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8 NEWS 68 IL NEWS TELEGIORNALE IL TELEGIORNALE “ “ LIBERO DI DI PARLARE PARLARE “ “ 

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Aim, 

una storia 

da riscrivere 

pag 3 

Lettera aperta: 

i limiti 

di Beppe Grillo 

pag 6 

Scandalo Fastweb, 

anche in Veneto 

l’ombra del riciclaggio 

pag 8 

n° 185 

6 marzo 2010 

euro 1,00 

ZONE DI ASCOLTO 

CANALE UHF 68 : Vicenza – Treviso – Padova – Venezia – Parte di Verona e Rovigo 

CANALE UHF 28: Arzignano ZONE – Montecchio DI Magg. ASCOLTO – Altavilla Vic.na – Brendola – Lonigo 

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LE UHF 68 : Vicenza – Treviso – Padova – Venezia – Parte di Verona e Rovigo 

CANALE UHF 37: Vicenza centro 

LE UHF 28: Arzignano CANALE UHF 38: – Valdagno Montecchio Magg. – Altavilla Vic.na – Brendola – Lonigo 

Castelgomberto CANALE UHF 47: Caltrano – Trissino – Piovene – Rocchette Altissimo – Cogollo - Crespadoro del Cengio – Arsiero – e Alta Valle Astico del Chiampo 

CANALE UHF 60: Recoaro Terme 

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LE UHF 38: Valdagno Valli del Pasubio – Torrebelvicino 

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Puntuale come le tasse, torna alla carica il coro bipartisan a favore dell’alta velocità ferroviaria 

Ciàcole Sviluppo insostenibile 

Qualche settimana fa Fabio 

Salviato, il fondatore 

di Banca Etica e di Idea 

(la lista politica che risponde 

all’acronimo di Italia democratica, 

etica e ambientalista), 

ci ha detto in un’intervista 

che preferisce parlare 

di crescita sostenibile 

piuttosto che di decrescita. 

Nei giorni scorsi il sindaco 

Variati, parlando di Tav, ha 

sottolineato l’importanza di 

“tenere assieme” sviluppo e 

sostenibilità. 

Quello dello sviluppo sostenibile 

è un leitmotiv che 

si sente sempre più spesso, 

ma che nasconde un enorme 

equivoco di fondo. Per non 

finire come russi e americani, 

che ai tempi della Guerra 

Fredda si ritenevano tutti e 

due depositari dell’autentico 

concetto di democrazia, bisogna 

infatti mettersi d’accordo 

su cosa significhino le 

parole sviluppo e sostenibile: 

se per sviluppo si intende 

la crescita economica e per 

sostenibilità ci si riferisce a 

idee come rispetto per l’ambiente, 

tutela dei diritti delle 

persone, miglioramento della 

qualità di vita, i due concetti 

fanno a pugni. Quindi, 

Cifre e dati alla mano, si tratta di uno spreco gigantesco 

Che finisce dritto nelle tasche dei soliti noti 

o si rivede l’idea di sviluppo, 

slegandola dai suoi risvolti 

economici (ci può essere uno 

sviluppo sociale anche se il 

Pil non cresce), o si rivede, in 

un modo che ci riesce difficile 

immaginare, il concetto 

di sostenibilità (ad esempio 

ipotizzando un modello di 

società sostenibile solo per 

una piccola parte dell’umanità 

- più o meno come quello 

esistente adesso). Una terza 

alternativa non c’è. E i tanti 

proclami sullo sviluppo sostenibile 

sono, nella maggior 

parte dei casi, solo uno specchietto 

per allodole. 

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84

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il fatto 

Finita con una raffica di archiviazioni e con la richiesta di giudizio 

per Rossi, Valle e Giglioli, 

l’inchiesta sull’affare Marghera ha condizionato la storia degli ultimi anni 

Senza renderle completa giustizia 

Direttore Responsabile 

LUCA MATTEAZZI 

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numero 185 del 6 marzo 2010 pag 3 

Aimopoli, 

un gioco durato troppo 

di Alessio Mannino 

Ci sono voluti tre anni per arrivare 

al primo giro di boa 

nell’inchiesta giudiziaria sull’acquisto 

da parte di Aim Bonifiche 

della piattaforma di smaltimento 

rifiuti tossico-nocivi di Marghera. 

La Procura di Vicenza chiede il 

processo per l’ex presidente della 

multiservizi comunale, Beppe 

Rossi (ex An), per il geometra 

Carlo Valle, costruttore già condannato 

per illeciti legati ai rifiuti, 

e per il commercialista Gianni 

Giglioli, ex assessore della giunta 

Variati e più volte advisor per conto 

dell’ex municipalizzata. 

Il processo 

L’accusa è di concorso in truffa aggravata 

e infedeltà patrimoniale, e 

consiste nel descrivere la compravendita 

del sito veneziano come 

un abuso di Rossi, in questo aiutato 

dalla consulenza di Giglioli, che 

avrebbe fatto perdere all’azienda 

del Comune, si legge nel capo 

d’imputazione, 9,5 milioni di euro 

a vantaggio della Servizi Costieri 

di Valle in cambio di un podere a 

Scansano in Maremma del valore 

di 426 mila euro, di cui 271 mila 

sono stati pagati direttamente da 

Valle ai proprietari a luglio 2003 

e il resto, 155 mila euro, da una 

fiduciaria, la Ciprea, dietro cui 

si nascondeva il presidente Aim. 

Rossi contesta questa versione dei 

fatti sostenendo di avere le prove 

del pagamento del casale. Giglioli, 

affermano i pm, tra il 2004 e il 

2005, quindi in anni antecedenti 

all’affare Marghera, ha avuto contatti 

con Valle per due vicende immobiliari 

dalle quali avrebbe ricavato 

294 mila euro. A cavallo fra il 

2005 e il 2006 gli venne affidata 

la perizia sull’impianto, che lui stimò 

in 6,5 milioni di euro al netto 

dei costi di bonifica e smaltimento 

dei rifiuti presenti. Giglioli nega ci 

sia un legame fra i due momenti e 

dichiara di aver agito nell’interesse 

di Aim, non avendogli nessuno 

contestato nel merito il valore della 

perizia e non avendo lui potere 

decisionale. Inoltre rischia il processo 

la cerchia privata di Valle. 

A partire dalla moglie, Giannina 

Novello, amministratore unico 

di Servizi Costieri (fatture false 

per 1,2 milioni) accusata di evasione 

fiscale per continuare con 

la brasiliana Lindeuca De Souza 

(concorso nell’occultamento delle 

scritture contabili di Servizi Costieri) 

e finire con Pierluigi Nardo, 

di Abano, e Alberto Beltrame, 

di Tavullia (Perugia), prestanomi 

di Valle nelle società Immobiliare 

Tre e Cogolo (non avrebbero versato 

188 mila euro di Iva). 

Delinquenti? 

Mentre i “magnifici tre” andranno 

in aula, la posizione della maggior 

parte di coloro che erano finiti nel 

mirino dei magistrati finisce con 

l’archiviazione. Stiamo 

parlando dell’ex 

cda di Aim (Renato 

Bertelle, Sandro 

Bordin, Bruno Carta, 

Silvio Fortuna, 

Alessandro Moscatelli 

e Giuliano 

Tricarico) e dell’ex 

sindaco Enrico Hullweck: 

per tutti loro 

sono cadute le accuse 

di abuso d’ufficio, 

falso in bilancio e 

truffa, anche se avrebbero tenuto 

un comportamento “omissivo” 

ma comunque penalmente non 

rilevante. Di nessuna infedeltà 

patrimoniale dovranno discolparsi 

l’ex consigliere fino al 2004 Alberto 

Filosofo e l’amministratore 

delegato di Ecoveneta, controllata 

della Maltauro socia di San Biago 

in Aim Bonifiche prima dell’acquisto. 

Ora, riflettiamo: a parte 

Rossi (su cui tra l’altro è decaduta 

l’accusa di falso in bilancio), tutto 

il vertice di Aim è risultato inattaccabile. 

Ciò significa che, dal 

punto di vista legale e aziendale, 

tale era anche la gestione dell’ex 

municipalizzata. Sul piano politico 

questo fatto ha un’importanza 

enorme, perché rivaluta l’operare 

del board e del Comune entram- 

Le conseguenze 

politiche 

sono enormi: 

la gestione 

del centrodestra 

va riconsiderata 

bi targati centrodestra, o quanto 

meno azzera la vulgata negativa 

che ha fatto parlare, da autorevoli 

esponenti dell’attuale maggioranza 

di centrosinistra, di “gestione 

delinquenziale”. C’è da ricordare 

inoltre che l’indagine ebbe inizio 

nel 2007 dopo una lettera dei consiglieri 

di amministrazione ch’era 

un vero atto d’accusa verso Rossi. 

Dubbi 

La seconda considerazione va fatta 

sul modus operandi della giustizia 

vicentina. Quasi tre lunghi anni di 

indagini che finiscono nell’archiviazione 

per gran parte dei “pezzi 

grossi”, e il crollo indistinto per 

tutti dell’ipotesi di reato più pesante 

sotto il profilo aziendale, il falso 

in bilancio, non sono certo vittorie 

di cui andar fieri. Come non sono 

medaglie da appuntarsi sul petto 

i trattamenti riservati a Giglioli, 

Lombardi e Filosofo. 

Di questi fino a chiusura 

indagine non 

si sapeva che erano 

indagati, il primo in 

truffa aggravata e infedeltà 

patrimoniale 

e gli altri due solo per 

quest’ultima. Lo si è 

venuto a sapere solo a 

cose fatte, anzi a cose 

archiviate. Le loro 

dichiarazioni rilasciate 

come persone 

informate dei fatti cos’erano: testimonianze 

o interrogatori? La differenza 

non è di lana caprina, perché 

mentre sulle prime incombe la 

minaccia di falsa testimonianza, 

nei secondi uno può anche rifiutarsi 

di rispondere (o, se gli servisse 

per la propria difesa e si trattasse 

di un lestofante, per dire tutte le 

bugie che vuole). 

Un’altra storia 

«Mi devo ricredere sulla giustizia, 

anche se i tempi sono stati lunghi 

e questa inchiesta, secondo la mia 

analisi, ha inciso sulle elezioni 

amministrative di due anni fa». 

Così al Giornale di Vicenza l’ex 

consigliere Bruno Carta (4 marzo 

2010). Ora, a parte che lui stesso, 

assieme ai colleghi di partito 

Moscatelli o Bordin (sono tutti 

Pdl ex Forza Italia), probabilmente 

hanno dovuto rinunciare alla 

politica per tutto questo tempo 

proprio a causa delle accuse pendenti 

sulle loro teste, sicuramente 

questa caccia al colpevole finita a 

mezzo è stata la mini, anzi micro 

Mani Pulite della Vicenza di questi 

anni. Perché ha condizionato 

fortemente (anche se non decisivamente: 

il Dal Molin ha pesato di 

più) il voto comunale del 2008, facendo 

apparire un logoro centrodestra, 

per giunta guidato da una 

spocchiosa Sartori, compromesso 

con un certo affarismo senza 

scrupoli, e il centrosinistra pulito 

come un manto candido. Intendiamoci: 

lo scrivemmo allora e lo 

scriviamo adesso, Rossi aveva un 

approccio avventuristico che lo 

portò a moltiplicare i tentacoli di 

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Collaborano: 

ANDREA ALBA 

ALBERTO BELLONI 

FRANCESCO CAVALLARO 

FEDERICA CEOLATO 

GIULIANO CORÀ 

FRANCESCA DANDA 

FRANCESCO DI BARTOLO 

ANDREA FASULO 

GIULIA GALVAN 

GIOVANNI MAGALOTTI 

GIANCARLO MARCOTTI 

MARCO MILIONI 

ROBERTA PILEGGI 

ANDREA RAGAZZI 

MATTEO RINALDI 

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Impaginazione e grafica 

Mosè Foto Design 

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Giornale chiuso in redazione alle 

ore 12,00 di giovedì 4 marzo 2010. 

Aim creando un’holding caotica 

ed esposta ai conflitti d’interesse 

(a cominciare da quello suo con 

Stabila). Ma dov’era allora Dario 

Vianello, uomo vicino a Variati, 

allora direttore generale e oggi 

ancora e sempre dirigente di Aim? 

E gli altri dirigenti, e i sindaci, e 

insomma tutta la catena tecnica di 

comando? E il centrosinistra che 

sponsorizzava Giglioli e poi l’ha 

scaricato, perché non mosse un 

dito nel denunciare il piano gas 

portato al cda di Aim a fine 2006 

dall’altro advisor, Maurizio Borra 

(anche lui di Forza Italia ma considerato 

vicino ad alcuni poteri 

forti), un ben architettato disegno 

di svendita ad una cordata privata 

capeggiata dalla Valbruna del 

comparto energetico, che è quello 

che tiene in piedi coi suoi profitti 

tutta la baracca di San Biagio? 

Stampa 

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di Luca Matteazzi 

Se c’è un progetto che viaggia a 

velocità da lumaca, è proprio 

quello per la realizzazione della 

linea ferroviaria ad alta velocità. 

Se ne parla ormai da vent’anni e, 

almeno per quanto riguarda il Vicentino, 

ancora non si vede una 

soluzione o una decisione condivisa. 

Tra tunnel chilometrici, deviazioni 

a sud dei Berici, passaggi su 

viadotti a fianco dell’autostrada e 

polemiche varie, si fa presto a perdere 

il conto delle proposte gettate 

in mezzo alla mischia. Proviamo 

allora a fare un po’ di chiarezza 

sullo stato dell’arte. 

La situazione nazionale 

In Italia la prima linea veloce è 

stata la Direttissima tra Firenze e 

Roma, che all’epoca era addirittura 

una novità a livello europeo. Il 

primo tratto fu infatti inaugurato 

nel 1977, anche se poi per vedere 

completati tutti i circa 260 chilometri 

del percorso bisognerà attendere 

fino al 1992. Nello stesso 

periodo, cioè agli inizi degli anni 

90, prende il via anche l’operazione 

alta velocità di cui si discute 

ancora oggi. Il progetto complessivo 

prevede oltre 1200 chilometri 

di nuove linee ferroviarie lungo 

le principali direttrici della penisola: 

dalla Sicilia e dalla Puglia 

si risale verso Nord passando per 

Napoli, Roma, Firenze e Bologna, 

fino a Verona (da cui si dovrebbe 

proseguire verso l’Austria e 

la Germania), Milano e Torino 

(punto di collegamento verso la 

Francia). La Torino - Trieste taglia 

invece in modo trasversale tutta 

la pianura Padana, inserendosi 

nel famoso corridoio 5 europeo, 

quello che dovrebbe mettere in 

comunicazione Kiev con Lisbona. 

Con i lavori ultimati nello scorso 

dicembre tra Novara e Milano e 

tra Milano e Bologna, sono at- 

primo piano numero 185 del 6 marzo 2010 pag 4 primo piano numero 185 del 6 marzo 2010 pag 5 

tualmente in funzione circa 900 

chilometri di linee ad alta velocità, 

quasi tutti collocati sull’asse 

Torino Salerno: le altre tratte, e in 

particolare quelle che riguardano 

il Nordest, sono ancora in fase di 

progettazione. 

Il nodo veneto 

Uno dei nodi più intricati da 

sciogliere è proprio quello che 

riguarda il passaggio nella zona 

di Vicenza. Stretta tra i Berici e i 

Lessini, la nostra città si trova in 

un imbuto già intasato di infrastrutture 

(ferrovia tradizionale, 

autostrada, tangenziale), capannoni 

e abitazioni: un ingorgo in 

cui individuare un varco per i 

nuovi binari è quasi 

impossibile. L’ultima 

proposta, elaborata 

dall’amministrazio- 

ne Hullweck e che 

aveva trovato un sostanziale 

appoggio 

da parte della Regione, 

prevedeva di 

superare i nodi più 

critici facendo correre 

i treni superveloci 

in tunnel: un prima 

galleria sotto Altavilla, 

un’altra sotto 

la città con tanto di stazione sotterranea, 

una terza per bypassare 

Lerino e Torri di Quartesolo. Peccato 

che Trenitalia, da quest’orecchio, 

non ci abbia mai sentito più 

di tanto, e non abbia mai fatto mistero 

di preferire la soluzione più 

economica (ma molto più pesante 

come impatto) dell’affiancamento 

alla linea classica. Per esaudire i 

desiderata vicentini, infatti, i già 

astronomici costi dell’operazione 

(2,7 miliardi di euro per la tratta 

tra Verona e Venezia) sarebbero 

lievitati di qualche altro centinaio 

di milioni. Non a caso è ancora 

tutto fermo. 

Le ragioni del sì 

Eppure il coro dei sostenitori è 

ben nutrito. E canta un ritornello 

senza stonature: l’alta velocità 

Alta velocità, 

numeri contro 

In Francia 

l’alta velocità 

costa 15 

milioni al km 

In Italia 

ne costa 45 

è essenziale per restare collegati 

ad una realtà internazionale che 

si muove a ritmi sempre più sostenuti, 

per non restare esclusi 

dai grandi flussi di persone e di 

merci del futuro. “Aumentare la 

quantità e la qualità e dell’offerta 

ferroviaria italiana e l’integrazione 

con la rete europea , contribuire 

al riequilibro del sistema dei 

trasporti italiano oggi fortemente 

squilibrato a favore della strada: 

sono questi i fondamentali obiettivi 

dell’ Alta Velocità/Alta Capacità 

italiana”, si legge nella presentazione 

di Rfi, la società che 

gestisce la rete ferroviaria italiana. 

E poco oltre si aggiunge che 

“le nuove linee - parte integrante 

delle reti di comunicazione 

e trasporto 

transeuropee programmate 

dall’inizio 

degli anni ‘90 a livello 

comunitario - rappresentano 

un tassello 

fondamentale 

dei piani di sviluppo 

dell’infrastruttura 

ferroviaria italiana 

e si accompagnano a 

importanti interventi 

di riorganizzazione 

trasportistica e di 

riqualificazione delle aree attraversate: 

nuove stazioni, servizi 

ferroviari regionali e metropolitani, 

itinerari dedicati alle merci”. 

A sua volta il sito di Trenitalia 

sottolinea orgogliosamente come 

“la nuova rete Alta Velocità, amica 

del clima e dell’ambiente, riduce 

i consumi e le emissioni di 

gas serra e di anidride carbonica: 

per ogni passeggero-chilometro, 

i treni producono 44 grammi di 

anidride carbonica contro i 118 

dell’auto, i 140 dell’aereo e i 158 

dei camion. Nel 2008, in Italia, 

sono state 27mila le tonnellate 

in meno di anidride carbonica riversate 

nell’aria. Un risultato ottenuto 

grazie all’incremento dei 

passeggeri sia dei treni Alta Velocità 

sia dei convogli del trasporto 

metropolitano e regionale”. 

Viene presentata come un’opera fondamentale 

per non perdere il treno dello sviluppo 

Ma ha costi esorbitanti, e molto spesso vantaggi minimi 

Tutte le cifre della Tav, e la situazione del tratto vicentino 

...e quelle del no 

Poi c’è quello che di solito non 

viene detto. A partire dall’impatto 

ambientale, in alcuni casi 

disastroso (per avere conferma, 

chiedere alle vallate dell’Appennino 

dove i trafori per la Tav hanno 

fatto sprofondare le sorgenti d’acqua), 

per arrivare ai costi, che in 

Italia sono completamente fuori 

controllo. In un’audizione al Senato 

del 2007, l’amministratore 

delegato delle Ferrovie dello Stato 

Mauro Moretti ha portato questi 

dati: in Francia i 1500 chilometri 

di linee ad alta velocità sono 

costati, mediamente, 10 milioni 

di euro al chilometro, mentre gli 

altri 1000 che sono in fase di progettazione 

costeranno 13 milioni 

al chilometro; in Spagna il costo 

medio è di 9 milioni al chilometro 

per le tratte già realizzate, e 

di 15 per quelle in programma; in 

Italia si parla di 32 milioni al chilometro 

per quanto già costruito, 

e di 45 milioni al chilometro per 

quanto resta da fare. Quattro volte 

tanto. E sono cifre che in molti 

giudicano ottimiste, perché non 

terrebbero conto delle spese necessarie 

per le infrastrutture che 

accompagnano la Tav, spese che 

sono invece conteggiate all’estero. 

L’ingegner Ivan Cicconi, una 

delle voci critiche più autorevoli 

quando si parla di Tav, ha calcolato 

il costo della Torino - Napoli in 

60 milioni di euro al chilometro, 

quello della Milano - Novara in 

quasi 80 milioni al chilometro, e 

quello della Bologna - Firenze in 

quasi 100. “Abissale anche la distanza 

tra i tempi di realizzazione 

- ha scritto nel 2006 L’Espresso 

-. La linea Tokio-Osaka (550 km) 

ha richiesto 3,5 anni per la progettazione 

e 6,2 anni per la realizzazione, 

la linea Parigi-Lione 

(417 km) ha richiesto 4,5 anni per 

la progettazione e 7,9 anni per la 

realizzazione, la linea Madrid- 

Siviglia (471 km) ha richiesto 3,8 

anni per la progettazione e 7,2 

anni per la realizzazione. I 78 km 

della Bologna-Firenze hanno ri- 

chiesto 10,7 anni per la progettazione 

e si stima che richiederanno 

12,9 anni per la realizzazione. Non 

vanno molto meglio le cose per la 

Roma-Napoli che ha richiesto 8,2 

anni per la progettazione e sta richiedendo 

12,5 anni per la realizzazione”. 

Cui prodest? 

Insomma, l’alta velocità richiede 

tempi biblici e una montagna 

di soldi (pubblici). Che ne valga 

davvero la pena, però, è tutto da 

dimostrare. Per un vicentino, ad 

esempio, con la Tav cambia poco o 

nulla. Le stazioni di Padova e Verona 

sono troppo vicine, e i treni 

ad alta velocità funzionerebbero 

a pieno regime solo per una manciata 

di chilometri, con guadagni 

di tempo del tutto irrisori. Per 

raggiungere Milano con gli attuali 

Frecciabianca sono necessari, orari 

di Trenitalia alla mano, un’ora e 

50 minuti: per approdare a Venezia 

Santa Lucia ci vogliono invece 

44 minuti. Se anche ci fosse l’alta 

velocità i tempi di percorrenza resterebbero 

praticamente invariati. 

Di più: i vecchi intercity degli 

anni ‘90 (oggi praticamente scomparsi, 

al pari degli interregionali, 

per la gioia delle migliaia di pendolari 

che si trovano costretti a 

scegliere tra regionali sempre più 

lenti ed Eurostar sempre più cari), 

ci mettevano più o meno lo stesso 

tempo; in alcuni casi anche di 

meno. Il fatto è che i treni ad alta 

velocità possono essere vantaggiosi 

soprattutto quando coprono 

distanze medio-lunghe (qualche 

centinaio di chilometri) senza 

troppe fermate intermedie. Come 

in Francia, dove il Tgv ci mette 

circa due ore a percorrere i 557 

chilometri che separano Parigi da 

Valence, praticamente senza mai 

fermarsi. Da noi invece si dilapidano 

migliaia di milioni di euro 

per guadagnare decine di minuti, 

un’ora quando va bene. Con un 

meccanismo perverso che conviene 

molto ai costruttori, poco ai 

normali utenti. 

flickr.com/ yisris 

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Non passa mese che quelle facce 

di bronzo dei politicanti, 

degli industriali affamati e dei 

giornalisti in livrea non saltino 

fuori con l’ennesima proposta, 

l’ennesimo “fare squadra”, l’ennesimo 

appello perché la Tav si 

faccia e passi per Vicenza. E’ una 

grande bufala succhia-soldi, l’Alta 

Velocità ferroviaria, ma il coro 

dei bugiardi non fa che applicare 

la regola aurea della propaganda: 

mentire mentire mentire così 

che la menzogna diventi l’unica 

verità (Joseph Goebbels, uno che 

se ne intendeva). Magari c’è pure 

chi sostiene la Tav in buona fede, 

perché crede per davvero che sia 

“necessaria allo sviluppo”. Come 

Roberto Zuccato, presidente della 

Confindustria berica, che qualche 

giorno fa ha rilanciato il tema proponendo 

il passaggio del tracciato 

fra l’autostrada A4 e la stazione 

ferroviaria del capoluogo. Gli si 

sono subito accodati il consigliere 

provinciale del Pd, Matteo Quero, 

e la sua associazione liberalprogressista 

“Nessuno escluso”, 

e immancabile il sindaco Achille 

Variati, che come sempre si è appellato 

a Provincia, Camera di 

Commercio, categorie economiche 

e Comuni interessati dando 

la stura al solito balletto autoreferenziale 

di dichiarazioni dai risvolti 

pratici pari a zero. Vediamo 

allora di schiarire le idee a costoro 

(ma anche al centrodestra, la Tav 

è un dogma bipartisan) sul meccanismo 

diabolico che invece di 

portare sviluppo, cioè quattrini, 

alla collettività, glieli saccheggia 

da vent’anni, nella decerebrata indifferenza 

dei più e nella squallida 

complicità dei pochi - i pochi che 

ci fanno la cresta. 

Corruzione 

A ideare la maxi-operazione Tav 

fra gli ultimi anni ’80 e i primi ’90 

fu un’allegra combriccola di manager 

e politici tutti di lì a poco affogati 

nell’inchiesta Mani Pulite: 

l’allora ministro del Bilancio Paolo 

Cirino Pomicino, autore dell’architettura 

finanziaria; Lorenzo 

Necci, ex presidente Enimont a 

capo delle Ferrovie; Pierfrancesco 

Pacini Battaglia, faccendiere sodale 

di Necci, al centro di un giro 

miliardario di mazzette alla Guardia 

di Finanza. Sono loro a creare 

la Tav Spa nel 1991, strombazzata 

come una società prevalentemente 

privata quando invece altro non 

era che una controllata pubblica, 

dato che la maggioranza era detenuta 

da Fs e istituti di diritto pubblico 

e il 60% del finanziamento 

era coperto dallo Stato, che garantiva 

sia la restituzione che gli 

Sì alla Tav? 

La grande bugia 

Le origini dell’Alta Velocità ferroviaria svelano cosa c’è dietro all’opera bipartisan: 

una gigantesca truffa che saccheggia soldi pubblici da venti anni 

interessi dei prestiti bancari. Ed 

è sempre loro la firma del sistema 

con cui vengono affidate le concessioni 

ai privati: i “general contractor”. 

Si tratta di concessionari 

scelti in base a “trattativa privata”, 

cioè senza una gara trasparente. I 

prescelti sono tre, un privato e due 

pubblici: Cogefar-Impresit (Fiat, 

oggi Impregilo di Benetton-Ligresti-Gavio), 

Iritecna (Iri, oggi Fintecna, 

sempre statale), e Snam- 

Progetti (Eni). Il meccanismo di 

concessione si basa su un trucco: i 

concessionari hanno tutti i poteri 

di committenti pubblici - progettazione, 

eventuali espropriazioni 

di terreni privati, direzione lavori 

- ma non la gestione dell’opera. 

Ossia non devono badare a come 

reperire le risorse per coprire 

le spese. Tanto, paga Pantalone. 

Cioè lo Stato. Quel 60% di finanziamenti 

dovrebbero arrivare da 

prestiti da ripagare con le future 

entrate dell’opera una volta andata 

in attivo. Ora, in questi 16 anni 

di bilanci in attivo non se ne sono 

visti per il semplice fatto che la linea 

italiana a tutt’oggi è ancora in 

gran parte incompleta. 

Speculazione 

Dietro alle tre Grandi Sorelle Iri, 

Eni e Fiat c’è una schiera numerosa 

e affamata di gruppi industriali 

legati fra loro in tutti i grandi business 

delle costruzioni, come il Pon- 

te sullo Stretto e le basi americane: 

dalle imprese del recentemente 

scomparso Marcellino Gavio (Itinera, 

Impregilo) alle cooperative 

rosse (CCC, CMC), dalla Pizzarotti 

al gruppo Caltagirone, da Maltauro 

alla Astaldi, solo per fare i nomi 

più grossi. E chi è chiamato a garantire 

la mega-speculazione per 

lo Stato? Il professor Romano Prodi, 

fino al 1989 presidente dell’Iri, 

carica che occuperà di nuovo nel 

1993. A sovrintendere alle nuove 

stazioni (i nodi) fu invece designata 

Susanna Agnelli, sorella di Giovanni 

l’Avvocato, presidente Fiat. 

Iri e Fiat: due dei grandi general 

contractor. Si succedono i governi, 

e nessuno fa una piega di fronte 

al disastro finanziario di una Tav 

malnata. Amato, Ciampi, Berlusconi 

e il “garante” Prodi: tutti a 

coprire il costo spaventoso per la 

collettività che cresce di anno in 

anno, come un tumore. “Nel 1997 

una stima realistica e attendibile 

pubblicata da esperti del settore 

costruzioni segnala l’aumento 

spaventoso dei costi: per le sole 

tratte ferroviarie si è già passati da 

18.000 a 55.000 miliardi di lire, 

per i nodi (cioè le nuove stazioni) 

da 2.000 a 15.600 miliardi, per 

le infrastrutture aeree da 1.200 

a 5.800 miliardi, per il materiale 

rotabile da 4.800 a 11.600 miliardi. 

Dunque, nel 1997 si è già a una 

previsione di più di 88.000 mi- 

liardi per i soli aspetti costruttivi” 

(Ivan Cicconi, ‘La storia del futuro 

di Tangentopoli’, 1998). Il sottosegretario 

Visco ha quantificato in 13 

miliardi di euro il debito dal 2002 

al 2005. Procedendo a spanne e 

per difetto, si può calcolare in oltre 

100 miliardi i soldi pubblici polverizzati 

dal 1991 a oggi. 

Che schifo 

Di riffa o di raffa, a guadagnarci 

finora sono stati sono loro, i privati. 

Che hanno realizzato, come 

abbiamo visto, molto poco. Ma 

hanno lucrato tanto, tantissimo, 

semplicemente limitandosi 

all’intermediazione finanziaria: 

se lo Stato stanzia, poniamo, 100 

milioni per un pezzo di tratta, il 

contractor si prende, per ipotesi, 

il 10%, e il restante lo mette a 

disposizione dei subappaltatori. 

Fine del lavoro. E il finanziamento 

a pioggia continua (nel 2008 il 

Financial Times ha calcolato che 

se si andasse avanti, i contribuenti 

italiani dovrebbero sborsare 

altri 47 miliardi), mentre i politici, 

questa gentaglia che dovrebbe 

rappresentare gli interessi dei 

cittadini, presentano la Tav come 

un’opera imprescindibile. Sì, per i 

profitti di appaltatori che s’ingrassano 

semplicemente trattenendo 

una quota dagli stanziamenti senza 

dover muovere una sola ruspa. 

Fanno schifo. 

flickr.com/francesco c

focus 

Grillo, l’azione è nulla 

senza pensiero 

L’11 marzo il comico e blogger d’assalto è a Vicenza 

per sostenere la sua lista per le regionali 

Lettera aperta sui limiti 

di un tentativo positivo ma senza sbocchi 


Caro Beppe, 

ti do del tu perché in questi 

anni, leggendo quotidianamente 

il tuo blog, mi sei diventato amico. 

Ho condiviso molte tue battaglie, 

il V-Day 1 e 2, la denuncia della 

corruzione mai morta e della partitocrazia 

sempre viva, l’appoggio 

ai genuini movimenti popolari No 

Tav, No Discariche e naturalmente 

No Dal Molin, l’appello per una 

democrazia dal basso, la sensibilità 

verso la decrescita. Meno il tuo 

approccio tecnologico al problema 

ambientale (l’idrogeno, che stupidaggine), 

il tuo fiancheggiamento 

dell’Italia dei Valori finito, com’era 

prevedibile, in una cocente delusione, 

la tua amnesia del criminale 

signoraggio bancario, un generale 

“minimalismo” che ti porta a 

occuparti di questioni specifiche 

senza affrontare quella centrale 

e decisiva: la rivolta contro un 

sistema per intero sbagliato, folle, 

oppressivo, che ha nell’economia 

del profitto la sua logica e nella 

tecnologia, soprattutto informatica, 

la sua arma più forte. Ma, 

comune cittadino incazzato come 

sono, mi starai sempre simpatico 

perché sei uno dei pochi che chiama 

le cose col loro nome e dà voce 

all’anelito di liberazione da questa 

farsa altrimenti nota come Italia. 

Pifferai magici? 

Ti scrivo, però, per ragionare e 

fare un bilancio della tua attività, 

secondo la mia modesta opinione. 

Beppegrillo.it è la punta 

di diamante di un antisistema 

d’opinione che sfrutta la libertà e 

l’economicità di internet per fare 

il controcanto all’establishment 

politico e giornalistico. I vari Travaglio, 

Gomez e Corrias, i Giulietto 

Chiesa e il suo Megachip, i 

Massimo Fini e il suo Ribelle (anche 

nostro, visto che ci scriviamo), 

le Randazzo, i Blondet, i Ricca, i 

Comedonchisciotte, Luogocomune 

e Disinformazione sono i nomi 

e le sigle più note di questo vasto 

arcipelago di guastatori dell’agorà 

mediatica. C’è chi li chiama “professionisti 

dell’indignazione”. 

Intenti a lucrare onori, gloria e 

quattrini dall’industria della denuncia, 

facendo credere che basti 

non perdersi un’invettiva web 

contro lo scandalo del momento 

per avere la sensazione di essere 

“presente” nella lotta alle ingiustizie 

e mettersi così la coscienza 

a posto. E’ l’accusa che l’ex inviato 

della trasmissione Report, Paolo 

Barnard, muove ai “paladini 

dell’antisistema”, secondo lui colpevoli 

di atrofizzare il bisogno di 

cambiamento dell’uomo comune 

ingolfandolo di libri, inchieste, 

dvd e articoli a tambur battente. 

Una gran cassa oziosa e controproducente 

per Barnard, che invece 

vorrebbe vedere informazione 

capillare sul territorio e riconquista 

da parte del singolo cittadino 

a farsi da sé la propria idea della 

società, togliendone la delega a 

pochi pifferai magici. Indubbiamente, 

questa dell’individuo indignato 

e impotente è una realtà. 

Abbeverarsi a fonti che divulgano 

ma non quagliano, è un esercizio 

frustrante. Ma ci sono due controobiezioni. 

La prima è che tutto ciò 

che smaschera, demistifica, destabilizza 

crea l’humus fertile per 

allargare le maglie della sfiducia. 

Dopotutto siamo in guerra contro 

un nemico inafferrabile e insidioso, 

il mito, sapientemente fatto 

introiettare fin da piccoli, che 

non esiste miglior modello di vita 

e miglior organizzazione politica 

all’infuori di questi a cui offriamo 

ogni giorno le terga. 

Azione! 

La seconda obiezione ci porta 

dritto all’altra faccia della medaglia: 

l’azione. Grazie a internet 

non siamo mai stati così ricchi di 

informazione critica, con un clic 

sul computer si aprono enciclopedie 

di sapere e di protesta. Eppure 

tutto scorre e resta così com’è. E 

noi, ancorchè ribollenti di sdegno, 

in fin dei conti siamo tutti intenti 

a sbrigare le nostre faccende: fine 

dell’impegno. Eppur qualcosa si 

muove. La nostra penisola è costellata 

di volonterosi attivisti che 

si battono per un problema preciso 

(gli ambientalisti, ad esempio) 

o per una battaglia-cardine (la decrescita, 

il signoraggio) o è disseminata 

di ribelli, i più agguerriti e 

intrisi di spirito comunitario, che 

lottano per l’autonomia (gli indipendentisti 

sardi, siciliani, veneti, 

friulani, ecc) o che fronteggiano la 

grande opera piombata dall’alto 

con la resistenza di popolo, i vari 

movimenti del No. E’ soprattutto 

a questi ultimi che si deve guardare, 

a queste sentinelle del no che 

è un sì: sì alle piccole patrie e alla 

dignità della vita. Perché sono la 

prima, grezza e informe base di 

una nuova coscienza libera dalla 

gabbia della destra e della sinistra. 

Perché, indignati come sono, 

agiscono, scendono in strada e si 

riprendono la piazza, luogo principe 

della democrazia. Sono vivi, 

per dio. E fanno circolare il sangue 

non solo nel cervello, ma là 

dove ce n’è più disperatamente bisogno: 

nei muscoli, nelle braccia, 

nelle gambe. 

Il salto 

Il movimentismo dei cento comuni 

e dei mille borghi d’Italia è 

benedetto. Così come è benemerita 

la spinta a riappropriarsi della 

politica, messa in campo anche da 

te, Beppe, con le liste civiche ispirate 

al tuo blog e innestata sui tuoi 

meetup attivi un po’ dappertutto. 

E’ il bisogno di democrazia diretta 

- ovvero l’unica e vera democrazia. 

Ma, caro Beppe, se prendiamo 

il programma a cui si ispirano i 

candidati del MoVimento a 5 Stelle 

per le regionali di fine marzo, 

leggiamo dell’acqua pubblica, del 

verde urbano, della mobilità ecosostenibile, 

del risparmio energetico, 

della connessione gratuita, 

di “rifiuti zero”, di favorire le 

produzioni locali e del telelavoro. 

Molto di condivisibile (il primato 

del pubblico, l’ottica di decrescita, 

l’attenzione all’ambiente) e qualcosa 

no. Lavorare attaccati al pc di 

casa, per dire, incatena il poveraccio 

alla macchina, quando lo scopo 

finale dovrebbe essere liberarsi 

della macchina. Ma è pur vero 

che qui si sta parlando di punti 

programmatici per delle elezioni 

flickr.com/cinemich 

r e g i o n a - 

li, non di 

una palingenesi 

sociale. E allora ok, incoraggiamo 

i giovani grillini che, 

scusate il berlusconismo, scendono 

in campo. Sono per lo più ragazzotti 

acerbi che del “nemico” 

(i partiti e il clientelismo locale) 

sanno poco o nulla. Si faranno le 

ossa, ma tu, Beppe, e la potente 

Casaleggio Associati che ti consiglia, 

dovreste sapere che molti di 

loro se le sono rotte già alle amministrative 

del 2008, quando la 

loro impreparazione ha dovuto 

fronteggiare i mastini della partitocrazia. 

Classico esempio di 

come l’azione senza il pensiero 

non porti da nessuna parte. Tanto 

è vero che poi, scegliendo di non 

scegliere l’opposizione radicale a 

questo sistema, sei rimasto d’un 

botto deluso da Antonio Di Pietro 

che si allea - questa volta “strategicamente” 

- col repellente Partito 

Democratico e accetta candidature 

rivoltanti come quella dell’inquisito 

De Luca in Campania. Da 

Travaglio, che è un liberaldemocratico 

tutto d’un pezzo, possiamo 

aspettarci la sfuriata sul solo 

peccato di lesa legalità. Ma da te, 

Beppe, che te la prendi, a ragione, 

coi partiti in quanto tali e che dici 

chiaro e tondo che la nostra non è 

una democrazia, inseguire ancora 

un certo collateralismo con l’Italia 

dei Valori conferma che il salto 

d’immaginazione non l’hai fatto. 

Non è che poi ci voglia molto: 

finchè la baracca parlamentarista 


| In alto, Beppe Grillo in piazza Navona. 

Sotto, il comico con i giornalisti Massimo Fini e Marco Travaglio 

starà in piedi, ogni reale opposizione 

rimarrà tagliata fuori. E’ il 

totem delle elezioni in mano ai 

partiti-mafie a renderla impossibile, 

poiché ad ogni voto scatta 

l’obbligo a-morale di parteciparvi. 

Con questo non vogliamo dire che 

fra i grillini così come fra i dipietristi 

non vi siano persone di tutto 

rispetto, anzi. Sono forse il meglio 

che c’è nel recinto partitocratico. 

Ma sempre dentro quel recinto 

operano e si dannano, puntellandolo 

anziché abbatterlo. 

Uomini veri 

Ecco perché ci sembra di dover 

dire che il grande limite dell’esercito 

mediatico da te simboleggiato, 

caro Beppe, è involontario, storico, 

umano: l’assenza di idee forti 

e alternative a tutto questo sistema 

di vita. E idee forti non ce n’è 

perché a mancare sono gli uomini. 

Gli uomini veri: forti e animati da 

ideali, con la passione per il senso 

ultimo delle cose. Di qui il fatto 

che di azione se ne veda poca, o rimanga 

circoscritta alle questioni 

locali e settoriali. Per forza: le fa 

difetto una direttrice di pensiero, 

un retroterra culturale (un’ideologia, 

si sarebbe detto una volta). 

Non c’è una visione del mondo realmente 

alternativa. Non c’è una 

prospettiva a lungo termine. Sia 

chiaro: non siamo nostalgici degli 

“ismi” otto-novecenteschi. Ma ci 

manca, e tanto, la nobiltà di aspirazioni 

che solo obiettivi più importanti 

delle nostre piccole, misere 

esistenze, possono infondere. 

flickr.com/yellow cat 

flickr.com/jurko87 

flickr.com/fabio 

focus 

di Giulio Todescan 

Dimenticate le avvincenti 

nottate raccontate in «Er- 

Medici in prima linea». Il mondo 

dell'ospedale visto dagli infermieri 

è tutt'altro: tanta fatica, 

stipendio basso e uno scarso riconoscimento 

sociale. Un ritratto 

della categoria che si ritrova 

nel libro scritto da Moreno De 

Munari, infermiere al San Bortolo 

dal 1989 e sindacalista del 

Nursind (il sindacato degli infermieri) 

che ha «svuotato il sacco» 

scrivendo «Noi infermieri. I 

supereroi silenziosi della sanità 

italiana», stampato a sue spese 

e poi venduto come il pane tra i 

reparti dell'ospedale vicentino. 

Settecento copie vendute solo fra 

i colleghi di Vicenza, e un altro 

migliaio distribuite in tutta Italia 

durante congressi e assemblee 

sindacali. «Il libro è nato a 

febbraio del 2009, quando sono 

stato fermo a casa in malattia 

per dieci giorni, e per la normativa 

Brunetta dovevo stare fra le 

mura domestiche dalle otto di 

mattina alle otto di sera - racconta 

De Munari -. Così ho preso 

carta e penna e mi sono sfogato 

di vent'anni di lavoro al San Bortolo, 

reparti pronto soccorso, rianimazione 

e poi chirurgia». 

Per le Elezioni al Consiglio Regionale Veneto 

28 - 29 marzo 2010 

scrivi 

Beraldin 

BERALDIN 

(preferenza unica) 

la tua ragione in regione 

www.mauroberaldin.it 


San Bortolo, infermieri in prima linea 

Turni e straordinari 

L'input è venuto da una trasmissione 

televisiva, «L'infedele» di 

Gad Lerner, dove si parlava del 

mestiere di infermiere in termini 

un po' troppo «leggeri». «A quella 

trasmissione hanno parlato solo 

dirigenti, nessun vero infermiere 

turnista, e siamo rimasti indignati 

- prosegue De Munari -. Il “turno” 

nel nostro lavoro significa lavorare 

sette ore al pomeriggio, poi altre 

sette la mattina del giorno dopo, 

e altre sette la notte. Accade fra le 

sei e le otto volte al mese per ognuno 

di noi: il contratto nazionale 

prevederebbe 36 ore settimanali, 

ma gli straordinari sono la norma 

perché il personale manca. Con il 

nuovo contratto si prevedono straordinari 

fino a 480 ore all'anno, 

quando nel vecchio contratto il 

massimo era 280. E questi straordinari 

vengono pagati molto poco: 

l'indennità di disagio, prevista per 

quando si lavora nei giorni festivi o 

in orari notturni, è ferma dall'aprile 

del 1990, al decreto De Lorenzo: 

17 euro lordi per l'intera giornata di 

lavoro, una miseria». 

Infermieri in fuga 

Il problema, denunciato da anni 

dal sindacato, è la strozzatura al 

mestiere di infermiere che parte 

dall'Università: «Il paradosso è 

che per una figura professionale 

di cui c'è estremo bisogno permane 

il numero chiuso - dice Andrea 

Gregori, segretario del Nursind a 

Vicenza -. In Europa solo Italia, 

Spagna e Grecia hanno più medici 

che infermieri, in tutti gli altri 

paesi è il contrario, lo dicono i 

rapporti dell'Ocse. In Italia mancano 

almeno 60 mila infermieri, 

e le regioni più in sofferenza sono 

Lombardia e Veneto». 

De Munari arriva a parlare di 

«fuga dal San Bortolo»: «In tutta 

l'Ulss 6 ci sono circa 1300 infermieri, 

ma essendo a maggioranza 

donne ci sono circa 70 maternità 

all'anno, con grandi disagi per le 

continue sostituzioni. Per questo 

negli ultimi anni molti fuggono 

dal San Bortolo: persone con 15 o 

20 anni di esperienza si licenziano». 

Una situazione di disagio che 

si scontra con un'immagine spesso 

distorta da parte dei pazienti: 

«Ci sono parenti di pazienti che 

ci chiedono se abbiamo studiato 

per fare il nostro lavoro, come non 

sapessero che per diventare infermieri 

bisogna avere una laurea 

triennale, che comprende esami e 

tirocini in ospedale» dice De Munari. 

«Gli infermieri gestiscono 

apparecchiature molto complesse, 

che spesso nemmeno i medici 

sanno usare, eppure un infermiere 

dopo vent'anni di servizio guadagna 

metà di un medico al primo 

giorno di lavoro». 

Vicenza e Lonigo 

Negli ultimi giorni la situazione si 

In un libro del sindacalista Moreno De Munari 

il ritratto di una professione sottovalutata 

Tante fatica, straordinari sottopagati e pochi riconoscimenti 

E, a Vicenza come a Lonigo, alcune situazioni critiche 

è fatta tesa in due realtà del vicentino, 

il San Bortolo e l'ospedale di 

Lonigo (Ulss 5). A Vicenza il Nursind 

ha minacciato lo sciopero per 

la situazione creatasi nel reparto di 

cardiochirurgia: «Esiste un protocollo 

firmato a febbraio in Prefettura 

- spiega Andrea Gregori - che 

stabilisce che dopo il primo giorno 

post-operatorio il paziente possa 

sostare nell’area semi-intensiva, 

per essere trasferito, nei giorni 

successivi, nel reparto di degenza. 

Dallo stato di agitazione dichiarato 

a febbraio ad oggi, però, tale protocollo 

è rimasto inapplicato e ci 

troviamo a fare i conti con lo spostamento 

immediato dei pazienti 

in reparto, dove non possono essere 

assicurate, in sicurezza, le cure 

del caso». Si fanno tre operazioni 

quasi ogni giorno, denuncia il 

sindacato, intasando il reparto di 

terapia intensiva dove il paziente 

operato viene portato poco dopo 

l'intervento al cuore: un reparto 

che conta dieci posti letto, ma per il 

turn-over vorticoso molti pazienti 

ancora non pienamente stabilizzati 

vengono portati alla degenza, dove 

c'è un solo infermiere a controllare 

tredici posti letto. «Faremo una 

manifestazione per informare i cittadini 

dei rischi che corre chi viene 

operato» dice Gregori. 

Altra situazione critica quella di 

Lonigo, un ospedale di fatto «dimezzato», 

dove sono pochissimi i 

reparti attivi. «E' uno dei pochissi- 

mi ospedali dove vengono assunti 

infermieri attraverso subappalti 

alle cooperative. Sono quasi tutti 

stranieri, non abbiamo nulla 

contro di loro, ma la qualità del 

servizio è diversa: hanno problemi 

con la lingua nel capirsi con i 

pazienti, e non hanno una formazione 

omogenea con i colleghi italiani» 

dice il sindacalista. Inoltre 

in questo ospedale compiti tipici 

degli infermieri vengono affidati 

agli operatori socio sanitari (Oss), 

una figura intermedia creata dalla 

regione Veneto con corsi di formazione 

professionale. «È intollerabile 

- prosegue il segretario - che 

agli operatori sociosanitari venga 

richiesto di somministrare la terapia 

orale prescritta. Di tale fatto 

avviseremo con tempestività il 

Collegio degli Infermieri di Vicenza, 

in quanto tale situazione mette 

a rischio la salute del paziente». 

D'altra parte agli infermieri si assegnano 

mansioni come l'uso delle 

apparecchiature POCT per gli esami 

ematici. «Sono strumentazioni 

che dovrebbero essere adoperate 

unicamente da personale del laboratorio 

biomedico, appositamente 

formato. Una situazione grave, 

che ci ha indotto a procedere con 

delle cause contro l’Azienda Ulss 

n. 5, poiché tale metodica viene 

applicata a tutti i pazienti che si 

presentano al pronto soccorso, 

con un potenziale bacino d’utenza, 

quindi di rischio, elevatissimo». 

Mauro 

BERALDIN

IL “CASO” MONTECCHIO E’ 

UN’INVENZIONE 

La fiaccolata dello scorso 1 marzo 

a Montecchio Maggiore ha finalmente 

dimostrato come quello 

sulle delibere relative ai parametri 

abitativi per l’idoneità alloggio 

fosse un falso problema. Su di 

esso è stata costruita una querelle 

esclusivamente politica, diretta 

da coloro che dalla delibera non 

sono in alcun modo toccati. 

Tra le molte dichiarazioni rilasciate 

dagli autori di tali polemiche 

ci sono due aspetti importanti 

che sono stati intenzionalmente 

omessi: ossia che la delibera adottata 

dalla mia giunta lo scorso 

luglio, poi confermata a dicembre, 

non introduce nulla di nuovo 

bensì riporta ai criteri già in 

uso a Montecchio Maggiore fino 

al 2006, parametri che la precedente 

amministrazione ha arbitrariamente 

deciso di cambiare 

per favorire l’insediamento degli 

immigrati nella nostra città, come 

appunto è avvenuto negli ultimi 

anni. 

Il “caso” Montecchio Maggiore è 

una mera invenzione, creata ed 

utilizzata da una certa parte politica 

per accattivarsi il favore degli 

stranieri: molti altri comuni della 

nostra Provincia quali Thiene, 

Piovene Rocchette, Rosà, Castelgomberto, 

Brendola e Sarego, e 

della nostra Regione, tra cui anche 

importanti città capoluogo quali 

Verona, Treviso e Rovigo, fanno 

riferimento come Montecchio 

Maggiore ai parametri abitativi 

regionali per l’edilizia residenziale 

pubblica. L’improvvisa apparizione 

di Ousmane Condè quale portavoce 

delle istanze degli immigrati 

castellani è presto spiegata: Condè 

è venuto a Montecchio Maggiore 

focus numero 185 del 6 marzo 2010 pag 8 economia&mercati numero 185 del 6 marzo 2010 pag 9 

Montecchio, stranieri in sciopero 

Opinioni a confronto 

Il primo cittadino Milena Cecchetto: “La manifestazione è stata un flop” 

L’ex sindaco Maurizio Scalabrin: “Sulle abitazioni la Lega fa solo propaganda” 

solo per tentare di raccogliere 

qualche volto in vista 

delle prossime elezioni 

regionali. Quindi quella del 

1 marzo va letta per quello 

che è: una semplice manifestazione 

pre elettorale. 

Attualmente a Montecchio 

risiedono circa 4000 stranieri. 

Eppure, gli organizzatori 

della fiaccolata hanno 

predisposto dei pullman per essere 

sicuri di avere un certo numero 

di manifestanti, dichiarando poi 

orgogliosamente che i partecipanti, 

molti dei quali italiani, sono 

giunti addirittura da Schio, Bassano, 

Thiene, Valdagno. Quella dei 

numeri era senza dubbio una preoccupazione 

comprensibile. Ma 

allora dov’erano gli immigrati di 

Montecchio Maggiore? Perché non 

sono scesi in piazza a manifestare? 

Paradossalmente, in piazza si sono 

visti proprio coloro che hanno contribuito 

a creare questo disastro 

sociale-amministrativo: i precedenti 

amministratori Scalabrin, 

Romio, Pilati e Valerio! 

Gli stranieri non sono stati i protagonisti 

della manifestazione 

di Montecchio Maggiore perché 

sanno di essere stati usati come 

strumento di propaganda politica, 

dei cui benefici non sono -e non lo 

saranno certo nel futuro- i fruitori. 

La sinistra e i sindacati hanno 

inventato un problema attraverso 

il quale fare la solita propaganda 

populistica, alla quale gli immigrati 

che lavorano si sono rifiutati 

di aderire. Quelli che hanno scioperato 

lunedì 1 marzo non sono 

rappresentativi di quella parte di 

stranieri che quotidianamente lavora, 

manda regolarmente i figli a 

scuola e rispetta le leggi del Paese 

al quale hanno chiesto ospitalità. 

| L’ex sindaco Maurizio Scalabrin (a destra nella foto di sinistra) 

e l’attuale sindaco Milena Cecchetto 

Anche il numero delle fiaccole preparate 

la dice lunga: 800. Evidentemente 

l’aspettativa degli stessi organizzatori 

non era poi molto alta! 

Milena Cecchetto, sindaco 

di Montecchio Maggiore 

RISPETTARE LE PERSONE 

ED I DIRITTI 

La definizione dei parametri abitativi 

ha sempre generato a Montecchio 

una discussione ideologica. 

Io vorrei invece spiegare concretamente 

come l’amministrazione di 

Montecchio Maggiore da me guidata 

dal 2004 al 2009 si è mossa 

rispetto alla questione migranti. 

Alla data della mia elezione gli 

stranieri a Montecchio erano oltre 

2800 su una popolazione di circa 

22500 abitanti. In cinque anni la 

popolazione di Montecchio è arrivata 

a circa 24 mila e gli immigrati 

sono cresciuti di circa 1400 unità. 

Risultato di ricongiungimenti familiari 

e di circa 500 bambini nati 

da genitori stranieri. 

Su molte questioni come sanità, 

viabilità, gestione delle acque, politica 

energetica e dei rifiuti, difesa 

del suolo, miglioramento della 

qualità dell’aria, la mia amministrazione 

ha cercato collaborazione 

con la confinante Arzignano, 

città di analoghe dimensioni. An- 

che sulle questioni sociali 

ed in particolare nella 

gestione della “questione 

extracomunitari” Montecchio 

ed Arzignano hanno 

lavorato insieme per favorire 

l’integrazione, per 

promuovere pratiche di buona 

convivenza tra italiani e stranieri, 

per intervenire in situazioni 

di disagio, per risolvere questioni 

di condominio, per esercitare le 

necessarie pressioni e controlli 

consentite dalle leggi al fine di 

tutelare il rispetto delle leggi e la 

tutela dei cittadini onesti. 

Sul tema “parametri abitativi” abbiamo 

constatato che avevamo delibere 

differenti. Abbiamo esteso la 

ricognizione anche ad altri centri 

di grande dimensione come Schio 

e Vicenza ed abbiamo deciso di 

adottare una delibera comune con 

gli stessi parametri abitativi al fine 

di scongiurare che ci potesse essere 

una migrazione di stranieri da 

un centro ad un altro alla ricerca 

di parametri “ più generosi”. 

Così Arzignano, Montecchio, 

Schio e Vicenza hanno uniformato 

i parametri. Ricordo che all’epoca 

Vicenza era amministrata dal 

centrodestra ed assessore alle politiche 

sociali era il signor Piazza 

espresso dalla Lega. 

Montecchio non ha adottato parametri 

migliorativi. Anzi. Più di una 

famiglia che prima era con l’abitazione 

a posto ha dovuto affrontare 

spese per metterla in condizione 

di rispettare i nuovi parametri. Il 

fatto “anomalo” è che gli stessi parametri 

che nelle altre tre città non 

hanno sortito il ben che minimo 

motivo di contrasto politico e sono 

| Migranti in piazza in una delle manifestazioni del primo marzo 

tuttora rimasti vigenti, anche se 

sono nel frattempo cambiati i colori 

e gli attori delle amministrazioni. 

Solo a Montecchio la Lega ha 

utilizzato questo pretesto, negando 

anche l’evidenza dei fatti concreti, 

per fare propaganda. 

Ora che hanno cambiato parametri 

danneggiando i molti cittadini 

italiani possessori di appartamenti 

che hanno perso la possibilità 

di mantenere inquilini ed 

affitti, non tengono conto che se si 

andasse a controllare le abitazioni 

anche degli italiani, molte situazioni 

risulterebbero irregolari. 

Ricordo che stiamo parlando 

esclusivamente di stranieri perfettamente 

in regola. Vorrei che 

non si facesse la solita confusione 

tra regolari ed irregolari, persone 

per bene e malfattori, chi crea 

problemi e disagi e chi invece ha 

solo la sfortuna di essere nato in 

paesi senza lavoro e senza speranze. 

L a tristezza e la rabbia che abbiamo 

provato quando nei decenni 

passati i nostri emigranti non 

erano trattati in modo dignitoso e 

che ci prende quando ancora oggi 

ci apostrofano con “italiani pizza e 

mafia” dovrebbero consigliarci ad 

affrontare i problemi per quello 

che sono: problemi, a volte difficili 

da affrontare, ma sempre legati 

a persone. Che devono rispettare 

le nostre leggi ma che hanno il diritto 

di essere rispettati come persone 

e garantiti nei diritti stabiliti 

dalla nostra Costituzione. 

Maurizio Scalabrin, 

sindaco di Montecchio tra il 

2004 e il 2009 

Truffa Di Girolamo, Marchi e la politica veneta 

L 

’affaire Fastweb-Di Girolamo, 

uno dei maggiori casi di 

riciclaggio della storia italiana, 

arriva in laguna. Tramite la Credinvest, 

un istituto di credito di 

Lugano che vede tra i suoi soci 

di spicco, tramite la finanziaria 

Finint, quell'Enrico Marchi amico 

personale di Giancarlo Galan 

governatore uscente del Veneto. 

Assieme al socio Andrea De Vido, 

Marchi puntava ad avere una banca 

in Svizzera come base operativa 

per cartolarizzare i crediti degli 

imprenditori veneti. E ha scelto 

Egobank SA, la banca dell’avvocato 

e futuro senatore Nicola Di 

Girolamo, oggi in carcere, poi ri- 

battezzata Credinvest. In cui lavoravano 

alla direzione generale 

Pierluigi Guarneri e Marco Castiglioni, 

amici di Augusto Murri, per 

i pm un uomo-chiave della gigantesca 

truffa, imprenditore da tempo 

residente fra l’Africa, «dove è 

stato coinvolto in un’indagine per 

omicidio», e Panama, dove è «intestatario 

e fittizio gestore delle 

società utilizzate per giustificare 

il carosello finanziario». Acquisito 

il 43% delle azioni (il resto non 

si sa di chi sia), Marchi e gli altri 

proprietari hanno sloggiato Guarneri, 

Castiglioni e Di Girolamo, 

finiti nel mirino della Finma, l’autorità 

di vigilanza elvetica. E chi ti 

vanno a mettere in sostituzione di 

Guarneri come direttore generale? 

Ma Mauro Scalfi, ai tempi di Gianpiero 

Fiorani a capo della Bipielle 

Suisse, ovvero della filiale svizzera 

crocevia delle manovre illecite della 

Popolare di Lodi. 

Una vicenda dai contorni opachi 

e dalle ombre sospette, come si 

vede. Che investe in pieno, anche 

se indirettamente, la politica 

veneta. Il finanziere alter-ego di 

Galan, infatti, annovera fra le sue 

amicizie quella di Fabio Gava (assessore 

galaniano, uno dei pezzi 

da novanta di Fi e poi del Pdl nel 

Veneto), nonché quella di Niccolò 

Ghedini, avvocato del premier 

Silvio Berlusconi e plenipotenziario 

del Pdl regionale. Fin dal 

2000 è Marchi ad essere al vertice 

di Save, la società che controlla lo 

scalo aeroportuale di Venezia, il 

quarto per importanza nel Paese. 

Ma tra gli addetti ai lavori Marchi 

è conosciuto soprattutto come 

vicepresidente di Veneto Banca, 

per le sue liason con la famiglia 

Ligresti, con il gruppo Generali e 

per aver appunto creato la Finint, 

merchant bank con base a Conegliano 

attraverso la quale controlla 

Save. Per di più Finint è fra i 

soci di Ferax, il “salottino buono” 

della finanza del Nordest nel quale 

figurano la vicentina Palladio 

Finanziaria, Veneto Banca nonché 

la famiglia Amenduni (Acciaierie 

Valbruna). Così quando 

il Corriere della Sera del 1° marzo 

ha acceso i riflettori sui proprietari 

di Credinvest, tra Venezia, 

Treviso e Vicenza più di qualcuno 

ha sgranato gli occhi. Secondo la 

Direzione distrettuale antimafia 

di Roma, infatti, la banca svizzera 

di Marchi «era una delle "centrali" 

del flusso di riciclaggio e spartizione 

del denaro tra i membri 

della banda delle frodi telefoniche». 

Non diciamo Galan, ma almeno 

Bortolussi se non Zaia non 

hanno niente da dire, a riguardo? 

Alessio Mannino 

ViPiù economia&mercati 

2009, 

anno tragico 

ma non troppo 

Dai dati Istat arriva una fotografia impietosa: 

Pil in caduta libera, indebitamento alle stelle, occupazione in crisi 

In realtà, a confronto con gli altri paesi, l’Italia regge l’urto della crisi 

Preoccupano però le carenze strutturali: che potrebbero causare forti tensioni sociali 

di Giancarlo Marcotti 

La grande stampa italiana, praticamente 

all’unanimità, ha 

usato toni catastrofici quando lo 

scorso 2 marzo ha commentato i 

dati macroeconomici più importanti, 

relativi all’anno 2009. A fornire 

i valori ufficiali, come sempre, 

l’Istituto Centrale di Statistica 

che ha reso noto, 

oltre al Pil, anche 

l’indebitamento netto 

ed i dati sul mer- 

cato del lavoro. La 

carta stampata non 

è andata troppo per 

il sottile: il termine 

più utilizzato nei confronti 

del nostro Pil 

è stato “crollo”, mentre 

l’indebitamento 

“schizza” all’insù ed 

il tasso di disoccupa- 

Nei prossimi 

anni 

lo scontro 

generazionale 

non potrà 

che acuirsi 

zione “s’impenna”. Insomma, un 

quadretto niente male. 

Ma sono stati davvero così negativi 

i risultati macroeconomici 

dell’azienda Italia? 

Per rispondere seccamente potremmo 

dire: in termini assoluti 

sì, in termini relativi no. Magra 

consolazione, direte. Forse, ma le 

statistiche vanno soprattutto lette 

facendo dei raffronti, altrimenti 

potrebbero portare a conclusioni 

fuorvianti. 

Pil a confronto 

Cerchiamo quindi di fare un’analisi 

comparata e, compatibilmente 

con i limiti umani, obiettiva. 

Partiamo dal Pil: -5%. L’ultimo 

rilevazione si fermava a -4,9%, 

quindi il consuntivo è risultato 

peggiore, ma in modo frazionale. 

E poi siamo in buona compagnia, 

visto che hanno avuto 

un decremento analogo 

anche la Germania, 

il Regno Unito 

ed il Giappone, tutte 

nazioni i cui governi 

hanno potuto sostenere 

l’economia, con 

interventi pubblici, 

in maniera molto più 

massiccia rispetto a 

quanto fatto dal nostro 

Paese. 

I risultati migliori 

sono stati ottenuti dagli Stati 

Uniti (-2,4%) e, soprattutto, dalla 

Francia (-2,2%). Occorre però sottolineare 

che al di là dell’Atlantico 

l’impatto sociale della crisi è stato 

devastante, mentre i transalpini 

hanno fatto largo uso di sgravi fiscali, 

in particolare sull’Iva, diminuendo 

così in modo significativo 

le entrate tributarie, misura che 

noi non potevamo permetterci. 

Anzi, la nostra pressione fiscale 

è persino aumentata (al 43,2% 

rispetto al 42,9%), ma esclusivamente 

per le imposte in conto capitale 

(in pratica lo scudo fiscale). 

Consumi, debito, occupazione 

Naturalmente anche i consumi 

sono calati (-1,9%), ma in misura 

molto inferiore rispetto al Pil. 

Gli investimenti sono diminuiti 

del 12,1% ed hanno riguardato un 

po’ tutti i settori; ancora maggiore 

il calo delle esportazioni (-19,1%). 

In questo contesto il nostro deficit 

(differenza da entrate ed uscite 

nell’anno) si è attestato al 5,3% 

del Pil, un dato che qualche anno 

fa avrebbe fatto inorridire gli economisti, 

ma che oggi è risultato 

essere uno dei migliori a livello 

continentale. Basti pensare che 

Spagna, Regno Unito e naturalmente 

la Grecia hanno terminato 

il 2009 con una percentuale negativa 

“double digit” (a doppia cifra), 

cioè superiore al 10%! 

Nonostante ciò, purtroppo, restiamo 

recordman per quanto riguarda 

il debito complessivo che 

quest’anno si è attestato al 115,8% 

del Pil. Per fare un raffronto, la 

tanto bistrattata Grecia supera di 

poco il 110% e la Spagna non arriva 

all’80%. 

Infine i dati sul mercato del lavo- 

ro, che vedono l’Italia fra i Paesi 

più virtuosi. Il tasso di disoccupazione 

si è infatti fermato all’8,5%, 

rispetto ad una media europea del 

9,9%. A preoccupare però il Bel 

Paese è il sottoindice dei giovani 

in cerca di lavoro (26,8%). 

Benedetta parsimonia 

Letti in questo modo i dati italiani 

non sfigurano in ambito continentale, 

a maggior ragione se si tengono 

in considerazione i valori di 

partenza pre-crisi. 

Ciò è stato reso possibile, in particolare, 

da una caratteristica del 

nostro Paese: lo scarso livello di 

indebitamento delle famiglie. A 

tal proposito, ora fa quasi sorridere 

ricordare come, solo un paio 

di anni fa, si citava questa idiosincrasia 

all’indebitamento delle famiglie 

italiane come il fattore che 

maggiormente frenava il nostro 

sviluppo. Benedetta parsimonia! 

E’ proprio vero come in economia 

ogni comportamento ha sempre 

due risvolti, complementari fra 

loro: ciò che può essere letto come 

un difetto, in un contesto differente, 

diventa un pregio e viceversa. 

Generazioni contro 

C’è però un fattore sul quale storicamente 

siamo sempre stati deboli, 

ci riferiamo al tasso di crescita. Le 

motivazioni che stanno alla base di 

| Manifestanti in strada ad Atene: 

un’avvisaglia di quanto potrebbe succedere anche in Italia? 

questa “anemia” sono molteplici, 

in particolare due sono i macigni 

che gravano sulla nostra capacità 

di ripresa: il debito pubblico e la 

situazione pensionistica. 

Il nostro, si sa, è un Paese vecchio 

(secondo solo al Giappone) quindi la 

necessità di un ricambio generazionale 

nel sistema economico è sentita, 

ma si scontra con l’esigenza di 

prolungare l’attività lavorativa delle 

persone attualmente impiegate per 

non fare andare fuori controllo il sistema 

previdenziale: un cul de sac 

dal quale è difficile uscirne. 

Lo scontro generazionale, nei 

prossimi decenni, non potrà che 

acuirsi ed è bene non sottovalutare 

questo problema. Per questo 

ritengo siano completamente da 

censurare espressioni come bamboccioni, 

soprattutto da parte di 

uomini politici “attempati” che dovrebbero 

avere a cuore il futuro del 

nostro Paese. 

Attribuendo scarsa intraprendenza 

ad una intera generazione si 

ottiene soltanto un aggravamento 

delle tensioni sociali, che, a lungo 

andare, potrebbero anche sfociare 

in violenza. Da questo punto di 

vista la situazione greca sarà un 

banco di prova importante ed un 

monito per tutte le altre economie 

del Vecchio Continente che, prima 

o poi, dovranno affrontare seriamente 

il tema delle riforme sociali. 

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lettere 

Candiollo, il GdV, gli insulti ai colleghi 

La replica di Franzina 

Lo storico e consigliere provinciale risponde all’intervista all’ex redattore 

“Mai collaborato col Giornale di Vicenza, e mai offeso nessuno 

Non sono un energumeno della penna” 

Egregio Signor Direttore 

in un brillante articolo su quei 

“tipacci dei giornalisti” descritti 

attraverso i ricordi di un ex caposervizio 

del “Giornale di Vicenza”, 

che a leggerlo anche di corsa fa il 

verso ai classici pezzi corporativi 

usi a comparire con cadenza più o 

meno ventennale sul difficile mestiere 

del cronista, Alessio Mannino 

idealizza, com’era ed è suo 

diritto, la figura del signor Gianfranco 

Candiollo del quale riporta 

fra virgolette molte affermazioni 

testuali. Mannino è un giovane in 

gamba e sa come si scrive. Tant’è 

che ne esce un quadretto accattivante 

(sigarette e caffè a profusione, 

ore piccole in attesa dell’uscita 

dei primi esemplari ecc. ecc.) sulla 

falsariga dell’archetipo del genere 

ovvero della fortunata commedia 

di McArthur ed Hecht che dopo il 

suo debutto nel 1929 divenne famosa 

nel giro di dieci anni in tutto 

il mondo grazie a varie riprese cinematografiche. 

Probabilmente fu la penultima di 

tali riprese a consacrare, nel 1974, 

il cliché del reporter di qualità 

eretto a simbolo del giornalismo 

dell’era preinformatica. Prima pagina 

di Billy Wilder 

si avvaleva dell’apporto 

impareggiabile 

di Jack Lemmon e 

di Walther Mathau 

che solo alla lontana 

potrebbero però far 

venire in mente una 

qualche assonanza 

con il giornalista di 

provincia impersonato 

e raccontato 

dal signor Candiollo 

(non siamo all’Urlo 

di Paperopoli, ma quasi). Cinematograficamente 

parlando, 

del resto, è lo stesso Mannino a 

tirare in ballo, per introdurre il 

discorso su di lui, la più modesta 

figurina del sor Perozzi, uno dei 

personaggi di Amici miei, il film 

del 1975 di Mario Monicelli alla 

cui atmosfera bonaria Mannino 

sembra ispirarsi. E passi dunque 

l’arrendevolezza con cui egli accoglie 

le opinabili interpretazioni 

del signor Candiollo sulla natura e 

sul ruolo in città del “Giornale di 

Vicenza” dall’inizio degli anni settanta 

alla fine dello scorso secolo 

quando, per qualche tempo, l’ex 

caposervizio si trovò a ricoprire 

posti d’una certa responsabilità. 

Non posso 

tollerare 

insinuazioni 

e accuse 

infondate 

Su questo penso dovranno interrogarsi 

gli storici ma potrebbero 

già pronunciarsi sin d’ora quelli 

che c’erano. 

Fatalità vuole che nella duplice 

veste io mi ritrovi in grado di dissentire 

da Mannino e soprattutto, 

s’intende, da Candiollo che personalmente 

non ho mai conosciuto e 

con il quale meno che meno ho intrattenuto 

rapporti. Se non che, e 

qui sta il punto della mia doglianza, 

costui mi attribuisce colpe e 

comportamenti che non ho avuto 

nella maniera più assoluta. Vale la 

pena di riportare il brano virgolettato 

con cui Candiollo si slancia 

moralisticamente in una interessante 

invettiva nella quale vengo 

due volte preso di mira e, a mio 

modesto avviso, anche non poco 

diffamato. Intanto la premessa 

relativa, presumo, agli anni ’90 

e ai primi anni del nuovo secolo 

quando lui sarebbe stato il talent 

scout delle pagine culturali del 

quotidiano confindustriale dopo 

le direzioni Brugnoli, Gervasutti 

(Sergio), Formenti e Allione: “Erano 

già finiti i tempi in cui in consiglio 

comunale c’erano Bandini, 

o Rainaldi, o Neri Pozza e tutti li 

stavano ad ascoltare. 

C’era rispetto per le 

intelligenze. Oggi i 

partiti questo rispetto 

non l’hanno più.” 

Come ex consigliere 

comunale di questa 

nuova epoca concordo 

in larga parte, ma 

aggiungerei anche 

che il rispetto è venuto 

a mancare prima 

di tutto da parte dei 

giornalisti di professione. 

E infatti ecco cosa aggiunge 

“in corsivo”, con l’aiuto di Mannino, 

il memorialista di se stesso: 

“ Gli unici a cui [Candiollo] non 

davo la parola per precisa scelta 

erano coloro che muovevano attacchi 

personali, che insultavano i 

colleghi. Giolo o Emilio Franzina, 

ad esempio, non li feci più scrivere”. 

Del professor Giolo ignoro quali 

saranno le reazioni, ma per quanto 

mi concerne desidero replicare 

alle oltraggiose e menzognere 

affermazioni del signor Candiollo. 

Se l’italiano ha un senso ne 

deduco due cose. Primo che io 

avrei collaborato al “Giornale di 

Vicenza” su invito e al servizio di 

Candiollo quanto meno durante 

le direzioni Bacialli e Riva. E secondo, 

fatto assai più grave, che 

mi sarei distinto per attacchi e addirittura 

insulti ai danni d’imprecisati 

“colleghi”. Ora si dà il caso 

che per trent’anni e più io abbia 

collaborato sì a giornali vicentini 

-dal “Sospiro del Tifoso” a “Nuova 

Vicenza” al “2000” ecc. -, di alcuni 

dei quali anzi, “Giornale di Vicenza” 

in testa, come studioso dei 

secoli XIX e XX ho anche scritto 

la storia, per alcune fasi della loro 

esistenza, in libri e saggi ampiamente 

documentati (visto poi, sia 

detto en passant, che all’Università 

insegno ad anni alterni proprio 

Storia del Giornalismo). Nel “Giornale 

di Vicenza”, però, non ho mai 

scritto una riga e giammai ad esso 

ho collaborato salvo che nel corso 

di un brevissimo periodo all’inizio 

della gestione Antonacci, fra il 

2004 e il 2005, con una manciata 

di articoli (meno di una decina in 

totale) nell’ingenuo tentativo, di 

cui mi pento e addirittura con me 

stesso mi vergogno, di rompere 

un isolamento che in città mi penalizzava 

pesantemente. 

In quarantaquattro anni devo 

avere avuto spazio, nel suddetto 

“Giornale di Vicenza” - tramite 

interviste o brani tolti da miei 

libri - sì e no un’altra decine di 

volte. Ai Direttori del quotidiano 

poi, in questo stesso arco di tempo, 

ho mandato se va bene appena 

due lettere, una nel 1966 alla quale 

rispose (prendendomi in giro) 

l’allor giovine redattore Giuseppe 

Brugnoli, solo per difendere l’iniziativa 

con cui avveniristicamente 

m’ero sognato di organizzare al 

Menti uno dei primi concerti rock 

“da stadio” che si fossero tenuti in 

Italia e l’altra due anni fa contro 

gli spropositi del commissario di 

governo Paolo Costa, lettera che 

però l’ineffabile Giulio Antonacci 

si guardò bene dal pubblicare 

come ho di recente ricordato e 

spiegato in dettaglio nel mio libro 

giornale “Vicenza Libera” (giugno 

2009). E allora dov’è che avrei offeso 

e insultato qualcuno? Chi me 

ne chiese conto sporgendo querele? 

E’ in grado il signor Candiollo 

di dare una risposta in proposito o 

devo desumere che stia perdendo 

vistosamente i colpi? 

Ci sarebbe ampio margine adesso, 

tuttavia, per una querela da 

parte mia nei suoi confronti tanto 

più che i danni proprio così si 

fanno accreditando cioè immagini 

sbadatamente o vigliaccamente 

appiccicate addosso alle persone 

senza possibilità di replica. Non 

accetto nel modo più assoluto di 

essere raffigurato come un energumeno 

rissoso della penna. Sono 

uno studioso e un docente universitario 

con una sua decorosa 

reputazione scientifica, sono un 

cittadino di Vicenza (per quanto 

tempo ancora non so) che ha sempre 

battagliato per impegno civile 

prima che politico fin tanto che è 

esistita una certa libertà di stampa 

e sono, da ultimo, anche un 

pubblico amministratore i cui atti 

e i cui gesti aderiscono al mandato 

di chi mi ha eletto ed esprimono 

compiutamente il senso (e i limiti) 

del mio coinvolgimento nella lotta 

politica così orrendamente degradata 

di questo momento storico. 

Non posso accettare né tollerare 

di essere impunemente fatto og- 

numero 185 del 6 marzo 2010 pag 10 cultura numero 185 del 6 marzo 2010 pag 11 

| Emilio Franzina 

getto di insinuazioni e di accuse 

infamanti e del tutto infondate. 

Ne prenda atto il signor Candiollo 

e si comporti di conseguenza 

scusandosi anche se le sue parole 

fossero state magari fraintese o 

mal riferite da Alessio Mannino. 

Oppure, in alternativa, documenti 

le sue affermazioni, esse sì insultanti 

e relative a una mia presunta 

collaborazione al suo “Giornale 

di Vicenza”, contro la cui inconsistenza 

malevola ho ritenuto qui di 

dover protestare in maniera, e qui 

sono io a scusarmi, solo a prima 

vista filologicamente pedante. 

Emilio Franzina 

Su tutto quanto Franzina scrive a 

proposito di Candiollo e del Giornale 

di Vicenza, sarà Candiollo, 

se lo riterrà opportuno, a rispondere. 

Da parte mia, vorrei chiarire 

solo un punto. Limitandomi a 

fare l’intervistatore, ho riportato 

(secondo Franzina, e di questo lo 

ringrazio, in modo “brillante”) i 

ricordi personali dell’intervistato. 

Ma non c’è proprio nessuna 

“arrendevolezza”. Non c’è primo 

perchè in un articolo aneddotico, 

dal taglio biografico e non politico, 

non c’era motivo per cui il 

sottoscritto andasse a chiosare 

o correggere le opinioni in esso 

contenute; secondo, perchè chi 

scrive è uno dei pochi, assieme 

allo stesso Franzina, che in questi 

anni ha criticato apertamente 

il giornale più importante della 

città. Perciò, caro Emilio, la tua 

legittima critica a me, che corporativo 

mi pare proprio non esserlo, 

mi pare fuori contesto, e anche 

un po’ ingenerosa. 

(a.m.) 

ViPiù cultura 

Jacopo Bassano, 

il genio della porta accanto 

Al museo civico di Bassano una mostra 

su uno dei più grandi innovatori dell’arte veneta 

Realista e visionario al tempo stesso, 

lavorò quasi sempre in una realtà di provincia 

Ma seppe ritagliarsi uno spazio tra i mostri sacri del suo tempo | Qui sopra L’Adorazione dei Magi arrivata da Birmingham; 

al centro La fuga in Egitto, che invece appartiene alla collezione del museo bassanese 

Dopo Palladio, ora tocca a Jacopo 

Bassano. Dopo l’architetto 

capace di inventare uno stile 

copiato in tutto il mondo, il pittore 

che dalla periferia della Serenissima 

seppe rivaleggiare con 

i grandi della sua epoca. A poco 

più di dodici mesi dalla chiusura 

della mostra per i cinquecento 

anni della nascita di Andrea Palladio, 

si aprono le celebrazioni 

per un altro cinquecentenario di 

un’altra nascita illustre, quella di 

Jacopo Da Ponte, collocata in un 

anno ancora imprecisato attorno 

al 1510. A Bassano è stata infatti 

inaugurata proprio in questi giorni 

la mostra “Jacopo Bassano e 

lo stupendo inganno dell’occhio”, 

che resterà aperta al Museo Civico 

fino al prossimo 13 giugno, e 

che segna l’avvio di un triennio di 

appuntamenti dedicati ad uno dei 

più originali innovatori di tutta la 

pittura veneta, considerato il più 

grande pittore della realtà prima 

di Caravaggio. 

La vita 

Figlio di un pittore (Francesco Da 

Ponte), e capostipite di una dinastia 

di pittori (i figli Francesco, 

Giambattista, Leandro e Gerolamo 

seguiranno tutti le sue orme e 

terranno in vita l’attività della fiorente 

bottega), Jacopo ha affinato 

il mestiere come apprendista alla 

scuola veneziana di Bonifacio de’ 

Pitati. Tornato a Bassano, riesce 

ad ottenere importanti commissioni 

pubbliche per le maggiori 

autorità civili e religiose, tanto 

da essere ben presto identificato 

con il nome della città e da essere 

esentato più volte dal pagamento 

delle tasse “per l’eccellenza della 

sua arte”.La sua pittura, mai 

uguale a se stessa, è caratterizzata 

da un continuo sperimentare, 

tanto che la critica ha individuato 

all’interno del suo percorso 

artistico quattro “maniere” di 

dipingere: dopo il naturalismo 

degli inizi, Jacopo abbandona la 

fedele ripresa del reale e si lascia 

ispirare dalle novità del manierismo 

centro-italiano; le ultime due 

“maniere” sono caratterizzate dal 

protagonismo della luce, che illumina 

le celebri pastorali e si fa 

bagliore nei notturni. Alcuni motivi, 

tuttavia, sono riconoscibili 

come costanti nelle sue opere: i 

pastori, il profilo del Monte Grappa, 

gli animali rappresentati con 

estrema vivacità, l’attenzione per i 

dettagli realistici e per le scene di 

vita quotidiana. 

La mostra 

Tutte caratteristiche ci si ritrovano 

ben rappresentate nell’esposizio- 

ne inaugurata il 4 marzo e curata 

da Giuliana Ericani e Alessandro 

Ballarin. La mostra ruota attorno 

al dialogo continuo tra le ventidue 

opere della collezione permanente 

del museo bassanese, la più 

consistente raccolta monografica 

di un pittore del Cinquecento, e i 

quindici dipinti (più un disegno) 

di altissima qualità dell’esposizione 

temporanea, giunti in prestito 

(molti per la prima volta), 

da collezioni pubbliche e private 

dell’America e dall’Europa. 

Esordi maturalistici... 

I celebri dipinti del museo civico 

- La Fuga in Egitto, il Martirio 

di Santa Caterina, il battesimo 

di Santa Lucilla - si trovano così 

a confronto con proposte inedite 

della giovinezza e capisaldi della 

produzione matura. La Cacciata 

dei mercanti dal tempio, mostra i 

primi tentativi di trovare una strada 

personale tra le sollecitazioni 

lagunari di Bonifacio e di Tiziano, 

elaborando un naturalismo sempre 

più legato alla resa realistica 

della quotidianità. Un’attenzione 

alla realtà che riempie la scena 

di “frammenti di vero”, brani che 

si staccano dal contesto grazie a 

pennellate decise e rivendicano 

un ruolo di primo piano, dotati di 

una “fisicità” inaudita (un tappeto 

che sembra di toccare, un trombettiere 

colto nella puntualità del 

gesto...). 

...sperimentazione 

manierista 

L’improvvisa adesione 

di Jacopo al linguaggio 

del manierismo 

risulta invece 

evidente in opere 

come il Martirio di 

Santa Caterina del 

Museo di Bassano o 

nella Andata al Calvario 

proveniente da 

Glyndebourne: una 

fase “connotata da 

una libertà spericolata 

di esperienze” in 

cui Bassano non teme 

di cimentarsi “sulle 

chiavi più diverse della tastiera 

manieristica italiana e nordica”. 

Così per la prima volta è possibile 

per esempio vedere insieme il 

Riposo durante la fuga in Egitto 

della Pinacoteca di Brera, affiancato 

a quel dipinto sconcertante 

e del tutto eccezionale nel corpus 

pittorico bassanesco che sono i 

“Due bracchi legati al tronco di 

un albero” prestati dal Louvre. 

L’esperienza manieristica si tra- 

duce in immagini di immediata 

presa fantastica, in nuovi orizzonti 

pittorici, ove entrano in primo 

piano anche gli aspetti meno “edificanti” 

della realtà. 

...e maturità pastorale 

Il percorso espositivo prosegue, 

offrendo altre importanti prime 

visioni per il pubblico italiano: 

dall’Adorazione dei Magi del Barber 

Institute of Fine Arts di Birmingham 

a un bellissimo inedito 

Ecce Homo di collezione privata, 

dall’intenso Ritratto di senatore 

veneziano, dello Staatlichen Museen 

di Berlino, - che per altro 

mette in luce, la qualità introspettiva 

della ritrattistica di Bassano 

- fino al San Cristoforo proveniente, 

in prima assoluta, dall’Havana. 

Proprio con la preziosa 

tela dell’Havana, insieme alla 

splendida Madonna col Bambino 

e San Giovannino di proprietà 

della Banca Popolare di Vicenza, 

si apre la fase finale del manierismo 

di Jacopo e s’introducono la 

prime“pastorali” del grande artista. 

Straordinaria in tal senso 

è la presenza dell’Annuncio dei 

Pastori della collezione del Duca 

di Rutland, da Belvoir Castle nel 

Leicestershire, e di un altro capolavoro 

in mostra: l’Adorazione 

dei pastori, proveniente da Houston. 

Con queste premesse il pittore 

approda ad un quadro come 

il cosiddetto Presepe di San Giuseppe 

che, come sottolinea Ballarin, 

è “momento di sintesi tra il 

genere della pala d’altare e quello 

pastorale, solenne e classico nella 

partitura compositiva, ma infini- 

| I due bracchi, tela prestata dal Louvre, e L’Adorazione dei pastori 

tamente naturale nella materia 

pittorica tutta contesa di aria e 

di luce, ove il colore ha acquistato 

una sommessa, muta preziosità”. 

Con quest’opera si apre la carrellata 

finale dei lavori più tardi di 

Jacopo che sono in proprietà del 

Museo bassanese, con capolavori 

come la Circoncisione - pala realizzata 

per il Duomo di Bassano 

nel 1577, firmata da Jacopo e 

Francesco - il Battesimo di Santa 

Lucilla tanto ammirato da Gianbattista 

Tiepolo, fino all’Orazione 

di Gesù nell’Orto del 1590. 

Un compleanno lungo tre 

anni 

Dopo questo primo importante 

momento espositivo, il programma 

celebrativo prosegue nel dicembre 

del 2010 con l’organizzazione 

di un convegno internazionale, 

al quale parteciperanno 

esperti e studiosi provenienti 

da tutto il mondo: un momento 

di approfondimento dell’attività 

dell’artista e del significato 

dell’opera di Jacopo Bassano, rispetto 

alla successiva produzione 

dei figli. Sempre a dicembre, 

un’originale esposizione organizzata 

con la Soprintendenza per i 

beni storici, artistici ed etnoantropologici 

per le province di Verona, 

Rovigo e Vicenza, I Bassano 

ai raggi X, condurrà il vasto pubblico 

nel “dietro le quinte” dello 

studio e dell’analisi delle opere 

d’arte: indagine oggi affinata grazie 

all’uso di moderne tecnologie, 

che consentono esami non invasivi 

sui supporti, i pigmenti, i segni 

grafici sottostanti, gli eventuali 

pentimenti o i ritocchi successivi, 

e che - grazie alla presentazione 

di radiografie già effettuate e di 

altre predisposte per l’occasione 

- permetteranno dunque di fare 

importanti passi in avanti anche 

nella distinzione dell’autografia 

tra Jacopo e i figli: uno dei nodi 

più ostici per gli storici dell’arte. 

Le Celebrazioni si chiuderanno 

nel 2012, con un grande evento 

espositivo centrato sull’ultimo 

Jacopo Bassano, i figli, la scuola e 

l’eredità.

di Giuliano Corà 

“ 

E’ difficile parlare di un film 

come questo, tanto il suo discorso 

è semplice, elementare, ‘didascalico’ 

nel senso migliore del 

termine. Verrebbe voglia di dire: 

andatevelo a vedere, e basta. O 

meglio, andatevelo a vedere, e poi 

quando uscite pensate alla barbarie 

quotidiana che da mesi e anni 

ormai respiriamo in questo dannato 

Paese. Pensate anche che questo 

film ci viene dall’America del 

Ku Klux Klan. E chiedetevi - ma 

non saprete darvi una risposta - 

chiedetevi perché tutta l’acqua di 

sentina dell’Occidente pare essersi 

riversata qui da noi; chiedetevi 

perché i suoi rivoli scorrano tranquillamente 

nelle strade e tutti ci 

sguazzino dentro trovandolo naturale, 

senza far niente per cambiare”. 

Scusatemi, scusatemi davvero 

di Giovanni Magalotti 

movida 

ViPiù movida 

Popcorn 

Invictus, la mano invisibile del maestro Eastwood 

Del prolifico scrittore texano 

Joe R. Lansdale (1950) gli 

editori Einaudi e Fanucci, che 

oggi pubblicano in esclusiva le sue 

opere, hanno fatto uscire in questi 

anni quasi tutto. Bisogna ammettere 

che i primi romanzi editi rappresentano 

i suoi risultati migliori 

e che, con il tempo, anche se uno 

scrittore non può sempre sfornare 

capolavori e la qualità media dei 

libri di Lansdale rimane comun- 

Un film semplice, naturale, intenso: il Clint regista sforna un altro capolavoro dopo Gran Torino 

Schivando la retorica hollywoodiana a favore di un’emozione fortissima e autentica, che nasce da dentro 

per l’autocitazione, ma questo scrivevo 

giusto un anno fa, dopo aver 

visto Gran Torino, il precedente, 

bellissimo film di Eastwood, e altro 

non riesco a scrivere oggi, dopo 

questo Invictus, che lascia senza 

parole, muti di fronte ad un’opera 

la cui ‘grandezza’, in termini cinematografici, 

la costituisce già 

come ‘classico’, come cinema da 

Maestro, anche e forse perfino più 

che come cinema ‘impegnato’, una 

definizione che davvero sarebbe 

misera e riduttiva. Dopo aver narrato 

il razzismo quotidiano ed elementare 

dei sobborghi americani, 

qui Eastwood parla della madre 

di tutti i razzismi, quella Repubblica 

Sudafricana che dal 1948 al 

1990 affermò la superiorità bianca 

segregando ed emarginando 

le altre etnie che la componevano 

con metodi che nemmeno gli 

USA razzisti avevano impiegato. 

La liberazione di Nelson Mandela, 

leader dell’ANC, dopo ventisette 

anni di carcere, la vittoria alle 

elezioni dell’ANC e l’elezione dello 

que superiore a quella di molti 

suoi colleghi, l’originalità di stile e 

la brillantezza di ispirazione delle 

prime prove si sono un po’ persi. 

Così negli ultimi anni la pubblicazione 

di alcuni testi minori è parsa 

legata esclusivamente a logiche 

di tipo editoriale (battere il ferro 

del crescente consenso di critica e 

pubblico riscosso dallo scrittore), 

senza discernere il necessario dal 

non indispensabile. 

“Altamente esplosivo” raccoglie 

dieci racconti inediti in Italia, 

scelti da Lansdale in persona e 

giudicati fra i più rappresentativi 

della sua produzione. A questo 

punto bisogna compiere una 

stesso Mandela alla presidenza nel 

1994 scardinarono questo sistema 

abbietto, ma divisero il Paese. 

La minoranza bianca subì più che 

condividere la nuova organizzazione 

“arcobaleno”, e il neo presidente 

si trovò di fonte all’improbo compito 

di impartire alla sua nazione 

un corso accelerato di democrazia 

e di uguaglianza, cercando di non 

inimicarsi nessuno. Lo strumento 

che adottò fu il rugby, lo sport nazionale, 

e i suoi alleati - dapprima 

riottosi e diffidenti, poi amici fedeli 

- furono gli atleti degli Springboks, 

squadra odiata dai neri perché 

simbolo della supremazia bianca. 

Mandela rovesciò quell’identificazione, 

trasformando la squadra 

nel simbolo dell’unificazione nazionale, 

di tutte le etnie e di tutte 

le culture, e spingendola a impegnarsi 

allo spasimo per vincere, 

contro ogni pronostico, i Mondiali 

del 1995. Non occorre dire quali 

oceani di retorica avrebbe potuto 

produrre una storia del genere, a 

quali banalissime identificazioni 

distinzione, nella valutazione 

complessiva del volume, a seconda 

del lettore che vi si accosta. Il 

neofita troverà sicuramente modo 

di apprezzarlo: le ambientazioni 

dei vari racconti sono diverse, i 

dialoghi a tratti davvero scoppiettanti, 

le descrizioni spesso 

imprevedibili e qualche colpo di 

scena decisamente ben assestato. 

Il lettore appassionato, invece, 

non vi incontrerà particolari motivi 

di interesse: quasi tutti i racconti 

appaiono prove generali di 

romanzi successivi, o semplici variazioni 

sul tema (“Appuntamento 

al drive-in” è una via di mezzo fra 

“La notte del drive-in” e “Il valzer 

ci si sarebbe potuti abbandonare: 

neri buoni/bianchi cattivi, ‘conversioni’, 

lacrimevoli riconciliazioni. 

Ma questo è un film di Eastwood, 

e la retorica, la banale e commerciale 

retorica hollywoodiana qui 

è bandita. Non lo è, invece, l’emozione, 

fortissima, che pervade ogni 

istante del film, ogni vicenda, ogni 

passaggio narrativo. Un’emozione 

che nasce da dentro, dagli animi 

di chi quelle vicende ha vissuto, di 

chi ha sperimentato cosa dovesse 

significare andare a sbattere ogni 

mattina contro una ‘verità’ nuova. 

Così accade alle guardie del corpo 

presidenziali, che Mandela volle 

di neri e di afrikaaner mescolati 

assieme, e che devono imparare 

prima di tutto a ‘comunicare’, visto 

che usano lingue diverse. Così è 

per il padre di François Pienaar, il 

capitano della squadra, che un po’ 

alla volta ‘deve’ guardare con occhi 

diversi la domestica nera della famiglia. 

Come non c’è retorica, così 

non c’è qui alcun artificio cinematografico, 

alcun ‘effetto speciale’. 

dell’orrore”; “L’albergo dei gentiluomini” 

riecheggia” “La morte ci 

sfida”). Come se in fondo la narrativa 

di Lansdale facesse perno su 

alcune situazioni ormai codificate 

e si svolgesse su scenari ormai risaputi. 

Rimane per fortuna il fatto 

che in alcuni racconti (“Re delle 

Ombre” e “Mulo bianco, maiale 

pezzato” su tutti, forse) lo scrittore 

texano riesce ancora a trovare il 

colpo d’ala capace di entusiasmare 

il lettore più scettico. 

Joe R. Lansdale, Altamente 

esplosivo. Dieci racconti inediti, 

Fanucci, 240 pp., € 16 

numero 185 del 6 marzo 2010 pag 12 tecnologia numero 185 del 6 marzo 2010 pag 13 

Eastwood racconta con una semplicità 

che sembrerebbe didascalica 

ed elementare se non svelasse 

inarrivabile maestria, tanto più 

grande in quanto non si mostra: se 

c’è qualcuno, qui, che cerca di non 

essere ‘protagonista’, è proprio il 

regista. Abbiamo così di fronte un 

film che par quasi essersi ‘fatto da 

solo’: semplice, naturale, intenso. 

Vero. Usciamo dalla sala estasiati 

come cinefili, commossi come esseri 

umani. E ci chiediamo: se una 

nazione di quarantasette milioni 

di abitanti ha saputo fare questo, 

in un anno, e dopo quasi mezzo 

secolo di razzismo di Stato… ecco, 

ma che sia davvero impossibile che 

noi non ci si possa liberare di una 

minoranza - maggioranza politica, 

ma minoranza dello spirito - che 

ormai da vent’anni inquina e avvelena 

l’anima di questa società? 

Ci serve un Mandela anche a noi, o 

possiamo provare a farcela da soli? 

INVICTUS, C. Eastwood, 

USA, 2009 

Sul comodino 

Altamente esplosivo ma non fa rumore 

I dieci racconti inediti di Landsdale aggiungono poco di nuovo a quanto già pubblicato negli anni 

La narrativa si svolge su scenari ormai noti ai fan dello scrittore texano, non al neofita che potrà apprezzarlo 

ViPiù Tecnologia 

Palmare Nokia E63, 

un mulo affidabile 

e senza fronzoli 

Test del telefonino della casa finlandese: nessuna concessione alle mode, 

ma solidità e funzionalità sono assicurate 

Ad un prezzo contenuto 

di Marco Milioni 

Dopo una settimana di bombardamento 

sulla mia pagina 

Facebook sono costretto a cedere 

alle richieste di molti lettori che mi 

chiedono consigli per fare il grande 

passo verso la telefonia palmare. 

E così eccomi qui. Fedele alla 

mia filosofia “spendi bene, spendi 

il meno possibile, punta sulla concretezza” 

ho deciso mettere sotto la 

lente di ingrandimento un telefonino 

che risponde a questi criteri. 

Prezzo orientativo tra i 150 e i 190 

euro a seconda della fortuna e delle 

offerte dei negozi. 

Confezione essenziale 

Si tratta del Nokia E63 un telefonino 

UMTS palmare, o smartphone 

come lo chiamano gli specialisti, 

che assomiglia molto nella caratteristica 

forma a mattonella al noto 

Blackberry prodotto dalla canadese 

Rim. In verità la Nokia è famosa 

nel mondo dei cellulari professionali 

per la classica conformazione 

a libretto tipica del modello Communicator, 

una vera ammiraglia 

nel settore che con i suoi 600 euro 

però ho tenuto debitamente a distanza. 

L’E63 si presenta in una scatola 

molto scarna. Il telefono, la batteria 

e un paio di cuffie stereo. Non 

c’è altro. Il software che ne consente 

il collegamento al PC si chiama 

Nokia Ovi Suite. Si può scaricare 

gratuitamente sul sito del produttore 

finlandese (http://europe.nokia.com/support/download-software/nokia-suites-for-your-pc). 

Prima di procedere all’operazione 

è bene scegliere il modello cui il 

software medesimo si rivolge. Il 

CODICE DI AUTOREGOLAMENTAZIONE 

PER LA PROPAGANDA ELETTORALE 

p r o g r a m - 

ma gira su 

s i s t e m i 

o p e r a t i - 

vi di casa 

Microsoft 

(Windows), Apple e Linux. Insomma 

ce n’è per tutti gusti. Unico 

neo, nella confezione manca il cavo 

USB di collegamento, che va acquistato 

a parte per pochi euro visto 

che è un normale cavetto standard 

(A-mini B). 

Le funzioni 

L’apparecchio si presenta al tatto 

solido ben strutturato, quasi massiccio, 

con la superficie posteriore 

gommosa antiscivolo sulla quale si 

trova un mini obiettivo per scattare 

foto e filmati (la qualità non è il 

massimo ma non è il lavoro che si 

chiede al dispositivo). La tastiera è 

agevole, lo schermo da 2,6 pollici è 

Regionali 2010: Testate VicenzaPiù e www.vicenzapiu.com 

In ottemperanza alle disposizioni di attuazione previste nella Delibera 

n. 33/08/CSP (o successiva) relativa alle disposizioni di 

attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica 

e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna 

per le ELEZIONI REGIONALI DEL VENETO DEL 28-29 

MARZO 2010, Many Media Srl per le proprie testate, il settimanale 

VicenzaPiù e il sito web www.vicenzapiu.com, di cui è anche 

concessionaria della pubblicità, porta a conoscenza degli utenti il 

seguente Codice di Autoregolamentazione: 

1) L’Editore raccoglierà inserzioni elettorali da pubblicare sulle 

proprie testate secondo le regole tutte sotto indicate. 

2) Tutte le iscrizioni dovranno recare la seguente dicitura “PRO- 

PAGANDA ELETTORALE” 

e l’indicazione del Soggetto Politico Committente. 

3) Sono vietate forme di messaggio politico elettorale diverse 

da quelle elencate al comma 2 dell’articolo 7 della Legge del 22 

febbraio 2000, n°28. In particolare, sono ammesse soltanto le 

seguenti forme di messaggio politico elettorale: 

a) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze e discorsi; 

b) pubblicazioni destinate alla presentazione di programmi, delle 

liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; 

c) pubblicazioni di confronto fra candidati; 

Non saranno accettate inserzioni di propaganda elettorale pure 

e semplici e cioè le pubblicazioni di slogan positivi o negativi, di 

foto o disegni, di inviti al voto non accompagnati da adeguata, ancorché 

succinta, presentazione politica dei candidati e /o di linee 

ovvero da una critica motivata nei confronti dei competitori. 

Per tali inserzioni vi è un espresso divieto legislativo (art.2 legge 

515/93, art.6 regolamento 26.1.94). 

La richiesta di inserzione elettorale dovrà essere fatta presso i 

flickr.com/masatsu 

nostri uffici situati in via Battaglione Monte Berico, 34 - Vicenza 

(Tel. 0444 923362- Fax 0444 926780 - e-mail pubblicita@ 

manymedia.com) presso i quali è disponibile un documento 

analitico consultabile su richiesta riportante i criteri di auto regolamentazione 

qui indicati. 

4) Le inserzioni elettorali ed i relativi materiali dovranno pervenire 

almeno due giorni non festivi utili prima delle data di stampa sul 

settimanale e/o inserimento sul sito di seguito riportate: tutti i 

sabati dal 6 febbraio 2010 al 13 marzo 2010 e il venerdì 19 

marzo 2010. 

5) In osservanza delle regole di cui alla legge 10.12.1993 n°515 

e degli art. 2 e 3 del Regolamento 26.01.94, Many Media Srl al 

fine di garantire la possibilità d’accesso in condizioni di parità e 

l’equa distribuzione degli spazi fra tutti i soggetti interessati che 

ne abbiano fatto formale richiesta, qualora, per la data prenotata 

per la pubblicazione non vi fossero, per esigenze informative o 

precedente carico pubblicitario di altra natura, spazio sufficiente 

all’esaurimento delle inserzioni regolarmente pagate attuerà la 

seguente procedura: dando la priorità a quelle che saranno giunte 

cronologicamente prima. Pubblicherà le domande pervenute 

secondo un rigoroso ordine temporale, nel senso che esaudirà 

le stesse secondo la data in cui sono state effettuate. Qualora le 

richieste fossero giunte in pari data provvederà alla pubblicazione 

dando priorità a quelle che saranno giunte cronologicamente 

prime. 

6) La vendita sarà effettuata presso i nostri uffici in base a vigente 

Testo Unico di Pubblica Sicurezza art. 120; 

- La persona che richiede l’inserzione dovrà essere identificata, con 

annotazione del documento di identità (carta d’identità o altro documento 

con fotografia, ammesso dall’Amministrazione dello Stato). 

ben leggibile. Il telefonino 

non è proprio un peso 

piuma. I 113 millimetri 

di altezza per 60 di larghezza 

per i 13 di spessore 

sono le misure scelte 

da Nokia: una taglia più piccola 

comprometterebbe l’usabilità del 

telefonino. La qualità della comunicazione 

è nitida sia in ascolto che 

in trasmissione. Il vivavoce incorporato 

si comporta bene. Il segnale 

viene ricevuto anche nelle zone 

meno coperte. La batteria al litio 

è più che adeguata al dispositivo e 

tiene bene la carica. 

Ufficio corazzato 

Sulla dotazione interna il Nokia rispetta 

a pieno le previsioni. Corrispondenza 

via e-mail, navigazione 

su internet, connessione wi-fi impeccabile, 

programmi di videscrittura, 

presentazioni dia, memo, 

agenda, archiviazione dei file, lettori 

multimediali, radio fm, lettori 

per pdf, banda larga per telefonia 

cellulare (standard UMTS), tripla 

banda per usare l’apparecchio anche 

fuori dall’Europa: una sorta di 

ufficio elettronico ambulante e corazzato. 

Non manca praticamente 

nulla, tranne le video-chiamate 

(che non usa nessuno e sono tanto 

care quanto inutili). Il sistema 

operativo del cellulare è il granitico 

Symbian 9.2 che lavora come un 

orologio svizzero. Preciso e senza 

ritardi. 

Insomma per meno di 200 euro 

l’E63 fa il suo lavoro. Lo fa dannatamente 

bene e soprattutto è una 

macchina scarna che una volta 

acquistata si può continuare ad 

usare per anni e anni con tutti gli 

operatori: un vero e proprio mulo 

da soma senza fronzoli, senza concessioni 

moda, al trendy. 

- Nei testi e degli avvisi di propaganda dovrà apparire il “COM- 

MITTENTE RESPONSABILE SIG. (come da art.3, 2° comma, 

Legge 10.12.1993 N°515) ed il “NOMINATIVO DELL’AUTORE” 

(persona fisica che ha redatto il testo del messaggio). Gli ordini 

dovranno essere effettuati (e quindi firmati) da: 

- I segretari amministrativi o delegati responsabili della propaganda 

previa loro identificazione e attestazione della loro qualifica; 

- I candidati o loro mandatari (come da art.3 comma 3° Legge 

10.12.1993 N°515); 

- Qualora il committente della propaganda elettorale a favore di 

uno o più candidati sia un gruppo, un ‘organizzazione, un’associazione 

di categoria, un movimento, un partito ecc. occorre la 

preventiva AUTORIZZAZIONE SCRITTA DEL CANDIDATO O 

DEL SUO MANDATARIO (come da art. 3, comma 4, della legge 

10.12.93 N°515). 

La fattura andrà emessa a: 

a) Segretari amministrativi o delegati responsabili della propaganda; 

b) Candidati o loro mandatari; 

c) Organizzazione/associazione di categoria ecc., per la fattispecie 

al precedente punto ripartendo spazi ed importo fattura fra 

tutti i candidati o partiti pubblicizzati; (come da art. 3, comma 3 e 

legge 10.12.1993 N°515). 

L’Editore dovrà rifiutare richieste di propaganda elettorale da parte 

di Enti della Pubblica Amministrazione (come da art. 54 legge 

10.12.1993 N°515). 

Many Media Srl • Via Btg. Monte Berico, 34 • 36100 Vicenza 

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sport 

ViPiù sport 


Pallavolo / FipavIl ballo delle sedicenni 

Per la prima volta il debutto nelle finali provinciali spetta alla categoria under 16 

Una novità che non ha cambiato il consueto dominio del Joy Volley Vicenza 

Dietro alle biancorosse passano alle regionali Sottoriva e Castellana. Quarto Bassano 

di Alida Pretto 

Questa volta il debutto è delle 

sedicenni. Negli ultimi anni 

il primo titolo della stagione a essere 

assegnato era sempre quello 

delle under 18, ma domenica al 

Palazzetto Don Bosco di Schio 

davanti ad un folto pubblico (fatto 

favorito dal concentramento 

di minivolley che si è svolto nello 

stesso impianto) è stato messo in 

palio il titolo provinciale under 16 

femminile. 

Ad alzare la coppa, come da pronostico, 

sono state le ragazze del 

Joy Volley Vicenza, da sempre 

sul gradino più alto del podio da 

quando è stata istituita la categoria 

under 16 (stagione 2005/06). 

Contro di loro nulla ha potuto il 

Volley Sottoriva; terzo gradino 

del podio per il Volley Castellana. 

Saranno queste le tre società che 

rappresenteranno la provincia di 

Vicenza nella fase regionale che 

prenderà il via a fine aprile. 

Se si guardano i parziali della finalissima 

(25-14, 25-16, 25-14) si potrebbe 

pensare ad una gara a senso 

unico. In realtà è stato così solo 

in parte, perché il Sottoriva ce l’ha 

messa tutta per creare qualche 

difficoltà a Vicenza e rimanere a 

galla. Le giovani di Alberto Grotto 

hanno esordito con due ace, ma 

la reazione del Joy Volley è stata 

repentina, anche se le ragazze di 

Marchiaro hanno faticato un po’ 

più del previsto a prendere il largo 

a causa della ricezione traballante. 

L’allungo decisivo è arrivato sul 

17-12 e da lì il 25-14 non è tardato 

molto. Al ritorno in campo Vicenza 

ha commesso qualche errore 

di troppo, conquistando il primo 

break solamente sul 12-10. Il Sottoriva, 

consapevole di riuscire a 

mettere in difficoltà le avversarie 

solamente con il servizio, forza al 

massimo in questo fondamentale, 

commettendo però anche molti 

errori. Il tecnico del Joy Volley 

dà spazio a tutte le ragazze a sua 

disposizione, che rispondono con 

la stessa moneta delle avversarie 

(il servizio), mentre il Sottoriva va 

via via spegnendosi. 

“Essere i favoriti non è mai una 

buona cosa e c’era un po’ di tensione 

in campo, ma visto i parziali 

non posso dire che abbiamo 

giocato male - ha commentato a 

fine gara il tecnico del Joy Volley 

Vicenza Michele Marchiaro - Siamo 

una buona squadra, anche se 

giovane (solo i 5/13 della rosa, infatti, 

è formata da ragazze nate nel 

1994, le altre sono più giovani), limiti 

non ce ne poniamo... la cosa 

più difficile sarà superare la fase 

regionale”. Felici anche le seconde 

classificate (quarte nella passata 

stagione): “Il secondo posto era il 

massimo che potevamo fare. La 

nostra gara l’abbiamo vinta in se- 

mifinale e adesso andremo avanti 

cercando di fare meglio possibile”. 

Più combattuta la finale per il terzo 

posto, che ha visto esultare le 

castellane, per la prima volta sul 

podio, mentre il Bassano ha pagato 

l’assenza per infortunio di 

una delle sue atlete migliori. Dopo 

un avvio nel segno giallorosso, 

il Castellana compie il sorpasso 

sul settimo punto e va per la sua 

strada sfruttando i tanti errori, 

soprattutto in attacco, delle avversarie. 

Coach Bellemo prova a 

mischiare le carte in campo ma 

la musica non cambia e i palloni 

continuano a finire oltre la linea 

di fondo. Nel finale le bassanesi 

ritrovano sprazzi di buon gioco 

ed una battuta efficace, ma ormai 

è troppo tardi: 25-22. Il Bassano 

parte alla grande nel secondo set 

(5-0) ma poi si blocca e non riesce 

più a mettere palla a terra e difendere 

i contrattacchi del Castellana, 

che compie così il clamoroso 

sorpasso (6-5), trovando poi a 

muro il doppio vantaggio. La partita 

si accende, ma poi riprendono 

gli errori delle giallorosse che 

tirano fuori anche palle piazzate 

con i piedi a terra (a differenza 

delle castellane che controllano 

al massimo il gioco attaccando 

solo quando la palla è perfetta). 

Al ritorno in campo Bassano non 

lascia scappare le avversarie che 

si innervosiscono ed iniziano a 

commettere i primi errori; Bassano 

mette così la freccia e riapre la 

partita chiudendo sul 25-16. 

Il Castellana risponde portandosi 

subito avanti nel quarto set, con 

numerose proteste delle bassanesi 

sulla palla del 4-0, le ragazze si 

innervosiscono e riescono a strappare 

il servizio alle avversarie solamente 

sul 6-0, ingranando poi 

la marcia giusta e riportandosi a 

-2. Le ragazze di Marchetto non ci 

stanno, premono sull’acceleratore 

e limitano gli errori conquistando 

così il pass per la fase regionale. 

Lo striscione preparato dai ge- 

nitori delle giocatrici del Castellana 

è il titolo perfetto per questa 

vittoria: “Piccole atlete che 

crescono”. Soddisfatto il tecnico 

Matteo Marchetto: “Non conoscevamo 

le avversarie, sapevamo 

solo che avevano chiuso imbattute 

il campionato e pensavamo 

che in semifinale qualcosa fosse 

andato storto e che avessero il 

dente avvelenato... Sinceramente 

mi aspettavo una partita più difficile; 

noi eravamo già soddisfatti 

di essere arrivati in semifinale e 

qui ce la siamo giocata. Devo dire 

veramente ‘brave’ alle ragazze che 

hanno dimostrato di saper tenere 

alta la concentrazione in campo”. 

Per quanto riguarda i maschietti, 

invece, quest’anno non sarà disputata 

la finale in gara unica: chi 

chiuderà al primo posto il campionato 

verrà automaticamente incoronato 

re del vicentino. Al termine 

mancano ancora cinque giornate 

e la lotta tra Schio, Torrebelvolley 

e Altair è più che aperta. 

| Il Sottoriva (argento) e, a destra, le campionesse provinciali del Joy Volley Vicenza (foto di Chiara Vaccari) 

amnesty 

Ogni prima settimana del mese presentermo un caso tra quelli seguiti da Amnesty International e una petizione che se vorrete potrete ritagliare e inviare alle autorità competenti. 

Amnesty International è un movimento internazionale indipendente da qualsiasi governo, parte politica, interesse economico o credo religioso. Dal 1961 lavora per la 

liberazione e l’assistenza di uomini detenuti ovunque per le proprie opinioni, il colore della pelle, il sesso, l’origine etnica, la lingua o la religione, a condizione che non abbiano 

usato né promosso l’uso della violenza. Si oppone alla pena di morte, alla tortura e a ogni altro trattamento crudele, disumano e degradante, secondo i principi della Dichiarazione 

Universale dei Diritti dell’Uomo e delle norme del Diritto Internazionale in materia di diritti umani. 

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anche i più piccoli hanno la possibilità di prendere confidenza con l’argomento 

Intanto continua la mobilitazione per i prigionieri di coscienza a Cuba 

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La Sezione Italiana di Amnesty 

International, attraverso 

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umani, riflettere sulla loro importanza 

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internazionale sui diritti dell’infanzia 

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di scaricare il “Passaporto 

dei diritti” da ritagliare e colorare. 

Attraverso un’altra applicazione 

digitale, “Azioni Urgenti 

Kids”, i bambini e le bambine 

sono invitati a impegnarsi in pri- 

bine possono esprimere il loro 

supporto alle iniziative e scaricare 

il modulo di partecipazione 

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loro figli e sapere chi sono i loro 

amici sul social network. La registrazione 

a mypage.it e ai servizi 

del Parental Control è completamente 

gratuita. 

Cuba: liberate i prigionieri di 

coscienza 

All’indomani della morte di Orlando 

Zapata Tamayo a seguito 

di uno sciopero della fame, Amnesty 

International ha sollecitato 

il presidente cubano Raúl 

Castro a rilasciare immediatamente 

e incondizionatamente 

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Orlando Zapata Tamayo era stato 

arrestato nel marzo 2003. Nel 

maggio 2004 era stato condannato 

a tre anni di carcere per “mancanza 

di rispetto”, “disordini pubblici” 

e “resistenza”. Aveva subito 

altri processi per “disobbedienza” 

e “disordini in un istituto di pena”, 

l’ultimo dei quali nel maggio 2009, 

totalizzando complessivamente 

36 anni di carcere. “La sua morte 

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Il caso del mese 

Ogni mese una petizione da sottoscrivere, tagliare e inviare per sostenere le battaglie in favore dei diritti umani. 

8 marzo 2010 - Iran, libertà per Mahfarid Mansourian 

evidenzia l’urgente necessità che 

Cuba inviti esperti internazionali 

sui diritti umani - ha proseguito 

Ducos -, affinché verifichino il 

rispetto delle norme in materia, 

in particolare il Patto internazionale 

sui diritti civili e politici”. 

Orlando Zapata Tamayo era uno 

dei 55 prigionieri di coscienza 

adottati da Amnesty International 

a Cuba. La maggior parte di essi 

Egregio Sig. Avaei, 

Le scriviamo in riferimento al caso di 

Mahfarid Mansourian, 46 anni, laureata 

in ingegneria civile e design ambientale. 

In passato ha lavorato per l’Agenzia 

di cooperazione internazionale 

giapponese e, occasionalmente, come 

interprete per giornalisti stranieri in 

visita in Iran. E’ stata arrestata nella sua 

abitazione a Teheran nella notte tra il 7 

e l’8 febbraio 2010 da ufficiali in borghese 

che non si sono identificati. Hanno 

esibito un mandato d’arresto generico sul quale non era indicato 

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ma persona per la difesa dei di- 

il nome della donna e che li autorizzava ad arrestare chiunque fosse 

ritti umani dei loro coetanei, par- 

sospettato. Solo dopo due giorni Mansourian ha potuto telefonare 

tecipando a un’azione urgente di 

per informare la famiglia della sua detenzione nel carcere di Evin, 

a Teheran. Ad oggi non le è stato ancora permesso di incontrare la 

Amnesty International. I casi di tutti i prigionieri di coscienza. 

Pc assemblati e delle migliori marche famiglia né un avvocato. 

violazione sono presentati in un Orlando Zapata Tamayo aveva Mansourian è tra le decine, se non centinaia, di giornalisti, studen- 

linguaggio semplice e facilmente trascorso diverse settimane in ti, membri di partiti politici, difensori dei diritti umani e membri 

comprensibile, con brevi testi di sciopero della fame per protesta- della minoranza di fede baha’i che sono stati arrestati nelle ultime Head of the Provincial Judiciary in Tehran 

approfondimento e un glossario re contro le condizioni detentive. settimane dalle autorità iraniane. Secondo Amnesty International 

è detenuta solo per aver pacificamente esercitato il suo diritto alla Ali Reza Avaei 

che spiega i termini più difficili. “Questa 

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Su mypage.it i bambini e le modo terribile la disperazione dei 

bambine possono poi scoprire prigionieri 

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di Cuba, 

( www.mclink.it Le chiediamo ), quindi che le venga garantito un immediato e incondizionato 

rilascio. La sollecitiamo, inoltre, a permetterle di svolgere Sana’i Avenue, Corner of Alley 17, No. 152 

le opere delle classi che hanno che non con hanno molteplici la speranza servizi tra di i quali: vedeADSL, 

il ADSL2+, suo lavoro, senza dover temere per la sua libertà quando incontra Tehran 

partecipato al progetto “Amnesty re la SHDSL, fine di un’iniqua telefonia VOIP, e prolungata Gestione VPN, giornalisti e organizzazioni stranieri. Le chiediamo infine di garanti- 

Kids!” e che hanno preso parte detenzione - ha dichiarato Gerarre 

che non subisca torture e altro tipo di maltrattamenti e di Laboratorio consen- Islamic di Republic assistenza of Iran tecnica 


Laboratorio di assistenza tecnica 

tirle di incontrare la famiglia e un avvocato di sua scelta. 

al concorso “Adotta un diritto”: do Ducos, ricercatore di Amnesty 

immagini, video e parole che rac- International sui Caraibi -. È ne- 

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faceva parte di un gruppo di 75 

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massiccia repressione del marzo 

2003. In assenza di un potere giudiziario 

indipendente, i processi 

celebrati a Cuba risultano spesso 

sommari e privi delle garanzie 

previste dal diritto internazionale. 

Una volta emessa una condanna, 

le possibilità di modificarla in 

appello sono praticamente nulle. 

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