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Giulio Cesare assomiglia molto a Benito Mussolini, e che l’uccisione<br />
del poeta Cinna stigmatizza la cieca e brutale forza della folla nei<br />
tempi bui della dittatura. Il pubblico applaude con fervore, perché il<br />
teatro ridiventa un luogo animato da sentimenti ed emozioni forti, in<br />
cui il debito con il passato (e l’amore per Shakespeare) sono assolutamente<br />
in sintonia con le esigenze del presente. E poi mette in scena<br />
un’opera musicale di stampo brechtiano, una farsa-slapstick giocata<br />
sul nonsense e sui doppi sensi, una commedia elisabettiana, un kolossal<br />
di drammi storici shakespeariani dal titolo Five Kings (in cui<br />
Welles recita la parte del suo amato Falstaff e realizza un complicatissimo<br />
palcoscenico rotante), e tanto altro ancora.<br />
A un primo sguardo sembra non esserci un minimo comune denominatore:<br />
Welles spazia tra dramma e commedia, tra cultura alta e<br />
concessioni ai palati meno raffinati, tra palcoscenici nudi ed elaborate<br />
scenografie, tra il ruolo di regista demiurgo e quello dell’attore<br />
star, tra teatro impegnato e intrattenimento, tra clamorosi successi e<br />
altrettanto clamorosi fallimenti. Eppure, in questa frenetica e all’apparenza<br />
disomogenea attività teatrale, c’è, forte e nemmeno troppo<br />
sotterranea, una matrice, un obiettivo, una battaglia da combattere:<br />
“Vorrei restituire il Teatro al popolo”, “Una democrazia teatrale,<br />
che appartiene al popolo, fatta dal popolo, per il popolo”. Eccola,<br />
enunciata perentoriamente nelle sue note.<br />
Può sorprendere questa veste militante e vagamente populista del<br />
giovane Welles. Arguto osservatore, stigmatizzatore, moralista di raz-<br />
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