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Anno XXXIV n. 2 Marzo-Aprile 2011 - Ordine dei Medici Lecce

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si effettuano numerosi interventi, di varia tipologia<br />

(spesso chirurgia addominale!) e dove spesso hanno<br />

accesso pazienti settici. Il posizionare accessi venosi<br />

nei locali di una terapia intensiva, dove notoriamente<br />

esistono germi selezionati e resistenti, in pazienti esterni,<br />

cioè ricoverati in altri reparti e che in questi reparti poi<br />

devono ritornare, non necessita di particolari commenti.<br />

Si sa infatti che le Uti rappresentano un substrato assai<br />

fertile per lo sviluppo e l’attecchimento sia di germi<br />

patogeni, sia di germi opportunisti. Ciò a causa della<br />

procedure eseguite in urgenza-emergenza in cui spesso<br />

è difficile rispettare anche le più comuni regole di<br />

antisepsi, ma anche per l’utilizzo di farmaci che deprimono<br />

il sistema immunitario, che porta alla selezione<br />

locale di microorganismi resistenti agli antibiotici o<br />

anche a causa di procedure di medicazione di ferite<br />

infette. Tutto ciò è anche in relazione alla durata della<br />

degenza e soprattutto all’elevata invasività delle procedure<br />

diagnostico terapeutiche, il cui impiego diviene<br />

sempre più frequente con l’aumentare della criticità<br />

del paziente. Tuttavia, fatta eccezione per le UtiI,<br />

possiamo dire che, per quanto riguarda i cvc il cui<br />

posizionamento venga richiesto da altri reparti (Unità<br />

Operative diverse, day hospital, pronto soccorso, ecc),<br />

qualsiasi ambiente va bene, purché questo sia bonificabile<br />

e soprattutto dedicato a questo tipo di interventi.<br />

E’ necessario quindi utilizzare supporti tecnici che<br />

riducano da una parte i rischi intrinseci alla procedura<br />

e dall’altra siano costo efficaci sulla base del numero<br />

di procedure eseguite, migliorare la performance degli<br />

operatori coinvolti mediante la selezione di personale<br />

medico e infermieristico dedicato, assicurare loro<br />

un continuo aggiornamento, garantire un monitoraggio<br />

durante le manovre, poter contare sull’eventuale<br />

disponibilità di figure specialistiche peculiari per la<br />

gestione di eventuali complicanze anche rare (radiologia,<br />

cardiologia, rianimazione).<br />

Intendiamo quindi ribadire che più che una sala<br />

(operatoria o angiologica o radiologica) è indispensabile<br />

che si tratti di un ambiente dedicato, dove siano<br />

dedicati gli operatori, i percorsi, i protocolli, e le risorse.<br />

25<br />

In definitiva, l’ambulatorio adeguatamente attrezzato<br />

dal punto di vista organizzativo e strutturale (team<br />

dedicato) rappresenta la soluzione dotata del migliore<br />

rapporto rischio/efficacia.<br />

La scelta del modello organizzativo ambulatoriale<br />

richiede necessariamente l’adozione di protocolli per<br />

la gestione degli imprevisti-insuccessi e delle complicanze.<br />

E’ fondamentale tuttavia prevedere:<br />

• nursing continuo del personale infermieristico<br />

con stesura <strong>dei</strong> protocolli comportamentali;<br />

• aggiornamento del personale medico nelle strutture<br />

di competenza;<br />

• corretta informazione e supporto logistico al<br />

paziente ed all’ambiente familiare-abitativo.<br />

Non sembri eccessivamente pedante soffermarsi<br />

a discutere così a lungo ed in maniera così particolareggiata<br />

su questi presidi medici che purtroppo sono<br />

spesso considerati degli “accessori” nel trattamento<br />

terapeutico del paziente all’interno dell’ospedale:<br />

“prendiamo una vena ed incominciamo a fare la<br />

terapia”. Dopo di ciò, la manutenzione dell’accesso<br />

viene spesso dimenticata, sino a che non compaiano<br />

segni di flebite, se non di infezione. Allora si cambia<br />

il sito al braccio, poi ancora un altro sito… e poi alle

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