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TURIDDU 30 ANNI DOPO (di Guido Gerosa, Storia ... - Misteri d'Italia

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Ma Giuliano, nella sua lotta testarda e fanatica, non era da meno. Una volta<br />

gli portarono un ragazzo che era stato scoperto tra le macchie della montagna<br />

mentre osservava i movimenti degli uomini della banda. Il capo lo interrogò,<br />

non riuscì a ottenere nulla da quel giovane che aveva gli occhi fuori dalla<br />

testa per il terrore; alfine, stanco, or<strong>di</strong>nò che si procedesse a formare il<br />

plotone d'esecuzione. Quando il pastorello atterrito fu davanti al manipolo <strong>di</strong><br />

ban<strong>di</strong>ti che spianavano il fucile, Giuliano esclamò a voce altissima: «Io<br />

Salvatore Giuliano ti uccido in nome <strong>di</strong> Dio e del popolo della Sicilia». Sul cadavere<br />

il ban<strong>di</strong>to fece affiggere un cartello: «Così Giuliano tratta le spie».<br />

Così si creava <strong>di</strong> giorno in giorno la leggenda del terribile capobanda. Molte<br />

donne dell'isola, attratte dal fascino romantico del fuorilegge, avrebbero<br />

voluto raggiungerlo in montagna e passare con lui le notti all'ad<strong>di</strong>accio. Ma<br />

Giuliano resisteva loro: si <strong>di</strong>ceva che con immenso ar<strong>di</strong>mento si avventurasse<br />

fino a Palermo, dove in spregio ai carabinieri penetrava in qualche antico<br />

palazzo ed espugnava il letto <strong>di</strong> qualche principessa: nomi <strong>di</strong> nobiltà<br />

auguste, risalenti ai cavalieri Normanni.<br />

Il solo amore che si concesse tra le montagne fu, forse, quello con la<br />

giornalista svedese Maria Cilyacus, che lo raggiunse romanticamente e riuscì<br />

ad intervistarlo.<br />

Nell'introduzione al secondo volume dell'inchiesta della Commissione<br />

Antimafia (1973) si legge: «Giuliano, riuscì a fare, nella sua lunga carriera<br />

criminosa, ben 4<strong>30</strong> vittime, sempre, purtroppo, protetto nell'inaccessibilità del suo<br />

rifugio dalla non malcelata protezione della mafia» . Ma a un certo momento<br />

questa protezione cadde, venne a mancare. Uno degli inquirenti <strong>di</strong> allora ha<br />

ammesso: «Abbiamo preso Giuliano solo quando la mafia lo ha mollato».<br />

Perché la mafia sì fosse schierata a sostegno del ban<strong>di</strong>to, lo abbiamo visto: gli<br />

rendeva servigi troppo preziosi e segnalati. Ma perché lo abbandonò, e da<br />

quale momento preciso? Questo è più <strong>di</strong>fficile a <strong>di</strong>rsi, e i cadaveri <strong>di</strong><br />

quattor<strong>di</strong>ci persone che in un modo o nell'altro stavano fornendo delle chiavi<br />

per capirlo ammoniscono sulla complessità del problema.<br />

Forse la strage <strong>di</strong> Portella delle Ginestre offre qualche in<strong>di</strong>cazione. Il 20 aprile<br />

1947 c'erano state le elezioni regionali e le forze della sinistra coalizzate nel<br />

Blocco del Popolo avevano ottenuto significative affermazioni nel triangolo<br />

Piana degli Albanesi-San Cipirello-San Giuseppe Jato.<br />

Un certo panico aveva cominciato a <strong>di</strong>ffondersi tra i padroni delle masserie, i<br />

latifon<strong>di</strong>sti, i gran<strong>di</strong> agrari. Il 1° maggio 1947, quasi un ammonimento,<br />

avvenne, nella piana <strong>di</strong> Portella delle Ginestre, dove si stava celebrando la<br />

Festa del Lavoro con molti carretti siciliani e con qualche simbolica ban<strong>di</strong>era<br />

rossa, una delle prime stragi della storia italiana del dopoguerra.

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