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drammaturgia N 2-2007 - Titivillus Mostre Editoria

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sceniche. Che esista una consonanza profonda tra Olympia e l’autore che contribuirà<br />

alla sterzata radicale della scena teatrale è implicito già dalla qualità dei<br />

rapporti intercorsi tra Manet e Zola. Che lo fosse per i contemporanei lo ricorda<br />

André Antoine, sottolineando come, al suo apparire, Thérese Raquin fosse stata<br />

letta dalla critica come uno scandalo non minore a quello provocato dalla famosa<br />

tela. In una lettera al direttore dell’“Echo de Paris” (2 giugno 1890) Antoine,<br />

polemizzando contro il critico Alberto Wolff, ne stigmatizza il tono reazionario<br />

citando uno stralcio della recensione che egli aveva riservato al lavoro di Zola:<br />

“La mia curiosità è sdrucciolata, in questi giorni, in una pozzanghera di fango e<br />

di sangue, che si chiama Teresa Raquin. Entusiasta d’ogni crudezza, il signor<br />

Zola ha già pubblicato la Confessione di Claudio, ch’era l’idillio di uno studente e<br />

di una prostituta: egli vede la donna come il signor Manet la dipinge, color di fango,<br />

con rosee imbellettature [corsivo nostro]” 6 .<br />

Il moto di desublimazione del registro accademico innescato da Manet è<br />

irreversibile: contagia la scrittura di Zola e irrompe, per suo tramite, nella scena.<br />

Non è qui in gioco lo spettro del naturalismo, il mondo ‘filmato’ dal suo linguaggio<br />

prosaico, quanto la vocazione al basso di un certo tipo di modernismo che, nel<br />

naturalismo, trovò certamente un volano privilegiato.<br />

Al pari dell’ambito artistico e in stretta relazione con questo, in campo teatrale la<br />

modernità viene allora contagiata da un concettualizzazione relativa non tanto al<br />

perimetro del naturalismo, quanto nei termini di un basso materialismo e di un<br />

mutato rapporto con il reale che si trasmette durante tutto il corso del secolo XX<br />

fino a contagiare la scena contemporanea. Il basso materialismo si rivela dunque<br />

come il rimosso capace di compiere del tutto il ciclo della modernità: è, in questo<br />

senso, ablazione dell’idealità, deposizione della trasfigurazione a favore di una totale<br />

prossimità delle cose.<br />

Thérese Raquin, il valore d’uso dell’oggetto<br />

Nel valutare il ruolo del basso materialismo entro il quadro delle strategie<br />

registiche, converrà riferirsi alla nozione di scrittura scenica, raccogliendo le indicazioni<br />

di quanti hanno letto nel suo avvento il carattere peculiare della rivoluzione<br />

registica. Il concetto di scrittura scenica appare infatti intimamente intrecciato,<br />

sin dalle origini, a una serie di componenti materiche (o meglio, basso–materiali)<br />

i cui preliminari indizi si saldano all’esegesi naturalista. Infatti, come ha notato<br />

Lorenzo Mango, lo spessore della materialità fa il suo ingresso in scena, attraverso<br />

un disegno coerente e votato ad affermare le logiche nel naturalismo, sulla scorta<br />

delle indicazioni di poetica espresse da Zola nel suo manifesto teorico. Un compendio<br />

di tali visioni era apparso qualche anno prima della pubblicazione de Le<br />

naturalisme au théâtre (1881) e proprio all’interno di quella Thérese Raquin di cui si<br />

è accennato. “Mango scrive: Nella quarta e quinta scena del quarto atto di Teresa<br />

Raquin, scrive Zola nella didascalia, la protagonista è colta mentre pulisce un piede<br />

d’insalata. È un’indicazione semplice, se si vuole anche banale, eppure straordinariamente<br />

rivoluzionaria rispetto alle abitudini di un teatro, come quello<br />

ottocentesco, che limitava la presenza dell’oggetto (quando pure c’era) al semplice<br />

contorno scenografico. Quel piede d’insalata è, per molti versi, più ‘nuovo’<br />

della struttura stessa di un testo che cerca di essere spietatamente realistico ma<br />

appare ancora profondamente impregnato degli umori del melò. L’insalata lavata<br />

‘in pubblico’, senza pudori, nello squallore di una cucina piccolo borghese è il<br />

mondo di Teresa Raquin, la radice visibile della sua tragedia. Sembra quasi che<br />

Zola intenda dare all’oggetto un peso ed un significato tutti particolari, facendone,<br />

ad un tempo, una sorta di catalizzatore dello sguardo (in quanto obbliga a<br />

‘vedere’ la situazione drammatica) e un sostegno importantissimo per la recitazione<br />

(attraverso una manipolazione delle cose che garantisce della sua autenticità<br />

e naturalezza). Attribuendogli, in sostanza, un rilievo tutt’altro che marginale o<br />

puramente decorativo. La rappresentazione fedele e dettagliata della realtà passa<br />

attraverso la presenza di un mondo di cose che hanno, certo, una funzione descrittiva<br />

ma intervengono anche, in maniera decisiva, nel dare forma all’azione.<br />

È in questa direzione che lo assumerà Antoine facendone uno dei segni distintivi della<br />

nascente idea di regia [corsivo nostro] ”7 .<br />

Non si può condannare la magrezza essenziale che il mondo delle cose assume nel<br />

naturalismo, il loro essere in definitiva portatrici di tautologie, perché una tale schiettezza<br />

è accompagnata da una miriade di qualità su cui si appoggia l’azione: il piede<br />

d’insalata non è previsto per essere esibito, ma perché Teresa sia colta nell’atto di<br />

lavarlo. L’oggetto non è così semplicemente ostentato, ma è aperto all’uso, non è<br />

congelato in uno stato generico, ma agito ai suoi stati qualificanti.<br />

Tale utilizzo del mondo delle cose viene avvertito con chiarezza da Zola, la cui<br />

capacità peculiare – come del resto quella di Manet, donde la particolare confidenza<br />

artistica che li legò – sarebbe quella di “vedere tramite oggetti” 8 , e così l’oggetto, da<br />

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