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drammaturgia N 2-2007 - Titivillus Mostre Editoria

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ne materialistica degli oggetti all’interno dell’operazione naturalistica, e il progressivo<br />

disperdersi di questa materialità a favore di una recrudescenza<br />

estetizzante della parola, o di una disorganizzazione allusiva e simbolica dello<br />

spazio, o di una spiritualità interpretativa in sede riduttiva moraleggiante, come<br />

parecchie progettazioni di scrittura scenica di questo mezzo secolo stanno a dimostrare”<br />

12 .<br />

La realtà dell’oggetto pare garantire quel principio di verità che il naturalismo<br />

afferma di servire: per questo motivo il seme fertile del suo ingresso in scena si<br />

essicca ben presto nella ricerca forsennata del dettaglio, nella ricostruzione<br />

filologica degli ambienti.<br />

Ma l’oggetto reale, specie nel suo versante basso–materiale e dimesso, quotidiano,<br />

sarà un elemento fondamentale all’interno della sperimentazione scenica.<br />

La sua figura riemerge, come trascinata da un fiume carsico, nella trama<br />

di poetiche disparate: dal teatro di Kantor alla scrittura di Beckett, fino ad<br />

imporsi nella scena contemporanea contagiando lo statuto della presenza<br />

attoriale, con una figura che si presenta, al pari dell’oggetto, in quanto tautologia<br />

(o in quanto ready-made: si pensi, solo per citare alcuni casi, agli attori del teatro<br />

di Jan Fabre, di Alvis Hermanis, dei Forced Enterteinment, di René Pollesch).<br />

Ma una tautologia sempre tagliata da deflazioni semantiche, come quelle<br />

steiniane del Rose is a rose is a rose…<br />

Il presente contributo rielabora un passaggio della mia tesi di dottorato in Studi Teatrali e<br />

cinematografici (Dipartimento di Musica e Spettacolo, Università di Bologna) Il posto del<br />

(re)gista. Estetiche e prassi operative della regia nelle origini e nel contemporaneo. La ricerca, che ha<br />

avuto come tutore il Prof. Marco De Marinis, verrà pubblicata presso Bulzoni.<br />

26<br />

Gerardo Guccini<br />

LA LINEA MEININGER, ANTOINE, CARRÉ<br />

Nel luglio del 1888, Antoine lesse il saggio di Jules Claretie sul ciclo di spettacoli<br />

dato dalla celebre Compagnia dei Meininger al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles,<br />

e, poiché aveva assistito anch’egli a quelle rappresentazioni, decise di far corrispondere<br />

alle faziose inquietudini e perplessità espresse dal letterato, allora amministratore<br />

generale della Comédie Française, una dettagliata analisi delle novità<br />

tecniche e formali riscontrate in tale circostanza. Per farlo, scrisse una lunga<br />

lettera a Francisque Sarcey, il potentissimo critico teatrale del Temps. Si tratta di<br />

uno dei pochi documenti sul pensiero teatrale di Antoine, che, a differenza degli<br />

altri Padri Fondatori della regia, non affiancò al lavoro teatrale una riflessione<br />

teorica di autonomo spessore. Per Antoine, forse il meno intellettuale fra gli<br />

innovatori a cavallo fra Otto e Novecento, l’identità del teatro futuro non s’abbinava<br />

all’idea di “rinascita”, di “rigenerazione”, di “riforma” o tanto meno di “rivoluzione”,<br />

ma a quella di “ignoto”. Nel suo empirico innovare, l’intensa<br />

sperimentazione delle dinamiche performative e linguistiche suggerite dalla letteratura<br />

contemporanea e dalla contemporaneità sociale, coabitava con la percezione<br />

concreta e immediata, quasi fisica, d’un teatro futuro che, reso imprevedibile<br />

dalla crisi delle convenzioni e dal dissolversi di tradizioni secolari, si palesava<br />

in quanto vuoto da colmare.<br />

L’“ignoto” al quale fa riferimento il regista non è quanto esiste e non sappiamo,<br />

ma ciò che non possiamo sapere perché non esiste ancora. Gli intellettuali poteva<br />

popolare il futuro della società e del teatro di forme mentali. Ma Antoine, dell’intellettuale,<br />

non aveva né la vocazione né la storia. Non dimentichiamo le sue origini.<br />

Mentre Stanislavskij, Craig e Appia respirarono l’aura culturale delle classi socialmente<br />

elevate, Antoine si formò teatralmente partecipando all’attività di claques<br />

organizzate, lavorò, per vivere, come impiegato del gas e quando rinunciò a questa<br />

occupazione a favore del teatro, lo fece sfidando la miseria nera. Più che come artista<br />

del nuovo e alfiere dell’impossibile, Antoine figura fra le avanguardie dell’Ottocento<br />

come un operaio in rivolta, ma non tanto contro il sistema industriale in sé,<br />

bensì contro l’obsolescenza e la refrattarietà artistica dell’industria teatrale.<br />

Il nuovo – e cioè l’ignoto – gli si configurava a partire dalle innovazioni parziali, che<br />

aveva prodotto egli stesso riformulando l’innesto fra realtà fenomenica e rappresentazione.<br />

Scrutando le prospettive aperta da queste svolte, Antoine intuiva la possibilità<br />

d’un teatro ulteriore, non ancora posseduto, immaginato o previsto, che incominciava<br />

appena ad esistere come latenza e sbocco del presente. Dice al giornalista<br />

Maurice Lefévre, che gli aveva chiesto ragguagli sul Papà Goriot incluso nella<br />

stagione del 1891: “nel presente guazzabuglio, è possibile che il portar sulla scena le<br />

grandi figure della Commedia umana aiuti ad affrancare qualcuno di quegli elementi<br />

dell’‘ignoto’ verso il quale s’incammina il teatro. Tanto peggio se falliremo: il nostro<br />

Roma, Bulzoni, 2003, pp. 229–230.<br />

8 L’espressione è di Ejzen√tejn. Cfr. Cinema<br />

e letterarietà, in Id. Stili di regia.<br />

Narrazione e messa in scena: Leskov,<br />

Dumas, Dostoevskij, Gogol’, a cura di P.<br />

Montani e A. Cioni, Venezia, Marsilio,<br />

1993, p. 356.<br />

9 Si veda, ad esempio, Franco Perrelli,<br />

che nel suo La seconda creazione. Fondamenti<br />

della regia teatrale (Torino, Utet,<br />

2005) riferisce a questo proposito del<br />

caso di Montigny, direttore del<br />

Gymnase di Parigi a partire dalla metà<br />

degli anni quaranta dell’Ottocento,<br />

cui andrebbero fatte risalire alcune innovazioni<br />

tecniche che investono in<br />

particolare l’introduzione dell’oggetto<br />

reale.<br />

10 G. Bartolucci, Teatro–corpo, teatro–<br />

immagine: per una materialita della<br />

scrittura scenica, Padova, Marsilio,<br />

1970, p. 68.<br />

11 Ibidem.<br />

12 Ibidem.<br />

Marcel Jambon e Alexandre Bailly, bozzetto<br />

per il secondo atto di Madame<br />

Butterfly all’Opéra-Comique (1906).<br />

Mise en scène di Albert Carré.

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