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mo stati con il Mac G5 a fare tagli. È necessaria una precisione estrema:<br />

l’attore entra in vari ambienti, che devono tutti “apparire” al<br />

momento giusto, e nello stesso tempo non deve essere un robot. In<br />

questo momento abbiamo dei collaboratori bravissimi, che si sono<br />

affinati nel corso degli anni.<br />

Ci rendiamo conto che questa relazione con le tecnologie è anche<br />

un limite. Le innovazioni hanno un ritmo velocissimo e occorre un<br />

impegno enorme per tenersi aggiornati. E tutto per una cosa che all’interno<br />

degli spettacoli non è proprio centrale.<br />

Ci potete raccontare del rapporto tra la macchina e l’uomo, dell’interazione<br />

tra la tecnologia e gli attori all’interno dei vostri spettacoli?<br />

EC: Ci sono spettacoli, come L’ospite, in cui davvero la macchina<br />

schiaccia l’attore: poche parole, uno schermo che sale, uno che scende,<br />

quattro tecnici che lavorano con gli attori, i quali a quel punto sono<br />

solo la rotellina di un ingranaggio. In altri spettacoli – come Twin<br />

Rooms, in cui la recitazione ha un altro tipo di forza – sono gli attori<br />

che determinano i nostri ritmi.<br />

Il “macchinone” più grosso che abbiamo creato è sicuramente<br />

L’ospite. Un pachiderma che ha avuto anche grosse difficoltà di distribuzione,<br />

perché in questo momento il sistema teatrale italiano<br />

non se lo può permettere. Lo spettacolo non ha seguito l’iter usuale:<br />

per noi uno spettacolo, dopo che lo fai dieci, venti volte, prende veramente<br />

una sua anima e a quel punto riesci a giocarci anche meglio,<br />

perché tutto il meccanismo è ormai ben oliato. L’ospite non è mai<br />

riuscito a superare questa soglia, anche se è un lavoro che amo e che<br />

è andato assumendo piccole cose in più. Uno spettacolo la sera della<br />

prima è bello perché è emozionante, però non è ancora davvero vivo.<br />

È un concetto, più che uno spettacolo.<br />

Forse per deformazione professionale, noi pensiamo a questi spettacoli<br />

come a sintesi che stanno in un’inquadratura, in cui l’aspetto del quadro<br />

ha una sostanza cinematografica. In Twin Rooms, soprattutto, la<br />

dimensione della profondità è meno rilevante della superficie; in Piccoli<br />

episodi ci sono entrambe. Come costruite queste inquadrature<br />

nella pratica, le disegnate? Pensate a qualche film?<br />

DN: L’ossessione per il quadro è nata prima di Rooms, c’è sempre<br />

stata. Siamo partiti dalla scelta di delimitare il campo visivo per poi<br />

lavorare sul rapporto tra le figure e lo sfondo, introducendo una spe-<br />

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