drammaturgia N 2-2007 - Titivillus Mostre Editoria
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cato che, prima del nostro incontro, eravamo entrambi nei nostri gruppi registi e<br />
pedagoghi totalmente autonomi. Entrambi eravamo abituati a imporre il nostro<br />
volere e, soprattutto, eravamo abituati a che i nostri allievi vi si sottomettessero.<br />
Ed eravamo convinti che così dovesse essere. E se sul piano registico Stanislavskij<br />
aveva più esperienza di me, nella interpretazione e nella direzione degli attori<br />
eravamo indubbiamente due orsi nella stessa tana. Stanislavskij, tuttavia, aveva<br />
già in mente una soluzione per questo difficile problema. Ecco cosa propose: l’intero<br />
ambito artistico sarebbe stato diviso in due parti, letteraria e scenica. Entrambi<br />
ci saremmo assunti la responsabilità delle messinscene, aiutandoci e criticandoci<br />
a vicenda. Come ciò sarebbe stato realizzato tecnicamente fu lasciato per dopo.<br />
Ad ogni modo, nell’ambito artistico avremmo avuto eguali diritti, ma qualora ci<br />
fosse stata divergenza di opinioni, dovendo prendere una decisione, lui avrebbe<br />
avuto il diritto di veto per la parte scenica e io avrei avuto lo stesso diritto per la<br />
parte letteraria. Giungemmo a questa conclusione: a lui spettava l’ultima parola<br />
sulla forma, a me sul contenuto. Una soluzione tutt’altro che saggia: probabilmente quella<br />
stessa mattina eravamo entrambi coscienti dell’impossibilità di tale soluzione. La pratica<br />
stessa lo avrebbe presto dimostrato: constatammo ad ogni passo che la forma non poteva<br />
essere distaccata dal contenuto, che io, insistendo su qualche dettaglio psicologico o su<br />
qualche aspetto letterario, correvo il rischio di entrare in conflitto con la forma scenica;<br />
mentre, d’altra parte, Stanislavskij, scoperta una forma scenica per lui ottimale, si sarebbe<br />
potuto trovare in conflitto, nel sostenerla, con la mia interpretazione letteraria. Proprio<br />
questo punto sarebbe diventato in futuro il più esplosivo nelle nostre relazioni… Tuttavia,<br />
in quella memorabile mattina, ci aggrappammo a questa via di mezzo artificiosa. Volevamo<br />
a tutti i costi superare qualsiasi impedimento. […]<br />
12<br />
In quella conversazione, non venne sfiorato né il nome di Cechov, né la sua personalità<br />
letteraria. Ovviamente lo menzionai, ma da parte di Stanislavskij non ci fu<br />
nessuna reazione. Per quanto riguarda il repertorio, Stanislavskij mostrava buon<br />
gusto, un’evidente inclinazione per i classici e una totale indifferenza verso gli autori<br />
contemporanei; non rientravano affatto nei suoi programmi teatrali. Conosceva<br />
ovviamente i racconti di Cechov, ma come drammaturgo, non lo distingueva dalla<br />
pletora degli autori allora di moda come Spazinskij, Sumbatov, Nevezin, Gnedic.<br />
Al massimo, aveva nei suoi confronti la stessa perplessità del pubblico di allora.<br />
Discutemmo quella mattina, in modo molto egoistico, soprattutto del nostro teatro,<br />
il teatro mio e di Stanislavskij. Sarebbe diventato il teatro di Cechov solo in<br />
seguito, e, per noi, in maniera del tutto inaspettata. […]<br />
Da Nemirovic-Dancenko, Iz proslogo (Dal passato), Mosca, Izd. “Moskvskij Chudozestvennyj<br />
Teatr”, 2003, Cap. VI, pp. 274-297. La numerazione dei paragrafi è quella originaria.<br />
Traduzione di Fausto Malcovati e Rossella Mazzaglia.<br />
Fausto Malcovati<br />
VLADIMIR NEMIROVIC-DANCENKO: UN RITRATTO<br />
Cominciamo col dire che nessuno conosce Vladimir Nemirovic-Dancenko perché<br />
nessuno lo ha mai tradotto né in italiano né in nessuna altra lingua europea, tranne<br />
l’inglese, perché americano era il committente della sua autobiografia, uscita<br />
simultaneamente negli Stati Uniti con il titolo My life in the Russian Theatre (Londra,<br />
Geoffrey Bles, 1937) e in Russia col titolo Dal passato. Cosa assai strana, se<br />
pensiamo che l’Italia è l’unico paese in cui Nemirovic abbia svolto attività registica<br />
al di fuori del Teatro d’Arte (nel 1933 e nel 1934 con la compagnia di Tatiana Pavlova:<br />
tre spettacoli fra cui un riuscitissimo Giardino dei ciliegi). C’è, a dire il vero, nell’archivio<br />
del Teatro d’Arte a Mosca, una cartella di lettere di Arnoldo Mondadori a<br />
Nemirovic, datate dal ’36 e al ’39: sempre a proposito dell’autobiografia, si parla<br />
di un contratto firmato, di una traduzione effettuata, si accenna a qualche polemica<br />
sul traduttore (Nemirovic ne era insoddisfatto), si assicura un’introduzione di<br />
Renato Simoni. Tutto pronto dunque per un’edizione italiana. Poi la guerra, la<br />
morte di Nemirovic: dell’intero progetto, della traduzione, delle risposte di<br />
Nemirovic a Mondadori nell’archivio della casa editrice milanese si perde ogni<br />
traccia. Dunque di lui pubblico e studiosi non slavisti conoscono solo quel che<br />
racconta Stanislavskij nella Mia vita nell’arte, di cui esistono invece in tutto il mondo<br />
traduzioni e commenti: parole piene di stima, rispetto, magari anche ammirazione,<br />
ma quanto mai reticenti, approssimate e in fondo riduttive. Così come elegantemente<br />
reticenti sono le parole di Nemirovic su Stanislavskij nei frammenti<br />
qui riportati. Gentlemen’s agreement. Una cosa è certa: Nemirovic, nell’intera “ope-<br />
10<br />
Vladimir Nemirovic-Dancenko