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Novembre - La Piazza

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34 Cinema<br />

“GIORNI E NUVOLE”<br />

Un film, come dice Repubblica, “da vedere”; che<br />

ha come uno dei temi principali il lavoro (e il nonlavoro),<br />

vissuto negli effetti dirompenti in rapporto<br />

alle relazioni interpersonali e sociali. Un film<br />

che si svolge a Genova e fra i suoi abitanti, nel<br />

quale la quotidianità è raccontata con semplicità<br />

realistica: una particolare attenzione è dedicata al<br />

trascorrere di giorni attraversati da nuvole nere.<br />

Il film inizia con una famiglia “borghese” in festa.<br />

Lui, Michele, è il capofamiglia: cogestisce una<br />

azienda, che gli permette una casa di lusso, la colf<br />

nigeriana, lo scafo ormeggiato nel porto. Lei,<br />

Elsa, è la moglie, che si può permettere di lasciare<br />

il lavoro, per laurearsi in storia dell’arte, di cui è<br />

una devota cultrice.<br />

<strong>La</strong> festa è una “festa di laurea” per Elsa, che finalmente<br />

ha coronato il suo sogno. Gli amici intervenuti<br />

sono amici benestanti, agiati borghesi, apparentemente<br />

sereni e beati, come chi li ospita. Alice<br />

è la solita figlia di una agiata coppia borghese:<br />

ragazza ventenne, che liberamente convive con il<br />

suo ragazzo del momento: è tenera e brusca nei<br />

confronti dei genitori e arriva fino alla violenza<br />

verbale nei confronti del padre.<br />

Ma, finita la festa, viene fuori una amara verità:<br />

Michele, già da due mesi, è stato estromesso, per<br />

iniziativa dei due soci, dalla sua società. Finito il<br />

lavoro, finiscono anche i soldi messi da parte:<br />

bisogna vendere la casa e trasferirsi in un quartiere<br />

popolare, bisogna licenziare la nigeriana e ven-<br />

di Gualtiero Todini<br />

dere la barca. Il processo di proletarizzazione di<br />

cui si legge nei libri (e quindi si può avvertire<br />

astratto e lontano), qui ora si tocca con mano, è<br />

concreto; e gli effetti della proletarizzazione si<br />

vedono subito nei rapporti familiari, che presto<br />

degenerano. L’uomo si dispera e affonda, la donna<br />

si rimbocca le maniche, si adatta a fare i lavori<br />

proletari che sappiamo: poche ore al call-center,<br />

pratiche di segretaria con il datore che ci prova (e<br />

lei quasi si concede...); la figlia, adesso che l’esistenza<br />

per i suoi si fa dura, si sforza di dar loro una<br />

mano con l’ingenuo e sano fervore giovanile.<br />

<strong>La</strong> parte più valida del film mi è sembrata lo sforzo<br />

di approfondimento psicologico, che il regista<br />

realizza con successo grazie anche alla recitazione,<br />

questa volta superlativa, dei due attori, insolitamente<br />

insieme, Antonio Albanese e Margherita<br />

Buy, impegnati in scene anche banali di vita quotidiana,<br />

nelle quali sono sempre calibrati i loro<br />

silenzi, i sussurri, le grida.<br />

<strong>La</strong> conclusione del film è senza risoluzione: non<br />

scivola nel dramma, ma non arriva nemmeno il<br />

lieto fine. Comunque è un finale “racconsolante”<br />

(come lo definisce Lietta Tornabuoni sulla “Stampa”),<br />

il cui messaggio è che, pur nelle incombenti<br />

disavventure della vita, i due non ritengono fallita<br />

la loro unione sentimentale, ma anzi rinsaldata.

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