BERGAMO, UN CONGRESSO “STORICO” - CUSI
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Il vampirismo della televisione<br />
non ucciderà il calcio<br />
anche se è sempre più sporco<br />
I<br />
l calcio, «questo» calcio, rischia<br />
di essere di nessuno perché è<br />
diventato di troppi. E non alludo,<br />
semplicemente o maliziosamente,<br />
agli «zingari» di Scommessopoli.<br />
Penso a tutto l’indotto – a come spinge,<br />
giornalismo compreso, e in quale<br />
direzione – e alla diabolica scelta che ne<br />
ha fagocitato l’Idea: la quantità. Ormai – e<br />
sono anni – la qualità è stata sacrificata ed<br />
espulsa come carburante in eccesso. «Il<br />
calcio è l’ultima rappresentazione sacra del<br />
nostro tempo. È rito nel fondo, anche se<br />
è evasione. Mentre altre rappresentazioni<br />
sacre, persino la messa, sono in declino,<br />
il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo<br />
spettacolo che ha sostituito il teatro».<br />
Così scrisse Pier Paolo Pasolini. Era un<br />
articolo del 1970 che Massimo Raffaeli ha<br />
riesumato su «La Stampa» del 22 luglio<br />
2012. L’aggancio ci sta tutto, direi.<br />
Sono tanti gli agguati che la storia ha<br />
teso al football: per via legale (la sentenza<br />
Bosman, 15 dicembre 1995) e per via<br />
illegale (toto-nero, doping, bilanci gonfiati,<br />
passaporti taroccati, finanza creativa,<br />
calciopoli, scommessopoli). Dal 1980,<br />
noi italiani non ci siamo negati niente.<br />
E quando il valore si traveste da prezzo,<br />
e viceversa, la fine è nota. O meglio,<br />
dovrebbe esserlo. Esiste, e resiste, il calcio<br />
perché dalle sue viscere infette continuano<br />
ad affiorare sentimenti ed emozioni. È quel<br />
senso di sacro, e di altamente simbolico,<br />
Almeno nei Giochi di spiaggia, sotto l’effetto di Londra 2012,<br />
i bambini non giocano a calcio ma corrono,<br />
con impegno, i... dieci metri!<br />
al quale alludeva Pasolini, religione ma<br />
anche, e soprattutto, guerra di religione.<br />
Un «Te deum» con troppa pompa e troppo<br />
incenso, un sabba celebrato da officianti<br />
deviati e cori sguaiati (noi cronisti).<br />
Specchio e spugna della realtà: e per<br />
questo, insostituibile.<br />
Abbiamo moltiplicato i pani e i pesci<br />
di Roberto Beccantini<br />
delle plusvalenze, intasato i calendari,<br />
circondato, assediato e ridotto la «messa»<br />
della partita a ultima ruota del protocollo,<br />
quando invece, ai tempi di Pasolini, il<br />
campo si mangiava quasi tutta la liturgia.<br />
La televisione e i suoi diritti (?) hanno<br />
fatto saltare il banco, radendo al suolo i<br />
sogni della provincia (nel 1985, era ancora<br />
possibile che il Verona di Osvaldo Bagnoli<br />
si arrampicasse fino allo scudetto) e<br />
creando una genìa di menestrelli che, lungi<br />
dal dare potere alla voce, ha accettato di<br />
lasciare voce al potere.<br />
Poi, è chiaro, il polverone si dirada ed<br />
emerge il secondo posto della Nazionale di<br />
Cesare Prandelli agli Europei, in alto i calici<br />
e – per un paio di giorni, non di più – tutti<br />
a sottoscrivere i fioretti e le promesse che<br />
l’italiano medio garantisce sul vento di quel<br />
sentimento popolare che spesso ne gonfia<br />
le vele. E allora: più stadi di proprietà, più<br />
spazio ai vivai, meno squadre in serie A<br />
e serie B; in parole povere, più idee, più<br />
progetti. Alla faccia degli sceicchi che, da<br />
Manchester e Parigi, ci hanno letteralmente<br />
invaso e saccheggiato. Aperta parentesi:<br />
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