TURIDDU 30 ANNI DOPO (di Guido Gerosa, Storia ... - Misteri d'Italia
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Il ban<strong>di</strong>to Giuliano<br />
Salvatore Giuliano e la sua banda<br />
<strong>TURIDDU</strong> <strong>30</strong> <strong>ANNI</strong> <strong>DOPO</strong><br />
Un prezioso articolo apparso su <strong>Storia</strong> illustrata alla<br />
vigilia del 1980, a quasi trent’anni dalla morte<br />
del ban<strong>di</strong>to Salvatore Giuliano<br />
<strong>di</strong> <strong>Guido</strong> <strong>Gerosa</strong><br />
«Di sicuro c'è solo che è morto».<br />
È il titolo più famoso nella storia del giornalismo italiano e apparve<br />
sull'Europeo nel luglio del 1950, in testa alla grande inchiesta <strong>di</strong> Tommaso<br />
Besozzi che, imme<strong>di</strong>atamente dopo il fatto, contestava la versione ufficiale<br />
dei carabinieri sulla fine <strong>di</strong> Giuliano (il sommario, con un soprassalto <strong>di</strong><br />
cautela, giustificava: «I meriti dei carabinieri sarebbero gli stessi anche se la<br />
versione ufficiale non fosse vera»). Ebbene, a quasi trent'anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza da quel<br />
mistero <strong>d'Italia</strong>, su Giuliano <strong>di</strong> sicuro si sa ancora soltanto che è morto.<br />
È ora quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> riaprire il dossier su tutta intera la vicenda, anche se ci<br />
accorgeremo, sconsolatamente, che i lati misteriosi e insoluti sono<br />
innumerevoli.<br />
Con quali appoggi autorevoli e complicità il ventenne picciotto <strong>di</strong><br />
Montelepre assurse a simbolo del ban<strong>di</strong>tismo italiano e fece mobilitare un<br />
esercito <strong>di</strong> carabinieri incaricato <strong>di</strong> braccarlo?<br />
Quale sottile intreccio <strong>di</strong> rapporti mafia-po1itica-criminalità comune trovò il<br />
suo sbocco naturale nelle gesta della banda <strong>di</strong> Turiddu?<br />
La forsennata campagna <strong>di</strong> sangue che a un certo momento Giuliano scatenò<br />
contro i partiti della sinistra era dovuta a un suo feroce anticomunismo<br />
nativo o alle fredde strategie dei suoi mandanti?<br />
Perché, a partire da un' Ora X la mafia abbandonò al suo destino il «re <strong>di</strong><br />
Montelepre» e anzi collaborò con i carabinieri dei colonnelli Luca e<br />
Paolantonio per <strong>di</strong>struggerlo?<br />
E vi era una ragione reale <strong>di</strong> montare quella grottesca messinscena che il<br />
fiuto infallibile <strong>di</strong> Besozzi smontò dalle prime battute?<br />
Sono interrogativi molto complessi, ai quali è <strong>di</strong>fficile rispondere<br />
sommariamente. Ma l'esame <strong>di</strong> alcuni aspetti, anche minori, della vicenda<br />
Giuliano ci consentirà <strong>di</strong> mettere in luce delle connessioni che fanno<br />
me<strong>di</strong>tare.
Il cadavere <strong>di</strong> Salvatore Giuliano appena ricomposto<br />
Salvatore Giuliano era il quarto figlio <strong>di</strong> una famiglia che, secondo gli<br />
standard del Sud inizio secolo, può <strong>di</strong>rsi poco numerosa. Il padre emigrò a<br />
Brooklyn, vivendovi come carrettiere, nel 1904, ma dopo un ventennio<br />
giu<strong>di</strong>cò maturo il momento per tornare a casa e s'imbarcò alla volta della<br />
Sicilia con la moglie Maria Lombardo, che da quattro mesi si portava in<br />
grembo Turiddu, e con gli altri tre figli. Così a Giuliano, che non la vide mai,<br />
rimase in tutta la sua breve vita una nostalgia lancinante dell'America<br />
smisurata.<br />
Il futuro «re» nacque a Montelepre il 16 novembre 1922, il giorno stesso in cui<br />
Mussolini pronunciava a Montecitorio il <strong>di</strong>scorso dell'«aula sorda e grigia». Lo<br />
stesso Mussolini qualche anno dopo avrebbe condotto, nell'isola <strong>di</strong> Giuliano,<br />
la furibonda repressione del prefetto Mori, ma nel momento in cui egli<br />
<strong>di</strong>veniva capo del governo la Sicilia aveva un sinistro primato del crimine: vi<br />
avveniva un terzo degli omici<strong>di</strong> compiuti in tutta Italia. Nel 1922 furono<br />
registrati 6.278 assassini in tutta la penisola, e la Sicilia contribuì al pedaggio<br />
<strong>di</strong> sangue con 1920 (nella sola Palermo se ne verificarono 1.557, e il <strong>di</strong>stretto<br />
palermitano <strong>di</strong>ede un totale <strong>di</strong> 2.365 fra rapine, sequestri, estorsioni, contro<br />
un totale italiano <strong>di</strong> 8.847).<br />
Giuliano è un esempio abbastanza calzante delle teorie secondo cui a monte<br />
della delinquenza c'è l'oppressione sociale. Abituato ai soprusi e agli<br />
sfruttamenti dei piccoli padroni, sui vent'anni, nella Sicilia della guerra, del<br />
fascismo in crisi, dell'invasione, cominciò ad arrangiarsi con i traffici, gli<br />
intrallazzi, la borsa nera.<br />
Il passaggio degli eserciti alleati rovesciò sulla Sicilia ogni sorta <strong>di</strong> capi<br />
mafiosi, oriun<strong>di</strong> che negli Stati Uniti avevano aiutato i coman<strong>di</strong> militari a
procurarsi in anticipo le carte topografiche della Sicilia e ad assicurarsi gli<br />
appoggi che garantivano una celere conquista. Esiste una celebre foto in cui il<br />
braccio destro <strong>di</strong> Lucky Luciano, Vito Genovese, nell'uniforme dell'esercito<br />
degli Stati Uniti, tiene la mano paternamente sulle spalle del giovane<br />
Giuliano. Quasi ad in<strong>di</strong>care una riconosciuta primogenitura.<br />
L'avvenimento che doveva decidere la sorte <strong>di</strong> Turiddu si verifica il 2<br />
settembre 1943, un giorno prima della firma dell'armistizio, tra gli ulivi <strong>di</strong><br />
Cassibile. Su una cavalcatura macilenta, portando quattro forme <strong>di</strong> cacio e<br />
del grano per la borsa nera, Giuliano si trova a transitare da Quarto Molino,<br />
vicino a San Giuseppe Jato, e incrocia una pattuglia <strong>di</strong> carabinieri. I militi gli<br />
vedono il cacio e il grano, s’insospettiscono, gli or<strong>di</strong>nano <strong>di</strong> seguirli in<br />
caserma. II giovane <strong>di</strong>rà sempre che si sarebbe sentito «<strong>di</strong>sonorato» se avesse<br />
dovuto varcare la soglia dell'alloggio dei carabinieri: prima che possano<br />
fermarlo, spicca un balzo e tenta la fuga. Un carabiniere gli scarica l'arma<br />
nella pancia. Giuliano sosterrà che, all'avvertire quella gran frustata calda nel<br />
ventre, ebbe la sensazione <strong>di</strong> star per morire: e volle trovare compagnia per<br />
l'ultimo viaggio. Così da pochi metri consumò un caricatore contro il<br />
carabiniere. Questi morì più tar<strong>di</strong> in ospedale: la «<strong>di</strong>sgrazia», come la sorella<br />
Mariannina chiamerà quell’episo<strong>di</strong>o, segnò per sempre il destino <strong>di</strong> Giuliano.<br />
Comincia la latitanza sui monti nel corso della quale il ban<strong>di</strong>to amerà farsi<br />
ritrarre con il binocolo a tracolla e con un fascio <strong>di</strong> carte topografiche davanti,<br />
come un generale che prepari la battaglia. Era sensibilissimo ai connotati<br />
romantici che potessero impressionare l'immaginazione popolare.<br />
Al giornalista Jacopo Rizza, che lo intervistò per Oggi, mostrò la sfarzosa<br />
fibbia della sua cintura, un gingillo degno <strong>di</strong> Sandokan: vi figuravano una<br />
stella, un'aquila e un leone. «È il mio stemma», spiegò orgogliosamente il<br />
ban<strong>di</strong>to. «La stella è la fortuna, l'aquila è l'intelligenza, il leone è la forza».<br />
Il trono <strong>di</strong> sangue <strong>di</strong> Giuliano si resse soprattutto sulla fitta cortina <strong>di</strong> omertà<br />
che lo proteggeva. «I conta<strong>di</strong>ni siciliani», <strong>di</strong>ceva il suo luogotenente Gaspare<br />
Pisciotta, «non sanno mai nulla, non vedono mai nulla. Hanno lo sguardo conficcato<br />
nella terra che arano. Nessun poliziotto potrà mai strappare da loro alcuna<br />
in<strong>di</strong>cazione». Ma nonostante quella devota protezione, la madre <strong>di</strong> Giuliano,<br />
quando lo vedeva rincasare furtivo e abbracciarla, lo supplicava: «Guardati<br />
pure dall'aria, figghiu, non ti fidare». Per questo il fuorilegge non dormiva mai<br />
due volte nello stesso posto e si circondò <strong>di</strong> uomini, che, fin quando non si<br />
ersero contro <strong>di</strong> lui nemici a tutta prova, gli furono fedelissimi.<br />
La leggenda vigoreggiata intorno alla figura <strong>di</strong> Giuliano fa <strong>di</strong>menticare, a<br />
volte, ch'egli visse tutta la sua grande avventura da giovanissimo. La<br />
stagione della collera si svolse nei sette anni <strong>di</strong> fuoco dal 1943 al 1950:<br />
quando scaricò la pistola sul carabiniere, isolandosi così dal consorzio<br />
sociale, Turiddu aveva ventun anni; quando fu deposto cadavere nel cortile
dell'avvocaticchio De Maria a Castelvetrano, ne aveva ventotto. Come potè<br />
assurgere in così breve tempo a tanta potenza?<br />
Anzitutto, la sua crescita va collocata storicamente in un periodo nel quale<br />
nell'isola si era prodotto il più totale vuoto <strong>di</strong> potere. Gli Americani non si<br />
preoccupavano affatto <strong>di</strong> restaurare la legalità: gli faceva comodo che chi<br />
poteva aiutarli e servirli non fosse molestato.<br />
C'è un episo<strong>di</strong>o molto in<strong>di</strong>cativo in proposito: un giorno del 1944 i ban<strong>di</strong>ti<br />
svaligiarono un albergo a Palermo. I carabinieri, subito avvisati, riuscirono a<br />
bloccarli e a recuperare la refurtiva; ma un momento dopo ecco profilarsi la<br />
spe<strong>di</strong>zione punitiva della Military Police, gli americani che arrivarono,<br />
bastonarono i carabinieri e restituirono la refurtiva ai ban<strong>di</strong>ti. Si trattava <strong>di</strong><br />
un clan mafioso che era legato solidamente all'autorità militare <strong>di</strong><br />
occupazione e perciò godeva dell'immunità assoluta.<br />
Per uomini senza scrupoli, questa anarchia legalizzata era l'occasione d'oro<br />
per esercitare il dominio incontrastato. Giuliano si trovò ben presto a<br />
cavalcare la tigre del <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne politico che si era instaurato nella Sicilia del<br />
post-fascismo. Nel 1947 affiderà a un giornalista americano, un uomo dei<br />
servizi segreti, la famosa lettera per il presidente Truman: «II nostro sogno è <strong>di</strong><br />
staccare la Sicilia dall'Italia e poi <strong>di</strong> annetterla agli Stati Uniti».<br />
Nella visuale incerta dell'imme<strong>di</strong>ato dopoguerra, la penisola sembrava<br />
destinata a essere assoggettata al comunismo; la Trinacria si sarebbe ribellata<br />
e, guidata da un pittoresco stato maggiore <strong>di</strong> aristocratici, <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti in<br />
uniforme, <strong>di</strong> pezzi da novanta, che in cuor loro si sentivano i Garibal<strong>di</strong> del<br />
ventesimo secolo, avrebbe reclamato l'onore <strong>di</strong> essere la quarantanovesima<br />
stella dell'Unione americana. Giuliano, che era ovviamente uno sprovveduto<br />
in politica, fu probabilmente allettato dalle promesse che gli fecero i capi<br />
separatisti nell'incontro <strong>di</strong> Ponte Sagana. I loro applausi, alla fine del <strong>di</strong>scorso<br />
che rivolse loro, lo riscaldarono.<br />
Era troppo ingenuo per riuscire a rendersi conto della fitta trama <strong>di</strong> interessi,<br />
<strong>di</strong> ambizioni, <strong>di</strong> calcoli <strong>di</strong> potere, che aveva indotto, nel marzo 1945, un<br />
manipolo <strong>di</strong> personaggi <strong>di</strong>versissimi a coalizzarsi per innalzare la ban<strong>di</strong>era<br />
della Sicilia separata. Erano della partita il duca don Guglielmo Paternò <strong>di</strong><br />
Carcaci, feudatario catanese; il barone Stefano La Motta; il barone Giuseppe<br />
Cammarata, proprietario terriero palermitano; il barone Giuseppe Tasca;<br />
Concetto Gallo; Rosario Cacopardo, avvocato <strong>di</strong> Messina.<br />
I finanziamenti non mancavano, date le immense ricchezze dei patrocinatori<br />
dell'impresa: ma occorreva la manodopera criminale, l'arruolamento <strong>di</strong><br />
un'armata <strong>di</strong> mercenari <strong>di</strong>sperati al servizio <strong>di</strong> quell’idea.<br />
I clan più imme<strong>di</strong>atamente <strong>di</strong>sponibili erano quelli delle bande Avila e<br />
Giuliano. A chi, nelle prime riunioni dei separatisti, obiettò che era immorale<br />
servirsi <strong>di</strong> quei delinquenti, il patriarca Lucio Tasca, padre del barone
Giuseppe, rispose ironicamente: «Noi dobbiamo associarci i ban<strong>di</strong>ti perché questo<br />
fece anche Garibal<strong>di</strong>».<br />
Giuliano <strong>di</strong>ede appuntamento ai ras del separatismo sulle montagne fra<br />
Monreale e Partinico, a Ponte Sagana. Quando i palermitani arrivarono su<br />
un'auto Bianchi nell'anfiteatro scelto per il convegno, si guardarono intorno<br />
smarriti, credendo <strong>di</strong> essere caduti in trappola. Giuliano aveva scelto uno<br />
spiazzo dominato da rocce alte e <strong>di</strong>etro ogni masso e ogni spuntone <strong>di</strong> roccia<br />
sbucava la canna <strong>di</strong> un fucile. Ma il leader dei ban<strong>di</strong>ti si mostrò <strong>di</strong> buon<br />
umore e conciliante; e sfoggiò una genuina commozione quando i baroni lo<br />
nominarono sul campo colonnello dell'EVIS (Esercito volontario<br />
dell'in<strong>di</strong>pendenza siciliana). Fu ancora più felice quando gli fecero pervenire<br />
tra le montagne un'ottantina <strong>di</strong> uniformi <strong>di</strong> tipo coloniale, decorate da<br />
mostrine rosse e gialle e con il simbolo della Trinacria bene in vista.<br />
La storia del separatismo siciliano <strong>di</strong> quegli anni, o meglio <strong>di</strong> quei mesi, è<br />
ancora tutta da scrivere: e sarebbe bene farlo, anche perché si scoprirebbe che<br />
rivela paralleli inquietanti con il terrorismo e con la criminalità, sia comune<br />
sia politica, <strong>di</strong> questi ultimi anni.<br />
È certo che Turiddu e i suoi padrini si resero imme<strong>di</strong>atamente conto, nel<br />
1945, che il modo più sicuro per finanziare le operazioni <strong>di</strong> eversione politica<br />
era quello <strong>di</strong> sequestrare i gran<strong>di</strong> ricchi dell'isola. E montarono una strategia<br />
alla grande, nella quale i suggeritori furono indubbiamente personaggi <strong>di</strong><br />
molto riguardo nella sfera politica sia locale sia romana, della Roma che stava<br />
ricostruendo allora il suo perenne impero.<br />
Andrea Finocchiaro Aprile e Antonino Varvaro, gli esponenti siciliani del<br />
movimento separatista, che finirono al confino a Ponza, e Concetto Gallo,<br />
uno dei loro bracci secolari, erano pe<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> una certa importanza, ma in<br />
fondo sbia<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> fronte all'importanza del grande gioco che si svolgeva sopra<br />
le loro teste. I veri Clausewitz <strong>di</strong> questa strategia del terrore siciliana, che si<br />
rivelò pleonastica e che venne abbandonata non appena le uccisioni dei<br />
sindacalisti <strong>di</strong> sinistra ebbero affievolito lo slancio del movimento operaio<br />
dell'isola e le vittorie elettorali della Democrazia cristiana ebbero <strong>di</strong>segnato il<br />
volto dell'Italia moderata che sarebbe durata per oltre un trentennio, erano<br />
da cercarsi altrove: personaggi <strong>di</strong> grande influenza politica, uomini abituati a<br />
reggere abilmente le fila del gioco del potere tra Roma e Palermo, notabili <strong>di</strong><br />
straor<strong>di</strong>naria statura, protagonisti al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni sospetto e dominanti<br />
nel cielo degli intoccabili.<br />
Giuliano fu, dal 1944 al 1949 circa, lo strumento ideale <strong>di</strong> questo potere. Un<br />
ras della delinquenza temibilissimo, che in un paese governato con veri e<br />
propri meto<strong>di</strong> da dominio coloniale come la Sicilia svolgeva ad<strong>di</strong>rittura una<br />
funzione «governatoriale».
I mafiosi erano rimasti subito impressionati dalla sua baldanza: «Guarda che<br />
picciotto in gamba è questo qua», <strong>di</strong>ssero allorché lo conobbero, come ha riferito<br />
il generale Paolantonio alla Commissione antimafia. Il ban<strong>di</strong>to fu incaricato<br />
<strong>di</strong> spaventare l'isola con i sequestri, le stragi, il terrore destato da un<br />
<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne perenne: era un'apparente sovversione, ma in realtà era il modo <strong>di</strong><br />
far trionfare l'antico or<strong>di</strong>ne dei baroni e della mafia sulla rivolta conta<strong>di</strong>na<br />
delineatasi, nonostante tutto, all'indomani dell'invasione alleata. Non a caso i<br />
bersagli pre<strong>di</strong>letti <strong>di</strong> Giuliano furono le Camere del Lavoro, le organizzazioni<br />
legate ai partiti della sinistra, i sindacalisti e il coraggioso deputato comunista<br />
Girolamo Li Causi, strenuo denunciatore della mafia.<br />
La sua opera si rivelò così preziosa che i suoi padrini lo fornirono <strong>di</strong> ogni<br />
cosa <strong>di</strong> cui avesse bisogno. Giuliano poté organizzarsi con ampiezza <strong>di</strong> mezzi<br />
i sequestri, ebbe i sol<strong>di</strong> per le armi e per l'organizzazione, creò campi <strong>di</strong><br />
addestramento <strong>di</strong> tipo militare, organizzò i settori d'intervento e le squadre:<br />
per i materiali, per le armi, per i rapimenti.<br />
All'apogeo della sua potenza, <strong>di</strong>spose d'una banda <strong>di</strong> ottanta uomini, tra i<br />
quali c'erano dei personaggi avventurosi e decisi a tutto: Candela,<br />
Passatempo, Pisciotta, Badalamenti, Pasquale Sciortino, i fratelli Genovese,<br />
Cucinella. Nei sei mesi <strong>di</strong> maggiore attività, i suoi uomini uccisero <strong>di</strong>ciassette<br />
carabinieri e ne ferirono trentacinque.<br />
Negli anni dell'ira Montelepre era <strong>di</strong>ventata l'epicentro <strong>di</strong> una guerriglia<br />
insi<strong>di</strong>osissima. Seimila persone in tutta la zona erano tenute sotto coprifuoco,<br />
che veniva annunciato da un ban<strong>di</strong>tore con rulli <strong>di</strong> tamburo. Sulle strade<br />
polverose <strong>di</strong> quell’angolo <strong>di</strong> Sicilia occidentale ci si muoveva come in un<br />
paese occupato durante una guerra: con perquisizioni, posti <strong>di</strong> blocco,<br />
controlli, arresti. Si vedevano code <strong>di</strong> uomini e donne legati con corde e<br />
catene e fatti sfilare in triste parata, <strong>di</strong> tipo appunto coloniale, lungo la via<br />
Castrense <strong>di</strong> Bella <strong>di</strong> Montalepre, dove sorgeva la casa dei Giuliano.<br />
Uno dei tanti rastrellamenti<br />
nelle campagne attorno a Montelepre
Sembravano tornati gli anni risorgimentali della repressione del ban<strong>di</strong>tismo<br />
nel Sud. Il grosso paese <strong>di</strong> Montelepre era circondato da un esercito <strong>di</strong><br />
carabinieri, polizia, carri armati, artiglierie, il reggimento «Garibal<strong>di</strong>», le<br />
<strong>di</strong>visioni Sassari e Ariete, per sino gli alpini. Una guerriglia da Africa<br />
paesana, che impegnava migliaia <strong>di</strong> uomini e gettava spesso il <strong>di</strong>scre<strong>di</strong>to e<br />
ad<strong>di</strong>rittura il ri<strong>di</strong>colo sullo Stato italiano, impotente <strong>di</strong> fronte a un ban<strong>di</strong>to<br />
che aveva le movenze <strong>di</strong> un Robin Hood con la coppola, che si pretendeva<br />
<strong>di</strong>fensore dei deboli e degli oppressi.<br />
Ancor prima dei «paras» in Algeria, i carabinieri impegnati contro Giuliano<br />
ricorsero all'arma della tortura, con maschere antigas il cui tubo veniva<br />
riempito <strong>di</strong> acqua e sale e che venivano compresse sul viso del <strong>di</strong>sgraziato<br />
sospetto <strong>di</strong> essere un appartenente o un favoreggiatore della banda Giuliano,<br />
come Pasquale Sciortino ha riferito nel 1970 all'Antimafia. Gli interrogatori<br />
venivano inaspriti da una sequela interminabile <strong>di</strong> pugni e calci.<br />
Ammanettati, i prigionieri<br />
Venivano picchiati e spesso<br />
subivano vere e proprie torture<br />
da parte dei carabinieri
Ma Giuliano, nella sua lotta testarda e fanatica, non era da meno. Una volta<br />
gli portarono un ragazzo che era stato scoperto tra le macchie della montagna<br />
mentre osservava i movimenti degli uomini della banda. Il capo lo interrogò,<br />
non riuscì a ottenere nulla da quel giovane che aveva gli occhi fuori dalla<br />
testa per il terrore; alfine, stanco, or<strong>di</strong>nò che si procedesse a formare il<br />
plotone d'esecuzione. Quando il pastorello atterrito fu davanti al manipolo <strong>di</strong><br />
ban<strong>di</strong>ti che spianavano il fucile, Giuliano esclamò a voce altissima: «Io<br />
Salvatore Giuliano ti uccido in nome <strong>di</strong> Dio e del popolo della Sicilia». Sul cadavere<br />
il ban<strong>di</strong>to fece affiggere un cartello: «Così Giuliano tratta le spie».<br />
Così si creava <strong>di</strong> giorno in giorno la leggenda del terribile capobanda. Molte<br />
donne dell'isola, attratte dal fascino romantico del fuorilegge, avrebbero<br />
voluto raggiungerlo in montagna e passare con lui le notti all'ad<strong>di</strong>accio. Ma<br />
Giuliano resisteva loro: si <strong>di</strong>ceva che con immenso ar<strong>di</strong>mento si avventurasse<br />
fino a Palermo, dove in spregio ai carabinieri penetrava in qualche antico<br />
palazzo ed espugnava il letto <strong>di</strong> qualche principessa: nomi <strong>di</strong> nobiltà<br />
auguste, risalenti ai cavalieri Normanni.<br />
Il solo amore che si concesse tra le montagne fu, forse, quello con la<br />
giornalista svedese Maria Cilyacus, che lo raggiunse romanticamente e riuscì<br />
ad intervistarlo.<br />
Nell'introduzione al secondo volume dell'inchiesta della Commissione<br />
Antimafia (1973) si legge: «Giuliano, riuscì a fare, nella sua lunga carriera<br />
criminosa, ben 4<strong>30</strong> vittime, sempre, purtroppo, protetto nell'inaccessibilità del suo<br />
rifugio dalla non malcelata protezione della mafia» . Ma a un certo momento<br />
questa protezione cadde, venne a mancare. Uno degli inquirenti <strong>di</strong> allora ha<br />
ammesso: «Abbiamo preso Giuliano solo quando la mafia lo ha mollato».<br />
Perché la mafia sì fosse schierata a sostegno del ban<strong>di</strong>to, lo abbiamo visto: gli<br />
rendeva servigi troppo preziosi e segnalati. Ma perché lo abbandonò, e da<br />
quale momento preciso? Questo è più <strong>di</strong>fficile a <strong>di</strong>rsi, e i cadaveri <strong>di</strong><br />
quattor<strong>di</strong>ci persone che in un modo o nell'altro stavano fornendo delle chiavi<br />
per capirlo ammoniscono sulla complessità del problema.<br />
Forse la strage <strong>di</strong> Portella delle Ginestre offre qualche in<strong>di</strong>cazione. Il 20 aprile<br />
1947 c'erano state le elezioni regionali e le forze della sinistra coalizzate nel<br />
Blocco del Popolo avevano ottenuto significative affermazioni nel triangolo<br />
Piana degli Albanesi-San Cipirello-San Giuseppe Jato.<br />
Un certo panico aveva cominciato a <strong>di</strong>ffondersi tra i padroni delle masserie, i<br />
latifon<strong>di</strong>sti, i gran<strong>di</strong> agrari. Il 1° maggio 1947, quasi un ammonimento,<br />
avvenne, nella piana <strong>di</strong> Portella delle Ginestre, dove si stava celebrando la<br />
Festa del Lavoro con molti carretti siciliani e con qualche simbolica ban<strong>di</strong>era<br />
rossa, una delle prime stragi della storia italiana del dopoguerra.
Un testimone, Salvatore Fusco, ha raccontato nel 1975 a Giancarlo Graziosi<br />
della Domenica del Corriere che quel mattino con tre amici stava andando a<br />
caccia nella montagna sopra Portella. Furono fermati e catturati da alcuni<br />
uomini armati che gli ficcarono i fucili contro le reni. Poi arrivò un altro<br />
uomo, ben vestito, con abiti militari, che Fusco riconobbe per Giuliano, e che<br />
dopo averli fatti perquisire domandò loro: «Siete comunisti?». Lo videro<br />
impartire gli or<strong>di</strong>ni per la strage e quin<strong>di</strong> lui stesso si mise alla mitragliatrice<br />
e snocciolò il rosario <strong>di</strong> due lunghi caricatori sulla gente che celebrava la festa<br />
del socialismo. La strage si risolse in un tragico bilancio <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci morti,<br />
ventisei feriti gravi, do<strong>di</strong>ci animali uccisi. Si calcolò che i ban<strong>di</strong>ti che avevano<br />
sparato erano una dozzina e avevano sviluppato una massa <strong>di</strong> fuoco<br />
incre<strong>di</strong>bile.<br />
Chi volle quella strage? È uno dei punti fermi del <strong>di</strong>scorso su Giuliano.<br />
Si sa che Pasquale Sciortino, il «compagno d'armi» e cognato del ban<strong>di</strong>to, pochi<br />
giorni prima dell'ecci<strong>di</strong>o portò a Giliano una lettera che venne letta e subito bruciata.<br />
Il tra<strong>di</strong>tore Pisciotta al processo <strong>di</strong> Viterbo fece tre nomi <strong>di</strong> mandanti: il principe<br />
Giovanni Francesco Alliata e l’onorevole Leone Marchesano, monarchici;<br />
l’onorevole Bernardo Mattarella, grande notabile democristiano. Naturalmente<br />
quando la stampa riprese quei nomi, vi furono smentite, querele, duelli; e i processi<br />
che seguirono scagionarono quei personaggi da ogni responsabilità: anzi,<br />
come <strong>di</strong>ce l'Antimafia, «non è stato possibile rinvenire nemmeno elementi<br />
in<strong>di</strong>zianti». Ma il delitto maturò sicuramente in un clima allucinante. «Fra<br />
Diavolo», al secolo Salvatore Ferreri, un ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Giuliano che in realtà<br />
faceva il confidente della polizia, pochi giorni prima <strong>di</strong> Portella avvisò i suoi<br />
amici della Questura che stava maturando qualcosa <strong>di</strong> molto grosso. Era sul<br />
punto <strong>di</strong> andare a fare il suo rapporto quando venne convocato d'urgenza<br />
nella caserma dei carabinieri. La versione ufficiale è che a un certo momento<br />
Ferreri si ribellò a chi lo stava interrogando, tentò <strong>di</strong> saltargli addosso; il<br />
capitano dei carabinieri Gianlombardo allora, per legittima <strong>di</strong>fesa, mise la<br />
mano alla pistola e lo uccise.<br />
Con ogni probabilità, negli ultimi mesi della sua vita Giuliano era <strong>di</strong>ventato<br />
scomodo per tutti e i suoi padrini non sapevano come sbarazzarsene: tanto<br />
che egli pensò molte volte alla fuga nel paese d'origine, gli Stati Uniti, dove<br />
s'illudeva <strong>di</strong> trovare molte coperture. E invece il 5 luglio 1950, alle sei in<br />
punto, arriva al ministero dell'Interno a Roma (era ministro Mario Scelba)<br />
questo <strong>di</strong>spaccio spe<strong>di</strong>to venti minuti prima da Palermo: «Da Castelvetrano<br />
(Trapani) colonnello Luca segnala che ore 3.<strong>30</strong> oggi dopo inseguimento<br />
centro quell'abitato et conflitto sostenuto da squadriglia Centro Forze<br />
Repressione Ban<strong>di</strong>tismo rimaneva ucciso ban<strong>di</strong>to Salvatore Giuliano punto<br />
Nessuna per<strong>di</strong>ta parte nostra punto Cadavere piantonato <strong>di</strong>sposizione
autorità giu<strong>di</strong>ziaria punto Riserva particolari alt Maggiore Latronico<br />
Palermo».<br />
Sulla testa del famoso ban<strong>di</strong>to c'era fino a quel momento una taglia <strong>di</strong> 50<br />
milioni. Ora il suo cadavere stava mutando rapidamente fattezze, nella<br />
decomposizione provocata dalla morte, nel cortile arroventato della casa<br />
dell'«avvocaticchio» Gregorio De Maria, che lo aveva ospitato. Il cadavere del<br />
terrore <strong>di</strong> Montelepre presentava «alcune abrasioni al viso e sei ferite <strong>di</strong> arma<br />
da fuoco calibro 9, tre delle quali trapassanti». La morte era stata<br />
«determinata da imponente emorragia interna, da lesioni bilaterali dei<br />
polmoni e dell'aorta <strong>di</strong>scendente», il corpo era coricato a pancia contro il<br />
suolo, con le ferite nella parte anteriore destra e un enorme grumo <strong>di</strong> sangue<br />
rappreso sulla schiena. Un cronista borbottò subito: «Non avevo, mai visto il<br />
sangue andar su in salita».<br />
Giuliano indossava i pantaloni <strong>di</strong> tela, era senza mutande e portava al <strong>di</strong>to<br />
un anello. Deposti accanto al cadavere c'erano il mitra, la pistola americana, il<br />
tascapane e una banconota, che più tar<strong>di</strong> nessuno seppe <strong>di</strong>re se era da <strong>di</strong>eci o<br />
da cinquanta lire. Nessuna traccia, nella casa, del famoso memoriale in cui<br />
Giuliano aveva annotato con il puntiglio dell' auto<strong>di</strong>datta le istruzioni dei<br />
suoi misteriosi, mandanti, o delle centinaia <strong>di</strong> documenti nei quali <strong>di</strong>ceva<br />
consistere la sua <strong>di</strong>fesa. Fu recuperato un elenco <strong>di</strong> nomi, e l'allora colonnello<br />
Paolantonio, grande protagonista <strong>di</strong> quell'operazione, sperava che si<br />
cominciasse subito a mettere le mani su <strong>di</strong> loro. «Ma appena morto<br />
Giuliano», egli ha poi raccontato all'Antimafia, durante la seduta del 22<br />
ottobre 1969, «ci <strong>di</strong>spersero rapidamente, <strong>di</strong>cendoci che il ban<strong>di</strong>tismo era<br />
finito».<br />
Il capitano dei carabinieri Antonio Perenze avanzò la versione ufficiale. Un<br />
confidente aveva portato i militi a Castelvetrano sulle orme <strong>di</strong> Giuliano ed<br />
essi, in<strong>di</strong>viduatolo, avevano impegnato con il ban<strong>di</strong>to una sparatoria <strong>di</strong> tre<br />
quarti d'ora. Il re <strong>di</strong> Montelepre aveva scaricato un intero caricatore <strong>di</strong> mitra -<br />
40 colpi - e al do<strong>di</strong>cesimo colpo del secondo caricatore l'arma si era<br />
inceppata. I carabinieri avevano esploso 211 colpi. Una vera sfida all'OK<br />
Corral. Giuliano era balzato dentro il cortile <strong>di</strong> De Maria e là Perenze gli<br />
aveva sparato l'ultimo colpo, che lo aveva fatto crollare pancia in giù. Questa<br />
versione era ancora calda che Tommaso Besozzi, uno dei più gran<strong>di</strong><br />
giornalisti <strong>di</strong> cronaca vissuti in Italia, la smontava, telefonando i suoi dubbi<br />
al suo giornale «L'Europeo». Alessandro Minar<strong>di</strong>, il redattore capo che<br />
sostituiva il famoso <strong>di</strong>rettore Arrigo Benedetti, in quei giorni a Parigi, vi<br />
prepose il titolo che è rimasto gloriosamente nella storia del giornalismo<br />
italiano: «Di sicuro c'è solo che è morto». Besozzi <strong>di</strong>struggeva punto per<br />
punto le tesi dei carabinieri. Come mai la gente che dormiva con le finestre<br />
spalancate nel luglio torrido <strong>di</strong> Castelvetrano non aveva sentito
quell'alluvione <strong>di</strong> spari? Perché non si trovava neppure un testimone <strong>di</strong><br />
quella rocambolesca sparatoria western? Besozzi azzardò per primo, poco<br />
dopo, la versione più probabile della fine <strong>di</strong> Giuliano, che però a sua volta<br />
non è affatto sicura. Il ban<strong>di</strong>to era trapassato dal sonno alla morte senza<br />
accorgersene. Nella casa <strong>di</strong> De Maria egli dormiva pancia in giù,<br />
proteggendosi la testa con le mani, e questo spiegherebbe la posizione del<br />
suo corpo nel cortile: chi lo uccise lo avrebbe poi trasportato là, adagiandolo<br />
al suolo nella stessa posizione in cui la morte lo aveva colto.<br />
Secondo Besozzi, era stato Pisciotta a uccidere. Il ban<strong>di</strong>to era terrorizzato dal<br />
cugino, perciò gli aveva fatto sciogliere un narcotico nel caffè. Quando lo<br />
vide immoto come un macigno, gli si avvicinò, tremando verga a verga, e gli<br />
scaricò una pallottola contro la nuca. Ma la mano oscillava e il proiettile si<br />
conficcò nella spalla. Con il secondo lo ferì all'ascella, poi infierì sul cadavere<br />
e fuggì <strong>di</strong>sperato nella notte, reggendo in mano i pantaloni ammorbati e<br />
fetenti perché se l'era fatta addosso. Lo accolse una «1100» dei carabinieri,<br />
che fissarono l'assassino con occhi carichi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo e presero a gran<br />
carriera la via <strong>di</strong> Palermo. E questa sarebbe stata la vera morte <strong>di</strong> Giuliano.<br />
Trent'anni dopo, questa versione, raccontata nel libro oggi introvabile <strong>di</strong><br />
Tommaso Besozzi, regge ancora? Sì e no. Giuliano era stato scaricato dalla<br />
mafia e vi è perciò l'ipotesi che sia stato qualche personaggio della mafia, e<br />
non il tra<strong>di</strong>tore Pisciotta, ad assumersi l'onore dell'esecuzione. Contro questa<br />
possibilità stanno le numerose descrizioni dell'approccio <strong>di</strong> Pisciotta ai<br />
carabinieri e dei suoi maneggi per eliminare il cugino: che si ricavano<br />
soprattutto dai racconti del maresciallo Lo Bianco, uno dei massimi<br />
protagonisti - con Luca, Paolantonio, Perenze -dell'operazione. C'è anche la<br />
possibilità che Giuliano non sia stato ucciso a Castelvetrano bensì a<br />
Monreale. Il cadavere sarebbe stato introdotto nel baule <strong>di</strong> una macchina e<br />
portato sino al cortile <strong>di</strong> De Maria, per la grande mistificazione. Pisciotta al<br />
processo <strong>di</strong> Viterbo si attribuì la paternità del delitto. Ammise <strong>di</strong> avere<br />
assassinato l'amico nel modo ricostruito da Besozzi. Perenze avrebbe attuato<br />
poi la messinscena, sparando una raffica <strong>di</strong> mitra su un cadavere.<br />
Ma in mezzo a tante bugie, è il caso <strong>di</strong> credere a Pisciotta? Il ban<strong>di</strong>to spiegò a<br />
Viterbo <strong>di</strong> essere terrorizzato da una santissima trinità, onnipotente in Sicilia<br />
e incre<strong>di</strong>bilmente unita: mafia, polizia e ban<strong>di</strong>ti. Pisciotta aveva paura della<br />
vendetta <strong>di</strong> quella Trimurti: infatti il 9 febbraio 1954 fu avvelenato nel carcere<br />
dell'Ucciardone a Palermo, uno dei quattor<strong>di</strong>ci morti <strong>di</strong> una catena<br />
incre<strong>di</strong>bile.<br />
Quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> sicuro c'è ancora solo che Giuliano è morto. Tutto il resto - il<br />
legame Giuliano-separatisti-mafia; il rapporto mafia-politica-ban<strong>di</strong>tismo; i<br />
nomi degli uomini politici che furono i veri mandanti della strage <strong>di</strong> Portella<br />
delle Ginestre; la meccanica esatta della morte <strong>di</strong> Salvatore Giuliano e il
«tra<strong>di</strong>mento» che portò alla sua sconfitta, sono ancora tenacemente avvolti<br />
nelle nebbie, come tanti altri misteri della recente storia <strong>d'Italia</strong>.<br />
Frank Mannino per esempio, uno degli uomini <strong>di</strong> Giuliano liberati da poco,<br />
sostiene che il ban<strong>di</strong>to fu ucciso dalla mafia e non da Pisciotta. L'antico<br />
fuorilegge, rilasciato dopo quasi trent'anni, non ha voluto tornare in Sicilia<br />
ma ha scelto Genova come sua sede. Di chi ha paura, a tanta <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />
tempo? Probabilmente degli stessi uomini che hanno operato, nel trentennio,<br />
l'ecatombe <strong>di</strong> quattor<strong>di</strong>ci testimoni.<br />
Anche questa è una storia <strong>di</strong> enorme interesse e <strong>di</strong> agghiacciante attualità.<br />
Una catena ininterrotta <strong>di</strong> strane morti e <strong>di</strong> oscure vendette si snoda lungo<br />
tutto questo trentennio e ha colpito un fitto gruppo <strong>di</strong> persone <strong>di</strong> cui si può<br />
ragionevolmente ritenere che conoscessero le responsabilità sulla fine <strong>di</strong><br />
Giuliano.<br />
Il 4 marzo 1952 morì improvvisamente l'ispettore <strong>di</strong> P.S. Ciro Ver<strong>di</strong>ani e sul<br />
suo cadavere non venne mai eseguita l'autopsia. Ver<strong>di</strong>ani aveva stabilito un<br />
buon contatto con i Miceli, personaggi legati alla mafia <strong>di</strong> Monreale: erano<br />
stati loro a convincere Giuliano a trasferirsi da Montelepre a Castelvetrano.<br />
L'8 agosto 1952 i carabinieri scovarono e uccisero, in un conflitto a fuoco nelle<br />
campagne del Trapanese, Salvatore Passatempo detto «il boia», un uomo che<br />
era stato molto vicino a Giuliano.<br />
Il 9 febbraio 1954 Gaspare Pisciotta, dopo aver sorbito una tazzina <strong>di</strong> caffè,<br />
morì tra orribili spasimi nel carcere dell’Ucciardone. Vennero incriminati il<br />
suo stesso padre Salvatore, la guar<strong>di</strong>a carceraria Ignazio Salvaggio e il<br />
detenuto Filippo Riolo, ma furono prosciolti prima ancora <strong>di</strong> arrivare al<br />
processo.<br />
Il 3 marzo 1954 era carnevale a Palermo. Otto detenuti celebrarono gaiamente<br />
la festa con cibi mandati loro all’Ucciardone dai fratelli Genovese, «big» della<br />
banda Giuliano. Ad un tratto Angelo Russo, dopo aver tracannato un<br />
bicchiere <strong>di</strong> vino, crollò al suolo, mostrando gli stessi sintomi <strong>di</strong> Pisciotta.<br />
Dieci minuti dopo moriva in infermeria, mentre tutti i suoi compagni<br />
vomitavano <strong>di</strong>speratamente il cibo ingoiato.<br />
Nel 1955 morì in circostanze misteriose anche l'avvocato Geloso Cusumano,<br />
<strong>di</strong> cui al processo <strong>di</strong> Viterbo si era detto che aveva portato a Giuliano,<br />
come ambasciatore, le volontà dei «mandanti» della strage <strong>di</strong> Portella.<br />
Il 20 settembre 1960 fu assassinato con nove colpi <strong>di</strong> pistola, mentre<br />
rincasava, Nitto Minasola <strong>di</strong> Monreale: si era trasferito a San Giuseppe Jato<br />
perché là sperava <strong>di</strong> sfuggire alla vendetta. Secondo molte testimonianze,<br />
aveva messo in contatto Pisciotta con i carabinieri e aveva fatto cadere in<br />
trappola anche Mannino, Badalamenti, Madonia. Filippo Riolo, il detenuto<br />
che era stato incriminato per la morte <strong>di</strong> Pisciotta, si aggiunse alla tragica<br />
lista il 29 luglio 1961, fulminato da una scarica <strong>di</strong> pallettoni proprio mentre si
trovava sulla soglia <strong>di</strong> casa. Da non collegare con questa catena <strong>di</strong> morti<br />
misteriose sembra quella, avvenuta per causa naturale, cioè infarto, il 4 luglio<br />
1967, curiosamente a 17 anni esatti dalla sua massima operazione militare,<br />
del generale Ugo Luca, l'architetto della fine del ban<strong>di</strong>to Giuliano. Dopo il<br />
successo della sua azione, si era ritirato in pensione e aveva l'hobby <strong>di</strong><br />
collezionare orologi.<br />
Il 5 maggio 1971 venne assassinato il procuratore della Repubblica <strong>di</strong><br />
Palermo, Pietro Scaglione: con una raffica <strong>di</strong> mitra, mentre percorreva in auto<br />
una via della capitale siciliana. Scaglione era forse depositario <strong>di</strong> un segreto.<br />
Pisciotta lo aveva chiamato nella sua cella pochi giorni prima <strong>di</strong> morire, e gli<br />
aveva forse confidato molte cose sui mandanti <strong>di</strong> Portella e sul ricamo tra<br />
mafia e politica.<br />
Il 26 <strong>di</strong>cembre 1974 vennero massacrati a raffiche <strong>di</strong> mitra Giuseppe Gulino<br />
<strong>di</strong> 71 anni, l'armiere della banda Giuliano, e la moglie Antonina.<br />
Angelo Genovese era uno dei tre famosi fratelli che avevano seguito Giuliano<br />
alla macchia: fu trucidato a colpi <strong>di</strong> lupara sul monte Sagana, teatro delle<br />
gesta del re <strong>di</strong> Montelepre, mentre i suoi fratelli Giuseppe e Giovanni,<br />
ergastolani, avevano già avuto restituita la libertà.<br />
Il 25 maggio 1975 venne ucciso a Palermo Filippo Fazzone; e, nel <strong>di</strong>cembre,<br />
Remo Corrao <strong>di</strong> Corleone, esponenti della banda che erano stati coinvolti nei<br />
sequestri <strong>di</strong> persona che servivano a finanziare l'esercito <strong>di</strong> Giuliano.<br />
L’incre<strong>di</strong>bile lista è completata da Benedetto Pecoraro, assassinato il 28 aprile<br />
1978, e da Vito Sciortino, che lo segue due giorni dopo.<br />
Da questa catena <strong>di</strong> delitti si ricava facilmente che esistono segreti<br />
gelosamente custo<strong>di</strong>ti su quella storia <strong>di</strong> trent'anni fa e che ogni piccolo<br />
spiraglio aperto anche incautamente su quella verità nascosta può costare la<br />
vita dì un uomo. Oppure ci sono vendette che maturano lentamente sotto le<br />
ceneri. «A volte si può essere uccisi per sgarri fatti trent'anni fa», ha detto<br />
Boris Giuliano, capo della Mobile <strong>di</strong> Palermo, ad Adriano Baglivo, un<br />
giornalista del «Corriere della Sera» che ha condotto una documentatissima<br />
inchiesta su questa allucinante sinfonia per un massacro. Ci sono uomini che<br />
sanno certamente, sia dalla parte della legge sia da quella della banda<br />
Giuliano, ma le bocche sono sigillate, com'è nella migliore tra<strong>di</strong>zione.<br />
Giuseppe Genovese, l'uomo che nel 1945 fece incontrare Giuliano con i capi<br />
del separatismo a Sagana, è uscito <strong>di</strong> carcere nel 1966, dopo <strong>di</strong>ciassette anni, e<br />
non ha mai aperto bocca. Gestisce una grossa azienda zootecnica vicino a<br />
Partinico. A chi gli chiede cosa fosse andato a fare Turiddu da Concetto<br />
Gallo, dal duca <strong>di</strong> Carcaci e dal barone La Motta, risponde sorridendo:<br />
«Giuliano venne a Sagana per avere cibo, pane e formaggio. Non dovevano<br />
darglielo? Scortesia sarebbe stata». E non va più in là. Tacciono tutti<br />
appassionatamente : Francesco Tinercia «bastarduni»; Giuseppe Di Misa «lu
figghiu <strong>di</strong> lu zù Michelangelo»; Domenico Di Pretti, che con i fratelli<br />
Cucinella e Vincenzo Sapienza assaltò la sezione comunista <strong>di</strong> Borgetto e che<br />
ora fa il pastore a Montelepre, in mezzo a molta miseria. Francesco Paolo<br />
Motisi appena uscito dal carcere si è trasferito a Genova, sede pre<strong>di</strong>letta da<br />
molti <strong>di</strong> questi ex protagonisti. Francesco Abbate è nella Legione straniera.<br />
Vito Mazzola, già cassiere della banda, che ebbe spesso Giuliano ospite in<br />
casa sua, celato in un rifugio occultato da cacche <strong>di</strong> animali, è uno dei pastori<br />
più ricchi <strong>di</strong> Montelepre. È considerato uno dei massimi testimoni sul fatto<br />
che a Cippi, a fine aprile 1947, si svolse una riunione tra Giuliano, Antonino<br />
Terranova, Frank Mannino, i fratelli Genovese, Pisciotta, Sciortino e<br />
Badalamenti e che in quell'occasione Giuliano <strong>di</strong>sse agli amici che bisognava<br />
svolgere «l'incarico» <strong>di</strong> Portella delle Ginestre. Né si sbottonano Giacomo<br />
Lombardo, il cugino <strong>di</strong> Giuliano, che con la moglie gestisce un negozio <strong>di</strong><br />
alimentari a Palermo, o l'avvocaticchio <strong>di</strong> Castelvetrano, Gregorio De Maria,<br />
che ospitò il ban<strong>di</strong>to per sei mesi nella sua casa ma che sostiene <strong>di</strong> avere<br />
scambiato con lui ogni giorno solo poche parole sui cibi che desiderava per i<br />
pasti. De Maria sottolinea fatalisticamente: «Sono stato vittima della mafia,<br />
alla quale non si può <strong>di</strong>subbi<strong>di</strong>re pena la morte».<br />
Questa presenza oscura e incombente e allucinante della mafia è il leit motiv<br />
della leggenda <strong>di</strong> Giuliano, viva e incomprensibile dopo trent'anni. È la mafia<br />
che cuce le bocche a triplo filo, che sigilla i cuori in un segreto che perdura<br />
oltre la morte. Pino Maretta, l'uomo che forse convinse Giuliano ad andare a<br />
Castelvetrano, scuote la testa: «Avrei tante cose da <strong>di</strong>re, ma finiranno con me<br />
nella tomba». Lui e Ignazio Miceli e Domenico Albano e Nitto Minasela<br />
ebbero probabilmente un ruolo'1 nel mandare il re <strong>di</strong> Montelepre in contro<br />
al suo destino. Ma nessuno <strong>di</strong> essi può parlare. Patti <strong>di</strong> sangue conclusi<br />
trent'anni fa legano questi uomini a una in<strong>di</strong>ssolubile fedeltà. Si sa che<br />
l'allora colonnello Luca aveva arrestato Pino Maretta e lo rilasciò solo quando<br />
questi gli fece «la promessa <strong>di</strong> procurargli cose buone». Giuseppe Cucinella,<br />
scarcerato dopo 23 anni, <strong>di</strong>ce: «Non parliamo del passato, sono solo un<br />
malato». Pietro Lo Bello, panettiere del forno <strong>di</strong> Castelvetrano vicino alla casa<br />
del De Maria, ringrazia ancora oggi dopo trent'anni il cielo, che suggerì a lui<br />
e ai suoi due garzoni <strong>di</strong> non farsi vedere quando sentì trambusto quella<br />
notte. «Se avessi; guardato dentro; quel cortile, forse mi avrebbero ucciso».Il<br />
capitano Perenze ha vissuto in questi ultimi anni a Portici, facendo il<br />
consulente <strong>di</strong> un centro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> religiosi: recentemente si è spostato spesso<br />
tra Napoli e Bari. È fedele anche lui al giuramento del silenzio. Il generale<br />
Paolantonio ha parlato solo con l'Antimafia, ma si fa strada sempre <strong>di</strong> più la<br />
convinzione che nell'Operazione Giuliano egli sia stato il numero uno, ancora<br />
più importante <strong>di</strong> Luca: è un valoroso militare, che si è fatto le ossa in Africa,<br />
è molto astuto e avrebbe infinite cose da raccontare. Ma probabilmente anche
lui porterà il suo segreto nella tomba. Il maresciallo Bicchicchi, dopo varie<br />
peripezie, è approdato a Bergamo e si limita a sorridere dall'alto <strong>di</strong> un viso<br />
arguto e intelligente. «Come fate a pensare», <strong>di</strong>ce, «chele gesta <strong>di</strong> Giuliano<br />
fossero state montate dalla mafia contro le sinistre se tutti gli avvocati degli<br />
uomini della banda Giuliano erano famosi comunisti?».<br />
Accomuna i protagonisti della fine <strong>di</strong> Giuliano un solo tenacissimo<br />
giuramento firmato col sangue. Chi fa torto alla parola data, sia dalla parte<br />
della legge o sia da quella della macchia, sia Fra Diavolo o Javert, sia Robin<br />
Hood o il carabiniere, paga trasformandosi in «cadavere eccellente». E la<br />
prospettiva non piace a nessuno. Perché su tutti i superstiti e sopravvissuti <strong>di</strong><br />
questo mistero <strong>d'Italia</strong> insoluto da trent'anni pesa la male<strong>di</strong>zione del faraone<br />
con la coppola, dell'incre<strong>di</strong>bile Turiddu che, anche lui, si è portato i suoi<br />
segreti nella bara.<br />
Fonte: <strong>Storia</strong> Illustrata, aprile 1979