3 - Aeronautica Militare Italiana
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FIG 4<br />
si ferma appena le venga impresso<br />
il movimento, collocandosi nella<br />
configurazione di equilibrio<br />
stabile – localmente – con tre<br />
mazzette per lato e la settima in<br />
basso, posizionata sulla verticale<br />
per il perno della ruota. Ciò<br />
nonostante in moltissimi ripresero<br />
l’idea di Villard modificando e<br />
trasformando il suo schema.<br />
Fra gli altri un certo Orphyrens<br />
che fece esaminare una sua<br />
ruota misteriosa addirittura a<br />
Gravesande. Non si sa molto sulla<br />
costruzione di questo ordigno che<br />
aveva una tela per nasconderne il<br />
meccanismo. Qualcuno ha voluto<br />
attribuire ad Orphyrens la ruota<br />
(fig. 2) ad alveoli radiali zavorrati<br />
da sfere pesanti, che in realtà<br />
pare fosse già stata analizzata,<br />
peraltro senza troppa enfasi, da<br />
Leonardo con uno schizzo nel<br />
Codice Atlantico (fig. 3). Le sfere,<br />
libere di muoversi in senso radiale<br />
negli alveoli, dovevano generare<br />
il moto equivalentemente alle<br />
mazzette di Villard e, come<br />
queste, non avrebbero prodotto<br />
alcunché di perpetuo. In ogni<br />
FIG 5<br />
modo il dispositivo fu copiato da<br />
un gran novero di inventori fino<br />
ad un’esibizione a Los Angeles nel<br />
1910 nel quale il moto “quasi”<br />
perpetuo era garantito da una<br />
dinamo elettrica ben dissimulata<br />
nella struttura. Non fu l’unico<br />
tentativo di imbroglio. Nel 1893<br />
alcuni prestigiatori esibirono una<br />
macchina (fig. 4) capace di ruotare<br />
all’infinito. Era applicata al muro<br />
e si presentava come semplice<br />
variante della ruota ad alveoli,<br />
solo che le sfere erano racchiuse<br />
dei cilindretti opportunamente<br />
inclinati e fissati all’estremità di<br />
ogni raggio metallico imperniato<br />
nel mozzo. Il moto doveva essere<br />
impresso dalla sfera D che nella<br />
configurazione riportata (fig.4)<br />
è a maggior distanza dal fulcro.<br />
Questa teoria, che cade ad<br />
FIG 6<br />
un’analisi soltanto un po’ attenta<br />
(le sfere A, B e C imprimono un<br />
movimento opposto e comunque<br />
si raggiunge ben presto l’equilibrio<br />
come nella ruota di Villard), era<br />
accettata dagli spettatori che,<br />
del resto, non potevano metterla<br />
in dubbio vedendone i risultati.<br />
Tuttavia il moto era perpetuo…<br />
fino all’uscita degli spettatori, dato<br />
che a movimentare il tutto era un<br />
operatore posto dietro al muro!<br />
Nonostante i ripetuti fallimenti<br />
il modello di Villard continuava a<br />
destare simpatie. Hiscox, all’inizio<br />
del ‘900, inventò un congegno<br />
estremamente complesso di<br />
leveraggi e contrappesi collegati<br />
a stantuffi che replicava in modo<br />
raffinato il principio della ruota<br />
ad alveoli (fig. 5). I contrappesi,<br />
muovendosi per gravità, facevano<br />
scorrere gli stantuffi entro i bracci<br />
cavi della ruota, in modo da farli<br />
avvicinare alle estremità dei bracci<br />
stessi durante il primo quarto del<br />
moto discendente, mantenendo<br />
la posizione durante il secondo<br />
quarto del suddetto moto. Tale<br />
soluzione avrebbe impresso la<br />
propulsione all’intero congegno.<br />
Nella fase di risalita, poi, accadeva<br />
il contrario: i contrappesi<br />
facevano allontanare i pistoncini<br />
dalle estremità dei bracci nel<br />
primo quarto e mantenevano la<br />
posizione nel successivo. L’idea<br />
era sempre quella di avere masse<br />
con bracci motori maggiori in<br />
fase discendente, ma non teneva<br />
presente che il lavoro compiuto<br />
dagli stantuffi (e dai contrappesi)<br />
in discesa era uguale a quello<br />
degli stessi in risalita, senza<br />
considerare le perdite per attrito.<br />
Ingegnoso e stavolta immaginato<br />
senza far ricorso alla ruota era<br />
il pendolo perpetuo (fig. 6),<br />
brevettato in Inghilterra, la cui testa<br />
era spinta da piccole molle caricate<br />
con corde azionate dall’estremità<br />
superiore del braccio oscillante.<br />
Parte dell’energia cinetica del<br />
pendolo veniva ceduta per<br />
mettere in tensione le molle<br />
(una per volta), trasformandosi<br />
in energia potenziale elastica<br />
che veniva restituita alla massa<br />
oscillante a fine corsa, con un<br />
impulso dalla molla stessa che<br />
si distendeva. Purtroppo non<br />
si crea energia, anzi si dissipa<br />
per gli attriti interni al sistema,<br />
che producono lo smorzamento<br />
ed il termine del moto...<br />
Prof. Michelangelo FABBRINI<br />
(to be continued..)<br />
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