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2009 - Cc-Ti

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Editoriale<br />

di Luca Albertoni, Direttore della <strong>Cc</strong>-<strong>Ti</strong><br />

6 <strong>Ti</strong>cino Business<br />

accordI BIlateralI e crIsI economIca<br />

Fra pochi giorni si voterà sulla conferma<br />

dell’Accordo bilaterale sulla libera circolazione<br />

fra Svizzera ed Unione Europea e sulla sua<br />

estensione a Romania e Bulgaria. Nel caso<br />

prevalesse il sì sapremo quindi quale sarà il futuro<br />

delle relazioni della Svizzera con il nostro<br />

più importante partner europeo. In caso di rifiuto<br />

l’avvenire a breve termine si preannuncia<br />

invece assai incerto ed in questo particolare<br />

momento storico, contraddistinto da paure ed<br />

insicurezze, un ulteriore fattore di incertezza<br />

sarebbe estremamente nocivo per il nostro<br />

Paese. Durante la campagna sulla votazione<br />

dell’8 febbraio se ne sono sentite, come al solito,<br />

di tutti i colori. Pur comprendendo alcuni<br />

dubbi, soprattutto però legati a questioni che<br />

poco o nulla hanno a che vedere con gli Accordi<br />

Bilaterali in generale e quello sulla libera<br />

circolazione in particolare, scegliere la via<br />

dell’isolazionismo non avrebbe alcun senso. In<br />

gioco non c’è “solo” la libera circolazione delle<br />

persone, ma tutta una serie di regole concernenti<br />

questioni fondamentali come gli ostacoli<br />

tecnici al commercio, la ricerca, la formazione,<br />

ecc.. Togliere alle aziende una base di regole<br />

attendibili, ancorché senz’altro migliorabili,<br />

comporterebbe conseguenze difficilmente<br />

gestibili. Il fatto che talune imprese possano<br />

operare in un contesto internazionale anche<br />

senza gli Accordi Bilaterali non è certo motivo<br />

sufficiente per buttare tutto a mare. Assolutamente<br />

improprio è anche il paragone tracciato<br />

con il rifiuto espresso dal popolo svizzero di<br />

aderire allo Spazio Economico Europeo del 6<br />

dicembre 1992. I contrari agli Accordi bilaterali<br />

citano tale evento storico come esempio<br />

illuminante anche per il <strong>2009</strong>, sostenendo che<br />

tutto sommato nel 1992 non era successo nulla<br />

in seguito al “no” popolare e che l’economia<br />

svizzera aveva potuto crescere comunque. Al<br />

di là delle inesattezze e dei molti esempi di<br />

difficoltà legati direttamente o indirettamente<br />

a quel rifiuto, il parallelo è tuttavia profondamente<br />

improprio perché la realtà di quella<br />

che nel 1992 non era ancora Unione Europea<br />

era profondamente diversa. Meno strutturata,<br />

meno organizzata e sostanzialmente meno<br />

aggressiva politicamente ed economicamente<br />

verso gli Stati terzi, di cui anche la Svizzera fa<br />

parte. Non che oggi l’Unione Europea costituisca<br />

un blocco monolitico che brilla per coerenza<br />

ed unità d’intenti. È però innegabile che,<br />

quando si tratta di difendere gli interessi dei<br />

propri membri verso gli Stati non facenti parte<br />

della “casa europea”, le pressioni (piaccia o<br />

no) possono essere molteplici e pesanti. È vero<br />

che non bisogna essere remissivi, ma una sana<br />

dose di realismo dovrebbe indurci a realizzare<br />

che non sempre siamo in posizione di opporre<br />

una resistenza degna del piccolo villaggio degli<br />

irriducibili galli guidati da Asterix. A meno che<br />

qualcuno trovi una pozione magica…<br />

Fa da sfondo a questa delicata consultazione<br />

popolare la crisi finanziaria ed economica di<br />

cui tutti, forse troppi, parlano. Non esistono ricette<br />

miracolose e, come già detto e scritto nei<br />

mesi scorsi, è necessario diffidare di misure<br />

affrettate, pasticciate ed assemblate solo per<br />

impressionare l’opinione pubblica. Le strade<br />

da percorrere, soprattutto a livello cantonale,<br />

non sono molte. L’intervento per rendere più<br />

elastica l’applicazione delle norme sul lavoro<br />

ridotto sembra avere trovato buona eco anche<br />

a livello federale e questa è sicuramente una<br />

buona cosa per salvaguardare l’occupazione.<br />

Ma poi? Probabilmente il <strong>Ti</strong>cino è l’unico<br />

Paese dell’universo che non ha il coraggio di<br />

affrontare seriamente un discorso di sgravi fiscali.<br />

Nessuno sembra scandalizzarsi di fronte<br />

a proposte mirabolanti di piani di intervento<br />

di centinaia (!) di milioni (evidentemente sotto<br />

forma di sussidi), mentre una riflessione su<br />

sgravi fiscali ragionati e mirati non ha alcun<br />

diritto di cittadinanza, malgrado potrebbe trattarsi<br />

di una variante meno costosa per lo Stato<br />

e senz’altro più efficace a breve, medio e lungo<br />

termine, per garantire la competitività delle<br />

nostre aziende e quindi sostenere l’aspetto occupazionale.<br />

La discussione politica resta però<br />

la più grande incognita, al di là dell’apparente<br />

unità di intenti e di visioni emersa dai primi<br />

incontri fra autorità cantonale, mondo imprenditoriale<br />

e rappresentanti sindacali.<br />

Perché quindi non pensare a misure gratuite,<br />

facilmente ed immediatamente applicabili,<br />

senza scomodare pericolose alchimie politiche?<br />

Una misura di questo tipo c’è: è la capacità<br />

dello Stato di funzionare bene, senza<br />

intralciare inutilmente l’attività imprenditoriale<br />

con procedure e lacci burocratici eccessivi. E’<br />

una caratteristica svizzera e ticinese di importanza<br />

fondamentale per la competitività della<br />

nostra economia e l’attrattività del nostro territorio.<br />

Purtroppo a volte viene dimenticata, ma<br />

in situazioni come quella odierna deve essere<br />

ricordata, riscoperta e rafforzata, per garantire<br />

gli effetti positivi della forza propositiva e creativa<br />

del mondo imprenditoriale. Oltretutto è<br />

gratis, non ci vogliono leggi d’applicazione e le<br />

ricadute sono positive anche a lunga scadenza<br />

(vedi condizioni-quadro). E se fosse questa la<br />

strada per resistere alla bufera?

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