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Davide Arecco, La diffusione inglese ... - Arbor scientiarum

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salnitro. <strong>La</strong> nozione paracelsiana di sostanza attiva entrava quasi di forza nella coscienza di chi, già<br />

alchimista, si faceva ora chimico. 11<br />

L’analogia meccanicistica del movimento sembrava a Boyle tanto ovvia che egli non si fermò<br />

a chiedersi se le sostanze attive fossero davvero compatibili con la nuova modellistica dei fenomeni<br />

naturali. Boyle accettava privo di remore la teoria (alchemica) che i metalli crescessero sulla terra e<br />

che venissero generati da principi seminali (secondo l’espressione helmontiana). Gli esperimenti di<br />

Van Helmont erano per lui coerenti con l’ideale della mechanicall philosophy in base alla quale tutti<br />

i corpi sono formati da una materia uniforme che si differenzia soltanto per la forma ed il moto delle<br />

sue particelle. Boyle citò e rifece più volte le prove sperimentali dello iatrochimico fiammingo. <strong>La</strong><br />

sua concezione, pertanto, suggeriva la mutabilità universale delle sostanze, per cui una era passibile<br />

di trasformazione in un'altra. Echi della trasmutazione alchemica e, forse, della ricerca mitica della<br />

pietra filosofale con la quale ottenere dal piombo (il metallo più vile) l’oro (quello più nobile). Non<br />

divergenti, portando nella stessa direzione, sono le considerazioni di Boyle in merito all’argento e al<br />

mercurio. Lo stesso chimico <strong>inglese</strong> continuò per tutta la vita a cercare il modo di trasformare l’oro<br />

e a scambiarsi ricette segrete con altri ben noti alchimisti, quali Locke e Newton. Continuò a vedere<br />

nei metalli corpi misti e a ritenere (secondo le indicazioni della scuola paracelsiana) più elementari<br />

sostanze quali l’aqua vitae. Confutando Aristotele, lo Sceptical Chymist riscrisse Paracelso. Newton<br />

– che, nel ventennio compreso tra il 1660 e il 1680, era un giovane e promettente insegnante presso<br />

l’Università di Cambridge – esaminò gli scritti di Boyle e ne estrasse materiale che ebbe un grande<br />

rilievo nelle sue speculazioni sulla struttura della materia. Queste ultime, nel 1706, furono stampate<br />

nell’edizione latina dell’Opticks, tradotta dall’<strong>inglese</strong> dal fedele teologo di Norwich Samuel Clarke,<br />

sotto forma di Queries, la più importante delle quali rimane la numero 31. Essa rappresentò forse il<br />

momento più alto nella storia del pensiero alchemico tra XVII e XVIII secolo.<br />

L’alchimia newtoniana era accoppiata da vicino a una filosofia meccanicistica della natura, al<br />

pari di quella di Boyle. Tuttavia, Newton asseriva altresì l’azione di forze interparticellari. Mentre<br />

Boyle era alla ricerca di un mezzo per attestare la totalità dei fatti naturali, scaturenti da particelle di<br />

materia in movimento nello spazio vuoto (contro tanto la scolastica aristotelica medievale quanto il<br />

vorticismo di Cartesio e dei cartesiani continentali, come Huygens), Newton scorgeva nei fenomeni<br />

la prova che le particelle materiali si attraggono e respingono tra di loro, in ragione della legge circa<br />

l’inverno del quadrato. <strong>La</strong> spiegazione newtoniana delle reazioni non era meno speculativa di quella<br />

di Boyle e la forza di attrazione (pensata analogamente a quella gravitazionale) non è più empirica<br />

della forma delle particelle di Boyle. Le osservazioni di Newton, peraltro, avevano il vantaggio non<br />

irrilevante di concentrare l’attenzione sull’aspetto più proficuo del lavoro svolto da Boyle, ossia il<br />

concetto di sostanza chimica contrassegnata da proprietà fisiche specifiche e peculiari. Ad esempio,<br />

Newton apprese da Boyle e dalle fonti inglesi di quest’ultimo la serie di reazioni di sostituzione più<br />

su indicata. Gli scritti chimici di Newton – riprendendo solo una parte, ripulita da contaminazioni di<br />

carattere esoterico-occulto, dei manoscritti alchemici – si occupavano non di classi ampie – quali i<br />

sali o gli spiriti di Paracelso – ma di prodotti specifici e reazioni specifiche. Il suo credo atomista, è<br />

probabile, dovette incoraggiarlo a credere ciò. L’attenzione della sperimentazione alchemica quindi<br />

si doveva concentrare sulle caratteristiche chimiche proprie di ogni singola sostanza. <strong>La</strong> Query 31, a<br />

conti fatti, rappresentò lo studio principale dietro l’indagine sulle affinità chimiche, che ricoprì un<br />

ruolo di valore primario nella scienza del primo Settecento e che contribuì a preparare la strada alla<br />

rivoluzione di pesi e misure introdotta da <strong>La</strong>voisier, alla vigilia della Rivoluzione francese. Tramite<br />

nuovi criteri, l’alchimia era divenuta chimica, entrando a pieno diritto nel più vasto territorio della<br />

scienza naturale. In Inghilterra, a partire grosso modo dalla metà del XVII secolo i chimici giunsero<br />

a occupare posizioni assai rispettate all’interno della società colta. Accanto agli scienziati, sedevano<br />

tra le fila della Royal Society (Boyle), ne erano i dimostratori sperimentali (Hooke), quando non ne<br />

diventavano i presidenti (Newton). Esponendo l’alchimia in termini adesso accettabili alla comunità<br />

11 C. SINGER, From Magic to Science, London 1928.

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