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Davide Arecco, La diffusione inglese ... - Arbor scientiarum

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Helmont, sferrarono il più irriverente degli attacchi al corpo di conoscenze tramandate dal passato<br />

accademico. 1 <strong>La</strong> nuova alchimia dell’archeus promosse una riforma della chimica, e più in generale<br />

del sapere, in tutto e per tutto parallela ad un più grande progetto di renovatio neo-evangelica. Se la<br />

rivoluzione scientifico-religiosa portata avanti dai paracelsiani inglesi venne da loro intesa, in senso<br />

etimologico, come una vera e propria restaurazione, come il ritorno a perdute forme di sapienza – è<br />

l’ideale rinascimentale della prisca theologia, rintracciabile in molti luoghi delle carte manoscritte<br />

newtoniane – razionalismo e misticismo contribuirono all’edificazione di tale utopia, combinandosi<br />

vicendevolmente ed alimentando con generosità mai sopite ansie escatologiche. 2 L’alchimia <strong>inglese</strong><br />

si mosse costantemente in bilico tra esigenze scientifiche e afflato messianico, ponendosi come una<br />

sorta di tramite fra queste due istanze. Ispirandosi all’insegnamento esoterico-occulto di Paracelso,<br />

la trattatistica helmontiana codificò una pratica spargirica strettamente connessa a complesse forme<br />

di esplorazione mistica del divino, prendendo piede meglio che altrove in Inghilterra. 3<br />

L’alchimista paracelsiano doveva identificare tanto i principi quanto le origini delle sostanze<br />

che manipolava nell’atanòr. <strong>La</strong> principale caratteristica della chimica seicentesca era il suo rapporto<br />

con la più ampia filosofia naturale. <strong>La</strong> chimica in quanto scienza autonoma in pratica non esisteva,<br />

fusa e confusa con l’alchimia. Sia Paracelso sia Van Helmont, d’altro canto, posero la propria arte<br />

al servizio della medicina. I loro sforzi erano rivolti alla preparazione di farmaci e composti. Dietro<br />

l’angolo vi era sempre l’ombra della ciarlataneria. 4 Alfiere e responsabile di tutto ciò fu lo svizzero<br />

Paracelso, nei primi decenni del XVI secolo, con il quale la chimica-alchimia raggiunse forse il suo<br />

massimo sviluppo europeo. E’ difficile leggere le pagine paracelsiane senza concluderne che da lui i<br />

fenomeni presentati servivano soprattutto ad illustrare una filosofia religiosa. L’influenza esercitata<br />

dalle sue teorie fu considerevole lungo tutto il Seicento e non solo in Inghilterra. Pure in Francia, in<br />

un milieu intellettuale assai diverso da quello <strong>inglese</strong>, le disquisizioni di Paracelso sui tre principi<br />

(sale, zolfo e mercurio) non rimasero estranee a studiosi quali Beguin e Lemery, i quali le tennero –<br />

anzi – ben presenti nelle loro investigazioni di laboratorio. Nella tradizione paracelsiana metafisica<br />

scientifica ed empirismo ippocratico si auto-alimentavano in misura scambievole. I libri pubblicati<br />

da Van Helmont e dai sostenitori inglesi di Paracelso – abbiamo una ininterrotta tradizione di testi<br />

che si estende per tutto il secolo XVII, con una maggiore quantità di codici a stampa nell’Inghilterra<br />

puritana – consistevano, per la maggior parte, in prescrizioni mediche che potevano ricordare (ma a<br />

torto) i ricettari medievali, con in più un pizzico di teoria.<br />

Accettando e facendo sua una concezione qualitativa della natura, la iatrochimica si poneva in<br />

conflitto con la visione quantitativa che dominò sempre più le scienze fisiche nel Seicento. Tutta la<br />

tradizione paracelsiana dei principi attivi, un aspetto del naturalismo rinascimentale, era parimenti<br />

in contrasto con la nascente filosofia meccanicistica. Tra gli iatrochimici inglesi era usuale, seppure<br />

non universale, considerare attivi i tre principi di Paracelso ed accettare – oltre ad essi – due principi<br />

passivi, la terra e l’acqua. Van Helmont, che fu forse l’ultimo grande seguace di Paracelso, riteneva<br />

che un principio attivo, analogo al mercurio di Paracelso, fosse la componente fondamentale di tutti<br />

i corpi. Una visione diametralmente opposta alla concezione del meccanicismo.<br />

Alle spalle della chimica <strong>inglese</strong> del Seicento stava dunque l’alchimia. Gli iatrochimici vissuti<br />

in Inghilterra nel XVII secolo non mancarono di concretezza e, con difficoltà, si abbandonarono ai<br />

voli della fantasia propri degli ermetisti. <strong>La</strong> concezione alchimistica della natura reputava i metalli<br />

fondamentalmente identici tra di loro. <strong>La</strong> sola differenza era il grado di maturità, da cui derivava la<br />

divisione gerarchica in oro, argento, piombo e così via. L’alchimista <strong>inglese</strong>, che seguiva Paracelso,<br />

esprimeva la sua visione organica della natura nei termini più estremi. Il suo vocabolario era pieno<br />

1 F.S. TAYLOR, The Alchemists, New York 1949.<br />

2 G. CAROCCI, <strong>La</strong> rivoluzione <strong>inglese</strong> (1640-1660), Roma 1998, pp. 46 e segg.<br />

3 J.B. VAN HELMONT, Oriatrike, London 1662.<br />

4 D. GENTILCORE, Healers and Healing in Early Modern Italy, Manchester 1998; D. GENTILCORE, Ethnography<br />

of everyday life in Early Modern Italy (1550-1796), Oxford 2002; D. GENTILCORE, Was there a ‘popular medicine’ in<br />

Early Modern Europe, in «Folklore», CXV, 2004, pp. 151-166.

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