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Archivio civile - La Tribuna

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20 GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ<br />

avere ancora pendente un giudizio con la società per<br />

l’annullamento del provvedimento di cassa integrazione<br />

nella quale era stato posto.<br />

Aggiungeva di essere stato licenziato, dopo la ripresa del<br />

lavoro, in data 14 aprile 1993, a seguito di procedimento disciplinare,<br />

ma di ritenere illegittimo detto licenziamento sia<br />

per omessa affissione del codice disciplinare sia perché<br />

comminato prima del decorso dei cinque giorni dalla contestazione<br />

sia, infine, per la insussistenza del giustificato<br />

motivo o della giusta causa di recesso.<br />

Chiedeva, pertanto, l’applicazione della tutela reale e risarcitoria,<br />

ai sensi dell’art. 18 legge n. 300 del 1970.<br />

Resisteva la convenuta, che contestava la fondatezza del<br />

ricorso sul presupposto della legittimità formale e sostanziale<br />

del provvedimento espulsivo, chiededone per l’effetto<br />

la reiezione.<br />

Con sentenza del 19 aprile 1994 il pretore accoglieva la<br />

domanda del Dragoni, dichiarando la illegittimità del licenziamento,<br />

con ordine di immediata reintegrazione del lavoratore<br />

nel posto in precedenza occupato e con tutti gli ulteriori<br />

provvedimenti conseguenziali.<br />

All’esito dell’appello proposto dalla soccombente, il tribunale<br />

del luogo, con decisione del 24 dicembre 1994, confermava<br />

la pronuncia di primo grado, rilevando che il licenziamento,<br />

da qualificarsi come «disciplinare», era stato<br />

comminato, ai sensi dell’art. 25 del C.C.N.L., per le «mancanze»<br />

contestate e previste dalla normativa collettiva; che,<br />

pertanto, in tale ipotesi si imponeva la affissione del codice<br />

disciplinare, il cui obbligo non risultava adempiuto da parte<br />

datoriale; che non potevano ravvisarsi nella specie le ipotesi<br />

della giusta causa o del giustificato motivo ex lege n. 604/<br />

1966 (artt. 1 e 3), sia perché non ne ricorrevano i presupposti<br />

alla stregua delle risultanze istruttorie, sia perché le<br />

contestazioni afferivano unicamente alle previsioni della<br />

normativa collettiva.<br />

Avverso tale pronuncia la società proponeva ricorso per<br />

cassazione, che veniva accolto con sentenza del 14 ottobre<br />

1998 n. 4593, sula base del principio cui la mancata affissione<br />

delle norme dsiciplinari previste dai contratti collettivi<br />

diventa irrilevante allorché le condotte sanzionate da<br />

tali disposizioni realizzano, indipendentemente dai contratti<br />

collettivi, gli estremi del giustificato motivo di licenziamento<br />

in virtù della norma generale costituito dall’art. 3<br />

legge 15 luglio 1966 n. 604.<br />

Il giudice di legittimità, rilevava, tra l’altro, che il tribunale,<br />

ancorando apoditticamente la sanzione espulsiva alla<br />

previsione pattizia, aveva finito col limitare l’ambito della<br />

valutazione ai soli comportamenti negativi ivi ipotizzati, in<br />

tal modo ridimensionando la portata degli addebiti contestati.<br />

Con ricorso ex art. 392, Massimo Dragoni riassumeva il<br />

giudizio dinanzi al <strong>Tribuna</strong>le di Ferrara, giudice del rinvio,<br />

per l’esame, nel merito, della fondatezza del licenziamento,<br />

onde sentir dichiarare l’illegittimità del provvedimento<br />

espulsivo e la conferma della declaratoria di reintegra del<br />

lavoratore nel posto di lavoro.<br />

Si costituiva la Marini Spa chiedendo dichiararsi, in applicazione<br />

dei principi enunciati dalla Cassazione, la legittimità<br />

dell’intimato licenziamento con condanna del Dragoni<br />

a restituire le somme versategli a titolo di risarcimento<br />

danni, in ottemperanza al disposto della sentenza di primo<br />

grado (Omissis).<br />

Denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della<br />

legge 15 luglio 1966 n. 604 e degli artt. 2119 e 2105 c.c.,<br />

nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c.<br />

per non avere il giudice del rinvio applicato il principio di<br />

diritto enunciato da questa Corte con la sentenza n. 4593 del<br />

1998, resa inter partes.<br />

Giova puntualizzare che tale sentenza, nell’enunciare il<br />

principio di diritto secondo cui, per le sanzioni espulsive<br />

nessun onere di pubblicità del codice disciplinare, ex art. 7<br />

legge 20 maggio 1970 n. 300, incombe sul datore di lavoro,<br />

atteso che, indipendentemente dal richiamo o dalla previsione<br />

di determinate, analoghe condotte punibili con il recesso<br />

nella pattuizione collettiva, il potere di licenziamento<br />

è attribuito direttamente dalla legge al verificarsi di situazioni<br />

che ne integrino la giusta causa od il giustificato motivo,<br />

ha osservato che i giudici di merito non si erano attenuti<br />

a detto principio laddove si erano limitati ad accertare<br />

la violazione di specifiche clausole della contrattazione collettiva<br />

concludendo per la necessità della pubblicazione,<br />

mediante affissione, del codice disciplinare, senza valutare,<br />

con approfondita disamina nel merito, se i comportamenti<br />

negativi del lavoratore configurassero comunque una giusta<br />

causa o un giustificato motivo soggettivo di licenziamento;<br />

e laddove avevano apoditticamente ancorato la sanzione<br />

espulsiva alla previsione pattizia, limitando l’ambito della<br />

valutazione ai comportamenti negativi ivi ipotizzati, in tal<br />

modo ridimensionando la portata degli addebiti contestati.<br />

Inoltre, il tribunale – sempre secondo il principio della<br />

Corte –, nel portare l’indagine sui fatti di causa, in particolare<br />

sulla sussistenza degli episodi addebitati al lavoratore,<br />

sulle loro modalità e sulla loro intrinseca valenza alla stregua<br />

delle testimonianze acquisite, ne aveva operato del pari<br />

un ridimensionamento del tutto apodittico, volto a privilegiare<br />

il contenuto di quelle incerte ovvero inconferenti, ed<br />

a sminuire la portata di quelle precise e nei termini della<br />

contestazione, in tal modo valutando il materiale probatorio<br />

con profili di evidente deformazione improntati all’error in<br />

procedendo, travisandone la reale essenza e sì da rendere il<br />

vizio deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.<br />

Nel caso in esame, il tribunale, dopo aver riportato<br />

stralci delle verbalizzazioni delle prove testimoniali, riprodotte<br />

nella comparsa di risposta della società, si è limitato<br />

ad affermare che gli episodi, come descritti, «furono tutto<br />

sommato modesti», non rispondenti ad una fattispecie di insubordinazione<br />

caratterizzata dalla gravità e ripetitività dei<br />

comportamenti», trattandosi «non di una rivolta quasi sistematica,<br />

ma di meri atti di disubbidienza, compiuti fors’anche<br />

in buona fede»; mentre, quanto alle espressioni volgari<br />

nei confronti del collega, esse, benché censurabili sul piano<br />

civilistico, dovevano valutarsi dal punto di vista dell’organizzazione<br />

e funzionamento aziendale; ed, in questa prospettiva,<br />

pur potendo costituire ragione di sanzione disciplinare,<br />

non giustificavano una sanzione così grave come il<br />

licenziamento, ancorché con preavviso.<br />

Ma così argomentando, il tribunale è incorso, con apodittiche<br />

affermazioni anche in relazione alla configurazione<br />

di una possibile «buona fede», in quegli stessi vizi motivazionali<br />

evidenziati nella richiamata sentenza n. 4593/98 di<br />

annullamento della pronuncia del <strong>Tribuna</strong>le di Ravenna,<br />

poiché ha esaminato partitamente, quasi a doverli inquadrare<br />

separatamente in singole fattispecie previste da clausole<br />

contrattuali, gli accertati illeciti commessi dal Dragoni,<br />

omettendo di valutare complessivamente la condotta di questi<br />

e, quindi, di collegare le «espressioni volgari», considerate<br />

isolatamente, ai comportamenti negativi dello stesso lavoratore,<br />

apoditticamente ricondotti sull’ambito, tutt’altro

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