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Teatrino Clandestino:<br />
il fantasma del cinema<br />
Intervista a Pietro Babina e Fiorenza Menni<br />
Sarah Branduardi e Silvia Bottani<br />
Teatrino Clandestino nasce a Bologna alla fine degli anni novanta.<br />
Lo fondano Pietro Babina e Fiorenza Menni, regista lui, attrice lei,<br />
entrambi ideatori, nucleo stabile di un gruppo di artisti che da allora<br />
non mai ha smesso di fare ricerca e sperimentazione nel campo del<br />
teatro. Gli spettacoli e i progetti artistici del Teatrino si sono succeduti<br />
o alternati come le tappe di un percorso intelligente e multiforme,<br />
che avanza e recede, prosegue e poi devia, in un processo non lineare:<br />
alle spalle un’ampia cultura, teatrale e non solo, con una forte<br />
impronta visiva e musicale, all’orizzonte l’utopia dell’illusione artistica<br />
perfetta. Lungo la strada, il Teatrino ha incamerato nelle sue<br />
macchine via via più complesse i trucchi dell’artigianato e quelli della<br />
tecnologia: dal video ai carrelli, dai veli di tulle agli effetti sonori,<br />
le macchine settecentesche dell’elettricità e gli artifici della fantasmagoria:<br />
tutto questo è entrato in Teatrino Clandestino, che ha visto<br />
crescere il suo bagaglio da illusionista fino alla perfezione della<br />
recente, e terrificante, macchina di Madre e Assassina. Il rapporto<br />
del Teatrino con l’immagine riprodotta e con le tecnologie è frequente<br />
e importante e almeno altrettanto necessario di quello con la<br />
parola, con il corpo dell’attore o la musica. Si tratta di precise esigenze<br />
drammaturgiche, tanto radicate nell’idea dello spettacolo da non<br />
poter essere in nessun modo rinviate o trascurate. Che risponda alla<br />
necessità della vicinanza visiva e sonora agli attori, come in Si prega<br />
di non discutere di Casa di bambola, o a un’esigenza ritmica della<br />
messa in scena, come in Madre e Assassina, l’immagine digitale è una<br />
risposta a un’urgente necessità creativa.<br />
Per questo il Teatrino sfugge a certe derive postmoderne del teatro<br />
contemporaneo e usa le tecnologie e i prestiti linguistici extradisciplinari<br />
per esprimere qualcosa che gli preme. Non è il compiacimento<br />
formale a condurre la sperimentazione sull’immagine, né c’è<br />
ricerca del colpo di scena nell’uso dei veli o degli schermi; semmai vi<br />
si legge il piacere, di sapore un po’ ludico e infantile, di fronte al pro-<br />
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