte<br />

dei casi però risultati migliori vengono ottenuti quando le cicatrici si sono<br />

stabilizzate e la gamma <strong>di</strong> movimenti è normale o ha raggiunto un "plateau" con i<br />

trattamenti non chirurgici.<br />

Sebbene la <strong>di</strong>scussione delle procedure specifiche <strong>di</strong> ricostruzione vada al <strong>di</strong> là dello<br />

scopo <strong>di</strong> questo capitolo, deve essere fatta una breve menzione. L'uso degli espansori<br />

cutanei, per fornire una maggiore quantità <strong>di</strong> tessuto locale per la ricostruzione, è<br />

risultato particolarmente utile per le ustioni al cuoio capelluto e la ricostruzione<br />

delle aree <strong>di</strong> alopecia. Nonostante rimanga comunque elevato il grado <strong>di</strong><br />

complicazioni con questa tecnica, tale procedura offre un metodo chiaro e ben<br />

tollerato per risolvere un problema a lungo considerato praticamente intrattabile.<br />

Essa trova applicazione anche nella ricostruzione <strong>di</strong> deturpanti cicatrici ipertrofiche<br />

in altre aree del corpo, sebbene in tali casi le in<strong>di</strong>cazioni siano meno chiare e le<br />

70


Ustioni e congelamenti<br />

complicazioni siano maggiori. Allo stesso modo, il trasferimento <strong>di</strong> lembi liberi trova<br />

un'applicazione sia nei <strong>di</strong>fetti primari che in quelli secondari, soprattutto quando non<br />

c'è tessuto locale a sufficienza o quando l'immobilizzazione, necessaria per il<br />

trasferimento del lembo peduncolato, può essere controin<strong>di</strong>cata.<br />

Congelamenti<br />

I congelamenti sono provocati dall'esposizione dei tessuti a basse temperature.<br />

L'effetto citolesivo del freddo aumenta con il <strong>di</strong>minuire della temperatura e<br />

l'aumentare della durata dell'esposizione. Diversa è la resistenza dei tessuti viventi<br />

alle basse temperature: nervi, muscoli e vasi sono particolarmente sensibili mentre<br />

cute, con<strong>net</strong>tivo, ten<strong>di</strong>ni ed osso sono più resistenti.<br />

La patogenesi delle lesioni da freddo riconosce essenzialmente due meccanismi: la<br />

formazione <strong>di</strong> cristalli <strong>di</strong> ghiaccio intra ed extracellulari e la vasocostrizione, con<br />

conseguente vasoparalisi e costituzione <strong>di</strong> trombi. I classici congelamenti dei militari<br />

e degli, alpinisti sono oggi resi meno frequenti dalla moderna sofisticata tecnologia<br />

dell'abbigliamento: al contrario, è tuttora patologia frequente, durante i mesi<br />

invernali, in soggetti particolari, in cui sono deficitarie le normali reazioni al freddo,<br />

sia vegetative che comportamentali (etilisti, tossico-<strong>di</strong>pendenti, psicopatici,<br />

vasculopatici, noma<strong>di</strong>, ecc.). Non vanno <strong>di</strong>menticati i congelamenti da contatto con<br />

prodotti dell'industria del freddo (azoto liquidò, ossigeno liquido, anidride carbonica<br />

solida, ecc.). Tali congelamenti possono essere:<br />

– patologici, in genere <strong>di</strong> natura infortunistica, in lavoratori dell'industria del freddo;<br />

– iatrogeni, in pazienti sottoposti a crioterapia e criochirurgia e in questo caso gli<br />

effetti destruenti della basse temperature sono appositamente ricercati con fini<br />

terapeutici. In analogia con le ustioni, anche i congelamenti possono essere<br />

classificati in gra<strong>di</strong>. Si riconoscono così congelamenti <strong>di</strong> 1° grado, caratterizzati da<br />

cianosi ed edema; congelamenti <strong>di</strong> 2° grado, caratterizzati dalla presenza <strong>di</strong> flittene;<br />

congelamenti <strong>di</strong> 3° grado quando si verifica necrosi della cute, talora accompagnata<br />

da necrosi dei tessuti sottostanti. In fase <strong>di</strong> Pronto Soccorso è in<strong>di</strong>spensabile<br />

riscaldare le parti congelate, possibilmente me<strong>di</strong>ante immersione in acqua a 40-42<br />

°C; in .genere sono sufficienti 15 30 minuti, temperature più elevate sono<br />

estremamente dannose, in quanto possono determinare un'ustione.<br />

71


Definizione<br />

Tumori maligni della cute<br />

TUMORI MALIGNI DELLA CUTE<br />

I tumori epiteliali della cute più rappresentativi sono il carcinoma squamocellulare,<br />

nelle forme invasive ed in situ quali cheratosi attiniche, morbo <strong>di</strong> Bowen ed<br />

eritroplasia <strong>di</strong> Queyrat, ed il carcinoma basocellulare.<br />

I tumori epiteliali non melanocitari della cute, con circa 80.000 nuovi casi all’anno,<br />

rappresentano il secondo gruppo <strong>di</strong> neoplasie più frequenti nell’uomo. La loro<br />

incidenza è pari a 55 nuovi casi su 100.000 in<strong>di</strong>vidui all’anno nella donna ed 85 nuovi<br />

casi su 100.000 in<strong>di</strong>vidui all’anno nell’uomo, con una mortalità dello 0.3-0.8% da<br />

ascrivere unicamente al carcinoma squamocellulare invasivo e metastatico.<br />

Carcinoma squamocellulare<br />

E’ il tumore epiteliale maligno invasivo della cute,<br />

pseudomucose e mucose. Il carcinoma<br />

squamocellulare, noto anche come carcinoma od<br />

epitelioma spinocellulare o spinalioma, insorge<br />

preferenzalmente su <strong>di</strong> una lesione precancerosa o<br />

come forma invasiva <strong>di</strong> iniziali carcinomi in situ. La<br />

sua incidenza è <strong>di</strong> 6/100.000 per le donne e <strong>di</strong> 12/100.000 per gli uomini in Europa<br />

che sale a 30-60/100.000 negli Stati Uniti ed Australia. Esposizione solare, ra<strong>di</strong>azioni<br />

ionizzanti, fototerapia, fotochemioterapia, processi infiammatori e degenerativi<br />

cronici della cute, esposizione a cancerogeni chimici, virus oncogeni,<br />

immunodepressione sono i fattori <strong>di</strong> rischio considerati nella patogenesi <strong>di</strong> questa<br />

neoplasia.<br />

L’aspetto della lesione varia in relazione alla fase <strong>di</strong> crescita. Inizialmente si<br />

presenta come un piccolo elemento papulo-nodulare cheratosico o verrucoso che,<br />

successivamente, assume l’aspetto <strong>di</strong> un nodulo duro esofitico, ulcerato spesso anche<br />

a carattere infiammatorio. Il rischio <strong>di</strong> metastasi varia ed è <strong>di</strong>pendente dalla sede,<br />

dal grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione, dalle <strong>di</strong>mensioni e dal tipo <strong>di</strong> lesione preesistente<br />

(carcinomi in situ, dermatosi infiammatorie o degenerative croniche). L’incidenza <strong>di</strong><br />

metastasi è più elevata nei carcinomi <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori ai 2cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro e<br />

4mm <strong>di</strong> spessore od in quelli che insorgono su ra<strong>di</strong>odermiti croniche o su cicatrici da<br />

ustioni, ovvero nelle se<strong>di</strong> <strong>di</strong> transizione tra cute e mucose, come labbra, pene e<br />

72


Tumori maligni della cute<br />

vulva. Nei carcinomi che insorgono su cute fotodanneggiata, l’incidenza <strong>di</strong> metastasi<br />

è bassa. L’incidenza <strong>di</strong> metastasi, prima ai linfono<strong>di</strong>, poi agli organi interni<br />

(polmone, pleura, fegato, scheletro, ecc.).varia a seconda della sede della neoplasia:<br />

se insorge sulla cute , infatti raramente da metastasi mentre se si sviluppa sulle<br />

mucose e nelle aree <strong>di</strong> passaggio cute-mucose metastatizza con alta frequenza con<br />

una sopravvivenza me<strong>di</strong>a a 5 anni pari al 20-25%.<br />

I carcinomi squamocellulari mostrano aspetti istologici non <strong>di</strong>fferenti da quelli insorti<br />

in altri organi. Si osserva una proliferazione <strong>di</strong> cheratinociti atipici che invadono il<br />

derma e mostrano in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione e cheratinizzazione <strong>di</strong>versi a seconda del<br />

grado <strong>di</strong> malignità. Diametro, spessore e livello <strong>di</strong> invasione costituiscono i fattori<br />

prognostici importanti.<br />

La terapia chirurgica costituisce l’atto terapeutico fondamentale che, nei tumori a<br />

basso rischio, assicura una risposta completa nel 95% dei casi. Maggiori <strong>di</strong>mensioni o<br />

se<strong>di</strong> ad alto rischio quali labbra, lingua, genitali, richiedono escissioni più ampie ed<br />

un attento controllo istologico. Ra<strong>di</strong>oterapia, infiltrazioni locoregionali con<br />

interferone -2b, retinoi<strong>di</strong> sistemici, possono essere proposti nei pazienti con elevato<br />

rischio operatorio.<br />

Cheratosi attiniche<br />

Il termine <strong>di</strong> cheratosi attinica o solare è giustificato<br />

dall’effetto mutageno sulla cute delle ra<strong>di</strong>azioni<br />

solari UVB (290-320 nm) che generano <strong>di</strong>meri <strong>di</strong><br />

timi<strong>di</strong>na con conseguenti mutazioni sia <strong>di</strong> telomerasi<br />

che <strong>di</strong> geni soppressivi tumorali quali il p53. Entrambi<br />

questi eventi contribuiscono alla trasformazione<br />

neoplastica dei cheratinociti. Le cheratosi attiniche, quali carcinomi in situ, sono<br />

potenziali precursori del carcinoma squamocellulare invasivo. Il rischio <strong>di</strong><br />

trasformazione è <strong>di</strong> circa l’1%. I fattori <strong>di</strong> rischio sono gli stessi del carcinoma<br />

squamocellulare: fototipo cutaneo basso (I-II secondo Fitzpatrick, dosi cumulative <strong>di</strong><br />

ra<strong>di</strong>azioni solari alle quali ci si è esposti nel corso della vita, sesso maschile ed età<br />

avanzata. Il rischio <strong>di</strong> progressione aumenta con l’aumentare del numero complessivo<br />

delle lesioni nel singolo paziente. Le lesioni appaiono come piccole papule o placche<br />

eritematose, spesso multiple e <strong>di</strong> forma irregolare, da 1 a 2.5cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione,<br />

sovrastate da una piccola squama aderente, localizzate pressoché esclusivamente in<br />

se<strong>di</strong> fotoesposte quali il viso, il cuoio capelluto dei soggetti calvi, il collo, il dorso<br />

delle mani, la superficie estensoria degli avambracci, meno frequentemente delle<br />

gambe. Istologicamente, le cheratosi attiniche mostrano una proliferazione <strong>di</strong><br />

73


Tumori maligni della cute<br />

cheratinociti atipici confinati nell’epidermide. Possono essere proposti sia<br />

trattamenti fisico-chirurgici, quali crioterapia, laserterapia, <strong>di</strong>atermocoagulazione<br />

superficiale, terapia foto<strong>di</strong>namica, che me<strong>di</strong>ci per uso topico, quali 5-fluorouracile,<br />

imiquimod al 5%, <strong>di</strong>clofenac ialuronato al 3%.<br />

Morbo <strong>di</strong> Bowen<br />

E’ un carcinoma squamocellulare in situ a tutto spessore dell’epidermide, più<br />

comune nei soggetti anziani ed in relazione non al fotodanneggiamento bensì alla<br />

presenza <strong>di</strong> ceppi virali oncogeni HPV. Ha l’aspetto <strong>di</strong> una chiazza o placca<br />

psoriasiforme od eczematoide ben delimitata, a lento accrescimento. Lo sviluppo <strong>di</strong><br />

infiltrazione, nodosità od ulcerazione deve far sospettare l’avvenuta invasione del<br />

derma da parte <strong>di</strong> cellule neoplastiche inizialmente <strong>di</strong>stribuite nel contesto <strong>di</strong> tutta<br />

l’epidermide. Asportazione chirurgica, crioterapia, elettrochirurgia, terapia<br />

foto<strong>di</strong>namica, applicazione topica <strong>di</strong> chemioterapici (5-fluorouracile) od<br />

immunomodulatori (imiquimod, interferone) possono essere variamente utilizzati<br />

per trattare la neoplasia.<br />

Eritroplasia <strong>di</strong> Queyrat<br />

E’ la forma <strong>di</strong> carcinoma squamocellulare in situ delle mucose o zone <strong>di</strong> transizione<br />

genitali od orali. Sembra rilevante il ruolo oncoge<strong>net</strong>ico dell’HPV 16 e 18. A<br />

<strong>di</strong>fferenza del morbo <strong>di</strong> Bowen, ha l’aspetto <strong>di</strong> una chiazza o placca eritematosa<br />

irregolare a limiti <strong>net</strong>ti, a superficie vellutata, e, viste le se<strong>di</strong> più a rischio, presenta<br />

una prognosi più insi<strong>di</strong>osa del morbo <strong>di</strong> Bowen. Sono attuabili le stesse procedure<br />

terapeutiche riferite per le altre forme <strong>di</strong> carcinomi in situ.<br />

Carcinoma basocellulare<br />

Il carcinoma basocellulare, noto anche come<br />

epitelioma basocellulare o basalioma, si ritiene che<br />

origini da cellule pluripotenti dell’epidermide, sia<br />

dello strato basale che della guaina epiteliale<br />

esterna del follicolo pilifero, e mostra un carattere<br />

solo localmente infiltrativo e <strong>di</strong>struttivo. La<br />

possibilità <strong>di</strong> metastasi è infatti un evento eccezionale (1:50.000). Un danno attinico<br />

cronico della cute, mutazioni <strong>di</strong> geni quali il PTCH (omologo del gene “patched”<br />

nella Drosophila) e p53, eventuale esposizione a sostanze cancerogene (arsenico,<br />

ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti), danni cutanei cronici, sono i più significativi fattori<br />

patoge<strong>net</strong>ici correlati al carcinoma basocellulare. E’ la neoplasia in assoluto più<br />

frequente nell’uomo e rappresenta il 75% dei tumori maligni della cute. La sua<br />

incidenza in Europa è <strong>di</strong> 40-80/10.000 e sale a 1600/10.000 in Australia. Il carcinoma<br />

74


Tumori maligni della cute<br />

basocellulare si presenta come una lesione papulosa o nodulare, con peculiare tinta<br />

cerea, spesso solcata da teleangectasie e delimitata da caratteristiche perle<br />

epiteliomatose. In relazione alla variante clinica e alla fase <strong>di</strong> crescita, si possono<br />

evidenziare aspetti nodulari, erosivo-ulcerativi a superficie crostosa, pigmentari,<br />

sclerodermiformi, e/o simil eczematoi<strong>di</strong>. Le forme cliniche sono quin<strong>di</strong> la nodulare,<br />

che è quella più frequente, la superficiale, la sclerodermiforme, la pigmentata, e<br />

l’ulcerativa. Sono possibili forme multiple nel 30% dei soggetti. La testa ed il collo<br />

sono le se<strong>di</strong> dove insorge più <strong>di</strong> frequente (85%) seguite dal tronco e dagli arti (15%).<br />

Eccezionalmente la neoplasia da metastasi, prima ai linfono<strong>di</strong>, poi agli organi interni.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista istopatologico l’aspetto più significativo è rappresentato dalla<br />

proliferazione <strong>di</strong> lobuli e trabecole <strong>di</strong> cellule basalioi<strong>di</strong>, simili per morfologia alle<br />

cellule basale dell’epidermide o delle guaine del follicolo pilifero, con caratteristica<br />

<strong>di</strong>sposizione a palizzata periferica, che dall’epidermide si affondano nel derma. Il<br />

grado <strong>di</strong> cheratinizzazione, inteso come la capacità delle cellule neoplastiche <strong>di</strong><br />

produrre cheratina, è in genere basso o nullo. Da segnalare un’evidente reazione<br />

dello stroma che circonda i lobuli neoplastici, evento che partecipa del basso grado<br />

<strong>di</strong> invasività del tumore. Aspetti istologici peculiari aggiuntivi sono da ricondurre alle<br />

<strong>di</strong>verse forme cliniche. La prognosi è buona e l’incidenza <strong>di</strong> reci<strong>di</strong>ve è pari al circa<br />

5%. La scelta della terapia <strong>di</strong>pende da <strong>di</strong>versi fattori quali <strong>di</strong>mesione, sede, variante<br />

anatomo-clinica, con<strong>di</strong>zioni del paziente, preferenza del paziente, manualità<br />

dell’operatore. L’asportazione chirurgica consente una guarigione del 98-99% con un<br />

adeguato controllo dei margini <strong>di</strong> asportazione. Terapia foto<strong>di</strong>namica, crioterapia,<br />

curettage ed elettrochirurgia, ra<strong>di</strong>oterapia, vengono impiegati con successo. Tra le<br />

terapie me<strong>di</strong>che proposte ricor<strong>di</strong>amo infiltrazioni locoregionali <strong>di</strong> interferone -2b,<br />

applicazioni topiche <strong>di</strong> 5-fluorouracile. Recentemente, nuove esperienze ancora<br />

sperimentali hanno proposto l’uso <strong>di</strong> imiquimod al 5%, tazarotene allo 0.1%,<br />

<strong>di</strong>clofenac ialuronato al 3%.<br />

IL MELANOMA<br />

Il melanoma è una neoplasia maligna che deriva<br />

dal melanocita e si localizza nella grande<br />

maggioranza dei casi a livello della cute, pur<br />

potendo originare in altre se<strong>di</strong> quali esofago,<br />

retto, meningi e uvea. L’incidenza del melanoma<br />

cutaneo sta aumentando significativamente in tutti<br />

i Paesi del mondo, pur avendo variazioni significative in relazione alla latitu<strong>di</strong>ne e<br />

alla razza. La prevalenza è <strong>di</strong> 45 casi per anno per 100.000 abitanti in Australia e<br />

75


Tumori maligni della cute<br />

Nuova Zelanda, mentre in Italia è <strong>di</strong> circa 5-7 casi per 100.000 abitanti per anno. La<br />

frequenza è estremamente bassa in Africa e in Asia. Il melanoma insorge più<br />

frequentemente tra la 4a e la 5a decade nella donna e tra la 5a e la 6a nell’uomo. I<br />

fattori <strong>di</strong> rischio in<strong>di</strong>viduali includono il fototipo I e II (soggetti con pelle chiara,<br />

occhi azzurro/ver<strong>di</strong> e capelli rossi/bion<strong>di</strong>, che al sole si scottano sempre e si<br />

abbronzano poco), presenza <strong>di</strong> un nevo congenito gigante, numero elevato <strong>di</strong> nevi,<br />

nevi clinicamente atipici, numerose lentiggini/efeli<strong>di</strong>, ed una storia personale e/o<br />

familiare <strong>di</strong> melanoma. L’esposizione alle ra<strong>di</strong>azioni ultraviolette (UV) ed in<br />

particolare le ustioni in età infantile rappresentano fattori ambientali pre<strong>di</strong>sponenti<br />

il cui ruolo è ormai accertato, mentre è ancora controversa la partecipazione <strong>di</strong><br />

alcuni cancerogeni chimici e/o l’assunzione <strong>di</strong> estrogeni. Nella maggioranza dei casi<br />

il melanoma insorge de novo su cute sana, mentre solo nel 10-30% dei soggetti<br />

insorge su un nevo pre-esistente. Inoltre, il melanoma può essere <strong>di</strong> tipo spora<strong>di</strong>co o,<br />

nel 10% circa dei casi, <strong>di</strong> tipo familiare. La classificazione più utilizzata nella pratica<br />

clinica è quella proposta da W. Clark, che prevede la sud<strong>di</strong>visione in lentigo maligna<br />

melanoma, melanoma a <strong>di</strong>ffusione superficiale, melanoma nodulare, melanoma<br />

acrale lentigginoso. Tutti i tipi <strong>di</strong> melanoma, con la sola eccezione del melanoma<br />

nodulare, sono caratterizzati da una fase <strong>di</strong> crescita orizzontale che può durare mesi<br />

o anni, seguita da una fase <strong>di</strong> crescita verticale. Durante la fase <strong>di</strong> crescita<br />

orizzontale le cellule melanocitarie atipiche proliferano esclusivamente all’interno<br />

dell’epidermide (melanoma in situ) e solo successivamente superano la membrana<br />

basale e si localizzano anche a livello del derma (melanoma invasivo). La lentigo<br />

maligna melanoma rappresenta circa il 10% <strong>di</strong> tutti i melanomi osservati, insorge più<br />

frequentemente in soggetti <strong>di</strong> sesso femminile <strong>di</strong> età superiore ai 60 anni, ed è<br />

associata all’esposizione cronica alle ra<strong>di</strong>azioni UV. Le se<strong>di</strong> preferenziali sono quelle<br />

fotoesposte ed includono il volto, il collo e le estremità superiori. La lesione cutanea<br />

si presenta come una macula o una placca <strong>di</strong> colore variegato, variabile dal marrone<br />

chiaro al marrone scuro al nero, a margini irregolari, variamente rilevata sul piano<br />

cutaneo, che tende a crescere lentamente <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni. Nel tempo, nel contesto<br />

della lesione possono insorgere papule e noduli, suggestivi della crescita verticale<br />

della neoplasia associata ad una maggiore aggressività. Inoltre, la lesione può<br />

contenere aree <strong>di</strong> colore rosso e/o aree bianco/bluastre in<strong>di</strong>cative rispettivamente <strong>di</strong><br />

neovascolarizzazione e <strong>di</strong> regressione. Il melanoma a <strong>di</strong>ffusione superficiale è la<br />

forma più frequente nella popolazione caucasica costituendo il 50-70% <strong>di</strong> tutti i<br />

melanomi, e sembra essere associato all’esposizione intermittente alle ra<strong>di</strong>azioni UV.<br />

L’incidenza è più elevata nella 5a decade <strong>di</strong> vita, in soggetti <strong>di</strong> sesso femminile. Le<br />

76


Tumori maligni della cute<br />

se<strong>di</strong> più frequentemente coinvolte sono il dorso nei maschi e gli arti inferiori nelle<br />

femmine. Dal punto <strong>di</strong> vista clinico si manifesta come una placca <strong>di</strong> colore<br />

marrone/nero, forma e bor<strong>di</strong> irregolari, e <strong>di</strong>mensioni variabili da pochi millimetri a<br />

numerosi centimetri. In alcuni casi, la lesione può presentare aree <strong>di</strong> colore rosso,<br />

e/o bianco/bluastre, e ulcerazione spontanea. La fase <strong>di</strong> crescita orizzontale ha una<br />

durata variabile da mesi ad anni, mentre la fase <strong>di</strong> crescita verticale è caratterizzata<br />

dalla comparsa <strong>di</strong> papule e/o noduli. Il melanoma nodulare costituisce il 15-35% <strong>di</strong><br />

tutti i melanomi riscontrati in soggetti caucasici. Si tratta <strong>di</strong> una neoplasia che si<br />

presenta come un nodulo d’emblée ed è caratterizzata da un’elevata aggressività<br />

biologica e prognosi sfavorevole. Insorge più frequentemente in soggetti <strong>di</strong> sesso<br />

maschile, tra i 30 e i 40 anni, a livello del dorso, regione testa/collo ed estremità.<br />

Nella maggioranza dei casi la lesione è <strong>di</strong> colore variabile dal marrone chiaro al<br />

marrone scuro/nero, talora ulcerata In alcune evenienze, la lesione può assumere un<br />

colore rosa-rossastro o essere parzialmente o totalmente acromica. Il melanoma<br />

acrale lentigginoso è una forma clinica più frequente in soggetti <strong>di</strong> razza asiatica,<br />

mentre rappresenta il 5-10% dei melanomi negli in<strong>di</strong>vidui caucasici. Le se<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

localizzazione comprendono i palmi delle mani, le piante dei pie<strong>di</strong> e le regioni<br />

subungueali. Anche in questo tipo <strong>di</strong> melanoma la lesione consiste, nelle fasi iniziali,<br />

in una placca asimmetrica, <strong>di</strong> colore marrone/nero e bor<strong>di</strong> irregolari, mentre nelle<br />

fasi tar<strong>di</strong>ve si ha la comparsa <strong>di</strong> papule e/o noduli. Altre forme <strong>di</strong> melanoma, <strong>di</strong> più<br />

raro riscontro, comprendono: 1) il melanoma mucoso, che pur presentando aspetti<br />

clinici tipici è, proprio in relazione alla sede d’insorgenza, generalmente<br />

<strong>di</strong>agnosticato in fase tar<strong>di</strong>va e associato ad una prognosi sfavorevole; 2) il melanoma<br />

dei tessuti molli, generalmente asintomatico, che si manifesta come una massa<br />

sottocutanea localizzata in corrispondenza <strong>di</strong> ten<strong>di</strong>ni, aponeurosi e fasce muscolari;<br />

3) il melanoma desmoplastico, che si presenta come un nodulo duro, spesso<br />

amelanotico, localizzato al volto, e caratterizzato da una prognosi sfavorevole; 4) il<br />

melanoma su nevo blu cellulare, che insorge su un nevo blu pre-esistente, localizzato<br />

generalmente al cuoio capelluto. Le <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong>fferenziali cliniche del melanoma<br />

includono più frequentemente il nevo melanocitico, ed in particolare il nevo <strong>di</strong> Clark,<br />

il nevo <strong>di</strong> Spitz/Reed, il nevo blu e il nevo persistente, il carcinoma basocellulare<br />

pigmentato e, raramente, il granuloma piogenico e la cheratosi seborroica. Alcune<br />

caratteristiche cliniche quali asimmetria della lesione, bor<strong>di</strong> irregolari, colore<br />

variegato e superficie irregolarmente rilevata sono altamente in<strong>di</strong>cative <strong>di</strong> lesione<br />

melanocitaria sospetta o maligna. L’analisi dermatoscopica della lesione cutanea<br />

permette inoltre <strong>di</strong> evidenziare alcuni criteri non visibili ad occhio nudo (e.g. rete<br />

77


Tumori maligni della cute<br />

pigmentata atipica, punti/globuli irregolari e strutture <strong>di</strong> regressione) e <strong>di</strong> stabilire la<br />

<strong>di</strong>agnosi definitiva <strong>di</strong> melanoma. Tale meto<strong>di</strong>ca, ormai <strong>di</strong>ffusamente utilizzata nella<br />

pratica clinica, ha permesso <strong>di</strong> aumentare ulteriormente l’accuratezza della <strong>di</strong>agnosi<br />

clinica <strong>di</strong> melanoma consentendo <strong>di</strong> stabilire la <strong>di</strong>agnosi definitiva in una fase sempre<br />

più precoce. L’esame istopatologico rappresenta tuttavia l’indagine fondamentale al<br />

fine <strong>di</strong> stabilire o confermare la <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> melanoma. Gli aspetti istopatologici<br />

caratteristici includono la presenza <strong>di</strong> una lesione asimmetrica e mal circoscritta<br />

costituita da melanociti atipici, singoli o raggruppati in teche, <strong>di</strong> forma e <strong>di</strong>mensioni<br />

irregolari e non equi<strong>di</strong>stanti tra loro, localizzati all’interno dell’epidermide e nel<br />

derma. Un aspetto tipico importante ai fini <strong>di</strong>agnostici è la presenza <strong>di</strong> melanociti<br />

atipici singoli in tutti gli strati dell’epidermide. Lo spessore <strong>di</strong> Breslow, calcolato con<br />

apposito micrometro applicato al microscopio, ed il livello <strong>di</strong> invasione (livello <strong>di</strong><br />

Clark) sono gli aspetti istopatologici più importanti per stabilire la prognosi. Una<br />

volta formulata la <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> melanoma e misurato lo spessore <strong>di</strong> Breslow, il<br />

paziente deve essere sottoposto a sta<strong>di</strong>azione completa al fine <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

eventuali metastasi a livello degli organi interni. La sta<strong>di</strong>azione della malattia<br />

prevede l’esecuzione <strong>di</strong> indagini <strong>di</strong> laboratorio (e.g. emocromo e funzionalità<br />

epatica) e strumentali (RX o TC, in relazione allo spessore e alla sede del melanoma).<br />

Recentemente, la biopsia del linfonodo sentinella è stata introdotta quale meto<strong>di</strong>ca<br />

<strong>di</strong> routine per la sta<strong>di</strong>azione del melanoma. I <strong>di</strong>versi sta<strong>di</strong> della malattia vengono<br />

attualmente classificati secondo i criteri proposti dall’AJCC (American Joint<br />

Committee of Cancer). Il melanoma metastatizza in prima istanza per via linfatica,<br />

prevalentemente ai linfono<strong>di</strong> loco-regionali <strong>di</strong> drenaggio della sede del melanoma<br />

primitivo ed in seguito per via ematica coinvolgendo, in or<strong>di</strong>ne decrescente <strong>di</strong><br />

frequenza, polmone, fegato, encefalo e apparato scheletrico. Il melanoma<br />

<strong>di</strong>agnosticato in una fase molto precoce (melanoma in situ) è curabile con la sola<br />

asportazione chirurgica. Al contrario, in una fase avanzata non esiste purtroppo<br />

alcuna polichemioterapia né terapie chirurgiche in grado <strong>di</strong> curare il melanoma. E’<br />

pertanto fondamentale ricordare che il melanoma è, tra tutti i tumori, quello più<br />

facilmente in<strong>di</strong>viduabile in una fase precoce perché insorge in un organo che è<br />

visibile a tutti, ed è, in virtù <strong>di</strong> questo, che oggigiorno nessuno dovrebbe morire più<br />

<strong>di</strong> melanoma.<br />

78


Emangioma<br />

Anomalie vascolari<br />

ANOMALIE VASCOLARI<br />

Gli emangiomi si manifestano tipicamente nel periodo neonatale ovvero nelle prime<br />

2 settimane <strong>di</strong> vita mentre quelli profon<strong>di</strong> sottocutanei o quelli viscerali più<br />

tar<strong>di</strong>vamente (2-3 mesi). Circa il 30-40% delle lesioni sono presenti alla nascita con<br />

un segno cutaneo premonitore, che può essere una macchia pallida appena visibile<br />

("nevo anemico"), una chiazza rossa telangiectasica o<br />

maculare o una macchia ecchimotica. Circa 1'80%<br />

delle neoformazioni crescono come lesione singola,<br />

mentre il 20% prolifera in siti multipli: sono più<br />

frequenti nel sesso femminile rispetto al sesso<br />

maschile (3-5:1). Gli emangiomi crescono<br />

rapidamente durante le prime 6-8 settimane <strong>di</strong> vita: quando la neoformazione<br />

pe<strong>net</strong>ra nel derma superficiale la cute <strong>di</strong>venta sollevata, bozzoluta e <strong>di</strong> colore<br />

cremisi. Sono spesso presenti vene drenanti locali, secondo una schema tipico<br />

ra<strong>di</strong>ale. Esistono pochi elementi in<strong>di</strong>catori durante la fase <strong>di</strong> proliferazione precoce<br />

che possono pre<strong>di</strong>re il volume massimo della lesione o pronosticare l'esito<br />

dell'involuzione: in genere l'emangioma raggiunge il massimo <strong>di</strong> proliferazione entro<br />

il primo anno con un incremento volumetrico proporzionato allo sviluppo corporeo<br />

fino alla comparsa dei primi segni <strong>di</strong> involuzione. La fase involutiva generalmente si<br />

prosegue fino ai 5-10 anni <strong>di</strong> vita e me<strong>di</strong>amente si completa entro 5-7. L’emangioma<br />

proliferativo è costituito da cellule endoteliali chiare, in rapida <strong>di</strong>visione. Con la<br />

regressione, l'attività endoteliale <strong>di</strong>minuisce gradualmente e le cellule si<br />

appiattiscono e maturano. I mastociti compaiono nella fase <strong>di</strong> proliferazione tar<strong>di</strong>va<br />

e nella fase <strong>di</strong> involuzione precoce e interagiscono con i macrofagi, i fibroblasti ed<br />

altri tipi <strong>di</strong> cellule. Al microscopio ottico, l'involuzione e caratterizzata da una<br />

progressiva deposizione <strong>di</strong> tessuto fibroso a livello perivascolare e<br />

interlobulare/intralobulare. Nella fase involutiva è ancora presente la membrana<br />

basale multilaminata, segno <strong>di</strong>stintivo ultrastrutturale <strong>di</strong> una lesione nella fase<br />

proliferativa. II concetto che la neoformazione sia "angiogenesi <strong>di</strong>pendente",<br />

proposto per la prima volta da Folkman negli anni '70, permette <strong>di</strong> comprenderne a<br />

fondo il ciclo <strong>di</strong> vita.<br />

79


Anomalie vascolari<br />

Le molecole angiogeniche agiscono sulle cellule endoteliali e sui periciti per iniziare<br />

la formazione del <strong>net</strong>work capillare. Normalmente questo processo è strettamente<br />

regolato dai soppressori della crescita endoteliale cosi che la struttura<br />

microvascolare viene mantenuta allo stato quiescente. Stu<strong>di</strong> preliminari in<strong>di</strong>cano che<br />

il fattore <strong>di</strong> crescita basico dei fibroblasti (bFGF), un peptide angiogenico, è elevato<br />

nelle urine dei neonati con emangiomi proliferativi. Successivamente i livelli urinari<br />

<strong>di</strong> bFGF <strong>di</strong>minuiscono su valori normali durante il periodo <strong>di</strong> involuzione normale o <strong>di</strong><br />

regressione accelerata indotta dalla terapia antiangiogenica. Le fasi cliniche del ciclo<br />

<strong>di</strong> vita <strong>di</strong> un emangioma possono essere confermate dai markers cellulari<br />

immunoistochimici. Un'angiogenesi up-regolata viene documentata, da un punto <strong>di</strong><br />

vista biochimico, dall'espressione dell'antigene nucleare <strong>di</strong> proliferazione cellulare,<br />

che risulta essere me<strong>di</strong>ata in parte da due pepti<strong>di</strong> angiogenici: il fattore <strong>di</strong> crescita<br />

endoteliale vascolare (VEGF) ed il bFGF. Anche la<br />

collagenasi <strong>di</strong> tipo IV è presente negli emangiomi<br />

proliferativi, suggerendo che la <strong>di</strong>struzione del<br />

collagene è necessaria per assicurare lo spazio allo<br />

sviluppo dei capillari. L'endotelio in crescita,<br />

alternativamente, potrebbe essere un segnale per il<br />

flusso dei mastociti e per l'induzione autocrina degli inibitori tissutali delle<br />

metalloproteinasi (TIMP-1), soppressori della formazione <strong>di</strong> nuovi vasi sanguigni. I<br />

mastociti possono secernere modulatori che riducono l'emangiogenesi. Con l'avvento<br />

della fase involutiva, l'endotelio <strong>di</strong>venta senescente ed il parenchima, una volta con<br />

molti elementi cellulari, viene sostituito dal tessuto fibroso e a<strong>di</strong>poso. La maggior<br />

parte delle lesioni sono <strong>di</strong>agnosticabili con l’anamnesi e con l’esame fisico ma un<br />

emangioma profondo, della regione del collo o del tronco, può essere confuso con<br />

una malformazione linfatica (LM) e dunque necessita <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong>agnostici più<br />

sofisticati come l'ultrasuonografia e la risonanza mag<strong>net</strong>ica. L’emangioma congenito<br />

si presenta rilevato e <strong>di</strong> colore rosso-violaceo con un alone periferico pallido ma può<br />

essere confuso con altre patologie clinicamente simili come la malformazione<br />

capillare (macchia <strong>di</strong> vino) ed arterovenosa, il granuloma piogenico, l' angioblastoma<br />

<strong>di</strong> Nakagawa (angioma a glomerulo), le anomalie venose o linfatiche, il glioma ed il<br />

sarcoma infantile. L’emangioma cervico-facciale può essere accompagnato da<br />

<strong>di</strong>sturbi oculari (microftalmia, cataratta congenita, ipoplasia del nervo ottico), non<br />

unione sternale, rafe sopraombelicale, arterie embrionali persistenti intra ed extra<br />

craniali, assenza <strong>di</strong> vasi ipsolaterali carotidei/vertebrali, costrizione del lato destro<br />

dell'arco aortico, <strong>di</strong>latazione del sifone carotideo e malformazione <strong>di</strong> Dandy-Walker o<br />

80


Anomalie vascolari<br />

altri <strong>di</strong>fetti della cavità posteriore. L'emangioma lombosacrale è una delle <strong>di</strong>fferenti<br />

lesioni ectodermiche come l’ ipertricosi ("macchia pelosa"), la malformazione<br />

capillare (chiazza <strong>di</strong> vino), l’ acordoma ("coda fulva") e la fossetta sacrale (seno), che<br />

segnalano un <strong>di</strong>srafismo spinale occulto sottostante (lipomeningocele, colonna legata<br />

e <strong>di</strong>astematomielia). Circa il 20% degli emangiomi sono gravati da complicanze gravi<br />

come l’ulcerazione, la necrosi, la <strong>di</strong>storsione dei tessuti coinvolti, l’ostruzione <strong>di</strong> una<br />

struttura vitale come l'occhio o della regione sottoglottidea ma solo l'1% sono<br />

pericolose per la vita come la <strong>di</strong>versione del flusso sanguigno attraverso un<br />

emangioma esteso in grado <strong>di</strong> determinare un'insufficienza car<strong>di</strong>aca ad alta energia o<br />

il fenomeno <strong>di</strong> Kasabach-Merritt (variante a cellule affusolate tipo Kaposi con<br />

intrappolamento delle piastrine). La necrosi, la <strong>di</strong>storsione e l'ostruzione sono<br />

possibili nelle lesioni cervico-facciali così come la forma orbito-palpebrale può<br />

bloccare l’asse visivo con ambliopia da deprivazione o anomalie <strong>di</strong> crescita della<br />

cornea (ambliopia astigmatica). Dal punto <strong>di</strong> vista terapeutico un emangioma<br />

cutaneo ben localizzato, può essere trattato con corticosteroi<strong>di</strong> per via intralesionale<br />

(triamcinolone) o sistemica (prednisone, prednsolone). Con l'uso <strong>di</strong> corticosteroi<strong>di</strong><br />

per via orale, endovena o per via intralesionale, il 30% delle neoformazioni mostra<br />

una regressione accelerata, il 40% risponde in maniera equivoca (risposta <strong>di</strong><br />

stabilizzazione) ed il 30% non risponde affatto. L'interferone alfa-2 (IFN)<br />

ricombinante è un nuovo presi<strong>di</strong>o terapeutico per il trattamento <strong>di</strong> emangiomi ad<br />

alto rischio da utilizzare con prudenza e con precise in<strong>di</strong>cazioni come: mancata<br />

risposta ai corticosteroi<strong>di</strong>, controin<strong>di</strong>cazioni ad un uso prolungato <strong>di</strong> corticosteroi<strong>di</strong>,<br />

complicanze durante il trattamento corticosteroideo, rifiuto da parte dei genitori<br />

alla somministrazione <strong>di</strong> corticosteroi<strong>di</strong>. Il dosaggio empirico dell'IFN è <strong>di</strong> 2-3 milioni<br />

<strong>di</strong> unita/m2 con una iniezione giornaliera sottocutanea. La chirurgia, infine, è una<br />

meto<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> scelta non solo negli emangiomi localizzati o peduncolati ma talvolta<br />

anche nelle forme estese mentre la fotocoagulazione con il laser riveste<br />

esclusivamente un ruolo <strong>di</strong> terapia complementare.<br />

Malformazioni vascolari<br />

Le malformazioni vascolari sono errori <strong>di</strong> sviluppo embrionale. Possono essere<br />

sud<strong>di</strong>vise in base al tipo predominante <strong>di</strong> vasi ed alle caratteristiche del flusso:<br />

1. malformazioni capillari (MC) flusso lento=capillare e telangiectasie;<br />

2. malformazioni linfatiche (ML);<br />

3. malformazioni venose (MV);<br />

4. malformazioni arterovenose (MAV), flusso veloce=arterioso e arterovenoso.<br />

81


Anomalie vascolari<br />

La patogenesi delle malformazioni vascolari non è completamente chiarita ed è<br />

ancora coperta da consunti eponimi e teorie non <strong>di</strong>mostrate circa il possibile ruolo<br />

della pressione e del flusso sulla morfogenesi vascolare ("leggi" <strong>di</strong> Thoma) ma la<br />

ge<strong>net</strong>ica molecolare sta progressivamente definendo il complesso iter evolutivo e la<br />

terminologia molecolare sta rimpiazzando la designazione dei vecchi termini. Sono<br />

conosciuti i geni per due patologie recessive da deficienze enzimatiche che si<br />

presentano con papule cutanee vascolari: la fucosidosi autosomica e la sindrome <strong>di</strong><br />

Fabry legata al cromosoma sessuale. Uno dei geni responsabili della telangiectasia<br />

emorragica ere<strong>di</strong>taria (morbo <strong>di</strong> Rendu-Osler-Weber) è localizzato sul cromosoma 9q<br />

(Endoglin) e co<strong>di</strong>fica per una glicoproteina endoteliale che lega, trasformandolo, il<br />

fattore <strong>di</strong> crescita beta.<br />

Diversi geni <strong>di</strong>fettosi, che producono chinasi simili ai fosfoinositoli, provocano ataxia-<br />

telangiectasica (sindrome <strong>di</strong> Louis-Bar). Un tipo familiare <strong>di</strong> malformazione multipla<br />

venosa mucocutanea è riscontrabile sul cromosoma 9p mentre quella per le anomalie<br />

venose intracraniche familiari si trova sul cromosoma 7q. Ognuna delle quattro<br />

sottocategorie delle malformazioni vascolari ha un aspetto istopatologico specifico.<br />

Un endotelio piatto, quiescente e allineato è una caratteristica comune a tutte le<br />

anomalie vascolari <strong>di</strong>smorfiche. La malformazione capillare (MC) comprende vasi<br />

uniformi, ectasici, con le pareti sottili e con <strong>di</strong>mensioni che variano da quelle dei<br />

capillari a quelle delle venule, localizzati nel derma papillare al <strong>di</strong> sopra del reticolo.<br />

Elementi neurali perivascolari insufficienti possono essere la causa <strong>di</strong> un'alterata<br />

modulazione neurale del tono vascolare e dell'ectasia progressiva caratterizzante<br />

queste anomalie. La malformazione linfatica (ML) ha pareti <strong>di</strong> spessore variabile, che<br />

includono sia la muscolatura liscia che quella striata, con un accumulo nodulare <strong>di</strong><br />

linfociti nello stroma del tessuto con<strong>net</strong>tivo mentre quella venosa (MV) presenta<br />

pareti sottili con isole irregolari <strong>di</strong> muscolatura liscia. I <strong>net</strong>work venosi <strong>di</strong>splastici<br />

drenano verso le vene a<strong>di</strong>acenti, molte delle quali sono varicose e carenti <strong>di</strong> valvole.<br />

La malformazione linfaticovenosa (MLV) combinata compare in modo particolare<br />

nella regione craniofacciale. Le arterie nella MAV istologicamente si <strong>di</strong>mostrano<br />

<strong>di</strong>splastiche e costituite da pareti fibromuscolari ispessite, lamina elastica<br />

frammentata e stroma fibrotico. Le vene in una MAV immatura<br />

appaiono "arterializzate" (iperplasia muscolare reattiva) a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> una MAV matura nella quale i vasi evidenziano una<br />

fibrosi degenerativa ed un'atrofia muscolare. Nessuna delle<br />

malformazioni vascolari produce markers immunoistochimici<br />

dell'angiogenesi (VEGF e bFGF) o collagenasi <strong>di</strong> tipo IV.<br />

82


Malformazioni capillari ("Macchia <strong>di</strong> vino")<br />

Anomalie vascolari<br />

La malformazione capillare clinicamente è una macchia vascolare a chiazze, <strong>di</strong><br />

colore rosso presente alla nascita, persistente per tutta la vita e localizzata sulla<br />

faccia, sul tronco o sugli arti. La MV deve essere <strong>di</strong>fferenziata dal nevus flammeus<br />

neonatorum che compare nel 50% dei neonati a livello della glabella, delle palpebre,<br />

del naso, del labbro superiore ("bacio d'angelo") e dell'area della nuca ("morso <strong>di</strong><br />

cicogna"). La maggior parte delle MC sono innocue ma alcune sono segnali <strong>di</strong><br />

pericolo ed espressioni <strong>di</strong> patologie <strong>di</strong> rilevante gravità. La sindrome <strong>di</strong> Sturge-Weber<br />

comprende la MC facciale associata ad anomalie vascolari oculari e ipsolaterali della<br />

pia madre. Le <strong>di</strong>splasie vascolari della leptomeninge possono causare emiplegia<br />

controlaterale e ritardo variabile nello sviluppo della capacità motoria e cognitiva..<br />

Si possono osservare calcificazioni piriformi degli strati esterni della corteccia<br />

cerebrale, tipicamente nel lobo temporale ed in quello occipitale; queste alterazioni<br />

sono probabilmente secondarie ad una circolazione anomala. I bambini, che<br />

mostrano un aumento ipsolaterale della vascolarità coroidale, sono a rischio <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stacco della retina, <strong>di</strong> glaucoma e <strong>di</strong> cecità, più probabile se la MC coinvolge anche<br />

le aree neurosensoriali V1 e V2. La MC facciale è incline a scurirsi ed è probabile che<br />

possa sviluppare alterazioni iperplastiche nella cute. Si possono manifestare noduli<br />

ispessiti <strong>di</strong> color porpora nell'adolescenza; a qualsiasi età può comparire un<br />

granuloma piogenico. Curiosamente, queste alterazioni cutanee si verificano molto<br />

raramente a livello del tronco e degli arti. La MC facciale è talvolta associata<br />

all'ipertrofia dei tessuti molli e dello scheletro sottostante mentre labbra gengive si<br />

ingrossano a livello delle aree delle chiazze vascolari. Una MC estesa a livello <strong>di</strong> un<br />

arto è associata ad una ipertrofia assiale e trasversale, spesso presente alla nascita.<br />

Le varicosità venose non si sviluppano durante l'infanzia e l'ipertrofia dell'arto, se<br />

presente, <strong>di</strong> solito non peggiora durante la crescita. Le malformazioni capillari<br />

dell'arto possono far parte <strong>di</strong> anomalie vascolari complesso-combinate, come la<br />

sindrome <strong>di</strong> Klippel-Trenaunay e quella <strong>di</strong> Parkes Weber. La MC cefalica sulla linea<br />

me<strong>di</strong>ale può in<strong>di</strong>care la presenza <strong>di</strong> un encefalocele occipitale sottostante così come<br />

quella dorsale può segnalare la presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>srafismo spinale cervicale o<br />

lombosacrale. La malformazione capillare associata con un nevo pigmentato (più<br />

comune nei neonati giapponesi e <strong>di</strong> razza nera) viene definita “phacomatosis<br />

pigmentovascularis” e suggerisce un <strong>di</strong>fetto comune nella migrazione delle cellule<br />

della cresta neurale. Per il trattamento della MC viene utilizzato con successo il laser<br />

pulsato con risultati migliori nel periodo neonatale e nell'infanzia ed uno<br />

schiarimento significativo nel 70-80% dei pazienti. L'ipertrofia dei tessuti molli e<br />

83


Anomalie vascolari<br />

dello scheletro necessita <strong>di</strong> strategie chirurgiche: la resezione del contorno per la<br />

macrochilia risulta molto efficace mentre la correzione ortognatica è in<strong>di</strong>cata per<br />

l'eccesso mascellare verticale asimmetrico o per il prognatismo man<strong>di</strong>bolare. In casi<br />

rari, è necessaria l'escissione <strong>di</strong> un'intera unità estetica facciale.<br />

Telangiectasia congenita della cute marmorata (sindrome <strong>di</strong> Van Lohuizen)<br />

La sindrome <strong>di</strong> Van Lohuizen è caratterizzata da un <strong>net</strong>work vascolare cutaneo<br />

reticolato, serpiginoso, depresso e <strong>di</strong> colore blu-violetto. Le lesioni si sviluppano<br />

secondo una <strong>di</strong>stribuzione segmentata o localizzata, raramente generalizzata. Le<br />

regioni più comunemente coinvolte sono il tronco e le estremità. Possono essere<br />

presenti ulcerazione congenita e atrofia della cute coinvolta. La biopsia rivela una<br />

<strong>di</strong>latazione dei capillari e delle vene del derma e talvolta laghi venosi con pareti<br />

sottili negli strati sottocutanei. La con<strong>di</strong>zione migliora soprattutto dopo il primo anno<br />

<strong>di</strong> vita ma persistono l'atrofia cutanea, la colorazione vascolare e l'ectasia venosa. La<br />

patologia dovrebbe essere <strong>di</strong>fferenziata da una situazione accentuata <strong>di</strong> vascolarità<br />

cutanea normale chiamata "cutis marmorata o livedo reticularis".<br />

Telangiectasia essenziale generalizzata<br />

L’insorgenza <strong>di</strong> questa malformazione e molto variabile:<br />

può comparire prima della pubertà ma più frequentemente<br />

si manifesta nella IV-VI decade della vita con una<br />

prevalenza per il sesso femminile (2:1). Le lesioni primarie<br />

sono a forma <strong>di</strong> spillo e <strong>di</strong> macchie vascolari rosso-porpora<br />

raccolte in gruppi sugli arti inferiori, con uno sviluppo<br />

prossimale e, progressivamente, <strong>di</strong>sposte a formare strati <strong>di</strong> telangiectasie<br />

variamente intrecciate. Il trattamento con il laser a luce pulsata è relativamente<br />

efficace. La telangiectasia emorragica ere<strong>di</strong>taria, o sindrome <strong>di</strong> Rendu-Osler-Weber,<br />

compare in 1-2 casi ogni 100.000 nati vivi comprende un gruppo <strong>di</strong> patologie<br />

autosomiche con lo stesso fenotipo causato da <strong>di</strong>versi geni e specificate da una<br />

<strong>di</strong>splasia vascolare multisistemica con emorragie ricorrenti. La forma omozigote è<br />

letale. Clinicamente la malattia può manifestarsi nell'infanzia ma più comunemente<br />

dopo la pubertà con maculopapule <strong>di</strong> colore rosso chiaro, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1-4mm, a<br />

livello della faccia, della lingua, delle labbra, della mucosa nasale ed orale, della<br />

congiuntiva, del lato palmare delle <strong>di</strong>ta e del letto ungueale, delle muscose interne e<br />

dei visceri. L'epistassi è la sintomatologia più comune ma sono possibili anche<br />

ematemesi, ematuria o melena ed emorragie del sistema nervoso centrale. In alcune<br />

forme si sviluppano malformazioni arterovenose, soprattutto a livello del cervello,<br />

della spina dorsale, del fegato e dei polmoni.<br />

84


Atassia-telangiectasia<br />

Anomalie vascolari<br />

L'atassia-telangiectasica è un <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne neurovascolare autosomico recessivo<br />

ere<strong>di</strong>tario che compare dai 3 ai 6 anni <strong>di</strong> vita. Il quadro clinico presenta a<br />

considerare telengectasie rosso-vivido che insorgono prima sull'area nasale e<br />

temporale della congiuntiva bulbare e successivamente sul volto, sul collo, sul torace<br />

e sulla superficie flessoria dell'avambraccio. Anche l'atassia cerebellare inizia nella<br />

seconda infanzia con una progressiva degenerazione neuromotoria. Questi pazienti<br />

hanno una <strong>di</strong>sfunzione endocrina, instabilità cromosomica, deficienza immunologica<br />

e ritardo <strong>di</strong> crescita. La morte <strong>di</strong> solito avviene nella seconda decade della vita a<br />

causa <strong>di</strong> infezioni polmonari ricorrenti e bronchiectasia o per un tumore maligno<br />

linforeticolare.<br />

Malformazioni linfatiche<br />

Le malformazioni linfatiche possono essere <strong>di</strong>stinte in forme microcistiche,<br />

macrocistiche o combinate mentre la vecchia terminologia li definiva "linfangioma"<br />

(ML microcistica), "igroma cistico" (ML macrocistica) e si propongono con vescicole<br />

<strong>di</strong>splastiche o tasche riempite con fluido linfatico. Le ML si manifestano alla nascita,<br />

o in epoche successive e non hanno tendenza alla regressione ma si espandono o si<br />

contraggono a seconda del flusso/riflusso del liquido linfatico, <strong>di</strong> fenomeni<br />

infiammatori, <strong>di</strong> sanguinamenti intralesionali. I vasi linfatici <strong>di</strong>latati anomali nella<br />

cute e nella mucosa si presentano come vescicole. Le ML del collo, della fronte e<br />

dell'orbita sono spesso forme miste, micro e macrocistica, con asimmetria facciale,<br />

<strong>di</strong>storsione dei lineamenti, ipertrofia dei tessuti ossei e dei tessuti molli. La ML è la<br />

base più comune per la macrocelia, la macroglossia, la microtia e la macromelia. La<br />

crescita eccessiva della man<strong>di</strong>bola si manifesta come malocclusione, con morso<br />

aperto anteriore o occlusione <strong>di</strong> classe III. Una lingua ingrossata, coperta <strong>di</strong><br />

vescicole, rende <strong>di</strong>fficoltoso il linguaggio ed è complicata da infezioni ricorrenti,<br />

edema, sanguinamento, scarsa igiene dentale e carie. La LM micro-macrocistica della<br />

regione cervico-facciale può causare ostruzione delle vie respiratorie mentre la<br />

cervico-ascellare coinvolge comunemente il torace ed il me<strong>di</strong>astino con possibile<br />

soffusione pleurica e polmonare ricorrente. Una malformazione linfatica estesa a<br />

livello <strong>di</strong> un arto inferiore è associata a linfedema, <strong>di</strong>storsione scheletrica ed<br />

ipertrofia, la forma pelvica manifesta linfangectasia perineale e quella viscerale<br />

("linfangiomatosi") può indurre ipoalbuminemia secondaria ad una enteropatia.<br />

Qualsiasi infezione virale o batterica può provocare una infiammazione/infezione<br />

della ML: antibiotici anche a dosi massicce e farmaci antinfiammatori non steroidei<br />

rappresentano la terapia <strong>di</strong> scelta poiché il rischio <strong>di</strong> una setticemia è presente per<br />

85


Anomalie vascolari<br />

tutta la vita. Cisti ampie possono essere trattate aspirando il liquido linfatico e<br />

iniettando agenti sclerosanti mentre le ML cutanee, circoscritte e ben definite<br />

("lymphangioma circumscriptum") possono giovarsi del trattamento chirurgico.<br />

Malformazioni venose<br />

Le malformazioni venose sono presenti alla nascita ma non sono sempre evidenti. Le<br />

MV, spesso impropriamente denominate "emangioma cavernoso", sono patologie<br />

ere<strong>di</strong>tarie, a lento accrescimento, singole o multiple, cutanee e/o viscerali. Queste<br />

anomalie a flusso lento si manifestano, come macchie bluastre o masse vascolari blu<br />

chiaro, sulla faccia, sugli arti o sul tronco in forme<br />

localizzate o estese, lievi o deformanti. La<br />

glomangiomatosi familiare, ad esempio, è una<br />

sindrome dominante autosomica che si manifesta con<br />

lesioni venose dermiche nodulari blu che possono<br />

comparire dovunque sulla cute: istologicamente, si<br />

<strong>di</strong>fferenziano dalle tipiche MV per la presenza <strong>di</strong> numerose cellule del glomo che<br />

fiancheggiano i vasi venosi ectasici. La MV cutaneo-mucosale familiare è anch’essa<br />

ere<strong>di</strong>taria in modo autosomico dominante mentre la sindrome <strong>di</strong> Bean è una<br />

combinazione rara <strong>di</strong> anomalie cutanee e viscerali. La malformazione venosa cranio-<br />

facciale è <strong>di</strong> solito unilaterale e produce un effetto <strong>di</strong> massa responsabile <strong>di</strong> una<br />

marcata asimmetria facciale, enoftalmia/esoftalmia (MV intraorbitaria) mentre<br />

quella orale coinvolge, in modo caratteristico, la lingua, il palato e l'orofaringe, con<br />

deformità nell’allineamento dentale. Le MV della faringe e della laringe<br />

comunemente evolvono verso un'apnea ostruttiva durante il sonno. Le MV degli arti<br />

inferiori possono interessare solo la cute o estendersi ai muscoli, alle articolazioni ed<br />

alle ossa ma raramente producono una <strong>di</strong>smetria sebbene la malattia possa causare<br />

un iposviluppo secondario al <strong>di</strong>suso. Una piccola malformazione cutanea può essere<br />

trattata con la terapia sclerosante (so<strong>di</strong>o tetradecilsolfato all' 1%) ma la sclerosi <strong>di</strong><br />

una MV estesa è potenzialmente pericolosa e deve essere trattata da specialisti<br />

esperti per le possibili complicanze sistemiche come la tossicità renale e l’arresto<br />

car<strong>di</strong>aco. Dopo un ciclo <strong>di</strong> scleroterapia può essere utile la chirurgia plastica per<br />

eventuali correzioni funzionali ed estetiche.<br />

Malformazioni arterovenose<br />

La malformazione arterovenosa può essere presente alla nascita o manifestarsi più<br />

tar<strong>di</strong>vamente La patologia viene spesso sottovalutata nell'infanzia anche perchè il<br />

rossore della MAV può essere facilmente scambiato per un emangioma o per una<br />

"macchia <strong>di</strong> vino". L'epicentro viene chiamato "nido" e comprende arterie afferenti,<br />

86


Anomalie vascolari<br />

fistole micro e macro-arterovenose (FAV) e vene<strong>di</strong>latate. La forma intracranica è più<br />

comune <strong>di</strong> quella extracranica, seguita, come frequenza, dalla quella degli arti, del<br />

tronco, dei visceri. Qualunque sia la localizzazione, le eventuali conseguenze sono<br />

alterazioni ischemiche della cute, ulcerazione, dolore non trattabile e<br />

sanguinamento intermittente, aumento dell'output car<strong>di</strong>aco (MAV <strong>di</strong> un arto intero o<br />

della zona pelvica). La <strong>di</strong>agnosi clinica viene confermata dall'ultrasonografia,<br />

dall'esame ecocolordoppler, dalla RMN e documentata dal sistema clinico a sta<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Schobinger:<br />

sta<strong>di</strong>o I: rossore/macchia, calore e derivazioni AV;<br />

sta<strong>di</strong>o II: come lo sta<strong>di</strong>o I, ma più estesa, vene tortuose in tensione, pulsazioni, e<br />

anomalie all'ascoltazione;<br />

sta<strong>di</strong>o III: come sopra ma con alterazioni <strong>di</strong>strofiche, ulcerazioni, sanguinamento,<br />

dolore persistente;<br />

sta<strong>di</strong>o IV: come lo sta<strong>di</strong>o II con associato lo scompenso car<strong>di</strong>aco.<br />

Un trattamento precoce embolico/chirurgico <strong>di</strong> una malformazione silente è<br />

<strong>di</strong>scutibile ma dovrebbe essere preso in considerazione se è possibile ottenere<br />

facilmente una escissione mentre il protocollo terapeutico convenzionale è<br />

in<strong>di</strong>fferibilealla comparsa <strong>di</strong>: dolore ischemico, ulcerazione cutanea reci<strong>di</strong>vante,<br />

emorragie, aumento dell'output car<strong>di</strong>aco (sta<strong>di</strong>o IV <strong>di</strong> Schobinger). L'angiografia<br />

precede l'intervento ra<strong>di</strong>ologico o chirurgico e l'embolizzazione superselettiva può<br />

essere palliativa per il dolore, il sanguinamento o lo scompenso car<strong>di</strong>aco ovvero nei<br />

pazienti per i quali la escissione chirurgica porterebbe a gravi mutilazioni.<br />

Malformazioni vascolari complesso-combinate<br />

Le malformazioni vascolari <strong>di</strong> tipo complesso-combinato includono MVC, MLC, MVLC e<br />

MAVLC. Sono spesso associate ad ipertrofia dei tessuti molli e dello scheletro. Queste<br />

forme composte sono <strong>di</strong>fficili da in<strong>di</strong>viduare ma possono essere classificate<br />

utilizzando acronimi, basati sulle caratteristiche <strong>di</strong> flusso e sull'architettura del vaso<br />

<strong>di</strong>smorfico. Come le malformazioni vascolari “pure”, le anomalie complesso-<br />

combinate possono essere classificate a flusso lento o a flusso veloce.<br />

Malformazioni vascolari complesso-combinate a flusso lento<br />

La sindrome <strong>di</strong> Klippel-Trenaunay (MVLC) e un eponimo adeguato per un tipo <strong>di</strong><br />

anomalia combinata a flusso lento associata con l'ipertrofia dell'arto. Le<br />

malformazioni capillari sono multiple, costellate da vescicole emolinfatiche,<br />

tipicamente localizzate secondo uno schema geografico sul lato anterolaterale della<br />

coscia, della natica e del tronco. Le vene anomale laterali sono prominenti a causa <strong>di</strong><br />

valvole insufficienti o assenti e spesso si registrano anomalie a carico delle vene<br />

87


Anomalie vascolari<br />

profonde ed ipoplasia linfatica. L'ipertrofia dell'arto può variare da me<strong>di</strong>a a<br />

grottesca. Alcuni pazienti con la sindrome <strong>di</strong> Klippel-Trenaunay classica presentano<br />

un arto corto o ipotrofico. La sindrome <strong>di</strong> Proteus è una patologia spora<strong>di</strong>ca che<br />

riguarda i tessuti vascolari, scheletrici e molli, caratterizzata da una crescita<br />

asimmetrica. Anomalie sottocutanee simili a tumori includono tessuto con<strong>net</strong>tivo,<br />

tessuto a<strong>di</strong>poso (lipoma e lipomatosi aggressiva), strutture delle cellule <strong>di</strong> Schwann e<br />

tessuto vascolare. Si localizzano generalmente sul torace e sull'addome. Le anomalie<br />

vascolari sono del tipicamente complesso-combinate. Possono essere presenti<br />

macrocefalia (iperostosi del cranio), asimmetria degli arti, parziale gigantismo delle<br />

mani e/o dei pie<strong>di</strong> ed ispessimento plantare cerebriforme (piede a "mocassino"). Può<br />

essere presente anche un nevo verrucoso lineare rendendo la sindrome <strong>di</strong> Proteus<br />

sovrapponibile a quella <strong>di</strong> Solomon (sindrome dei nevi dell'epidermide). La sindrome<br />

<strong>di</strong> Maffucci è caratterizzata dalla coesistenza <strong>di</strong> anomalie vascolari esofitiche con<br />

esostosi ossea ed encondromatosi. Le lesioni vascolari sono <strong>di</strong> tipo venoso complesso;<br />

possono verificarsi nel tessuto sottocutaneo, nell'osso (particolarmente a livello degli<br />

arti), a carico delle leptomeningi o del tratto gastrointestinale. La degenerazione<br />

maligna (condrosarcoma), si verifica nel 20-30% dei pazienti.<br />

Malformazioni vascolari complesso-combinate a flusso veloce<br />

Queste anomalie vascolari a carico degli arti inferiori sono piuttosto rare.<br />

L'arteriografia nei bambini mostra in genere una ipervascolarita <strong>di</strong>ffusa dell'arto con<br />

fistole artero-venose multiple che <strong>di</strong>ventano evidenti tar<strong>di</strong>vamente in prossimità<br />

delle articolazioni. Entro i primi 2 anni, è opportuna una valutazione clinica e<br />

misurata della lunghezza della gamba: se la <strong>di</strong>screpanza della lunghezza è >1,5 cm, è<br />

necessaria una ortesi per prevenire lo zoppicamento ed una scoliosi secondaria. Per<br />

le anomalie combinate a flusso veloce, quando il bambino ha raggiunto i 3-4 anni<br />

d'età, sono in<strong>di</strong>spensabili i controlli strumentali (ultrasuonografia, ecocolordoppler)<br />

dei vasi (arteriosi e venosi) dell'arto. Il trattamento è fondamentalmente<br />

conservativo e prevede calze elastiche <strong>di</strong> compressione per l'arto con insufficienza<br />

venosa ed un sistema profondo funzionante. Le vene varicose superficiali possono<br />

essere trattate chirurgicamente ma solo in presenza <strong>di</strong> un sistema venoso profondo<br />

compromesso nei pazienti con un corteo sintomatologico significativo (affaticamento<br />

degli arti, pesantezza o incapacità ad indossare le scarpe a causa <strong>di</strong> vene dorsali<br />

ingrossate). Non è utile correggere la <strong>di</strong>smetria degli arti superiori ma, al contrario,<br />

è necessaria l’epifisiodesi percutanea se la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> lunghezza della gamba è ≥<br />

2cm. La resezione chirurgica a più sta<strong>di</strong> del profilo o l'amputazione selettiva è<br />

88


Anomalie vascolari<br />

necessaria nell'ipertrofia grottesca che impe<strong>di</strong>sce l'adattamento delle scarpe o<br />

interferisce con la deambulazione.<br />

89


Malformazioni congenite<br />

MALFORMAZIONI CONGENITE<br />

Si intendono per malformazioni congenite le alterazioni della normale morfologia<br />

corporea, presenti in epoca perinatale, determinate da un errore <strong>di</strong> sviluppo nel<br />

corso della vita intrauterina. Non esistono dati statistici relativi all'incidenza assoluta<br />

<strong>di</strong> tutte le malformazioni ma nel nostro territorio, come in tutti i paesi evoluti, si<br />

apprezza una marcata <strong>di</strong>minuzione del numero dei nati malformati; questo dato è da<br />

mettere in relazione al generico decremento della natalità ed al migliorato standard<br />

economico-sociale-culturale me<strong>di</strong>o. L'eziologia della malformazioni congenite è<br />

imputabile a <strong>di</strong>versi fattori: endogeni o fetali ed esogeni o materni tra <strong>di</strong> loro<br />

interagenti in <strong>di</strong>verse combinazioni ed a <strong>di</strong>versi livelli.<br />

Fattori endogeni<br />

Questo gruppo comprende le alterazioni del patrimonio ge<strong>net</strong>ico del neonato:<br />

Le malattie ge<strong>net</strong>iche per cui è evidenziabile, in ambito familiare, una<br />

trasmissione per via ere<strong>di</strong>taria (per es. alcune polidattilie);<br />

le malattie ge<strong>net</strong>iche riferibili ad una mutazione spontanea (per es.<br />

pseudoermafro<strong>di</strong>tismo maschile);<br />

le malattie da alterato numero dei cromosomi, sia autosomici (per es. sindrome<br />

<strong>di</strong> Down), sia sessuali (per es. sindrome <strong>di</strong> Turner, <strong>di</strong> Klinefelter, ecc.);<br />

gli effetti dell'esposizione dei genitori ad agenti teratogeni, <strong>di</strong> provenienza<br />

ambientale (ra<strong>di</strong>azioni e sostanze chimiche), che possono agire come mutageni,<br />

della linea cellulare germinale.<br />

Fattori esogeni<br />

In questo gruppo riassume tutti i fattori "ambientali", capaci <strong>di</strong> interferire sullo<br />

sviluppo <strong>di</strong> un normale zigote ovvero:<br />

traumi meccanici;<br />

costituzione nel sacco amniotico <strong>di</strong> briglie costrittive, esito <strong>di</strong> processi flogistici;<br />

deficit circolatori o comunque ridotta ossigenazione a livello placentare;<br />

gravi malattie sistemiche metaboliche e ormonali (<strong>di</strong>abete, morbo <strong>di</strong> Cushing,<br />

<strong>di</strong>stiroi<strong>di</strong>smi, ecc.); deficit nutrizionali;<br />

assunzione <strong>di</strong> farmaci (è accertata la teratogenicità <strong>di</strong> ormoni, antiblastici,<br />

cortisonici, antiepilettici, alcuni analgesici e psicofarmaci, alcuni antibiotici);<br />

alcoolismo, tabagismo, tossico<strong>di</strong>pendenza; esposizione a ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti;<br />

90


Malformazioni congenite<br />

malattie infettive, da protozoi (per es. toxoplasmosi), da spirochete (per es.<br />

sifilide), da batteri (per es. listeriosi), da virus (per es. rosolia);<br />

incompatibilità Rh.<br />

Tali fattori estrinsecano il loro potenziale teratogeno con <strong>di</strong>fferente gravità a<br />

seconda del periodo <strong>di</strong> gestazione in cui agiscono. In linea generale, quanto più<br />

precoce è la noxa patogena, tanto più grave è la malformazione che ne consegue:<br />

particolarmente a rischio è, dunque, il periodo organoge<strong>net</strong>ico (1° trimestre <strong>di</strong> vita<br />

intrauterina). I meccanismi patoge<strong>net</strong>ici che portano alla costituzione <strong>di</strong> un errore <strong>di</strong><br />

sviluppo variano da una malformazione all'altra ma in linea generale possono essere<br />

ricondotti a due fondamentali: <strong>di</strong>splasico e <strong>di</strong>srafico. Con il meccanismo <strong>di</strong>splasico<br />

l'anomalo sviluppo <strong>di</strong> una struttura anatomica deriva da una precoce o tar<strong>di</strong>va<br />

comparsa dei normali fenomeni <strong>di</strong> inibizione dello sviluppo stesso: nel primo caso si<br />

verificherà una ipoplasia (focomelia), nel secondo una iperplasia (macrodattilia). Con<br />

il meccanismo <strong>di</strong>srafico la malformazione deriva dalla mancata saldatura <strong>di</strong> fessure e<br />

soluzioni <strong>di</strong> continuo normalmente presenti in particolari sta<strong>di</strong> della vita embrionaria<br />

(fistole). E’ fondamentale sottolineare che l’iter patoge<strong>net</strong>ico che porta alla<br />

mancata saldatura dei <strong>di</strong>versi abbozzi embrionari è da riferire ad un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

sviluppo e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> progressione del mesenchima; è per questo che nella sede <strong>di</strong> una<br />

malformazione <strong>di</strong>srafica si osserva regolarmente non solo un'anomala fissurazione ma<br />

anche un deficit dei tessuti <strong>di</strong> origine mesenchimale (ossa, cartilagini, muscoli, ecc.).<br />

È importante ricordare che i quadri malformativi osservati nella pratica clinica<br />

derivano non solo dall'errore <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> una struttura anatomica ma anche dal<br />

conseguente abnorme riarrangiamento delle regioni circostanti (per es. all'inibizione<br />

<strong>di</strong> sviluppo della porzione ra<strong>di</strong>ale dell'arto superiore può conseguire un tentativo <strong>di</strong><br />

riparazione da parte della porzione ulnare indenne, con costituzione <strong>di</strong> una mano ad<br />

assetto speculare).<br />

Malformazioni della testa e del collo<br />

Lo stu<strong>di</strong>o delle malformazioni congenite non può prescindere dalla conoscenza dello<br />

sviluppo dell'embrione e l'osservazione della testa embrionale è essenziale per la<br />

comprensione della patogenesi del maggior numero <strong>di</strong> malformazioni ivi reperibili. La<br />

faccia si costituisce per effetto della riunione <strong>di</strong> 5 processi, o bottoni mesodermici,<br />

rivestiti <strong>di</strong> ectoderma, attorno allo stomodeo, che rappresenta la cavità buccale<br />

primitiva. Tali processi si formano verso la III-IV settimana <strong>di</strong> gestazione e sono<br />

separati da solchi che, successivamente, tra la V e l’VIII settimana sì obliterano, per<br />

effetto della spinta "a tergo" esercitata dal mesoderma. In posizione centrale, a<br />

costituire il tetto dello stomodeo, c'è il voluminoso processo frontale, impari e<br />

91


Malformazioni congenite<br />

me<strong>di</strong>ano, destinato a <strong>di</strong>vidersi dando origine ai 4 processi nasali (2 me<strong>di</strong>ali e 2<br />

laterali). Il pavimento dello stomodeo è invece formato dai 2 processi man<strong>di</strong>bolari,<br />

che rappresentano l'estremità anteriore del l’arco branchiale. Sui lati dello<br />

stomodeo, derivati dal margine superiore dei 2 processi man<strong>di</strong>bolari, si evidenziano i<br />

2 processi mascellari (o zigomatici). Dalla fusione dei 4 processi nasali e dei processi<br />

mascellari derivano il labbro superiore, il naso e le cavità nasali, la porzione<br />

anteriore del palato osseo (palato primario, ossia la porzione <strong>di</strong> palato situata al<br />

davanti del forarne incisivo). Le malformazioni della faccia più frequenti sono da<br />

inquadrare nell'ambito delle <strong>di</strong>srafie (errori <strong>di</strong> fusione in corrispondenza dei solchi<br />

tra un bottone e l'altro).<br />

Labioschisi<br />

Col termine <strong>di</strong> labioschisi (o cheiloschisi o labbro leporino) si intende la schisi del<br />

labbro superiore che origina da un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> fusione tra il processo mascellare e i<br />

processi nasali. Possono essere classificate in:<br />

cheiloschisi cicatriziale, nella quale non esiste una vera schisi ma è presente una<br />

cicatrice verticale esito <strong>di</strong> un'azione malformativa arrestatasi e regre<strong>di</strong>ta<br />

spontaneamente;<br />

cheilochisi incompleta, quando la schisi interessa il labbro in vario grado dal<br />

bordo fino al pavimento della narice senza coinvolgerlo;<br />

cheiloschisi completa, quando la schisi interessa il labbro a tutto spessore, il<br />

pavimento della narice ed il palato primario.<br />

In tutte le cheiloschisi, ma in maggiore misura in quelle<br />

complete, sono sempre presenti una ipoplasia dell'osso<br />

mascellare ed una deformazione dell'ala nasale<br />

omolaterale. La cheiloschisi può essere monolaterale o<br />

bilaterale: in queste ultime è sempre presente la<br />

protrusione, in alto ed in avanti, del prolabio spesso<br />

ipoplasico. La riparazione chirurgica ha come obiettivo il ripristino della continuità<br />

anatomica labiale ed allo scopo esistono varie tecniche chirurgiche, tutte finalizzate<br />

alla realizzazione, sulla cute del labbro, <strong>di</strong> una cicatrice spezzata, <strong>di</strong> modo da<br />

prevenire una deformità secondaria alla retrazione cicatriziale durante lo sviluppo<br />

corporeo del soggetto. La scelta della tecnica <strong>di</strong>pende essenzialmente<br />

dall’esperienza del chirurgo. Attualmente si tende a dare meno rilevanza, rispetto ad<br />

un tempo, alla tecnica <strong>di</strong> incisione e sutura dei margini cutanei della schisi,<br />

enfatizzando al contrario l'importanza <strong>di</strong> ricostituire il corretto assetto anatomico dei<br />

muscoli del labbro e del naso, che vanno identificati, mobilizzati me<strong>di</strong>ante un<br />

92


Malformazioni congenite<br />

adeguato scollamento sottoperiosteo così da non interromperne le inserzioni<br />

periostali e suturati in modo da ripristinare una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> normalità. Il<br />

meccanismo patoge<strong>net</strong>ico del labbro leporino giustifica il costante reperto, sullo<br />

stesso lato, <strong>di</strong> anomalie dentarie e nasali, in misura variabile in relazione alla gravità<br />

della schisi. Ne consegue l'opportunità <strong>di</strong> affrontare la terapia <strong>di</strong> tali anomalie in<br />

modo sincrono: è ormai nozione consolidata la necessità dello sbrigliamento e<br />

riposizionamento dell'ala nasale e del setto nel corso del medesimo intervento <strong>di</strong><br />

correzione della schisi nonché <strong>di</strong> un precoce e continuato trattamento ortodontico.<br />

L'epoca ritenuta ideale per il primo intervento è variabile ma il pensiero scientifico<br />

attualmente più <strong>di</strong>ffuso suggerisce <strong>di</strong> iniziare l'iter terapeutico non prima dei 5 mesi<br />

<strong>di</strong> vita, sia per motivi <strong>di</strong> sicurezza anestesiologica e sia per poter agire su strutture <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni compatibili con la manualità chirurgica. Procrastinare la chirurgia oltre gli<br />

8-9 mesi appare inaccettabile dal punto <strong>di</strong> vista psicologico e, nei casi più gravi, dal<br />

punto <strong>di</strong> vista funzionale (<strong>di</strong>fficoltà alla corretta alimentazione e fonazione). Nel<br />

caso coesista la schisi dell'arcata alveolare (labbro leporino completo),<br />

l'orientamento attuale è <strong>di</strong> attendere i 9 anni <strong>di</strong> età, epoca <strong>di</strong> eruzione del dente<br />

canino. Su tutta la chirurgia delle malformazioni grava il <strong>di</strong>lemma se sia meglio<br />

iniziare la chirurgia precocemente o tar<strong>di</strong>vamente: a favore della prima soluzione<br />

depone la scelta <strong>di</strong> ripristinare al più presto la normalità anatomica e funzionale<br />

della struttura anomala, a favore della seconda le inevitabili sequele cicatriziali che<br />

interferiscono negativamente sull'ulteriore corretto sviluppo delle strutture coinvolte<br />

nel processo cicatriziale e che sono tanto più gravi quanto più l'intervento è precoce.<br />

Palatoschisi<br />

La schisi del palato origina da un meccanismo patoge<strong>net</strong>ico <strong>di</strong>fferente da quello della<br />

schisi del labbro, con la quale tuttavia è frequentemente associata. Il palato<br />

secondario si costituisce verso la VII-VIII settimana <strong>di</strong> gestazione. Le due lamine<br />

palatine, originate dai processi mascellari in precedenza verticali per la presenza<br />

della lingua, ruotano <strong>di</strong> 90° <strong>di</strong>sponendosi su un piano orizzontale e congiungendosi<br />

sulla linea me<strong>di</strong>ana: avviene così la separazione della cavità orale dalle fosse nasali.<br />

Il palato molle si costituisce successivamente.<br />

La schisi del palato secondario può essere completa, quando interessa sia il palato<br />

duro sia il palato molle o incompleta quando è limitata al palato molle (veloschisi) e<br />

determina complicanze cliniche <strong>di</strong> vario or<strong>di</strong>ne:<br />

• alimentari (la comunicazione tra cavità orale e nasale impe<strong>di</strong>sce la suzione per<br />

l'impossibilità <strong>di</strong> creare il vuoto nella cavità orale. A lungo andare l'ostacolo ad una<br />

normale assunzione <strong>di</strong> cibo può causare un iposviluppo generalizzato).<br />

93


Malformazioni congenite<br />

Infettive (la continua presenza <strong>di</strong> detriti alimentari nella cavità nasale e l'alterato<br />

flusso d'aria sono fonte <strong>di</strong> uno stato flogistico cronico, con subentranti riniti,<br />

faringiti, salpingiti e otiti e ipertrofia infiammatoria a carico delle adenoi<strong>di</strong> e delle<br />

amigdale).<br />

Fo<strong>net</strong>iche (sono le complicanze più inabilitanti e <strong>di</strong> più <strong>di</strong>fficile soluzione: la loro<br />

gravita é legata al grado <strong>di</strong> compromissione del palato molle. La mancata chiusura<br />

posteriore della cavità nasale, specie durante la pronuncia delle consonanti<br />

esplosive, determina una rinolalia aperta assai sgradevole e spesso tale da rendere<br />

incomprensibile il linguaggio). Il trattamento chirurgico delle palatoschisi ha come<br />

obiettivi la separazione tra cavità orale e cavità nasale e la mobilità del palato<br />

molle. Per quanto riguarda la ricostruzione del palato duro, le tecniche proposte<br />

possono essere classificate in: tecniche impostate sulla scultura e sintesi sulla linea<br />

me<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> due lembi mucoperiostei scolpiti sulla volta palatina, bipeduncolati, con<br />

peduncolo anteriore e posteriore; tecniche impostate sulla scultura e sintesi sulla<br />

linea me<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> due lembi mucoperiostei scolpiti sulla volta palatina,<br />

monopeduncolati, a peduncolo posteriore; tecnica impostata sulla rotazione e sutura<br />

sui due lati della schisi <strong>di</strong> un lembo <strong>di</strong> mucosa scolpito sul vomere e "doppiato" su se<br />

stesso, allo scopo <strong>di</strong> ricostituire un rivestimento epiteliale sia al versante nasale che<br />

al versante orale. È attualmente la tecnica ritenuta più idonea, in quanto pare <strong>di</strong>a i<br />

minori danni alla crescita trasversale del massiccio facciale. Per quanto riguarda la<br />

ricostruzione del palato molle (velopendulo), le meto<strong>di</strong>che proposte possono essere<br />

<strong>di</strong>stinte in: tecniche che avvicinano i due lati della schisi con una semplice sutura<br />

lineare e tecniche che avvicinano i due lati della schisi avvalendosi <strong>di</strong> una doppia<br />

plastica a Z, una sul versante orale ed una sul versante nasale. L'epoca più adatta per<br />

l'intervento è generalmente compreso tra 9 e 12 mesi <strong>di</strong> vita con l'obiettivo <strong>di</strong><br />

bilanciare da un lato la necessità <strong>di</strong> fornire al bambino uno strumento anatomico atto<br />

alla fonazione, prima che si siano completati i circuiti nervosi a ciò preposti,<br />

dall'altro la necessità <strong>di</strong> evitare cicatrici che, quanto più precoci, tanto più possono<br />

interferire sullo sviluppo dell'intero massiccio facciale. Nel periodo postoperatorio<br />

può residuare una rinolalia conseguente ad incompetenza velofaringea. Qualora essa<br />

sia dell'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 0,5 cm 2 (durante la fonazione) o comunque ribelle alla logope<strong>di</strong>a, è<br />

in<strong>di</strong>cata l'esecuzione <strong>di</strong> interventi detti ortofonici:<br />

"allungamento" del palato molle, ottenuto me<strong>di</strong>ante separazione del palato molle<br />

dal palato duro (push-back);<br />

realizzazione <strong>di</strong> una sinechia velofaringea, me<strong>di</strong>ante scultura <strong>di</strong> un lembo<br />

faringeo trasferito al palato molle allo scopo <strong>di</strong> restringere l'entità dell'insufficienza;<br />

94


Malformazioni congenite<br />

creazione <strong>di</strong> una sporgenza nel contesto della parete posteriore della faringe,<br />

me<strong>di</strong>ante un innesto o un impianto per ridurre la <strong>di</strong>stanza tra faringe e palato molle;<br />

ricostruzione <strong>di</strong> uno sfintere velofaringeo competente me<strong>di</strong>ante rotazione <strong>di</strong><br />

lembi miomucosi scolpiti a carico dei muscoli faringei (faringoplastica).<br />

95


Colobomi<br />

Malformazioni congenite<br />

Con questo termine generico si in<strong>di</strong>ca un gruppo <strong>di</strong> malformazioni del volto,<br />

abbastanza rare, rappresentate da una o più schisi in corrispondenza dei solchi<br />

embrionari. Possono essere classificati in: colobomi obliqui (naso-oculari e oro-<br />

oculari), prodotti da un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> fusione tra il processo mascellare ed il processo<br />

nasale laterale e colobomi trasversi (oro-aurali), risultanti da un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> saldatura<br />

tra il processo mascellare ed il processo man<strong>di</strong>bolare. I colobomi man<strong>di</strong>bolari sono<br />

meglio inquadrabili nell'ambito delle <strong>di</strong>srafie me<strong>di</strong>ane per essere il risultato della<br />

mancata saldatura sulla linea me<strong>di</strong>ana dei primi archi branchiali; si possono<br />

presentare semplicemente come una piccola incisura sul bordo rosa del labbro<br />

inferiore o possono giungere a determinare la schisi totale della sinfisi mentoniera e<br />

della lingua.<br />

Come già esposto a proposito della cheiloschisi, anche i colobomi possono presentare<br />

<strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> gravità: dalla varietà cicatriziale alla schisi più accentrata. La<br />

chirurgia ricostruttiva dei colobomi si basa sui medesimi principi informatori esposti a<br />

proposito delle labio e palatoschisi: ricostruzione funzionale dei tessuti delle parti<br />

molli, integrata dalla ricostruzione dell'impalcatura scheletrica con particolare<br />

attenzione per l'articolato dentale e per eventuali problemi <strong>di</strong> fonazione.<br />

Fistole<br />

Il capitolo delle fistole congenite comprende: le fistole del pa<strong>di</strong>glione auricolare<br />

attribuibili ad un residuo del primo solco branchiale, collocate al davanti dell'elice o<br />

del trago o sulla porzione ascendente dell'elice; le fistole laterali del collo; la <strong>di</strong>srafia<br />

mentosternale, associata ad iposviluppo della man<strong>di</strong>bola, si presenta in genere come<br />

un'area ovalare <strong>di</strong> cute atrofica, eritematosa, in corrispondenza della linea me<strong>di</strong>ana<br />

del collo, sottesa da un cordone fibroso sottocutaneo che impe<strong>di</strong>sce la libera<br />

estensione del capo. Le fistole congenite nel loro aspetto più caratteristico si<br />

manifestano con la presenza <strong>di</strong> una modesta secrezione sieromucosa in<br />

corrispondenza dell’ostio d'apertura ma possono essere anche del tutto<br />

asintomatiche; lo sbocco cutaneo può però ostruirsi producendo una raccolta<br />

simulante una cisti facilmente sede <strong>di</strong> processi infettivi. La chirurgia delle fistole<br />

congenite è insi<strong>di</strong>osa, in quanto esse possono estendersi ben al <strong>di</strong> là dei loro sbocco<br />

superficiale e ad<strong>di</strong>rittura essere in comunicazione con strutture profonde. E quin<strong>di</strong><br />

necessario effettuare <strong>di</strong> routine una fistolografia preoperatoria, con un mezzo <strong>di</strong><br />

contrasto o almeno con un colorante vitale ritenendo sempre possibile l’anomalia<br />

delle strutture sottostanti <strong>di</strong> origine mesenchimale. Le malformazioni <strong>di</strong> origine<br />

<strong>di</strong>splasica sono <strong>di</strong> più <strong>di</strong>fficile inquadramento nosografico, per il meccanismo<br />

96


Malformazioni congenite<br />

patoge<strong>net</strong>ico molto più variabile rispetto alle <strong>di</strong>srafie. Diverse malformazioni <strong>di</strong><br />

origine <strong>di</strong>splasica possono coesistere tra <strong>di</strong> loro e con malformazioni <strong>di</strong> origine<br />

<strong>di</strong>srafica.<br />

Craniosinostosi e craniofaciostenosi<br />

Sono quadri malformativi indotti dalla precoce ossificazione <strong>di</strong> una o più suture<br />

craniche. La sindrome <strong>di</strong> Crouzon è una patologia a trasmissione ere<strong>di</strong>taria con<br />

carattere autosomico dominante ma può insorgere anche come mutazione spontanea.<br />

Oltre a varie deformità della volta cranica, si osservano: accorciamento in senso<br />

antero-posteriore dell'orbita e del terzo me<strong>di</strong>o della faccia, iperteleorbitismo, con<br />

conseguente esoftalmo e deformità nasale "a becco <strong>di</strong> pappagallo". La sindrome <strong>di</strong><br />

Apert si propone con una trasmissione autosomica recessiva ed è caratterizzata, oltre<br />

che da anomalie craniche, da una marcata ipoplasia del terzo me<strong>di</strong>o della faccia e da<br />

una sindattilia grave a carico delle mani e dei pie<strong>di</strong>. La chirurgia <strong>di</strong> queste<br />

malformazioni riconosce un'in<strong>di</strong>cazione prevalentemente funzionale, in quanto alla<br />

patologica stenosi ossea possono conseguire ipertensione endocranica, ritardo<br />

psicomotorio, danno visivo, alterazioni respiratorie: il miglioramento estetico ne<br />

rappresenta un inevitabile indotto. L'atto chirurgico consiste essenzialmente nella<br />

liberazione craniotomica delle suture sinostotiche e nell'avanzamento del massiccio<br />

facciale me<strong>di</strong>ante frattura <strong>di</strong> Le Fort III.<br />

Epicanto<br />

Identifica una plica cutanea in corrispondenza del canto me<strong>di</strong>ale dell'occhio che può<br />

essere mono o bilaterale e presente in forma isolata o nell'ambito <strong>di</strong> una sindrome<br />

più complessa (sindrome <strong>di</strong> Down). La correzione dell'epicanto si basa sull'esecuzione<br />

<strong>di</strong> una plastica a lembi alternati multipli.<br />

Schisi me<strong>di</strong>ana del labbro<br />

E’ una rara malformazione, totalmente <strong>di</strong>stinta dalla cheiloschisi <strong>di</strong>srafica, che<br />

riconosce due <strong>di</strong>versi meccanismi patoge<strong>net</strong>ici: può essere correlata ad un processo<br />

<strong>di</strong> duplicatura speculare della porzione centrale della faccia ovvero può derivare dal<br />

mancato sviluppo e avanzamento dell'intero processo frontale; tale forma è<br />

raramente isolata ma per lo più associata ad altri segni, quali l'assenza della<br />

columella, ipotelorismo, ipoplasia dell'osso frontale, dei lobi prefrontali e assenza dei<br />

bulbi e dei tratti olfattivi (oloprosencefalia, con<strong>di</strong>zione pressoché incompatibile con<br />

la vita).<br />

Oloprosencefalia<br />

Si può manifestare anche senza segni <strong>di</strong> schisi del labbro. Nella sua variante estrema<br />

si configura la cosiddetta ciclopia, in cui il mancato sviluppo e avanzamento delle<br />

97


Malformazioni congenite<br />

strutture derivate dal processo frontale sono causa della fusione sulla linea me<strong>di</strong>ana<br />

dei due abbozzi oculari, al <strong>di</strong> sopra dei quali si può talora identificare un'appen<strong>di</strong>ce<br />

probosci<strong>di</strong>forme, derivata dagli abbozzi nasali. Nella sua varietà minima<br />

l'oloprosencefalia si estrinseca come un tragitto fistoloso, spesso a fondo cieco, sul<br />

dorso del naso, cui talora si associa un ipotelorismo <strong>di</strong> entità variabile.<br />

Ipertelorismo e ipotelorismo<br />

Non sono quadri patologici a sé stanti, ma alterazioni morfologiche presenti talora<br />

isolatamente ma più spesso nell'ambito <strong>di</strong> una malformazione complessa. Essi<br />

consistono nell'alterazione in eccesso o in <strong>di</strong>fetto della <strong>di</strong>stanza interpupillare.<br />

Poliotia<br />

Consiste nella presenza <strong>di</strong> piccole formazioni poste al davanti del trago o lungo la<br />

linea oroaurale, a contenuto cartilagineo, derivanti dai residui dei primi due archi<br />

branchiali.<br />

Sindrome <strong>di</strong> Franceschetti<br />

È caratterizzata da microtia, atresia del condotto u<strong>di</strong>tivo, micrognatia man<strong>di</strong>bolare,<br />

appiattimento delle ossa malari, palato ogivale, con conseguente viso "a profilo<br />

d'uccello" (se la sindrome si presenta monolateralmente, prende il nome <strong>di</strong> sindrome<br />

<strong>di</strong> Treacher Collins). Tale quadro clinico deriva da iposviluppo dei primi due archi e<br />

della prima tasca branchiale.<br />

Anomalie me<strong>di</strong>ane dell'osso joide e della cartilagine tiroidea<br />

Anomalie congenite spesso associate a colobomi man<strong>di</strong>bolari.<br />

Pterigium colli<br />

Sorta <strong>di</strong> plica cutanea, in corrispondenza del margine superiore del muscolo trapezio,<br />

mono o bilaterale. Benché sia riscontrabile anche come forma isolata, è una stigmata<br />

caratteristica della sindrome <strong>di</strong> Turner.<br />

Microtia<br />

È un'ipoplasia <strong>di</strong> vario grado del pa<strong>di</strong>glione auricolare, talora associata ad iposviluppo<br />

o totale assenza del condotto u<strong>di</strong>tivo esterno ed anche a ipoplasia dell'orecchio<br />

me<strong>di</strong>o. Più rara è l'anotia (assenza totale dell'orecchio esterno). Nella varietà più<br />

comune si osserva la presenza del lobulo, alquanto deformato e orientato<br />

verticalmente, sormontato da una piccola bozza, contenente ru<strong>di</strong>menti cartilaginei<br />

dello scheletro auricolare. Il problema della ricostruzione del pa<strong>di</strong>glione è <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />

esclusivamente estetico. E opportuno che gli interventi previsti vengano pianificati<br />

così da essere conclusi attorno ai 6-7 anni, epoca in cui il bambino, entrato nel<br />

mondo della scuola, rischia maggiormente con la sua deformità <strong>di</strong> suscitare il <strong>di</strong>leggio<br />

98


Malformazioni congenite<br />

dei compagni. In tempi successivi viene collocato in posizione idonea il lobulo e<br />

ricostruito il solco retroauricolare.<br />

L'ipoplasia del pa<strong>di</strong>glione può estrinsecarsi anche parzialmente, a carico solo del<br />

terzo me<strong>di</strong>o o del terzo superiore, configurando il quadro clinico dell'orecchio a<br />

coppa.<br />

Malformazioni del tronco<br />

Addome<br />

Onfalocele<br />

Identifica la mancata riduzione dell'intestino e, nei casi più gravi, anche del fegato e<br />

della milza nella cavità addominale in corrispondenza della cicatrice ombelicale. Non<br />

può essere considerato una vera ernia, essendo il sacco "erniario" privo <strong>di</strong><br />

rivestimento peritoneale. Tale con<strong>di</strong>zione perpetua lo stato presente tra la VI e la XII<br />

settimana <strong>di</strong> vita intrauterina in cui l'intestino me<strong>di</strong>o migra dalla cavità addominale<br />

nel sacco vitellino attraverso il canale onfalomesenterico.<br />

Gastroschisi<br />

E’ un deficit della parete addominale lateralmente all'inserzione del cordone<br />

ombelicale. Sventramenti addominali congeniti, con conseguenti ernie viscerali, sia<br />

lungo la linea alba (<strong>di</strong>astasi dei muscoli retti), sia in corrispondenza dei noti punti <strong>di</strong><br />

minore resistenza della parete addominale (triangolo <strong>di</strong> Petit, quadrilatero <strong>di</strong><br />

Grynfeltt). In tutte queste forme il trattamento consiste nella revisione e riduzione<br />

dei visceri ectopici e nell'avvicinamento con punti in materiale non riassorbibile dei<br />

mu-scoli <strong>di</strong>astasati, eventualmente previo rinforzo delle pareti me<strong>di</strong>ante innesti o<br />

lembi <strong>di</strong> fascia/derma ovvero me<strong>di</strong>ante impianto <strong>di</strong> fogli/reti <strong>di</strong> materiale<br />

alloplastico.<br />

Torace<br />

Pectus excavatum<br />

Malformazione dello sterno e delle cartilagini costali, responsabile <strong>di</strong> una depressione<br />

sulla parete toracica anteriore. Nella sua espressione più modesta tale<br />

malformazione ha solo conseguenze inestetiche; nella variante più grave può essere<br />

associata a <strong>di</strong>sturbi car<strong>di</strong>orespiratori, per <strong>di</strong>slocazione e compressione degli organi<br />

me<strong>di</strong>astinici. La chirurgia della forma più modesta consiste semplicemente nel<br />

colmare la depressione, in genere me<strong>di</strong>ante impianto <strong>di</strong> protesi fabbricate su misura;<br />

meno frequente è il ricorso al trasferimento <strong>di</strong> unità muscolari, a causa dei reliquati<br />

cicatriziali nella regione donatrice. Nella forma più grave è necessario effettuare una<br />

sternotomia e costotomia, rimuovere il piastrone osseo sternocostale e reinnestarlo<br />

dopo adeguato modellamento, fissandolo con opportune placche; in tal caso è<br />

99


Malformazioni congenite<br />

opportuno che l'intervento venga effettuato in collaborazione con il chirurgo<br />

toracico.<br />

Asimmetria mammaria<br />

Se <strong>di</strong> grado modesto, può essere considerata un reperto <strong>di</strong> scarso rilievo clinico. Se<br />

molto marcata, può essere considerata una vera malformazione. Si riconoscono<br />

asimmetrie:<br />

per ipertrofia unilaterale;<br />

per ipertrofia bilaterale <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa entità;<br />

per ipoplasia unilaterale;<br />

per ipoplasia da un lato e ipertrofia dall'altro.<br />

Polimastia e politelia<br />

Nella polimastia (presenza <strong>di</strong> mammelle soprannu-<br />

merarie) e politelia (presenza <strong>di</strong> capezzoli soprannu-<br />

merari) le strutture anatomiche soprannumerarie sono<br />

generalmente <strong>di</strong>sposte lungo la linea della cresta lattea embrionaria ed originano da<br />

un arresto del processo <strong>di</strong> involuzione degli abbozzi mammari primitivi. Sono stati<br />

segnalati, sia nel maschio che nella femmina, anche casi <strong>di</strong> capezzoli soprannumerari<br />

all'interno della medesima areola (politelia intrareolare) per un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> fusione<br />

degli abbozzi galattofori <strong>di</strong> un medesimo capezzolo.<br />

Atelia e amastia<br />

L’atelia (assenza <strong>di</strong> uno o entrambi i<br />

capezzoli) e l’amastia (assenza totale <strong>di</strong> una o<br />

entrambe le mammelle), creano un evidente<br />

ostacolo all'allattamento per la femmina ma<br />

hanno un’importanza puramente estetica.<br />

Vengono trattate con le medesime tecniche ricostruttive impiegate per la<br />

ricostruzione mammaria post-mastectomia.<br />

Sindrome <strong>di</strong> Poland<br />

È una sindrome la cui patogenesi è da considerare un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> sviluppo dell'arto<br />

superiore e prevede:<br />

assenza della porzione sternocostale del muscolo grande pettorale;<br />

ipoplasia della mano, dell'avambraccio e del braccio;<br />

sindattilia;<br />

brachidattilia.<br />

E’ frequentemente associata ad agenesia o l'ipoplasia dei muscoli serrato, grande<br />

dorsale e deltoide, ipoplasia delle coste, scoliosi, destrocar<strong>di</strong>a ed ipoplasia<br />

100


Malformazioni congenite<br />

mammaria. I <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>fetti anatomici elencati possono ovviamente essere presenti<br />

con vario grado <strong>di</strong> espressività e con varie combinazioni.<br />

Malformazioni del capezzolo<br />

Tutte queste malformazioni sono determinate da una congenita brevità dei dotti<br />

galattofori: rivestono quin<strong>di</strong> una importanza sia estetica che funzionale poiché,<br />

specie nei casi più gravi, ne risulta compromessa la lattazione<br />

papilla plana (capezzolo appiattito);<br />

papilla fissa (capezzolo bilobato);<br />

papilla circumvallata obtecta (capezzolo introflesso).<br />

Le tecniche chirurgiche che consentono <strong>di</strong> incre-<br />

mentare la sporgenza del capezzolo possono essere<br />

sostanzialmente sud<strong>di</strong>vise in due gruppi: interventi<br />

con conservazione dei dotti galattofori ovvero con<br />

sacrificio dei dotti galattofori: questi ultimi offrono il<br />

migliore risultato estetico ma, impedendo la funzione<br />

dell'allattamento, vanno impiegati solo in pazienti molto selezionate e<br />

compiutamente informate dell'irreversibilità dell'intervento stesso.<br />

Regione vertebrale<br />

Spina bifida<br />

Con questo termine si intende una serie <strong>di</strong> malformazioni <strong>di</strong> varia gravità,<br />

determinate da un errore nella saldatura, lungo la linea me<strong>di</strong>ana, degli archi<br />

vertebrali e caratterizzate da una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza della colonna vertebrale<br />

attraverso cui può erniare il contenuto del canale spinale. La varietà più lieve prende<br />

il nome <strong>di</strong> spina bifida occulta nella quale il deficit osseo colpisce una sola vertebra,<br />

in regione sacrale, e non è apprezzabile alcuna protrusione viscerale; spesso la cute<br />

soprastante è portatrice <strong>di</strong> un nevo, un lipoma, un ciuffo <strong>di</strong> peli o appare atrofica. Le<br />

varietà più gravi vanno complessivamente sotto il nome <strong>di</strong> spina bifida cistica; a<br />

seconda dei visceri erniati si riconoscono:<br />

il meningocele (ernia delle guaine meningee);<br />

il meningomielocele (nel sacco erniario si ritrovano,oltre alle meningi, elementi<br />

nervosi quali nervi, lacauda equina o il midollo);<br />

il mielocele (la mancata saldatura sulla linea me<strong>di</strong>ana riguarda anche i tessuti<br />

della doccia neurale, per cui sul piano cutaneo si apre il canale midollare. spesso<br />

gemente liquor cerebrospinale).<br />

La spina bifida cistica è in genere associata a paralisi degli arti inferiori e<br />

incontinenza sfinteriale.<br />

101


Malformazioni dei genitali esterni<br />

Ipospa<strong>di</strong>a<br />

Malformazioni congenite<br />

La più frequente malformazione dei genitali esterni maschili è l'ipospa<strong>di</strong>a, con<strong>di</strong>zione<br />

in cui il meato uretrale si apre sulla superficie ventrale del pene, prossimalmente<br />

alla punta del glande. E’ una tipica <strong>di</strong>srafia, perché secondaria alla mancata fusione<br />

delle pieghe genitali, <strong>di</strong>sposte lateralmente al seno urogenitale, verso la VII<br />

settimana <strong>di</strong> vita intrauterina. A seconda della maggiore o minore precocità della<br />

noxa teratogena, si ha una collocazione del meato in posizione più o meno<br />

prossimale, dal perineo alla corona del glande.<br />

E’ possibile <strong>di</strong>stinguere:<br />

l'ipospa<strong>di</strong>a perineale che è la forma più grave, spesso associata ad una marcata<br />

femminilizzazione <strong>di</strong> tutto l'apparato genitale, con pene piccolo in parte inguainato<br />

nella cute scrotale, atteggiata a guisa <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> labbra e criptorchi<strong>di</strong>smo;<br />

l'ipospa<strong>di</strong>a peniena che identifica la forma più frequente;<br />

l'ipospa<strong>di</strong>a balanica ovvero la forma più lieve, spesso compatibile con una<br />

normale attività sessuale e riproduttiva.<br />

In tutte le forme <strong>di</strong> ipospa<strong>di</strong>a è pressoché costante un maggiore o minore<br />

incurvamento del pene, determinato dalla presenza <strong>di</strong> un cordone fibroso, <strong>di</strong> tipo<br />

cicatriziale, in corrispondenza del decorso dell'uretra. Per l'ipospa<strong>di</strong>a sono state<br />

proposte varie tecniche ricostruttive allo scopo <strong>di</strong> confezionare il segmento <strong>di</strong> uretra<br />

mancante per un ripristino della anatomia e della fisiologia urinaria ed eiaculatoria.<br />

Ipospa<strong>di</strong>smo<br />

Con<strong>di</strong>zione determinata da un'abnorme brevità dell'uretra, in cui si osserva<br />

l'incurvamento del pene in erezione, senza ipospa<strong>di</strong>a: tale atteggiamento ostacola<br />

grandemente e talora impe<strong>di</strong>sce l'espletamento <strong>di</strong> un normale atto sessuale.<br />

Epispa<strong>di</strong>a<br />

Malformazione rara, consistente nello sbocco del canale uretrale sulla superficie<br />

dorsale del pene. Raramente l'epispa<strong>di</strong>a è balanica o peniena: più frequente e grave<br />

è la varietà penopubica, associata a estrofia vescicale ed incontinenza urinaria. Si<br />

realizza tra la IV e la VI settimana <strong>di</strong> vita intrauterina quando gli abbozzi del<br />

tubercolo genitale sono ancora due. Se in questa fase gestazionale tali abbozzi si<br />

<strong>di</strong>slocano caudalmente e lì si fondono, cosicché il seno urogenitale rimane aperto in<br />

senso cefalico invece che caudale, la doccia uretrale si sviluppa senza essere coperta<br />

superiormente dal tubercolo genitale e ne consegue l'epispa<strong>di</strong>a. In questa fase la<br />

sottile membrana cloacale si rompe ed allora la deformità si estende in <strong>di</strong>rezione<br />

cefalica, creando la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> estrofia vescicale, con iposviluppo della<br />

102


Malformazioni congenite<br />

muscolatura ipogastrica e <strong>di</strong>astasi delle ossa pubiche. Il trattamento chirurgico delle<br />

varietà minori dell'epispa<strong>di</strong>a ricalca quello impiegato per l'ipospa<strong>di</strong>a. Viceversa la<br />

correzione dell'epispa<strong>di</strong>a penopubica con estrofia vescicale richiede procedure più<br />

complesse, in cui il chirurgo plastico interagisce con l'urologo o con il chirurgo<br />

pe<strong>di</strong>atrico.<br />

Atresia vaginale<br />

Rappresenta l'unica malformazione dei genitali esterni femminili che interessa la<br />

chirurgia plastica. E’ una patologia malformativa estremamente rara.<br />

103


Patologie della mano<br />

PATOLOGIE DELLA MANO<br />

Malformazioni congenite della mano<br />

Tra le deformità della mano vengono <strong>di</strong>stinte quelle non suscettibili <strong>di</strong> trattamento<br />

chirurgico, perché caratterizzate da assenza completa o parziale delle strutture<br />

scheletriche con grave compromissione funzionale della mano e quelle per le quali<br />

viene riconosciuta una precisa in<strong>di</strong>cazione chirurgica ovvero la sindattilia, la<br />

polidattilia, la clinodattilia, la camptodattilia, la ectrosindattilia, i solchi congeniti,<br />

la commissura del pollice ristretta, l'agenesia del pollice. La correzione chirurgica<br />

delle deformità congenite può essere programmata a partire dai due anni <strong>di</strong> età<br />

mentre nelle patologie malformative nelle quali, con lo sviluppo, si manifestano<br />

deviazioni delle strutture capsulolegamentose o scheletriche (sindattilia con fusione<br />

apicale, ectrosindattilia serrata), l'intervento chirurgico deve essere più precoce.<br />

Sindattilia<br />

Questa malformazione è caratterizzata dalla fusione <strong>di</strong> due o<br />

più <strong>di</strong>ta della mano, più frequentemente III e IV <strong>di</strong>to: in<br />

rapporto all'estensione può essere parziale o totale, mentre<br />

rispetto al carattere può essere <strong>di</strong>stinta in sindattilia<br />

membranosa (cutanea) e sindattilia serrata (fibrosa, ossea).<br />

Gli aspetti clinici sono molteplici e prevedono la:<br />

- sindattilia parziale: caratterizzata da una plica inter<strong>di</strong>gitale posta in sede più<br />

prossimale, all'altezza della filiera interfalangea (aspetto tipico dei palmipe<strong>di</strong>);<br />

- sindattilia lassa totale: costituita dalla unione completa delle <strong>di</strong>ta ma con elementi<br />

ben conformati e la presenza <strong>di</strong> un tipico solco longitu<strong>di</strong>nale inter<strong>di</strong>gitale.<br />

- sindattilia serrata: con la fusione variamente combinata delle strutture falangee.<br />

Il protocollo chirurgico della sindattilia si articola sui seguenti tempi principali:<br />

a) ricostruzione della commissura inter<strong>di</strong>gitale;<br />

b) separazione delle <strong>di</strong>ta fuse;<br />

c) riparazione delle superfici cruente residue alla separazione delle <strong>di</strong>ta.<br />

Polidattilia<br />

Questa malformazione è caratterizzata dalla presenza <strong>di</strong> un intero raggio <strong>di</strong>gitale<br />

soprannumerario o <strong>di</strong> parte <strong>di</strong> esso. In rapporto alla sede sono possibili la polidattilia<br />

ra<strong>di</strong>ale (più frequente), la polidattilia cubitale e la polidattilia interme<strong>di</strong>a (rara). Le<br />

104


Patologie della mano<br />

varietà cliniche possono prevedere la presenza <strong>di</strong> una<br />

semplice appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>gitale collegata da un peduncolo<br />

cutaneo, <strong>di</strong> un raggio <strong>di</strong>gitale intero nella sua componente<br />

metacarpo-falangea ovvero <strong>di</strong> parte <strong>di</strong> esso nella sola<br />

componente falangea, con una o più falangi. Nella<br />

polidattilia del primo raggio si possono realizzare vari<br />

gra<strong>di</strong> del <strong>di</strong>fetto: pollice bifido, falange duplicata con unica base, o con due falangi<br />

normalmente sviluppate e talvolta con unico apparato ungueale ed unico<br />

polpastrello, o con <strong>di</strong>to soprannumerario variamente formato ed articolato a livello<br />

metacarpo-falangeo. Nella duplicazione le singole falangi si presentano più piccole<br />

del normale. Nella polidattilia interme<strong>di</strong>a, l’elemento soprannumerario si articola<br />

con una semplice superficie articolare <strong>di</strong> un metacarpo che può accennare a<br />

sdoppiarsi alla sua estremità. Per la correzione chirurgica delle deformità localizzate<br />

al pollice, ed in particolare nella duplicazione, sono<br />

stati proposti meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> resezione longitu<strong>di</strong>nale od a<br />

scalino delle parti interne delle due falangi e<br />

successivo accostamento delle due metà restanti per<br />

ricostituire una unica falange ungueale funzionale. Più<br />

frequentemente è preferibile la <strong>di</strong>sarticolazione <strong>di</strong> una<br />

sola falange, generalmente quella esterna, che si presenta più piccola e meno attiva,<br />

utilizzando però tutte le altre componenti capsulo-legamentose, per correggere la<br />

deviazione in clinodattilia della falange restante, e tutto il rivestimento cutaneo,<br />

opportunamente modellato per il modellamento del polpastrello.<br />

Ectrosindattilia<br />

Si possono osservare aspetti determinati da sindattilia tra due o più <strong>di</strong>ta<br />

(generalmente tra II-III e IV <strong>di</strong>to), che si presentano più corte per meccanismi<br />

<strong>di</strong>fferenti, per fusione e per mancanza <strong>di</strong> una o più falangi: queste malformazioni<br />

vengono definite ectrosindattilie. Le falangi mancanti possono essere quelle<br />

interme<strong>di</strong>e o quelle <strong>di</strong>stali con assenza dell'apparato ungueale. Le <strong>di</strong>ta appaiono più<br />

corte, fuse nella loro estremità e deviate nel loro asse principale. Sono pertanto<br />

possibili i seguenti quadri clinici (nei quali è costante la sindattilia):<br />

- mano con tutte le componenti scheletriche ma con iposviluppo totale;<br />

- mano con <strong>di</strong>ta più piccole, presenza dell'apparato ungueale, mancanza <strong>di</strong> una o<br />

più falangi;<br />

- mano con <strong>di</strong>ta più corte da amputazione amniotica <strong>di</strong> una o più falangi ungueali<br />

con estremità spesso fuse e convergenti tra loro.<br />

105


Solchi congeniti<br />

Patologie della mano<br />

I solchi congeniti sono presenti sotto forma <strong>di</strong> depressioni circolari <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

variabile a carico delle <strong>di</strong>ta. In corrispondenza dei solchi la cute si presenta sottile e<br />

strettamente adesa al periostio ma i raggi della mano possono essere integri, per<br />

lunghezza, forma e volume anche se talvolta si verificano strozzamenti apicali <strong>di</strong> uno<br />

o più elementi con amputazioni subtotali. Quando sono coinvolti più elementi, la<br />

cicatrice può riunire le loro estremità deformando l'asse <strong>di</strong>gitale e talora il <strong>di</strong>fetto si<br />

estrinseca con l'aspetto <strong>di</strong> una ectrosindattilia. A causa della stasi determinata dallo<br />

strozzamento, può essere presente linfedema <strong>di</strong>stale.<br />

Agenesia del I° raggio <strong>di</strong>gitale<br />

Tra le deformità per <strong>di</strong>fetto numerico la più grave è l'agenesia del I raggio. Diversi<br />

sono i gra<strong>di</strong> del <strong>di</strong>fetto che possono osservarsi potendo mancare il 1° raggio per<br />

intero oppure solo in parte (segmenti ru<strong>di</strong>mentali) configurando la mano tetradattile.<br />

Il 1° raggio talora può essere presente, ma ipotrofico in toto, con assenza della<br />

muscolatura dell'eminenza tenar, cui possono associarsi considerevoli alterazioni<br />

della funzione propria del pollice a carico dei ten<strong>di</strong>ni ed anche della muscolatura<br />

estrinseca; talvolta può mancare il pollice propriamente detto, mentre è presente il<br />

metacarpo e la muscolatura. E’ importante segnalare che una mano malformata non<br />

può essere paragonata ad una mano mutilata perché il paziente ha assunto nel tempo<br />

compensi ed abitu<strong>di</strong>ni funzionali. Sulla base <strong>di</strong> queste considerazioni è buona norma,<br />

prima <strong>di</strong> porre l'in<strong>di</strong>cazione all'intervento ricostruttivo, praticare un attento stu<strong>di</strong>o<br />

clinico della lesione, delle conseguenti abitu<strong>di</strong>ni funzionali acquisite, della richiesta<br />

e dell'aspettativa del paziente e del vantaggio reale che offre l'intervento. Per la<br />

mano tetradattile sono state proposte due tecniche chirurgiche: la pedo-chirodattilo-<br />

plastica e la tecnica <strong>di</strong> Nicoladoni: la prima prevede l'utilizzo del primo <strong>di</strong>to del<br />

piede omolaterale a cui veniva ancorata la mano per l'autonomizzazione vascolare<br />

mentre la seconda l'allestimento <strong>di</strong> un lembo tubulato, monopeduncolato, in sede<br />

addominale, ancorato alla mano, che successivamente viene <strong>di</strong>staccato dal<br />

peduncolo dell'addome. Successivamente il neopollice viene armato con innesto <strong>di</strong><br />

osso autologo, prelevato dalla cresta iliaca e solidarizzato al metacarpo me<strong>di</strong>ante<br />

osteosintesi. L'intervento viene completato con il modellamento del lembo e della<br />

sua estremità. Più recente è l'intervento <strong>di</strong> pollicizzazione del secondo <strong>di</strong>to secondo<br />

Buck Gramko o il trapianto del secondo <strong>di</strong>to del piede con la tecnica microchirurgica<br />

proposto da Ohmori.<br />

106


Patologie della mano<br />

Retrazione del 1° spazio inter<strong>di</strong>gitale<br />

La prima commissura <strong>di</strong>gitale può presentarsi ridotta isolatamente o più <strong>di</strong> frequente<br />

in associazione con altri quadri malformativi della mano da cui ne deriva una<br />

considerevole limitazione della funzione prensile. Il <strong>di</strong>fetto è suscettibile <strong>di</strong><br />

correzione chirurgica me<strong>di</strong>ante lembi alternati o innesti <strong>di</strong> cute a tutto spessore. Se<br />

la commissura è molto ridotta, tanto da non rendere possibili queste tecniche, si<br />

potrà praticare un'incisione trasversa della commissura più o meno profonda,<br />

<strong>di</strong>scontinuando il piano muscolare, fino ad ottenere un sufficiente <strong>di</strong>varicamento del<br />

pollice. Un lembo <strong>di</strong> cute piano a base prossimale allestito dalla superficie dorsale<br />

della prima falange del pollice o dell'in<strong>di</strong>ce potrà essere ruotato a chiudere la<br />

soluzione <strong>di</strong> continuo mentre la zona donatrice verrà riparata con innesto libero.<br />

Clinodattilia<br />

Questa deformità è caratterizzata da deviazione in senso ra<strong>di</strong>ale o ulnare <strong>di</strong> una o<br />

più falangi <strong>di</strong>gitali. Possono essere colpite anche più <strong>di</strong>ta, talvolta tutte le <strong>di</strong>ta<br />

lunghe come pure il pollice. La deviazione può essere sostenuta dalla presenza <strong>di</strong><br />

falangi soprannumerarie o <strong>di</strong> ru<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> esse ma anche dalla retrazione laterale<br />

della capsula articolare e dei ten<strong>di</strong>ni.<br />

Camptodattilia<br />

Il <strong>di</strong>fetto può colpire uno o più raggi della mano ed essere espresso con vari gra<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

complessità. La camptodattilia è caratterizzata da una flessione patologica della<br />

falange me<strong>di</strong>a che si presenta sublussata sulla falange basale per la congenita brevità<br />

capsulo-legamentosa, ten<strong>di</strong>nea e cutanea dal lato palmare: la malformazione<br />

comporta la compromissione della funzione estensoria del <strong>di</strong>to. Sono state proposte<br />

tecniche da attuare precocemente sin dai primi anni, consistenti nella riduzione<br />

incruenta con apparecchio gessato modellante o con apparecchio munito <strong>di</strong> congegno<br />

elastico che mira a estendere progressivamente il <strong>di</strong>to ma con risultati modesti. Sono<br />

possibili correzioni chirurgiche che però, ad oggi, non offrono risultati incoraggianti.<br />

Malattia <strong>di</strong> Dupuytren<br />

Il morbo <strong>di</strong> Dupuytren prevede una alterazione cronica e<br />

progressiva dell'aponeurosi palmare superficiale e <strong>di</strong> alcune<br />

formazioni anatomiche da essa <strong>di</strong>pendenti. La lesione insorge<br />

limitatamente in alcuni dei fasci fibrosi longitu<strong>di</strong>nali<br />

costituenti l'aponeurosi e si manifesta con un loro progressivo<br />

ispessimento e retrazione. Successivamente il processo<br />

degenerativo coinvolge un sempre maggior numero <strong>di</strong> fasci che si retraggono<br />

107


Patologie della mano<br />

singolarmente sempre più, trasmettendo la loro retrazione ad una o più <strong>di</strong>ta della<br />

mano. Ne consegue, come effetto più vistoso, l'ingravescente limitazione della loro<br />

estensione. E’ una malattia tipica dei popoli <strong>di</strong> <strong>di</strong>scendenza europea, essendo<br />

praticamente assente nelle razze gialla e nera. Si presenta spesso con carattere<br />

familiare, talvolta con ere<strong>di</strong>tarietà dominante. È più frequente nel sesso maschile, in<br />

un range <strong>di</strong> età compreso tra 50 e 70 anni e colpisce più spesso la mano destra ma<br />

può essere bilaterale. Molte e <strong>di</strong>scusse sono le teorie etiopatoge<strong>net</strong>iche che mettono<br />

in causa alterazioni del trofismo per lesioni nervose, microtraumi cronici,<br />

<strong>di</strong>svitaminosi (vitamina E), <strong>di</strong>sendocrinie (tiroide e paratiroi<strong>di</strong>), <strong>di</strong>atesi (gottosa e<br />

fibroblastica), tossicosi, flogosi croniche, stasi linfatica, alterazioni nell'embriogenesi<br />

(sclerosi <strong>di</strong> residui embrionari del primitivo muscolo flexor brevis manus). La fascia o<br />

aponeurosi palmare superficiale riveste il palmo della mano subito al <strong>di</strong> sotto della<br />

cute e del sottocutaneo. È detta superficiale per <strong>di</strong>stinguerla da un setto fibroso<br />

profondo teso sotto ai ten<strong>di</strong>ni dei muscoli flessori delle <strong>di</strong>ta, tra essi ed i muscoli<br />

interossei. Piuttosto esile in corrispondenza dell'eminenza tenar e ipotenar, la fascia<br />

superficiale acquista a livello della porzione centrale del palmo della mano una<br />

precisa in<strong>di</strong>vidualità anatomica. Essa delimita anteriormente la loggia muscolo-<br />

ten<strong>di</strong>nea me<strong>di</strong>a della mano; ha consistenza fibrosa a forma grossolanamente<br />

triangolare con apice prossimale al legamento trasverso del carpo, dove si inserisce il<br />

ten<strong>di</strong>ne del muscolo piccolo palmare, e con base <strong>di</strong>stale che raggiunge la metà<br />

inferiore del palmo, dove si espande su ciascuna delle quattro ultime <strong>di</strong>ta<br />

arrestandosi a 10-15 mm dagli spazi inter<strong>di</strong>gitali. Si <strong>di</strong>stinguono in essa due tipi<br />

principali <strong>di</strong> fibre:<br />

- fibre longitu<strong>di</strong>nali raggiate superficiali: in continuità con il ten<strong>di</strong>ne del muscolo<br />

piccolo palmare, più numerose;<br />

- fibre longitu<strong>di</strong>nali raggiate profonde: si <strong>di</strong>partono dal legamento trasverso del<br />

carpo, meno numerose.<br />

Nell'insieme formano un ventaglio aperto dall'alto al basso <strong>di</strong>retto verso la ra<strong>di</strong>ce<br />

delle ultime quattro <strong>di</strong>ta, e si raccolgono a livello dei solchi me<strong>di</strong>o ed inferiore del<br />

palmo in quattro nastri fibrosi, detti benderelle preten<strong>di</strong>nee, <strong>di</strong>sposti davanti alle<br />

guaine dei ten<strong>di</strong>ni flessori. Le poche fibre che non partecipano alla costituzione <strong>di</strong><br />

queste strutture si superficializzano per perdersi sulla faccia profonda del derma. A<br />

livello delle teste metacarpali, dai margini laterali delle benderelle preten<strong>di</strong>nee, si<br />

<strong>di</strong>staccano le fibre se<strong>di</strong>mentali, che si approfondano contribuendo alla formazione<br />

dei condotti osteo-fibrosi dei ten<strong>di</strong>ni flessori delle <strong>di</strong>ta, e le fibre perforanti, che<br />

attraversano l'aponeurosi palmare profonda e terminano, a livello del dorso della<br />

108


Patologie della mano<br />

mano, sulla guaina fibrosa del ten<strong>di</strong>ne estensore del <strong>di</strong>to corrispondente. A livello<br />

della ra<strong>di</strong>ce delle ultime quattro <strong>di</strong>ta le benderelle preten<strong>di</strong>nee assumono il seguente<br />

comportamento:<br />

- le fibre centrali superficiali terminano sulla pelle del cusci<strong>net</strong>to e del solco <strong>di</strong>gito-<br />

palmare, le profonde sulla guaina dei ten<strong>di</strong>ni profon<strong>di</strong>;<br />

- le fibre me<strong>di</strong>ali e laterali, allontanandosi tra <strong>di</strong> loro alla base delle ultime quattro<br />

<strong>di</strong>ta e unendosi con quelle del <strong>di</strong>to vicino in un chiasma, formano le arcate <strong>di</strong>gitali<br />

che servono <strong>di</strong> passaggio ai ten<strong>di</strong>ni superficiali e profon<strong>di</strong> <strong>di</strong> ciascun <strong>di</strong>to. Dalle<br />

estremità delle arcate <strong>di</strong>gitali le fibre assumono un andamento elicoidale e,<br />

contornando l'articolazione metacarpo-falangea, formano sulla faccia laterale e<br />

me<strong>di</strong>ale delle <strong>di</strong>ta la lamina latero-<strong>di</strong>gitale. Nella prima falange le fibre <strong>di</strong> questa<br />

lamina si inseriscono sul ten<strong>di</strong>ne estensore comune e sulle espansioni ten<strong>di</strong>nee degli<br />

interossei ovvero sulle capsule della prima articolazione interfalangea mentre sulla<br />

seconda falange la lamina latero-<strong>di</strong>gitale continua ancora sulle facce laterali e<br />

me<strong>di</strong>ali delle <strong>di</strong>ta per andarsi ad inserire dorsalmente sul ten<strong>di</strong>ne estensore con una<br />

formazione anatomica in<strong>di</strong>cata anche come legamento retinacolare <strong>di</strong> Landsmeer. La<br />

sintomatologia inizia con l'occasionale reperto <strong>di</strong> un nodulo sottocutaneo palpabile, a<br />

volte doloroso, a livello della testa del 4° o 5° osso metacarpale con la progressiva<br />

insorgenza <strong>di</strong> pliche ed ombelicature cutanee (stigmate). Più avanti si palpa una vera<br />

e propria corda che solleva longitu<strong>di</strong>nalmente la cute palmare e che inizia a<br />

determinare la progressiva retrazione in flessione del <strong>di</strong>to corrispondente.<br />

Contemporaneamente compare la retrazione dei legamenti inter<strong>di</strong>gitali con<br />

conseguente limitazione dei movimenti <strong>di</strong> abduzione e adduzione delle <strong>di</strong>ta; negli<br />

sta<strong>di</strong> più avanzati il <strong>di</strong>to si presenta in flessione accentuata della I e della II falange<br />

mentre la III può presentarsi in posizione in<strong>di</strong>fferente <strong>di</strong> lieve flessione o nella più<br />

caratteristica posizione <strong>di</strong> iperestensione. II morbo <strong>di</strong> Dupuytren può presentarsi in<br />

associazione con la retrazione dell'aponeurosi plantare (morbo <strong>di</strong> Madelung) o con<br />

l'indurimento e sclerosi dei corpi cavernosi (morbo <strong>di</strong> La Peyronie). Non molto<br />

raramente si presentano forme ad evoluzione rapida e con precoci complicanze<br />

articolari o forme <strong>di</strong>ffuse interessanti anche le fasce <strong>di</strong> avvolgimento delle eminenze<br />

tenar e ipotenar. Dal punto <strong>di</strong> vista anatomopatologico il nodulo primitivo, che<br />

compare solitamente nella benderella preten<strong>di</strong>nea al davanti dell'articolazione<br />

metacarpo-falangea, è costituito da con<strong>net</strong>tivo fibroblastico giovane che invade<br />

progressivamente il derma superando il pannicolo a<strong>di</strong>poso sottocutaneo ed<br />

ancorandosi così alla cute. Il processo degenerativo si <strong>di</strong>ffonde rapidamente al resto<br />

dell'aponeurosi palmare superficiale e ad alcune formazioni fibrose contigue. Nel<br />

109


Patologie della mano<br />

periodo terminale, alla <strong>di</strong>ssezione, si trovano grossi cordoni fibrosi che, partendo dal<br />

legamento trasverso del carpo, si portano <strong>di</strong>stalmente fino a livello delle<br />

articolazioni metacarpo-falangee dove la sclerosi si continua nella fascia <strong>di</strong>gitale e<br />

nelle sue espansioni. Tali formazioni si presentano anch'esse grossolanamente<br />

iperplastiche e retratte a formare grossi cordoni fibrosi a decorso irregolare che<br />

mantengono in flessione la prima e seconda articolazione metacarpo-falangea ed<br />

interfalangea. Quest'ultima però, a volte, può presentarsi estesa invece che flessa, a<br />

causa dell'interessamento del legamento retinacolare, la cui retrazione, stirando le<br />

terminazioni degli interossei, iperestende la falange. Istologicamente si repertano<br />

pochi fibrociti avvolti in un groviglio <strong>di</strong> fibre collagene con rari isolotti <strong>di</strong> fibroblasti.<br />

La cute presenta l’ispessimento dello strato corneo con scomparsa delle papille<br />

dermiche. Le guaine ten<strong>di</strong>nee, le capsule ed i legamenti articolari, pur non essendo<br />

invasi, possono, in casi inveterati, presentare una retrazione dovuta alla posizione. In<br />

casi molto avanzati si possono osservare vere sublussazioni, specie a carico della<br />

prima articolazione interfalangea. I vasi ed i nervi non vengono invasi dal processo<br />

patologico, tuttavia sono inglobati e strozzati dai cordoni fibrosi che ne determinano<br />

impreve<strong>di</strong>bili <strong>di</strong>slocazioni. La terapia chirurgica è la sola che permette la completa<br />

guarigione della malattia. Le tecniche chirurgiche prevedono l’interruzione semplice<br />

dell’aponeurosi o aponeurotomia, l’asportazione dell’aponeurosi o aponeurectomia<br />

ra<strong>di</strong>cale, l’aponeurectomia selettiva (rimozione esclusiva dei <strong>di</strong>stretti anatomici<br />

coinvolti dal processo patologico).<br />

110


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

PATOLOGIE DELLA MAMMELLA<br />

La mammella è un organo pari e simmetrico, situato nella regione anteriore del<br />

torace, ai lati della linea me<strong>di</strong>ana, localizzata tra il terzo e il sesto spazio<br />

intercostale.<br />

È costituita dalla cute e da un gruppo <strong>di</strong> ghiandole, che nell'insieme compongono la<br />

ghiandola mammaria. Le mammelle sono presenti in entrambe i sessi, sono<br />

sviluppate identicamente fino alla pubertà ma successivamente lo sviluppo<br />

dell'organo nel maschio si ferma mentre ha il suo deciso sviluppo nella femmina. Il<br />

volume e la forma della mammella nella donna è molto variabile in rapporto alla<br />

quantità e alla <strong>di</strong>sposizione del tessuto a<strong>di</strong>poso. Lo spazio compreso tra le mammelle<br />

si chiama seno, ma questo termine viene spesso utilizzato per in<strong>di</strong>care entrambe le<br />

mammelle. La mammella femminile si può sud<strong>di</strong>videre in quattro quadranti, formati<br />

dalla due linee perpen<strong>di</strong>colari che hanno come centro il capezzolo e la struttura<br />

prevede: tessuto ghiandolare, con 15-20 lobi, ciascuno drenato da un dotto<br />

galattoforo, tessuto fibroso <strong>di</strong> sostegno (legamento <strong>di</strong> Cooper e <strong>di</strong> Giraldès), che<br />

circonda e sud<strong>di</strong>vide il tessuto ghiandolare, tessuto a<strong>di</strong>poso, in cui è immersola<br />

ghiandola propriamente detta. Esternamente all'apice della mammella si trova il<br />

capezzolo, circondato dall'areola, un'area circolare pigmentata <strong>di</strong> 3-5cm. Sono<br />

entrambi dotati <strong>di</strong> fibre muscolari lisce e la loro contrazione evoca l'erezione del<br />

capezzolo ed il corrugamento dell'areola per facilitano il deflusso del latte durante<br />

l'allattamento. L'areola presenta piccole sporgenze determinate dalle ghiandole<br />

sebacee sottostanti e l'apice del capezzolo possiede 15-20 pori lattiferi collegati ai<br />

dotti galattofori. La mammella maschile è invece ru<strong>di</strong>mentale, costituita da un<br />

leggero rilievo, al cui centro si trova l'areola, con un piccolo capezzolo. La ghiandola<br />

è formata da piccoli alveoli, scarsi in numero e privi <strong>di</strong> lume. I dotti lattiferi sono<br />

brevi e poco ramificati<br />

Patologie della mammella femminile<br />

Le anomalie estetiche della mammella femminile sono molteplici ma possono essere<br />

riassunte in 3 gruppi principali:<br />

ipertrofia (ipertrofia, iperplasia),<br />

ptosi,<br />

ipoplasia ed ipotrofia.<br />

111


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

L’ipertrofia mammaria (pura, mista, a<strong>di</strong>posa o falsa ipertrofia) è estremamente<br />

variabile comprendendo quadri clinici che vanno dal semplice “seno prosperoso” alla<br />

gigantomastia considerata una vera e propria patologia malformativa invalidante.<br />

Un seno che si è sviluppato eccessivamente durante la<br />

pubertà o che ha acquistato più volume a seguito <strong>di</strong><br />

un graduale aumento <strong>di</strong> peso, oltre ai problemi che la<br />

sua estetica può determinare sul piano psicologico,<br />

affettivo e sociale, può causare fasti<strong>di</strong>osi <strong>di</strong>sturbi<br />

fisici: le <strong>di</strong>mensioni ed il peso delle mammelle,<br />

infatti, espone il soggetto a vizi della postura con<br />

dolori alla schiena fino alla scoliosi ed a ricorrenti patologie cutanee come<br />

intertrigini ed eczemi del solco sottomammario. La mastoplastica riduttiva è<br />

l’intervento chirurgico finalizzato al ripristino <strong>di</strong> forme e volumi della mammella<br />

ipertrofica con esiti cicatriziali generalmente ben nascosti anche dall’abbigliamento<br />

intimo e con l’obiettivo <strong>di</strong> conservare la funzionalità della ghiandola, ottenere un<br />

risultato estetico buono e duraturo nel tempo, provocare il minimo danno possibile ai<br />

tessuti ed ai vasi. La tutela <strong>di</strong> tali principi è affidata ai requisiti basilari <strong>di</strong> una<br />

corretta mastoplastica ovvero:<br />

- rispetto della rete vascolare e linfatica per prevenire complicanze quali necrosi<br />

cutanee e ghiandolari;<br />

- la conservazione del sistema galattoforo per mantenere la capacità <strong>di</strong> allattare e<br />

della sensibilità tattile del complesso areola-capezzolo;<br />

- la riduzione della mammella in tutti i suoi <strong>di</strong>ametri ed il raggiungimento <strong>di</strong> una<br />

simmetria ottimale;<br />

- risultato estetico ottimale con cicatrici <strong>di</strong> buona<br />

fattura.<br />

La ptosi può riguardare una mammella ipertrofica,<br />

normale o ad<strong>di</strong>rittura atrofica poiché rappresenta un<br />

fenomeno biologico <strong>di</strong> <strong>di</strong>slocazione in basso del seno<br />

nella sua globalità ed è strettamente correlato con il<br />

ce<strong>di</strong>mento del sistema <strong>di</strong> sospensione della ghiandola mammaria<br />

(legamento <strong>di</strong> Cooper e <strong>di</strong> Giraldès) per cause secondarie<br />

all’invecchiamento dei tessuti, a cospicui <strong>di</strong>magrimenti, a<br />

gravidanze seguite da allattamento. Le tecniche chirurgiche <strong>di</strong><br />

correzione (mastopessi) poggiano sugli stessi principi che<br />

regolano le mastoplastiche riduttive ma ovviamente in una<br />

112


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

mammella <strong>di</strong> normali <strong>di</strong>mensioni il cono mammario viene rimodellato senza alcuna<br />

riduzione del parenchima ghiandolare ma solo della cute .L’obiettivo è dunque quello<br />

<strong>di</strong> riposizionare la ghiandola mammaria ed il complesso areola-capezzolo nelle se<strong>di</strong><br />

originali e fisiologiche. Nelle mammelle molto piccole è possibile integrare il volume<br />

complessivo con l’inserimento <strong>di</strong> una protesi <strong>di</strong> materiale alloplastico biocompatibile.<br />

L’ipoplasia e l’ipotrofia mammaria identificano quadri clinici <strong>di</strong> inadeguato volume<br />

mammario:il primo per cause congenite o acquisite (gravidanza, allattamento) è<br />

relativo a soggetti giovani, il secondo è un danno estetico legato alla involuzione<br />

senile del parenchima mammario. L’obiettivo del chirurgo plastico in una<br />

mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva è la realizzazione <strong>di</strong> un seno attraente e simmetrico che, in<br />

quanto al volume, coincida con i desideri della paziente e sia proporzionato al suo<br />

aspetto. Come per ogni altro intervento <strong>di</strong> chirurgia plastica correttiva, l'aumento<br />

volumetrico del seno richiede un accurato screening preoperatorio non solo clinico<br />

ma anche psicologico allo scopo <strong>di</strong> valutare attentamente l'entità del <strong>di</strong>fetto fisico e<br />

le motivazioni che animano la richiesta della donna. Tutto ciò è <strong>di</strong> fondamentale<br />

importanza perché con<strong>di</strong>ziona non soltanto la strategia terapeutica da adottare ma<br />

anche la scelta <strong>di</strong> sottoporre o meno il soggetto all'intervento. Per quanto concerne<br />

le vie <strong>di</strong> accesso alle tra<strong>di</strong>zionali ascellare, periareolare e sottomammaria, negli<br />

ultimi anni se ne sono aggiunte altre quali la transareolare e la addominale, mentre<br />

per il posizionamento della protesi le opzioni possibili sono retroghiandolare e<br />

sottomuscolare. La scelta della tasca retroghiandolare è in<strong>di</strong>cata nelle pazienti con<br />

tessuto mammario ben rappresentato, lieve ptosi delle mammelle ed atleticamente<br />

attive mentre la tasca sottomuscolare va utilizzata nei soggetti con un seno scarso ed<br />

atleticamente inattive. L'impianto sottoghiandolare propone in<strong>di</strong>scutibili vantaggi<br />

quali una proiezione ottimale delle mammelle ed una consistenza naturale alla<br />

palpazione mentre i vantaggi della protesi in sede sottomuscolare si identificano con<br />

un basso rischio <strong>di</strong> contaminazione batterica e con la conservazione dei rapporti<br />

anatomici. Storicamente si ritiene che la prima mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva venne<br />

realizzata in Germania nel 1895 utilizzando del grasso autologo <strong>di</strong> un lipoma del<br />

dorso e che il primo grossolano impianto <strong>di</strong> silicone risale al 1947. Rapidamente nel<br />

corso degli anni l'interesse della popolazione femminile per questo tipo <strong>di</strong> chirurgia<br />

crebbe in forma esponenziale stimolando gli stu<strong>di</strong>osi del settore ad in<strong>di</strong>viduare<br />

materiali biocompatibili sempre più sofisticati in grado <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare al meglio le<br />

esigenze delle donne e dei Chirurghi Plastici. Dal 1979 al 1992 negli Stati Uniti<br />

d'America sono state sottoposte a mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva circa 100-150.000 donne<br />

ogni anno con un volume d'affari <strong>di</strong> circa 300- 450 milioni <strong>di</strong> dollari per attività<br />

113


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

chirurgiche e 50 - 75 milioni <strong>di</strong> dollari in materiali <strong>di</strong> consumo. Nel 1994 tale<br />

procedura chirurgica era negli USA il 3° intervento <strong>di</strong> chirurgia estetica (dopo la<br />

lipoaspirazione e la blefaroplastica) sebbene per due anni (dal 16 Aprile 1992 al<br />

gennaio 1994) il Governo americano su sollecitazione<br />

della FDA ne avesse <strong>di</strong> fatto proibito l'esecuzione. Nel<br />

1992 la eco <strong>di</strong> questo provve<strong>di</strong>mento legislativo fece<br />

rapidamente il giro del mondo e coinvolse nello stesso<br />

tempo, pazienti, operatori del settore e chirurghi in una<br />

sorta <strong>di</strong> convulsa isteria collettiva anche se le motivazioni<br />

clinico-scientifiche erano al più poco chiare se non proprio oscure. Quando e come<br />

nasce dunque il problema sulle protesi mammarie al silicone? La controversia ha le<br />

sue ra<strong>di</strong>ci storiche in un articolo scritto nel 1982 da A. Van Nunen sulla rivista<br />

Arthritis and Rheumatism nel quale l'Autore riportava il caso <strong>di</strong> 3 donne operate <strong>di</strong><br />

mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva ed affette da malattie del tessuto sottocutaneo. La<br />

pubblicazione del fisico australiano ebbe una <strong>di</strong>screta risonanza nel mondo<br />

scientifico e, anche se le pazienti in oggetto non erano realmente portatrici <strong>di</strong><br />

impianti ma erano state sottoposte ad iniezioni intramammarie <strong>di</strong> paraffina o silicone<br />

liquido, la FDA americana richiese alle <strong>di</strong>tte produttrici più rigorosi controlli<br />

premarketing che dovevano prevedere dati <strong>di</strong> sicurezza ed innocuità comprovati da<br />

stu<strong>di</strong> sperimentali su animali e volontari. Ma la vera esplosione del caso nella<br />

opinione pubblica americana ed internazionale va attribuita alla giornalista Conie<br />

Chung che nel 1990 in un suo show televisivo trasmise al pubblico un chiaro<br />

messaggio ovvero che le protesi <strong>di</strong> silicone erano un "pericoloso capriccio delle donne<br />

ingenue" ed invitava le pazienti operate ad informarsi adeguatamente ed a<br />

denunciare eventuali malattie concomitanti. La stessa Chung si fece parte attiva nel<br />

cercare ed intervistare donne che riferivano presunte malattie secondarie alla<br />

mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva. Tutto ciò determinò nella popolazione femminile una ondata<br />

<strong>di</strong> panico, grande preoccupazione nella classe me<strong>di</strong>ca e sconcerto negli operatori del<br />

settore. Il 10 aprile 1991 David Kessler, commissario governativo per la FDA, stabilì e<br />

notificò alle <strong>di</strong>tte produttrici che il termine ultimo per presentare la adeguata<br />

documentazione era fissata in 90 giorni. I gruppi <strong>di</strong> ricerca coinvolti si affrettarono a<br />

produrre quanto richiesto ma la FDA ritenne le conclusioni scientifiche incomplete e<br />

sebbene l'American Society of Plastic and Reconstructive Surgeons si <strong>di</strong>chiarasse<br />

favorevole a mantenere le protesi sul mercato, il numero delle "operate" che<br />

lamentavano <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong> vario genere cresceva notevolmente. Il 31 <strong>di</strong>cembre 1991una<br />

giuria federale <strong>di</strong> San Francisco <strong>di</strong>spose un risarcimento pari a 7,34 milioni <strong>di</strong> dollari<br />

114


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

a favore <strong>di</strong> una donna che si <strong>di</strong>chiarava affetta da una rara ma non ben precisata<br />

malattia del tessuto con<strong>net</strong>tivo complicanza dell'intervento chirurgico. Il 10 febbraio<br />

1992 la FDA sosteneva che le protesi al silicone dovevano essere rimosse dal mercato<br />

ed utilizzate unitamente nelle mastectomizzate e nelle volontarie da inserire in<br />

protocolli <strong>di</strong> sperimentazione. Il 16 aprile 1992 il Commissario Governativo Kessler<br />

pose <strong>di</strong> fatto le protesi in gel <strong>di</strong> silicone fuori legge (con le eccezioni descritte in<br />

precedenza) ma consentiva l'uso degli impianti con soluzione salina. E’ facile<br />

prevedere come nei mesi successivi a tali <strong>di</strong>sposizioni si avviasse un fitto<br />

contrad<strong>di</strong>torio nella comunità scientifica americana ed internazionale: ricerche e<br />

trials multicentrici affermavano o negavano la relazione tra una malattia locale e/o<br />

sistematica secondaria alla presenza del silicone ma nessun autore ha mai ventilato<br />

un nesso <strong>di</strong> causalità con il cancro della mammella. Già nel 1991 un gruppo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

della Dow Corning segnalava la possibilità <strong>di</strong> una risposta immunologica al silicone ma<br />

allo stesso tempo affermava che un'ampia revisione clinico-sperimentale non<br />

produceva risultati convincenti sul contatto cronico dell'organismo umano con<br />

materiale siliconato e l'insorgenza <strong>di</strong> patologie del con<strong>net</strong>tivo o tipo reumatico.<br />

Anche la sperimentazione animale non ebbe miglior fortuna perché la<br />

somministrazione sottocute <strong>di</strong> silicone liquido nei ratti produceva solo sarcomi,<br />

tumori molto frequenti in questi animali se esposti ad una sostanza irritante e<br />

l'inserimento <strong>di</strong> vere e proprie protesi in cani da esperimento <strong>di</strong>mostrava solo una<br />

aspecifica, cronica reazione infiammatoria del tessuto circostante. Nel 1993 F. Vasey<br />

reumatologo della University of South Florida College of Me<strong>di</strong>cine, in un suo libro<br />

affermava che la <strong>di</strong>ffusione del silicone nell' organismo sarebbe stata in grado <strong>di</strong><br />

scatenare fenomeni autoimmunitari ma i controlli <strong>di</strong> laboratorio condotti su donne<br />

operate non segnalavano valori apprezzabili <strong>di</strong> autoanticorpi. Dello stesso parere era<br />

Nir Kossovsky patologo della Ucla Me<strong>di</strong>caI Center secondo il quale il silicone sarebbe<br />

in grado <strong>di</strong> legarsi con "molecole native alterate" costituendo un complesso in grado<br />

<strong>di</strong> evocare una reazione immunitaria prima ed una malattia autoimmunitaria<br />

successivamente. In sintonia con gli Autori precedenti era anche Marc Lappè patologo<br />

sperimentale della University of Illinois School of Farmacy che pubblicò la sua teoria<br />

per la quale il silicone costituirebbe un "trigger" per una "overstimulation" del sistema<br />

immunitario. Oggi, alla luce delle più recenti acquisizioni in materia, è possibile<br />

ritenere che le molecole <strong>di</strong> silicone siano in grado <strong>di</strong> stimolare reazioni antigene-<br />

anticorpo ma questo non significa che abbiano la potenzialità <strong>di</strong> indurre malattie del<br />

tessuto con<strong>net</strong>tivo e la stessa reazione infiammatoria non coincide con una reazione<br />

immunitaria specifica ovvero autoimmunitaria. Comunque nel 1994 il British<br />

115


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

Department of Health passò in rassegna in maniera analitica e minuziosa tutta la<br />

produzione scientifica sui possibili effetti immunologici delle protesi <strong>di</strong> silicone e li<br />

giu<strong>di</strong>cò complessivamente "<strong>di</strong>sappointingly poor". Nello stesso anno un gruppo <strong>di</strong><br />

ricerca della Mayo Clinic riportò sul New England Journal of Me<strong>di</strong>cine i risultati <strong>di</strong> uno<br />

screening statistico-epidemiologico (749 donne operate nel periodo 1964-1991 versus<br />

1498 donne <strong>di</strong> controllo) che non palesava malattie del con<strong>net</strong>tivo, sintomi ad esse<br />

riferibili e/o alterazioni ematochimiche. Nel 1995 sulla stessa rivista furono e<strong>di</strong>ti a<br />

stampa i dati emersi da un altro stu<strong>di</strong>o retrospettivo (Nurses Health Study) condotto<br />

su 90.000 infermiere <strong>di</strong> cui 1183 portatrici <strong>di</strong> protesi mammarie e nel 1996 sul<br />

Journal of The American Me<strong>di</strong>caI Association vennero riportate le conclusioni del più<br />

grande stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> coorte mai realizzato sull'argomento (Women's health Cohort Study):<br />

400.000 soggetti <strong>di</strong> cui 11.000 sottoposti ad intervento chirurgico. Considerando<br />

l'entità della casistica rivista era ovvio che venissero in<strong>di</strong>viduati casi con malattie del<br />

con<strong>net</strong>tivo (sclerodermia, artrite reumatoride, lupus eritematoso, etc.) anche tra le<br />

pazienti operate ma in nessun caso è stato possibili determinare il nesso <strong>di</strong> causalità<br />

con le protesi. Sull'argomento ci sarebbe molto ancora da <strong>di</strong>re ma per brevità<br />

abbiamo voluto riportare soltanto alcuni aspetti salienti con lo scopo <strong>di</strong> far chiarezza<br />

su un problema scientifico che per troppo tempo è stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile comprensione<br />

anche per gli "addetti ai lavori". In conclusione, ai nostri giorni, è bene precisare che<br />

le vigenti normative sanitarie consentono la libera circolazione e l'utilizzo illimitato<br />

delle protesi mammarie in gel <strong>di</strong> silicone in tutti gli Stati europei così come, più<br />

lentamente sta avvenendo in America dove ogni Stato, in materia, legifera<br />

autonomamente.<br />

Patologie della mammella maschile<br />

Ginecomastia<br />

Il termine ginecomastia fu introdotto da<br />

Galeno nel II secolo a.c. che definì la<br />

ginecomastia come “un abnorme accumulo<br />

<strong>di</strong> grasso” nella mammella maschile mentre i<br />

patologi moderni la inquadrano come un<br />

aumento <strong>di</strong> tessuto mammario<br />

esclusivamente dovuto ad ipertrofia del parenchima. La ginecomastia può essere:<br />

“vera”, quando è determinata da un ipersviluppo ghiandolare, “falsa” o<br />

“pseudoginecomastia”, quando è secondaria ad un eccessivo accumulo <strong>di</strong> a<strong>di</strong>pe,<br />

mista, quando coesistono entrambe le con<strong>di</strong>zioni. La ginecomastia vera può essere<br />

i<strong>di</strong>opatica e correlabile con uno squilibrio ormonale anche temporaneo che induce lo<br />

116


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

sviluppo in senso femminile dell'abbozzo ghiandolare mentre la ginecomastia falsa è<br />

del tutto i<strong>di</strong>omatica ma più frequente nei soggetti con tendenza all'obesità.<br />

L’incidenza della patologia nell’adolescenza è pari al 48,5% (51% nei caucasici,46%<br />

nella razza nera) mentre negli adulti è pari al 40%. tenendo però a mente che nella<br />

adolescenza una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “pseudoginecomastia” è fisiologica e tende a<br />

regre<strong>di</strong>re spontaneamente nel corso <strong>di</strong> 2–3 anni.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista eziopatoge<strong>net</strong>ico la patologia riconosce le seguenti cause:<br />

• eccessiva produzione <strong>di</strong> estrogeni (ermafro<strong>di</strong>tismo, neoplasia del testicolo),<br />

• deficit <strong>di</strong> testosterone. (Sindrome <strong>di</strong> Klinefelter cariotipo XXY o mosaico XXY-<br />

XY),<br />

• alterazione della recettività locale agli stimoli ormonali.<br />

• malattie epatiche.<br />

• terapie farmacologiche prolungate (estrogeni,<strong>di</strong>gitalici, cimeti<strong>di</strong>na,<br />

penicilline, antidepressivi,etc).<br />

Nel soggetto adulto la ginecomastia è dovuta essenzialmente ad una eccessiva<br />

deposizione <strong>di</strong> grasso o, contemporaneamente, alla associazione <strong>di</strong> deposizione <strong>di</strong><br />

grasso e <strong>di</strong> ipertrofia della ghiandola. L’esatto meccanismo eziopatoge<strong>net</strong>ico è<br />

sconosciuto anche se la maggior parte degli Autori ritiene l’aumento dei valori <strong>di</strong><br />

estrogeni plasmatici come risultato <strong>di</strong> una conversione extraghiandolare degli<br />

androgeni in estrogeni. La malattia è sempre bilaterale e clinicamente, secondo<br />

Simon, può essere classificata in 4 gra<strong>di</strong>:<br />

1. I grado: aumento minimo del volume ghiandolare ►visibile il rilievo mammario.<br />

2. IIa grado:aumento moderato del volume ghiandolare ►rilievo mammario<br />

accentuato.<br />

3. IIb grado: aumento consistente del volume ghiandolare con eccesso cutaneo.<br />

4. III grado: cospicuo aumento del volume ghiandolare, marcato eccesso cutaneo<br />

che configura una ptosi <strong>di</strong> vario grado.<br />

Istologicamente la ginecomastia è caratterizzata dalla presenza <strong>di</strong> aree <strong>di</strong> ipertrofia<br />

e iperplasia dei dotti ghiandolari e dello stroma con possibilità <strong>di</strong> alternata<br />

prevalenza <strong>di</strong> una delle due componenti: Williams <strong>di</strong>stingue una ginecomastia<br />

“florida” dove prevale la componente duttale con formazione <strong>di</strong> pseudolobuli ed una<br />

ginecomastia “quiescente” con il tipico aspetto delle forme <strong>di</strong> vecchia data,<br />

caratterizzate da una abbondante componente stromale compatta, con pochi<br />

fibroblasti e con scarso numero <strong>di</strong> dotti. Nella ginecomastia in età<br />

adolescenziale,l’approccio terapeutico deve essere prudente e <strong>di</strong> attesa poiché il<br />

quadro clinico può essere transitorio e regre<strong>di</strong>re spontaneamente. E’ opportuno un<br />

117


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

costante controllo specialistico (pe<strong>di</strong>atra, endocrinologo) e la terapia chirurgica<br />

trova in<strong>di</strong>cazione soltanto su richiesta dei pazienti. Il trattamento chirurgico<br />

persegue 2 obiettivi:<br />

1. Modellamento della regione mammaria e ripristino morfologico della tipologia<br />

maschile.<br />

2. Esiti cicatriziali minimi<br />

Terapia chirurgica<br />

(classificazione <strong>di</strong> Cohen)<br />

Gruppo 1: ginecomastia ghiandolare ►adenomammectomia.<br />

Gruppo 2: ginecomastia ghiandolare e ptosi ►adenomammectomia+correzione della<br />

ptosi<br />

Gruppo 3: ginecomastia a<strong>di</strong>posa ►lipoaspirazione.<br />

Gruppo 4: ginecomastia a<strong>di</strong>posa con modesta componente<br />

ghiandolare ►lipoaspirazione + adenomammectomia.<br />

La ricostruzione della mammella<br />

La per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una o entrambe le mammelle costituisce<br />

un'autentica mutilazione, in quanto viene <strong>di</strong>strutto ciò che<br />

rappresenta nel comune immaginario conscio e inconscio<br />

l'essenza stessa della donna: il seno. La donna<br />

mastectomizzata subisce un attacco durissimo alla propria<br />

identità femminile, con gravi ripercussioni psicologiche,<br />

emozionali e relazionali.<br />

I chirurghi del passato erano tendenzialmente contrari alla ricostruzione dopo<br />

interventi oncologici. I risultati ottenibili d'altra parte erano limitati dalle <strong>di</strong>fficoltà<br />

tecniche riguardanti il trasferimento <strong>di</strong> abbondanti quantità <strong>di</strong> tessuto cutaneo e<br />

sottocutaneo.<br />

Tali Limiti sono da considerare oggi in gran parte superati, grazie alle nuove tecniche<br />

<strong>di</strong>sponibili, inoltre sempre più sesso si praticano <strong>di</strong> routine interventi meno demolitivi<br />

che in passato, quasi sempre con conservazione del muscolo grande pettorale e<br />

impostati in modo da lasciare come esito una cicatrice ad andamento trasversale,<br />

cosicché si può affermare che i risultati attualmente ottenibili dalla chirurgia<br />

ricostruttiva della mammella sono <strong>di</strong> qualità molto elevata.<br />

Ogni donna mastectomizzata è da considerare can<strong>di</strong>data all'intervento <strong>di</strong><br />

ricostruzione, che va quin<strong>di</strong> interpretato non come un atto accessorio ma come<br />

momento integrante dell'iter terapeutico del carcinoma mammario.<br />

118


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

Il chirurgo generale e l'oncologo che seguono la paziente devono essere<br />

responsabilmente coinvolti nella decisione <strong>di</strong> procedere alla ricostruzione oppure<br />

evitarla.<br />

L'indagine clinica preoperatoria deve accertare la qualità dei tessuti residui nella<br />

regione da ricostruire:<br />

la <strong>di</strong>sposizione delle cicatrici, l'abbondanza e lo spessore del tessuto sottocutaneo,<br />

l'elasticità della cute, la presenza del plano muscolare sottostante. E’ importante<br />

sapere se la paziente è o è stata in trattamento chemioterapico e se è stata<br />

sottoposta a terapia ra<strong>di</strong>ante.<br />

Nel caso <strong>di</strong> resezioni mammarie parziali (quadrantectomie) è possibile effettuare<br />

ricostruzioni basate sull'impiego <strong>di</strong> lembi scolpiti nel contesto del parenchima<br />

mammario residuo; tali lembi consentono <strong>di</strong> confezionare una neo-mammella <strong>di</strong><br />

forma gradevole, benché più piccola <strong>di</strong> quella originale.<br />

La procedura <strong>di</strong> ricostruzione totale della mammella è basata sulla soluzione <strong>di</strong><br />

quattro <strong>di</strong>stinti problemi, che possono essere affrontati anche contemporaneamente<br />

in senso cronologico, ma sempre rispettandone la sequenza:<br />

ripristino dei tessuti cutanei e sottocutanei toracici;<br />

creazione del rilievo mammario;<br />

ricostruzione del complesso areola-capezzolo;<br />

simmetrizzazione della mammella controlaterale con quella ricostruita<br />

L'iter <strong>di</strong> ricostruzione della mammella può essere iniziato contestualmente<br />

all'intervento <strong>di</strong> mastectomia.<br />

Tale scelta, praticata con sempre maggiore frequenza, va effettuata sulla scorta <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versi parametri clinici, in particolare:<br />

- la prognosi a me<strong>di</strong>o-lungo termine<br />

- le con<strong>di</strong>zioni generali <strong>di</strong> salute.<br />

Qualora questi elementi siano sfavorevoli, è opportuno procrastinare l'intervento <strong>di</strong><br />

ricostruzione.<br />

Ripristino dei tessuti toracici<br />

Allorché i tessuti residuati alla demolizione si rivelino insufficienti e siano stati<br />

asportati i muscoli pettorali, sarà necessario portare in quella sede un' adeguata<br />

quantità <strong>di</strong> tessuto cutaneo e sottocutaneo. A questo fine si può ricorrere alla<br />

rotazione <strong>di</strong> lembi piani peduncolati <strong>di</strong> prossimità Può trattarsi in tal caso o <strong>di</strong> un<br />

lembo toracico laterale o <strong>di</strong> un lembo toraco-epigastrico.<br />

Quando la demolizione abbia invece conservato cute elastica e sana, mantenendo il<br />

muscolo pettorale e lasciando una cicatrice trasversale, il semplice scollamento<br />

119


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

cutaneo può consentire l'avanzamento in alto <strong>di</strong> abbondante tessuto addominale. Più<br />

frequentemente si ricorre in questi casi all'espansione cutanea, grazie alla quale si<br />

può aumentare la superficie cutanea in misura tale da ottenere una mammella<br />

ricostruita ad<strong>di</strong>rittura ptosica, rendendo così più naturale il risultato.<br />

Quando invece la mastectomia ha residuato tessuti fortemente retratti per azione<br />

della cicatrice residua o in con<strong>di</strong>zioni qualitativamente scadente per terapie ra<strong>di</strong>anti<br />

successive è necessario ricorrere al trasferimento <strong>di</strong> tessuti da se<strong>di</strong> lontane,<br />

ricorrendo ad un lembo miocutaneo.<br />

La rotazione del muscolo gran dorsale consente una valida sostituzione del muscolo<br />

gran pettorale, quando questo sia stato asportato nonché il trasferimento <strong>di</strong> isole<br />

cutanee <strong>di</strong> varia misura, forma ed orientamento secondo le necessità ricostruttive.<br />

Il lembo miocutaneo <strong>di</strong> retto addominale (Transverse Rectus Abdominis Myocutaneous<br />

flap, TRAM) rappresenta oggi un caposaldo della ricostruzione mammaria in quanto,<br />

grazie all'abbondanza del tessuto sottocutaneo compren<strong>di</strong>bile nel lembo consente <strong>di</strong><br />

ripristinare non solo la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> sostanza cutanea, ma anche il volume mammario,<br />

senza impiego <strong>di</strong> protesi e in un solo tempo operatorio, anche contestuale all'atto<br />

demolitivo. Sia il lembo <strong>di</strong> gran dorsale sia il TRAM possono essere trasferiti come<br />

lembi peduncolati come lembi liberi microchirurgici.<br />

La ricostruzione contemporanea della cute toracica e della salienza mammariaviene<br />

proposta anche me<strong>di</strong>ante trasferimento microchirurgico <strong>di</strong> lembo miocutaneo <strong>di</strong><br />

grande gluteo, in donne magre in cui non sia sufficiente il tessuto addominale.<br />

Creazione della salienza mammaria<br />

Come sopra detto, la salienza mammaria può essere validamente ripristinata con<br />

tessuti autologhi me<strong>di</strong>ante trasferimento <strong>di</strong> unità miocutanee.(In alternativa, ottimi<br />

risultati sono ottenibili me<strong>di</strong>ante impianto <strong>di</strong> una protesi purché, come ogni impianto<br />

alloplastico, collocata al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> un tessuto spesso ed eutrofico.<br />

Le protesi attualmente <strong>di</strong>sponibili sul mercato sono costituite da una sacca <strong>di</strong><br />

materiale impermeabile. ripiena <strong>di</strong> un materiale fluido, che dona alla protesi una<br />

consistenza simile a quella del parenchima mammario. Ne esistono <strong>di</strong> svariate forme<br />

e <strong>di</strong>mensioni e sono classificabili in base alle caratteristiche della sacca contenitrice<br />

e del contenuto. La legislazione che regolamenta l'utilizzo delle protesi mammarie,<br />

in or<strong>di</strong>ne sia alle in<strong>di</strong>cazioni sia al tipo <strong>di</strong> protesi, varia da paese a paese.<br />

Attualmente (2003) in Italia è consentito l'impianto <strong>di</strong> qualsiasi tipo <strong>di</strong> protesi<br />

regolarmente commercializzata, sia con in<strong>di</strong>cazioni ricostruttive sia con in<strong>di</strong>cazioni<br />

estetiche.<br />

120


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

Oltre a presentare le consuete problematiche connesse all'impiego degli impianti in<br />

genere, il risultato dell'uso delle protesi mammarie, sia con finalità ricostruttive sia<br />

con finalità estetiche, può essere inficiato dall'entità della reazione capsulare<br />

periprotesica: qualora <strong>di</strong> grado elevato (Baker III e IV), la regione impiantata appare<br />

innaturalmente tondeggiante, dura e anelastica al tatto. Sono state elaborate per<br />

tale motivo protesi con <strong>di</strong>verse caratteristiche chimico-fisiche, con l'obiettivo <strong>di</strong><br />

ridurre la formazione della capsula. Per quanto riguarda le caratteristiche della sacca<br />

contenente, capsule più morbide si ottengono me<strong>di</strong>amente quando la superficie non<br />

è liscia ma testurizzata, cioè opportunamente irregolare. Il rivestimento in Carbofilm<br />

sembra essere quello che induce la reazione più modesta, ma si tratta <strong>di</strong> una<br />

sostanza costosa e <strong>di</strong> colore nero, alquanto visibile dall'esterno attraverso i tessuti. Il<br />

rivestimento in poliuretano in forma spugnosa <strong>di</strong>laziona la fase fibroblastica a spese<br />

del prolungamento della fase <strong>di</strong> attività dei macrofagi, i quali sono in grado <strong>di</strong><br />

fagocitare il poliuretano: se ciò per un periodo <strong>di</strong> tempo limitato (qualche anno) può<br />

impe<strong>di</strong>re la formazione e l'organizzazione della capsula, determina però un<br />

infarcimento del sistema reticoloendoteliale (SRE), non essendo il poliuretano<br />

apprezzabilmente catabolizzato dall'organismo. Per tale motivo riteniamo molto<br />

<strong>di</strong>scutibile l'impiego <strong>di</strong> tale tipo <strong>di</strong> rivestimento. Per quanto riguarda il contenuto, è<br />

ormai accertato che una quota microscopica ma costante <strong>di</strong> esso trasuda attraverso<br />

le pareti della sacca contenente, che non può mai essere considerata totalmente<br />

impermeabile (fenomeno <strong>di</strong> blee<strong>di</strong>ng). Per tale motivo sono state proposte sacche a<br />

doppia camera, che garantirebbero un migliore isolamento del fluido all'interno della<br />

protesi: in realtà anche questo artificio non si è <strong>di</strong>mostrato risolutivo, provocando<br />

anzi nuovi problemi legati alla possibilità che flui<strong>di</strong> biologici endogeni (siero) migrino<br />

all'interno della doppia camera. Il gel <strong>di</strong> silicone trasudato determina un ulteriore<br />

ispessimento e indurimento della capsula periprotesica: ciò <strong>di</strong>sturba molto il risultato<br />

estetico, determinando talora anche <strong>di</strong>sturbi soggettivi, quali dolore e senso <strong>di</strong><br />

tensione, tuttavia costituisce una barriera alla migrazione sistemica del gel, che<br />

potrebbe avere conseguenze anche molto gravi (deformità da deposito ectopico,<br />

infarcimento linfonodale e del SRE, embolia). L'uso <strong>di</strong> sostanze biodegradabili<br />

(soluzione fisiologica, oli vegetali, polivinilpirrolidone, idrossimetilcellulosa, ecc.)<br />

come materiale <strong>di</strong> riempimento avrebbe il significato <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re reazioni<br />

indesiderate in seguito a blee<strong>di</strong>ng; anche tali protesi tuttavia non si sono <strong>di</strong>mostrate<br />

totalmente sicure, in quanto frequentemente hanno indotto <strong>di</strong>versi effetti<br />

indesiderati, quali svuotamenti "spontanei" in assenza <strong>di</strong> traumatismi apprezzabili e<br />

calcificazioni periprotesiche.<br />

121


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

Tra i materiali <strong>di</strong> riempimento attualmente oggetto <strong>di</strong> sperimentazione ricor<strong>di</strong>amo il<br />

gel <strong>di</strong> poliacrilamide e l'acido jaluronico.<br />

Da quanto sommariamente esposto appare evidente che a tutt'oggi le protesi<br />

mammarie, benché ampiamente impiegate con altissima percentuale <strong>di</strong> risultati<br />

ottimi, non sono da considerare un impianto per cui si sia giunti a mettere a punto<br />

l'optimum e la ricerca al riguardo è tuttora aperta. In verità le caratteristiche della<br />

reazione capsulare periprotesica sono solo parzialmente attribuibili alle<br />

caratteristiche delle <strong>di</strong>verse protesi; contano molto anche la reattività della singola<br />

paziente (per es. pazienti con tendenza alla cicatrizzazione ipertrofica), una cattiva<br />

condotta chirurgica intraoperatoria (emostasi poco accurata, manualità grossolana),<br />

un decorso postoperatorio complicato da sieromi, traumatismi anche modesti, ecc.<br />

La frequenza <strong>di</strong> tale reazione varia nelle <strong>di</strong>verse casistiche dal 5% al 15% ed è<br />

sicuramente minore per chirurghi esperti e con l'impiego <strong>di</strong> protesi prodotte da<br />

aziende <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scussa serietà.<br />

Ricostruzione del complesso areola-capezzolo<br />

Il tessuto più idoneo per ricostruire l'areola è quello dell'areola controlaterale. Essa<br />

pigiò essére prelevata nella misura del 50% e trasferita come innesto; analogainente<br />

il capezzolo residuo può esserearzialmente amputato e innestato in sede<br />

controlaterale. Tale tecnica viene elettivamente impiegata quando si effettui<br />

contestualmente un modellamento in senso riduttivo della mammella controlaterale.<br />

Alcuni oncologi oppongono a tale meto<strong>di</strong>ca la considerazione che anche la mammella<br />

"sana" è a rischio <strong>di</strong> malattia neoplastica e che quin<strong>di</strong> in tale modo si trasferirebbe in<br />

sede <strong>di</strong> mastectomia un tessuto a rischio. È possibile ricorrere anche ad innesti <strong>di</strong><br />

mucosa delle piccole labbra o innesti <strong>di</strong> cute perineale, anche se il colorito non è mai<br />

esattamente uguale a quello dell'areola. Tale meto<strong>di</strong>ca non è in genere molto gra<strong>di</strong>ta<br />

alle pazienti, in quanto la considerano un'ulteriore mutilazione.<br />

La meto<strong>di</strong>ca più innocua e attualmente più praticata consiste nel costruire un<br />

rilievo simulante il capezzolo con l'ausilio <strong>di</strong> lembi scolpiti alla sommità della salienza<br />

mammaria ricostruita, variamente conformati. Il particolare colorito del complesso<br />

areola-capezzolo viene successivamente ottenuto me<strong>di</strong>ante tatuaggio<br />

Simmetria delle mammelle<br />

Il più delle volte non è possibile ottenere una nuova mammella esattamente<br />

conformata come la controlaterale. Per ovviare a tale inconveniente quest'ultima<br />

deve essere allora sottoposta ad una mastoplastica riduttiva, se è <strong>di</strong> volume<br />

eccessivo o ad una mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva, se è <strong>di</strong> volume insufficiente, o ad una<br />

mastopessi, per modellarne la forma. Va ricordato che una buona percentuale <strong>di</strong><br />

122


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

pazienti si ritiene sod<strong>di</strong>sfatta dalla semplice creazione della salienza mammaria,<br />

rifiutando non solo il raggiungimento della simmetria ma spesso anche la<br />

ricostruzione dell'areola e del capezzolo. In verità le caratteristiche della reazione<br />

capsulare periprotesica sono solo parzialmente attribuibili alle caratteristiche delle<br />

<strong>di</strong>verse protesi; contano molto anche la reattività della singola paziente (per es.<br />

pazienti con tendenza alla cicatrizzazione ipertrofica), una cattiva condotta<br />

chirurgica intraoperatoria (emostasi poco accurata, manualità grossolana), un<br />

decorso postoperatorio complicato da sieromi, traumatismi anche modesti, ecc. La<br />

frequenza <strong>di</strong> tale reazione varia nelle <strong>di</strong>verse casistiche dal 5% al 15% ed è<br />

sicuramente minore per chirurghi esperti e con l'impiego <strong>di</strong> protesi prodotte da<br />

aziende <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scussa serietà.<br />

123


Mastoplastiche<br />

Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

I più comuni inestetismi delle mammelle sono:<br />

l'ipertrofia (o iperplasia);<br />

la ptosi;<br />

l'ipoplasia (o ipotrofia).<br />

Mastoplastica riduttiva<br />

L'ipertrofia mammaria può essere <strong>di</strong> varia entità fino a<br />

raggiungere, in taluni casi, <strong>di</strong>mensioni tali da essere<br />

considerata una vera malformazione (gigantomastia).<br />

La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ipertrofia, specie se <strong>di</strong> grado elevato,<br />

può determinare <strong>di</strong>sturbi non solo <strong>di</strong> carattere estetico<br />

ma anche funzionale: tensione dolorosa della cute,<br />

solchi sulle spalle per la compressione delle spalline<br />

del reggiseno, lordosi e scoliosi, intertrigini ed eczemi<br />

nel solco sottomammario. Esistono ipertrofie<br />

ghiandolari pure, o meglio iperplasie (più frequenti<br />

nelle adolescenti), ipertrofie miste, in cui il pur voluminoso tessuto ghiandolare è<br />

infiltrato abbondantemente da tessuto a<strong>di</strong>poso (in genere postgravi<strong>di</strong>che), ipertrofie<br />

esclusivamente a<strong>di</strong>pose (sempre associate ad a<strong>di</strong>posità generalizzata <strong>di</strong> tutto il<br />

corpo). All'ipertrofia mammaria si associa regolarmente la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ptosi,<br />

provocata dal peso della mammella.<br />

Numerose sono le tecniche chirurgiche per la correzione della con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

ipertrofia. Tutte riconoscono due momenti fondamentali:<br />

- la resezione cutaneo-ghiandolare;<br />

- il rifacimento del cono mammario con riposizionamento in sede adeguata del<br />

complesso areola-capezzolo.<br />

Le <strong>di</strong>verse tecniche possono essere <strong>di</strong>stinte in base alle caratteristiche del<br />

peduncolo destinato a mantenere l'irrorazione della porzione <strong>di</strong> mammella residua. Si<br />

riconoscono tecniche con peduncolo superiore, inferiore, centrale o con due<br />

peduncoli. Inevitabili sono le incisioni periareolare, verticale che attraversa<br />

l'emisfero mammario inferiore ed orizzontale, nel solco sottomammario, <strong>di</strong>sposta in<br />

modo da costituire un <strong>di</strong>segno a T rovesciata o ad L. La stragrande maggioranza delle<br />

tecniche attualmente in uso mantiene la continuità del complesso areola-capezzolo<br />

con la porzione <strong>di</strong> mammella residua per non sopprimere la funzione<br />

dell'allattamento ovvero <strong>di</strong> mantenere il tipico trofismo e la particolare sensibilità e<br />

124


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

reattività. L'entità della resezione ghiandolare varia da poche centinaia <strong>di</strong> grammi<br />

per mammella fino a raggiungere e superare i 1 kg.<br />

I risultati sono in genere molto buoni e si mantengono nel tempo, anche se<br />

inevitabilmente una gravidanza e/o l'allattamento possono indurre una modesta<br />

reci<strong>di</strong>va, specie nella donna molto giovane.<br />

Le complicanze più temibili sono la necrosi (da insufficienza vascolare) del complesso<br />

areola-capezzolo e le raccolte ematiche e/o sierose.<br />

Mastopessi<br />

La ptosi mammaria è una con<strong>di</strong>zione per cui, a causa del ce<strong>di</strong>mento dei tessuti che<br />

sostengono la ghiandola mammaria, il capezzolo si viene a trovare in una posizione<br />

più bassa rispetto all'ideale piano perpen<strong>di</strong>colare al punto <strong>di</strong> mezzo dell'omero. Come<br />

già esposto, tale situazione accompagna <strong>di</strong> regola l'ipertrofia mammaria ma può<br />

essere presente anche in mammelle <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni normali o anche ipoplasiche; può<br />

essere conseguente ad un allattamento, ad un cospicuo <strong>di</strong>magramento o<br />

semplicemente all'invecchiamento. Ovviamente le implicazioni <strong>di</strong> una ptosi<br />

mammaria sono esclusivamente <strong>di</strong> carattere estetico.<br />

Le tecniche chirurgiche <strong>di</strong> correzione (mastopessi) sono impostate sugli stessi principi<br />

della mastoplastica riduttiva. Ovviamente in una mammella <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni normali il<br />

cono mammario viene rimodellato senza subire alcuna riduzione a carico del<br />

parenchima ghiandolare, ma solo della cute. La tecnica d'approccio è mirata ad<br />

ottenere cicatrici il meno lunghe possibile, così da poter essere occultate anche da<br />

un reggiseno minuscolo. Il mantenimento della funzionalità e della sensibilità del<br />

complesso areola-capezzolo è mandatorio. mammelle molto piccole è possibile<br />

associare alla pessi un'integrazione del volume, me<strong>di</strong>ante contestuale impianto <strong>di</strong><br />

una protesi.<br />

Le complicanze <strong>di</strong> una mastopessi sono paragonabili a quelle <strong>di</strong> una mastoplastica<br />

riduttiva, anche se in misura molto ridotta.<br />

Mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva<br />

Il desiderio <strong>di</strong> incrementare il volume delle<br />

mammelle corrisponde al desiderio <strong>di</strong><br />

accentuare la propria immagine <strong>di</strong><br />

femminilità.<br />

Le in<strong>di</strong>cazioni all'intervento sono pertanto<br />

rappresentate da tutte le forme <strong>di</strong> scarsità<br />

del volume mammario. Ovviamente tale<br />

concetto <strong>di</strong> "scarsità" è estremamente<br />

125


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

variabile e quanto mai con<strong>di</strong>zionato da fattori anche molto "lievi", quali i modelli<br />

d'abito proposti dalla moda, le immagini femminili utilizzate dalla pubblicità e così<br />

via.<br />

La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> inadeguato volume mammario si può osservare nella ragazza<br />

giovane, per mancato o inadeguato sviluppo della ghiandola mammaria (ipoplasia) o<br />

nella donna più avanti negli anni, spesso dopo gravidanza e allattamento, per<br />

involuzione del parenchima mammario (ipotrofia): in quest'ultimo caso non è<br />

infrequente la coesistenza <strong>di</strong> ptosi, come sopra descritto.<br />

Per completezza espositiva si ricorda che le tecniche proposte per conseguire<br />

l'aumento del volume mammario ricalcano quelle impiegate per il reintegro del<br />

volume nella ricostruzione della mammella.<br />

Tuttavia la tecnica assolutamente dominante e la sola ragionevolmente proponibile<br />

nell'ambito della chirurgia estetica consiste nell'impianto <strong>di</strong> protesi.<br />

La tasca, in cui viene collocata la protesi, può essere ricavata:<br />

-tra il piano ghiandolare e il piano del muscolo grande pettorale;<br />

-al <strong>di</strong> sotto del muscolo grande pettorale.<br />

A favore della scelta sottopettorale stanno varie considerazioni:<br />

è in genere desiderabile che un impianto sia posizionato il più possibile in profon<strong>di</strong>tà;<br />

il muscolo pettorale svolge una sorta <strong>di</strong> massaggio continuo sulla protesi, favorendo<br />

così la costituzione <strong>di</strong> una capsula meno spessa;<br />

specie nel soggetto magro, sono meno visibili innaturali sporgenze dei margini delle<br />

protesi; è più agevole l'esecuzione <strong>di</strong> esami quali la mammografia e l'ecografia.<br />

A favore della scelta sottoghiandolare sono altre considerazioni:<br />

l'atto chirurgico è meno aggressivo;<br />

la tasca sottopettorale è controin<strong>di</strong>cata in soggetti molto de<strong>di</strong>ti ad attività sportive,<br />

in cui il muscolo debba fornire prestazioni elevate;<br />

in sede sottoghiandolare la protesi ha minore tendenza a "risalire" verso la regione<br />

succlavia.<br />

La via d'accesso cutanea può essere:<br />

-nel solco inframammario;<br />

- periareolare;<br />

-transascellare, in corrispondenza dell'apice inferiore del cavo ascellare.<br />

La scelta della via scaturisce dalla valutazione della conformazione del torace della<br />

paziente, delle caratteristiche della cute, delle abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> vita, del tipo <strong>di</strong> protesi<br />

scelta. In ogni caso ci si deve aspettare, in corrispondenza dell'incisione, una<br />

cicatrice lineare lunga dai 4 ai 6cm.<br />

126


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

Da qualche anno è stato proposto anche l'accesso per via transombelicale, con<br />

l'ausilio dell'endoscopio. Al momento però i risultati non appaiono vali<strong>di</strong>, in quanto<br />

tale tecnica limita sia la possibilità <strong>di</strong> scelta del tipo <strong>di</strong> protesi (si impiegano<br />

esclusivamente protesi riempibili con soluzione fisiologica' al termine della fase <strong>di</strong><br />

posizionamento) sia la possibilità <strong>di</strong> modellare adeguatamente la forma delle nuove<br />

mammelle. Si sottolinea che spetta solo al chirurgo la scelta della protesi e della<br />

tecnica più opportuna per la singola paziente. Si riba<strong>di</strong>sce altresì che a tutt'oggi non<br />

è mai stata <strong>di</strong>mostrata alcuna potenzialità carcinoge<strong>net</strong>ica né inducente patologia<br />

autoimmune per nessuna delle protesi in uso. Alle comuni controin<strong>di</strong>cazioni già<br />

<strong>di</strong>scusse in senso generale per ogni intervento <strong>di</strong> chirurgia estetica, per l'intervento<br />

<strong>di</strong> mastoplastica ad<strong>di</strong>tiva vanno aggiunte le sindromi su base autoimmune, in quanto<br />

la presenza <strong>di</strong> un corpo estraneo può fungere da a<strong>di</strong>uvante per l'espressività clinica <strong>di</strong><br />

tali patologie. L'intervento si effettua <strong>di</strong> regola in anestesia generale. In casi ottimali<br />

l'intervento può essere effettuato in regime <strong>di</strong> day-hospital. In ogni caso in genere la<br />

degenza postoperatoria non supera le 24 ore. Non sono necessarie trasfusioni <strong>di</strong><br />

sangue né predepositi. È’ opportuno che la donna non effettui lavori pesanti né<br />

pratichi sport per 3-4 settimane dopo l'intervento. È buona regola che per circa 2<br />

mesi indossi regolarmente un reggiseno opportunamente sostenuto (in genere è il<br />

chirurgo plastico a suggerire il modello più idoneo); è opportuno che un buon<br />

reggiseno venga indossato anche successivamente in occasione <strong>di</strong> attività particolari<br />

(sport, lavori pesanti). Il risultato estetico, già molto gratificante fin dai primi giorni,<br />

è ottimale e stabile dopo qualche mese, quando, se l'intervento è stato eseguito a<br />

regola d'arte e non sono sopravvenute complicazioni, le mammelle sottoposte ad<br />

impianto assumono consistenza morbida e una forma naturalmente sostenuta. E<br />

importante che la paziente non <strong>di</strong>mentichi <strong>di</strong> effettuare tutti i controlli che il<br />

chirurgo plastico richiederà, allo scopo <strong>di</strong> identificare e trattare fin dall'inizio<br />

eventuali complicanze. Tali complicanze, peraltro sempre meno frequenti (5-10% dei<br />

casi), consistono per lo più nella costituzione <strong>di</strong> una contrattura capsulare <strong>di</strong> grado<br />

elevato. Ben più gravi complicanze sono l'infezione o la rottura delle protesi: esse<br />

però sono da considerare come eccezionali e da imputare ad un errore <strong>di</strong> tecnica<br />

operatoria, ad un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> fabbricazione delle protesi o a un trauma <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria<br />

entità. Una complicanza psicologica da non sottovalutare può essere l'elaborazione <strong>di</strong><br />

una con<strong>di</strong>zione psichica <strong>di</strong> "invasione del proprio corpo da parte <strong>di</strong> un oggetto<br />

estraneo": se non risolta, tale con<strong>di</strong>zione richiede la rimozione della protesi. La<br />

donna portatrice <strong>di</strong> protesi mammarie può tranquillamente viaggiare in aereo,<br />

compiere escursioni ad alta quota o praticare immersioni in profon<strong>di</strong>tà, senza rischi<br />

127


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

<strong>di</strong> rottura <strong>di</strong> una protesi <strong>di</strong> buona qualità, purché il cambiamento <strong>di</strong> pressione cui si<br />

sottopone avvenga gradualmente. Può ovviamente sottoporsi anche ai routinari<br />

controlli senologici, compresa la mammografia: naturalmente dovrà preventivamente<br />

informare lo specialista che si appresta a visitarla o ad effettuare un esame<br />

strumentale <strong>di</strong> essere portatrice <strong>di</strong> impianto <strong>di</strong> protesi mammaria. Le protesi<br />

attualmente in uso si ritiene abbiano una durata me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 10 anni, trascorsi i quali è<br />

molto opportuno, anche se non in<strong>di</strong>spensabile in tutti i casi, programmare la loro<br />

sostituzione: infatti, benché costituite da materiale inerte, nel corso degli anni<br />

tendono ad usurarsi e quin<strong>di</strong> ne <strong>di</strong>viene più facile la rottura accidentale.<br />

128


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

LESIONI DA RADIAZIONI IONIZZANTI<br />

Si intendono per ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti quelle che provocano nella materia la<br />

formazione <strong>di</strong> particelle cariche elettricamente (ioni). Per quanto <strong>di</strong>verse possano<br />

essere dal punto <strong>di</strong> vista fisico, le ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti con cui l'organismo può venire<br />

a contatto (raggi alfa, beta, gamma, X, neutroni accelerati, protoni <strong>di</strong> rinculo, UV,<br />

ecc.), i fenomeni biologici, scatenati nella materia vivente dall'assorbimento <strong>di</strong><br />

energia ra<strong>di</strong>ante, sono sostanzialmente analoghi e riconducibili a:<br />

- danno <strong>di</strong>retto degli aci<strong>di</strong> nucleici, con conseguenti alterazioni strutturali dei<br />

cromosomi;<br />

- ionizzazione dell'acqua intra- ed extracellulare, con formazione <strong>di</strong> ioni e ra<strong>di</strong>cali<br />

liberi;<br />

A tale danno molecolare può conseguire un blocco, anche parziale, della sintesi<br />

proteica, con degenerazione e necrosi cellulare, ovvero mutazioni del genoma con<br />

sviluppo <strong>di</strong> cellule aberranti (neoplastiche). Per dosi molto piccole, è possibile la<br />

spontanea riparazione del danno cellulare, con completa restituito ad integrum. Per<br />

dosi più elevate invece il danno cellulare non è reversibile a parità <strong>di</strong> dose, sono<br />

meno nocive le piccole somministrazioni articolate in un ampio lasso <strong>di</strong> tempo,<br />

probabilmente perché in tale modo si permette la realizzazione <strong>di</strong> fenomeni<br />

riparativi nelle popolazioni cellulari meno colpite. Non tutte le cellule sono<br />

egualmente sensibili a tutte le ra<strong>di</strong>azioni: tale sensibilità aumenta in proporzione al<br />

loro contenuto in aci<strong>di</strong> nucleici ed è quin<strong>di</strong> maggiore nelle cellule <strong>di</strong> tipo cambiale,<br />

in fase <strong>di</strong> moltiplicazione ovvero genericamente in intensa attività metabolica. Sono<br />

quin<strong>di</strong> particolarmente sensibili tutti i tessuti del bambino e, nell'adulto, l'apparato<br />

linfatico, le gona<strong>di</strong>, i tessuti epiteliali e viceversa appaiono ra<strong>di</strong>oresistenti i muscoli<br />

e i nervi. Le forme cliniche conseguenti all'esposizione a ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti possono<br />

essere inquadrate nel modo seguente:<br />

Sindromi da irra<strong>di</strong>azione generale acuta, osservate,oltre che nell'animale da<br />

esperimento, nei soggetti coinvolti in esplosioni nucleari e fughe ra<strong>di</strong>oattive.<br />

Sindromi da irra<strong>di</strong>azione localizzata, osservabili in:<br />

- soggetti sottoposti a terapie ra<strong>di</strong>anti: in questo caso la dose <strong>di</strong> raggi è in genere<br />

piuttosto elevata, in quanto destinata per lo più a <strong>di</strong>struggere una forma neoplastica.<br />

L'impiego <strong>di</strong> apparecchiature e meto<strong>di</strong>che sempre più raffinate, in mani esperte,<br />

dovrebbe oggi permettere <strong>di</strong> ridurre al minimo la patologia iatrogena da ra<strong>di</strong>azioni<br />

129


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

ionizzanti. La notevole latenza che intercorre tra irra<strong>di</strong>azione e patologia da raggi fa<br />

sì che a tutt'oggi non ne sia obsoleto il reperto. Le se<strong>di</strong> ove è più comune il reperto <strong>di</strong><br />

lesioni iatrogene da raggi corrispondono alle regioni più frequentemente colpite da<br />

forme neoplastiche ed al loro stazioni linfonodali: la parete toracica e il pilastro<br />

anteriore dell'ascella (carcinoma mammario), la regione sacrale e inguinale (cancro<br />

uterino), il cavo orale e il collo;<br />

- lavoratori <strong>di</strong> industrie nelle quali si manipolano materiali ra<strong>di</strong>oattivi e personale<br />

addetto ai servizi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>o<strong>di</strong>agnostica e ra<strong>di</strong>oterapia: in quest' ultimo caso in genere<br />

la singola dose <strong>di</strong> raggi assorbita è modesta, ma può <strong>di</strong>venire rilevante con il passare<br />

del tempo se l'esposizione alle ra<strong>di</strong>azioni si ripete frequentemente. Nell'ambito della<br />

patologia professionale viene più frequentemente colpito il dorso della mano. In ogni<br />

caso, la sintomatologia è abbastanza uniforme e <strong>di</strong>pendente dalla dose <strong>di</strong> raggi<br />

assorbita. Nei casi più gravi il risentimento sistemico è imponente, con esito anche<br />

mortale per lesioni del sistema nervoso centrale, emorragie interne <strong>di</strong>ffuse, leucemie<br />

e altre forme neoplastiche. Nei casi più lievi si configura il quadro del cosiddetto<br />

male da raggi caratterizzato da sintomi nervosi (anoressia, nausea vomito, cefalea,<br />

insonnia) ed ematologici (leucopenia, anemi, trombocitopenia) A livello locale la<br />

risposta cutanea (ra<strong>di</strong>odermite) si articola fondamentalmente in due momenti:<br />

risposta acuta e risposta cronica.<br />

Ra<strong>di</strong>odermite acuta<br />

Si manifesta dopo pochi giorni dall'irra<strong>di</strong>azione con unta maggiore evidenza quanto<br />

più elevata è la dose assorbita. La forma più lieve consiste solo in un blando eritema,<br />

che regre<strong>di</strong>sce in breve tempo senza reliquati: talora può verificarsi una transitoria<br />

interruzione delle funzioni annessiali (caduta dei peli, arresto delle serezioni<br />

sudoripara sebacea). Con l’aggravarsi della sintomatologia compaiono anche prurito,<br />

desuamazione, edema, flittene e infine necrosi tissutale simulando così il quadro <strong>di</strong><br />

una ustione <strong>di</strong> 2° e 3° grado (ra<strong>di</strong>onecrosi).<br />

Ra<strong>di</strong>odermite cronica<br />

Può rappresentare l'esito obbligato in cui sfociano senza soluzione <strong>di</strong> continuo le<br />

ra<strong>di</strong>odermiti acute me<strong>di</strong>e e gravi, ovvero può insorgere come tale, quale unica<br />

tar<strong>di</strong>va manifestazione <strong>di</strong> una pregressa irra<strong>di</strong>azione.<br />

La ra<strong>di</strong>odermite cronica si manifesta clinicamente come un'atrofia <strong>di</strong> tipo cicatriziale<br />

del sottocutaneo e della cute, che appare acromica al centro della lesione e<br />

fortemente ipercromica e costellata <strong>di</strong> teleangectasie alla periferia; frequente è<br />

anche il reperto delle cosiddette macchie <strong>di</strong> carbone, costituite da lesioni iperpig-<br />

mentate corrispondenti ad ammassi <strong>di</strong> emosiderina. Soggettivamente il paziente<br />

130


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

lamenta sempre dolore acuto e intenso, che in genere è il sintomo che lo spinge a<br />

consultare lo specialista.<br />

A tale quadro clinico corrispondono sul piano istopatologico: nell'epidermide<br />

ipercheratosi e acantosi, "swelling" dello strato spinoso, edema dello strato basale;<br />

nel derma edema, vescicolazione, atrofia degli annessi e delle fibre elastiche, fibrosi<br />

delle fibre collagene; a livello vascolare necrosi fibrinoide delle pareti e trombosi<br />

<strong>di</strong>sseminate. Le ra<strong>di</strong>odermiti croniche gravi o inveterate evolvono inevitabilmente<br />

nella ra<strong>di</strong>onecrosi. Essa generalmente si manifesta dapprima come una o più<br />

ulcerazioni superficiali, piccole, tendenti alla confluenza; successivamente coinvolge<br />

i piani sottostanti fino a giungere, nei casi più clamorosi, alla <strong>di</strong>struzione massiva dei<br />

tessuti profon<strong>di</strong>. Il fondo dell'ulcera ra<strong>di</strong>odermitica è tipicamente sanioso, pallido ed<br />

emana un caratteristico fetore, dovuto all'abbondante popolazione microbica, il cui<br />

sviluppo, essendo la vascolarizzazione molto carente, non può essere contrastato<br />

stabilmente. Il dolore è in genere più modesto che nella forma non necrotica,<br />

verosimilmente per <strong>di</strong>struzione delle fibre sensitive. Di particolare gravità sono le<br />

ra<strong>di</strong>onecrosi in corrispondenza <strong>di</strong> strutture, la cui esposizione e conseguente<br />

degenerazione si traduce in un danno funzionale (in particolare nervi e ten<strong>di</strong>ni)<br />

ovvero ad<strong>di</strong>rittura in un rischio <strong>di</strong> vita (grossi vasi, sierose, dura madre, ecc.).<br />

Ra<strong>di</strong>odermiti e ra<strong>di</strong>onecrosi sono da molti Autori considerate vere e proprie<br />

precancerosi: in effetti, in una percentuale variabile dal 15% al 35% dei casi, a<br />

seconda delle statistiche, si osserva, specie nelle forme più inveterate, l'insorgenza<br />

<strong>di</strong> un tumore maligno. In genere si tratta <strong>di</strong> un epitelioma spinocellulare, anche se<br />

talora si sono osservati basaliomi, sarcomi e melanomi. Le ra<strong>di</strong>odermiti acute si<br />

trattano in genere con topici antinfiammatori. Invece la terapia delle ra<strong>di</strong>odermiti<br />

croniche e delle ra<strong>di</strong>onecrosi è esclusivamente chirurgica. Essa consiste nella<br />

generosa escissione <strong>di</strong> tutta la regione irra<strong>di</strong>ata: il segno <strong>di</strong>scriminante tra il tessuto<br />

sano e quello irra<strong>di</strong>ato è. in genere la sua "povertà"<br />

circolatoria. Questo tempo operatorio è in genere<br />

complicato dallo stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusa sclerosi cicatriziale,<br />

particolarmente temibile in prossimità dei grossi vasi,<br />

duri e fragili così da essere possibile fonte <strong>di</strong> gravi<br />

emorragie. All'asportazione del tessuto ra<strong>di</strong>odermitico<br />

corrisponde puntualmente la risoluzione del sintomo dolore, fin dalle prime ore<br />

postoperatorie. Per la ricostruzione, è necessario utilizzare un trapianto, dotato <strong>di</strong><br />

un robusto assetto vascolare: esso infatti deve essere in grado <strong>di</strong> fornire alla sede<br />

ricevente una rete circolatoria tale da sopperire alla sua carenza. Non è infrequente<br />

131


Lesioni da ra<strong>di</strong>azioni ionizzanti<br />

osservare, in seguito al trapianto <strong>di</strong> un robusto lembo, la spontanea risoluzione <strong>di</strong><br />

piccole lesioni <strong>di</strong>strofiche limitrofe, che per motivi vari non si siano potute rimuovere<br />

insieme alla lesione principale.<br />

Si utilizzano elettivamente lembi miocutanei o, in alternativa, fasciocutanei.<br />

132


Laserchirurgia cutanea<br />

LASERCHIRURGIA CUTANEA<br />

La teoria quantistica sulla emissione <strong>di</strong> fotoni da parte <strong>di</strong> atomi bersagliati da altri<br />

fotoni <strong>di</strong> pari lunghezza d'onda, elaborata da Einstein nel 1917, rappresenta la teoria<br />

fisica su cui si fonda l'emissione <strong>di</strong> un raggio LASER ed i processi fondamentali che<br />

regolano tutte le interazioni della luce con la materia sono: l'assorbimento e la<br />

<strong>di</strong>ffusione. Quando la luce colpisce la superficie cutanea circa i 15% viene riflesso a<br />

causa del <strong>di</strong>fferente in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rifrazione tra l'aria (n=1, 0) e lo strato corneo (n=1, 55)<br />

mentre il restante 95% viene non solo assorbito ma anche <strong>di</strong>ffuso dalle strutture<br />

tissutali: nell'epidermide normale l'assorbimento è il processo dominante nella<br />

maggior parte dello spettro ottico mentre nel derma si verifica una forte <strong>di</strong>ffusione a<br />

livello delle fibre collagene basata sulla lunghezza d'onda. Analogamente quando il<br />

raggio laser raggiunge il tessuto bersaglio può essere riflesso o assorbito trasferendo<br />

l'energia ai cromofori cutanei (emoglobina, melanina, acqua e pigmenti) sottoforma<br />

<strong>di</strong> calore. E' noto che il calore prodotto dal laser nel momento dell'impatto con un<br />

cromoforo si <strong>di</strong>ffonde nel tessuto organico secondo un meccanismo <strong>di</strong> rilasciamento<br />

termico ovvero il tempo necessario perché il punto irra<strong>di</strong>ato perda il 50% del calore<br />

incidente senza trasmetterlo per <strong>di</strong>ffusione nelle zone a<strong>di</strong>acenti (trt) e che l'efficacia<br />

terapeutica è regolata dalla teoria della fototermolisi selettiva elaborata da<br />

Anderson e Parrish nel 1983 per descrivere un danno tissutale termico <strong>di</strong> target<br />

microscopici e pigmentati attraverso impulsi assorbiti in modo selettivo. La<br />

fototermolisi selettiva, dunque, prevede un complesso coacervo <strong>di</strong> interazioni<br />

chimico-fisiche con 3 principi basilari:<br />

a) una lunghezza d'onda che raggiunga e venga assorbita dall'obiettivo selezionato;<br />

b) un tempo <strong>di</strong> esposizione uguale o inferiore al tempo <strong>di</strong> raffreddamento del target;<br />

c) una fluenza sufficiente per una temperatura utile a produrre l'effetto terapeutico.<br />

Quando è possibile raggiungere tali con<strong>di</strong>zioni, unitamente al massimo confinamento<br />

termico, è preve<strong>di</strong>bile la maggiore efficacia terapeutica e dunque il miglior risultato<br />

clinico.<br />

La laserchirurgia cutanea oggi <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> numerose macchine che possono essere<br />

genericamente sud<strong>di</strong>vise in tre categorie principali:<br />

1. laser non selettivi o chirurgici (azione d'organo, cromoforo principale l'acqua);<br />

2. laser macroselettivi o <strong>di</strong> tessuto (azione <strong>di</strong> tessuto, cromoforo principale<br />

l’ossiemoglobina);<br />

133


Laserchirurgia cutanea<br />

3. laser microselettivi o subcellulari (azione cellulare, cromoforo principale<br />

pigmenti endogeni ed esogeni).<br />

Le <strong>di</strong>fferenti possibili interazioni laser-tessuto <strong>di</strong>pendono dunque dalla densità<br />

energetica erogata e dalla unità <strong>di</strong> tempo in cui viene rilasciata ma sono certamente<br />

con<strong>di</strong>zionate anche dal tipo <strong>di</strong> interazione fotoindotta ovvero l'effetto fototermica,<br />

fotomeccanico e fotochimico. Le principali applicazioni dei laser chirurgici (ad<br />

emissione continua o impulsata) sono fondate sulla conversione dell'energia<br />

elettromag<strong>net</strong>ica ra<strong>di</strong>ante in energia termica (effetto fototermico) con risultati<br />

clinici che vanno, in base al tempo <strong>di</strong> irraggiamento ed a parità <strong>di</strong> energia, dal<br />

semplice surriscaldamento, alla coagulazione, alla vaporizzazione, fino alla<br />

carbonizzazione del tessuto. L'effetto fotomeccanico si ottiene invece con i laser Q-<br />

Switched ad impulso breve in grado <strong>di</strong> erogare spot con alte potenze <strong>di</strong> picco<br />

nell'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> nanosecon<strong>di</strong> capaci <strong>di</strong> provocare una improvvisa espansione termica del<br />

cromoforo e la formazione <strong>di</strong> onde d'urto pressorie così intense da frammentare il<br />

target me<strong>di</strong>ante una esplosione cellulare mirata. La reazione fotochimica selettiva,<br />

infine, può essere ottenuta sia con cromofori endogeni come l'emoglobina o la<br />

melanina e sia con cromofori esogeni (pigmenti): l'energia laser, infatti, ha la<br />

possibilità <strong>di</strong> eccitare transizioni elettroniche o vibrazionali capaci <strong>di</strong> determinare<br />

una frattura "fredda" dei ponti e dei legami intramolecolari con un danno delle<br />

strutture biologiche in<strong>di</strong>pendente dalla produzione <strong>di</strong> calore e legato a profonde<br />

alterazioni strutturali delle molecole target che assorbono i fotoni. Le applicazioni<br />

del laser nelle malattie e negli inestetismi della pelle rappresentano un settore<br />

scientifico e <strong>di</strong> ricerca in continua espansione per la migliore interpretazione e<br />

conoscenza delle interazioni laser-tessuto, per il progresso tecnologico nella<br />

realizzazione dell’ hardware e dei sistemi <strong>di</strong> cessione finale della ra<strong>di</strong>azione laser e<br />

per il progressivo ampliamento delle in<strong>di</strong>cazioni cliniche. E' bene ricordare che i<br />

moderni sistemi sono in grado <strong>di</strong> emettere un fascio luminoso monocromatico,<br />

coerente e collimato in modalità continua, pseudocontinua, pulsata (impulso breve o<br />

lungo) e Q-Switched, che le emissioni <strong>di</strong> tipo continuo possono sud<strong>di</strong>vidersi in<br />

intermittenti o abbinate a flashscanner e che le interazioni con le strutture<br />

biologiche sono strettamente correlate alla lunghezza d'onda, al tempo <strong>di</strong><br />

esposizione del tessuto,<br />

alla durata dell'impulso,<br />

alla potenza erogata ed<br />

alle <strong>di</strong>mensioni dello<br />

spot. I laser possono<br />

134


Laserchirurgia cutanea<br />

dunque essere utilizzati con successo nel trattamento <strong>di</strong> moltissimi quadri clinici<br />

ovvero neoformazioni benigne e maligne della cute (nevi dermici, nevi epidermici,<br />

verruche, xantelasmi, macchie, cheratosi attiniche basaliomi superficiali, etc),<br />

anomalie vascolari congenite e acquisite (angiomi, couperose, teleangectasie degli<br />

arti inferiori, eritrosi, etc), cicatrici acneiche e chirurgiche, esiti <strong>di</strong> ustioni, psoriasi,<br />

vitiligine, striae <strong>di</strong>stensae, rughe, peli superflui, tatuaggi.<br />

E' noto che il laser Nd:YAG con i suoi 1064 nm <strong>di</strong> lunghezza d'onda trova un peculiare<br />

settore d'impiego nella patologia<br />

vascolare ma offre buoni risultati<br />

anche nella epilazione permanente e<br />

nel trattamento dei tatuaggi<br />

monocromatici neri o blu.<br />

Quest'ultimo argomento merita alcune riflessioni poiché, sebbene siano stati condotti<br />

numerosi stu<strong>di</strong> e sperimentazioni, ancora non è completamente chiarito il percorso<br />

biologico del pigmento intradermico rendendo a tutt'oggi molto <strong>di</strong>fficile ottenerne la<br />

rimozione senza esiti apprezzabili. Indagini istologiche sui tatuaggi hanno <strong>di</strong>mostrato<br />

che le particelle d'inchiostro inizialmente sono contenute nel citoplasma <strong>di</strong> cellule<br />

fagocitiche e, successivamente, soltanto nei fibroblasti dermici con una elevata<br />

concentrazione nelle zone perivascolari sotto uno strato <strong>di</strong> fibrosi sostituto del<br />

tessuto <strong>di</strong> granulazione. Nelle decorazioni professionali ed amatoriali la profon<strong>di</strong>tà e<br />

la densità dell'inchiostro sono molto <strong>di</strong>verse anche se nelle applicazioni amatoriali è<br />

riscontrabile una maggiore variabilità per <strong>di</strong>mensione, forma e sede anatomica:<br />

spesso è possibile il riscontro visivo <strong>di</strong> una<br />

progressiva attenuazione del colore perché<br />

probabilmente le particelle migrano più in<br />

profon<strong>di</strong>tà per l'azione <strong>di</strong> cellule fagocitiche<br />

mobili. Pertanto la rimozione dei tatuaggi con<br />

la fototermolisi selettiva è ancora<br />

parzialmente sconosciuta ma è chiaro che gran parte dell'inchiostro, solo<br />

apparentemente eliminato dalla pelle, non viene <strong>di</strong> fatto rimosso ma in buona parte<br />

drenato nei linfono<strong>di</strong>. E' dunque <strong>di</strong>fficile prevedere il numero delle sedute necessarie<br />

per riabilitare un'area tatuata: in molti pazienti la prima applicazione produce una<br />

reazione più evidente con ampie zone <strong>di</strong> schiarimento a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altri nei quali<br />

l'effetto è decisamente meno apprezzabile anche se prelievi bioptici <strong>di</strong>mostrano<br />

sempre la frammentazione del pigmento ed è intuitivo che più la decorazione è<br />

recente, minore è il volume dell'inchiostro e l'area <strong>di</strong> cute tatuata e più basso è il<br />

135


Laserchirurgia cutanea<br />

numero delle sedute necessarie. Così, ad esempio, in alcune casistiche internazionali<br />

quando lo spessore del tatuaggio è inferiore a 0,92 mm con una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 7<br />

trattamenti si può ottenere uno schiarimento pari all' 87,5% mentre con valori<br />

superiori a 1,78 mm sono preve<strong>di</strong>bili una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 9,3 applicazioni per un<br />

miglioramento clinico dell'81,3%. La richiesta dell’epilazione laser è in continua<br />

espansione con un interesse crescente anche nel sesso maschile che si rivolge sempre<br />

<strong>di</strong> più allo specialista per il trattamento <strong>di</strong> aree cutanee considerate “inestetiche”<br />

come ad esempio il dorso o per risolvere vere e proprie patologie ad andamento<br />

cronico come le follicoliti reci<strong>di</strong>vanti della barba o del dorso talora causa <strong>di</strong> notevole<br />

<strong>di</strong>sagio per il paziente. Come è noto, qualunque trattamento laser per l’epilazione<br />

non è finalizzato alla risoluzione definitiva del problema ma sarebbe più opportuno<br />

parlare <strong>di</strong> epilazione persistente il cui obiettivo è ridurre il numero dei peli almeno<br />

del 70% con un significativo rallentamento dei tempi <strong>di</strong> ricrescita che possono<br />

superare anche 1 anno. La crescita del pelo, qualunque sia il tipo <strong>di</strong> follicolo<br />

associato (vello, terminale, sebaceo), è ciclica con una fase <strong>di</strong> crescita e <strong>di</strong> caduta. Il<br />

comportamento <strong>di</strong> sviluppo del pelo è definito “ a mosaico” ovvero vi è assenza <strong>di</strong><br />

sincronismo <strong>di</strong> crescita con i peli dei follicoli vicini. Il ciclo del pelo ha inizio con la<br />

fase telogen in cui il follicolo notevolmente accorciato al <strong>di</strong> sotto della ghiandola<br />

sebacea con il pelo in espulsione con estremità a forma <strong>di</strong> clava, privo <strong>di</strong> zona<br />

cheratogena che funge da guida per lo sviluppo del nuovo. Ancor prima<br />

dell’espulsione inizia la complessa fase anagen nella quale in nuovo pelo inizia a<br />

formarsi fino alla fase in cui (Anagen V) il follicolo contiene contemporaneamente<br />

due peli, il vecchio che sta per essere espulso ed il nuovo che continua la sua<br />

crescita che può durare mesi od anni.Nella fase catagen in follicolo completo arresta<br />

la sua crescita, cessa la produzione <strong>di</strong> melanina ed inizia il riassorbimento delle<br />

strutture della zona inferiore del follicolo con la papilla che si allontana da bulbo che<br />

inizia ad assumere l’aspetto “a clava”. La durata della fase anagen e telogen varia a<br />

seconda del <strong>di</strong>stretto cutaneo con sensibili <strong>di</strong>fferenze. La crescita eccessiva ed<br />

indesiderata dei peli può essere legata ad una patologia legata agli androgeni<br />

(irsutismo) o non (ipertricosi). Il pattern androgeno <strong>di</strong>pendente dell’irsutismo è<br />

caratterizzato dallo sviluppo <strong>di</strong> peli in aree quali guance, labbro superiore, mento,<br />

braccia, cosce, regione addominale e l’eziopatogenesi è riconducibile a <strong>di</strong>fferenti<br />

con<strong>di</strong>zioni:<br />

136


Laserchirurgia cutanea<br />

Farmaci (steroi<strong>di</strong>, minoxi<strong>di</strong>l, danazolo, <strong>di</strong>fenilidantoina, interferone, streptomicina,<br />

ciclosporina, acetazolamide, penicillina)<br />

Porfirie<br />

Mucopolisaccaridosi<br />

S. <strong>di</strong> Cornelia De Lange<br />

Epidermolisi bollosa <strong>di</strong>strofica<br />

Neoplasie (gastrointestinali, bronchiali, mammella, utero)<br />

Nevi (Becker, nevi pelosi)<br />

Coda <strong>di</strong> fauno<br />

Traumi (iniezioni, ingessature, pressione, agenti irritanti)<br />

Ipertricosi lanuginosa congenita<br />

L’ipertricosi è caratterizzata da una crescita eccessiva <strong>di</strong> peli <strong>di</strong>ffusa o localizzata<br />

senza pattern androgeno <strong>di</strong>pendente. Può interessare entrambi i sessi ed essere<br />

familiare, acquisita o congenita. Nella tabella riassuntiva sono riportate le possibili<br />

patologie associate.<br />

i<strong>di</strong>opatica (aumentata attività della 5-alfa-redattasi, aumentata sensibilità recettoriale al<br />

testosterone)<br />

La sindrome dell’ovaio policistico<br />

(S. <strong>di</strong> Stein Leventhal)<br />

S. <strong>di</strong> Cushing<br />

Iperplasia congenita surrenalica<br />

Neoplasie ovariche o surrenaliche<br />

Prolattinoma<br />

Disgenesia delle gona<strong>di</strong><br />

Cause iatrogene<br />

I trattamenti me<strong>di</strong>ci proposti per la cura dell’eccessiva crescita dei peli sono riservati<br />

alle forme androgeno <strong>di</strong>pendenti pertanto hanno ovvie limitazioni legate al sesso e<br />

all’età dei pazienti (ciproterone acetato, spironolactone, cimeti<strong>di</strong>na, finasteride,<br />

dutasteride).<br />

I trattamenti chirurgici sono finalizzati alla cura <strong>di</strong> eventuali neoplasie associate<br />

mentre l’approccio“estetico” dell’ipertricosi varia da meto<strong>di</strong>che semplici quali la<br />

rasatura, la decolorazione, le creme depilatorie, la ceretta, l’elettrolisi con la<br />

quale si tenta <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la papilla pilifera impedendo la ricrescita del pelo.<br />

L’avvento dei laser chirurgici ha rivoluzionato il protocollo terapeutico non eziologico<br />

dell’ipertricosi e dell’irsutismo infatti la <strong>di</strong>struzione del follicolo pilifero da parte <strong>di</strong><br />

un qualsiasi laser adatto allo scopo si basa sull’interazione tra la luce emessa dalla<br />

137


Laserchirurgia cutanea<br />

sorgente e la melanina, cromoforo bersaglio, localizzata a livello del pelo.<br />

L’interazione è altamente selettiva in quanto le strutture limitrofe non vengono <strong>di</strong><br />

norma danneggiate dal raggio. L’efficacia del<br />

trattamento è tanto maggiore quanto più le<br />

strutture del follicolo pilifero si trovano in una<br />

elevata attività mitotica. Pertanto solo i peli<br />

che si trovano nella fase anagen risponderanno<br />

al singolo trattamento e <strong>di</strong> ciò bisognerà tener conto nel programmare gli intervalli<br />

tra le sedute. La Food and Drug Administration ha approvato <strong>di</strong>verse apparecchiature<br />

per il trattamento dell’ipertricosi e/o dell’irsutismo ed in particolare il laser rubino,<br />

il laser ad alessandrite, il Laser Nd:Yag, il laser a <strong>di</strong>o<strong>di</strong>, e l’IPL. Le lunghezze d’onda<br />

necessarie per l’assorbimento del cromoforo (melanina) devono essere tali da<br />

raggiungere la profon<strong>di</strong>tà del derma (600-1200 nm) e il tempo d’esposizione minore o<br />

uguale al tempo <strong>di</strong> rilassamento termico per preservare i tessuti circostanti dai<br />

possibili danni termici. (10-50 msec). La soglia <strong>di</strong> energia richiesta per danneggiare in<br />

maniera efficace i follicoli è variabile tra i 30 ed i 70 J/cm². Il laser a Rubino (ruby<br />

laser, 694 nm) è quello che è stato maggiormente stu<strong>di</strong>ato, anche perché è stato<br />

praticamente il primo. Le fluenze adoperate variano tra 30 e 60 J/cm², con spot <strong>di</strong><br />

6-10mm e impulsi <strong>di</strong> 3-5 msec, fino a 100 msec ai delle apparecchiature più recenti<br />

che avrebbero il pregio <strong>di</strong> ridurre quegli effetti collaterali. Questi consistono in<br />

eritema, edema, ipo ed iperpigmentazioni, papule, vescicole, follicoliti, porpora,<br />

sono più frequenti nei soggetti con fototipo alto e rappresentano a tutt’oggi il limite<br />

maggiore <strong>di</strong> utilizzo. Il laser ad Alessandrite (755nm) pur essendo uno degli strumenti<br />

più “datati” e pertanto meglio conosciuti, è ancora oggi tra i più <strong>di</strong>ffusi per i<br />

numerosi aggiornamenti tecnologici che lo hanno notevolmente perfezionato e reso<br />

progressivamente sempre più sicuro. Utilizza manipoli con spot da 5 a 18mm anche<br />

se il più usato è quello da 10mm. e può essere dotato <strong>di</strong> scanner. Le fluenze sono<br />

variabili da 10 a 50 J/cm² e la durata dell’impulso può andare da 2 a 100 msec anche<br />

se le più utilizzate sono comprese tra i 2 e i 40 msec, in funzione della fluenza. Gli<br />

effetti collaterali, più frequenti nei soggetti <strong>di</strong> carnagione scura, sono gli stessi del<br />

laser rubino ma oggi notevolmente ridotti sia dall’utilizzo dei sistemi <strong>di</strong><br />

refrigerazione e/o <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> calore che dai sistemi computerizzati dei moderni<br />

apparecchi che permettono <strong>di</strong> gestire al meglio ed in automatico le combinazioni<br />

fluenze/durata impulso più idonee a seconda del fototipo. Il laser ad Ittrio Alluminio<br />

Granato drogato con Neo<strong>di</strong>mio (Nd:Yag,1064 nm) è uno strumento che ha uno spot da<br />

generalmente <strong>di</strong> 5-7 mm e può essere dotato <strong>di</strong> scanner che definisce aree <strong>di</strong> varie<br />

138


Laserchirurgia cutanea<br />

<strong>di</strong>mensioni e forme (trapezoidali, esagonali, romboidali, rettangolari e quadrate) che<br />

permettono <strong>di</strong> velocizzare notevolmente il lavoro. Le energie utilizzate sono variabili<br />

da 30 a 75J/cm² a seconda della sede anatomica e del fototipo. In realtà per la<br />

maggioranza dei soggetti vengono impiegate energie comprese tra 30 e 60 J/cm²,<br />

considerando che il ricorrere a fluenze maggiori comporta <strong>di</strong> solito eccessivo dolore<br />

per il paziente: per l’analgesia è stato utilizzato il sistema refrigerante ad aria o da<br />

contatto. Gli effetti collaterali possibili sono simili a quelli riportati per i laser rubino<br />

ed Alessandrite, ma con una incidenza inferiore. Il laser a <strong>di</strong>odo (810nm) con spot<br />

fino a 9mm (molto utilizzato è quello da 4mm), con o senza scanner, fluenze me<strong>di</strong>e<br />

<strong>di</strong> 10-40J/cm² e durata dell’impulso variabile da 40 a 250 msec, rappresenta una<br />

delle innovazioni tecnologiche più recenti nel campo dell’epilazione con risultati<br />

generalmente brillanti e scarsa incidenza <strong>di</strong> effetti collaterali. Un altro sistema<br />

molto interessante attualmente è l’IPL (luce pulsata) che rappresenta una delle<br />

ultime novità nel campo della fototerapia anche se tecnicamente non si dovrebbe<br />

considerare un vero e proprio laser. Si tratta, infatti, <strong>di</strong> una luce pulsata intensa che<br />

emette uno spettro <strong>di</strong> luce continua con fluenze che possono variare tra i 500 e 1200<br />

nm, anche se i filtri usati più <strong>di</strong> frequente sono compresi tra i 510 e 695 nm per una<br />

durata dell’impulso variabile tra i 2 e i 25 msec per spot. La luce pulsata offre una<br />

vasta possibilità <strong>di</strong> utilizzo in varie lesioni cutanee ma l’in<strong>di</strong>cazione più interessante<br />

dell’IPL è, comunque, il fotoringiovanimento che si può realizzare grazie alle<br />

mo<strong>di</strong>fiche del tessuto con<strong>net</strong>tivo e alla stimolazione del collagene indotta dalla<br />

pe<strong>net</strong>razione della luce. Buoni risultati si possono ottenere anche nel trattamento <strong>di</strong><br />

numerosi tipi <strong>di</strong> lesioni vascolari e pigmentarie. La luce pulsata, altresì, presenta<br />

notevoli vantaggi applicativi nel campo dell’epilazione in quanto consente <strong>di</strong><br />

interagire con la melanina presente nei peli castani e neri con una specificità<br />

leggermente inferiore rispetto a quella del laser Nd:Yag. Viceversa nelle strutture<br />

che contengono poca melanina o feomelanina (bion<strong>di</strong> e rossi) l’IPL consente risultati<br />

decisamente superiori rispetto agli altri laser. Uno dei limiti applicativi consiste nella<br />

necessità della perfetta conoscenza, da parte dell’operatore, dei parametri <strong>di</strong><br />

impostazione dello strumento in quanto gli effetti collaterali <strong>di</strong> tipo pigmentario e<br />

cicatriziali, in caso <strong>di</strong> erroneo impiego, potrebbero dar luogo ad esiti permanenti.<br />

Esistono in commercio anche apparecchiature combinate che permettono <strong>di</strong> lavorare<br />

contemporaneamente con lunghezze d’onda emesse dall’IPL e dal Nd:Yag laser. Per<br />

tutti i pazienti è opportuno compilare una scheda che riporti in maniera dettagliata<br />

dati anamnestici che riguardano eventuali patologie ed in particolare androgeno<br />

correlate o comunque endocrine, le terapie recenti o in atto e le se<strong>di</strong> anatomiche del<br />

139


Laserchirurgia cutanea<br />

loro inestetismo ovvero il consenso informato. Tutti i soggetti debbono possedere una<br />

precisa documentazione fotografica prima del protocollo terapeutico e ai controlli<br />

prima della seduta successiva. La cadenza delle applicazioni varia da 4 a 6 settimane<br />

l’una dall’altra. I soggetti vanno fatti radere a domicilio tre giorni prima del<br />

trattamento: in caso <strong>di</strong> depilazione con ceretta sarebbero opportuni tempi<br />

leggermente più lunghi. Il numero delle sedute è generalmente compreso tra 6 e 9<br />

sedute essendo <strong>di</strong> norma minore nei soggetti con fototipo più scuro. Anche le energie<br />

impiegate variano in funzione del fototipo e del laser impiegato (ad esempio 30J/cm²<br />

nei soggetti scuri e 45-60J/cm² nei soggetti chiari per il Nd:Yag laser). Il dolore che<br />

si associa alle alte energie è generalmente ben tollerato sia per l’utilizzo del sistema<br />

<strong>di</strong> refrigerazione che per la notevole motivazione dei soggetti in cura. Refrigerare il<br />

campo operativo è fondamentale anche per ridurre l’incidenza degli effetti<br />

collaterali. Il trattamento con il laser determina<br />

certamente un miglioramento del quadro clinico sia in<br />

termini <strong>di</strong> riduzione quantitativa dei peli che del loro<br />

spessore. La percentuale <strong>di</strong> rarefazione dei peli<br />

superflui (10-15% a seduta) è stata stimata tra il 30 ed<br />

il 75% e <strong>di</strong>pende ovviamente dal tipo <strong>di</strong> sorgente<br />

impiegata e dal fototipo. Il follow up me<strong>di</strong>o a 18 mesi <strong>di</strong>mostra risultati stabili.<br />

L'utilizzo della fototerapia nella psoriasi con ra<strong>di</strong>azioni ultraviolette A (UVA)<br />

impiegate da sole o in associazione con psoraleni (PUVA) e/o retinoi<strong>di</strong> (RePUVA) è<br />

ampiamente conosciuta ed è ritenuta valida seppure con le limitazioni dovute alla<br />

possibile insorgenza <strong>di</strong> effetti collaterali come la carcinogenesi cutanea. L'impiego<br />

delle ra<strong>di</strong>azioni UVB ha rivoluzionato il trattamento fototerapico nella malattia<br />

psoriasica grazie anche alla messa a punto <strong>di</strong> apparecchi ad azione selettiva in grado<br />

<strong>di</strong> ottenere bande <strong>di</strong> emissioni sempre più ristrette e dunque piùefficaci così come la<br />

possibilità <strong>di</strong> combinare terapie fisiche e farmacologiche (psoraleni, ciclosporina,<br />

etc.) ha consentito <strong>di</strong> ridurre la concentrazione cumulativa <strong>di</strong> UVB limitando la<br />

tossicità dei farmaci stessi. Nell'ambito delle ra<strong>di</strong>azioni ultraviolette <strong>di</strong> tipo B, il<br />

trattamento con la luce monocromatica ad eccimeri a 308 nm (MEL) rappresenta una<br />

delle novità terapeutiche più recenti in grado <strong>di</strong> offrire eccellenti risposte cliniche<br />

sulla base <strong>di</strong> una drastica <strong>di</strong>minuzione dei livelli <strong>di</strong> citochine infiammatorie sulla cute<br />

psoriasica. A conclusione <strong>di</strong> tutto quanto sopra riteniamo opportune alcune<br />

considerazioni sulle complicanze e sui rischi correlati all'utilizzo dei sistemi laser.<br />

Ipopigmentazioni, iperpigmentazioni, cicatrici patologiche o depresse, infezioni,<br />

insuccessi, sono eventi indesiderati ma che sono purtroppo parte integrante della<br />

140


Laserchirurgia cutanea<br />

laserchirurgia cutanea e sono presenti in percentuale variabile in tutti i follow up ma<br />

possono <strong>di</strong>ventare rilevanti e gravi con un approccio empirico e grossolano al sistema<br />

laser. Altrettanto importante è la conoscenza dei rischi legati al raggio laser ovvero<br />

delle norme <strong>di</strong> sicurezza parte integrante <strong>di</strong> un centro <strong>di</strong> chirurgia laser e non<br />

possono essere sottaciuti i pericoli derivanti dai fumi <strong>di</strong> origine chirurgica. Tra i rischi<br />

possibili i più pericolosi sono le lesioni oculari: i sistemi laser infatti possono essere<br />

altamente dannosi per gli occhi anche con brevi esposizioni ad un raggio <strong>di</strong>retto o<br />

riflesso. Il laser ad anidride carbonica, ad esempio, è selettivo per l'acqua e<br />

pertanto lo strato lacrimale che copre la cornea assorbe prontamente un raggio<br />

vagante con una inevitabile, imme<strong>di</strong>ata ma transitoria ustione corneale mentre altri<br />

apparecchi come il Nd:YAG, il KTP, il Dye, etc. per le loro specifiche caratteristiche<br />

fisiche riescono a superare la barriera iniziale <strong>di</strong> acqua ed il cristallino umano<br />

rifocalizza e rafforza l'energia in entrata <strong>di</strong>rigendola a densità <strong>di</strong> potenza elevata<br />

verso il segmento posteriore dove la retina, la macula e la fovea possono subire danni<br />

gravi ed irreversibili. Non possono, infine, essere sottaciuti i pericoli derivanti dai<br />

fumi: la ricerca ha <strong>di</strong>mostrato che, a prescindere dalla fonte <strong>di</strong> energia, il fumo<br />

chirurgico contiene sempre carbonio (mutageno), sangue e microrganismi patogeni in<br />

esso contenuti ed una serie <strong>di</strong> gas tossici tra cui benzene, formaldeide ed acroleina:<br />

stu<strong>di</strong> specifici hanno anche segnalato che durante la vaporizzazione tissutale con il<br />

CO2 nei fumi sono presenti particolari nocivi tra cui vi rioni intatti e DNA virale ov-<br />

vero DNA provirale del virus HIV anche se incapaci <strong>di</strong> riprodursi forse per la stessa,<br />

specifica azione del raggio laser.<br />

141


L’invecchiamento cutaneo<br />

L’INVECCHIAMENTO CUTANEO<br />

I sistemi viventi sono il frutto <strong>di</strong> una rete integrata<br />

<strong>di</strong> funzioni come sviluppo, <strong>di</strong>fferenziazione,<br />

crescita, <strong>di</strong>fesa, riproduzione, invecchiamento e<br />

morte. L’invecchiamento è un processo graduale<br />

che coinvolge ogni parte dell’organismo,<br />

provocando una alterazione nella funzionalità <strong>di</strong><br />

tutti gli organi e una riduzione della loro capacità <strong>di</strong> conservazione. Tale processo si<br />

verifica a livello cellulare e rispetta un programma ge<strong>net</strong>icamente determinato, i<br />

geni coinvolti, comunque, non sono stati del tutto identificati. La per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> funzione<br />

delle cellule e degli organi <strong>di</strong>pende non solo da un programma ge<strong>net</strong>icamente<br />

determinato ma anche dall’accumulo <strong>di</strong> danni provocati dall’ambiente. Molti stu<strong>di</strong>osi<br />

sostengono, infatti, che l’invecchiamento degli esseri viventi derivi più dalla loro<br />

interazione con l’ambiente che dalla inevitabile conseguenza <strong>di</strong> una fatalità<br />

preprogrammata. In un’altra definizione l’invecchiamento è infatti considerato come<br />

il frutto dell’accumulo <strong>di</strong> danni molecolari nel corso della vita. Il patrimonio ge<strong>net</strong>ico<br />

gioca comunque un ruolo fondamentale sulla velocità d’invecchiamento e sulla<br />

durata <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> un organismo, in quanto i fattori ambientali avranno effetti<br />

<strong>di</strong>fferenti su due in<strong>di</strong>vidui che presentano patrimoni ge<strong>net</strong>ici <strong>di</strong>versi. La ricerca<br />

scientifica nella biologia molecolare e nella immunologia cellulare ha permesso <strong>di</strong><br />

migliorare le conoscenze nel processo d’invecchiamento. La cute è l’organo in cui<br />

l’invecchiamento è maggiormente influenzato dai fattori ge<strong>net</strong>ici e ambientali e<br />

soprattutto è la sede in cui l’interazione <strong>di</strong> tali fattori <strong>di</strong>venta molto stretta.<br />

L’invecchiamento cutaneo è un processo complesso ed è associato a cambiamenti<br />

morfologici e chimici. L’epidermide umana subisce durante l’invecchiamento<br />

significative alterazioni strutturali. Si assiste ad un assottigliamento epidermico del<br />

10-50% nelle zone non esposte a fattori ambientali nei soggetti tra i 30 e gli 80 anni<br />

<strong>di</strong> età, tale atrofia epidermica influenza soprattutto lo strato cellulare spinoso. I<br />

cambiamenti maggiori, comunque, si verificano entro lo strato basale che<br />

rappresenta la sede delle cellule germinative ed in particolare vede coinvolte due<br />

sottopopolazioni: le cellule staminali epidermiche e quelle in attiva proliferazione.<br />

Le cellule basali mostrano una grande eterogeneità nella grandezza con un<br />

complessivo aumento <strong>di</strong> volume. Si assiste inoltre ad una riduzione del 35% della<br />

142


L’invecchiamento cutaneo<br />

superficie <strong>di</strong> contatto tra il derma e l’epidermide a causa dell’indebolimento delle<br />

giunzioni dermo-epidermide. Tutti questi cambiamenti determinano la cosiddetta<br />

“<strong>di</strong>scrasia epidermica” caratterizzata da una <strong>di</strong>minuita attività mitotica, aumento<br />

della durata del ciclo cellulare e del tempo <strong>di</strong> migrazione dallo strato basale allo<br />

strato corneo. L’invecchiamento dell’epidermide viene spesso messo in relazione con<br />

la carcinogenesi, con l’immunosorveglianza, con l’infiammazione e con la funzione <strong>di</strong><br />

barriera. La ridotta capacità da parte delle cellule <strong>di</strong> <strong>di</strong>vidersi e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere<br />

insensibili a stimoli mitogenici ha indotto a considerare la senescenza replicativa<br />

come un meccanismo <strong>di</strong> prevenzione al cancro. A tale proposito può apparire<br />

paradossale una considerazione: l’invecchiamento epidermico pre<strong>di</strong>spone allo<br />

sviluppo del cancro. La senescenza replicativa è mantenuta da tre molecole<br />

fondamentali: la proteina inibitoria p16 che deattiva il complesso CdK4/ciclica D, la<br />

proteina p53, coinvolta in molti processi cellulari tra cui il riparo del DNA e la morte<br />

cellulare programmata e la telomerasi che attivamente rigenera i telomeri<br />

cromosomiali, strutture nucleari che si accorciano ad ogni <strong>di</strong>visione cellulare. Le<br />

cellule senescenti d’altronde sono caratterizzate da una aumentata resistenza<br />

all’apoptosi, in tal modo sono in grado <strong>di</strong> sopravvivere per perio<strong>di</strong> anche lunghi senza<br />

<strong>di</strong>vidersi o morire, consentendo ai danni al DNA o alle proteine <strong>di</strong> accumularsi.<br />

Nella cute invecchiata quin<strong>di</strong> si verificano:<br />

progressivo accumulo <strong>di</strong> proteine e lipi<strong>di</strong> danneggiati dal punto <strong>di</strong> vista ossidativo,<br />

evento che scaturisce soprattutto da una riduzione dei meccanismi anti-ossidanti;<br />

riduzione dei meccanismi <strong>di</strong> riparo del DNA evento che genera instabilità ge<strong>net</strong>ica<br />

e velocità <strong>di</strong> mutazione.<br />

L’accumulo <strong>di</strong> mutazioni al DNA o <strong>di</strong> proteine danneggiate fa in modo che nelle<br />

cellule senescenti si giunga, pur lentamente, al punto <strong>di</strong> trasformazione neoplastica<br />

situazione in cui la cellula <strong>di</strong>viene immortale. I processi d’invecchiamento sono stati<br />

rilevati anche in altri tipi cellulari dell’epidermide.<br />

Melanociti - Il numero <strong>di</strong> melanociti <strong>di</strong>minuisce del 8-20% per ogni decade dopo i 30<br />

anni e inoltre si verifica una eterogeneità delle loro caratteristiche morfologiche e<br />

funzionali.<br />

Cellule <strong>di</strong> Langerhans – Sono le cellule presentanti l’antigene più importanti nella<br />

pelle. Nei soggetti anziani tali cellule si riducono significativamente <strong>di</strong> numero e<br />

mostrano alterazioni morfologiche (minore formazione <strong>di</strong> dendriti e ridotta capacità<br />

<strong>di</strong> captare l’antigene). La funzionalità danneggiata <strong>di</strong> queste cellule potrebbe<br />

spiegare la <strong>di</strong>minuita funzione immunitaria della cute nei soggetti anziani. Le fibre<br />

elastiche, il collagene, i fibroblasti e la matrice extracellulare sono i costituenti<br />

143


L’invecchiamento cutaneo<br />

principali del derma e quelli maggiormente esposti ai fattori dell’invecchiamento. Il<br />

collagene è il maggior costituente del derma rappresentando il 75% del peso secco, le<br />

sue fibre considerate come l’impalcatura strutturale della pelle, instaurano tra loro<br />

dei legami che recano alla cute stabilità e resistenza alla rottura. L’invecchiamento<br />

comporta una rigidezza cutanea e un aumento <strong>di</strong> legami tra le stesse fibre <strong>di</strong><br />

collagene. Due importanti meccanismi sono alla base <strong>di</strong> tali fenomeni: processi<br />

controllati da enzimi, che sono coinvolti nello sviluppo e nella maturazione e processi<br />

non enzimatici <strong>di</strong> glicosilazione che seguono la maturazione del tessuto. Il<br />

meccanismo del primo tipo converte i legami immaturi tra le fibre <strong>di</strong> collagene<br />

rendendo le strutture mature e stabili, mentre il secondo meccanismo porta alla<br />

formazione <strong>di</strong> prodotti finali <strong>di</strong> glicosilazione. Tali prodotti possono recare danno<br />

molecolare in quanto sono in grado <strong>di</strong> formare legami con proteine a lunga vita come<br />

il collagene. L’invecchiamento cutaneo è comunemente associato ad un aumentato<br />

raggrinzimento della pelle, alla formazione <strong>di</strong> pieghe cutanee e ad un generale<br />

rilassamento tissutale. Nel considerare le ragioni che hanno indotto tali cambiamenti<br />

è necessario <strong>di</strong>stinguere l’invecchiamento biologico, ge<strong>net</strong>icamente determinato, da<br />

quello indotto da fattori ambientali (esposizione al sole). Nel primo caso si parla <strong>di</strong><br />

processo intrinseco, nel secondo <strong>di</strong> processo estrinseco. Benché l’eziologia tra tali<br />

meccanismi è molto <strong>di</strong>versa, alcuni cambiamenti dannosi (<strong>di</strong>struttivi o deleteri)<br />

osservati nella pelle invecchiata protetta dal sole, sono similari a quelli che<br />

caratterizzano la pelle foto-esposta. Comunque, in quest’ultima con<strong>di</strong>zione, i<br />

processi comuni sono sovrimposti con cambiamenti specifici in risposta a ra<strong>di</strong>azione<br />

UV, includendo pesante elastosi e degenerazione <strong>di</strong> collagene.<br />

Invecchiamento intrinseco<br />

Il processo dell’invecchiamento intrinseco nella cute è simile a quello che si verifica<br />

nella maggior parte degli organi interni e che coinvolge un lento deterioramento<br />

della loro funzione. In generale nel tessuto cutaneo l’epidermide, <strong>di</strong>venta<br />

strutturalmente più sottile e i corneociti sono meno aderenti l’uno all’altro, il<br />

numero e la capacità biosintetica dei fibroblasti si riduce. L’avanzare dell’età<br />

provoca inoltre alterazioni nelle fibre <strong>di</strong> collagene, nell’elastina e in altri costituenti<br />

della matrice extracellulare, per esempio:<br />

le fasce <strong>di</strong> collagene si orientano in modo casuale e si riducono <strong>di</strong> numero;<br />

le fibre <strong>di</strong> elastina mostrano segni <strong>di</strong> elastolisi, l’espressione del gene<br />

dell’elastina si riduce con progressiva scomparsa <strong>di</strong> tessuto elastico nel derma<br />

papillare;<br />

144


L’invecchiamento cutaneo<br />

i proteoglicani rappresentano un costituente della matrice extracellulare<br />

importante per la fisiologia della pelle, benché presenti in quantità minore rispetto<br />

al collagene. La decorina è un piccolo proteoglicano che forma legami con il<br />

collagene <strong>di</strong> tipo I e la cui <strong>di</strong>struzione comporta fibrille <strong>di</strong> collagene anormali e<br />

riduzione nella resistenza alla rottura. La pelle umana adulta contiene una forma<br />

troncata <strong>di</strong> decorina considerata come un suo frammento catabolico. Tale forma ha<br />

un’affinità con il collagene enormemente inferiore rispetto alla forma normale ciò<br />

potrebbe contribuire alla instabilità della pelle.<br />

L’invecchiamento cutaneo biologico deriva da una combinazione <strong>di</strong> tre eventi<br />

fondamentali:<br />

ridotta capacità proliferativa delle cellule;<br />

<strong>di</strong>minuita sintesi <strong>di</strong> matrice nel derma;<br />

aumentata espressione <strong>di</strong> enzimi che degradano la matrice.<br />

Teoria della senescenza cellulare<br />

La senescenza cellulare cioè la ridotta capacità delle cellule (cheratinociti,<br />

fibroblasti e melanociti) <strong>di</strong> duplicarsi coinvolge l’arresto della crescita cellulare nella<br />

fase G1 del ciclo cellulare e la non possibilità <strong>di</strong> rientrare nella fase S in presenza <strong>di</strong><br />

stimoli mitogenici. Tali fenomeni sono dovuti ad una repressione <strong>di</strong> quei geni<br />

regolatori della crescita importanti per la progressione del ciclo cellulare e per la<br />

sintesi <strong>di</strong> DNA. I regolatori negativi della crescita sono sovraespressi, includendo p21<br />

e p16, noti inibitori delle proteinchinasi <strong>di</strong>pendenti dalla ciclina. Nelle cellule<br />

senescenti è possibile osservare oltre un arresto irreversibile della crescita anche<br />

resistenza alla morte per apoptosi e alterate funzioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione. Si verifica<br />

quin<strong>di</strong>, l’accumulo <strong>di</strong> cellule senescenti con alterata espressione genica e alterato<br />

fenotipo che potrebbero eventualmente giustificare la ridotta funzionalità e integrità<br />

del tessuto, tipiche caratteristiche dell’invecchiamento.<br />

L’alterata funzionalità tissutale spiegherebbe almeno in parte i cambiamenti<br />

osservati nella matrice della cute invecchiata. Nei fibroblasti presenescenti, infatti,<br />

l’attività degli enzimi degradanti la matrice extracellulare come la collagenasi<br />

(MMP1) e la stromielisina (MMP3) è presente a livelli molto bassi, mentre gli inibitori<br />

delle metalloproteasi della matrice (TIMP1 e TIMP3) sono espressi ad alti livelli.<br />

Questi andamenti <strong>di</strong> espressione vengono completamente invertiti nei fibroblasti<br />

senescenti. Nella pelle degli in<strong>di</strong>vidui anziani si verifica una <strong>di</strong>minuzione nella<br />

biosintesi <strong>di</strong> collagene e tale cambiamento inclinerebbe la cellula da un fenotipo che<br />

produce matrice ad uno che la degrada contribuendo alla riduzione e<br />

<strong>di</strong>sorganizzazione del collagene. Accanto a tali fenomeni si rileva una ridotta<br />

145


L’invecchiamento cutaneo<br />

espressione del gene per l’elastina che determina la scomparsa del tessuto elastico<br />

nel derma.<br />

Teoria dello stress ossidativo<br />

Lo stress ossidativo costituisce una teoria, relativa all’invecchiamento, alternativa a<br />

quella della senescenza cellulare. Il programma ge<strong>net</strong>ico alla base<br />

dell’invecchiamento cutaneo biologico è caratterizzato da geni sensibili allo stato<br />

redox della cellula, ciò suggerisce che l’invecchiamento è fortemente influenzato da<br />

stress ossidativi. E’ noto che l’epidermide possiede una attività antiossidante<br />

estremamente efficiente e superiore a quella rilevata in molti tessuti. La riduzione <strong>di</strong><br />

tale efficienza è stata proposta come fattore importante per l’invecchiamento.<br />

Comunque, il ruolo della ridotta capacità antiossidante nella pelle invecchiata è<br />

ancora molto controverso. Da una parte, in tale con<strong>di</strong>zione, molti stu<strong>di</strong> scientifici<br />

descrivono una riduzione <strong>di</strong> alcuni enzimi come Cu, Zn-superossido<strong>di</strong>smutasi (SOD),<br />

catalasi e glutatione per ossidasi, dall’altra altri suggeriscono che l’invecchiamento<br />

cutaneo non sia dovuto ad un generale declino nella capacità antiossidante.<br />

Comunque tutti sono concor<strong>di</strong> nel sostenere che l’accumulo <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali liberi durante<br />

la vita molto probabilmente promuove l’invecchiamento cellulare poiché i<br />

meccanismi cosiddetti “scavenging” (spazzini), non sono efficienti al 100% ad ogni<br />

sta<strong>di</strong>o della vita. Tale considerazione è sostenuta da un recente stu<strong>di</strong>o in cui è<br />

<strong>di</strong>mostrata la maggiore vulnerabilità <strong>di</strong> fibroblasti provenienti da soggetti anziani alla<br />

presenza <strong>di</strong> proteine ossidate generate da stress ossidativo e la loro incapacità nel<br />

rimuoverle efficientemente quanto i fibroblasti <strong>di</strong> soggetti giovani.<br />

Invecchiamento estrinseco<br />

L’accumulo <strong>di</strong> danni provocati dall’interazione con fattori ambientali (per es.<br />

esposizione all’umi<strong>di</strong>tà per l’inizio della osteoartrosi) o dallo stile <strong>di</strong> vita (per es.<br />

mancanza <strong>di</strong> esercizio per l’invecchiamento del muscolo scheletrico) può essere<br />

definito come invecchiamento accelerato o estrinseco. Negli organismi superiori, in<br />

particolare nell’uomo, l’invecchiamento cutaneo è molto legato allo stile <strong>di</strong> vita.<br />

Sono stati identificati molti fattori che intervengono a tale proposito: ra<strong>di</strong>azione<br />

solare, infezioni <strong>di</strong> microrganismi, forze gravitazionali, campi elettromag<strong>net</strong>ici,<br />

alimentazione, stress psicologici, fumo <strong>di</strong> sigarette e altri inquinanti aerei, anossia,<br />

ferite e traumi. L’invecchiamento estrinseco è un processo biologico complesso che<br />

coinvolge i vari strati della pelle con danni maggiori a carico del tessuto con<strong>net</strong>tivo<br />

del derma. Tale forma (tipologia) d’invecchiamento risulta principalmente dovuto<br />

all’esposizione alla luce ultravioletta e per tale motivo è chiamato anche<br />

fotoinvecchiamento (photoageing).<br />

146


L’invecchiamento cutaneo<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista clinico il fotoinvecchiamento è caratterizzato da per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

elasticità, aumento <strong>di</strong> rugosità e secchezza, pigmentazione irregolare, profondo<br />

raggrinzimento (corrugamento), formazione <strong>di</strong> vesciche e ridotta guarigione <strong>di</strong> ferite.<br />

I tre principali componenti del derma, collagene, elastina e glicosamminoglicani, già<br />

coinvolti nell’invecchiamento intrinseco, sono protagonisti anche <strong>di</strong> quello<br />

estrinseco.<br />

Il segnale istopatologico maggiore (più importante) del fotoinvecchiamento è il<br />

pesante accumulo <strong>di</strong> materiale cosiddetto elastotico nel derma superiore e me<strong>di</strong>ano.<br />

In tale materiale si ritrovano i componenti della matrice extracellulare che pur<br />

costituendo il <strong>net</strong>work <strong>di</strong> fibre elastiche normale, presentano in queste circostanze<br />

una organizzazione strutturale e una funzionalità notevolmente mo<strong>di</strong>ficate. La<br />

degradazione delle fibre elastiche presenti e la <strong>di</strong>sregolata produzione <strong>di</strong> elastina e<br />

fibrillina cooperano probabilmente nella formazione del materiale elastotico.<br />

-La degradazione delle fibre elastiche è attribuibile all’aumentata attività<br />

dell’elastasi dermica, proveniente dall’infiltrato infiammatorio <strong>di</strong> neutrofili e anche<br />

dagli stessi fibroblasti dermici in risposta alla ra<strong>di</strong>azione acuta UV. Dal punto <strong>di</strong> vista<br />

istochimico, è chiaramente evidente una deplezione <strong>di</strong> microfibrille intatte e fibre<br />

elastiche nella cute fotodanneggiata. La deposizione <strong>di</strong> nuovo materiale è un evento<br />

che può verificarsi dal momento che è stata rilevata un’aumentata espressione dei<br />

geni per l’elastina e per la fibrillina nella cute fotodanneggiata. Il materiale prodotto<br />

è chiaramente non funzionale e contribuisce alla formazione della massa amorfa<br />

tipica della pelle invecchiata.<br />

Il sistema <strong>di</strong> fibre collagene, includendo il collagene <strong>di</strong> tipo 1 e la decorina è<br />

downregolato nella pelle fotodanneggiata. Infatti alla ridotta produzione <strong>di</strong> collagene<br />

si unisce la degenerazione dell’ambiente circostante ad opera <strong>di</strong> particolari enzimi.<br />

Numerosi dati <strong>di</strong> letteratura sostengono che la riduzione nel contenuto <strong>di</strong> collagene è<br />

dovuta ad una aumentata degradazione. E’ stato inoltre <strong>di</strong>mostrato in vitro che<br />

l’accumulo <strong>di</strong> collagene degradato ha la capacità <strong>di</strong> ridurre l’attività proliferativa dei<br />

fibroblasti e la sintesi <strong>di</strong> collagene.<br />

Gli enzimi ritenuti importanti nella degradazione della matrice nella pelle<br />

appartengono alla grande famiglia delle metalloproteasi (MMP).<br />

L’espressione <strong>di</strong> tali enzimi è indotta da ra<strong>di</strong>azioni UV. Le azioni combinate <strong>di</strong> 4<br />

principali metalloproteasi:<br />

Collagenasi (MMP1);<br />

Gelatinasi <strong>di</strong> 92 kDa (MMP2);<br />

Gelatinasi <strong>di</strong> 72 kDa (MMP9);<br />

147


Stromielina 1 (MMP3);<br />

L’invecchiamento cutaneo<br />

sono in grado <strong>di</strong> degradare il collagene della pelle e il sistema elastico.<br />

Nella pelle normale l’espressione basale <strong>di</strong> questi enzimi è relativamente bassa e può<br />

essere marcatamente aumentata dall’irra<strong>di</strong>azione con raggi UV sia in vivo sia in<br />

prove in vitro. La degradazione della matrice dermica non giustifica da sola i<br />

numerosi cambiamenti che appaiono nella cute fotodanneggiata. Un’altra probabile<br />

causa origina da <strong>di</strong>fetti nei processi <strong>di</strong> riparo, tali <strong>di</strong>fetti possono portare ad<br />

alterazioni permanenti nella struttura e nell’organizzazione delle fibre <strong>di</strong> collagene e<br />

<strong>di</strong> elastina e influenzare fortemente le proprietà biochimiche della pelle. Da tempo è<br />

stata ben documentata l’influenza che l’età può esercitare sulla velocità <strong>di</strong><br />

guarigione <strong>di</strong> una ferita e molti dei meccanismi descritti potrebbero risultare<br />

coinvolti anche nei processi <strong>di</strong> riparo della cute in seguito a danno da ra<strong>di</strong>azione UV.<br />

E’ importante sottolineare che i due processi <strong>di</strong> invecchiamento (intrinseco ed<br />

estrinseco), hanno sia effetti quantitativi che qualitativi sulle fibre <strong>di</strong> collagene e <strong>di</strong><br />

elastina nella pelle. La deficienza <strong>di</strong> collagene che si verifica in tali processi è però<br />

dovuta a meccanismi significativamente <strong>di</strong>fferenti. Nell’invecchiamento intrinseco si<br />

assiste ad una ridotta sintesi <strong>di</strong> collagene e ad una aumentata espressione <strong>di</strong><br />

metalloproteasi. Nell’invecchiamento estrinseco la ra<strong>di</strong>azione UV induce la sintesi <strong>di</strong><br />

collagene ma l’espressione delle MMP è così alta che la degradazione del collagene<br />

risulta essere più evidente (oppure risulta avere il peso maggiore). Si può quin<strong>di</strong><br />

concludere che il bilancio tra sintesi <strong>di</strong> collagene e degradazione, che è alla base<br />

della deficienza <strong>di</strong> collagene è <strong>di</strong>fferente nella pelle invecchiata naturalmente e in<br />

quella fotoinvecchiata. Alcune anormalità come il collagene frammentato e<br />

raggruppato, tipiche della pelle esposta a ra<strong>di</strong>azione UV, sono osservate anche nella<br />

pelle protetta dal sole nell’invecchiamento cronologico. Altre, invece, come<br />

l’accumulo <strong>di</strong> materiale elastotico e altri detriti acellulari, non sono osservate in<br />

modo rilevante nella pelle invecchiata ma protetta dal sole.<br />

Teoria del modello micro-infiammatorio dell’invecchiamento<br />

Nel 1996 fu proposto il modello micro-infiammatorio dell’invecchiamento della pelle.<br />

Nel corso dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tale modello fu osservato che tutti quei fattori tipici<br />

dell’invecchiamento avevano la capacità <strong>di</strong> indurre la sintesi <strong>di</strong> ICAM-1<br />

nell’endotelio. Ciò suggerisce che tutti quei fattori in grado <strong>di</strong> accelerare<br />

l’invecchiamento, hanno la capacità <strong>di</strong> innescare una forma <strong>di</strong> risposta infiammatoria<br />

che si auto-mantiene. Il modello permette <strong>di</strong> riconoscere nuovi fattori<br />

dell’invecchiamento e <strong>di</strong> presagire se una particolare aggressione alla pelle potrà<br />

148


L’invecchiamento cutaneo<br />

innescare la sintesi <strong>di</strong> ICAM-1 nell’endotelio. In base a questo modello si potrebbero<br />

anche considerare interventi per ridurre la velocità d’invecchiamento.<br />

Invecchiamento e Ormoni<br />

La cute è spesso considerata come una ghiandola endocrina in ragione della sua alta<br />

attività ormonale (Labrie et al 2000). Gli ormoni trovati nella pella umana sono la<br />

melatonina e l’ormone anti-stress DHEA. Quest’ultimo è convertito in metaboliti<br />

simili ad estrogeni e androgeni ritrovabili solo nella pelle. L’effetto più importante<br />

degli estrogeni consiste nello stimolare il collagene e l’acido ialuronico, noto fattore<br />

d’idratazione (d’umi<strong>di</strong>tà). L’invecchiamento comporta una riduzione non solo <strong>di</strong><br />

estrogeni e collagene, ma anche <strong>di</strong> enzimi necessari per la conversione del DHEA. E’<br />

importante sottolineare che le donne trattate con estrogeni sintetici mostrano una<br />

pelle più soda. Altri effetti positivi del DHEA sono legati alla sua azione protettiva<br />

sulla pelle. Uno stu<strong>di</strong>o recente ha <strong>di</strong>mostrato, a tale proposito, che il DHEA applicato<br />

topicamente è in grado <strong>di</strong> proteggere i delicati vasi sanguigni della pelle,<br />

preservando la salute della pelle stessa. Il meccanismo attraverso il quale il DEHA<br />

salvaguarda la cute non è noto, ma senza dubbio la sua attività anti-infiammatoria<br />

può rivestire un ruolo importante in tale <strong>di</strong>rezione.<br />

Invecchiamento e Stress Ossidativo<br />

I processi ossidativi e i ra<strong>di</strong>cali liberi (conducono all’accumulo) rappresentano le<br />

principali cause sottostanti l’accumulo <strong>di</strong> danno cellulare (Wenk et al 2001; Kohen<br />

1999). Molti stu<strong>di</strong>osi sono concor<strong>di</strong> nel credere che la teoria dei ra<strong>di</strong>cali liberi, valida<br />

per molte malattie, possa essere applicata anche all’invecchiamento cutaneo. I<br />

ra<strong>di</strong>cali liberi sono piccole molecole instabili generate da un ambiente fortemente<br />

ossigenato, in cui è richiesta l’azione stabilizzatrice <strong>di</strong> un sistema anti-ossidante.<br />

La pelle <strong>di</strong> soggetti giovani al pari (<strong>di</strong> quella) dei soggetti anziani è esposta a<br />

numerosi stimoli che inducono danno cellulare, ma nei primi c’è sufficiente energia<br />

per riparare eventuali danni al DNA, per promuovere il rinnovo cellulare e inoltre in<br />

tali soggetti sono prontamente <strong>di</strong>sponibile gli enzimi con attività anti-ossidante come<br />

SOD e catalasi. L’invecchiamento comporta una <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> energia per il riparo e<br />

il rinnovo cellulare e gli stessi enzimi anti-ossidanti sono meno <strong>di</strong>sponibili.<br />

L’esposizione alla ra<strong>di</strong>azione solare genera ra<strong>di</strong>cali liberi nella pelle e le aree<br />

cronicamente esposte al sole (mani, viso, collo e braccia) sono quelle in cui<br />

l’invecchiamento è più evidente.<br />

Il collagene, importante proteina della pelle, è suscettibile al danno provocato dai<br />

ra<strong>di</strong>cali liberi, danno che comporta la rottura della molecola e la <strong>di</strong>versa formazione<br />

<strong>di</strong> nuovi legami. La conferma del ruolo dei ra<strong>di</strong>cali liberi nell’invecchiamento<br />

149


L’invecchiamento cutaneo<br />

cutaneo deriva dall’evidenza che l’applicazione topica <strong>di</strong> anti-ossidanti conferisce<br />

una significativa protezione e anche parziale inversione <strong>di</strong> alcuni aspetti<br />

dell’invecchiamento.<br />

Invecchiamento e Prevenzione<br />

La salute della pelle, concomitantemente al passare del tempo, è mantenuta<br />

applicando sostanze a livello topico, ma anche me<strong>di</strong>ante interventi dall’interno con<br />

una corretta alimentazione. Gli aci<strong>di</strong> grassi essenziali, anti-ossidanti e altre sostanze<br />

contenute negli alimenti sono fondamentali nel mantenere la pelle sana. Cibi ricchi<br />

<strong>di</strong> RNA (sar<strong>di</strong>ne, tonno e legumi) aiutano a migliorare l’energia cellulare, cibi ricchi<br />

<strong>di</strong> anti-ossidanti (frutta, vegetali e tea verde) proteggono dal danno ossidativo e dai<br />

ra<strong>di</strong>cali liberi. Una protezione migliore può essere ottenuta anche me<strong>di</strong>ante<br />

l’ingestione <strong>di</strong> supplementi alimentari come vitamina A, C, E, selenio, vitamine del<br />

gruppo B, zinco, rame e manganese. Gli anti-ossidanti comunque risultano essere<br />

maggiormente efficienti quando sono applicati topicamente, in particolare è stato<br />

<strong>di</strong>mostrato che la loro applicazione prima dell’esposizione alla ra<strong>di</strong>azione solare ha<br />

effetti protettivi maggiori. La vitamina C, importante perché inibisce l’attività dei<br />

ra<strong>di</strong>cali liberi, è anche richiesta per la sintesi <strong>di</strong> collagene, sintesi che declina nel<br />

corso della vita. L’applicazione topica <strong>di</strong> vitamina C, con un mezzo che attraversa la<br />

pelle, può aumentare la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> tale sostanza per la produzione <strong>di</strong> collagene.<br />

La vitamina C, inoltre, è in grado <strong>di</strong> rigenerare la vitamina E rendendola capace <strong>di</strong><br />

svolgere una azione anti-ossidante protettiva nelle fibre <strong>di</strong> elastina della pelle.<br />

Acido α-lipoico. E' un anti-ossidante in grado <strong>di</strong> potenziare gli effetti benefici <strong>di</strong> altri<br />

anti-ossidanti.<br />

α e β idrossi aci<strong>di</strong> -acido glicolico e acido salicilico. Sono sostanze, note da circa<br />

vent’anni, in grado <strong>di</strong> migliorare la qualità della pelle grazie alla loro azione<br />

esfoliante. L’esfoliazione rimuove le cellule morte dalla superficie in modo che le<br />

cellule nuove e giovani si rendono visibili. Le sostanze idrossi sono ottime anche<br />

come stimolatori della produzione <strong>di</strong> collagene e della crescita.<br />

Dimetilaminoetanolo (DMAE). L’invecchiamento provoca un avvallamento del tessuto<br />

cutaneo in seguito alla <strong>di</strong>struzione delle strutture <strong>di</strong> supporto della pelle come<br />

collagene ed elastina. Dati recenti <strong>di</strong> letteratura <strong>di</strong>mostrano che il DMAE ha la<br />

capacità <strong>di</strong> fermare l’avvallamento cutaneo in quanto funziona come stabilizzatore<br />

delle membrane cellulari.<br />

Tossina del Botulino. Il Botox è una soluzione <strong>di</strong>luita della tossina botulinica <strong>di</strong> tipo<br />

A. Negli ultimi <strong>di</strong>eci anni tale preparato viene utilizzato nell’uomo per migliorare le<br />

linee d’espressione e le rughe del viso.<br />

150


Le rughe<br />

L’invecchiamento cutaneo<br />

La ruga può essere definita come un solco lineare permanente della pelle, <strong>di</strong><br />

profon<strong>di</strong>ta' variabile. In base ad una classificazione causale si <strong>di</strong>stinguono:<br />

- rughe <strong>di</strong> espressione<br />

- rughe gravitazionali<br />

- rughe attiniche<br />

- pieghe da sonno<br />

Le rughe <strong>di</strong> espressione o muscolo-mimiche<br />

Sono quei solchi che si formano sulla cute del volto a causa della trazione ripetitiva<br />

esercitata dai muscoli mimici. Sono piu' evidenti nei soggetti che fanno largo uso<br />

della mimica facciale, sono piu' marcate in alcune se<strong>di</strong> o dal lato piu' usato per<br />

l'espressione. Gia' all'eta' <strong>di</strong> 30 anni sono ben visibili e <strong>di</strong>ventano progressivamente<br />

piu' profonde ed infine permanenti. Distinguiamo le seguenti rughe e i muscoli mimici<br />

corrispondenti:<br />

frontali orizzontali: muscolo frontale (mimica dell'attenzione)<br />

glabellari verticali: muscoli corrugatori sopracciliari, orbicolari dell'occhio,<br />

procero (mimica della concentrazione)<br />

glabellari orizzontali: procero<br />

perioculari sottorbitarie e del canto esterno, "a zampa <strong>di</strong> gallina": muscolo<br />

orbicolare dell'occhio<br />

superiore e m. zigomatici (sorriso e mimica della gioia) operilabiali ra<strong>di</strong>ali:<br />

muscolo orbicolare della bocca o labio-geniene: muscoli triangolari delle labbra e<br />

muscoli mentonier (mimica della tristezza)<br />

trasversali del collo: muscolo platisma.<br />

Le rughe gravitazionali o pieghe <strong>di</strong> lassita' cutaneo-muscolare<br />

Compaiono quando le fibre elastiche e i fasci <strong>di</strong> collagene alterati del derma non<br />

sono piu' in grado <strong>di</strong> controbilanciare la forza <strong>di</strong> gravita'. Diventano sempre piu'<br />

evidenti con la progressiva ipotrofia delle strutture <strong>di</strong> sostegno<br />

(cronoinvecchiamento). Comprendono:<br />

i solchi naso-genieni, secondari allo "scivolamento" del tessuto a<strong>di</strong>poso e della<br />

cute<br />

le rughe labio-geniene accentuate dall'abbassamento degli angoli della bocca<br />

blefarocalasi e ptosi delle sopracciglia<br />

"borsette" latero-mentoniere e "doppio mento" per riduzione <strong>di</strong> volume del III<br />

inferiore del volto.<br />

151


Le rughe attiniche<br />

L’invecchiamento cutaneo<br />

Sono dovute al danno cumulativo esercitato dalla ra<strong>di</strong>azione solare sulle fibre<br />

elastiche (elastosi solare) e collagene. Sono presenti nelle regioni fotoesposte.<br />

Nell'adulto sono poco evidenti, compaiono precocemente nei soggetti con fototipo 1<br />

e 2 esposti ripetutamente e per perio<strong>di</strong> prolungati alle ra<strong>di</strong>azioni UV naturali o<br />

artificiali. Corrispondono a una piu' o meno marcata accentuazione della tramatura<br />

cutanea che determina un quadro <strong>di</strong> sottili rughe <strong>di</strong>ffuse, con cute "corrugata", "a<br />

pergamena", o, in sta<strong>di</strong>o avanzato, " a tessuto sgualcito" a causa dell'estrema per<strong>di</strong>ta<br />

<strong>di</strong> elasticita' della pelle.<br />

Le pieghe da sonno<br />

Sono unilaterali e determinate dalla postura notturna prevalente. Generalmente<br />

intersecano altre rughe e sono localizzate a livello frontale o fronto-temporale<br />

nell'uomo, e a livello delle guance nella donna. Inizialmente sono reversibili,<br />

scompaiono variando la postura; successivamente, tendono a <strong>di</strong>venire<br />

progressivamente permanenti. Al fine <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare il trattamento correttivo piu'<br />

adeguato per ogni singola ruga, e' fondamentale un'accurata valutazione dei fattori<br />

causali determinanti la sua formazione.<br />

152


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

ARGOMENTI DI CHIRURGIA ESTETICA<br />

La <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> è quella branca della chirurgia interessata al riparo <strong>di</strong><br />

malformazioni o <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> natura congenita o acquisita. La chirurgia riparativa,<br />

ricostruttiva e correttiva o estetica si avvale del termine " plastico ", da plasmare,<br />

che esprime una funzione chirurgica ma che lascia indeterminato il concetto<br />

limitativo anatomico della specialità. Dalla sua denominazione infatti è impossibile<br />

stabilire quali tipi <strong>di</strong> lesione, quali alterazioni anatomiche e funzionali sono<br />

elettivamente <strong>di</strong> competenza <strong>di</strong> questa antica ed allo stesso tempo moderna<br />

<strong>di</strong>sciplina chirurgica. I limiti <strong>di</strong> competenza territoriale sono omessi nella definizione<br />

della chirurgia plastica perché non esiste territorio <strong>di</strong> superficie del nostro organismo<br />

in cui non possa svolgere la sua azione terapeutica. Non è dunque chirurgia d'organo<br />

o <strong>di</strong> <strong>di</strong>stretto ma <strong>di</strong> tutto il corpo, non è chirurgia che si caratterizzi per la specificità<br />

delle tecniche ma per la peculiarità degli intenti ovvero ricondurre quanto appare<br />

deviato entro i confini della normalità, con il ripristino anche della funzione che le<br />

anomalie <strong>di</strong> forma possono determinare. È da tale convincimento, per cui normalità e<br />

bellezza morfologica costituiscono concetti innati e universali, che trae il sostegno<br />

una vecchia semplicistica convinzione secondo cui in <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> il momento<br />

della <strong>di</strong>agnosi sarebbe privo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà perché un’anomalia <strong>di</strong> forme e volumi<br />

sarebbe chiaramente valutabile "al primo sguardo". In realtà è sufficiente ipotizzare<br />

un programma chirurgico <strong>di</strong> correzione dell'aspetto per rendersi conto della<br />

complessità dell'inquadramento del problema "<strong>di</strong>fformità morfologica" che è<br />

risolvibile solo cercando <strong>di</strong> ricondurre le singole strutture alterate il più vicino<br />

possibile alla perfezione anatomica nel rispetto dei rapporti armonici reciproci previa<br />

una minuziosa analisi delle deviazioni osservate. In <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> il momento<br />

centrale per cui è richiesta la massima competenza non è probabilmente quello della<br />

esecuzione tecnica bensì quello della pianificazione operatoria vale a <strong>di</strong>re la scelta<br />

del protocollo chirurgico e,quando sia necessaria una sequenza <strong>di</strong> interventi,la loro<br />

collocazione temporale che può essere <strong>di</strong> settimane, mesi o anche anni. Un'altra<br />

delle peculiarità della <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> è il fattore tempo nel cui ambito e<br />

relativamente al quale vanno considerati sia la chirurgia che il risultato. Col<br />

trascorrere del tempo avvengono due fenomeni biologici obbligati:<br />

a) il paziente evolve per il naturale processo <strong>di</strong> maturazione ed invecchiamento<br />

mo<strong>di</strong>ficando il composto fisiognomico e la struttura corporea;<br />

153


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

b) i tessuti traumatizzati dalla chirurgia subiscono mutamenti anatomici intrinseci<br />

con conseguenti alterazioni morfologiche e del comportamento biologico senza<br />

<strong>di</strong>menticare la cicatrice che evolve anch'essa ipotecando il risultato finale. Per<br />

questa sua particolare correlazione con il fattore tempo, la <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> è stata<br />

con saggezza definita da G.Sanvenero-Rosselli "chirurgia a quattro <strong>di</strong>mensioni". Sulla<br />

base <strong>di</strong> tali considerazioni scaturisce un problema teoretico solo apparentemente<br />

semplice: che cosa è la normalità morfologica o dell’aspetto?<br />

Dai tempi più antichi, filosofi, artisti e biologi si sono impegnati per dare una<br />

risposta a questo interrogativo: basti ripensare il concetto <strong>di</strong> canone estetico<br />

dell'arte ellenica, romana, me<strong>di</strong>evale, rinascimentale o gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> geometria<br />

applicata alla forma umana <strong>di</strong> Leonardo o gli scritti <strong>di</strong> antropometria e fisiognomica<br />

del XIX e del XX secolo nonché le problematiche connesse con l'esistenza delle<br />

<strong>di</strong>verse etnie. Dalla “definizione della normalità" si passa automaticamente al<br />

problema "definizione della bellezza" che della normalità dovrebbe rappresentare la<br />

quintessenza, la massima espressione. La bellezza morfologica, pur nella sua attuale<br />

indefinibilità, sembra essere un concetto connaturato alla mente umana e<br />

rispondente, benché a livello inconscio, ai principi dell'armonia matematica che<br />

improntano l'intera architettura dell'universo come noi lo conosciamo. Platone<br />

definiva la bellezza come “quella cosa che tutti sanno cosa sia ma che nessuno riesce<br />

a definire”: il vocabolo è ormai tra quelli più comuni ma viene usato come se si<br />

trattasse <strong>di</strong> esprimere un valore misurabile e definibile mentre si riferisce solo ed<br />

esclusivamente ad un significato ideale. Quella bellezza <strong>di</strong> cui parliamo tutti giorni è<br />

nella realtà costretta dai vincoli <strong>di</strong> certi schemi che non troveremo mai neppure in<br />

quelle persone “<strong>di</strong> riferimento“ che ci piacciono e che quoti<strong>di</strong>anamente giu<strong>di</strong>chiamo<br />

belle. Le argomentazioni sulla bellezza contenute nelle innumerevoli pagine della<br />

filosofia comune sono talmente tante da annullarsi: il più sofisticato dei computer<br />

non sarebbe in grado <strong>di</strong> formulare una definizione che le coaguli tutte senza rischiare<br />

<strong>di</strong> elaborare un compen<strong>di</strong>o prolisso e maniacale. Paradossalmente soltanto la<br />

<strong>Chirurgia</strong> Correttiva morfo<strong>di</strong>namica è in grado <strong>di</strong> proporre un metro <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio<br />

capace <strong>di</strong> fornire un possibile “quanto” del bello abbandonando le congetture del<br />

passato e semplicemente assumendo come unità <strong>di</strong> misura il "grado <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione<br />

per il proprio aspetto mo<strong>di</strong>ficato". E’ dunque necessario ammettere che la ricerca<br />

insensibile della bellezza stia chiusa nel cervello umano come un contenitore capace<br />

<strong>di</strong> indurre certi popoli ad adornarsi anche in mo<strong>di</strong> dolorosi oppure <strong>di</strong> spingere le<br />

persone comuni all'uso del tatuaggio, del piercing, del trucco o dei semplici oggetti<br />

ornamentali. Ci sembra dunque chiaro che gli schemi della bellezza in<strong>di</strong>viduati fino<br />

154


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

dall'epoca egiziana ed ognuno dei canoni della letteratura, da Schack a Hogarth fino<br />

a Romm, possono essere utilizzati più come richiamo per l'arte pittorica o scultorea<br />

che per la pratica chirurgica nella quale resterebbero magari soltanto come guida<br />

<strong>di</strong>mensionale. Coloro che sono sod<strong>di</strong>sfatti delle loro fattezze restano in<strong>di</strong>fferenti agli<br />

stimoli dei confronti esterni e non avranno mai intenzione <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare il loro "stato<br />

morfologico". Certamente però esistono anche nuove ragioni che spiegano la attuale,<br />

spasmo<strong>di</strong>ca ricerca del bello: mentre la tecnica pittorica o scultorea ha espunto per<br />

secoli qualsiasi ipotesi <strong>di</strong> variabilità <strong>di</strong> un corpo umano da ritrarre, al contrario i volti<br />

moderni anziché statici o <strong>di</strong>agrammatici, e quin<strong>di</strong> collettivi, appaiono flui<strong>di</strong> e<br />

mutanti, e dunque in<strong>di</strong>viduali, come i personaggi virtuali che sorgono innovati ogni<br />

giorno sulle pagine dei giornali e dei me<strong>di</strong>a. Ci sembra dunque necessario ed utile<br />

sostituire il concetto <strong>di</strong> bellezza con quello <strong>di</strong> armonia e sia conveniente riferirsi a<br />

quelle “<strong>di</strong>mensioni proporzionate" <strong>di</strong> cui si parla nella <strong>Chirurgia</strong> <strong>Plastica</strong> considerando<br />

che nessun mezzo elettronico potrebbe estrapolare i significati delle espressioni<br />

"fisionomia attraente“, "atteggiamento elegante”, "<strong>di</strong>stinzione" o "aspetto<br />

piacevole”. Comunque affermare che “bello” è quanto, per aspetto esteriore o per<br />

qualità intrinseche, provoca impressioni gradevoli è corretto ma elude ancora la<br />

definizione del concetto <strong>di</strong> bellezza in sé e d’altronde persino Platone, nel suo Ippia<br />

Maggiore, riuscì soltanto a rendersi conto della relatività del bello. Procedendo dalla<br />

"non bellezza in<strong>di</strong>viduale“ ad una “con<strong>di</strong>zione migliorata”, <strong>di</strong>versa per ogni soggetto<br />

e delimitata dalla sua sod<strong>di</strong>sfazione, si potrebbe anche credere che il criterio<br />

chirurgico sia il solo a consentire la definizione <strong>di</strong> "bello" come massimo correttivo<br />

della con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> "non bello“ ricavata dalla somma dell'intensità della percezione<br />

dell'immagine corporea con il grado <strong>di</strong> miglioramento estetico atteso ma il Chirurgo<br />

Plastico,a detta <strong>di</strong> Jack Anderson,deve restare soltanto un buon artigiano anche se il<br />

pubblico talvolta lo incensa come un "artista“: il suo impegno infatti non deve essere<br />

<strong>di</strong> operare sempre in modo eccezionale bensì <strong>di</strong> "non operare mai male“. È possibile<br />

altresì che il Chirurgo resti influenzato dalla sua cultura artistica e dal suo senso<br />

della misura ma non potrà mai applicare regole fisse come se si trattasse <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare<br />

le linee <strong>di</strong> prospettiva per una figura geometrica: la <strong>Chirurgia</strong> Estetica dovrebbe<br />

pertanto essere fondata sui principi generali dell'armonia e della proporzione ma<br />

considerando unico ed irripetibile ogni singolo paziente. La <strong>Chirurgia</strong> Estetica dunque<br />

riconosce in<strong>di</strong>cazioni esclusivamente soggettive ed ha competenze riconducibili non a<br />

quadri clinici patologici ma a tratti morfologici non gra<strong>di</strong>ti al soggetto, compatibili<br />

con la “normalità” ma subor<strong>di</strong>nati a numerose variabili quali il gusto personale, il<br />

profilo psicologico, l’età, la professione, l’ambiente socio-culturale, l’area<br />

155


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

geografica, etc. In conclusione, dove la natura è stata meno clemente oggi è<br />

possibile rime<strong>di</strong>are, correggere, migliorare tenendo però bene a mente che le<br />

motivazioni che spingono un in<strong>di</strong>viduo sano a sottoporsi ad un intervento sono<br />

esclusivamente psicologiche e strettamente correlate con una conflittualità esistente<br />

tra l’aspetto esteriore e l’immagine interiore del proprio sé: nei casi in cui la<br />

con<strong>di</strong>zione conflittuale è lieve e sostenuta da “motivazioni <strong>di</strong> realtà” la <strong>Chirurgia</strong><br />

Estetica è giustificata e darà, se condotta “lege artis”, ottimi risultati se al contrario<br />

è palese una con<strong>di</strong>zione psicotica con “motivazioni inconsce” sarà più adeguata una<br />

consulenza psichiatrica e non certo una soluzione chirurgica.<br />

<strong>Chirurgia</strong> estetica del volto<br />

Il naturale processo <strong>di</strong> invecchiamento umano determina un generale ce<strong>di</strong>mento dei<br />

tessuti che sul viso e sul collo provocano la formazione <strong>di</strong> pieghe e rughe che<br />

impietosamente <strong>di</strong>chiarano l'età del soggetto. Questo evento naturale ed inevitabile<br />

è particolarmente mal sopportato dalla nostra società industrializzate in cui ad un<br />

progressivo generalizzato allungamento della vita con un crescente numero <strong>di</strong> anziani<br />

in buona salute, si contrappongono le leggi della<br />

produttività che tendono ad eliminare dal panorama lavorativo e sociale chi non<br />

possa offrire <strong>di</strong> sé un'immagine <strong>di</strong> giovinezza e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>namismo. Gli interventi<br />

che hanno l'obiettivo <strong>di</strong> correggere l'invecchiamento del volto sono definiti<br />

ritidoplastiche o ritidectomie o più semplicemente face-lifting e sono in generale<br />

caratterizzati dallo scollamento e <strong>di</strong>stensione dei tessuti molli del viso e del collo. I<br />

costanti aggiornamenti nelle tecniche operatorie trovano opportuna ragione <strong>di</strong> essere<br />

nelle migliorate conoscenze del <strong>di</strong>stretto cervico-facciale, nell'impiego più idoneo <strong>di</strong><br />

parte <strong>di</strong> un organo o <strong>di</strong> una struttura e nell'utilizzo <strong>di</strong> strumenti e strategie<br />

operatorie sempre più sofisticate nel tentativo <strong>di</strong> ottenere risultati migliori e<br />

soprattutto duraturi nel tempo. Ancora oggi, dunque, il face-lift non trova univocità<br />

<strong>di</strong> vedute da parte dei chirurghi plastici ed in virtù del gran numero <strong>di</strong> protocolli<br />

proposti, con relative varianti, continua ad avere connotazioni tecniche <strong>di</strong>fferenti:<br />

dalla sola mobilizzazione cutanea alla sospensione fasciale superficiale, dal<br />

sollevamento muscolare allo scollamento sottoperiosteo (facial-mask) fino al più<br />

recente lifting endoscopico.Come tutti gli interventi <strong>di</strong> chirurgia estetica anche la<br />

ritidoplastica non sfugge alla necessità <strong>di</strong> un’accurata visita preoperatoria ed un<br />

minuzioso esame obiettivo per una adeguata pianificazione dell'intervento.<br />

156


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

Classificazione delle alterazioni cervico-facciali (Dedo)<br />

Classe I Minima deformità, angolo cervico-mentoniero ben definito, platisma<br />

Per una migliore chiarezza espositiva riteniamo opportuno ricordare i tre<br />

proce<strong>di</strong>menti operatori fondamentali:<br />

1) la ritidoplastica cervico-facciale con plicatura o imbricazione delle strutture<br />

fasciali dell'area parotidea-masseterina (ritidoplastica superficiale);<br />

2) la ritidectomia cervico-facciale con sospensione platismatica e facciale<br />

(ritidoplastica profonda);<br />

3) il face-lift sottoperiosteo nelle sue varianti fronto-temporo-zigomatico e trans-<br />

temporale (mask lift).<br />

tonico, assenza <strong>di</strong> grasso cervico-mentale.<br />

Classe II Lassità della cute cervicale, iniziale aspetto a ten<strong>di</strong>na, platisma<br />

tonico, assenza <strong>di</strong> grasso cervico-mentale.<br />

Classe III Accumulo <strong>di</strong> grasso cervico-mentale.<br />

Classe IV Accentuazione muscolare, (salienza presente a riposo o su<br />

contrazione).<br />

Classe V Retrognatia congenita o acquisita.<br />

Classe VI Osso ioide basso.<br />

Le <strong>di</strong>verse strategie operatorie dunque si <strong>di</strong>fferenziano sostanzialmente in base al<br />

piano anatomico dello scollamento mentre la via <strong>di</strong> accesso è comune e, nella sua<br />

variante allargata, coinvolge la porzione anteriore del cuoio capelluto (incisione<br />

coronale) per prolungarsi successivamente nella regione temporale e retrotragale<br />

(Rees-Woodsmith) fino a circoscrivere per intero il lobo dell’orecchio.<br />

Posteriormente il taglio impegna la convessità del pa<strong>di</strong>glione auricolare per 2-3 mm<br />

dal solco retroauricolare fino alla proiezione del trago per poi procedere con<br />

andamento curvilineo in basso, nella regione occipitale e nel capillizio. Il tempo<br />

chirurgico successivo, rappresentato dallo scollamento, deve genericamente<br />

attenersi all’obbligo <strong>di</strong> salvaguardare l’integrità dei rami del nervo facciale e del<br />

nervo grande auricolare con il massimo rispetto delle fonti vascolari: la <strong>di</strong>ssezione<br />

sottocutanea (ritidectomia classica o superficiale), particolarmente utile per i<br />

pazienti anziani, libera lembi <strong>di</strong> cute in eccesso che vengono escissi. Il risultato<br />

finale è dunque legato alla rimozione più o meno generosa della cute ed alla<br />

successiva aderenza cicatriziale tra pelle e sottocutaneo con la formazione <strong>di</strong> un’<br />

unica unità compatta e liscia. Nella riti<strong>di</strong>dectomia profonda, in<strong>di</strong>cata nei soggetti <strong>di</strong><br />

età compresa tra 50 e 60 anni, il piano anatomico della <strong>di</strong>ssezione coinvolge la cute<br />

ed il sistema muscolo-aponeurotico-superficiale (SMAS) che viene isolato ed ancorato<br />

alla fascia masseterina, parotidea, al periostio dell’arcata zigomatica ed alla fascia<br />

157


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

temporale cui fa seguito il rimodellamento della cute eccedente. Il coinvolgimento<br />

dello SMAS è finalizzato a dare maggiore stabilità alle strutture anatomiche ed un<br />

risultato più duraturo nel tempo. Nella variante allargata subiscono aggiustamenti<br />

anche il muscolo orbicolare dell’occhio e la muscolatura mimica periorale. Il face-lift<br />

sottoperiosteo prevede un piano <strong>di</strong> scollamento sotto il periostio e dunque un<br />

sollevamento “en bloc” dei tessuti molli soprastanti che, separati dal piano osseo,<br />

vengono ricollocati adeguatamente e nel modo desiderato con suture alle ossa della<br />

regione cranio-facciale ed alla fascia temporale. E’ utile ricordare che il periostio è<br />

un tessuto inestensibile e dunque l’obiettivo della tecnica non è quello <strong>di</strong> “tirare” i<br />

tessuti ma <strong>di</strong> consentire un delicato “push up” <strong>di</strong> riposizionamento. Il protocollo<br />

chirurgico prevede la rimozione solo <strong>di</strong> piccole quantità <strong>di</strong> cute ma è in grado <strong>di</strong><br />

migliorare considerevolmente i tratti fisionomici e <strong>di</strong> correggere in modo efficace<br />

anche le principali rughe <strong>di</strong> espressione (rughe glabellari, solchi nasogenieni). E’<br />

comunque una tecnica aggressiva in<strong>di</strong>cata negli in<strong>di</strong>vidui in fasce <strong>di</strong> età ancora<br />

giovani che oltre ai primi segni dell’invecchiamento desiderano anche un sostanziale<br />

cambiamento fisiognomico. La recente introduzione della videochirurgia nella pratica<br />

clinica ha aperto nuovi orizzonti anche nella chirurgia plastica dove giorno dopo<br />

giorno trova nuovi possibili settori <strong>di</strong> applicazione. Nella esecuzione del lifting<br />

sottoperiosteo, in casi selezionati, l’endoscopio si è <strong>di</strong>mostrato uno strumento molto<br />

utile permettendo al chirurgo <strong>di</strong> verificare, con la visione <strong>di</strong>retta, il piano <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssezione, i punti anatomici <strong>di</strong> riferimento, i vasi ed i nervi da salvaguardare, la<br />

realizzazione <strong>di</strong> manovre mirate e precise utilizzando piccole incisioni (1 cm) in<br />

alternativa alle più tra<strong>di</strong>zionali ed estese vie <strong>di</strong> accesso. Il problema “neck lift”,<br />

tipico nei pazienti avanti negli anni, è parte integrante <strong>di</strong> una ritidoplastica ed è<br />

migliorabile con un approccio <strong>di</strong>retto me<strong>di</strong>ante una piccola incisione nel solco<br />

sottomentoniero per consentire la sintesi dei bor<strong>di</strong> anteriori del muscolo platisma e<br />

l’exeresi mirata dei cordoni ipertrofici. Nella pianificazione del ringiovanimento del<br />

viso, la ritidectomia può essere associata ad altre <strong>di</strong>fferenti procedure “ancillari” tra<br />

cui:<br />

la blefaroplastica;<br />

la cheiloplastica ad<strong>di</strong>tiva;<br />

la liposuzione;<br />

il lipofilling;<br />

il resurfacing.<br />

La blefaroplastica è un intervento correttivo che<br />

può coinvolgere le palpebre superiori, inferiori o entrambe e prevede la rimozione<br />

158


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

“prudente” della cute in eccesso e dei depositi a<strong>di</strong>posi, erniati, responsabili delle<br />

inestetiche “borse palpebrali”. Nella bleroplastica superiore l’incisione chirurgica<br />

giace sul solco tarso-orbitale (8-10 mm dal bordo ciliare) ed è quin<strong>di</strong> ben <strong>di</strong>ssimulata<br />

mentre nella palpebra inferiore decorre a circa 1 mm dal bordo ciliare. Nei soggetti<br />

giovani con borse a<strong>di</strong>pose inferiori può essere utilizzata anche la via<br />

transcongiuntivale che non consente la rimozione della cute eccedente ma non lascia<br />

alcuna cicatrice esterna. La cheiloplastica ad<strong>di</strong>tiva prevede un insieme <strong>di</strong> possibilità<br />

tecniche finalizzate all’imbellimento delle labbra prevalentemente nella loro<br />

componente mucosa: le labbra sottili sono infatti genericamente avvertite come<br />

simbolo <strong>di</strong> vecchiaia e <strong>di</strong> malvagità. L’aumento del volume può essere ottenuto con<br />

un lipofilling (impianto <strong>di</strong> tessuto a<strong>di</strong>poso autologo), con un innesto dermo-a<strong>di</strong>poso<br />

autologo o con l’utilizzo <strong>di</strong> fillers <strong>di</strong> sintesi costituiti da materiali eterologhi<br />

biocompatibili: sono assolutamente da evitare materiali alloplastici “permanenti”<br />

poiché trattandosi <strong>di</strong> una regione anatomica in continuo movimento e soggetta a<br />

microtraumi ripetuti, sono possibili reazioni infiammatorie con conseguente<br />

innaturale indurimento del tessuto labiale. La liposuzione nel progetto <strong>di</strong><br />

ringiovanimento del volto trova una sua precisa collocazione da sola o in associazione<br />

al fece-lift nei pazienti per i quali è necessaria una maggiore definizione delle<br />

guance o la rimozione <strong>di</strong> tessuto a<strong>di</strong>poso eccedente nella regione cervicale (doppio<br />

mento). Viene <strong>di</strong> routine eseguita con delicate manovre <strong>di</strong> lipoexeresi e cannule <strong>di</strong><br />

piccolo <strong>di</strong>ametro (2 mm) per ridurre al minimo il rischio <strong>di</strong> rimozioni eccessive o<br />

danni alle strutture vascolo-nervose. Il lipofilling è il proce<strong>di</strong>mento chirurgico inverso<br />

rispetto alla lipoaspirazione e prevede il prelievo <strong>di</strong> tessuto a<strong>di</strong>poso autologo da<br />

reimpiantare per correggere eventuali per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> sostanza del sottocutaneo. Nella<br />

chirurgia estetica del volto la tecnica oltre che per la cheiloplastica ad<strong>di</strong>tiva è utile<br />

per attenuare la depressione dei solchi naso-genieni, delle rughe della regione<br />

gabellare e per ricostituire la bolla del Bichat restituendo al viso la tipica roton<strong>di</strong>tà<br />

giovanile. Il resurfacing comprende un insieme <strong>di</strong> tecniche ancillari finalizzate al<br />

miglioramento estetico della cute con l’attenuazione o la eliminazione degli<br />

inestetismi superficiali quali photoaging, iperpigmentazioni, rughe sottili,<br />

ipercheratosi. L’obiettivo comune è la <strong>di</strong>struzione guidata dell’unità epidermide-<br />

derma superficiale e, con la successiva riepitelizzazione, il ripristino <strong>di</strong> un mantello<br />

cutaneo levigato e giovanile. L’obbiettivo terapeutico può essere raggiunto me<strong>di</strong>ante<br />

peeling chimici profon<strong>di</strong> (acido tricloroacetico, fenolo), con la dermoabrasione e con<br />

la fotovaporizzazione laser (C02 , Erbium:YAG).<br />

159


Rinoplastica<br />

Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

Nell’ambito della <strong>Chirurgia</strong> Estetica la rinoplastica è l’intervento maggiormente<br />

richiesto ed al tempo stesso un banco <strong>di</strong> prova<br />

tra i più impegnativi per il chirurgo plastico. La<br />

perfetta conoscenza dell’anatomia, della<br />

fisiologia, della patologia, delle tecniche<br />

operatorie senza una adeguata e specifica<br />

esperienza personale non rappresentano una<br />

garanzia per pianificare un progetto <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fiche strutturali del naso: la percentuale<br />

<strong>di</strong> insuccessi (5-7%) registrati nelle casistiche internazionali confermano quanto sia<br />

<strong>di</strong>fficile realizzare un intervento che sod<strong>di</strong>sfi pienamente l’operatore ed il paziente.<br />

Le cause vanno senz’altro ricercate nel panorama veramente complesso delle<br />

deformità della piramide nasale, dalla necessità <strong>di</strong> avere la padronanza assoluta <strong>di</strong><br />

più tecniche chirurgiche e, non ultimo, nella <strong>di</strong>fficoltà oggettiva <strong>di</strong> apprendere e/o<br />

insegnare la rinoplastica stessa.<br />

La moderna e corretta pianificazione della rinoplastica prevede:<br />

1. il colloquio preoperatorio;<br />

2. lo stu<strong>di</strong>o del caso clinico;<br />

3. la scelta e l’ applicazione corretta della strategia terapeutica;<br />

Il colloquio preoperatorio, attento ed analitico, me<strong>di</strong>co-paziente è parte integrante<br />

dell’intervento chirurgico. Definire al meglio la personalità della persona consente al<br />

chirurgo plastico <strong>di</strong> apprezzare se la richiesta è motivata o dettata da tendenze<br />

inconsce e <strong>di</strong> valutare l’entità del beneficio sia sul piano estetico che sul piano<br />

psichico.<br />

Stu<strong>di</strong> specifici sull’argomento <strong>di</strong>stinguono le motivazioni in due gruppi principali:<br />

A) Motivazioni inconsce<br />

Questo gruppo comprende soggetti con personalità gravemente <strong>di</strong>sturbata,<br />

psiconevrotici o in<strong>di</strong>vidui con patologia da “falso sé”, pazienti nei quali la richiesta<br />

parte da motivazioni inconsce, per cui l’insod<strong>di</strong>sfazione per il proprio aspetto fisico<br />

è un sintomo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sadattamento o <strong>di</strong> falso riconoscimento al sé corporeo. In queste<br />

circostanze l’intervento chirurgico è sconsigliabile e dannoso poiché i pazienti, nella<br />

maggior parte dei casi, rimangono ancora più frustrati dal proprio aspetto<br />

realizzando tutte le premesse per una grave forma <strong>di</strong> depressione narcisistica con<br />

sentimenti <strong>di</strong> vera e propria “rabbia” nei confronti del chirurgo che non li ha<br />

sod<strong>di</strong>sfatti.<br />

160


B) Motivazioni <strong>di</strong> realtà<br />

Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

Al contrario il secondo gruppo è composto da soggetti con una sintomatologia<br />

strettamente correlata alla deformità nei quali lo stress e l’ansia sono per lo più<br />

legati ad essa, essendo lo stato psicologico <strong>di</strong>sturbato, reattivo ad un <strong>di</strong>fetto fisico<br />

realmente presente e dunque eventuali sentimenti aggressivi nei confronti<br />

dell’operatore si manifestano soltanto in caso <strong>di</strong> errore tecnico o <strong>di</strong> profonda<br />

delusione per le loro aspettative reali.<br />

Stu<strong>di</strong>o del caso clinico<br />

Con lo stu<strong>di</strong>o del caso clinico si entra nella fase operativa del protocollo terapeutico.<br />

Un attento esame obiettivo locale ed una indagine fotografica-morfometrica del viso<br />

sono elementi in<strong>di</strong>spensabili per la formulazione della <strong>di</strong>agnosi, per la pianificazione<br />

della strategia chirurgica e per la previsione del risultato finale. La valutazione<br />

fisionomica del volto, infatti, non è un’arte libera, frutto semplicemente del senso<br />

artistico del chirurgo ma, al contrario, è fortemente legata a concetti matematici <strong>di</strong><br />

misura e <strong>di</strong> proporzione. Il volto è <strong>di</strong>stinto in 3 terzi: superiore (dalla linea dei capelli<br />

alla glabella), me<strong>di</strong>o (dalla glabella al punto sub-nasale), inferiore (dal punto sub-<br />

nasale al mento) ed in 5 unità estetiche principali (fronte, occhi, naso, labbra,<br />

mento). L’armonia ideale tra le varie componenti è regolata dalla conoscenza <strong>di</strong> 4<br />

angoli fondamentali: l’angolo naso-frontale (125°-135°), l’angolo naso-facciale (35°-<br />

40°), l’angolo naso-labiale (90°-132°) e l’angolo naso-mentale (120°-132°). Inoltre il<br />

dorso del naso, nella sua visione laterale, è contenuto tra il nasion ed il punto<br />

pronasale, la sua inclinazione è data dall’angolo naso-facciale e la lunghezza ideale è<br />

<strong>di</strong> 45 mm nelle donne e 49 mm negli uomini.<br />

Scelta ed applicazione corretta della strategia terapeutica<br />

Per la realizzazione della rinoplastica nel corso degli anni sono state messe a punto<br />

numerose tecniche operatorie, ognuna con i suoi vantaggi e svantaggi ma, nel<br />

riba<strong>di</strong>re la necessità <strong>di</strong> un bagaglio teorico-pratico il più ampio possibile, è giusto che<br />

il chirurgo plastico si affi<strong>di</strong> al metodo per il quale “sente” maggiore esperienza,<br />

sicurezza e facilità <strong>di</strong> esecuzione. La richiesta più comune è quella <strong>di</strong> ridurre, snellire<br />

il naso e la tecnica chirurgica prevede il rimodellamento completo dell’architettura<br />

osteo-cartilaginea dalla punta al dorso attraverso una incisione vestibolare (la parte<br />

interna delle narici) e dunque non visibile all’esterno. In casi particolari<br />

(reinterventi, soggetti politraumatizzati) può essere utile il metodo “open” che<br />

utilizza una piccola incisione nella columella per realizzare uno scollamento ampio<br />

del rivestimento cutaneo ed una visione <strong>di</strong>retta delle strutture anatomiche da<br />

correggere. Meno frequente è la rinoplastica “ad<strong>di</strong>tiva” necessaria nei casi clinici con<br />

161


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

deficit strutturali della piramide nasale (traumi, infezioni) realizzabile con l’uso <strong>di</strong><br />

autoinnesti <strong>di</strong> osso e/o cartilagine opportunamente modellati ed inseriti nell’area<br />

anatomica carente. Non sempre, infine, la rinoplastica da sola può essere in grado <strong>di</strong><br />

restituire un giusto equilibrio armonico al viso ma possono rendersi necessari<br />

aggiustamenti accessori del mento (profiloplastica, genioplastica) e degli zigomi<br />

(malaroplastica).<br />

Otoplastica<br />

Il pa<strong>di</strong>glione auricolare è una complessa struttura caratterizzata da una conchiglia<br />

cartilaginea rivestita da cute sottile. Le malformazioni dell’orecchio esterno<br />

compaiono prevalentemente dal 3° al 6° mese <strong>di</strong> sviluppo e possono essere<br />

classificate secondo Tanzer in:<br />

Anotia.<br />

Ipoplasia completa (microtia) con o senza atresia delmeato acustico interno.<br />

Ipoplasia del terzo me<strong>di</strong>o dell’orecchio.<br />

Ipoplasia del terzo superiore dell’orecchio con orecchio contratto (a coppa e<br />

pendente), criptotia ed ipoplasia dell’intero<br />

terzo superiore.<br />

orecchio prominente o “ad ansa”.<br />

Le orecchie ad ansa possono rappresentare un<br />

grave han<strong>di</strong>cap psicologico nell’infanzia,<br />

nell’adolescenza e nell’età adulta senza <strong>di</strong>stinzione nei due sessi. L’atteggiamento<br />

“a ventola” del pa<strong>di</strong>glione auricolare è determinato da un coacervo <strong>di</strong> anomalie<br />

prevalentemente caratterizzate da <strong>di</strong>smorfismi delle pieghe fisiologiche (elice,<br />

antelice) e da un eccessivo sviluppo della conca che può raggiungere l’aspetto <strong>di</strong><br />

un’emisfera. Osservando un orecchio normale ci si accorge che la conca forma un<br />

angolo <strong>di</strong> 90° con la testa ed altrettanto è l’angolo conca-scafa mentre l’angolo<br />

auricolo-mastoideo (tra elice e cranio) è <strong>di</strong> circa 30°. Queste misurazioni consentono<br />

<strong>di</strong> poter valutare correttamente l’armonia delle strutture anatomiche e definire<br />

ciascuna singola malformazione:<br />

deformità dell’elice e dell’antelice,<br />

ipersviluppo della conca ed i rapporti con l’angolo conca-mastoide,<br />

<strong>di</strong>mensioni del lobulo dell’orecchio e relazioni planari con l’elice.<br />

Tra i fattori da considerare nello stu<strong>di</strong>o preoperatorio è opportuno ricordare che<br />

l’intervento chirurgico <strong>di</strong> otoplastica può essere eseguito precocemente anche all’età<br />

<strong>di</strong> 6 anni (età prescolare), senza interferenze sullo sviluppo del pa<strong>di</strong>glione auricolare,<br />

per prevenire possibili gravi ripercussioni psicologiche (insicurezza, depressione) dei<br />

162


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

pazienti, spesso oggetto <strong>di</strong> scherno da parte dei coetanei. Le tecniche chirurgiche più<br />

moderne sono finalizzate a correggere le cause delle anomalie <strong>di</strong> forma con il<br />

risultato finale <strong>di</strong> una generale rotazione della struttura verso la mastoide. L’accesso<br />

chirurgico è collocato sulla faccia posteriore del pa<strong>di</strong>glione auricolare, in una delle<br />

pieghe naturali per essere ben <strong>di</strong>ssimulato, e l’intervento prevede la resezione delle<br />

porzioni <strong>di</strong> cartilagine in eccesso ed il rimodellamento delle aree malformate previa<br />

una accurata interruzione delle fibre elastiche per cancellare la morfologia<br />

tri<strong>di</strong>mensionale esistente e prevenire la reci<strong>di</strong>va della deformità. I limiti principali<br />

della maggior parte delle meto<strong>di</strong>che oggi utilizzate sono:<br />

a) scarsa precisione nella definizione dell’antelice,<br />

b) eccessiva adesione del pa<strong>di</strong>glione auricolare al piano cefalico con scomparsa<br />

dell’angolo cefalo-auricolare ed un aspetto estetico innaturale;<br />

c) risultati non sempre stabili nel tempo.<br />

Lipoaspirazione<br />

La lipoaspirazione o liposuzione identifica una consolidata tecnica chirurgica <strong>di</strong><br />

manipolazione del tessuto a<strong>di</strong>poso finalizzata al miglioramento della silouette<br />

corporea me<strong>di</strong>ante una armonica ed omogenea sottrazione dello stesso. L’intervento<br />

è sostanzialmente riconducibile ad una lipoestrazione con delle cannule, <strong>di</strong>verse per<br />

forma e <strong>di</strong>mensione che, soggette ad una pressione negativa me<strong>di</strong>ante un aspiratore,<br />

vengono introdotte nel sottocutaneo con piccole e proporzionali incisioni della cute.<br />

La prima documentazione storica risale al 1921 quando Dujarrier utilizzò una curette<br />

uterina per rimuovere il grasso dalle ginocchia <strong>di</strong> una nota ballerina dell’epoca: il<br />

tentativo si rivelò <strong>di</strong>sastroso e drammatico concludendosi con l’amputazione <strong>di</strong> un<br />

arto per gravi lesioni alla rete vascolare. L’interesse per la meto<strong>di</strong>ca emerse<br />

nuovamente negli anni ’60: Schrudde asportava depositi a<strong>di</strong>posi rompendoli prima<br />

con uno strumento chirurgico tagliente per aspirarli successivamente con una cannula<br />

a pressione negativa mentre Kesserling e Meyer nel 1978 introdussero una maggiore<br />

potenza <strong>di</strong> aspirazione preceduta sempre da una frammentazione del tessuto. Il<br />

successivo fondamentale passo avanti tecnico fu la cannula smussa collegata<br />

<strong>di</strong>rettamente ad una pompa da vuoto messa punto da Fournier, Otteni ed Illouz che<br />

migliorò notevolmente la meto<strong>di</strong>ca ed i risultati clinici. Altri importanti<br />

aggiustamenti sono da attribuire ad Hetter, Teimourian e Klein che in<strong>di</strong>viduarono<br />

l’importanza della capacità aspirativa dello strumento, delle cannule <strong>di</strong> piccole<br />

<strong>di</strong>mensioni con punte <strong>di</strong>fferenziate e del cocktail farmacologico per l’infiltrazione<br />

preoperatoria. Oggi la lipoaspirazione è un intervento chirurgico molto <strong>di</strong>ffuso ed è<br />

in<strong>di</strong>cato per il trattamento <strong>di</strong> a<strong>di</strong>posità localizzate “resistenti alla <strong>di</strong>eta ed<br />

163


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

all’esercizio fisico”: il paziente ideale è giovane o <strong>di</strong> “mezza età” con motivazioni<br />

“<strong>di</strong> realtà”, in buona salute, con un peso corporeo vicino a quello fisiologico, con una<br />

adeguata elasticità cutanea e con una minima lassità dell’unità anatomica<br />

cute/grasso superficiale/sistema fasciale superficiale. L’esame obiettivo locale è un<br />

momento importante nella valutazione del paziente ed utilizza 3 criteri semeiologici<br />

principali:<br />

- pinch test: con il “pinzamento” del tessuto a<strong>di</strong>poso, prima e dopo contrazione<br />

muscolare, vengono comparati i profili anatomici e lo spessore del grasso.<br />

Se è riscontrabile una sensibile riduzione volumetrica con la contrazione muscolare,<br />

ed il pinzamento <strong>di</strong>mostra depositi a<strong>di</strong>posi minimi, la lipoaspirazione è<br />

controin<strong>di</strong>cata;<br />

- lift test: è utile per oggettivare la morfologia dell’unità anatomica cute-grasso<br />

superficiale-fascia superficiale. Nell’esame clinico se la quantità <strong>di</strong> cute e grasso<br />

preso con le mani è adeguata e <strong>di</strong>mostra un buon ritorno dopo aver lasciato la presa,<br />

il soggetto è can<strong>di</strong>dabile all’intervento. In circostanze <strong>di</strong>verse si dovrà optare per<br />

soluzioni terapeutiche alternative.<br />

- driver test: il test è particolarmente in<strong>di</strong>cato nello screening delle a<strong>di</strong>posità<br />

addominali. Il paziente viene fatto inclinare in avanti nella posizione del “tuffatore”:<br />

se il volume non si mo<strong>di</strong>fica sostanzialmente c’è<br />

l’in<strong>di</strong>cazione ad una lipoexeresi, in caso contrario<br />

sarà più opportuno ricorrere ad una dermolipectomia<br />

(addominoplastica) anche associata ad una<br />

liposuzione. L’intervento chirurgico è sempre<br />

preceduto da una accurata mappatura delle aree da<br />

trattare che vengono in<strong>di</strong>viduate e circoscritte con una penna dermografica a<br />

paziente in pie<strong>di</strong>. La scelta del tipo <strong>di</strong> anestesia viene concordato con l’anestesista in<br />

relazione al caso clinico, al volume <strong>di</strong> tessuto a<strong>di</strong>poso da rimuovere, all’età ed al<br />

profilo psicologico del paziente. Le incisioni per introdurre le cannule sono piccole<br />

(3-5 mm), in genere posizionate nelle pieghe cutanee naturali e l’aspirazione vera e<br />

propria, a tunnel incrociati, è preceduta dal “pretunnelling” per determinare un<br />

livello <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssezione uniforme e ridurre il rischio delle irregolarità cutanee<br />

postoperatorie. Nel corso degli anni si è prestata grande attenzione alle per<strong>di</strong>te<br />

ematiche intraoperatorie: con il metodo iniziale (lipoaspirazione “secca”) il sangue<br />

perso era me<strong>di</strong>amente compreso tra il 20% ed il 45% del volume aspirato mentre con<br />

la successiva “wet technique” la percentuale oscillava tra il 15% ed il 30%. Con la<br />

<strong>di</strong>ffusione della lipoaspirazione “tumescente” (infiltrazione preoperatoria del<br />

164


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

sottocutaneo con un cocktail farmacologico in rapporto <strong>di</strong> 1:1 con la quantità <strong>di</strong><br />

grasso da rimuovere) messa a punto da Klein il problema dell’anemia si è fortemente<br />

ri<strong>di</strong>mensionato attestandosi il quantitativo <strong>di</strong> sangue perso su valori pari all’1%. Il<br />

costante monitoraggio dell’aspirato ed il test del pinzamento intraoperatorio sono<br />

elementi fondamentali per stabilire la fine dell’intervento. Prima delle suture può<br />

tornare utile passare una cannula senza pressione negativa in senso ra<strong>di</strong>ale oltre i<br />

margini topografici per sfumare i bor<strong>di</strong> della zona trattata e rifinire il risultato. Il<br />

tempo operatorio si completa col far indossare al paziente una guaina elastica per<br />

limitare l’edema , le ecchimosi e prevenire la formazione <strong>di</strong> ematomi o sieromi. La<br />

ospedalizzazione del malato termina con la ripresa della deambulazione e della<br />

alimentazione per via orale. I punti <strong>di</strong> sutura vengono rimossi dopo pochi giorni<br />

mentre la guaina elastica deve essere indossata (giorno e notte) per almeno 3<br />

settimane: l’attività fisica può essere ripresa dopo circa 6 settimane. Eventuali<br />

revisioni dell’intervento o “ritocchi” non possono essere pianificate prima <strong>di</strong> 6 mesi,<br />

tempo necessario perché il risultato clinico si stabilizzi.<br />

Meloplastiche<br />

Gli arti, superiori ed inferiori, non sfuggono ai fenomeni degenerativi legati<br />

all’invecchiamento o alla ptosi secondaria a massicce per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> peso corporeo.A<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>stretti anatomici gli interventi chirurgici correttivi e gli<br />

inelu<strong>di</strong>bili esiti cicatriziali postoperatori sono in queste se<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficilmente occultabili<br />

e dunque la loro realizzazione è decisamente subor<strong>di</strong>nata a reali motivazioni <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>ne fisico e psichico.La meloplastica superiore consente <strong>di</strong> correggere<br />

adeguatamente la flacci<strong>di</strong>tà o l’eccedenza cutanea con la rimozione <strong>di</strong> opportune<br />

quantità <strong>di</strong> tessuto lungo la faccia me<strong>di</strong>ale dell’arto ma con una cicatrice finale non<br />

<strong>di</strong>ssimulabile a braccia nude. Le tecniche <strong>di</strong> meloplastica inferiore (lifting delle<br />

cosce) prevedono due procedure con approccio chirurgico <strong>di</strong>fferente:<br />

a) la tecnica con accesso verticale, localizzato sulla faccia me<strong>di</strong>ale della coscia,<br />

consente l’exeresi <strong>di</strong> cospicue porzioni <strong>di</strong> cute e sottocute con un notevole<br />

miglioramento funzionale ed estetico della gamba ma è utile nei pazienti con quadri<br />

clinici gravi o invalidanti residuando una cicatrice lunga, molto evidente e non<br />

sempre <strong>di</strong> buona qualità;<br />

b) il metodo con incisione orizzontale, collocata nella porzione centrale della piega<br />

inguinale, nel solco genito-femorale e nel solco sottogluteo, prevede uno<br />

scollamento ampio nel piano sottocutaneo dell’area anatomica da correggere ed il<br />

lifting preceduto dalla resezione, in forma vagamente ogivale, del tessuto in eccesso.<br />

Inizialmente la cicatrice è facilmente occultabile ma i quoti<strong>di</strong>ani movimenti della<br />

165


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

deambulazione ed una possibile reci<strong>di</strong>va della ptosi determinano con il trascorrere<br />

del tempo un inevitabile <strong>di</strong>slocamento in basso della cicatrice. Gli interventi <strong>di</strong><br />

meloplastica possono eventualmente essere integrati e perfezionati dalla<br />

lipoaspirazione.<br />

Addominoplastica<br />

L'addome è un <strong>di</strong>stretto che con<strong>di</strong>ziona in maniera determinante il profilo e l'armonia<br />

del nostro corpo. Alterazioni <strong>di</strong> questa regione possono mo<strong>di</strong>ficare notevolmente la<br />

silhouette corporea al punto da richiedere una correzione chirurgica che, in casi<br />

estremi e particolari, riveste carattere non soltanto estetico ma anche funzionale.<br />

L’ addome nel corso degli anni può subire alterazioni morfologiche anche <strong>di</strong> cospicua<br />

entità per fattori costituzionali (debolezza con<strong>net</strong>tivale) o acquisiti (aumento<br />

ponderale, <strong>di</strong>magrimento, gravidanze, etc.) che possono determinare la formazione<br />

<strong>di</strong> pieghe pendule al <strong>di</strong> sopra del pube o <strong>di</strong> un vero e proprio grembiule, <strong>di</strong>storsioni<br />

dell’ombelico e sfiancamento della parete muscolare addominale.<br />

I pazienti con anomalie della silhouette addominale possono essere classificati in 6<br />

gruppi <strong>di</strong>fferenti:<br />

Classe I Tessuto a<strong>di</strong>poso in eccesso,cute tesa, parete<br />

muscolare tonica e trofica.<br />

Classe II Tessuto a<strong>di</strong>poso nella norma,cute rilassata,<br />

parete muscolare tonica e trofica.<br />

Classe III Tessuto a<strong>di</strong>poso nella norma, cute e<br />

muscolatura dei quadranti addominali inferiori<br />

rilassati.<br />

Classe IV Tessuto a<strong>di</strong>poso nella norma o in eccesso,cute<br />

rilassata, <strong>di</strong>astasi dei muscoli retti.<br />

Classe V Tessuto a<strong>di</strong>poso nella norma o in eccesso,<br />

grave rilassamento cutaneo e muscolare.<br />

ClasseVI Grave rilassamento cutaneo e muscolare<br />

dell’addome e dei fianchi con o senza eccesso<br />

<strong>di</strong> grasso.<br />

Classicamente un intervento <strong>di</strong> addominoplastica può essere richiesto e in<strong>di</strong>cato per<br />

due motivi fondamentali: una eccessiva quantità<br />

<strong>di</strong> grasso (addome pendulo) o una eccessiva<br />

quantità <strong>di</strong> cute (addome grinzo). Un quadro<br />

particolare ed interme<strong>di</strong>o tra i due è<br />

rappresentato dall'addome globoso. L'addome<br />

grinzo rappresenta il quadro più lieve <strong>di</strong> <strong>di</strong>smor-<br />

166<br />

Lipoaspirazione<br />

Mini lift addominale.<br />

Mini lift addominale e<br />

plastica della parete<br />

muscolare.<br />

Addominoplastica.<br />

Addominoplastica.<br />

<strong>Plastica</strong> dell’addome e dei<br />

fianchi (Body contouring).


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

fismo addominale ed è molto più frequente nella donna dopo il parto. La paziente<br />

presenta un variabile eccesso <strong>di</strong> cute nelle regioni sottombelicale me<strong>di</strong>ana e<br />

parame<strong>di</strong>ane con grinze e strie cutanee che possono essere <strong>di</strong>versamente orientate<br />

sia in senso orizzontale che verticale. L'ombelico può mostrare un <strong>di</strong>smorfismo più o<br />

meno marcato. I restanti quadranti addominali non sono interessati da alterazioni<br />

trofiche <strong>di</strong> rilievo, fatta eccezione per l'eventuale presenza <strong>di</strong> strie rubre e<br />

smagliature. Si parla <strong>di</strong> addome globoso quando al quadro precedentemente descritto<br />

si associa un eccesso <strong>di</strong> grasso dei quadranti inferiori e laterali. Le alterazioni<br />

possono spingersi in varia misura verso, le aree sopraombelicali e spesso, nella<br />

porzione me<strong>di</strong>a ed inferiore, può coesistere una <strong>di</strong>astasi dei muscoli retti. L'addome<br />

pendulo rappresenta il quadro clinico estremo fra le alterazioni della parete<br />

addominale. Tutti i quadranti sono interessati da un notevolissimo rilassamento della<br />

cute con per<strong>di</strong>ta dei normali rapporti fra i piani superficiali (cute e sottocute) e<br />

quello fasciale sottostante: l'alterazione si rende estremamente evidente nella<br />

regione sottombelicale sia me<strong>di</strong>almente che lateralmente anche oltre le spine.<br />

iliache anteriori superiori. L'addome pendulo si associa quasi sempre ad una notevole<br />

<strong>di</strong>astasi dei muscoli retti con sfiancamento <strong>di</strong> tutto il sistema muscolo-aponeurotico.<br />

A queste con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> base si possono associare altre alterazioni quali: strie cutanee,<br />

cicatrici da pregressi interventi chirurgici, <strong>di</strong>astasi dei muscoli retti, ernie della<br />

parete addominale che devono essere tenute in considerazione nella<br />

programmazione del protocollo terapeutico. In ogni caso una minuziosa valutazione<br />

clinica preoperatoria ed una accurata selezione dei pazienti rappresentano i requisiti<br />

fondamentali per il conseguimento <strong>di</strong> un risultato morfologico e funzionale ottimale.<br />

L'addominoplastica rappresenta uno tra gli interventi più frequentemente richiesti al<br />

chirurgo plastico. Il trattamento chirurgico <strong>di</strong> un <strong>di</strong>smorfismo addominale varia in<br />

rapporto alla entità della con<strong>di</strong>zione patologica <strong>di</strong> base. Per questo motivo, quando<br />

oggi si parla <strong>di</strong> addominoplastica, si fa riferimento a tecniche chirurgiche <strong>di</strong>verse che<br />

il chirurgo plastico deve selezionare per la risoluzione <strong>di</strong> ciascun caso. Il classico<br />

intervento <strong>di</strong> addominoplastica, co<strong>di</strong>ficato negli anni 60 con il nome <strong>di</strong><br />

"addominoplastica standard" prevede alcuni tempi fondamentali:<br />

incisione cutanea,<br />

scollamento e stiramento in basso del lembo superiore,<br />

plastica dei muscoli retti quando presente,<br />

riposizionamento dell' ombelico,<br />

sutura della ferita chirurgica.<br />

Nell'addominoplastica "standard" l'incisione cutanea descrive una forma irregolarmen-<br />

167


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

te a losanga, con una parte inferiore quasi onzzontale ed una superiore più arcuata<br />

che supera in alto l'ombelico. Il <strong>di</strong>segno prima, e l'incisione poi, devono essere<br />

pianificati preoperatoriamente in maniera perfetta in quanto anche piccole<br />

imprecisioni possono causare risultati insod<strong>di</strong>sfacenti. Una volta eseguita la<br />

escissione della losanga cutanea, si scolla il lembo <strong>di</strong> cute dell'addome superiore fino<br />

all'altezza dell'arcata costale e lo si <strong>di</strong>sloca in basso fino all'incisione inferiore. Dopo<br />

aver in<strong>di</strong>viduato con misurazioni precise la nuova sede dell' ombelico, si procede a<br />

far "emergere" la cicatrice ombelicale attraverso una incisione cutanea fino alla<br />

superficie del lembo superiore dopo averIo stirato in basso.<br />

L'intervento si conclude con la sutura cutanea e la me<strong>di</strong>cazione mo<strong>di</strong>camente<br />

compressiva che viene rimossa dopo 3 - 4 giorni. Nel corso degli anni la tecnica<br />

standard è stata utilizzata sempre meno frequentemente, riservandola ai soli casi<br />

clinici <strong>di</strong> addomi molto voluminosi e/o penduli. Le variazioni della tecnica che si sono<br />

susseguite in questi ultimi anni hanno essenzialmente interessato il <strong>di</strong>segno, la<br />

lunghezza dell' incisione e l'utilizzo <strong>di</strong> tecniche complementari quali la liposuzione.<br />

Alla base delle variazioni <strong>di</strong> forma dell'incisione vi è la necessità <strong>di</strong> ridurre al minimo<br />

la sua estensione laterale lasciando la sutura finale all' interno degli indumenti<br />

intimi. Per questo motivo l'evoluzione dei tracciati preoperatori ha seguito nel tempo<br />

il <strong>di</strong>venire dei costumi e della moda.<br />

Oggi nella addominoplastica estetica si cerca <strong>di</strong> utilizzare un “planning” persona-<br />

lizzato che tenga conto oltre che della situazione locale anche delle abitu<strong>di</strong>ni e della<br />

vita sociale della paziente. Per queste ragioni si tende ad eseguire <strong>di</strong>segni in cui la<br />

linea <strong>di</strong> incisione inferiore appaia costituita da una porzione centrale leggermente<br />

arcuata sulla regione pubica e due porzioni laterali oblique verso alto, che<br />

decorrono parallelamente ai ligamenti inguinali 1-2 cm. me<strong>di</strong>almente ad essi. Nei<br />

casi <strong>di</strong> addome grinzo, o comunque nei casi in cui non è necessaria un'asportazione<br />

completa dei tessuti fino alla linea ombelicale, si esegue l'intervento <strong>di</strong><br />

"miniaddominoplastica".<br />

Questa meto<strong>di</strong>ca prevede una exeresi limitata <strong>di</strong> tessuto senza riposizionamento<br />

dell'ombelico. Un cenno a parte merita la liposuzione il cui utilizzo nella addo-<br />

minoplastica ha recentemente subito un notevole incremento. La possibilità <strong>di</strong><br />

asportare quantità anche cospicue <strong>di</strong> sottocutaneo me<strong>di</strong>ante l’aspirazione con<br />

cannula, ha permesso il trattamento <strong>di</strong> addomi con accumuli localizzati nei quadranti<br />

inferiori con la sola tecnica della liposuzione. Alla stessa maniera, l' aspirazione delle<br />

porzioni laterali alla incisione nonché delle regioni dei fianchi ha permesso <strong>di</strong><br />

migliorare i risultati ottenuti con la addominoplastica. Le prospettive future <strong>di</strong><br />

168


Argomenti <strong>di</strong> chirurgia estetica<br />

questo tipo <strong>di</strong> procedura chirurgica sono probabilmente proprio nella combinazione<br />

<strong>di</strong> interventi più limitati quali la “mini addominoplastica” e la liposuzione al fine <strong>di</strong><br />

ottenere risultati sod<strong>di</strong>sfacenti con una chirurgia indubbiamente meno invasiva.<br />

169


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

PRINCIPI DI ANESTESIA<br />

Sarebbe impensabile oggi sottoporsi ad una qualsiasi procedura chirurgica senza<br />

anestesia eppure fino al 1840 la possibilità <strong>di</strong> eseguire un intervento senza provare<br />

dolore era semplicemente utopistico. Tanto è vero che la chirurgia veniva effettuata<br />

solo per i casi in cui la morte era certa e nessun altro tipo <strong>di</strong> trattamento era stato<br />

efficace. Il 30 marzo del 1842 il dottor Crawford Williamson Long utilizzò per primo<br />

l’etere per asportare due cisti del collo del sig.Venable che era un grande sniffatore<br />

<strong>di</strong> etere. Il dottor Long estese l’uso dell’etere anche in ostetricia sebbene i suoi<br />

lavori non sono molto noti poiché morì a soli 63 anni e non ebbe molto tempo per<br />

incrementarne la applicazione ed è emblematica la descrizione della sua morte<br />

avvenuta per emorragia cerebrale proprio al capezzale <strong>di</strong> una donna <strong>di</strong> cui assisteva<br />

al parto: dopo aver avuto un malore cadde al suolo ed i familiari della puerpera<br />

corsero in suo aiuto ma lui rifiutò e le sue ultime parole furono: “la salute della<br />

madre e del bambino prima <strong>di</strong> tutto”. Già nel 1772 era stato scoperto il protossido <strong>di</strong><br />

azoto insieme all’ossigeno da parte <strong>di</strong> Joseph Priestley ma bisogna attendere il 1844<br />

per registrare la prima applicazione “fortuita” <strong>di</strong> questo gas come analgesico.<br />

Avendone scoperte le sue proprietà esilaranti, il protossido veniva utilizzato<br />

esclusivamente nei salotti <strong>di</strong> conversazione o nei locali pubblici per goderne dei<br />

piacevoli effetti (“il gas che fa ridere”). In uno <strong>di</strong> questi salotti era presente anche<br />

Horace Wells un giovane dentista che partecipò insieme al suo amico Cooley per<br />

sperimentare personalmente le straor<strong>di</strong>narie proprietà <strong>di</strong> questo gas. In Cooley,<br />

purtroppo, il gas fece tutt’altro che un buon effetto e scatenando in lui il suo animo<br />

violento e litigioso; ne nacque una rissa placata la quale i due amici vennero rispe<strong>di</strong>ti<br />

presto ai loro tavoli. Tornati al loro posto ben presto Wells si accorse <strong>di</strong> una grossa<br />

macchia <strong>di</strong> sangue che si andava formando sotto la se<strong>di</strong>a del suo amico Cooley.<br />

Infatti durante la rissa Cooley era stato ferito ad una gamba ma non si era accorto <strong>di</strong><br />

questa lesione né aveva provato alcun dolore. Wells allora ebbe l’illuminazione e<br />

pensò che in qualche modo il gas aveva ridotto la sensibilità al dolore per cui si<br />

convinse <strong>di</strong> utilizzarlo come analgesico nella sua pratica clinica <strong>di</strong> dentista. Non<br />

trovando volontari <strong>di</strong>sponibili si sottopose <strong>di</strong> persona all’esperimento. Chiamò un suo<br />

collega dentista e dopo aver inalato il gas si sottopose all’estrazione <strong>di</strong> un molare<br />

che da tempo lo infasti<strong>di</strong>va ma che non si era mai deciso a farsi togliere per timore<br />

del dolore. L’estrazione fu un successo poichè il dott. Wells non avvertì alcun dolore.<br />

170


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

Entusiasta <strong>di</strong> questa scoperta si presentò al Massachusetts General Hospital <strong>di</strong> Boston<br />

per eseguire una <strong>di</strong>mostrazione pubblica <strong>di</strong> ciò che aveva sperimentato<br />

personalmente. Venne trovato un paziente <strong>di</strong>sposto a farsi estrarre un dente con la<br />

promessa <strong>di</strong> non provare alcun dolore. Forse la fretta e la smania <strong>di</strong> Wells <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare l’efficacia del suo metodo fecero fallire la <strong>di</strong>mostrazione ed il giovane<br />

malcapitato gridò <strong>di</strong> dolore per tutta la durata dell’intervento poiché Wells iniziò e<br />

finì l’estrazione dentaria prima che il gas facesse effetto. La maggior facilità <strong>di</strong><br />

reperire l’etere piuttosto che il cloroformio ne agevolò la <strong>di</strong>ffusione e l’utilizzo.<br />

Proprio per questo motivo che un appren<strong>di</strong>sta <strong>di</strong> Wells, William Thomas Green<br />

Morton è considerato il padre dell’anestesia moderna poiché fu il primo che<br />

pubblicamente utilizzò con successo una “miscela anestetica” <strong>di</strong> etere solforico. Il 16<br />

ottobre 1846, data storica per l’anestesia il dott. Morton si presentò al<br />

Massachusetts General Hospital <strong>di</strong> Boston on una sfera munita <strong>di</strong> una via <strong>di</strong> ingresso<br />

ed una <strong>di</strong> uscita e dentro una spugna imbevuta <strong>di</strong> etere. Fece respirare al Sig. Abbott<br />

i vapori della sfera e il dott. Warren capo chirurgo in carica al General Hospital<br />

asportò un grosso tumore del collo senza che il paziente provasse alcun dolore. Al<br />

termine dell’intervento, il dottor Warren rivolgendosi alla platea che assisteva <strong>di</strong>sse:<br />

“Signori, non c’è nessun imbroglio”. La scoperta fu sensazionale e fu annunciata<br />

ufficialmente il 18 novembre 1846 sul Boston Me<strong>di</strong>cal and Surgical Journal (antenato<br />

dell’attuale New England Journal of Me<strong>di</strong>cine). Wells da parte sua si sentì tra<strong>di</strong>to da<br />

Morton e tra il 1847 e il 1848 pubblicò numerosi articoli per riven<strong>di</strong>care la vali<strong>di</strong>tà<br />

della sua prima intuizione ed iniziò a sperimentare il cloroformio (scoperto nel 1831<br />

contemporaneamente da Samuel Guthrie in America, Justus von Liebig in Germania<br />

e Eugène Soubeiran a Parigi) e <strong>di</strong>ventandone presto <strong>di</strong>pendente. Il 23 gennaio 1848 si<br />

suicidò recidendosi l’arteria femorale e tenendo un fazzoletto impregnato <strong>di</strong><br />

cloroformio in bocca. Morton ebbe i riconoscimenti della comunità scientifica e<br />

conscio dei risvolti commerciali non rivelò mai la composizione della miscela inalata<br />

dal Sig. Abbott che chiamò “Letheon”. Tuttavia presto si scopri che altro non era che<br />

etere solforico e nonostante il brevetto non gli fu riconosciuto alcun compenso,<br />

inoltre accusato <strong>di</strong> aver spinto Wells al suici<strong>di</strong>o fu ben presto <strong>di</strong>menticato e finì <strong>di</strong><br />

vivere a Boston drogandosi con l’etere. La necessità <strong>di</strong> avere a <strong>di</strong>sposizione molecole<br />

da utilizzare in anestesiologia ha spinto numerosi stu<strong>di</strong>osi ad una ricerca incessante<br />

<strong>di</strong> nuovi farmaci. In particolare l’attenzione verso molecole con attività analgesica<br />

inizia già nel 1859 quando Karl Scherzer <strong>di</strong> ritorno da una spe<strong>di</strong>zione mineralogica in<br />

Perù consegnò all’amico Albert Newmann una notevole quantità <strong>di</strong> foglie <strong>di</strong> coca da<br />

cui venne estratta una sostanza incolore sottoforma <strong>di</strong> cristalli. Newmann chiamò<br />

171


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

questa sostanza “coca-in” ossia sostanza contenuta nelle foglie <strong>di</strong> coca. Schroff, un<br />

me<strong>di</strong>co viennese, nel 1862 osservò che i cristalli <strong>di</strong> coca-in posti sulla cute<br />

procuravano una insensibilità agli stimoli dolorosi. La stessa esperienza venne<br />

ripetuta da Von Aurep dopo la sua somministrazione sottocutanea. Nel 1884 lo stesso<br />

Freud pubblicò un interessante articolo descrivendo l’utilizzo <strong>di</strong> questo alcaloide nel<br />

trattamento <strong>di</strong> alcune patologie psichiatriche. Successivamente venne utilizzata in<br />

chirurgia oftalmica cercando <strong>di</strong> migliorarne le caratteristiche <strong>di</strong> tollerabilità e<br />

potenza. Nel 1904 infatti Fourneon introdusse la amilocaina e l’anno successivo,<br />

Einhorn sintetizzò la lidocaina tutte sostanze con proprietà anestetiche che<br />

trovarono il loro impiego solo nel 1948. Oggi la Anestesiologia moderna<br />

fortunatamente <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> molecole estremamente utili e maneggevoli<br />

ma dobbiamo ringraziare la curiosità e la tenacia <strong>di</strong> molti stu<strong>di</strong>osi se oggi è possibile<br />

sottoporsi ad un intervento chirurgico senza provare alcun dolore e nella massima<br />

sicurezza.<br />

Valutazione preoperatoria<br />

La scelta <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> anestesia piuttosto che un altro è legato essenzialmente alla<br />

procedura chirurgica da eseguire ed alle caratteristiche del paziente che si sottopone<br />

all’intervento. Nel corso della visita anestesiologica preoperatoria il me<strong>di</strong>co<br />

anestesista valuterà accuratamente lo stato <strong>di</strong> salute del paziente pianificando la<br />

gestione perioperatoria più adeguata. Un’accurata anamnesi ed un attento esame<br />

obiettivo sono i determinanti per la selezione degli esami ematochimici e degli<br />

accertamenti <strong>di</strong>agnostico-strumentalipreoperatori. Al termine della valutazione<br />

clinico-anamnestica è possibile determinare la classe <strong>di</strong> rischio del malato secondo la<br />

classificazione proposta dalla Società Americana <strong>di</strong> Anestesiologia (classificazione<br />

ASA = American Society of Anesthesiologist). tab.1<br />

Sta<strong>di</strong>o Descrizione<br />

1 Paziente normale<br />

Tab.1 - Classificazione dello stato fisico secondo<br />

l’American Society of Anesthesiologist<br />

2 Paziente con malattia sistemica <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a entità<br />

3 Paziente con malattia sistemica severa, che limita l’attività ma che non provoca<br />

totale incapacità<br />

4 Paziente con malattia sistemica che causa incapacità totale con costante rischio <strong>di</strong><br />

vita<br />

5 Paziente moribondo con aspettativa <strong>di</strong> vita non superiore alle 24 ore con o senza<br />

intervento chirurgico<br />

E L’annotazione dopo la numerazione dello sta<strong>di</strong>o in<strong>di</strong>ca intervento chirurgico<br />

d’urgenza e generalmente<br />

172


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

Durante la visita preoperatoria è altresì necessario richiedere il consenso informato<br />

scritto <strong>di</strong>scutendo con il paziente ogni terapia ed eventuali suggerimenti da adottare<br />

per una adeguata preparazione all’intervento (farmaci da assumere, <strong>di</strong>giuno da<br />

seguire, preparazione della persona, eliminazione dello smalto dalle unghie,<br />

lasciare anelli e gioielli vari alla propria abitazione, protesi dentarie mobili da<br />

rimuovere prima <strong>di</strong> entrare in sala operatoria, ecc). Una attenta pianificazione della<br />

strategia terapeutica ed anestesiologica riduce l’incidenza <strong>di</strong> errori che possono<br />

essere fatali per il malato. L’introduzione e la rapida <strong>di</strong>ffusione nella pratica clinica<br />

<strong>di</strong> nuove e alternative meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong>agnostiche e terapeutiche che utilizzano le fibre<br />

ottiche o il laser consentono l’esecuzione <strong>di</strong> tutta una serie <strong>di</strong> procedure che un<br />

tempo richiedevano ampie ferite chirurgiche e che oggi invece si possono effettuare<br />

con un ridotto coinvolgimento emo<strong>di</strong>namico del paziente per i minimi danni tissutali<br />

provocati. Pertanto molti <strong>di</strong> questi interventi possono essere eseguiti in regime<br />

ambulatoriale o <strong>di</strong> day-surgery con notevole riduzione del <strong>di</strong>scomfort per il malato<br />

evitando lunghi ed estenuanti ricoveri ospedalieri. Questi repentini cambiamenti ha<br />

posto gli anestesisti <strong>di</strong> fronte a problematiche tecniche e cliniche <strong>di</strong> particolare<br />

rilievo costringendo gli addetti ai lavori a ricercare una meto<strong>di</strong>ca anestesiologica<br />

adatta a sod<strong>di</strong>sfare ogni esigenza. E’ possibile identificare potenzialmente quattro<br />

tipi <strong>di</strong> anestesia:<br />

1. l’anestesia locale che produce una per<strong>di</strong>ta della sensibilità <strong>di</strong> una piccola area<br />

del corpo grazie all’azione degli anestetici locali con <strong>di</strong>verse tecniche <strong>di</strong><br />

somministrazione;<br />

2. la MAC (Monitored Anestesia Care), termine coniato dalla società americana <strong>di</strong><br />

anestesia che in<strong>di</strong>vidua una particolare pratica anestesiologica atta alla<br />

somministrazione <strong>di</strong> farmaci analgesici e sedativi con un controllo delle funzioni vitali<br />

del paziente;<br />

3. l’anestesia regionale con per<strong>di</strong>ta della sensibilità dolorosa <strong>di</strong> una parte ampia del<br />

corpo attraverso la somministrazione <strong>di</strong> anestetici locali e identificati nel blocco<br />

centrale spinale o peridurale, nel blocco periferico dei plessi nervosi;<br />

4. l’anestesia generale che contempla la per<strong>di</strong>ta della coscienza e <strong>di</strong> ogni tipo <strong>di</strong><br />

percezione da parte del paziente.<br />

1) Anestesia locale<br />

Gli AL sono farmaci che a contatto con le strutture nervose producono un blocco<br />

reversibile e preve<strong>di</strong>bile della conduzione dello stimolo. Appartengono ad un gruppo<br />

<strong>di</strong> composti chimici il cui capostipite è la cocaina: un alcaloide naturale la cui azione<br />

anestetica fu <strong>di</strong>mostrata sulla congiuntiva umana nel 1884 dall’oculista viennese Karl<br />

173


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

Koller. Nel corso del tempo numerosi composti sono stati sintetizzati nelle più<br />

<strong>di</strong>sparate formulazioni per ottenere un AL con caratteristiche ideali. La struttura<br />

chimica <strong>di</strong> un AL <strong>di</strong> uso clinico può essere sud<strong>di</strong>visa in 4 subunità: la subunità 1 è la<br />

porzione aromatica della molecola costituita dal nucleo benzenico e responsabile<br />

della liposolubilità. L’introduzione <strong>di</strong> un ulteriore gruppo lipofilico a questo nucleo<br />

aumenta ulteriormente la solubilità lipi<strong>di</strong>ca della molecola ed influenza il grado <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssociazione e la compatibilità del farmaco con il suo recettore; la subunità 2<br />

contiene il legame estereo o ami<strong>di</strong>co, con<strong>di</strong>zionando un <strong>di</strong>verso metabolismo. Gli<br />

aminoesteri sono degradati dalle pseudocolinesterasi plasmatiche mentre gli amino-<br />

ami<strong>di</strong> sono metabolizzati per dealchilazione ossidativa epatica; la subunità 3 è<br />

costituita da una catena <strong>di</strong> idrocarburi il cui allungamento o l’aggiunta <strong>di</strong> un ra<strong>di</strong>cale<br />

alchilico contribuisce ad aumentare la liposolubilità; la subunità 4 è un’amina<br />

terziaria responsabile della idrosolubilità della molecola. A pH fisiologico gli<br />

anestetici sono presenti in parte in forma ionica, idrosolubile, ed in parte in forma<br />

non ionica, liposolubile: il rapporto tra queste due forme <strong>di</strong>pende dal pKa della<br />

sostanza. Solo la forma liposolubile, ovvero non ionica, è capace <strong>di</strong> passare<br />

attraverso la membrana nervosa ed arrivare all'assoplasma: qui si raggiunge un nuovo<br />

equilibrio tra parte ionizzata e non ionizzata. Nell'assoplasma, mezzo acquoso, solo<br />

la forma ionica, è in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere verso la parte interna del canale del so<strong>di</strong>o<br />

ed ostruirlo, impedendo così la depolarizzazione. Sembra anche che l’attività<br />

farmacoci<strong>net</strong>ica si svolga prolungando il tempo in cui il canale del so<strong>di</strong>o si trova nello<br />

stato <strong>di</strong> inattivazione. Esistono tuttavia altre modalità <strong>di</strong> azione ad esempio la<br />

benzocaina si suppone che agisca facendo espandere la membrana con occlusione<br />

fisica dei canali del so<strong>di</strong>o. Gli anestetici, una volta iniettati a livello perineurale,<br />

vengono assorbiti dal sangue e successivamente ri<strong>di</strong>stribuiti dapprima ai tessuti molto<br />

vascolarizzati quali polmoni, sistema nervoso centrale e quin<strong>di</strong> ai muscoli. Nei grassi<br />

si accumula una quota importante <strong>di</strong> farmaco solo in occasione <strong>di</strong> una<br />

somministrazione prolungata. Gli aminoami<strong>di</strong> vengono metabolizzati a livello epatico<br />

escreti per via renale, mentre gli aminoesteri sono metabolizzati in gran parte nel<br />

sangue grazie alle pseudocolinesterasi da alcuni <strong>di</strong> essi si forma acido<br />

paraminobenzoico altamente allergizzante. La scelta <strong>di</strong> un anestetico locale deve<br />

essere guidata principalmente da: onset time, potenza, durata <strong>di</strong> azione, capacità<br />

<strong>di</strong> sviluppare blocco <strong>di</strong>fferenziale e potenziale tossico associato alla molecola.<br />

Onset time: è il tempo necessario per raggiungere una concentrazione minima<br />

per il blocco nervoso. Varia in funzione del pKa della sostanza (quanto più è alcalino<br />

il pKa tanto più lento sarà l'onset del blocco anestetico) e della <strong>di</strong>ffusibilità della<br />

174


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

molecola (maggiore idrosolubilità agevolerà la <strong>di</strong>ffusione della molecola in mezzo<br />

acquoso). L'attraversamento delle membrane biologiche invece <strong>di</strong>pende dal peso<br />

molecolare e dalla liposolubilità della molecola. La forma non ionizzata è liposolubile<br />

e può attraversare le membrane ma <strong>di</strong>ffonde nel citoplasma con maggior <strong>di</strong>fficoltà.<br />

Le soluzioni commerciali hanno un pH acido, variabile da 3 a 4.5, mentre il pKa dei<br />

vari anestetici locali varia tra 7,9 e 8,1 con una grossa quota <strong>di</strong> forme ionizzate<br />

quin<strong>di</strong> non liposolubili. L’onset può essere ridotto me<strong>di</strong>ante aumento della dose, del<br />

volume e della concentrazione <strong>di</strong> anestetico utilizzato. Esistono poi altri artifici che<br />

consentono <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare il pKa o il suo pH me<strong>di</strong>ante riscaldamento della soluzione o<br />

aggiunta <strong>di</strong> bicarbonato così da ottenere un aumento della proporzione <strong>di</strong> molecole<br />

presenti in forma non-ionizzata. Aggiungendo bicarbonato <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o alla soluzione,<br />

innalzando cioè il pH della soluzione fino a 7, si ottiene una aumento della quota non<br />

ionizzata (liposolubile), inoltre una parte della CO2 del tampone passa nella cellula<br />

determinando una riduzione del pH intracellulare: la quota ionizzata intracellulare <strong>di</strong><br />

anestetico non potendo oltrepassare la membrana nervosa, rimane più a lungo dentro<br />

la cellula (fenomeno della trappola ionica). L'aggiunta <strong>di</strong> bicarbonato alle soluzioni <strong>di</strong><br />

bupivacaina contenenti adrenalina riduce l'aci<strong>di</strong>tà della soluzione stessa e<br />

contribuisce ad aumentare la quota <strong>di</strong> adrenalina attiva. Ovviamente riveste<br />

importanza anche il pH dei tessuti nei quali il farmaco viene iniettato ad esempio<br />

l'acidosi presente nei tessuti infiammati determina un aumento della quota ionizzata<br />

non <strong>di</strong>ffusibile <strong>di</strong> anestetico riducendone l'efficacia. Anche il riscaldamento a 37°C<br />

delle soluzioni permette <strong>di</strong> ridurre il pKa e <strong>di</strong> avere maggiore quantità <strong>di</strong> forma non<br />

ionizzata a pH fisiologico.<br />

Potenza: è la dose minima efficace che permette <strong>di</strong> ottenere le con<strong>di</strong>zioni<br />

desiderate per eseguire un intervento, più specificamente è la concentrazione<br />

minima (Cm) <strong>di</strong> farmaco richiesta per determinare, entro 5 minuti, la riduzione del<br />

50% del potenziale <strong>di</strong> azione <strong>di</strong> una fibra nervosa immersa in una soluzione a pH 7,2-<br />

7,4 e stimolata con una frequenza <strong>di</strong> 30 cicli al secondo.<br />

Tossicità: è definita come la reazione dell’organismo ad una deteminata dose <strong>di</strong><br />

farmaco. In laboratorio si definisce con la mortalità espressa come quantità <strong>di</strong><br />

farmaco minimo necessario per sopprimere il 50% degli animali usati come test (Dose<br />

Minima Letale 50); la tossicità è sistemica o locale (citotossica). La tossicità<br />

sistemica coinvolge il sistema nervoso centrale che è più suscettibile rispetto a<br />

quello car<strong>di</strong>ovascolare. I sintomi più frequenti sono rappresentati da sonnolenza,<br />

<strong>di</strong>sorientamento che progressivamente può evolvere verso il coma. Disturbi visivi,<br />

u<strong>di</strong>tivi, parestesie fino alle convulsioni completano il quadro clinico ingravescente.<br />

175


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

Per concentrazioni car<strong>di</strong>otossiche si manifesta una grave ipotensione segno <strong>di</strong><br />

depressione car<strong>di</strong>aca che può causare anche l’arresto car<strong>di</strong>aco per allungamento del<br />

tempo <strong>di</strong> conduzione atrioventricolare.<br />

Durata d'azione: è strettamente con<strong>di</strong>zionata dall'entità del legame con le<br />

proteine plasmatiche, dalla rimozione della stessa da parte del circolo, dalla dose<br />

complessivamente somministrata oltre che dalle caratteristiche intrinseche. Quando<br />

effettuiamo una infiltrazione l'anestetico viene posto ad una certa <strong>di</strong>stanza dal nervo<br />

ed ha bisogno <strong>di</strong> un determinato periodo <strong>di</strong> tempo per la <strong>di</strong>ffusione con una<br />

altrettanto lunga durata <strong>di</strong> azione per lo scarso assorbimento vascolare e le elevate<br />

dosi usate.<br />

Scelta dell’AL: per scegliere l'anestetico migliore da usare nel singolo paziente<br />

occorre tenere conto delle caratteristiche del paziente, del farmaco, della dose<br />

sicura in relazione alla sede <strong>di</strong> somministrazione e del tipo <strong>di</strong> blocco da ottenere.<br />

L'età del paziente è un fattore importante: al <strong>di</strong> sotto dei sei mesi, ad esempio, è<br />

sconsigliabile la somministrazione <strong>di</strong> bupivacaina per mancanza <strong>di</strong> capacità<br />

metabolica da parte del fegato e per la grossa quota libera da legame proteico<br />

presente nel sangue. La richiesta <strong>di</strong> anestetico locale si riduce con l'aumentare<br />

dell'età del 40%, tra giovane <strong>di</strong> 20 anni ed un anziano <strong>di</strong> 80 anni. Successivamente<br />

bisogna ricordare che con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> bassa gittata car<strong>di</strong>aca, ipossia, acidosi<br />

(soprattutto se metabolica + respiratoria) e cirrosi sono fattori che riducono il<br />

metabolismo degli anestetici e ne aumentano la quota attiva. Analogamente<br />

l'ipoproteinemia, le car<strong>di</strong>opatie cianogene e alcune interferenze me<strong>di</strong>camentose che<br />

aumentano la tossicità car<strong>di</strong>aca e neurologica. La sicurezza <strong>di</strong> un AL è <strong>di</strong>pendente è<br />

proporzionale alla potenza e inversamente correlato alla tossicità. Se la potenza è<br />

elevata e la tossicità è bassa ed il margine <strong>di</strong> sicurezza sarà ampio. Il rapporto tra<br />

potenza e tossicità viene detto in<strong>di</strong>ce anestetico. Una parte degli interventi <strong>di</strong><br />

chirurgia plastica possono essere eseguiti in anestesia con blocco nervoso periferico,<br />

per infiltrazione o per applicazione topica. Tuttavia la chirurgia della cute obbe<strong>di</strong>sce<br />

ad alcuni principi basilari. L’aspetto e la funzione <strong>di</strong> una cicatrice dopo la sintesi <strong>di</strong><br />

una breccia <strong>di</strong> escissione cutanea possono essere stimati preventivamente valutando<br />

la tensione statica e <strong>di</strong>namica della cute circostante. La tensione statica è<br />

rappresentata dalle linee <strong>di</strong> forza che tengono la cute in tensione quando il corpo è<br />

immobile mentre quella <strong>di</strong>namica è causata dalla combinazione <strong>di</strong> forze associate al<br />

movimento articolare e dei muscoli. Ai fini estetici soprattutto per il volto<br />

l’anestesia per infiltrazione è preferibile al blocco nervoso regionale in quanto non<br />

interferisce con il movimento muscolare che allunga la configurazione del <strong>di</strong>fetto<br />

176


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

cutaneo. Le tecniche per via topica utilizzano meto<strong>di</strong> fisici e chimici. Tra i meto<strong>di</strong><br />

fisici la ionoforesi e la fonoforesi rivestono un ruolo fondamentale.<br />

Ionoforesi: il rilascio del farmaco utilizza una corrente galvanica. La <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

potenziale causa un movimento <strong>di</strong> ioni nella cute dove sono applicati l’anodo e il<br />

catodo. Vari stu<strong>di</strong> hanno valutato l’efficacia della tecnica utilizzando una soluzione<br />

<strong>di</strong> lidocaina al 4% che tuttavia produce una analgesia <strong>di</strong> breve durata rispetto<br />

all’infiltrazione del farmaco (14,5 ±9,5min vs 22,2 ±7,3min) ma superiore alla<br />

semplice applicazione del gel <strong>di</strong> lidocaina (analgesia <strong>di</strong> 2,1±6,5min). Kassan ha<br />

in<strong>di</strong>cato, in una review del 1996, l’efficacia della tecnica nel 80-100% <strong>di</strong> tutti gli<br />

interventi in cui è stata utilizzata (trattamenti laser delle <strong>di</strong>scromie cutanee,<br />

iniezione <strong>di</strong> farmaci, fillers, dermoabrasione, biopsie, elettrocoagulazione <strong>di</strong><br />

teleangectasie). Nonostante indubbi vantaggi rappresentati da un onset ridotto (~<br />

10min) e dalla non invasività della tecnica, la necessità <strong>di</strong> utilizzare uno strumentario<br />

particolarmente ingombrante e la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> trattamento <strong>di</strong> aree ampie (ridotte<br />

<strong>di</strong>mensioni dell’elettrodo) o zone del viso e delle <strong>di</strong>ta ne riducono il campo <strong>di</strong><br />

applicazione. L’effetto collaterale più rilevante è l’ustione dell’area del tessuto<br />

esposto alla corrente tanto che per ridurre questi effetti si utilizza un’intensità<br />


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

I fattori principali che regolano l’assorbimento per via topica sono rappresentati<br />

dalle caratteristiche intrinseche della molecola (ad esempio la polarità, le<br />

<strong>di</strong>mensioni, ecc) e dalla modalità <strong>di</strong> rilascio (tipo <strong>di</strong> veicolo). La maggior parte degli<br />

anestetici (benzocaina, lidocaina, mepivacaina, prilocaina, tetracaina) sono stati<br />

<strong>di</strong>sciolti in acqua e i loro sali applicati per via topica hanno <strong>di</strong>mostrato un scarsa<br />

efficacia analgesica. Infatti solo una piccola porzione <strong>di</strong> base in<strong>di</strong>ssociata esiste in<br />

questa soluzione per cui la pe<strong>net</strong>razione <strong>di</strong> una quantità sufficiente <strong>di</strong> farmaco è<br />

raggiunta solo con l’utilizzo <strong>di</strong> elevate concentrazioni incrementando allo stesso<br />

modo il rischio <strong>di</strong> effetti collaterali soprattutto in considerazione dell’ampiezza delle<br />

aree da trattare. Una maggiore concentrazione della base libera è ottenibile<br />

solubilizzando il farmaco in solventi organici come il <strong>di</strong>metil sulfossido (DMSO), il<br />

<strong>di</strong>metil-acetamide, il propilen-glicole. L’uso <strong>di</strong> tali preparazioni nonostante produca<br />

una effetto duraturo (>3 ore) non è scevro da effetti collaterali come secchezza della<br />

cute, lesioni dermiche con edema, eritema ed ipersensibilità che li rendono<br />

inaccettabili nella pratica clinica. Per questo la tecnologia farmaceutica ha messo a<br />

punto una miscela estetica in cui la base anestetica è <strong>di</strong>sciolta in olio prima <strong>di</strong><br />

ad<strong>di</strong>zionare l’emulsionante. Fermo restando che tutti gli anestetici possono essere<br />

utilizzati, nella formulazione della Eutetic Mixture of Local Anesthetics (EMLA®)<br />

l’associazione lidocaina+prilocaina ha trovato una più ampia applicazione per i<br />

margini <strong>di</strong> sicurezza sufficientemente elevati <strong>di</strong> entrambi i farmaci. Numerosi campi<br />

<strong>di</strong> applicazione si giovano della analgesia efficace e adeguata prodotta dall’EMLA nel<br />

65 – 93% <strong>di</strong> tutti i pazienti testati con ridotti effetti collaterali legati soprattutto ad<br />

un uso improprio e in pazienti pe<strong>di</strong>atrici. In particolare Engberg e Coll. hanno<br />

eseguito un stu<strong>di</strong>o raccogliendo i casi <strong>di</strong> metaemoglobinemia da miscela ed<br />

in<strong>di</strong>viduando i dosaggi <strong>di</strong> sicurezza da adottare soprattutto nei pazienti pe<strong>di</strong>atrici che<br />

notoriamente hanno un valore ematico più elevato <strong>di</strong> meta emoglobina. In realtà in<br />

letteratura vengono casi descritti <strong>di</strong> metaemoglobinemia anche con altre<br />

formulazioni a base <strong>di</strong> benzocaina (formulazione spray–Hurricane® , gel–Cepacol®) e<br />

ipoteticamente con tutti i farmaci (nitrati e derivati anilinici) che sono in grado <strong>di</strong><br />

ossidare il ferro dell’HB riducendo la capacità <strong>di</strong> rilascio <strong>di</strong> ossigeno nei tessuti. Nel<br />

1964 Lubens e Sanker hanno utilizzato con successo su un considerevole campione <strong>di</strong><br />

pazienti (>8.000 pz.) un “patch” contenente 9gr <strong>di</strong> lidocaina crema al 30% applicato<br />

con metodo occlusivo su epidermide integra ottenendo dopo 30 minuti una anestesia<br />

sufficiente per eseguire exeresi <strong>di</strong> cisti sebacee, <strong>di</strong> nevi, <strong>di</strong> piccole neoformazioni<br />

muco-cutanee dei genitali esterni e <strong>di</strong> tutte quelle lesioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro < 1,5cm.<br />

Sebbene tali risultati siano confortanti, la tecnica non ha ricevuto una adeguata<br />

178


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

<strong>di</strong>ffusione per varie ragioni e soprattutto perché è necessaria la preparazione<br />

galenica personalizzata e per le elevate concentrazioni <strong>di</strong> anestetico impiegate che<br />

incrementano il rischio <strong>di</strong> effetti collaterali. Al momento nel Regno Unito è<br />

commercializzato un patch con ametocaina al 4% in soluzione acquosa <strong>di</strong>mostratosi<br />

efficace nel 95% dei trattati con un onset <strong>di</strong> 40 minuti e per una durata d’azione <strong>di</strong><br />

circa 3 ore, con un profilo farmacologico promettente nel confronto con l’EMLA.<br />

Tuttavia questa formulazione attende l’approvazione della FDA statunitense per la<br />

commercializzazione mon<strong>di</strong>ale. Una innovativa modalità <strong>di</strong> somministrazione dei<br />

farmaci è rappresentata dall’impiego dei liposomi che rappresentano carrier per una<br />

varietà <strong>di</strong> molecole non solo anestetiche incapsulate in queste membrane biologiche<br />

costituite da strati <strong>di</strong> fosfati<strong>di</strong>l colina, colesterolo ed elettroliti. In relazione al<br />

numero <strong>di</strong> strati e delle <strong>di</strong>mensioni delle vescicole si identificano <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong><br />

liposomi (tabella sulla classificazione dei liposomi).se il <strong>di</strong>ametro supera i 2060 nm<br />

non pe<strong>net</strong>rano nelle membrane cellulari poiché i canali lipi<strong>di</strong>ci hanno una <strong>di</strong>mensione<br />

compresa tra 30 e 2060 nm. Le ragioni che spingono per l’impiego dei liposomi<br />

vengono elencati <strong>di</strong> seguito:<br />

l’elevata capacità <strong>di</strong> pe<strong>net</strong>razione nello strato corneo per la struttura simile alle<br />

membrane cellulari;<br />

capacità <strong>di</strong> inglobare farmaci sia idrosolubili che liposolubili;<br />

esercitano un effetto occlusivo;<br />

idratando la cheratina migliorano la permeabilità della membrana;<br />

non hanno mostrato reazioni locali <strong>di</strong> irritazione o ipersensibilità;<br />

essendo simile alle membrane biologiche sono biocompatibili e biodegradabili;<br />

determinano un rilascio controllato <strong>di</strong> farmaco (azione depot);<br />

la concentrazione ematica <strong>di</strong> anestetico è minima;<br />

prolungata durata d’azione;<br />

proteggono i farmaci dalla degradazione metabolica.<br />

Alla luce <strong>di</strong> queste affermazioni risulta evidente che l’applicazione <strong>di</strong> anestetici con<br />

la tecnologia liposomiale si <strong>di</strong>mostra molto efficace pertanto numerose molecole<br />

sono state incapsulate (benzocaina, lidocaina, prilocaina, EMLA, tetracaina,<br />

<strong>di</strong>bucaina). Quella più stu<strong>di</strong>ata è la tetracaina 0,5% che dopo 1 ora <strong>di</strong> applicazione<br />

occlusiva ha mostrato un notevole effetto terapeutico (>4 ore). Il campo <strong>di</strong><br />

applicazione è davvero promettente ma sono necessari ulteriori stu<strong>di</strong> per pianificare<br />

la migliore strategia <strong>di</strong> utilizzo. Durante le ultime tre deca<strong>di</strong> numerosi meto<strong>di</strong> sono<br />

stati utilizzati nell’anestesia topica, tutti mostrano vantaggi e svantaggi mettendo a<br />

<strong>di</strong>sposizione del me<strong>di</strong>co <strong>di</strong>versi presi<strong>di</strong> tra cui effettuare le proprie scelte cercando<br />

179


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

ogni volta <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare il farmaco giusto nella formulazione più appropriata alle<br />

esigenze del momento. Tra<strong>di</strong>zionalmente l’utilizzo dell’anestesia locale per<br />

infiltrazione viene riservata alla piccola chirurgia o negli interventi <strong>di</strong> chirurgia<br />

plastica circoscritti.<br />

b) Anestesia regionale<br />

Il blocco nervoso regionale è riservata a quei pazienti per i quali è necessario un<br />

protocollo terapeutico che coinvolge più <strong>di</strong>stretti anatomici come alternativa valida<br />

ed efficace dell’anestesia generale.<br />

L’innervazione sensitiva è molto complessa ed in alcune zone presenta delle<br />

sovrapposizioni che rendono <strong>di</strong>fficile ottenere un’analgesia adeguata. Se per una<br />

analgesia completa e totale localizzata all’emisoma inferiore è necessario effettuare<br />

molti blocchi periferici è più opportuno utilizzare il blocco nervoso centrale<br />

(subaracnoideo o peridurale) o il blocco nervoso periferico coa<strong>di</strong>uvato da una<br />

adeguata sedazione del paziente.<br />

C) Sedazione e Anestesia<br />

Molte procedure <strong>di</strong> chirurgia plastica, estetica e chirurgia laser sono dolorose e<br />

nonostante l’anestesia locale provvede ad un’eccellente analgesia in molti casi<br />

esistono <strong>di</strong>versi scenari clinici in cui l’impiego <strong>di</strong> farmaci a<strong>di</strong>uvanti per via<br />

endovenosa sono in<strong>di</strong>spensabili per ottenere una sedazione con il miglioramento del<br />

confort del paziente. Le in<strong>di</strong>cazioni vengono così schematizzate:<br />

- durante l’esecuzione <strong>di</strong> un blocco nervoso periferico soprattutto se per ottenere<br />

una adeguata anestesia è necessario un numero elevato <strong>di</strong> iniezioni;<br />

- nel resurfacing, che rappresenta una procedura altamente algogena;<br />

in pazienti eccessivamente ansiosi;<br />

- in pazienti pe<strong>di</strong>atrici che beneficiano dell’effetto sedativo, ansiolitico e amnesico<br />

della sedazione cosciente.<br />

Scamman ha descritto i tre elementi chiave della sedazione cosciente come:<br />

- sedazione sicura che richiede la comunicazione con il paziente il monitoraggio e la<br />

<strong>di</strong>sponibilità dell’equipaggiamento <strong>di</strong> rianimazione;<br />

- controllo dell’ansia presenza <strong>di</strong> amnesia e riduzione degli stimoli ambientali;<br />

- controllo del dolore tramite la somministrazione <strong>di</strong> anestetici locali e <strong>di</strong> farmaci<br />

sedativi e analgesici. Attualmente i farmaci più utilizzati sono le benzo<strong>di</strong>azepine<br />

(midazolam), propofol, analgesici oppioi<strong>di</strong> (alfentanil, fentanil, remifentanil) e<br />

anestetici volatili (alogenati). La valutazione del livello <strong>di</strong> sedazione può essere<br />

eseguita utilizzando in<strong>di</strong>fferentemente una delle numerose scale proposte dai vari<br />

autori.<br />

180


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

In particolare nella nostra esperienza facciamo riferimento alla scala <strong>di</strong> Ramsay che<br />

ci sembra la più facile da applicare con ottimi risultati nel controllo dei pazienti.<br />

tab.2<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

Tab.2 – Scala <strong>di</strong> Ramsay per il grado <strong>di</strong> sedazione<br />

Sveglio, agitato, irrequieto<br />

Collaborante, orientato, tranquillo<br />

Assopito o addormentato, risposta ai coman<strong>di</strong><br />

Addormentato, risposta vivace allo stimolo verbale<br />

Addormentato, risposta lenta allo stimolo verbale<br />

Addormentato, nessuna risposta allo stimolo verbale o doloroso<br />

In considerazione della variabilità interin<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> risposta a dosi standard <strong>di</strong><br />

farmaci è opportuno un monitoraggio scrupoloso onde evitare incidenti che possono<br />

risultare a volte fatali. I protocolli prevedono l’utilizzo <strong>di</strong> farmaci <strong>di</strong>versi adattabili<br />

alla tipologia della procedura chirurgica e del tipo <strong>di</strong> paziente accuratamente<br />

stu<strong>di</strong>ato con una attenta valutazione preoperatoria. Qualora si rendesse necessario il<br />

controllo delle vie aeree è utile la maschera laringea riservando l’anestesia generale<br />

vera e propria con intubazione tracheale solo ai pazienti pe<strong>di</strong>atrici o non collaboranti<br />

(pazienti psichiatrici). Per questa tipologia <strong>di</strong> anestesia la Società Americana <strong>di</strong><br />

anestesia ha coniato il termine <strong>di</strong> Monitored Anestesia Care (MAC) in<strong>di</strong>viduando<br />

quelle situazioni in cui l’anestesista è chiamato al monitoraggio delle funzioni vitali e<br />

alla somministrazione <strong>di</strong> farmaci sedativi e analgesici anche in ambienti al <strong>di</strong> fuori<br />

della sala operatoria (NORA = non operatine room anestesia = anestesia fuori dalla<br />

sala operatoria). L’associazione <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> analogo-sedazione rappresentano<br />

almeno il 30% <strong>di</strong> tutte le procedure chirurgiche ed è una percentuale in continuo<br />

aumento. È intuitivo che i pazienti nel corso <strong>di</strong> procedure chirurgiche interagiscono<br />

con numerosi farmaci e presi<strong>di</strong> ed è evidente che alcuni <strong>di</strong> loro possono manifestare<br />

una reazione anafilattica o anafilattoide spesso non riconosciuta come tale o<br />

attribuita ad altre cause come gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> ipotensione e le turbe del ritmo che<br />

vengono interpretate come sintomi <strong>di</strong> insufficienza car<strong>di</strong>aca o <strong>di</strong> eccessiva per<strong>di</strong>ta<br />

ematica oppure il broncospasmo sintomo manifesto scatenato dalla manovra <strong>di</strong><br />

intubazione. Per tale motivo risulta <strong>di</strong>fficile quantizzare la vera incidenza del<br />

problema “allergia in sala operatoria”. In genere la maggior parte delle reazioni<br />

181


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

allergiche si manifestano repentinamente, entro 3-4 minuti dalla somministrazione<br />

del farmaco allergenico, e sembrerebbe che i miorilassanti utilizzati in anestesia<br />

generale rivestono un ruolo <strong>di</strong> primo piano nell’innescare una reazione avversa. In<br />

realtà non solo i farmaci ma anche alcuni presi<strong>di</strong> utilizzati durante procedure<br />

chirurgiche a base <strong>di</strong> lattice sono identificati come agenti anafilattici che in questo<br />

caso si manifesta più tar<strong>di</strong>vamente ovvero 60-90 minuti dall’inizio dell’esposizione e<br />

solo dopo che la quantità in circolo sia <strong>di</strong>ventata sufficiente. Tuttavia a prescindere<br />

dalla natura dell’antigene una reazione anafilattica è caratterizzata da un corredo<br />

sintomatologico che coinvolge il sistema car<strong>di</strong>ocircolatorio, il sistema respiratorio e<br />

l’apparato tegumentario. tab.3<br />

Tab.3 - Sintomatologia della reazione anafilattica<br />

Sistema car<strong>di</strong>ovascolare Tachicar<strong>di</strong>a, vaso<strong>di</strong>latazione periferica con riduzione delle<br />

resistenze vascolari, ipertensione polmonare, ipotensione<br />

arteriosa sistemica.<br />

Sistema respiratorio Edema laringeo con stridore, broncospasmo e aumento<br />

Apparato tegumentario (cute e<br />

mucose)<br />

delle resistenze nelle vie aeree, edema polmonare con<br />

ipossiemia<br />

Orticaria e rush cutaneo, edema periorbitale e periorale,<br />

edema della lingua e dell’orofaringe<br />

A volte l’anafilassi viene confusa con altri quadri clinici altrettanto drammatici come<br />

l’embolia polmonare, l’infarto miocar<strong>di</strong>o, la reazione vaso-vagale, ecc. In definitiva<br />

gli agenti che più frequentemente causano reazioni anafilattiche o anafilattoi<strong>di</strong> sono<br />

i farmaci dell’anestesia generale, gli anestetici locali ed il lattice. La patogenesi <strong>di</strong><br />

queste reazioni è ancora incerta e controversa infatti mentre le reazioni<br />

anafilattiche sono IgE me<strong>di</strong>ate che sono in grado <strong>di</strong> legarsi a mastociti e basofili non<br />

solo del sangue ma anche tissutali riproponendo il ruolo centrale <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori chimici<br />

vasoattivi, nelle reazioni anafilattoi<strong>di</strong> si assiste alla attivazione <strong>di</strong> alcune proteine<br />

plasmatiche del gruppo del complemento o al rilascio <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori chimici da parte<br />

dei basofili e mastociti stimolati <strong>di</strong>rettamente dall’allergene. tab.4<br />

182


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

Anche gli anestetici locali provocano reazioni allergiche o pseudoallergiche<br />

classificati in 4 tipi <strong>di</strong>versi. tab 5<br />

Tab.4 - Allergie dei farmaci dell’anestesia generale<br />

Sembrerebbe che le reazioni tossiche sano le più frequenti e siano anche dose<br />

<strong>di</strong>pendente. In realtà le manifestazioni cliniche sono in fase <strong>di</strong> riduzione progressiva<br />

(o, 6-1% <strong>di</strong> tutte le procedure) da quando sono stati abbandonati gli anestetici locali<br />

esteri dell’acido paraaminobenzoico e pre<strong>di</strong>ligere quei farmaci <strong>di</strong> derivazione<br />

ami<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> cui non si è mai <strong>di</strong>mostrata istologicamente una reazione IgE me<strong>di</strong>ata. Per<br />

i pazienti che riportano un’anamnesi positiva per reazioni atipiche verificatesi dopo<br />

somministrazione <strong>di</strong> un anestetico locale è possibile eseguire un test <strong>di</strong> screening per<br />

183<br />

Incidenza<br />

Anestesia generale 1:1.000 – 1:6.000<br />

Barbiturici 1:30.000 (F/M=3:1)<br />

Ketamina Rara<br />

Propofol Rara<br />

Benzo<strong>di</strong>azepine Eccezionale<br />

Neurolettici Eccezionale<br />

Morfinici Rara<br />

Miorilassanti Elevata<br />

Tab.5 – Tipologia <strong>di</strong> reazione evocate dagli anestetici locali<br />

1) Reazioni <strong>di</strong> tipo tossico Effetti sul sistema nervoso centrale<br />

2) Reazioni non correlate<br />

all’uso del farmaco<br />

3) Reazioni<br />

i<strong>di</strong>osincrasiche<br />

4) Reazioni allergiche e<br />

pseudoallergiche<br />

Effetti sul sistema car<strong>di</strong>ovascolari<br />

Effetti locali<br />

Reazioni vaso-vagale<br />

Reazione da stimolazione simpatica<br />

Reazione da trauma chirurgico<br />

Metaemoglobinemia da prilocaina<br />

Metaemoglobinemia da EMLA<br />

Orticaria e angioedema<br />

Anafilassi vera<br />

Dermatite da contatto


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

identificare precisamente il farmaco responsabile secondo un percorso <strong>di</strong>agnostico<br />

preciso. tab.6<br />

Tab. 6 – Percorso <strong>di</strong>agnostico per singolo anestetico in caso <strong>di</strong><br />

Anestetico<br />

locale<br />

anamnesi suggestiva per allergia<br />

Via <strong>di</strong><br />

somministrazione<br />

184<br />

Ml Diluizione<br />

1 Prick - Induiluita<br />

2 Intradermo 0.05 1/100<br />

3 Intradermo 0.05 1/10<br />

4 Sottocute 0.10 1/10<br />

5 Sottocute 0.10 In<strong>di</strong>luita<br />

6 Sottocute 0.10 In<strong>di</strong>luita<br />

Per i pazienti a rischio è possibile eseguire un trattamento desensibilizzante. tab. 7<br />

Tab. 7 – schema <strong>di</strong> trattamento desensibilizzante preoperatorio<br />

1. ketotifene – 2 cps da 2 mg nei 4 giorni che precedono l’intervento<br />

2. betametasone – 2 cpr da 0.5 mg <strong>di</strong>e per 3 giorni prima dell’intervento e 4 mg ev 1 ora prima<br />

dell’anestesia locale<br />

3. desclorfeniramina maleato – 1 cps da 2 mg 1 ora prima dell’anestesia locale<br />

Anche il materiale a base <strong>di</strong> lattice può provocare reazioni anafilattiche ed in base ai<br />

dati epidemiologici recenti è in fase <strong>di</strong> aumento crescente. Le manifestazioni<br />

cliniche sono soprattutto a carico dell’apparato tegumentario dove si può sviluppare<br />

una dermatite da contatto con eczema, orticaria fino all’edema della glottide con<br />

una evoluzione in alcuni malati rapida e ingravescente (entro 2-3 minuti) o più<br />

lentamente (60-90 minuti) dose <strong>di</strong>pendente. Sono stati identificati molti pazienti a<br />

rischio esposti cronicamente al contatto con il lattice sia per ragioni professionali<br />

(patologia occupazionale in addetti alla sala operatoria o nei lavoratori impiegati<br />

nell’industria della gomma) che per malattie che richiedono l’uso <strong>di</strong> presi<strong>di</strong> in<br />

gomma (catetere vescicale ad esempio). A questi si aggiungono tutti quei soggetti<br />

con atopie alimentari verso cibi come l’avocado, banana, castagne, kiwi, noci e<br />

arachi<strong>di</strong>. Purtroppo i RAST test presentano dei grossi limiti <strong>di</strong> specificità e <strong>di</strong><br />

sensibilità mentre i test cutanei sono comunque potenzialmente capaci <strong>di</strong> scatenare<br />

una reazione anafilattica grave. Per questo motivo la FDA Americana non ha


Principi <strong>di</strong> anestesia<br />

approvato nessun tipo <strong>di</strong> test cutaneo che può essere eseguito per in<strong>di</strong>viduare i<br />

soggetti a rischio. In tal caso è sempre utile adottare una serie <strong>di</strong> precauzioni come<br />

utilizzare siringhe <strong>di</strong> vetro, cateteri endovenosi privi <strong>di</strong> lattice, pallori per<br />

ventilazione al neoprene, valvole respiratorie in silicone, eliminare i guanti in<br />

lattice e tutto il materiale lattice-simile.<br />

185

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