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20.<br />
scarp de’ tenis giugno 2011<br />
la testimonianza<br />
Prevenire educando: un asilo nido, a Genova, aiuta famiglie a disagio<br />
Le baby sitter di Oasis<br />
«Sostegno, non tappabuchi»<br />
di Paola Malaspina<br />
«R<br />
Ci sono casi che<br />
danno soddisfazione<br />
enorme. Spesso tra<br />
le madri straniere c’è<br />
grande solidarietà.<br />
Il successo di una<br />
aiuta molto le altre<br />
IESCI A SENTIRMI, O DEVO PARLARTI PIÙ FORTE?», mi chiede Cristina nel suo piccolo ufficio, mentre dall’altra<br />
stanza si sente un vociare di bambini in attesa della merenda. Siamo a Genova, in pieno centro storico,<br />
in uno degli asili nido del circolo Oasis, di cui Cristina è responsabile. Una realtà fuori dal comune,<br />
perché la finalità che Oasis persegue dal 1994 è offrire aiuto a minori, soprattutto stranieri, in situazione<br />
di disagio: i bambini provengono da famiglie in difficoltà o da strutture di accoglienza, cui Oasis si<br />
affianca nel progetto di sostegno al minore. Creato per offrire un servizio di “babysitteraggio” alle famiglie<br />
di lavoratori che faticavano ad accedere agli asili nido comunali, il circolo nel tempo si è evoluto<br />
per ottenere l’accreditamento dal comune come struttura convenzionata. In questo contesto, anche<br />
la professionalità degli operatori ha conosciuto un adeguamento: «Il mio titolo di maturità classica non<br />
andava più bene – ci racconta Cristina – e così ho dovuto prendere un secondo diploma, a indirizzo pedagogico.<br />
Ho studiato insieme alle mie figlie, mi sono ridiplomata con loro». Ha un grande sorriso nel<br />
riferirci questo episodio della sua esistenza. Come dire che non si è trattato solo di un’esigenza professionale,<br />
ma di una scelta di vita.<br />
La paura di essere inutili. Lavorare nel settore socioeducativo significa farsi carico di grandi difficoltà<br />
e problemi complessi. L’obiettivo è progettare percorsi nei quali le condizioni di vita del bambino<br />
migliorino, consentendo loro l’uscita dalla “istituzione protetta”. «Questo riesce con buona probabilità<br />
se il minore non è abbandonato – spiega Cristina –. In queste situazioni, spesso ci sentiamo trattati<br />
dalle istituzioni come “tappabuchi” nel compito di accudimento. E la cosa peggiore è che, non di<br />
rado, il minore viene sballottato da una struttura all’altra con una serie di trasferimenti inutili e dolorosi.<br />
Noi ne perdiamo le tracce e non possiamo più fare nulla». C’è in queste parole molta frustrazione,<br />
la delusione di non essere riusciti a costruire qualcosa di utile. Eppure, nonostante le difficoltà, sono<br />
molti i casi in cui gli operatori di Oasis riescono a dare un sostegno prezioso ai loro piccoli utenti.<br />
Il progetto educativo. Il servizio che la struttura offre prevede anche un progetto educativo, nel<br />
quale rientrano colloqui individuali e collettivi sui temi dell’educazione, dell’igiene, dell’alimentazione.<br />
Il lavoro non è privo di problemi, perché le mamme straniere spesso non accettano indicazioni.<br />
Inoltre, in caso di particolari fattori di disagio, la struttura si prende carico dell’accompagnamento<br />
a servizi pubblici o privati competenti per il sostegno del<br />
bambino e della famiglia: «È importante – spiega ancora Cristina – avere un<br />
rapporto diretto con una rete ampia di interlocutori, perché trovare aiuto è difficile<br />
e non sempre la strada è quella giusta».<br />
Conti che non tornano mai. L’impressione è che chi lavora in questo settore<br />
si misuri ogni giorno con conti difficili da far tornare. La sopravvivenza delle<br />
strutture appare come una sorta di tela di Penelope, la cui tessitura si fa sempre<br />
più faticosa. «Lavoriamo tutti molte più ore di quelle “ufficiali” – dice ancora<br />
Cristina – e molti devono trovare altre collaborazioni lavorative, per riuscire<br />
ad avere una vita dignitosa. Senza contare che i fondi del comune coprono solo<br />
una parte delle spese. E non sempre le famiglie sono in grado di provvedere.<br />
Per fortuna abbiamo dei sostenitori, la diocesi ci dà una mano e noi stessi abbiamo<br />
predisposto attività di raccolta fondi. È sempre una nuova sfida».<br />
Come dire: la sopravvivenza della struttura non è garantita dall’aiuto pubblico. E ogni giorno bisogna<br />
inventarsi qualcosa in proposito. Un quadro non proprio confortante. «Eppure ci sono casi che<br />
danno una soddisfazione enorme – spiega Cristina –. Spesso tra le madri straniere c’è grandissima solidarietà.<br />
Il successo di una aiuta molto le altre. L’anno scorso ho seguito una madre nigeriana: non<br />
parlava italiano, era senza lavoro, aveva davvero grandi difficoltà. Oggi è in Spagna, con suo marito e il<br />
bambino, lavora e ha aiutato molte ragazze come lei. Ci sentiamo ancora via mail».<br />
Una nota di speranza. Un passo piccolo, come lo sono quelli dei bambini: la direzione pare ancora<br />
incerta e difficile da scegliere. Eppure, il sorriso di Cristina al termine di questo racconto sembra mostrarcela<br />
possibile, oltre che giusta. .