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“Avvicinatevi, vi prego, esaminate questo spettacolo che senza ...

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116<br />

Beluno,<br />

veduta del Piave<br />

anno 1900...<br />

<strong>“Av<strong>vi</strong>cinate<strong>vi</strong></strong>, <strong>vi</strong> <strong>prego</strong>, <strong>esaminate</strong> <strong>questo</strong> <strong>spettacolo</strong> <strong>che</strong> <strong>senza</strong> ombra di dubbio è una delle cose<br />

più belle, potenti e straordinarie di cui <strong>questo</strong> pianeta disponga<br />

(…) Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?”<br />

Dino Buzzati<br />

Dolomiti Bellunesi.<br />

Nuvole basse,<br />

Tamer-Pramper<br />

(Ph Nicolò Miana)


Aprile<br />

Fuori dalle nuvole, Montte Pelf<br />

(Ph Tommaso Forin)<br />

117


118<br />

n.4<br />

GRUPPO: DOLOMITI BELLU-<br />

NESI - VETTE FELTRINE<br />

PROVINCIA: BELLUNO<br />

SUPERFICIE: 20.095,66 ha<br />

GRUPPI: Pramper-Mezzodì<br />

(Cima di Pramper 2409 m, Spiz<br />

di Mezzodì 2324 m); San Sebastiano-Tamer<br />

(M. Tamer 2547 m,<br />

Cima Nord di S. Sebastiano<br />

2488 m, Cresta Sud di S. Sebastiano<br />

2420 m); Schiara (M.<br />

Schiara 2565 m, M. Talvena<br />

2542 m, M. Pelf 2502 m, Cime<br />

di Città 2465 m, Gusela del Vescovà<br />

2365 m, Cime dei Ba<strong>che</strong>t<br />

2342 m, Cima del Burel 2281 m,<br />

M. Coro 1985 m); Monti del<br />

Sole (Piz di Mezzo 2240 m, M.<br />

Feruch 2121 m); Cimonega-Alpi<br />

Feltrine (Sass de Mura 2547 m,<br />

Piz de Sagron 2486 m, Piz de<br />

Mez 2440 m, M. Pa<strong>vi</strong>one 2335<br />

m, M. Ramezza 2250 m, M. Vallazza<br />

2167 m).<br />

Particolarità salienti:<br />

Spettacolare sequenza di<br />

pareti verticali (fra le più<br />

alte delle Dolomiti, nonché<br />

del mondo, come la<br />

parete Nord del Burel e<br />

quella Est del Pizzocco)<br />

e selvaggi altopiani<br />

(Erera-Brendol) in parte<br />

rocciosi, modellati dai<br />

ghiacciai e fortemente incisi<br />

dal carsismo. La<br />

complessità strutturale, la<br />

relativa varietà delle<br />

rocce e la ric<strong>che</strong>zza di<br />

forme e processi geomorfologici<br />

si riflettono in<br />

una spiccata diversificazione<br />

orografica, nella<br />

grande complessità di<br />

paesaggi e in una notevole<br />

diversità biologica.<br />

Dolomiti Bellunesi<br />

e Feltrine<br />

INQUADRAMENTO GEOGRAFICO<br />

Le Dolomiti Bellunesi e le Vette Feltrine, in gran parte comprese nel<br />

territorio del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, sono localizzate ai<br />

margini sud orientali delle Alpi Dolomiti<strong>che</strong>, in Pro<strong>vi</strong>ncia di Belluno, e<br />

si affacciano sulla media valle del Piave (Valbelluna), tra le maggiori<br />

dell’intero arco alpino. Comprendendo ambienti di media e alta montagna<br />

su rocce carbonati<strong>che</strong> fino alla quota massima di 2565 m, per<br />

le loro caratteristi<strong>che</strong> biogeografi<strong>che</strong> costituiscono un importante elemento<br />

di transizione tra il paesaggio prealpino, con forme arrotondate,<br />

e quello alpino, dagli aspetti più rupestri.<br />

Tra le Valli del Cismon ad Ovest, dei torrenti Noana, Mis e Maè a Nord<br />

e del Piave ad Est e Sud, si presentano come massicci calcarei e dolomitici<br />

con vallate più o meno strette e profonde <strong>che</strong> li separano. Si<br />

tratta di aree imper<strong>vi</strong>e e in gran parte selvagge, dalle distese boschive<br />

alle praterie sommitali, ove la natura conserva toni aspri e affascinanti.<br />

Sul fondo delle valli e sui versanti meno ripidi si trovano i principali<br />

centri abitati e vengono praticate atti<strong>vi</strong>tà tradizionali come lo sfalcio e


l’esbosco <strong>che</strong> tengono ancor oggi l’uomo legato al proprio ambiente.<br />

Da Ovest verso Est il primo gruppo montuoso <strong>che</strong> si incontra è quello<br />

delle Vette Feltrine, le cui maggiori elevazioni sono Cima Dodici (2264<br />

m) e il Monte Pa<strong>vi</strong>one (2335 m). I versanti settentrionali, ripidi e rocciosi,<br />

guardano verso la Valle del Primiero mentre a Sud i pendii delle<br />

cime digradano spesso in ampi circhi glaciali e si raccordano in maniera<br />

graduale alla Valle del Piave. Subito ad Est, alla testata della Val<br />

di Canzoi solcata dal torrente Caorame, si elevano le cime dolomiti<strong>che</strong><br />

del Cimonega (Sass de Mura, 2550 m) <strong>che</strong> collega le Vette con il<br />

grande altopiano carsico di Erera-Brendol e il massiccio del Pizzocco<br />

(2186 m). Oltre la Valle del Mis si s<strong>vi</strong>luppa il complesso orografico dolomitico<br />

dei Monti del Sole <strong>che</strong> costituisce la zona più inaccessibile e<br />

selvaggia dell’intero sistema. I versanti di questi rilie<strong>vi</strong> sono scarsamente<br />

frequentati dagli escursionisti e segnati dai <strong>vi</strong>az disegnati dai<br />

camosci tra cenge e mughete.<br />

Oltre la valle del Cordevole si incontra il gruppo della Schiara, <strong>che</strong><br />

con cime di tipo dolomitico come il Burel (2281 m) comprende ad Est<br />

il rilievo erboso del Monte Serva (2133 m). Il Monte Schiara, con i suoi<br />

2565 m di quota, rappresenta la maggiore elevazione delle Dolomiti<br />

Bellunesi e si affaccia sul capoluogo Belluno con l’inconfondibile profilo<br />

della Gusela del Vescovà, sottile guglia roccioso dalla forma simile<br />

ad un ago (da cui il termine dialettale gusela).<br />

Più a Nord, verso lo Zoldano, l’orografia è segnata dai massicci del<br />

Monte Talvena (2542 m) e della Cima di Pramper (2409 m) e dal<br />

Gruppo del Tamer-San Sebastiano, delimitato a settentrione dalla sella<br />

erbosa di Passo Duran.<br />

Una relativa abbondanza di precipitazioni, in media comprese tra i<br />

1200 e i 1600 mm annui, la pre<strong>senza</strong> estiva di nebbie persistenti <strong>che</strong><br />

avvolgono gran parte dei versanti <strong>che</strong> si affacciano sulla Valbelluna e<br />

l’inversione termica durante i mesi invernali sono gli elementi climatici<br />

<strong>che</strong> caratterizzano queste montagne. Spesso <strong>vi</strong> si registrano an<strong>che</strong><br />

periodi di relativa aridità (in inverno e qual<strong>che</strong> volta dalla fine dell’estate<br />

all’autunno). In generale il clima locale è di tipo alpino sublitoraneo<br />

con una certe componente di oceanità, con precipitazioni<br />

concentrate agli equinozi e una tendenza ad una progressiva continentalizzazione<br />

da Sud-Est a Nord-Ovest.<br />

ASPETTI GEOLOGICI - GEOMORFOLOGICI<br />

La storia geologica dell’area inizia dalla fine del Triassico (230-210 milioni<br />

di anni fa), con la pre<strong>senza</strong> di una estesa piana costiera tropicale,<br />

periodicamente sommersa. In <strong>questo</strong> ambiente si depositarono<br />

i sedimenti della Dolomia Principale, carbonato doppio di calcio e magnesio<br />

(Dolomia) <strong>che</strong> costituisce la base di gran parte di questi rilie<strong>vi</strong>.<br />

Verso l’inizio del Giurassico la piattaforma sprofondò, rompendosi in<br />

vari blocchi. Nel settore occidentale si s<strong>vi</strong>luppò un banco tropicale<br />

poco profondo (la Piattaforma di Trento) sul quale si sedimentò la formazione<br />

calcarea dei Calcari Grigi, mentre nel settore orientale si instaurarono<br />

condizioni di mare profondo (il Bacino di Belluno), dove si<br />

stratificarono in successione i calcari selciferi della Formazione di Soverzene<br />

e le marne selcifere della Formazione di Igne. Nel Dogger<br />

(170 milioni di anni fa) si verificò lo sprofondamento finale del banco<br />

tropicale, e su tutta l’area si crearono condizioni uniformi di bacino<br />

marino profondo, testimoniate dalla deposizione ad ovest del Rosso<br />

Ammonitico Inferiore, dall’e<strong>vi</strong>dente nodularità e ricco di fossili di Ammonite,<br />

e dei calcari oolitici del Calcare del Vajont, <strong>che</strong> ad Ovest poggiano<br />

sui Calcari Grigi e ad Est sulla Formazione di Igne. Si ebbe così<br />

un livellamento delle grandi depressioni precedentemente esistenti.<br />

Tramonto sul Feruch<br />

(Ph N.M)<br />

Gruppo del Bosconero<br />

(Ph M.S.)<br />

Tramonto sul Taverna<br />

(Ph N.M.)


120<br />

4. DOLOMITI BELLUNESI E FELTRINE<br />

BIS<br />

Successivamente, nel Bacino di Belluno <strong>che</strong> nel frattempo si era ingrandito,<br />

si sedimentò una potente serie di formazioni rocciose, costituita<br />

in successione dai calcari selciferi della Formazione di<br />

Fonzaso e dai calcari nodulari del Rosso Ammonitico Superiore (Giurassico<br />

superiore), dai calcari marnosi selciferi del Biancone (Cretaceo,<br />

da 140 a 65 milioni di anni fa) e dai calcari e marne della Scaglia<br />

Rossa (Cretaceo superiore-Eocene inferiore).<br />

All’inizio del Paleocene, nella prima fase di sollevamento della catena<br />

alpina, emersero alcune aree sulle quali si s<strong>vi</strong>luppò un’intensa atti<strong>vi</strong>tà<br />

erosiva. I sedimenti così generati andarono a depositarsi nell’adiacente<br />

Bacino di Belluno, dando origine alla potente formazione del<br />

Flysch di Belluno <strong>che</strong> alterna strati arenacei e marnosi.<br />

L’Orogenesi alpina aveva dato origine a pieghe e faglie, indicatrici di<br />

una compressione della placca crostale diretta da Nord verso Sud.<br />

Nell’area si distinguono due strutture tettoni<strong>che</strong> principali: l’anticlinale<br />

Coppolo-Pelf e la Sinclinale di Belluno. La prima piega presenta il<br />

fianco meridionale rovesciato verso Sud, mentre la sinclinale si s<strong>vi</strong>luppa<br />

lungo la Val Belluna con un asse orientato circa Est-Ovest. Queste<br />

due strutture, in seguito a spinte compressive, traslarono lungo il<br />

1. Dolomiti Settentrionali 1<br />

Tre Cime e dintorni<br />

2. Marmolada<br />

3. Pale di San Martino e dintorni<br />

4. Dolomiti Bellunesi e Feltrine<br />

5. Dolomiti di Brenta<br />

5bis. Rio delle Foglie - Bletterbach<br />

6. Dolomiti Friulane e d’Oltrepiave<br />

7. Pelmo - Civetta - Nuvolau<br />

8. Dolomiti Cadorine<br />

9. Dolomiti Settentrionali 2 - Dolomiti Ampezzane<br />

10. Odle - Puez<br />

11. Sciliar - Catinaccio - Latemar<br />

12. Sella - Sassolungo - Sassopiatto


fianco di raccordo, dando così origine alla “Linea di Belluno”, insieme<br />

di grandi faglie dal piano inclinato e con una escursione verticale di<br />

circa 800 metri <strong>che</strong> coincidono con i versanti meridionali delle Dolomiti<br />

Bellunesi e Vette Feltrine.<br />

Nelle Dolomiti Bellunesi e nelle Vette Feltrine fattori notevoli di modellamento<br />

del paesaggio sono i fenomeni carsici e glacio-carsici, con<br />

svariate forme superficiali e sotterranee; il modellamento glaciale, con<br />

una serie di depositi morenici soprattutto tardoglaciali; e l’erosione<br />

idrica, con la pre<strong>senza</strong> di profonde gole e forre.<br />

In particolare, durante la glaciazione w rmiana (da 75.000 a 10.000<br />

anni fa circa), l’area è stata interessata dalla pre<strong>senza</strong> di piccoli ghiacciai<br />

locali sommitali e di ghiacciai valli<strong>vi</strong> (Piave, Mis e Cordevole). I<br />

circhi (localmente indicati come van, buse, cadin) sono le forme glaciali<br />

più significative nei paesaggi d’alta quota (accompagnati dalle tipi<strong>che</strong><br />

rocce montonate e dai depositi degli argini morenici): si tratta di<br />

grandi con<strong>che</strong> delimitate da creste rocciose e caratterizzate da un<br />

fondo pianneggiante spesso inciso dal carsismo (con<strong>che</strong> glaciocarsi<strong>che</strong>).<br />

L’altopiano di Erera-Piani Eterni rappresenta l’unità carsica più<br />

importante per la ric<strong>che</strong>zza delle tipologie presenti, in quanto connotato<br />

da estese superfici rocciose (tra i 1700 e i 1900 m di quota), sulle<br />

quali le morfologie carsi<strong>che</strong> trovano spesso le condizioni ideali per<br />

s<strong>vi</strong>lupparsi (carsismo di altopiano strutturale e di circo).<br />

Ricer<strong>che</strong> ed esplorazioni sistemati<strong>che</strong> da parte degli speleologi in<br />

quest’area hanno condotto finora al rilevamento di oltre 200 ca<strong>vi</strong>tà,<br />

raggiungendo la profondità massima di 972 metri e uno s<strong>vi</strong>luppo di<br />

oltre 30 chilometri di gallerie per il complesso carsico principale.<br />

ASPETTI VEGETAZIONALI E FAUNISTICI<br />

Il Monte Serva e le Vette Feltrine sono state esplorate da botanici fin<br />

dal XVII Secolo: qui si concentra infatti uno straordinario patrimonio<br />

floristico <strong>che</strong> oggi conta circa 1400 specie vascolari (circa un quarto<br />

di quelle nazionali), diverse delle quali molto rare o endemi<strong>che</strong>. La<br />

pre<strong>senza</strong> di zone scoperte durante le glaciazioni quaternarie ha infatti<br />

consentito la soprav<strong>vi</strong>venza di piante di origine più antica, i cosiddetti<br />

relitti terziari, e favorito intensi scambi floristici specialmente<br />

con l’ambito illirico (orientale). Oggi alcune specie si trovano qui ai<br />

margini del loro areale di diffusione, mentre si sono formate delle speciali<br />

nicchie ecologi<strong>che</strong> dove, grazie a particolari microclimi, trovano<br />

s<strong>vi</strong>luppo associazioni vegetali di estremo interesse.<br />

Nella fascia montana (800-1600 m slm) domina il faggio, seppure oggi<br />

notevolmente ridotto per l’intenso rimboschimento, quasi mai naturale<br />

soprattutto sui versanti meridionali, ad abete rosso, an<strong>che</strong> se è possibile<br />

trovare lembi spontanei di pecceta subalpina (talvolta con pre<strong>senza</strong><br />

di larici, come nella grande Foresta di Cajada). Il pino silvestre<br />

popola, nell’area del faggio, ambienti selvaggi ed aridi esposti a sud<br />

e, in alcune località, è presente il pino nero, specie illirica <strong>che</strong> trova in<br />

queste zone il limite occidentale del proprio areale di diffusione. Il limite<br />

del bosco è in alcuni settori particolarmente depresso (mediamente<br />

raggiunge a stento i 1700 m di quota ma è in ripresa) a causa<br />

Dalla Cima della Serva<br />

verso Nord<br />

(Ph L.D.B.)<br />

Cajada<br />

(Ph L.D.B.)<br />

121


122<br />

Campanule di Moretti<br />

(Ph T.F.)<br />

Gallo cedrone<br />

(Ph Mauro Arzillo)<br />

dell’intenso uso a pascolo dei terreni liberati con il disboscamento,<br />

delle frequenti sla<strong>vi</strong>ne e dei ripetuti incendi <strong>che</strong> hanno interessato i<br />

versanti. Il passaggio al piano sommitale (1600-2300 m slm) presenta<br />

una tipica vegetazione con gli arbusti contorti: ginepro nano, pino<br />

mugo e ontano verde <strong>che</strong> predilige i terreni umidi e a lungo innevati.<br />

Comune è il rododendro ferrugineo, sui suoli acidificati, spesso associato<br />

con mirtillo nero. Nella zona alpina le praterie, in parte non più<br />

utilizzate come un tempo, sono di rilevante importanza per le fioriture.<br />

Diffusi appaiono i consorzi di megaforbie, <strong>che</strong> prediligono ambienti<br />

freschi. Qui le associazioni vegetali più comuni sono i seslerieti e i cariceti.<br />

Sui pascoli eccessivamente caricati si s<strong>vi</strong>luppa il nardeto, mentre<br />

l’apporto di escrementi animali favorisce lo s<strong>vi</strong>luppo di vegetazione<br />

nitrofila del romiceto. La Carex firma popola l’interfaccia tra pascoli e<br />

rocce. Nei circhi glaciali carsificati si s<strong>vi</strong>luppa la tipica vegetazione<br />

delle vallette nivali: tra le altre specie <strong>vi</strong> si trovano salici nani e il ranuncolo<br />

alpestre, oltre ad una flora specializzata caratteristica (Arabis<br />

caerulea, Sibbaldia procumbens, Potentilla brauneana, Taraxacum<br />

alpinum, Salix herbacea, Veronica alpina). La Luzula dei ghiacciai e<br />

Juncus jacquinii popolano i <strong>vi</strong>cini terrazzi a suolo più profondo. Negli<br />

orizzonti subalpino ed alpino i due habitat floristicamente più interessanti<br />

sono le rupi, <strong>che</strong> ospitano vegetazione casmofila, ed i ghiaioni.<br />

Qui si concentrano le specie endemi<strong>che</strong> e più rare (come il Delphinium<br />

dubium). Si tratta di ambienti particolari <strong>che</strong> presentano cenosi<br />

interessanti come l’alisseto dei brecciai, l’adenostileto dei ghiaioni, ed<br />

i ripari a Cortusa matthioli. Nelle fessure delle rocce si trovano varie<br />

sassifraghe e campanulacee (tra cui la Campanula morettiana, simbolo<br />

del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, ed il Raponzolo di roccia),<br />

ma an<strong>che</strong> li<strong>che</strong>ni crostosi. La grande varietà di ambienti presenti consente<br />

a moltissime specie animali di trovare le condizioni adatte per<br />

<strong>vi</strong>vere e riprodursi, dai fondovalle alle condizioni limite delle zone sommitali.<br />

Tra i mammiferi censiti le specie più significative sono gli ungulati:<br />

camoscio, capriolo e cervo. Introdotto in passato, è presente<br />

an<strong>che</strong> il muflone, mentre il cinghiale <strong>vi</strong>ene segnalato occasionalmente<br />

alle pendici meridionali del sistema montuoso. Vivono qui praticamente<br />

tutte le specie della fauna alpina: lepre variabile, volpe, tasso,<br />

ermellino, donnola, martora, faina, scoiattolo, ghiro e riccio. La marmotta,<br />

presente nel settore nord-orientale del Parco, è stata oggetto di<br />

un recente piano di reintroduzione <strong>che</strong> ha avuto un buon successo. Ritornati,<br />

ma ancora solo di passaggio, sono la lince e l’orso, segnalati<br />

episodicamente. L’a<strong>vi</strong>fauna, stanziale e di passo, è piuttosto diversificata,<br />

grazie alla ric<strong>che</strong>zza di ecosistemi. Ben rappresentati sono i<br />

rapaci diurni e notturni: aquila reale (con nove coppie nidificanti),<br />

astore, spar<strong>vi</strong>ere, gufo reale, allocco, civetta capogrosso e civetta<br />

nana, sono solo alcuni. Importante è an<strong>che</strong> la popolazione dei tetraonidi:<br />

gallo cedrone, fagiano di monte, francolino di monte e pernice<br />

bianca; mentre i boschi sono arricchiti dalla pre<strong>senza</strong> del picchio nero.<br />

Le specie di anfibi e rettili sono ben rappresentate, nonostante la scarsità<br />

di ambienti umidi. Insieme a rane e tritoni va segnalata la non comune<br />

salamandra nera. Sono presenti an<strong>che</strong> quella pezzata, la<br />

coronella austriaca, il biacco nero, il colubro di Esculapio, la natrice,<br />

e la rara <strong>vi</strong>pera dal corno. Sono da segnalare infine alcuni endemismi<br />

esclusi<strong>vi</strong> tra gli invertebrati: Orotrechus pa<strong>vi</strong>onis, Orotrechus theresiae,<br />

Sinuicollia dalpiazi, Leptusa pascuorum pa<strong>vi</strong>onis.<br />

ASPETTI ANTROPICI-ANTROPOLOGICI<br />

La pre<strong>senza</strong> dell’uomo in questi territori è molto antica: i primi <strong>vi</strong>sitatori<br />

sono documentati nel Paleolitico medio e superiore (40.000-30.000


anni fa). Sul Monte Avena, a una quota di 1450 m,<br />

si s<strong>vi</strong>luppò una formidabile industria litica nel periodo<br />

Aurignaziano. Dopo la fine delle glaciazioni<br />

(circa 15.000 anni fa) cacciatori-raccoglitori provenienti<br />

dalla pianura risalivano le valli nel periodo<br />

estivo per inseguire la selvaggina. In località Val<br />

Rosna (Val Cismon) sono stati ritrovati una serie di<br />

ripari sottoroccia utilizzati come campo base da<br />

cacciatori preistorici di cultura epigravettiana e mesolitica<br />

(14.000-6.500 anni fa), e una sepoltura con<br />

corredo risalente a circa 14.000 anni fa. I cambiamenti<br />

climatici modificarono radicalmente la <strong>vi</strong>ta<br />

dell’uomo <strong>che</strong> da nomade divenne agricoltore e allevatore<br />

sedentario, formando nuo<strong>vi</strong> e consistenti<br />

insediamenti fissi sparsi per tutta l’area. Nel corso<br />

del Neolitico (4.500-2.500 anni fa) le zone più frequentate<br />

si localizzavano sui terrazzi di origine glaciale<br />

e flu<strong>vi</strong>ale o al margine di bacini lacustri. Le<br />

testimonianze dell’Età del Bronzo e dei primi secoli<br />

dell’Età del Ferro (1.800-1.000 a.C.) sono numerose<br />

e documentano la progressiva colonizzazione delle<br />

montagne da parte di popolazioni già stanziate<br />

nella pianura veneta e nelle Prealpi. Si insediarono<br />

genti veneti<strong>che</strong>, celti<strong>che</strong> (Belluno) ed etrus<strong>che</strong> (Feltrino).<br />

Queste ultime, integrandosi con le tribù preesistenti,<br />

diedero origine alle culture reti<strong>che</strong>.<br />

L’occupazione romana avvenne tra il 110 e il 30<br />

a.C., e fin da subito il territorio fu suddi<strong>vi</strong>so in due<br />

municipi (Bellunum e Feltriae). Vi passava la strada<br />

militare romana Claudia Augusta Altinate, <strong>che</strong> attraversava<br />

le Alpi, mentre le due città erano collegate<br />

da una importante <strong>vi</strong>a commerciale, e piste di<br />

origine preromana esistevano lungo i versanti meridionali<br />

delle Dolomiti Bellunesi e altre percorrevano<br />

le principali valli laterali, dove i romani<br />

sfruttarono per primi i grandi giacimenti di ferro,<br />

rame, piombo e argento (Val di Zoldo e Agordino).<br />

Dal IV Secolo d.C. si alternarono diverse popolazioni<br />

germani<strong>che</strong>: in particolare i longobardi instaurarono<br />

nuove organizzazioni sociali dalle quali<br />

sembra siano nate le Regole. Nel 1404 Belluno e<br />

Feltre con i loro territori si sottomisero alla Repubblica<br />

di Venezia <strong>che</strong> sfruttò intensamente per oltre<br />

tre secoli le foreste (Cajada) e i giacimenti di minerali<br />

(Val Imperina e Vallalta) di queste montagne.<br />

Occupato nel 1797 dai francesi, dal 1814 al 1866 il<br />

territorio passò sotto la dominazione austriaca, <strong>che</strong><br />

portò un netto miglioramento della <strong>vi</strong>abilità stradale<br />

di fondovalle. Nel 1866 <strong>vi</strong> fu il passaggio al Regno<br />

d’Italia, cui seguirono le fortificazioni dei confini. Durante<br />

la Prima Guerra Mondiale il fronte inizialmente<br />

passava sulle Vette Feltrine, per subito spostarsi più<br />

a Nord, fino alla ritirata di Caporetto. Nell’ultimo<br />

anno di guerra, l’an de la fam (anno della fame), ci<br />

fu la dura occupazione austriaca. Nel 1944 la<br />

guerra tornò su queste cime, dove si organizzarono<br />

diverse unità partigiane <strong>che</strong> si opponevano all’oc-<br />

Spaccasassi Miniere Val Imperina<br />

(Ph T.F.)<br />

Certosa di Vedana<br />

(Ph M.S.)<br />

123


124<br />

Casera Piani Eterni<br />

(Ph L.D.B.)<br />

I Monti del Sole dal Pizzocco<br />

(Ph L.D.B.)<br />

cupazione tedesca. Notevoli flussi migratori interessarono le popolazioni<br />

locali dalla fine dell’Ottocento fino al secondo dopoguerra, influendo<br />

notevolmente sul progressivo abbandono delle atti<strong>vi</strong>tà<br />

tradizionali e del territorio montano, <strong>che</strong> oggi si presenta ricoperto da<br />

vaste aree boschive <strong>che</strong> spesso nascondono numerosi e importanti<br />

segni della millenaria pre<strong>senza</strong> e del lavoro dell’uomo. An<strong>che</strong> la toponomastica<br />

conferma un’intensa antropizzazione dei luoghi, indicando<br />

atti<strong>vi</strong>tà cessate, caratteristi<strong>che</strong> vegetazionali e anti<strong>che</strong><br />

credenze. Nei boschi, i cui mo<strong>vi</strong>menti di espansione e contrazione<br />

erano direttamente proporzionali alle variazioni della popolazione e<br />

alle fortune economi<strong>che</strong>, si tagliava la legna da ardere in casa, nei<br />

forni fusori delle miniere e nelle fornaci da calce (cal<strong>che</strong>re), quella per<br />

ricavare il carbone vegetale nelle caratteristi<strong>che</strong> aie (poiat), quella utilizzata<br />

nelle carpenterie edili e navali e <strong>vi</strong> si ricavavano pascoli e terreni<br />

coltivati, talvolta terrazzati per essere più facilmente utilizzabili. Il<br />

bosco era il luogo pri<strong>vi</strong>legiato per l’incontro con esseri fantastici, <strong>che</strong><br />

si riteneva dimorassero negli anfratti rocciosi, nelle grotte, in prossimità<br />

delle sorgenti (Om Salvarech, Mazarol, Anguane, Cavestrane). Una<br />

delle principali atti<strong>vi</strong>tà delle genti <strong>che</strong> abitavano questi territori, fino al<br />

secondo dopoguerra, era l’allevamento del bestiame bo<strong>vi</strong>no e o<strong>vi</strong>no,<br />

strutturato nel complesso sistema annuale della monticazione <strong>che</strong>,<br />

sfruttando appieno la produzione di foraggio, partiva dagli insediamenti<br />

permanenti del fondovalle e, passando per le casere (dette maiolere<br />

perché utilizzate a partire dal mese di maggio) e le stalle-fienili<br />

della fascia del prealpeggio, giungeva alle malghe dei pascoli d’alta<br />

quota, diverse delle quali ancora oggi utilizzate. Qui le muc<strong>che</strong> trovavano<br />

ricovero durante la notte in tipi<strong>che</strong> stalle aperte (pendane),<br />

separate dalla casera, dove avveniva la produzione del burro e del<br />

formaggio. Tra i centri minerari più importanti di cui rimangono e<strong>vi</strong>dente<br />

tracce sono i complessi di Val Imperina per il rame (sfruttato dal<br />

XV Sec. al 1962) e di Vallalta per il mercurio (1770-1963), entrambe<br />

nell’Agordino. Numerose sono an<strong>che</strong> piccole e medie cave stori<strong>che</strong> di<br />

pietre calcaree da costruzione, mentre sono innumerevoli le tracce<br />

degli opifici azionati dalle acque dei torrenti.<br />

ASPETTI ALPINISTICI<br />

L’esplorazione delle Dolomiti Bellunesi e delle Vette Feltrine trova origine<br />

dalla necessità delle genti locali di utilizzare ogni porzione utile<br />

per il proprio sostentamento.<br />

L’interesse per la montagna<br />

era infatti principalmente rivolto<br />

verso lo sfruttamento<br />

delle materie prime disponibili,<br />

come il legname, i pascoli,<br />

la selvaggina, i minerali,<br />

le pietre e l’acqua. Inizialmente,<br />

quindi, buona parte<br />

del territorio era conosciuto<br />

solo ai pastori del luogo <strong>che</strong><br />

salivano sui pascoli più alti<br />

con il bestiame, mentre le<br />

cime e le cenge rocciose<br />

erano note soltanto ai più arditi<br />

cacciatori di camosci. Se<br />

non c’era una forte esigenza<br />

materiale, gli abitanti dei<br />

paesi sottostanti e<strong>vi</strong>tavano di


spingersi troppo in alto perché temevano di incontrare mostri, diavoli,<br />

streghe ed altre figure miti<strong>che</strong> della tradizione. Ciononostante i più<br />

esperti cacciatori di camosci accettavano sempre, dietro un corrispettivo<br />

economico, di accompagnare alpinisti e naturalisti alla conquista<br />

e scoperta delle cime. Questi uomini audaci si possono<br />

considerare come le prime vere guide alpine di queste montagne.<br />

Prima della vera e propria esplorazione alpinistica (dal XVIII Sec.) era<br />

nato l’interesse per la ricerca scientifica (botanica e geologica soprattutto)<br />

e furono in molti, an<strong>che</strong> stranieri, <strong>che</strong> si dedicarono, spesso<br />

con caparbietà, alla conoscenza delle ric<strong>che</strong>zze ambientali. A quell’epoca<br />

l’esploratore alpinista era infatti spesso an<strong>che</strong> un uomo di<br />

scienza e l’interesse per la scoperta era di<strong>vi</strong>so fra la ricerca geografica<br />

e lo studio delle scienze naturali, per la quale era necessaria la<br />

raccolta di materiale naturalistico (fiori, rocce, insetti). L’era dell’esplorazione<br />

alpinistica iniziò nel 1713, quando la Repubblica di Venezia<br />

incaricò Francesco Grandis di percorrere le zone di confine con<br />

il Tirolo allo scopo di redigere una carta militare, indi<strong>vi</strong>duare i passi di<br />

transito e progettare opere di difesa, nonché di valutare il numero di<br />

soldati e di archibugi da impiegare per la guardia ai passi di Finestra<br />

e Al<strong>vi</strong>s (nell’alta Val di Canzoi). Il 16 agosto 1877 Cesare Tomè e Tommaso<br />

Da Col, guidati dall’esperto cacciatore di camosci di Sagron<br />

Mariano Bernardin, raggiunsero la vetta del Piz de Sagron (2468 m)<br />

nel Gruppo del Cimonega. L’anno successivo, gli inglesi R. M. Beachcroft,<br />

A. Cust e C. Tuker conquistarono la cima più bassa del Sass<br />

de Mura lungo la cresta Sud-Ovest (6 settembre), e l’alpinista mona<strong>che</strong>se<br />

Gottfried Merzba<strong>che</strong>r con la celebre guida ampezzana Santo<br />

Siorpaes, accompagnati da esperti valligiani di Pont’Alt, salirono sulla<br />

vetta del Piz de Mezzodì (2240 m) nei Monti del Sole (8 settembre). I<br />

due, condotti dal pioniere dell’alpinismo agordino Cesare Tomè e da<br />

un anonimo cacciatore di camosci, salirono per la prima volta la vetta<br />

dello Schiara il 17 settembre 1878. Il 23 agosto 1881 avvenne l’ascensione<br />

della cima principale del Sass de Mura (detta “di Nord-Est”) dal<br />

versante Est, con il superamento di passaggi di terzo grado, da parte<br />

di Luigi Cesaletti, Demeter Diamantidi e della guida locale Mariano<br />

Bernardin. Gli austriaci Emil e Otto Zsigmondy con L. Purts<strong>che</strong>ller, sei<br />

anni dopo la salita della cima Sud-Ovest del Sass de Mura, proseguendo<br />

dal punto dove erano arrivati gli inglesi, raggiunsero la cima<br />

principale del Sass de Mura (detta di “Nord-Est”, 2550 m, il 9 agosto<br />

1884). Il topografo A. Berti dell’Istituto Geografico Militare salì, per lavori<br />

di rilievo topografico, sulla Cima di Pramper (2409 m) costruendo<strong>vi</strong><br />

un segnale con pietre a secco (1885). Il 16 luglio 1889 L.<br />

Darmstädter, I. Niederwieser e Luigi Bernard conquistarono la vetta<br />

del Piz de Mez 82440 m) per la cresta Sud-Ovest, sopra forcella Cimonega.<br />

Tra il 1901 e il 1902 il tedesco Oscar Schuster, autore di numerosi<br />

ascensioni nelle Pale di San Martino, accompagnato da diversi<br />

cacciatori delle valli del Cordevole e del Mis, si dedicò all’esplorazione<br />

delle principali cime dei Monti del Sole; salì sulle vette del Borala,<br />

del Bus del Diaol, della cima Est dei Feruch, del Mont Alt e delle<br />

Coraie. Nel 1935 uscì la prima descrizione dettagliata del Gruppo<br />

delle Alpi Feltrine e dei Monti del Sole nella guida “Le Pale di San Martino”<br />

di Ettore Castiglioni. Per i Monti del Sole significativo fu il contributo<br />

delle numerose note raccolte dall’alpinista Arturo Andreoletti dal<br />

1907 al 1913. Da allora le pareti calcaree e dolomiti<strong>che</strong> delle Dolomiti<br />

Bellunesi sono diventate palestre naturali per l’alpinismo classico, ed<br />

è grazie alla loro pre<strong>senza</strong> <strong>che</strong> sono sorte le scuole di alpinismo delle<br />

sezioni CAI di Feltre e Belluno.<br />

a cura di Luca De Bortoli<br />

La bassa Val Cordevole e i<br />

Monti del sole sulla destra<br />

(Ph L.D.B.)<br />

Versante Nord della Schiara<br />

(Ph L.D.B.)<br />

125


Uomo selvaggio, Affresco Valtellina (PhL.D.B.)<br />

126<br />

L’OM SALVARECH<br />

L’Uomo Selvatico, mitica figura naturale<br />

<strong>che</strong> trae origine nei riti preistorici della<br />

fertilità e <strong>che</strong> si ritrova nelle tradizioni<br />

delle popolazioni dell’intero Arco Alpino,<br />

è il protagonista di un’antica leggenda<br />

di Rivamonte Agordino, secondo<br />

la quale <strong>vi</strong>veva nei boschi del Monte Armarolo,<br />

sopra il paese. Indossava un<br />

abito fatto di licopodio e nessuno<br />

l’aveva mai <strong>vi</strong>sto. Un giorno di prima-<br />

LA CASERA A GRADONI<br />

Diffusa nella zona alta della Sinistra<br />

Piave, nell’Alpago e nei comuni di Pedavena<br />

e Sovramonte alle pendici delle<br />

Vette Feltrine, questa tipologia di edilizia<br />

rurale con facciate a gradoni rappresenta<br />

un unicum per le Alpi italiane. Di<br />

chiara influenza nordica, probabilmente<br />

si s<strong>vi</strong>luppò nel Bellunese tra l’XI e la fine<br />

del XIV secolo e trovò larga diffusione<br />

an<strong>che</strong> nei fondovalle con la generale ricostruzione<br />

successiva al terremoto del<br />

1348 e alla coeva disastrosa epidemia<br />

di peste. Dal XVI secolo, con l’introduzione<br />

delle nuove colture agricole (mais,<br />

fagioli, e più tardi, patate) si dovettero<br />

adottare nuo<strong>vi</strong> modelli costrutti<strong>vi</strong>: dalla<br />

casa a gradoni si passò alla casa ballatoio,<br />

relegando la prima nelle zone alte<br />

del prealpeggio. I frontoni rie<strong>che</strong>ggiano<br />

le merlature delle opere militari, e consentono<br />

una facile accessibilità ai tetti,<br />

su cui possono essere distese delle<br />

scale a pioli per la manutenzione. L’elevata<br />

pendenza delle falde (50/60°) è<br />

ideale per la paglia, protetta dal vento<br />

vera, nel culmine di un <strong>vi</strong>olento temporale,<br />

si presentò nella cucina di un<br />

uomo <strong>che</strong> stava pazientemente pulendo<br />

con le dita il latte dalle impurità. Si sedette<br />

accanto al fuoco <strong>senza</strong> parlare e,<br />

quando cessò di piovere, uscì dall’abitazione.<br />

Vi ritornò poco dopo per insegnare all’uomo<br />

il modo di filtrare il latte appena<br />

munto attraverso il colin, sorta di imbuto<br />

ligneo nel quale veniva inserito del<br />

licopodio <strong>che</strong> tratteneva i corpi estranei.<br />

In passato <strong>questo</strong> mito veniva rievocato<br />

dalle sporgenze murarie. Per la copertura<br />

veniva usata generalmente paglia di<br />

segale e frumento legata con delle<br />

strope (<strong>vi</strong>mini). Spesso, negli esempi<br />

più grandi, si trova una capriata centrale<br />

caratterizzata da particolari incastri alla<br />

tedesca. Planimetricamente l’edificio<br />

consta di due stanzoni sovrapposti, con<br />

dalla comunità locale in primavera, il 25<br />

aprile di ogni anno, nelle frazioni di<br />

Ponte Alto e Zenich. L’uomo, <strong>che</strong> testimoniava<br />

la rinascita della natura per il<br />

nuovo anno (e quindi prosperosi raccolti),<br />

giungeva fra la folla accompagnato<br />

dalla musica e ballava con le<br />

giovani donne del paese alle quali trasmetteva<br />

la propria forza rigenerante<br />

prima di ritornare tra i boschi della<br />

Marol. In <strong>questo</strong> rito l’intera comunità<br />

ritrovava la sua identità originaria, in<br />

simbiosi con la natura.<br />

CuriositàCuriositàCuriositàCuriositàCuriositàCuriosità<br />

Casera a gradoni<br />

(PhLL.D.B.)<br />

Om Salvarek<br />

(PhLGiuliano Laveder)<br />

accessi indipendenti consentiti dall’inserimento<br />

nel pendio. La muratura è in<br />

pietrame locale legato con malta di<br />

calce, il solaio in legno di abete, il pa<strong>vi</strong>mento<br />

del pianterreno in terra battuta o<br />

ciottolato. Le aperture si concentrano<br />

sul prospetto principale <strong>che</strong> sovente è<br />

orientato a sud. I gradoni sono spesso<br />

coperti con lastre di Scaglia<br />

Rossa <strong>che</strong> si trovano an<strong>che</strong><br />

alla base delle falde, dove<br />

alcune di esse appositamente<br />

sagomate facilitano lo<br />

sgrondo delle acque. Con le<br />

loro sporgenze, inoltre, proteggono<br />

i muri sottostanti<br />

dalle infiltrazioni d’acqua. La<br />

casera a gradoni, o meglio la<br />

stalla-fienile nell’ambito sovramontino,<br />

è quindi il frutto<br />

di una consolidata tradizione<br />

costruttiva <strong>che</strong> ha adottato<br />

particolari soluzioni tecni<strong>che</strong><br />

<strong>che</strong> ben si adattano ad una<br />

fascia altimetrica <strong>che</strong> va<br />

dagli 800 ai 1200 metri.


127<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

VENERDI<br />

SABATO<br />

DOMENICA<br />

LUNEDI<br />

MARTEDI<br />

MERCOLEDI<br />

GIOVEDI<br />

VENERDI<br />

SABATO<br />

DOMENICA<br />

LUNEDI<br />

MARTEDI<br />

MERCOLEDI<br />

GIOVEDI<br />

VENERDI<br />

SABATO<br />

DOMENICA<br />

LUNEDI<br />

MARTEDI<br />

MERCOLEDI<br />

GIOVEDI<br />

VENERDI<br />

SABATO<br />

DOMENICA<br />

LUNEDI<br />

MARTEDI<br />

MERCOLEDI<br />

GIOVEDI<br />

VENERDI<br />

SABATO<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

7<br />

8<br />

9<br />

10<br />

11<br />

12<br />

13<br />

14<br />

15<br />

16<br />

17<br />

18<br />

19<br />

20<br />

21<br />

22<br />

23<br />

24<br />

25<br />

26<br />

27<br />

28<br />

29<br />

30<br />

APRILE 2011


A P R I L E 2 0 1 1<br />

1. Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi<br />

128 Si tratta dell’unico Parco Nazionale presente<br />

nel Veneto. È stato istituito con Decreto del<br />

Ministero dell’Ambiente il 20 aprile 1990,<br />

mentre l’Ente Parco di gestione dell’area protetta<br />

è sorto con il Decreto del Presidente<br />

della Repubblica del 12<br />

luglio 1993. Con un ulteriore<br />

DPR del 2008 il territorio<br />

soggetto alla tutela è stato<br />

riperimetrato, definendo<br />

gli attuali confini.<br />

Il Parco include ambienti<br />

di media e alta montagna<br />

ed è localizzato nella<br />

zona centromeridionale<br />

della Pro<strong>vi</strong>ncia di Belluno,<br />

tra le valli del Cismon ad<br />

Ovest e del Piave ad Est,<br />

con propaggini a nord verso il<br />

bacino del Maè (Val Prampèr) e<br />

nel basso Agordino. I gruppi montuosi<br />

interessati sono quelli delle Alpi Feltrine (Vette,<br />

Cimonega, Pizzocco-Brendol Agnelezze), del<br />

Pizzon-Feruch-Monti del Sole (tra le Valli del<br />

Mis e del Cordevole), della Schiara-Pelf e della<br />

Talvéna, nel settore nordorientale.<br />

Dolomiti Bellunesi<br />

dalla Cima del Pelmo<br />

(PH G.G.)<br />

Il suo territorio si estende per 31.034 ettari,<br />

16.000 dei quali già costituiti in 8 riserve naturali<br />

appartenenti alla rete delle riserve biogeneti<strong>che</strong><br />

del Consiglio d’Europa e gestite dal<br />

Corpo Forestale dello Stato. I comuni interessati<br />

nell’estensione sono 15:<br />

Sovramonte, Pedavena, Feltre,<br />

Cesiomaggiore, San Gregorio<br />

nelle Alpi, Santa Giustina,<br />

Campanule Sospirolo, Sedico, Belluno,<br />

di Moretti Ponte nelle Alpi, Longa-<br />

(Ph L.D.B.)<br />

rone, Forno di Zoldo, La<br />

Valle Agordina, Rivamonte<br />

Agordino e Gosaldo.<br />

Nelle <strong>vi</strong>cinanze <strong>vi</strong> sono<br />

altre aree protette (già attivate<br />

o in itinere) <strong>che</strong> contribuiscono<br />

alla costruzione di<br />

una rete di grande importanza<br />

biogeografica: il Parco delle Prealpi<br />

Carni<strong>che</strong>, il Cansiglio, il Parco Na-<br />

turale Paneveggio-Pale di San Martino e<br />

quello, proposto, dei Lagorai. All’interno dell’area<br />

tutelata sono state censite oltre 1400<br />

specie vascolari tra le quali diverse rarità e<br />

entità di rilevante interesse biogeografico.<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15<br />

V S D L M M G V S D L M M G V


Vi sono ben rappresentate tutte le specie alpine<br />

(ungulati, rapaci, tetraonidi, solo per<br />

citarne alcune). Interessante è la fauna invertebrata<br />

con pre<strong>senza</strong> di endemismi. È stato<br />

segnalato il ritorno spontaneo di alcuni esemplari<br />

di lince e orso.<br />

Simbolo del Parco è la Campanula di Moretti<br />

(Campanula morettiana), una specie endemica<br />

delle Dolomiti, dalle belle e <strong>vi</strong>stose fioriture<br />

di colore <strong>vi</strong>oletto (fiorisce dopo la metà di<br />

luglio), frequente nel territorio del Parco, sulle<br />

1 S.<br />

VENERDÌ<br />

Ugo vescovo<br />

14 . 91 - 274 5,54 - 18,35<br />

2 S.<br />

rupi umide ad una quota superiore ai 1000 -<br />

1200 metri. L’ente Parco ha sede a Feltre e<br />

conta due centri <strong>vi</strong>sitatori a Pedavena e a Valle<br />

Imperina, un centro culturale a Belluno, un<br />

centro di educazione ambientale in località<br />

La Santina in Val di Canzoi, due foresterie (Al<br />

Frassen in Val Canzoi e ad Agre nella Valle<br />

del Cordevole), un ostello con annesso risto-<br />

rante a Valle Imperina e ben nove bivacchi in<br />

quota.<br />

Luca De Bortoli A<br />

SABATO<br />

Francesco di Paola<br />

14 . 92 - 273 5,52 - 18,36<br />

3 IVª<br />

DOMENICA<br />

di Quaresima<br />

14 . 94 - 272 5,50 - 18,37<br />

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30<br />

S D L M M G V S D L M M G V S<br />

Gruppo<br />

del Mos<strong>che</strong>sin<br />

(PH G.G.)<br />

P R I L E 2 0 1 1<br />

129


A P R I L E 2 0 1 1<br />

130<br />

4 S.<br />

5 S.<br />

LUNEDÌ<br />

Isidoro vescovo<br />

15 . 94 - 271 5,49 - 18,38<br />

MARTEDÌ<br />

Vincenzo Ferreri<br />

15 . 95 - 270 5,47 - 18,39<br />

2. I Cadini della Val Brenton<br />

e la Cascata della Soffia<br />

Tra gli abitati di Titele e Gena Bassa, il torrente Mis incide profondamente<br />

le stratificazioni sub-orizzontali della Dolomia Principale,<br />

dando forma al grande canyon flu<strong>vi</strong>o-carsico del “Canal<br />

del Mis”. La gola è fian<strong>che</strong>ggiata dall’altopiano carsico di<br />

Erera-Piani Eterni e da un sistema di vallette sospese (strette e<br />

profonde) e di forre, alcune delle quali impostate lungo importanti<br />

faglie e arricchite dalla pre<strong>senza</strong> di risorgive carsi<strong>che</strong>.<br />

Una di queste è la Val Brenton, sulla destra orografica della<br />

6 S.<br />

MERCOLEDÌ<br />

Celestino e S. Diogene<br />

15 . 96 - 269 5,45 - 18,41<br />

7 S.<br />

Cadini del Brenton<br />

(Ph M.S.)<br />

GIOVEDÌ<br />

Ermanno<br />

15 . 97 - 268 5,44 - 18,42<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15<br />

V S D L M M G V S D L M M G V


Valle del Mis. In corrispondenza della confluenza<br />

delle due valli si sono formate una<br />

serie di quindici marmitte di evorsione disposte<br />

a gradinata, scavate negli strati rocciosi a<br />

reggipoggio della Dolomia Principale.<br />

Si tratta di ca<strong>vi</strong>tà sub-circolari dalla tipica<br />

forma a botte <strong>che</strong> ha conferito loro il nome popolare<br />

di cadini (catini), generate ai piedi di<br />

cascate dove l’acqua, ad energia elevata,<br />

forma dei vortici trascinando con sé materiale<br />

roccioso abrasivo <strong>che</strong> scava per azione meccanica<br />

la roccia. I Cadini si sono formati ai<br />

piedi di piccole scarpate e in corrispondenza<br />

di fratture <strong>che</strong> hanno condizionato la loro<br />

forma allungata e in minima parte la loro profondità<br />

(<strong>che</strong> raggiunge i 4 m). Inoltre, la lieve<br />

inclinazione a reggipoggio degli strati rocciosi<br />

ha favorito la permanenza dell’acqua sui piani<br />

rocciosi e il processo di corrosione carsica.<br />

La successione di marmitte allo sbocco della<br />

Val Brenton rappresenta una forra in formazione.<br />

Quando l’erosione meccanica (evorsione)<br />

e la corrosione chimica (carsismo)<br />

avranno sfondato ed eliminato i setti rocciosi<br />

di di<strong>vi</strong>sione, quello <strong>che</strong> rimarrà sarà una stretta<br />

gola torrentizia. Il sito è facilmente accessibile<br />

8 S.<br />

VENERDÌ<br />

Alberto Dionigi<br />

15 . 96 - 267 5,42 - 18,43<br />

9 S.<br />

a piedi per comodo sentiero dal giardino botanico<br />

“Campanula morettiana”, ove è possibile<br />

osservare le principali specie vegetali<br />

presenti all’interno del territorio del Parco Nazionale<br />

Dolomiti Bellunesi.<br />

Sul versante opposto della Valle del Mis, in località<br />

Gena Bassa, si trova la cascata della<br />

Soffia. Il torrente <strong>che</strong> la forma scorre incassato<br />

in una gola in roccia sospesa rispetto alla valle<br />

principale, dalla quale è separata da un gradino<br />

di confluenza di origine glaciale. L’acqua<br />

precipita con un salto di 12 metri in una profonda<br />

forra, chiusa da un tetto sporgente di<br />

circa 16 m, <strong>che</strong> inghiotte con fragore le acque<br />

del torrente prima <strong>che</strong> queste raggiungano le<br />

acque del lago del Mis. Prima della creazione<br />

del bacino artificiale la cascata poteva essere<br />

raggiunta dal basso grazie ad alcune gallerie<br />

fatte scavare nei primi decenni del XX Sec. da<br />

Francesco Doglioni. Lentamente si creerà il<br />

raccordo tra le due valli, e la cascata si ridurrà<br />

fino a sparire: si tratta di un esempio di rarità<br />

naturalistica, e uno dei luoghi più <strong>vi</strong>sitati del<br />

parco, facilmente fruibile grazie ad un breve<br />

sentiero attrezzato.<br />

Luca De BortoliA SABATO<br />

Maria Cleofe<br />

15 . 99 - 266 5,40 - 18,44<br />

10 Vª<br />

DOMENICA<br />

Domenica di Quaresima<br />

15 . 100 - 265 5,39 - 18,45<br />

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30<br />

S D L M M G V S D L M M G V S<br />

P R I L E 2 0 1 1<br />

131


A P R I L E 2 0 1 1<br />

132<br />

11 S.<br />

12 S.<br />

LUNEDÌ<br />

Stanislao vescovo<br />

16 . 101 - 264 5,37 - 18,46<br />

MARTEDÌ<br />

Giulio Papa<br />

16 . 102 - 2635,35 - 18,47<br />

3. L’alta Via Delle Dolomiti<br />

n. 2 o delle Leggende<br />

Questo lungo itinerario fu proposto da Mario Brovelli nel 1966<br />

e realizzato con l’importante contributo di Sigi Lechner, <strong>che</strong><br />

negli anni successi<strong>vi</strong> esplorò l’intero percorso. I primi a percorrerlo<br />

integralmente furono gli escursionisti feltrini Ivano Tisot<br />

e Louis Pillon nel 1969, ai quali ne seguirono ben presto molti<br />

altri, facendola diventare una delle Alte Vie più frequentate.<br />

L’Alta Via delle Dolomiti n. 2 si snoda nelle Alpi Meridionali da<br />

nord-ovest a sud-est, dalla Valle dell’Isarco, ovvero da Bressanone<br />

(limite nord occidentale dell’area dolomitica), alla Valle<br />

del Piave, ovvero a Feltre, città antichissima posta ai piedi delle<br />

13 S.<br />

MERCOLEDÌ<br />

Martino Papa<br />

16 . 103 - 262 5,34 - 18,48<br />

14 S.<br />

Agner e<br />

Dolomiti Bellunesi<br />

(Ph D.B.)<br />

GIOVEDÌ<br />

Abbondio<br />

16 . 104 - 261 5,32 - 18,49<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15<br />

V S D L M M G V S D L M M G V


Vette Feltrine, baluardo alpino. Si articola in tredici<br />

tappe tra i più spettacolari e classici paesaggi<br />

delle Dolomiti, per un percorso totale di<br />

210 km per 11.300 m di dislivello totale in salita<br />

e 11.200 m in discesa. Attraversa i gruppi<br />

montuosi della Plose, Putia, delle Odle, di<br />

Puez, del Sella, della Marmolada, delle Pale di<br />

San Martino e delle Vette Feltrine. L’itinerario si<br />

mantiene ad una quota media di 2100 m, con<br />

alcuni passaggi <strong>vi</strong>cini ai 3000 m, ma non presenta<br />

mai difficoltà rilevanti. Alcuni facili tratti<br />

su roccia sono attrezzati con funi metalli<strong>che</strong>, e<br />

sono talvolta un po’ esposti ma mai insidiosi. Si<br />

tratta di una delle Alte Vie più facili, con sentieri<br />

ben tracciati e segnalati e numerosi punti di<br />

appoggio, tra rifugi e bivacchi. Lungo il percorso<br />

si “legge” la storia geologica dell’intera<br />

regione, ed è possibile incontrare una notevole<br />

varietà di ambienti, ricchi di specie vegetali e<br />

animali, <strong>che</strong> si trovano dai 325 m di quota di<br />

Feltre ai 3343 m della cima della Marmolada.<br />

Tutto <strong>questo</strong>, oltre a creare paesaggi mutevoli<br />

e sempre spettacolari, rende l’Alta Via una<br />

“grande passeggiata naturalistica”. Il clima è<br />

mite e costante di tipo continentale nella zona<br />

di Bressanone, mentre la parte di percorso<br />

<strong>che</strong> si svolge tra i 2000 e i 3000 metri è sog-<br />

15 S.<br />

VENERDÌ<br />

Annibale martirte<br />

16 . 105 - 260 5,31 - 18,50<br />

16 S.<br />

getta alle condizioni meteo di tipo alpino. Sulle<br />

Pale di San Martino e sulle Vette Feltrine i venti<br />

umidi provenienti dalla pianura provocano<br />

spesso condense, quindi nebbie e piogge.<br />

Il soprannome dell’Alta Via prende origine dai<br />

numerosi miti e racconti fantastici <strong>che</strong> le popolazioni<br />

locali hanno creato nel corso dei secoli<br />

attorno alle loro montagne, attraversate dal<br />

percorso: dalle saghe ladine legate al mondo<br />

pastorale e naturale, con gli uomini selvaggi, le<br />

fate, le anguane, le streghe, gli orchi, fino all’insolita<br />

Piazza del Diavolo sulle Vette Feltrine,<br />

secondo la tradizione liberata dalle rocce per<br />

la celebrazione dei periodici sabba. L’Alta Via<br />

n. 2 può essere considerata l’erede in quota di<br />

una antica <strong>vi</strong>a transalpina, la Claudia Augusta<br />

Altinate, strada militare <strong>che</strong> collegava l’Adriatico<br />

con il bacino del Danubio. Per <strong>questo</strong> nell’ambito<br />

del programma comunitario “Interreg<br />

IIIA Italia-Austria 2000-2006” riguardante il sistema<br />

delle Alte Vie Alpine, ora l’Alta Via n. 2 è<br />

parte integrante dell’Alta Via Europa 2, dopo<br />

essere stata unita all’Alta Via della Wipptal (In-<br />

nsbruck-Brennero) e all’Alta Via Europa (Bren-<br />

nero-Bressanone), collegando così la città<br />

austriaca di Innsbruck alla veneta Feltre.<br />

Luca De BortoliA SABATO<br />

Lamberto e S. Benedetta<br />

16 . 106 - 259 5,29 - 18,52<br />

17 Le<br />

DOMENICA<br />

Palme<br />

16 . 107 - 258 5,27 - 18,53<br />

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30<br />

S D L M M G V S D L M M G V S<br />

P R I L E 2 0 1 1<br />

133


A P R I L E 2 0 1 1<br />

134<br />

18 S.<br />

19 S.<br />

LUNEDÌ<br />

Galdino vescovo<br />

17 . 108 - 257 5,26 - 18,54<br />

MARTEDÌ<br />

Emma<br />

17 . 109 - 256 5,24 - 18,55<br />

4. Le Miniere di Valle Imperina<br />

20 S.<br />

MERCOLEDÌ<br />

Adalgisa<br />

17 . 110 - 255 5,23 - 18,56<br />

21 S.<br />

Forni fusori,<br />

Valle Imperina<br />

(Ph N.M.)<br />

GIOVEDÌ<br />

Anselmo<br />

17 . 111 - 254 5,21 - 18,57<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15<br />

V S D L M M G V S D L M M G V


La Valle Imperina è una laterale del torrente<br />

Cordevole, impostata lungo la “Linea della Valsugana”,<br />

costituita da una serie di faglie di sovrascorrimento,<br />

<strong>che</strong> mette a contatto le anti<strong>che</strong><br />

filladi del Basamento metamorfico (a nord) con<br />

le rocce calcaree stratificate della Dolomia<br />

Principale (a sud). Il profilo trasversale della<br />

valle e<strong>vi</strong>denzia una notevole asimmetria, determinata<br />

dalla diversità dei substrati rocciosi<br />

dei due versanti: il fianco destro, più aspro, è<br />

scolpito nella formazione tenace della Dolomia<br />

Principale (formatasi 230-210 milioni d’anni fa),<br />

l’opposto, più dolce, è modellato nelle rocce,<br />

tenere e degradabili, del Basamento metamorfico<br />

(metamorfosate circa 320 milioni<br />

d’anni fa). L’area è nota soprattutto per i suoi<br />

grandi giacimenti di minerali metalliferi, sfruttati<br />

fin dall’epoca romana.<br />

Le miniere, documentate dagli inizi del XV Secolo,<br />

sono rimaste attive, con alterne fortune,<br />

per oltre cinque secoli, fino al 1962. Qui veniva<br />

coltivato un ragguardevole giacimento di solfuri<br />

(soprattutto pirite cuprifera, solfuro di ferro<br />

e rame), dai quali, attraverso un complesso<br />

processo metallurgico (scandito nelle fasi di<br />

torrefazione, lisci<strong>vi</strong>azione e fusioni ripetute), si<br />

otteneva alla fine del rame metallico malleabile<br />

di buona qualità, apprezzato soprattutto per<br />

22 S.<br />

VENERDÌ<br />

Caio e Solero<br />

17 . 112 - 253 5,20 - 18,58<br />

23 S.<br />

l’elevata resistenza all’alterazione (fu usato ad<br />

esempio dalla Serenissima Repubblica di Venezia,<br />

tra il XVII e la fine del XVIII Sec., per la<br />

fabbricazione di cannoni, il rivestimento delle<br />

na<strong>vi</strong> e per il conio delle monete). Alla fine dell’Ottocento,<br />

in seguito al crollo del prezzo mondiale<br />

del rame (conseguente alla scoperta di<br />

enormi giacimenti nel Sudamerica), la produzione<br />

a Valle Imperina si rivelò in breve anti<br />

economica.<br />

Con la gestione Montecatini (1910-1962) si<br />

operò quindi una riconversione dell’atti<strong>vi</strong>tà,<br />

con l’utilizzo della pirite per la produzione di<br />

acido solforico (a sua volta impiegato dall’industria<br />

chimica per produrre fertilizzanti), negli<br />

stabilimenti di Porto Marghera.<br />

La crisi globale dell’industria mineraria e le difficoltà<br />

a trovare nuo<strong>vi</strong> filoni di minerale portarono<br />

nel 1962 alla chiusura definitiva, e nel<br />

1966 l’allu<strong>vi</strong>one diede il colpo di grazia distruggendo<br />

gran parte degli impianti esterni.<br />

Negli ultimi anni le principali gallerie d’accesso<br />

al sistema sotterraneo e diversi edifici sono<br />

stati recuperati - notevole è quello <strong>che</strong> con-<br />

tiene i forni fusori settecenteschi -, formando<br />

così un interessante centro di ar<strong>che</strong>ologia industriale.<br />

Luca De BortoliA SABATO<br />

Giorgio e S. Adalberto<br />

17 . 113 - 252 5,18 - 18,59<br />

DOMENICA<br />

PASQUA 24 11 . 114 - 251 5,17 - 19,00<br />

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30<br />

S D L M M G V S D L M M G V S<br />

P R I L E 2 0 1 1<br />

135


A P R I L E 2 0 1 1<br />

136<br />

LUNEDÌ<br />

Dell’Angelo 25 18 . 115 - 250 5,15 - 19,01<br />

26 S.<br />

MARTEDÌ<br />

Cleto e S. Marcellino<br />

18 .116 - 249 5,14 - 19,03<br />

5. L’altopiano Glacio-Carsico<br />

di Erera-Piani Eterni<br />

Panoramica<br />

sui Piani Eterni<br />

(Ph L.D.B.)<br />

27 S.<br />

MERCOLEDÌ<br />

Zita e S. Ida<br />

18 . 117 - 248 5,12 - 19,04<br />

28 S.<br />

GIOVEDÌ<br />

Valeria<br />

18 . 118 - 247 5,11 - 19,5<br />

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15<br />

V S D L M M G V S D L M M G V


Nel mosaico di ambienti <strong>che</strong> caratterizzano il<br />

territorio del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi,<br />

l’altopiano glacio-carsico di Erera-Piani<br />

Eterni, situato ad una quota compresa tra i<br />

1700 m e i 1900 m tra la Val Canzoi e la Valle<br />

del Mis, spicca per le particolarità naturalisti<strong>che</strong><br />

e antropi<strong>che</strong> e per la complessità del paesaggio.<br />

Si tratta infatti di un ambiente unico, costituito<br />

da due principali unità: la conca pascoliva di<br />

Erera, prateria alpina s<strong>vi</strong>luppatasi sulle superficie<br />

piatta e digradante di due conoidi torrentizi<br />

stabilizzati, e il vasto altopiano dei Piani<br />

Eterni, le cui rocce affioranti dei Calcari Grigi<br />

sono state le<strong>vi</strong>gate dai ghiacciai, fortemente<br />

incise dal carsismo (dando origine a spettacolari<br />

crepacci, inghiottitoi e campi solcati) e<br />

ricoperte da una fitta ed intricata vegetazione<br />

arbustiva a pino mugo, salice e rododendro<br />

(arbusteto subalpino).<br />

Le forme generalmente arrotondate dei rilie<strong>vi</strong><br />

<strong>che</strong> delimitano a nord l’altopiano con i monti<br />

Brendol e Mondo, modellati nelle tenere e degradabili<br />

formazioni del Biancone e della Scaglia<br />

rossa e le estese praterie alpine <strong>che</strong> le<br />

rivestono, conferiscono localmente al paesag-<br />

29 S.<br />

VENERDÌ<br />

Caterina da Siena<br />

18 .119 - 246 5,10 - 19,06<br />

30 S.<br />

gio un carattere tipicamente prealpino.<br />

La zona <strong>vi</strong>ene da secoli utilizzata per l’alpeggio<br />

estivo del bestiame: Malga Erera è ancora<br />

oggi in funzione, mentre Casera Brendol è<br />

stata trasformata in bivacco. L’attigua pendana,<br />

stalla aperta lunga 90 metri e dotata di<br />

archi e copertura in pietra, rappresenta una testimonianza<br />

notevole dell’architettura rurale<br />

d’alta quota.<br />

Altissima è la biodiversità a livello floristico (si<br />

segnalano per tutti l’endemico Semper<strong>vi</strong>vum<br />

dolomiticum e il raro Astragalus frigidus), mentre<br />

nell’orizzonte subalpino è diffuso il larice e<br />

<strong>vi</strong> è presente una delle po<strong>che</strong> formazione naturale<br />

di abete rosso. I pascoli a Nardo e le<br />

praterie alpine a Sesleria sono le tipologie di<br />

vegetazione erbacea prevalente, associate<br />

tutta<strong>vi</strong>a ad una gamma estremamente ampia<br />

dovuta alla molteplicità di substrati e ai diversi<br />

usi del suolo.<br />

L’importanza faunistica dell’Altopiano può essere<br />

considerata unica nelle Alpi sudorientali,<br />

ospitando una ricca popolazione di ungulati<br />

selvatici: oltre al camoscio e al capriolo, agli<br />

inizi degli anni Settanta si è aggiunto il muflone<br />

e più tardi il cervo in forte espansione. Sono A<br />

SABATO<br />

Pio V Papa<br />

18 . 120 - 2455,08 - 19,07<br />

Piani Eterni<br />

in veste invernale<br />

(Ph L.D.B.)<br />

inoltre presenti la coturnice, il<br />

fagiano di monte, l’aquila<br />

reale e la marmotta, recentemente<br />

reintrodotta dal Parco.<br />

L’azione carsica ha creato,<br />

sotto i Piani Eterni, un mondo<br />

oscuro fatto di ca<strong>vi</strong>tà, grotte,<br />

cunicoli (il complesso più<br />

esteso, uno dei maggiori in<br />

Italia, raggiunge i 972 m di<br />

profondità e i 30 km di s<strong>vi</strong>luppo),<br />

<strong>che</strong> assorbono rapidamente<br />

l’acqua dell’altopiano<br />

e alimentano numerose<br />

sorgenti carsi<strong>che</strong>, in Val<br />

Canzoi e nella Valle del Mis.<br />

Luca De Bortoli<br />

16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30<br />

S D L M M G V S D L M M G V S<br />

P R I L E 2 0 1 1<br />

137


A P R I L E 2 0 1 1<br />

138<br />

6. I Circhi delle Vette<br />

Nel paesaggio delle Vette Feltrine si indi<strong>vi</strong>duano<br />

nettamente due morfologie principali:<br />

quella inferiore è caratterizzata da alti salti<br />

rocciosi, scolpiti nelle rocce dure e tenaci<br />

dei Calcari Grigi; quella superiore (oltre i<br />

1900 metri circa di quota) è modellata, con<br />

forme morbide e profili arrotondati, nelle<br />

rocce sottilmente stratificate e degradabili<br />

della Formazione di Fonzaso e del Bian-<br />

cone, <strong>che</strong> danno origine al tipico “paesaggio<br />

prealpino” delle Vette. Il raccordo tra<br />

queste due morfologie è costituito da un<br />

piccolo altopiano, articolato in grandi con<strong>che</strong><br />

(a sud) e nicchie minori (a nord). È questa<br />

singolare successione di circhi modellati<br />

dai ghiacciai e dal carsismo (<strong>che</strong> da origine<br />

all’ambiente glacio-carsico delle Buse) l’elemento<br />

morfologico <strong>che</strong> caratterizza il settore


occidentale del Parco Nazionale Dolomiti<br />

Bellunesi, conosciuto an<strong>che</strong> per la ric<strong>che</strong>zza<br />

e la varietà floristica.<br />

Durante l’ultima grande glaciazione würmiana,<br />

in cui il ghiacciaio del Piave raggiunse<br />

una quota media di 1000 m, tra i<br />

1900 ed i 2000 m di altitudine si formarono<br />

dei circhi glaciali sospesi, oggi conosciuti<br />

come Buse per la loro forma affossata (i<br />

principali da est sono Monsampian, Cavaren,<br />

Val Caneva, Busa delle Vette, Pietena):<br />

in quella principale delle Vette si vedono<br />

morene laterali ed un arco frontale (stadiale)<br />

ormai inerbiti, testimoni del progressivo ritiro<br />

del ghiacciaio. Hanno fondo nei Calcari<br />

Grigi e i versanti laterali modellati nella Formazione<br />

di Fonzaso, nel Rosso Ammonitico<br />

Superiore e nel Biancone. Ai limiti delle con<strong>che</strong><br />

e<strong>vi</strong>denti sono i fenomeni di esarazione<br />

glaciale con le tipi<strong>che</strong> rocce montonate.<br />

Successivamente, sui ripiani delle Circhi<br />

delle Vette, nelle rocce carbonati<strong>che</strong> dei<br />

Calcari Grigi si sono s<strong>vi</strong>luppati fenomeni<br />

carsici facilitati dall’abbondanza di precipitazioni,<br />

dalla giacitura orizzontale degli strati<br />

e dalla pre<strong>senza</strong> di grandi spaccature o fa-<br />

glie. Si sono così originate doline, inghiottitoi<br />

e campi carreggiati. Nelle voragini di<br />

Monsampian si trovano piccoli ghiacciai relitti<br />

ipogei, mentre i crepacci <strong>vi</strong>sibili an<strong>che</strong><br />

sulle creste sono grandi litoclasi allargate<br />

dai cicli del gelo e disgelo. Al crioclastismo,<br />

<strong>che</strong> porta alla formazione nelle Buse di<br />

estese falde detriti<strong>che</strong>, si somma l’azione nivale.<br />

Nelle creste modellate nel Biancone si<br />

aprono infatti ampie nicchie di nivazione, inca<strong>vi</strong><br />

nella roccia formatisi per l’intensa atti<strong>vi</strong>tà<br />

disgregatrice della neve. Le falde<br />

sottostanti presentano detriti striati per il ruscellamento<br />

nivale. Dove la neve si accumula,<br />

lateralmente si nota la pre<strong>senza</strong> di<br />

argini detritici di nevaio, quasi sempre stabilizzati<br />

ed inerbiti.<br />

Un anello tematico con punto di partenza e<br />

di arrivo al Rifugio Giorgio Dal Piaz (1993 m<br />

di quota) consente di percorrere e conoscere<br />

le Buse, ambienti di eccezionale bellezza,<br />

impreziositi da una flora unica al<br />

mondo, <strong>che</strong> tra le altre specie conta il raro<br />

Delphinium dubium e l’Alyssum o<strong>vi</strong>rense,<br />

relitto glaciale.<br />

Luca De Bortoli<br />

A P R I L E 2 0 1 1<br />

139

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