CHIARImenti - Colossi Arte Contemporanea
CHIARImenti - Colossi Arte Contemporanea
CHIARImenti - Colossi Arte Contemporanea
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<strong>CHIARImenti</strong><br />
luce arte industria<br />
<strong>Arte</strong>insegna 3<br />
dall’ 8 marzo al 20 aprile 2008<br />
<strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong><br />
Corsia del Gambero, n° 12/13<br />
25121 BRESCIA<br />
Tel. 030.3758583 - Cell. 338.9528261<br />
www.colossiarte.it - info@colossiarte.it
Organizzazione:<br />
Comune di Chiari<br />
Assessorato alla Cultura<br />
Un evento con il patrocinio di:<br />
Regione Lombardia<br />
PROVINCIA DI BRESCIA<br />
In collaborazione con:<br />
Galleria <strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong><br />
AIFIL Associazione Italiana Fabbricanti Insegne Luminose
Artisti & Percorsi<br />
Le ricerche storiche<br />
Alberto Biasi<br />
Philip Corner<br />
Joseph Kosuth<br />
Bruno Munari<br />
Ben Patterson<br />
Esperienze e confronti<br />
Carlo Bernardini<br />
Eros Bonamini<br />
Beppe Bonetti<br />
Bonomo Faita<br />
Giorgio Laveri<br />
Massimo Liotti<br />
Adolfo Lugli<br />
I nuovi linguaggi<br />
Laura Ambrosi<br />
C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />
Cuoghi Corsello<br />
Marco De Luca<br />
Francesco De Molfetta<br />
Barbara DePonti<br />
Christian Eisenberger<br />
Giorgio Lupattelli<br />
Vincenzo Marsiglia<br />
Marco Samorè
Un grande evento espositivo si riconosce da alcuni aspetti che non possono mancare: la<br />
presenza di un progetto e di una ricerca scientifi ci e curatoriali attentamente vagliati; la<br />
selezione delle opere da esporre, la loro interazione con lo spazio che le accoglie, con il pubblico<br />
che le guarda e vive; la diffusione mediatica, la comunicazione capillare dell’evento stesso.<br />
Tutto questo è presente, oggi, in questa grande e affascinante esposizione dedicata all’arte<br />
contemporanea nelle sue interazioni con la luce e l’industria, che il Comune di Chiari, fi n dai<br />
primi incontri e dalle prime tappe di lavoro, ha approvato con entusiasmo e convinzione. Ma<br />
vi sono altri elementi, altri aspetti che silenziosamente e costantemente, hanno fatto sì che<br />
questa mostra sia un grande evento espositivo: la passione nei confronti di ogni espressione<br />
artistica e culturale, la convinzione che l’educazione al bello sia il migliore modo per far<br />
crescere una città e i suoi cittadini e la certezza che solo attraverso una costante apertura nei<br />
confronti della contemporaneità, sia possibile non dimenticare il passato e porre le basi per<br />
un futuro migliore. E’ quindi con orgoglio e soddisfazione che il Comune di Chiari presenta,<br />
oggi, “<strong>CHIARImenti</strong> - luce arte industria – <strong>Arte</strong>insegna 3”, una mostra che racconta, alla<br />
luce delle oltre trenta opere esposte nella meravigliosa cornice di Villa Mazzotti, le attuali<br />
interazioni fra tecnologia, scienza, arte e collettività. Vi invitiamo quindi ad attraversare e<br />
vivere con entusiamo, questo spazio fra bagliori e oscurità, forme e percorsi.<br />
Cav. Avv. Sandro Mazzatorta<br />
Sindaco della Città di Chiari<br />
Avv. Fausto Consoli<br />
Assessore alla Cultura
Terzo appuntamento espositivo in Villa Mazzotti, allo scoccare del mese di marzo.<br />
Terzo grande evento artistico e culturale che, con soddisfazione ed orgoglio, desidero invitare<br />
tutti voi a vivere.<br />
Opere ed ambienti, forme e spazi che si esprimono attraverso il medium visivo e linguistico<br />
della luce artifi ciale, soprattutto al neon: grande protagonista di questa mostra, insieme al<br />
buio, suo necessario antagonista, destinato ad esaltarne le potenzialità espressive.<br />
Luce e oscurità; ricerche storiche e nuove esperienze artistiche; arte e industria.<br />
Sono, questi, i binari paralleli sui quali si gioca l’esposizione – oltre trenta opere per ventidue<br />
artisti attentamente selezionati, provenienti da tutto il mondo – che in parte rifl ette ed<br />
approfondisce alcuni aspetti salienti della precedente “CHIARI & geniali. 8 percorsi nell’arte<br />
contemporanea”: a partire, appunto, dal confronto fra le diverse generazioni, alla ricerca di<br />
continuità e differenze; d’altra parte, il dialogo fra i vari media espressivi e formali, nella<br />
mostra di quest’anno si arricchisce della componente della luce, tesa ad esaltare e sottolineare<br />
interazioni fra materiali e linguaggi.<br />
Inutile poi sottolineare la magia suscitata dallo spazio espositivo di Villa Mazzotti di Chiari<br />
che, per la sua storia e le sue splendide sale, stringerà inedite relazioni estetiche con le opere<br />
esposte.<br />
Ecco spiegata una delle chiavi di lettura del titolo: “<strong>CHIARImenti</strong>” vuole infatti essere un<br />
omaggio alla “mia” città, Chiari, ed al suo Assessorato alla Cultura, generoso organizzatore di<br />
esposizioni primaverili d’arte contemporanea, con il quale oramai da tre anni ho stretto una<br />
affi atata collaborazione.<br />
Quest’anno, la mostra intende provare a fare “chiarezza” – di nuovo il gioco di parole del titolo<br />
– sui delicati rapporti fra luce, arte, industria: unendo, come sempre, l’aspetto curatoriale e<br />
scientifi co al fascino di opere ed ambienti dagli anni Sessanta ad oggi.<br />
Un percorso espositivo ed emozionale nato anche grazie all’importante contributo di AIFIL,<br />
Associazione Italiana Fabbricanti Insegne Luminose, che ha saputo leggere in questo progetto<br />
un importante momento di rifl essione e di indagine sulle potenzialità dei propri prodotti e<br />
strumenti nel campo intrigante dell’arte contemporanea.<br />
Seguitemi…<br />
Daniele <strong>Colossi</strong>
L’arte insegna “<strong>CHIARImenti</strong>”<br />
“Ri-qualifi care il paesaggio (urbano e non),<br />
come se esso non potesse avere alcun<br />
signifi cato senza il segno signifi cante,<br />
estetico, dell’artista: un segno che si<br />
concreta in forme realizzate con materiali<br />
industriali, cioè con gli stessi elementi<br />
con cui gli uomini “fabbricano” l’ambiente<br />
dell’esistenza, “urbanizzano” il territorio.<br />
Ciò che si propone non è più una sintesi<br />
delle arti intesa come principio formale dato<br />
a priori, ma una confl uenza terminale delle<br />
esperienze ormai esaurite della pittura, della<br />
scultura, dell’architettura, e convogliate in<br />
un’unica, grandiosa ipotesi “urbanistica”.<br />
Al limite, si considerano potenzialmente<br />
estetici tutti gli interventi operativi nella<br />
città e nel territorio; la materia su cui e con<br />
cui opera l’artista scavando, costruendo,<br />
inserendo nuovi elementi, creando circuiti<br />
luminosi è dunque la realtà stessa”.<br />
Tratto da G.C. Argan, “L’arte moderna –<br />
1770-1970”.<br />
La terza edizione di “<strong>Arte</strong>insegna” dal titolo<br />
“<strong>CHIARImenti</strong>” nasce dalla collaborazione<br />
determinante di tanti nuovi soggetti<br />
protagonisti, allo scopo di ridefi nire e<br />
ribadire con forza le qualità originarie di<br />
questo progetto, ideato per coniugare<br />
nuove modalità di relazioni all’interno dei<br />
nostri sistemi sociali che ne determinino lo<br />
sviluppo civile, economico, culturale.<br />
Epicentro catalizzante di questa galassia<br />
di soggetti diversifi cati a confronto, gli<br />
splendidi spazi di Villa “Mazzotti-Biancinelli”.<br />
Essa è stata il luogo della storia, della<br />
cultura, dell’economia imprenditoriale e dei<br />
legami sociali con il territorio circostante e<br />
non solo: è quindi lo spazio ideale per un<br />
confronto vero.<br />
Determinante anche la scelta politica della<br />
città di Chiari di stimolare ed accogliere<br />
l’incontro inedito del creativo mondo<br />
dell’arte, in sperimentale simbiosi con la<br />
produzione tecnologica industriale di aziende<br />
italiane del settore della comunicazione<br />
illuminotecnica, favorendo l’obiettivo<br />
centrale del progetto “<strong>CHIARImenti</strong>”: far<br />
percepire diffusamente alla società e al<br />
mondo economico l’arte e la cultura come<br />
risorsa strategica di crescita all’interno<br />
delle sfi de globali, oltre che come elementi<br />
di snodo tra territorio, comunità e attività<br />
produttive.<br />
In questi anni l’arte contemporanea è<br />
divenuta consapevole di avere esaurito,<br />
con la fi ne del Novecento, un secolare<br />
ciclo d’indagini all’interno dei suoi codici<br />
alfabetici, che la ricchezza di questa mostra<br />
in parte presenta, e quindi non può perdere<br />
l’opportunità che sempre l’ha caratterizzata<br />
nella storia: essere motore protagonista dei<br />
cambiamenti sociali del suo tempo.<br />
Oggi, essa si presta in particolare ad essere<br />
il tramite della contaminazione tra nuove,<br />
più fl uide “forme di pensiero” in grado di<br />
favorire la produzione di nuovi modelli<br />
possibili d’identità sociale e suggerire<br />
percorsi di relazioni segnati dal rispetto e<br />
valorizzazioni delle diversità.<br />
Inoltre, in questo progetto è presente<br />
l’intenzione di stimolare l’assunzione di<br />
responsabilità in un nuovo e più ampio
uolo del fare, non condizionato dagli<br />
attuali modelli “autoreferenziali” dove risulti<br />
centrale la capacità di gestire un diverso<br />
processo di comunicazione con i soggetti<br />
protagonisti della società.<br />
“<strong>CHIARImenti</strong>” è un laboratorio di idee,<br />
quindi, in cui, partendo dalla storia<br />
recente, si confrontano artisti nazionali ed<br />
internazionali di generazioni e tendenze<br />
linguistiche diverse, chiamati a testimoniare<br />
e sperimentare in totale libertà modelli e<br />
processi diversi di relazioni ideali, tecnologici<br />
e fi losofi ci, nell’intento di superare i confi ni<br />
in atto tra i vari saperi e promuovere un<br />
maggiore collegamento a favore dello<br />
sviluppo della comunità.<br />
All’interno del progetto espositivo, una serie<br />
di lavori storici dialogheranno con opere<br />
inedite, appositamente create nei laboratori<br />
delle aziende dell’Associazione Italiana<br />
Fabbricanti Insegne Luminose A.I.F.I.L.<br />
per l’occasione, opere e relazioni ideate<br />
e caratterizzate da un lavoro di ricerca ad<br />
alto contenuto qualitativo, dove le pratiche<br />
artistiche non sono intese solo come<br />
prodotto ma come processo, superando di<br />
fatto le vecchie modalità di sponsorizzazione<br />
o puro mecenatismo e collezionismo, in cui<br />
sono stati relegati i mondi della produzione<br />
industriale delle imprese e delle politiche<br />
territoriali delle città.<br />
Ritrova così continuità e sviluppo l’obiettivo<br />
di questa terza edizione di <strong>Arte</strong>insegna<br />
“<strong>CHIARImenti</strong>”, con la convinzione profonda<br />
che l’arte insegna ad ascoltare i valori<br />
elaborati e chiariti in questo progetto, dove<br />
i codici dell’arte incontrano e ritrovano le<br />
matrici dei territori all’interno del cantiere<br />
che ospita i lavori in corso ad alta velocità<br />
della globalizzazione, con la dichiarata<br />
intenzione di fare parte delle maestranze<br />
operative che cercheranno di dare senso con<br />
le culture dell’arte al costruirsi degli eventi.<br />
Adolfo Lugli<br />
9 pagina
luce-arte-industria, una storia ancora da<br />
raccontare.<br />
“…Chiediamo a tutti gli uomini di scienza<br />
del mondo, i quali sanno che l’arte è una<br />
necessità vitale della specie, che orientino<br />
una parte delle loro investigazioni verso la<br />
scoperta di questa sostanza luminosa e<br />
malleabile…”. (1)<br />
Un appello. Una richiesta. Una speranza<br />
carica di promesse e di premonizioni. Con<br />
queste parole Lucio Fontana si esprimeva<br />
nel “Manifi esto Blanco”. Era il 1946: forte<br />
delle esperienze e dei linguaggi artistici<br />
legati e indotti dalle scoperte scientifi che<br />
del Novecento, l’artista chiedeva a scienziati,<br />
tecnici, esperti di settore, industriali, di donare<br />
una parte del loro sapere e dei loro strumenti<br />
ad una “…arte spaziale, per ora, neon, luce<br />
di Wood, televisione, la quarta dimensione<br />
ideale dell’architettura…si va formando una<br />
nuova estetica, forme luminose attraversano<br />
gli spazi”. (2)<br />
È con queste parole che ritengo possano<br />
condensarsi lo spirito e le tensioni che<br />
animano e si ritrovano in questa mostra,<br />
dedicata, in primo luogo, alla luce, da oltre<br />
un secolo medium espressivo dell’arte<br />
contemporanea: strumento e insieme<br />
linguaggio, forma e dimensione, materiale<br />
costruttivo e fonte d’ispirazione sempre<br />
diversa anche per le oltre trenta opere<br />
esposte, alcune delle quali, ci tengo a dirlo<br />
fi n da ora, site-specifi c. Tutte chiamate<br />
a confrontarsi con gli spazi di una sede<br />
espositiva abbastanza “impegnativa”, carica<br />
di storia, e “fi sicamente” ricca di arredi,<br />
elementi decorativi e presenze architettoniche<br />
che volutamente abbiamo lasciato interagire<br />
con le opere stesse, chiedendo agli artisti<br />
di metterle in relazione il più strettamente<br />
possibile con gli ambienti e le strutture<br />
esistenti. Una liaison riuscita, credo, come<br />
testimoniano le immagini riprodotte in<br />
catalogo.<br />
Neon, luce di Wood, luce elettrica. Prismi<br />
luminosi, light box, ombre di luce. Sinestesie<br />
e contrasti. Environments e lettering. Insegne<br />
e scritture di luce. Luci polarizzate, pulsanti,<br />
soffuse. Dichiarate e sottintese. Accennate<br />
ed esaltate.<br />
Procediamo con ordine.<br />
Se è vero che la storia dell’arte è – anche –<br />
una delle possibili storie della luce, naturale<br />
e artifi ciale, spontanea o progettata, (3) le<br />
relazioni fra luce, arte e industria, il legame<br />
con le scienze, con l’architettura e con la<br />
tecnologia, ed il ruolo giocato dalle aziende<br />
produttrici di luce nei confronti delle richieste<br />
degli artisti, si evidenziano soprattutto agli<br />
albori della Modernità, fra la fi ne del XIX e<br />
l’inizio del XX secolo: quando la creazione<br />
artistica si confronta e relaziona con le<br />
forme e le dimensioni delle nuove metropoli<br />
illuminate, fonti di choc visivo e di suggestioni;<br />
dove le luci a gas prima, elettriche poi, ad<br />
arco, a incandescenza, stimolano racconti,<br />
suscitano tensioni creative, eccitano nuove<br />
iconografi e, provocano ora sotterranei<br />
smarrimenti ora esaltanti illuminazioni. Fra<br />
deliri da Notti bianche e stupori di Passages,<br />
occhi sorveglianti di vigili lanterne ed effi mere<br />
trasparenze di padiglioni da Esposizioni<br />
Universali, splendori di Gallerie Umbertine e<br />
sospiri di Ville Lumiere, la ricerca artistica ora<br />
s’accecava, ora si rischiarava di fronte alle<br />
nuove scoperte scientifi che e tecnologiche<br />
nel campo della luce. (4)<br />
Una storia che, volendo tenere saldi i tre<br />
riferimenti del titolo della mostra, potrebbe<br />
essere raccontata in due scenari paralleli,<br />
eppure tangenti, sui quali s’incrociano<br />
esperienze diverse: dove la luce si traduce<br />
in segno e forma di un rapporto irrazionale<br />
con l’arte, innescando un cortocircuito
semantico; dove la luce si piega a simbolo e<br />
strumento di una progettazione razionale.<br />
A grandi linee, affondando nei secoli, il primo<br />
percorso parte allora da un concetto di luce<br />
come mezzo spettacolare e coinvolgente, dalla<br />
città della festa e della parata barocca all’opera<br />
d’arte totale (Gesamtkunstwerk), per passare<br />
alla luce fonte di choc, alla luce suggestiva<br />
e romantica, nell’arte e nelle metropoli di<br />
fi ne Ottocento, e successivamente alla luce<br />
fantastica, avvenirista, provocatoria ed<br />
esasperata, sorta nelle nevrosi elettriche del<br />
Novecento, fra futurismo ed espressionismo;<br />
un percorso affascinante che approda alla<br />
luce-icona della civiltà dei consumi, sorta<br />
nei frastuoni del boom economico e memore<br />
del fatuo splendore della merce mostrata,<br />
dalle Esposizioni Universali agli Shopping-<br />
Mall; alla luce dichiarata, eccentrica e<br />
sfacciata nelle opere-logo-insegna pop ed<br />
optical degli anni Sessanta – cresciuta nel<br />
mito di Londra, New York (5) e Las Vegas (6)<br />
– per approdare alle odierne ricerche<br />
artistiche dove la luce diventa segno fl uido,<br />
scrittura urbana, epidermide pulsante, fra<br />
metropoli postmoderne ed opere nate per<br />
contaminazione di linguaggi, frutto di altre<br />
ibridazioni e melting pot linguistici e sociali.<br />
Questo ci raccontano le opere storiche dei<br />
Fluxus Patterson e Corner, le ricerche di<br />
Lugli (per altro verso tese ad un confronto<br />
progettuale con la storia), Faita, Laveri, quelle<br />
dei giovani Cullinan + Richards, De Molfetta,<br />
Samoré.<br />
Il secondo percorso potrebbe invece iniziare<br />
fra le ricerche illuministe – dove la lucesimbolo-della-ragione<br />
individua forme<br />
aprioristiche, assolute, modelli fondativi e<br />
simbolici di una ratio creativa ed urbanistica;<br />
proseguendo nel racconto si dovrebbe parlare<br />
di quella luce che, irradiandosi nelle ricerche<br />
progressiste e scientifi che dell’Ottocento, si<br />
staglia poi sulle grandi speranze progettuali<br />
del Razionalismo e del Funzionalismo, in pieno<br />
Novecento. Una luce capace di unire arte e<br />
industria, diventata strumento d’indagine<br />
delle avanguardie Bauhaus, costruttiviste e<br />
De Stijl; costruzioni di aria e di luce, chiedeva<br />
d’altra parte Léger, dalle fi la del movimento<br />
purista; luce come defi nizione di volumi, luce<br />
con la quale misurare Modulor onnipotenti,<br />
auspicava Le Corbusier, trovando nella luce<br />
naturale il simbolo e lo strumento della sua<br />
Ville Radieuse…Memori di queste esperienze,<br />
rielaborate alla luce di linguaggi personali,<br />
le “Luci metarazionali” di Bonetti, le pieghe<br />
architettoniche della DePonti.<br />
Per entrambi i percorsi tematici, sono gli anni<br />
Cinquanta, o meglio sarebbe dire il secondo<br />
dopoguerra, il momento fondamentale dove<br />
la luce diventa medium artistico capace di<br />
rimescolare le carte, di rimettere in gioco<br />
forme e funzioni, strumento espressivo del<br />
recupero di un sentire individuale e di una<br />
dimensione liberatoria, capace di oltrepassare<br />
l’impasse totalizzante del mito igiene +<br />
estetismo di matrice razionalista e di aprire<br />
nuove strade alla ricerca creativa.<br />
Fondamentale, anche in questo momento,<br />
l’apporto delle scoperte scientifi che, molte<br />
delle quali destinate ad avere grande<br />
incidenza sull’uso e sulla conoscenza della<br />
luce: basti rifl ettere che gli anni Quaranta<br />
si chiudevano con la rifl essione sul fl agello<br />
atomico, portando l’individuo e la collettività<br />
a prendere coscienza di una nuova concezione<br />
dello spazio e della materia e ad assumere<br />
“…una struttura psichica differente…col<br />
variare delle nozioni scientifi che e tecniche…i<br />
gesti scientifi ci provocano sempre gesti<br />
artistici…”: è ancora Fontana a parlare, nel<br />
1947.<br />
Senza volerli fare protagonisti assoluti delle<br />
rifl essioni e delle ricerche espressive del<br />
tempo, sono proprio gli Spazialisti, stretti<br />
attorno all’argentino, ad aver provato a dare<br />
11 pagina
forma a quel vuoto e a quella luce nati da<br />
un nuovo concetto di materia, sorti nello<br />
spazio-tempo quadridimensionale della fi sica<br />
subatomica. Bisognava allora fermarsi a<br />
rifl ettere sulla fenomenologia di Husserl, sulle<br />
teorie della conoscenza di Henry Bergson,<br />
sul relativismo einsteiniano, sull’immaginario<br />
collettivo che andava delineandosi in<br />
seguito alle scoperte di mondi diversi, quello<br />
microscopico dell’atomo e del gene e quello<br />
macroscopico dell’universo, dello “spazio<br />
curvato dal tempo”. Luce-materia-energia<br />
plasmante: inevitabile, d’altra parte, ora il<br />
richiamo alle esperienze futuriste, ora lo<br />
sforzo sempre più pressante di tradurre<br />
l’opera-oggetto in uno spazio-ambiente in<br />
cui agire, muoversi, sperimentare se stessi in<br />
rapporto, innanzitutto, ai propri bisogni, ai<br />
propri desideri, alle proprie reazioni.<br />
Ma questa è un’altra storia affascinante,<br />
dove arte, luce e industria sono ancora<br />
protagoniste: una storia che racconta le<br />
vicende e i passaggi dall’oggetto all’opera<br />
al monumento-struttura luminoso fi no<br />
all’environment di suoni e luci, ambiente<br />
appositamente creato e costruito ai fi ni di<br />
un coinvolgimento e di un’indagine sul ruolo<br />
dell’artista nei confronti dello spettatore – o,<br />
come si diceva a partire dagli anni Sessanta,<br />
dell’operatore culturale nei confronti del<br />
fruitore, destinato a diventare co-autore<br />
dell’opera stessa: ed anche quest’ultima è<br />
un’altra, importante linea di ricerca che offre<br />
la mostra grazie alla presenza di Munari,<br />
da sempre attento al rapporto fra arte<br />
educazione e visione, di Biasi che con l’ “Eco”<br />
chiama in causa il pubblico per completare<br />
l’opera, mentre con il “Light Prisms” ne<br />
osserva le risposte-interazioni, come, su una<br />
linea più analitica, fa anche Bernardini.<br />
Per tornare alla storia che prima accennavo,<br />
se l’opera di Munari è memore delle<br />
pionieristiche opere cinetiche degli anni Venti<br />
e Trenta – gli oggetti e i modulatori di luce di<br />
Pevsner e Gabo, il “Lichtrequisit” di Moholy<br />
Nagy – la sua ricerca fu anche lo stimolo<br />
delle indagini compiute dai gruppi dell’<strong>Arte</strong><br />
Programmata a partire dalla fi ne degli anni<br />
Cinquanta e per tutto il corso del decennio<br />
successivo (dal Gruppo Enne, di cui ha fatto<br />
parte lo stesso Biasi, ai Gruppi MID e T di<br />
Milano). Fu allora, infatti, che si moltiplicavano<br />
i tentativi di estendere le ricerche luminose<br />
legate ad oggetti, strutture e quadri di luce<br />
alla creazione di ambienti appositamente<br />
creati e progettati, di cui il “Light Prisms-<br />
Macchina dell’Arcobaleno” di Biasi è esempio<br />
e modello fondamentale. In mezzo ai due<br />
estremi, l’oggetto e l’ambiente, quelle opere<br />
concepite come sculture, monumenti e<br />
strutture di luce, fi nalizzate ad interagire<br />
con lo spazio circostante, connotandolo e<br />
trasformandolo, grazie ad effetti luminosi<br />
di polarizzazione, trasparenza, vibrazione,<br />
intercezione, trasmissione, rifl essione e<br />
proiezione. (7)<br />
Bisognerebbe poi puntualizzare le diverse<br />
direzioni di ricerca della mostra, ovvero<br />
specifi care quale luce, quale linguaggio della<br />
luce sia stato prevalentemente indagato,<br />
scelto e prima ancora “sentito” dagli artisti<br />
esposti in mostra: volendo dare alcune<br />
indicazioni, luce come strumento di analisi<br />
ottico-percettiva, di formazione gestaltica, di<br />
interazione, da Munari a Bonetti a Marsiglia;<br />
luce come scrittura analitica, del tempo in<br />
Bonamini, concettuale in Kosuth, del segnoicona<br />
in Lugli; luce come elemento grafi coprogettuale,<br />
in DePonti; luce come mezzo<br />
d’azione pluri-sensoriale, per i F-lux-US (così<br />
mi piace pensare il loro nome, visto il tema<br />
espositivo) Corner e Patterson… (8)<br />
Ma alquanto sterile sarebbe stato raccontare<br />
i ventidue artisti presenti in sezioni<br />
distinte e percorsi slegati gli uni dagli altri:<br />
preferendo suddividerli per la loro “presenza
cronologica” nella storia dell’arte, io e Luca<br />
Panaro abbiamo voluto lasciare che ciascuna<br />
loro opera potesse provare a contaminarsi,<br />
fondersi, differenziarsi con e rispetto ad ogni<br />
altra.<br />
Come la luce, l’arte e l’industria, da oltre un<br />
secolo, hanno saputo fare e raccontare.<br />
NOTE<br />
Ilaria Bignotti<br />
1) L. Fontana con B. Arias, H. Cazenueve, M. Fridman, P.<br />
Arias, R. Burgos, E. Benito, C. Bernal, L. Coll, A. Hansen, J.<br />
Roccamonte, “Manifi esto Blanco”, Buenos Aires 1946.<br />
2) L. Fontana, “Manifesto tecnico”, Milano 1951, letto in<br />
occasione del I Congresso Internazionale delle Proporzioni<br />
alla IX Triennale di Milano del 1951. Completo di bibliografi a<br />
e regesto dei testi il catalogo “Lucio Fontana”, a cura di E.<br />
Crispolti e R. Siligato, catalogo della mostra, Roma, Palazzo<br />
delle Esposizioni, 3 aprile-22 giugno 1998, Milano 1998.<br />
3) Affascinante la lettura e l’analisi del rapporto fra arte<br />
e luce di Hans Sedlmayr, “La luce nelle sue manifestazioni<br />
artistiche”, a cura di R. Masiero, Palermo, Aesthetica 1989.<br />
Importante momento di rifl essione e analisi la mostra e il<br />
catalogo “Licht Kunst aus Kunstlicht”, a cura di P. Weibel,<br />
G. Jansen, 19 novembre 2005-6 agosto 2006, Zentrum für<br />
Kunst und Medientechnologie Karlsruhe, Karlsruhe 2006.<br />
4) Per indicazioni bibliografi che, letture, attenti e originali<br />
approfondimenti sulle relazioni fra città moderna ed<br />
illuminazione artifi ciale, dall’800 ad oggi, rimando a “Città<br />
e luce. Fenomenologia del paesaggio illuminato”: ricerche,<br />
conferenze, interventi, mostra e pubblicazioni coordinati<br />
e curati da Francesca Zanella in occasione del Festival<br />
dell’Architettura di Parma, Modena e Reggio Emilia, 2007-<br />
2008, pubblicati sul sito www.festivalarchitettura.it.<br />
5) Imprescindibile la lettura di R. Koolhas, “Delirious New<br />
York – Un manifesto retroattivo per Manhattan”, prima<br />
edizione New York 1978, edizione italiana a cura di M.<br />
Biraghi, Milano, Electa 2001.<br />
6) Come meglio approfondisco nell’intervento dedicato<br />
a Vincenzo Marsiglia, rimando ad un altro testo<br />
fondamentale: R. Venturi, D. Scott Brown, “Learning<br />
from Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma<br />
architettonica”, prima edizione Londra, MIT Press 1972.<br />
7) Rimando alla mia ricerca, dove ho affrontato l’analisi del<br />
rapporto luce-ricerche artistiche dagli anni Cinquanta agli<br />
anni Settanta attraverso sei “nodi” tematici: “dall’oggetto<br />
luminoso all’environment di luci allo spazio urbano”; “il<br />
ruolo della luce nella critica al Funzionalismo Modernista<br />
e nella rifl essione sulle avanguardie storiche”; “la funzione<br />
della luce nel superamento della cultura informale”;<br />
“luce fra individuo e collettività-artista e fruitore”; “luce<br />
irrazionale/luce razionale: luce-progetto e luce-choc”;<br />
“la funzione della luce fra scienza e arte”, in occasione<br />
del Festival dell’Architettura 2007-2008, ma vedi nota 4,<br />
www.festivalarchitettura.it.<br />
8) Sulla base di queste indicazioni generali e direzioni di<br />
ricerca del progetto espositivo, non sono state prese in<br />
considerazione né la corrente dell’<strong>Arte</strong> Povera, né quella<br />
della Minimal Art, pur considerandole teoricamente e<br />
riconoscendone l’importanza all’interno di una storia del<br />
rapporto fra arte, luce e industria.<br />
13 pagina
Artisti & Percorsi<br />
Le ricerche storiche<br />
Alberto Biasi<br />
Philip Corner<br />
Joseph Kosuth<br />
Bruno Munari<br />
Ben Patterson
ALBERTO BIASI, Padova 1937<br />
Fra i principali esponenti delle ricerche<br />
artistiche programmate e cinetiche,<br />
membro del Gruppo Enne di Padova, attivo<br />
nel movimento “Nuove Tendenze” che fra<br />
Zagabria, Parigi e Venezia, dal 1961, unì artisti<br />
di provenienza internazionale…vastissima,<br />
anche ad uno sguardo rapido, è stata in<br />
oltre quarant’anni la sua attività espositiva;<br />
sfaccettata e versatile la sua ricerca, dove<br />
la luce artifi ciale ha spesso giocato il ruolo<br />
di indiscussa protagonista, dall’oggettoopera<br />
alla realizzazione di environments alle<br />
estensioni e verifi che urbane. (1)<br />
Insieme alle categorie del movimento, alle<br />
indagini sul ruolo dell’artista in relazione al<br />
gruppo di lavoro, allo spettatore, al contesto<br />
spazio-temporale, fi n dalla sua prima mostra<br />
nello Studio Enne di Padova Biasi constatava<br />
che, se “…lo studio sempre più oggettivo<br />
delle fi gure spaziali in natura dimostrò che<br />
queste si formano per una doppia tensione<br />
che parte dal centro e vi ritorna... [e] il mezzo<br />
pittorico tradizionale si rivelò inadatto<br />
ad una simile raffi gurazione…”, poteva<br />
essere la luce a tornare “…nel quadro, non<br />
più come interpretazione personale, ma<br />
come fatto fi sico che supera la limitazione<br />
bidimensionale della superfi cie”.<br />
Il dualismo fra programmazione e azzardo,<br />
laddove se l’opera è sempre perfettamente<br />
calcolata in ogni suo aspetto tecnico e<br />
tecnologico, il fruitore che è chiamato a<br />
completarla, a riempirla di senso attraverso<br />
risposte personali e quindi estemporanee,<br />
può stravolgerla completamente nel<br />
meccanismo, scegliendo come comportarsi e<br />
se e come interagire con essa (2) ; la costante<br />
tensione verso l’estensione dell’opera da<br />
oggetto ad ambiente, rispondente alla<br />
necessità di verifi care, attraverso il salto<br />
di scala, la sua reale trasformazione in uno<br />
spazio dove intervenire direttamente, in uno<br />
spazio, dunque, dove opera e spettatore non<br />
siano più separati, ma uniti e confrontati<br />
da una serie di relazioni tra movimento<br />
illusorio e spazio reale, e viceversa;<br />
l’introduzione della luce artifi ciale quale<br />
contributo fondamentale del cambiamento<br />
di percezione consueta della realtà, sia essa<br />
temporale o spaziale: sono, queste, alcune<br />
tematiche che tornano nelle tre opere<br />
esposte, appartenenti a diversi stadi della<br />
sua ricerca.<br />
Con il “Light Prisms”, la cui prima versione<br />
(1962-1965) era concepita come operaquadro<br />
luminoso che interagiva con il<br />
luogo dove era collocata, totalmente<br />
oscurato, Biasi lavora sul concetto di<br />
environment, ambiente appositamente<br />
costruito e destinato a chiarire il dualismo<br />
implicito dell’arte programmata in quanto,<br />
come dice egli stesso “…viene percepita la<br />
compresenza di più segni in trasformazione<br />
secondo un calcolo aperto al disordine<br />
e contemporaneamente al ricomporsi in<br />
geometrie e armonie dell’insieme. I segni<br />
sono in continua mutazione di colore<br />
essendo risultante quest’ultimo dalla<br />
scomposizione prismatica della luce e<br />
dalla successiva selezione delle bande<br />
colorate tramite blocchi trasparenti<br />
in movimento rotatorio”. L’ambiente<br />
è composto infatti da una superfi cie<br />
calpestabile bianca dove sono disposti dei<br />
prismi che scompongono la luce in bande<br />
colorate e dei corpi rifrangenti illuminati e<br />
colorati dalla luce fi ltrata dei prismi stessi.<br />
Tali blocchi, che si rifl ettono negli specchi<br />
disposti lungo i percorsi, ruotano ciascuno<br />
attorno ad un proprio asse, senza reciproci<br />
contatti; l’interrelazione avviene invece<br />
attraverso il rimando continuo di raggi<br />
luminosi di colore cangiante e in continuo<br />
movimento che creano una serie di rinvii.<br />
La combinazione movimento-luce consente<br />
non solo la creazione d’inedite vibrazioni
spaziali, ma suggerisce all’immaginazione<br />
dello spettatore ambigue compenetrazioni<br />
dimensionali. (3)<br />
La versione presentata di “Eco”, esposta<br />
per la prima volta al Padiglione d’<strong>Arte</strong><br />
<strong>Contemporanea</strong> di Ferrara nel 1976, consiste<br />
in una tela rettangolare che, essendo stata<br />
trattata con materiali fotosensibili, assume<br />
la peculiarità di poter essere impressionata<br />
per breve tempo, quasi si trattasse di un<br />
procedimento fotografi co; l’opera indaga<br />
soprattutto il ruolo del fruitore, chiamato<br />
a completarla attraverso la presenza del<br />
proprio corpo o di parte di esso: il risultato<br />
consiste nella traccia lasciata, per un tempo<br />
di circa trenta secondi, sulla tela stessa.<br />
L’artista, concedendo allo spettatore la<br />
discrezionalità del gesto, non ne vincola<br />
NOTE<br />
1) Completata da una attenta bibliografi a è la pubblicazione<br />
“Alberto Biasi – Antologica”, a cura di G. C. Argan, D.<br />
Banzato et al., catalogo della mostra, Padova, Museo Civico<br />
agli Eremitani, 25 giugno-30 ottobre 1988, Padova 1988.<br />
2) Cito solo il pionieristico saggio di Umberto Eco,<br />
“<strong>Arte</strong> programmata, arte cinetica, opere moltiplicate,<br />
opera aperta” pubblicato per la prima volta in occasione<br />
della mostra “<strong>Arte</strong> Programmata” la cui prima sede<br />
espositiva fu il Negozio Olivetti a Milano, organizzata<br />
da Bruno Munari e Giorgio Soavi cui partecipavano:<br />
Giovanni Anceschi (Percorsi fl uidi orizzontali); Davide<br />
Boriani (Superfi cie magnetica); Gianni Colombo<br />
(Strutturazione fl uida); Gabriele De Vecchi (e.r.m.n.t. 1961);<br />
Enzo Mari (Opera n. 649); Bruno Munari (Nove sfere in<br />
le forme d’intervento, e permette così una<br />
continua variabilità e casualità d’immagini:<br />
l’opera e l’individuo, mediante la loro<br />
interazione, generano quindi un processo di<br />
continuo divenire soggetto-oggetto.<br />
Infi ne, “Luce…e la sua ombra”, pare quasi<br />
essere la visualizzazione concettuale e<br />
ridotta ai minimi termini delle sue ricerche<br />
con la luce: l’opera consiste infatti in una<br />
superfi ce bianca, illuminata da una lampada<br />
che, pur essendo essa stessa fonte di luce<br />
e non potendo dunque avere ombra, qui la<br />
“ritrova”. “In altre parole – racconta Biasi<br />
– ecco che anche la luce…possiede la sua<br />
ombra. E l’ombra diventa il doppio della<br />
luce. Qualcuno sostiene che l’ombra sia<br />
l’occultamento della verità…in questo caso<br />
occulta o svela la vera luce?”<br />
I. B.<br />
colonna); Gruppo N (Rilievo ottico-dinamico, Visione<br />
dinamica, Interferenza geometrica, Bispazio Instabile) e<br />
Grazia Varisco (Ox9xX). Ampliata con il G R A V e Alviani,<br />
la stessa mostra passava a Venezia e a Roma nello stesso<br />
anno.<br />
3) Per ulteriori approfondimenti rimando alle ricerche ed<br />
alla conferenza tenuta da Alberto Biasi a Parma, Ridotto<br />
del Teatro Regio, giovedì 13 dicembre 2007 in occasione<br />
di “Città e luce. Fenomenologia del paesaggio illuminato”:<br />
ricerche, conferenze, interventi, mostra e pubblicazioni<br />
coordinati e curati da Francesca Zanella con I. Bignotti,<br />
M. Scotti, V. Strukelj et al., in occasione del Festival<br />
dell’Architettura di Parma, Modena e Reggio Emilia, 2007-<br />
2008, pubblicati sul sito www.festivalarchitettura.it.<br />
17 pagina
Alberto Biasi<br />
Light Prisms, Macchina dell’Arcobaleno<br />
2000 (rifacimento della prima versione 1962-1969)<br />
superfi cie calpestabile in moquette bianca, blocchi sfaccettati in metacrilato, elettromotori,<br />
specchi laterali, modulatori di luce, prismi di cristallo<br />
m. 6 x 4 circa<br />
19 pagina
Alberto Biasi<br />
Eco<br />
1974<br />
tempera fosforescente su tela e luce di Wood<br />
cm. 210 x 125<br />
21 pagina
23 pagina<br />
Alberto Biasi<br />
Luce…e la sua ombra<br />
2004<br />
lampadina, sagomatore di luce, pannelli in legno<br />
cm. 40 x 50 x 25
PHILIP CORNER, New York 1933<br />
Segue “più che la tattica di sperimentazione<br />
di nuovi linguaggi, la strategia del contagio<br />
sociale. La possibilità, cioè, di creare una serie<br />
di reazioni a catena, onde magnetiche al di<br />
sotto e al di sopra dell’arte…”: così Achille<br />
Bonito Oliva a proposito di Fluxus, uno dei<br />
movimenti meno defi nibili, proprio perché<br />
più “contaminati” nel linguaggio espressivo,<br />
della storia dell’arte contemporanea,<br />
al cui fl usso inarrestabile Philip Corner,<br />
uffi cialmente compositore musicale, ha<br />
aderito fi n dai primi anni Sessanta. (1)<br />
Una stele tantrica lunga sei metri,<br />
successione di onde luminose che paiono<br />
seguire un’ipnotica scala musicale; linee di<br />
neon colorato segnano passaggi di suoni,<br />
fl uire di meditazioni, invadono lo spazio<br />
e sembrano ripetersi per una reazione a<br />
catena. Ecco un’opera Fluxus: laddove<br />
il linguaggio delle forme ed il medium<br />
utilizzato, il neon, sono, appunto, un mezzo<br />
attraverso il quale rilanciare stimoli, azioni<br />
e risposte, suggerire gesti e cavar fuori<br />
parole, innescare provocazioni e tensioni<br />
(basti pensare al titolo dell’opera da cui<br />
scaturisce la collisione fra religione ebraica<br />
e meditazione orientale) che concorrono<br />
a formare l’evento totale. Una totalità<br />
che in Fluxus nasce dalla cleptomania<br />
di ogni tecnica e linguaggio possibili,<br />
dalla interdisciplinarietà e dall’incrocio<br />
con le esperienze situazioniste europee e<br />
giapponesi Gutai.<br />
Per primo è l’artista Fluxus a sapere<br />
contaminare la propria forma espressiva:<br />
così è per Philip Corner, la cui storia inizia<br />
con gli studi musicali prima alla Columbia<br />
University, poi al Paris Conservatoire,<br />
passando attraverso diverse scuole ed<br />
approdando a Fluxus fi n dai primi anni<br />
Sessanta, come compositore e musicista<br />
presso il Judson Dance Theatre fra il<br />
1962 e il 1964 e successivamente presso<br />
l’Experimental Intermedia Foundation.<br />
Studi sulla calligrafi a e sul suono coreani,<br />
con i quali confrontare la propria musica,<br />
carica di esplorazioni nella sonorità<br />
spontanea, non intenzionale, pronta ad<br />
aprirsi all’improvvisazione ed alla gestualità,<br />
ma anche alla meditazione orientale; capace<br />
di contagiarsi con gli strumenti musicali non<br />
occidentali, ma anche appartenenti a epoche<br />
lontane come il Barocco, ed ovviamente alle<br />
recenti trovate dell’elettronica.<br />
Fondamentale, infi ne, l’interazione della<br />
musica con i linguaggi artistici: da questo<br />
derivano infatti i numerosi assemblages<br />
e collages, le scritture-dipinto e le opere<br />
multimediali di Corner.<br />
Come la “Stella di David tantrica”, ipnotico<br />
concerto di forme geometriche imbevute<br />
di fi losofi a, sapere esoterico, perfezione<br />
geometrica e dinamismo ritmico: stele muta,<br />
stendardo luminoso destinato a vegliare sul<br />
violento moto dell’arte di Fluxus, quasi fosse<br />
l’ultima stazione alla quale sia concesso<br />
all’artista di meditare e sostare, prima di<br />
irrompere nella vita.<br />
I. B.
NOTE<br />
1) Achille Bonito Oliva, Fluxus, in “L’<strong>Arte</strong> oltre il Duemila”,<br />
Firenze, Sansoni, prima ed. 1991. Achille Bonito Oliva<br />
è stato, fra l’altro, il curatore della mostra “Ubi Fluxus<br />
ibi motus – 1990-1962” tenutasi agli Ex Granai della<br />
Repubblica alle Zitelle, Giudecca, 26 maggio-30 settembre<br />
1990, in occasione della XLIV Esposizione Internazionale<br />
d’<strong>Arte</strong> La Biennale di Venezia. Nato nel 1962 sotto<br />
il coordinamento del lituano George Maciunas, la<br />
prima collettiva del movimento “Fluxus Internationale<br />
Festspiele” fu a Wiesbaden, nello stesso anno. Il festival<br />
fu effettivamente una delle migliori forme di espressione<br />
e di sperimentazione del movimento: da ricordare inoltre il<br />
“Festival Fluxorum Fluxus”, allestito alla Kunstakademie di<br />
Düsseldorf nel febbraio 1963.<br />
Philip Corner<br />
Stella di David tantrica<br />
1994<br />
neon<br />
cm. 600 x 122 x 100<br />
Courtesy Collezione Cattelani, Baggiovara (Mo)<br />
25 pagina
27 pagina
JOSEPH KOSUTH, Toledo, Ohio 1945<br />
“Il neon ha una fragilità che lo rende più<br />
simile alla scrittura. Non è permanente. Ha<br />
una diversa dimensione della permanenza”. (1)<br />
“Red”: lampante tautologia, luce che scrive<br />
e comunica l’evidenza di ciò che si vede.<br />
Un’opera che apparentemente altro non fa,<br />
se non “dire” se stessa. Proclamarsi.<br />
Metà degli anni Sessanta: la Pop Art è nel<br />
pieno fulgore, dirompe e tracima oltre gli<br />
argini di critica e pubblico, tesa a rifl ettere<br />
sempre più lucidamente sui temi del logo<br />
e del marchio, dell’oggetto e della merce.<br />
D’altra parte, le esperienze del Minimalismo:<br />
le verifi che sul rapporto forma-signifi cato,<br />
le riduzioni ad operare in nome di un’arte<br />
del levare, destinata ad estendersi dall’opera<br />
plastica o pittorica all’ambiente, artifi ciale e<br />
naturale, fi no ad incrociarsi con la Land Art.<br />
Analisi linguistiche e semantiche che<br />
l’arte concettuale, negli stessi anni, aveva<br />
avviato attraverso esperienze e personalità<br />
disparate, dal gruppo inglese “Art and<br />
Language” a Sol Le Witt, dal belga<br />
Broodthaers agli americani Bochner,<br />
Darboven e, naturalmente, Joseph Kosuth.<br />
Nel 1969, un anno in anticipo rispetto alla<br />
prima esposizione sull’arte concettuale,<br />
“Conceptual Art and Conceptual Aspects”<br />
allestita al New York Cultural Center, esce<br />
il suo testo “Art after Philosophy”, teso ad<br />
indagare le relazioni fra la speculazione<br />
fi losofi ca e quella artistica: necessaria<br />
rifl essione per l’artista americano che,<br />
avendo intrecciato gli studi in antropologia<br />
e fi losofi a a quelli seguiti alla School of<br />
Visual Arts di New York, provava fi n dalle<br />
prime opere a fondere le fonti più disparate,<br />
dalle defi nizioni lessicali alla Stele di Rosetta,<br />
indagando sui testi di Freud, Thomas Mann<br />
e Kafka, nel tentativo di “tematizzare” le<br />
domande, le questioni poste dal confl itto<br />
fra arte e linguaggio, arte e signifi cato.<br />
Contaminata dalla presenza di fotografi a,<br />
video, oggetti, ampliata in ambienti e<br />
dimensioni installative, confrontata con<br />
la cultura popolare e con il linguaggio di<br />
massa, sviscerata sul tavolo anatomico<br />
della linguistica, scandagliata da sonde<br />
etimologiche, l’arte concettuale di Kosuth<br />
trova infi ne nella tecnologia signifi cativi<br />
strumenti d’espressione e rifl essione.<br />
Fra questi, appunto, la luce al neon:<br />
intuitivamente associata alla segnaletica,<br />
come ricorda lo stesso artista, essa si<br />
connette alla pubblicità che infi erisce sulla<br />
cultura di massa; ma, utilizzata solamente<br />
nella sua materialità, depurata dalle forme<br />
popolari, diventa fl uida scrittura plasmabile<br />
dall’artista, carica eppure depurata di tutta<br />
la sua storia. (2)<br />
Pronta a dire, essenziale e insieme prolissa,<br />
“Red”. Rosso.<br />
I. B.
NOTE<br />
1) Diverse le dichiarazioni dell’artista e le rifl essioni sulla<br />
propria opera; fra queste segnalo: “Art after Philosophy”,<br />
Studio International, New York 1969.<br />
2) Nell’importante catalogo della mostra “Lichtkunst<br />
aus Kunstlicht”, l’opera di Kosuth esposta anziché<br />
univocamente nella sezione dedicata all’<strong>Arte</strong> Concettuale è<br />
stata inserita in quella “Logo-Kultur und Lichtgrafi ken”, tesa<br />
a sottolineare l’importanza dell’unione di scrittura e luce.<br />
Ma vedi “Licht Kunst aus Kunstlicht”, a cura di P. Weibel,<br />
G. Jansen, catalogo della mostra, 19 novembre 2005-6<br />
agosto 2006, Zentrum für Kunst und Medientechnologie<br />
Karlsruhe, Karlsruhe 2006.<br />
pagina seguente<br />
Joseph Kosuth<br />
Red<br />
1984<br />
neon<br />
cm. 16 x 38<br />
Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia<br />
29 pagina
31 pagina
BRUNO MUNARI, Milano 1907-1998<br />
“…Il vivere moderno ci ha dato la musica in<br />
dischi, ora ci dà la pittura proiettata…”: così<br />
scriveva Munari in “Domus”, nel 1954, a<br />
proposito delle sue “Proiezioni dirette” esposte<br />
a Milano nell’ottobre dell’anno precedente,<br />
primi studi sul rapporto fra la luce e la materia,<br />
destinati a tradursi nelle opere con la luce<br />
polarizzata della seconda metà degli anni<br />
Cinquanta. (1)<br />
Tuttavia, ad oggi, pare alquanto sterile<br />
provare ad individuare, in uno degli artisti più<br />
importanti, sia dal punto di vista creativo<br />
che sociale, del Novecento italiano, una<br />
successione ed una dipendenza temporale fra<br />
i suoi cicli di lavori, essendo ognuno di questi<br />
strettamente legato all’altro, sia a quello che lo<br />
precede quanto a quello che lo segue.<br />
Più corretto allora cercare di focalizzare<br />
l’attenzione, nell’ambito di questo intervento,<br />
su come ed attraverso quali passaggi la luce<br />
sia diventata elemento importante della ricerca<br />
artistica di Munari, unendosi all’attenzione alla<br />
scienza in tutte le sue diramazioni, alla tecnica<br />
ed all’industria: aspetti destinati a sfociare<br />
in importanti collaborazioni fra l’artista<br />
e diverse aziende di design, case editrici,<br />
con il mondo della musica, del teatro e del<br />
cinema, oltrechè con il settore dell’educazione<br />
dell’infanzia, grazie al suo innovativo metodo<br />
di apprendimento basato sull’ interazione del<br />
gioco e dell’arte.<br />
In questa analisi è allora da considerare,<br />
innanzitutto, il peso giocato in Munari dal<br />
linguaggio futurista, per la contaminazione<br />
di tutte le arti, lo scardinamento e rifi uto<br />
delle forme naturalistiche e della precedente<br />
tradizione fi gurativa, l’esaltazione dei nuovi<br />
mezzi di comunicazione e tecnologici,<br />
l’attenzione all’esperienza plurisensoriale dello<br />
spettatore, la sperimentazione di materiali<br />
poveri, effi meri, trasparenti – il polimaterico,<br />
in primis.<br />
L’uso della luce è presente già nelle nelle<br />
“Macchine Inutili”, fra le prime, pionieristiche<br />
opere dell’arte cinetica degli anni Trenta,<br />
insieme a quelle di Pevsner e Gabo, Laszlo<br />
Moholy-Nagy, Vasarely e Nicholas Schöffer.<br />
L’attenzione nei confronti del ruolo della<br />
percezione visiva e della psicologia della<br />
Gestalt, il contatto e l’approfondimento delle<br />
ricerche della Bauhaus e della Scuola di Ulm<br />
di Max Bill, oltre all’adesione al Movimento<br />
<strong>Arte</strong> Concreta, approfondiscono i suoi studi<br />
sulla luce, confl uiti nella serie “Concavo-<br />
Convesso”: oggetti tridimensionali che,<br />
sospesi e sensibili agli spostamenti d’aria,<br />
venivano illuminati da una luce puntiforme<br />
fi ssa che proiettava sulla parete ombre e<br />
forme sempre diverse.<br />
Composizioni di luce, uso di materiali<br />
trasparenti e semitrasparenti, di colori<br />
vivaci oppure delicatissimi, di materie<br />
plastiche strappate bruciate graffi ate incise<br />
polverizzate, tessuti animali, vegetali e fi bre<br />
artifi ciali: queste le proiezioni di materia<br />
immediatamente precedenti, all’inizio<br />
degli anni Cinquanta, alle proiezioni a luce<br />
polarizzata. (2) Evidenti alcuni temi chiave<br />
destinati a confl uire nell’arte programmata,<br />
che Munari stesso fu tra i primi a capire e<br />
promuovere (3) : lo studio del movimento di luce<br />
e colore, l’analisi della comunicazione visiva e<br />
luminosa come fenomeno ottico e psicologico,<br />
l’uso della luce quale stimolatore del confronto<br />
fra rigore geometrico e dimensione eccentrica,<br />
fra caos e programma.<br />
<strong>Arte</strong> intesa come pura ricerca, che in Munari<br />
si traduce dal semplice – le “Sculture da<br />
viaggio” – al complesso – appunto, gli studi<br />
sulla luce polarizzata, destinati a sfociare nel<br />
fi lm del 1963 “I colori della luce”, della durata<br />
di cinque minuti, insieme a Marcello Piccardo:<br />
una sperimentazione incentrata sui colori puri<br />
che si ottengono dalla luce scomponendola<br />
mediante il prisma ed i fi ltri polaroid.<br />
Ma questa è un’altra storia: Munari, come
scrisse in una sua autobiografi a, è “Quello<br />
di…” (4) tante idee, tante opere, tanti racconti<br />
e parole ed infi niti progetti.<br />
Oggi viviamo la storia di Munari “Quello del<br />
Polariscopio”: possiamo farlo giocando, oppure<br />
rifl ettendoci su. A Munari sarebbero andate<br />
bene entrambe le cose.<br />
I. B.<br />
NOTE<br />
1) La mostra si intitolava “Prime proiezioni dirette”, Milano,<br />
Studio B24, ottobre 1953.<br />
2) Le prime proiezioni a luce polarizzata avvennero nel 1956<br />
a Milano, Galleria B24, Tokyo, New York, Stoccolma, Roma,<br />
Anversa, Zurigo ed Amsterdam. Nel 1961 furono proiettate<br />
al Teatro Ruzante a Padova.<br />
3) Milano, Negozio Olivetti, “<strong>Arte</strong> Programmata (arte<br />
cinetica, opera moltiplicate, opera aperta)”, organizzata da<br />
Bruno Munari e Giorgio Soavi, con testo critico di Umberto<br />
Eco che precisa l’importanza della ricerca cinetica e visuale.<br />
Partecipano: Giovanni Anceschi (Percorsi fl uidi orizzontali);<br />
Davide Boriani (Superfi cie magnetica); Gianni Colombo<br />
(Strutturazione fl uida); Gabriele De Vecchi (e.r.m.n.t. 1961);<br />
Enzo Mari (Opera n. 649); Bruno Munari (Nove sfere in<br />
colonna); Gruppo N (Rilievo ottico-dinamico, Visione<br />
dinamica, Interferenza geometrica, Bispazio Instabile) e<br />
Grazia Varisco (Ox9xX). Ampliata con il G R A V e Alviani, la<br />
stessa mostra passa a Venezia e a Roma nello stesso anno.<br />
4) Nel 1986, in occasione della mostra antologica<br />
organizzata a Palazzo Reale a Milano, Munari presentava<br />
una inedita auto-presentazione dove l’artista si raccontava<br />
in terza persona, introducendo ogni frase con “Quello di…”,<br />
ovvero: “Bruno Munari è quello di...”.<br />
pagina seguente<br />
Bruno Munari<br />
Polariscope<br />
anni Sessanta<br />
cm. 50 x 50 x 15<br />
Courtesy Angela Zucchetti, Erbusco (Brescia)<br />
33 pagina
35 pagina
BEN PATTERSON, Pittsburgh 1934<br />
Moto, corrente, fl usso inarrestabile di cose<br />
e corpi, uomini e luoghi, artisti ed opere<br />
nati alla fonte della contaminazione e<br />
dell’interdisciplinarietà, Fluxus vuole – nasce<br />
per – essere indefi nibile, non catalogabile,<br />
indescrivibile e di diffi cile storicizzazione.<br />
Fluxus esiste per farsi travolgere e venire<br />
travolto: dai suoi artisti, dal pubblico che<br />
deve abbandonarsi a – combattere – le sue<br />
forze creative ed espressive. Nel momento in<br />
cui Fluxus rischia di farsi defi nizione, testo<br />
incasellato e foto-ricordo di una storia, i suoi<br />
fi gli lottano per vivere nella confusione che<br />
tutto tracima con sé, passato presente futuro:<br />
così Emmett Williams afferma che Fluxus non<br />
è stato ancora inventato; Philip Corner sostiene<br />
che meno si sa, meglio è; e Ben Patterson<br />
osserva che se vi è un bel po’ di gente che dice<br />
di sapere di che cosa si tratta, ovviamente si<br />
sbaglia.<br />
Musicista, partecipa a Fluxus fi n dal primo<br />
Festival di Wiesbaden, nel 1962, diventando al<br />
contempo protagonista della scena musicale<br />
contemporanea più sperimentale; diversi i<br />
fl ussi e rifl ussi, nel corso dei decenni, dell’artista<br />
nel movimento fondato da Maciunas; costante,<br />
tuttavia, la sua passione per l’arte, anche dal<br />
punto di vista amministrativo, oltre che per la<br />
musica.<br />
Un cappello da cuoco e la scritta “Live Pink”:<br />
questa l’insegna che l’artista creava per<br />
presentare una delle sue “Cene Cromatiche”,<br />
destinate ad individuare in un colore il tema<br />
onnivoro della serata-Fluxus e il “motore<br />
immobile” delle azioni derivate. Quella Rosa<br />
avvenne in Italia, nel 1990, a San Gimignano, in<br />
provincia di Siena: Ben allestì un ristorante del<br />
posto con oggetti di svariata provenienza, nella<br />
sala stese dei fi li da bucato cui appese guanti<br />
e cappelli, mentre un po’ dappertutto lasciò<br />
impronte rosa; rosa anche il nome del vino<br />
servito, in nome di una dispotica onnipresenza<br />
cromatica fi nalizzata, naturalmente, alla<br />
provocazione ed alla reazione del pubblico. (1)<br />
Immediati i richiami alle serate futuriste, dove<br />
l’uso frequente di cibo e bevande colorate<br />
in modo insolito, dai sapori e dalle forme<br />
contrastanti, anche nauseanti, era fi nalizzato<br />
a minare alle fondamenta il comune concetto<br />
di gusto, l’abitudinaria separazione delle<br />
sfere sensoriali, attraverso la dissacrazione e<br />
l’attacco – fi sico, oltre che concettuale – del<br />
pubblico partecipante (2) . D’altra parte, la luce<br />
artifi ciale in ambienti, installazioni e percorsi è<br />
stata, dal futurismo in avanti, uno strumento<br />
fondamentale per acutizzare le esperienze<br />
degli spettatori, coinvolti e a volte “maltrattati”<br />
dall’artista, attraverso la provocazione<br />
sensoriale, il disorientamento, l’inganno e<br />
l’instabilità percettivi.<br />
Ma in “Live Pink” rientrano anche tematiche<br />
pop, in quanto l’insegna luminosa vuole<br />
essere il logo del ristorante, l’indicazione visiva<br />
della “Cena Rosa” agita dall’artista, e ricordi<br />
nouveaux realistes: basti pensare alle diverse<br />
cene di Daniel Spoerri, bloccate anch’esse in<br />
opere emblematiche – i “Tableaux Piege” del<br />
1972 – fi no al “Banchetto Funebre”, grande<br />
cena d’addio al Nouveau Réalisme, tenutosi<br />
a Milano nel novembre 1970, durante il quale<br />
ai vari membri del gruppo venivano servite<br />
pietanze ad hoc, in linea con il loro linguaggio<br />
creativo. (3)<br />
A dimostrazione che Fluxus è contaminazione,<br />
fusione, mescolamento, moto, fl usso e rifl usso<br />
di linguaggi ed esperienze, eco di temi e di<br />
rivoluzioni creative anche disparati: e che Ben<br />
Patterson, di quel connubio di arte-vita da<br />
cui entrò ed usci come in una danza, ne è un<br />
notevole rappresentante.<br />
I.B.
NOTE<br />
1) Le notizie sulle “Cene Cromatiche” di Patterson sono state<br />
tratte da www.dispariedispari.org.<br />
2) Ricordo la recente ed interessante esposizione, “Il futuro<br />
del futurismo”, a cura di G. Di Pietrantonio e M. C. Rodeschini,<br />
catalogo della mostra, GAMeC, Bergamo, 21 settembre<br />
2007-24 febbraio 2008, Milano, Electa 2007.<br />
3) Rimando alla mia scheda “L’Ultima Cena. Banchetto<br />
Funebre del Nouveau Réalisme”, in “Strappi alla Regola”,<br />
testi di I. Bignotti, catalogo della mostra, Galleria <strong>Colossi</strong><br />
<strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Brescia, 29 settembre - 27 novembre<br />
2007, Colorart 2007.<br />
Ben Patterson<br />
Live Pink<br />
1990<br />
plexiglas e neon<br />
cm. 85 x 71,5<br />
Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia<br />
37 pagina
39 pagina
Artisti & Percorsi<br />
Esperienze e confronti<br />
Carlo Bernardini<br />
Eros Bonamini<br />
Beppe Bonetti<br />
Bonomo Faita<br />
Giorgio Laveri<br />
Massimo Liotti<br />
Adolfo Lugli<br />
41 pagina
CARLO BERNARDINI, Viterbo 1966<br />
“Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce,<br />
spazi geometrici e tempo astronomico, è<br />
l’aspetto diverso del darsi dello SPAZIO-TEMPO<br />
o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi<br />
tra SPAZIO e TEMPO. Consideriamo la realtà<br />
come un continuo divenire di “fenomeni” che<br />
noi percepiamo nella variazione…”. (1)<br />
Milano, inizio anni Sessanta: così dichiaravano<br />
i componenti del Gruppo T, fra i principali<br />
esponenti dell’arte cinetica e programmata,<br />
sorto all’ombra delle esperienze spazialiste e<br />
legato, nella teoria, a temi e motivi di origine<br />
futurista. È sull’onda di tale corrente che<br />
s’avvia la ricerca di Carlo Bernardini, nato<br />
all’incirca negli anni in cui l’arte programmata<br />
diffondeva le proprie esperienze in tutta<br />
Europa, e da queste partito per elaborare una<br />
serie di indagini, sfociate nella progettazione<br />
e realizzazione di opere tese fra dimensione<br />
scultorea e livello installativo.<br />
Fibre ottiche secanti uno spazio dato,<br />
sottili e leggerissime, fi ssate alle pareti ed<br />
alla pavimentazione: questa l’installazione<br />
ambientale “Accumulatore di luce” che Carlo<br />
oggi presenta, risultato di una lunga rifl essione<br />
su quelle categorie di spazio e tempo, verità<br />
ed alterazione visiva, stasi e movimento,<br />
profondità e superfi cie che, proprio a partire<br />
dagli anni Sessanta, con le poetiche dei gruppi<br />
cinetici, le prime esperienze ambientali, le<br />
nuove opportunità offerte dalla scienza e dalla<br />
tecnologia, venivano analizzate in relazione<br />
al rapporto fra l’opera e lo spettatore. Penso<br />
soprattutto a Gianni Colombo, con le sue<br />
ricerche sullo spazio curvato dal tempo, sul<br />
tema del dislivello e del disorientamento<br />
percettivo, sulle “Superfi ci pulsanti”, sugli<br />
“Spazi elastici”, infi ne sui rapporti fra gli<br />
elementi architettonici e le sensazioni<br />
d’instabilità ed inganno visivo date dalla<br />
distorsione di angoli e dalla manomissione di<br />
equilibri.<br />
Scegliere se osservare o agire, misurare o<br />
incantarsi, davanti alle mute linee di luce che<br />
Carlo tira nello spazio, con metodica poesia,<br />
rigorosa costruzione carica di lirici sussurri.<br />
Alla base, il disegno, il calcolo: lo spazio<br />
costruito e defi nito, attraverso la progettazione<br />
dell’ambiente; l’analisi delle reazioni-relazioni<br />
fra pieni e vuoti, presenze ed assenze. La<br />
verifi ca è l’opera; l’opera ovvero le risposte<br />
del pubblico, ma anche del luogo già esistente<br />
ed “esposto” all’invasione delle linee luminose<br />
tracciate dall’artista.<br />
Questi i fondamenti della ricerca di Carlo, come<br />
dimostra anche il suo percorso biografi co:<br />
a partire dal saggio teorico sulla “Divisione<br />
dell’unità visiva” del 1997, dove le ragioni<br />
operative si focalizzano sullo sdoppiamento fra<br />
la condizione visiva primaria, esterna all’opera<br />
e la condizione visiva, plastica o strutturale ad<br />
essa interna. Lo confermano sia le esposizioni,<br />
personali e collettive alle quali partecipa ed è<br />
invitato, sia i premi vinti – per due volte nel<br />
2000 e nel 2005 il premio “Overseas Grantee”<br />
della Pollock Krasner Foundation di New<br />
York, nel 2002 il premio Targetti Art Light<br />
Collection “White Sculpture”. Lo segnalano le<br />
grandi installazioni ambientali esterne in fi bre<br />
ottiche e le sculture pubbliche permanenti in<br />
acciaio inox e fi bre ottiche realizzate in diverse<br />
città italiane. Una ricerca che si traduce<br />
anche nell’attività didattica: Carlo insegna<br />
Installazioni Multimediali a Brera.<br />
Fra l’analisi e la poesia, l’attenzione scientifi ca<br />
dell’artista e la libertà visiva concessa, anzi<br />
richiesta, al fruitore dell’opera, Bernardini<br />
sceglie la luce quale materializzazione della<br />
visione: “…ciò che nella realtà è incorporeo –<br />
così ha sottolineato – come un’ombra, oltre il<br />
confi ne delle apparenze può divenire virtuale o<br />
illusorio come un raggio rifl esso…”. (2)<br />
I.B.
NOTE<br />
1) Dalla dichiarazione di Anceschi, Boriani, Colombo, De<br />
Vecchi, Gruppo T, 1959, letta alla prima mostra del Gruppo<br />
Miriorama 1, Milano, Galleria Pater, gennaio 1960. Sul Gruppo<br />
T vedere la recente pubblicazione “Gli ambienti del Gruppo<br />
T. Le origini dell’arte interattiva”, a cura di M. Margozzi, con<br />
L. Meloni, F. Cardera, catalogo della mostra a Roma, Galleria<br />
Nazionale d’<strong>Arte</strong> Moderna, 14 dicembre 2005-21 maggio<br />
2006, Silvana Editoriale 2006.<br />
2) Diversi i testi teorici realizzati dall’artista: “Divisione<br />
dell’unità visiva”, Edizioni Stampa Alternativa, ottobre 1997;<br />
“Lo spazio permeabile”, Edizioni MUSIS, 2001; “La linea<br />
sperimentale della luce”, pubblicato nel catalogo del Master<br />
di Light Design, Brera, Milano, 2003-2004 e nel catalogo<br />
della mostra “Lucio Fontana e la sua eredità”, Edizioni Skirà<br />
2005; “La quarta direzione dello spazio”, insieme a Manuela<br />
Sobral, Edizioni Navona 42, settembre 2005.<br />
Carlo Bernardini<br />
Accumulatore di Luce<br />
2008<br />
Installazione ambientale in fi bre ottiche e acciaio inox<br />
cm 450 x 700 x 600<br />
43 pagina
45 pagina
EROS BONAMINI, Verona 1942<br />
“Cronografi e-Vanitas”: questo il titolo che<br />
Bonamini, da sempre rivolto all’analisi dello<br />
Spazio e del Tempo, categorie estetiche, ma<br />
ancor prima fattive, costitutive dell’opera, dà<br />
ai due lavori esposti. Il nome ne diventa, allora,<br />
chiave di lettura, indicandone al contempo la<br />
tecnica,il processo, il risultato ottenuto. (1)<br />
Se il concetto di “scrittura tracciata dal e nel<br />
tempo”, ribadisce la linea di ricerca seguita<br />
dall’artista a partire dai primi anni Settanta,<br />
attraverso una serie di sperimentazioni di<br />
materiali diversi, dall’intonaco al cemento,<br />
dall’inchiostro imbevuto da garze e carte<br />
assorbenti, il termine “Vanitas”, anch’esso<br />
aulico, ricercato come quello di “Cronografi a”,<br />
più che l’azione di verifi ca e di traccia<br />
lasciata dal fare dell’artista sul materiale,<br />
pare ricordare, appunto, la temporaneità e<br />
l’impossibilità, forse, del raggiungimento di un<br />
risultato defi nito e dato; la precarietà, dunque,<br />
della risposta cercata dal lavoro dell’artista e<br />
dall’analisi del fruitore.<br />
Il senso del luogo, infi ne, inteso come<br />
perimetro materiale dell’azione creativa, che<br />
era contenuto nelle serie delle opere con gli<br />
altri materiali (“Cronotopografi e”, le chiama<br />
Bonamini) in questi lavori dove interviene la<br />
luce si perde, evapora. (2)<br />
“Cronografi e-Vanitas”: dietro a queste due<br />
parole, o per meglio dire dentro, il peso<br />
giocato dal Tempo nell’espressione fi gurativa<br />
occidentale: penso soprattutto, ad un<br />
primo rimando ed incrociarsi di parole, alla<br />
meditazione sulla “Vanitas Vanitatum et<br />
Omnia Vanitas” che tanta parte ebbe a partire<br />
nella pittura occidentale seicentesca, con quei<br />
dipinti dove il riverbero di una luce colante di<br />
candela lanciava i suoi strali contro il vano<br />
rincorrere dell’uomo le cose terrene. Attorno,<br />
fondi bui e tinte fosche, profondità dense di<br />
velluti e notti da fi ne dei tempi rimarcavano il<br />
tema della futilità della vita, della transitorietà<br />
degli affanni e dei piaceri quotidiani.<br />
Salto cronologico inaudito: Bonamini affi da<br />
a metalli torturati dalla fi amma ossidrica<br />
il messaggio secolare, evidenzia a forza di<br />
lacerazioni precisamente calcolate, a furia<br />
di bruciature, segni, cicatrici – metafora<br />
dell’inutile affannarsi dell’artista sul “prodotto”<br />
creativo? – l’irreversibile legge del tempo che<br />
scorre ed azzera ogni cosa.<br />
Un tempo fl uido come metallo sciolto nelle<br />
fucine della rifl essione e del calcolo, riversato<br />
nei perimetri esatti del campo di lavoro<br />
dell’artista.<br />
Vanitas di luce gelida, immobile nella sua<br />
tonalità artifi ciale, e quindi perentoria, violenta,<br />
ineluttabile: il neon che dietro illumina il taglio,<br />
che di nascosto enfatizza il peso del trascorrere<br />
di ore minuti secondi, evidenzia, fi amma di<br />
candela dell’oggi, il rapido disciogliersi di tutte<br />
le cose, volti, pensieri, spazio e tempo.<br />
“…Il processo che adotto nelle mie opere, e<br />
quindi il materiale che elaboro, non ha valore in<br />
sé ma in quanto illustrativo di una equivalenza<br />
fra tempo e differenzialità. La scelta del materiale<br />
operativo cioè dipende dalla adeguatezza, dalla<br />
coincidenza fra materiale e tesi che si vuole<br />
dimostrare…”. (3)<br />
Così annotavo, un anno fa, riprendendo<br />
un’importante dichiarazione di Bonamini degli<br />
anni Settanta; di fronte a queste opere, oggi,<br />
essa si rivela ancora quanto mai pertinente, a<br />
dimostrazione di una coerenza del fare e del<br />
“cercare” che da sempre l’artista dimostra nel<br />
corso della sua produzione.<br />
Al fruitore il compito di rispondere, di scegliere,<br />
di “sentire” il messaggio contenuto nelll’opera,<br />
che solo una lunga, meditata visione della<br />
stessa può donargli.<br />
I.B.
NOTE<br />
1) L’artista è stato invitato a partecipare anche ad<br />
“<strong>Arte</strong>insegna 2”: vedere il catalogo della mostra, a cura di M.<br />
Bertoni, allestita al Castello Normanno di Aci Castello (CT),<br />
13 maggio-12 giugno 2005, Edizioni Edi.Bo., Catania 2005.<br />
2) Una puntuale analisi dell’opera di Bonamini è in “Eros<br />
Bonamini. Cronotopografi e 1974-1993”, testi di L. Caramel,<br />
A. Veca, E. Miccini, Verona, Adriano Parise Edizioni, 1993.<br />
pagina seguente a sinistra:<br />
Eros Bonamini<br />
Cronografi e-Vanitas<br />
2007<br />
neon, bruciatura a cannello su acciaio inox<br />
cm. 100 x 100<br />
Ulteriori indicazioni bibliografi che sono nella mia scheda<br />
sull’artista pubblicata in “CHIARI & geniali. 8 percorsi nell’arte<br />
contemporanea”, a cura di I. Bignotti e Daniele <strong>Colossi</strong>,<br />
catalogo della mostra, Chiari (Brescia), Villa Mazzotti, 10<br />
marzo-22 aprile 2007, Colorart 2007, pagg. 58-60.<br />
3) Eros Bonamini, dal catalogo della mostra “Una defi nizione<br />
di segno”, Verona, Galleria Ferrari 1978.<br />
pagina seguente a destra:<br />
Eros Bonamini<br />
Cronografi e-Vanitas<br />
2007<br />
neon, bruciatura a cannello su acciaio inox<br />
cm. 150 x 150<br />
47 pagina
49 pagina
BEPPE BONETTI, Rovato, Brescia 1951<br />
“La metarazionalità vuol dire:<br />
conoscere la regola ma romperla;<br />
vedere il mondo strabicamente;<br />
cercare la ragione nella non ragione;<br />
diffi dare dell’istinto ma anche della ragione.<br />
Non dire “è ragionevole” perché può<br />
Essere irragionevole.<br />
Non dire “abbasso la luna piena”.<br />
Non dire…non dire…e dire…e dire…” (1)<br />
È attraverso la penultima riga della poesiamanifesto<br />
della Metarazionalità, scritta di<br />
pugno dall’artista, che desidero avviare la<br />
lettura delle sue “Luci metarazionali” esposte<br />
in mostra. Metarazionalità, infatti, vuole<br />
anche dire: “non dire abbasso la luna piena”.<br />
Così Bonetti rifi uta, attraverso l’elegante<br />
citazione, da un punto di vista creativo e di<br />
scelta artistica, le cosiddette avanguardie della<br />
dissacrazione, del disordine, della ribellione, per<br />
usare una defi nizione di Calvesi: Dadaismo e<br />
soprattutto Futurismo che provocatoriamente,<br />
ricorda lo stesso artista, proclamava di<br />
uccidere quel chiaro di luna, simbolo, o meglio<br />
sintomo, di una malata Venezia Passatista (2) ,<br />
mentre guardava adorante alla moderna luce<br />
elettrica. Sinonimo e metafora di una radicale<br />
trasformazione dei linguaggi espressivi, la<br />
luce futurista sempre si presenta graffi ante,<br />
allucinata, violenta, frantumata nel coraggio<br />
di dichiarazioni urlate, di gestualità e forme<br />
portate all’eccesso.<br />
Diversamente s’irradia la luce metarazionale,<br />
sorta al polo opposto, dove l’artista si “schiera”:<br />
quella delle avanguardie progettuali, di Bauhaus<br />
e De Stijl, Costruttivismo e Suprematismo; da<br />
Mondrian a Malevich, da Van Doesburg fi no<br />
all’<strong>Arte</strong> Concreta di Dorfl es, Munari e Soldati.<br />
Metarazionalità: da qui parte, ma soltanto<br />
s’avvia, la ricerca di Beppe Bonetti, punto<br />
d’incrocio fra la visualizzazione di un pensiero<br />
matematico, raziocinante, e l’incontrovertibile<br />
presenza di una dimensione estetica, come<br />
sottolineava Munari, oltre vent’anni fa (3) .<br />
La luce metarazionale ribadisce tali<br />
osservazioni: lontana dagli schiamazzi e dalla<br />
provocazione, muta si delinea, e delimita due<br />
forme perfette, millenarie, fi losofi a e raziocinio<br />
insieme, calcolo e meditazione – il quadrato e<br />
il cerchio; ne esalta i perimetri, segnalandone i<br />
limiti, potenziandone l’impatto visivo.<br />
S’imbeve delle illuminazioni gestaltiche, dei<br />
lampi di genio della psicologia percettiva; e<br />
prima ancora dello sforzo suprematista di<br />
tradurre, attraverso il quadrato (o il cerchio, in<br />
questo caso) “…la prima forma di espressione<br />
della sensibilità non oggettiva…” (4) .<br />
Una luce meta-razionale, appunto, venuta<br />
dopo, quindi carica di, ricerche geometriche,<br />
progettuali, costruttive; e intanto sempre<br />
pronta a rivelare l’esistenza, pur nell’astrarre,<br />
del fenomeno naturale e del dato emotivo -<br />
l’affascinante presenza dell’errore umano.<br />
“Imporsi l’esattezza per non andare allo<br />
sbando…” (5) pare facciano eco alle parole<br />
dell’artista, oggi, queste due Luci di meta-fi sica<br />
metarazionalità.<br />
I.B.
NOTE<br />
1) La citazione appartiene al Manifesto redatto da Beppe<br />
Bonetti sulla Metarazionalità, pubblicato, insieme ad una<br />
selezionata antologia critica e ad una bibliografi a completa,<br />
in “Beppe Bonetti. Metarazionalità. Antologica 1968-<br />
2006”, testi di E. Bonessio di Terzet, G. Dorfl es, B. Munari<br />
et al., catalogo della mostra, Rovato, Chiesa storica di San<br />
Vincenzo, 28 ottobre-6 novembre 2006, Colorart 2006.<br />
2) Dal “Discorso futurista di Marinetti ai Veneziani”,<br />
all’interno del manifesto “Contro Venezia Passatista”, fi rmato<br />
da Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo il 27 aprile 1910. La<br />
divisione fra avanguardie dell’ordine e del disordine, del<br />
progetto e del non progetto, è nel pionieristico saggio di<br />
pagina seguente a sinistra<br />
Beppe Bonetti<br />
Luce metarazionale<br />
2008<br />
acrilico su tavola e luce al neon<br />
cm. 150 x 150<br />
Maurizio Calvesi “Le due avanguardie. Dal Futurismo alla Pop<br />
Art”, prima edizione Milano 1966.<br />
3) Bruno Munari, testo di presentazione a Beppe Bonetti,<br />
catalogo della mostra, Milano, Galleria Vismara, 1983.<br />
4) K. Malevich, “Il suprematismo come modello della non<br />
rappresentazione”, 1920, prima pubblicazione edizioni<br />
Bauhaus 1927, consultato in M. De Micheli, “Le avanguardie<br />
artistiche del Novecento”, Milano, Feltrinelli 1994.<br />
5) B. Bonetti, “Metarazionalità – sette anni in frammenti”,<br />
Udine, Campanotto Editore 2005.<br />
pagina seguente a destra<br />
Beppe Bonetti<br />
Luce metarazionale<br />
2008<br />
acrilico su tavola e luce al neon<br />
cm. 150 x 150<br />
51 pagina
53 pagina
BONOMO FAITA, Brescia 1955<br />
“Io non cerco, mi trovano – le immagini,<br />
intendo dire”: cito a memoria una scheggia del<br />
diario dell’artista (1) . Più corretto sarebbe dire<br />
che le immagini non lo trovano – lo assediano,<br />
sbucando da ogni lato egli si volti; ora sono<br />
squarci visivi contemporanei, ora fl ash di fi abe<br />
un poco sadiche, casette nel bosco trapiantate<br />
in città ideali, palloncini vaganti in cieli d’icona<br />
dorata e notti stellate-blu-elettriche che<br />
bucano i soffi tti.<br />
Divagazioni poetiche, trovate lampanti,<br />
confessioni ermetiche, dichiarazioni criptiche<br />
– le sue opere paiono far eco al Calvino<br />
narratore, al Queneau dei “Fiori Blu”; vivono<br />
delle contraddizioni e delle incongruità di cui<br />
sono fatti i sogni (e gli incubi); s’inerpicano<br />
e vagano nei sentieri di un’infanzia che si<br />
trasmuta in fi aba: un’infanzia che da personale<br />
vuol farsi collettiva, una fi aba che ora affonda<br />
nei tempi passati, ora si rivela attualissima.<br />
E se è vero che nelle fi abe di tutti i tempi ci sono<br />
il Buono e il Cattivo, il Bene e il Male, Bonomo<br />
sceglie di visualizzarli attraverso quei valzer<br />
formali di Pieno e Vuoto, Pesante e Leggero,<br />
Buio e Luce che spesso si contrappongono<br />
nelle sue opere.<br />
La luce, in particolar modo, è uno dei soggetti<br />
più acutamente trattati: ora si imbeve di echi<br />
di matrice narrativa e surrealista – sono fuochi<br />
che terrorizzano pupazzi di neve e nasi di<br />
Pinocchio, sono candele che colano su instabili<br />
barchette di carta; è la notte stellata che<br />
s’affaccia nel fondo d’un secchio e si specchia<br />
nel perimetro d’un lavandino; è la luce-colore<br />
che riempie campiture d’oro metafi sico. Ora si<br />
confronta con temi e motivi dichiaratamente<br />
pop – la luce si fa acida, netta, dichiarante<br />
il fatto, l’accaduto, il pensiero; diventa<br />
insegna, motore d’azione dello scardinamento<br />
semantico e del ribaltamento concettuale del<br />
soggetto indagato: la luce che Bonomo utilizza<br />
nelle due opere esposte.<br />
Una bandiera, una sedia. Il neon. Piccole<br />
trasformazioni: aggiungere la sesta punta alle<br />
stelle e giocare con geometrie aniconiche, di<br />
origine araba; avvolgere di tubi la sedia. Partire<br />
da materiali semplici, industriali, le lamiere,<br />
gli oggetti quotidiani. Provocare collisioni di<br />
senso. Illuminare concetti. Innescare circuiti<br />
linguistici. Carica del peso dell’icona pop, da<br />
Jasper Johns a Franco Angeli, la “Bandiera<br />
Elettrica” di Bonomo si fa manifesto di luce<br />
cruda, pronta a visualizzare questioni religiose<br />
e politiche. Memore delle coazioni a ripetere<br />
racchiuse nella serie dei “Disastri” di Warhol,<br />
dai “Car Crash” alla “Electric Chaire”, la “Sedia<br />
Elettrica” di Bonomo dichiara, fra i tubi di neon<br />
che l’avvolgono, la verità del suo scopo.<br />
Sono temi scottanti, icone lampanti,<br />
materializzazioni di pensieri sui quali l’artista<br />
da tempo lavora, immerso in una fucina di<br />
cose e di forme, di soggetti e parole: una<br />
ricerca che inizia negli anni Settanta, segnata<br />
da cicli di opere e da una serie di mostre ed<br />
esposizioni accuratamente scelte e seguite da<br />
critici quali Elena Pontiggia, Mauro Panzera,<br />
Roberto Vidali e Fausto Lorenzi. Attraversati i<br />
mari di anilina di Pino Pascali, le Piazze invase<br />
di palloncini di Aldo Mondino, scivolato fra le<br />
parole-ricamo di Alighiero & Boetti, l’artista<br />
saltella fra citazioni surrealiste, svicola in piazze<br />
metafi siche e libera il proprio “Fiato d’Artista”<br />
in città affastellate di luci soffuse e sospese.<br />
Ogni volta una storia: oggi è quella di una<br />
Sedia che il destino ha voluto crudele, e di<br />
una Bandiera che ancora bene non sa a chi<br />
appartenere e cosa rappresentare…<br />
I.B.<br />
NOTE<br />
1) “Bonomo Faita si racconta: schegge di diario”, pubblicato<br />
in “Bonomo Faita-PaolaPezzi Slittamenti”, a cura di F.<br />
Lorenzi, catalogo della mostra a Lumezzane, (Brescia) Torre<br />
Avogadro 2002.
pagina seguente<br />
Bonomo Faita<br />
Bandiera Elettrica<br />
inizio anni ‘90<br />
lamiera dipinta e luce al neon<br />
cm. 178 x 84 x 5 circa<br />
Bonomo Faita<br />
Sedia Elettrica<br />
2000<br />
Sedia di legno e luce al neon<br />
cm. 74 x 42 x 47<br />
55 pagina
57 pagina
GIORGIO LAVERI, Savona 1954<br />
Fondatore insieme a Patrick Moya, nel 1993,<br />
del Movimento Artistico Mediterraneo, Giorgio<br />
Laveri ha individuato nella ceramica il medium<br />
più congeniale per esprimere la propria<br />
poetica.<br />
Da oltre vent’anni l’artista ligure lavora<br />
al fuoco delle fucine di Albissola, luogo<br />
d’elezione dell’arte della ceramica dal<br />
Rinascimento alla prima metà del Novecento,<br />
dal secondo Futurismo agli anni Cinquanta:<br />
là sperimentavano opere e forme Munari e<br />
Fontana, Jorn, Matta, Corneille...<br />
Se è vero che “...c’è un’evidenza mediterranea<br />
nella storia dell’arte”, come dichiara il manifesto<br />
del M.A.M. , “…questa si rivela, più che<br />
altrove, attraverso l’asse geografi co Vallauris-<br />
Albissola”. (1)<br />
Luoghi invasi da una luce intensa, scaldati dal<br />
tepore soleggiato, carichi di colori forti, è stato<br />
sottolineato più volte dalla critica e dagli artisti<br />
del Movimento, dove il legame fra l’artista e la<br />
materia, fra l’artista e la tecnica si fa stretto,<br />
fondamentale.<br />
<strong>Arte</strong>, allora, e industria: nel senso dell’abilità<br />
del fare, del provare e ripetere, del costante<br />
perfezionamento di una tecnica millenaria.<br />
<strong>Arte</strong> e industria e luce: ora la luce naturale del<br />
Mediterraneo, ora la luce raffi nata, brillante,<br />
che le opere di Giorgio fanno interagire con<br />
dimensioni fuori-scala, forme seducenti e<br />
cangianti variazioni cromatiche.<br />
Dalla serie dei “Truka”, rossetti-monumenti<br />
carichi di estetica neo-pop, a quella delle<br />
penne stilografi che intere, appese o spezzate<br />
in coppe, raffi nate “Stylò” rubate al quotidiano<br />
e sovradimensionate quali fragili totem del<br />
desiderio, l’artista “…adatta, sfrangia, assembla,<br />
ingigantisce…sceglie da sempre un solo<br />
materiale – la sua arma vincente, la ceramica<br />
– che non può che aggiungere lucentezza ed<br />
una certa patina un po’ glamour…”. (2)<br />
Considerazioni pertinenti anche davanti<br />
all’opera esposta, che tuttavia richiede<br />
di allargare il campo d’indagine. Su uno<br />
schermo sottile di ceramica Bone China,<br />
retro-illuminato, compare un fotogramma di<br />
uno dei fi lm che hanno saputo trattare con<br />
maggiore poesia, delicatezza e incanto il tema<br />
dei mondi extra-terrestri: “E.T.” , personaggio<br />
nato in un altrove che nel nostro immaginario<br />
coincide con una notte muta di luce, se non<br />
fosse per quelle fi oche presenze di pianeti e<br />
galassie sconosciuti. Privata dell’illuminazione<br />
retrostante, l’opera si presenta come un<br />
fotogramma senza immagini: defi nita<br />
dall’artista “scultura variabile”, essa si pone<br />
su una linea di ricerca che Giorgio avvia fi n<br />
dagli anni Settanta, quando inizia ad indagare<br />
il tema cinematografi co. (3)<br />
Accogliamo, innanzitutto, i dichiarati legami<br />
dell’opera con l’estetica pop, carica del gusto<br />
per l’icona ed il logo di cui il fotogramma<br />
cinematografi co si fa veicolo per eccellenza;<br />
con la prassi d’ “acquisizione” e “prelievo”<br />
dal bacino iconografi co del<br />
quotidiano, fondamentale anche per<br />
la poetica del Nouveau Réalisme.<br />
A partire dagli anni Ottanta l’artista presenta<br />
una serie di lavori espressamente dedicati al<br />
mondo del cinema: “Cineceramica”, esposto<br />
per la prima volta alle isole Eolie in occasione<br />
dei festeggiamenti per gli ottant’anni della<br />
casa di produzione cinematografi ca Titanus;<br />
i “Fotogrammi in ceramica”, tratti dai grandi<br />
fi lms e presentati in svariate sedi, anche in<br />
occasione della premiazione dei vincitori della<br />
Biennale del Cinema di Venezia nel 1988, a<br />
Milano.<br />
Sempre alla fi ne del decennio si collocano le<br />
sperimentazioni di Ceramica-Luce-Movimento,<br />
provocatoriamente intitolate “Delitto in<br />
CineCeramica” – fra tutti il lavoro più vicino<br />
all’opera esposta in mostra, sottolinea l’artista<br />
– e presentate in un evento itinerante in<br />
molte città italiane, nella forma di pièce<br />
teatrale, dove attori e ceramica interagiscono
sulla scena con una luminosa coreografi a.<br />
Echeggiano richiami alle avanguardie storiche,<br />
ora al Futurismo, per la liaison fra luce, spazio,<br />
tempo, tecnologia, ora alla poetica del ready<br />
made dadaista – dove la trasposizione di un<br />
oggetto lo consacra ad opera d’arte. D’altra<br />
parte, la scelta del soggetto di quest’opera<br />
si connette all’attenzione ed allo studio che<br />
Giorgio ha riservato ai protagonisti italiani del<br />
cinema di Hollywood: fra i quali, appunto, il<br />
padre di E.T., Carlo Rambaldi.<br />
Ma, al di là dell’analisi e dei riferimenti storicoartistici,<br />
è la magia delle lievi immagini,<br />
opalescenti e cariche di fascino, ad emergere<br />
nell’opera che oggi Giorgio ci presenta, frutto<br />
di un intenso confronto dell’artista con i guizzi<br />
della luce ed i capricci della materia.<br />
I.B.<br />
NOTE<br />
1) Notizie sul Movimento Artistico Mediterraneo si trovano<br />
in N. Jeannot, in “La via dell’arte – attraversamento del<br />
confi ne”, a cura di A.M. Rita Matano, N. D. Angerame, G.<br />
Bonomi, CCP (Centro Culturale Paraxo), catalogo della<br />
manifestazione, Alassio (Savona) 2006; rimando inoltre, per<br />
ulteriori indicazioni bibliografi che alle mie schede pubblicate<br />
in “CHIARI & geniali. 8 percorsi nell’arte contemporanea”, a<br />
cura di I. Bignotti e D. <strong>Colossi</strong>, catalogo della mostra, Chiari<br />
(Brescia), Villa Mazzotti, 10 marzo-22 aprile 2007, Colorart<br />
2007, pagg. 112-115, 120-121, 124-125.<br />
2) R. Zelatore, “Truka-Giorgio Laveri”, catalogo della mostra,<br />
Galleria Valente <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Milano, Miart, maggio<br />
2004.<br />
3) Da ricordare gli studi sulla regia televisiva, la fondazione<br />
del gruppo teatrale Rosacroce, ed una serie di sue produzioni<br />
cinematografi che: una ricca bio-bibliografi a è in “Giorgio<br />
Laveri-Ceramista”, a cura di R. Zelatore, Genova 2004.<br />
Giorgio Laveri<br />
Cinéma et Ceramique-E.T.: Scultura Variabile<br />
2008<br />
ceramica Bone China, neon, plexiglas, fotogramma<br />
cm. 28 x 40, con plexiglas cm. 50 x 70<br />
59 pagina
MASSIMO LIOTTI, Roma 1965<br />
La ricerca artistica di Massimo Liotti è una<br />
sorta di ritorno alla spiritualità attraverso<br />
l’utilizzo del linguaggio moderno. Un territorio<br />
in pratica inesplorato, un’osservazione di quella<br />
sacralità che in epoca arcaica era un tutt’uno<br />
con la vita dell’uomo, in un tempo in cui ogni<br />
fenomeno presente in natura trovava una sua<br />
logica giustifi cazione nel trascendente.<br />
L’artista sembra costatare come il mondo<br />
debba riscattare quell’aspetto antico della<br />
cultura, come l’uomo possa svegliarsi da un<br />
lungo letargo ed accorgersi che il mondo non<br />
fi nisce con il culto dell’individuo, ma è un<br />
territorio più ampio e affascinante. Ogni cosa<br />
presente su questa terra è in relazione ad altro,<br />
persone, cose, tempo; il rifl esso dell’uomo si fa<br />
sentire in ogni piccolo particolare, per questo<br />
motivo è opportuno andare più a fondo,<br />
indagare il mondo da vicino con l’aiuto dalle<br />
scritture antiche. Con questo metodo Liotti<br />
legge la realtà che lo circonda nelle sue sottili<br />
gradazioni, andando alla radice di più culture<br />
e trovando nelle testimonianze provenienti dal<br />
passato dei punti di contatto, delle vicinanze<br />
con il presente.<br />
Il percorso di ricerca spirituale dell’artista<br />
parte dalle religioni e fi losofi e orientali<br />
approdando a una sorprendente riscoperta<br />
del Cristianesimo e dei suoi antichi simboli e in<br />
genere della ricchissima tradizione occidentale,<br />
che proprio per la sua vicinanza è a noi più<br />
nascosta. La luce è un linguaggio comune a<br />
quasi tutti i culti, la mancanza di connotazioni<br />
visibili ed il conseguente mistero generato, la<br />
rende il segno trascendentale per eccellenza.<br />
Parlando di spiritualità diventerebbe diffi cile<br />
fare riferimento ad altri elementi, anche in<br />
scultura sarebbe complicato esprimere certi<br />
concetti utilizzando materiali dotati di una<br />
maggiore fi sicità. Pertanto la luce diventa un<br />
elemento essenziale nel lavoro di Liotti. La<br />
utilizza con gran fascino in un’installazione<br />
a Castel Sangallo di Nettuno, eseguita in<br />
collaborazione con Silvia Garau, dove invita il<br />
visitatore all’interno di uno spazio sensoriale<br />
fatto d’acqua e luce.<br />
Nel suo ultimo lavoro, realizzato in occasione<br />
di questa mostra, la luce è “regale” e “divina”<br />
al tempo stesso.<br />
L’artista s’interroga sull’etimologia dei termini<br />
matrimonio (“mater”) e patrimonio (“pater”),<br />
femminile e maschile, la Regina e il Re, nel<br />
primo caso la parola è legata alla nascita di<br />
un fi glio, nel secondo alla sua ereditarietà. Da<br />
qui la rifl essione di Liotti sulla creazione, che<br />
nei trattati antichi implicava sempre i quattro<br />
elementi, due femminili (acqua e terra) e<br />
due maschili (aria e fuoco), più un quinto: lo<br />
Spirito Divino. Quest’ultimo elemento è il più<br />
importante, senza il quale non sarebbe potuta<br />
nascere la vita, intesa quindi come una “Danza<br />
degli elementi (Matrimonium)”.<br />
«Ebbene, quando viene mossa, la materia<br />
si scalda e diventa fuoco e acqua, il primo<br />
vigoroso e forte, la seconda invece passiva.<br />
E il fuoco, essendo opposto all’acqua, seccò<br />
una parte di acqua, e nacque così la terra, che<br />
fl uttua sull’acqua. Quest’ultima poi, continuò<br />
a lungo a disseccarsi tutt’intorno, e nacque un<br />
vapore dalle tre componenti, ossia dall’acqua,<br />
dalla terra e dal fuoco, e così comparve l’aria.<br />
Questi elementi si unirono tra loro secondo<br />
un rapporto armonico, il caldo con il freddo, il<br />
secco con l’umido, e dal loro accordo nacque<br />
un soffi o e una semenza analoga al soffi o<br />
che avviluppa il tutto» (“Corpus Hermeticum”,<br />
estratto XIV di Giovanni Stobeo, V secolo<br />
d.C.).<br />
L. P.
Massimo Liotti<br />
Matrimonium<br />
2008<br />
pvc, plexiglas, ferro, stagno, rame, piombo, resina, neon, pigmenti<br />
cm. 250 x 350 x 120<br />
63 pagina
65 pagina
ADOLFO LUGLI, San Prospero, Modena 1954<br />
Tre anni di <strong>Arte</strong>insegna. Tre anni di rifl essioni e<br />
progetti, contatti, percorsi, parole. (1)<br />
Tre anni di luce, arte, industria che Adolfo<br />
Lugli segue e coordina, avendo scelto<br />
consapevolmente, dopo gli studi all’Accademia<br />
di Belle Arti di Bologna, di appartenere<br />
“…a quella specie non codifi cata di artisti<br />
che sviluppano la propria poetica evitando<br />
accuratamente l’appartenenza a correnti<br />
che potrebbero richiudere l’operatività<br />
della loro ricerca in una circolarità d’intenti<br />
defi niti e limitati all’interrogazione dei suoi<br />
presupposti”. (2)<br />
È il confronto dialettico fra artisti, critici,<br />
tecnici e studiosi afferenti a campi diversi, è lo<br />
scambio costante d’idee e modalità espressive<br />
– dalla pittura alla scultura alle installazioni<br />
ambientali, realizzate a loro volta con materiali<br />
disparati, dai metalli alle ceramiche, dal video<br />
alla fotografi a, fi no alle ibridazioni con oggetti<br />
e tecnologie prodotti da aziende leader in Italia<br />
– che per Adolfo rappresentano e prima ancora<br />
“fanno”, come spesso mi ha ripetuto in queste<br />
settimane di lavoro, l’opera contemporanea. Si<br />
fa dunque interprete di un modo di intendere<br />
l’arte come processo, come cortocircuito<br />
proliferante di segni e signifi cati scaturiti<br />
dalla liaison di sistemi culturali e produttivi:<br />
da qui anche il concetto di <strong>Arte</strong>insegna, e lo<br />
spirito che anima le sue quattro opere esposte<br />
in mostra. Dove la presenza della luce al<br />
neon testimonia l’importanza delle aziende<br />
produttrici e delle moderne tecnologie nella<br />
realizzazione del progetto artistico; d’altra<br />
parte, luce e industria confl uiscono in un<br />
concetto di arte che Lugli intende sia come<br />
strumento d’espressione e di comunicazione<br />
internazionale sia quale progetto chiamato a<br />
stringere insieme l’aspetto produttivo e quello<br />
contemplativo.<br />
L’arte è primariamente medium educativo<br />
e formativo nei confronti, innanzitutto,<br />
proprio degli artisti e dei soggetti coinvolti,<br />
poi del pubblico e della società cui l’arte<br />
spontaneamente si rivolge.<br />
Da questi concetti di base, si comprende<br />
il lavoro di Adolfo, spesso realizzato con<br />
e all’interno di fabbriche ed industrie,<br />
luoghi espositivi d’elezione e di educazione<br />
all’estetico, attraverso il tecnico (3) ; ma anche<br />
nelle città e nelle piazze, spazi pubblici dove<br />
l’opera diventa collettiva, arricchendosi del<br />
signifi cato e del rapporto con la cittadinanza<br />
che la fa propria. (4)<br />
<strong>Arte</strong> infi ne, specifi camente, come analisi,<br />
rifl essione e proposta di espressioni artistiche<br />
chiamate a confrontarsi ora con il campo dei<br />
mass media, ora con la storia – ovvero con il<br />
passato delle forme e dei simboli latori di senso<br />
e di messaggi, dai menhir alle colonne.<br />
Rifl essioni necessarie per introdurre le quattro<br />
opere realizzate da Lugli: così, se “Energia<br />
liquida luminosa”, posta all’ingresso esterno<br />
di Villa Mazzotti, si presenta quale totem<br />
arcaico squarciato da una lingua di neon che,<br />
incuneandosi fra le ferite naturali della pietra, si<br />
fa simbolo del presente, della contemporaneità,<br />
la più piccola “Energia liquida luminosa dei<br />
segni”, esposta nella sala dedicata all’artista,<br />
amplia il confronto accogliendo sui percorsi<br />
luminosi stampe industriali.<br />
“Ordine e disordine dei segni”, colonna di<br />
quattro metri solcata da neon luminosi che<br />
ne esaltano la verticalità, instaura invece<br />
un dialogo aperto con la storia, ribadendo<br />
la funzione comunicativa e semantica di cui<br />
erano – e sono – ammantate architetture e<br />
forme costruttive e strutturali: quali la colonna,<br />
appunto.<br />
Chiamata a racchiudere tali rifl essioni, a<br />
stringerne i nodi e insieme a scioglierli tutti<br />
verso nuove ibridazioni semantiche, è la grande<br />
scultura-installazione “Insegna luminosa per un<br />
archivio di segni, origine di nuove connessioni<br />
di senso”. Esposta alla prima mostra modenese<br />
di <strong>Arte</strong>insegna, l’opera pare oggi voler
ifl ettere, insieme al suo artefi ce, sugli obiettivi<br />
raggiunti ed i percorsi ancora da compiere nel<br />
viaggio dell’arte associata al medium della luce<br />
ed all’appoggio illuminato delle aziende AIFIL.<br />
pag. 70<br />
Adolfo Lugli<br />
Energia liquida luminosa<br />
2008<br />
pietra, neon e plexiglas<br />
cm. 180 x 100 x 100 circa<br />
I.B.<br />
pag. 71 e 73 in alto<br />
Adolfo Lugli<br />
Insegna luminosa per un archivio di segni,<br />
origine di nuove connessioni di senso<br />
2004<br />
plexiglas, stampa su plexiglas e neon, telaio<br />
cm. 300 x 250, plexiglas cm. 145 x 212 x 16<br />
NOTE<br />
1) “<strong>Arte</strong>insegna”, a cura di M. Bertoni, ideazione e<br />
coordinamento del progetto di Adolfo Lugli con le aziende<br />
AIFIL, catalogo della mostra a Modena, Galleria D406,<br />
22 maggio-30 giugno 2004, Edizioni APM, Carpi (MO)<br />
2004; “<strong>Arte</strong>insegna 2”, a cura di M. Bertoni, ideazione e<br />
coordinamento del progetto di Adolfo Lugli con le aziende<br />
AIFIL, catalogo della mostra, Castello Normanno di Aci<br />
Castello (CT), 13 maggio-12 giugno 2005, Edizioni Edi.Bo.,<br />
Catania.<br />
2) Dalla conversazione con l’artista, gennaio 2008.<br />
3) Per una bibliografi a ed un’analisi completa del lavoro di<br />
Lugli, rimando alla monografi a “Adolfo Lugli 1968-2002.<br />
Sentiero del tempo”, testi di M. Bertoni, J. Draganovic, P.<br />
Bellasi, catalogo della mostra, Sala dei Cervi, Castello dei Pio,<br />
Carpi (MO), novembre 2002, Edizioni Nuovagrafi ca, Carpi<br />
(MO), 2002.<br />
4) Un progetto di grande respiro, caratterizzato<br />
dall’esposizione di opere realizzate da Lugli con pietra e neon<br />
è stato “Città ideale”, testo critico di L. Panaro, catalogo della<br />
mostra, Piazza del Palazzo della Rocca di Firenzuola, Edizioni<br />
Nuovagrafi ca, Carpi (MO), 2005.<br />
pag. 71 e 72<br />
Adolfo Lugli<br />
Ordine e disordine dei segni<br />
2008<br />
neon, scatola metallica<br />
cm. 400 x 30<br />
pag. 71 e 73 in basso<br />
Adolfo Lugli<br />
Energia liquida luminosa dei segni<br />
2008<br />
pietra, neon e stampe industriali<br />
cm. 50 x 40 x 40 circa<br />
67 pagina
69 pagina
71 pagina
Artisti & Percorsi<br />
I nuovi linguaggi<br />
Laura Ambrosi<br />
C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />
Cuoghi Corsello<br />
Marco De Luca<br />
Francesco De Molfetta<br />
Barbara DePonti<br />
Christian Eisenberger<br />
Giorgio Lupattelli<br />
Vincenzo Marsiglia<br />
Marco Samorè<br />
73 pagina
LAURA AMBROSI, Soave, Verona 1959<br />
Con una spiccata propensione per le<br />
installazioni in metacrilato, Laura Ambrosi<br />
realizza oggetti tra arte e design. Si tratta<br />
di strutture leggere e trasparenti che si<br />
rapportano con l’ambiente circostante, nate<br />
per essere collocate in luoghi alternativi, fuori<br />
dai tradizionali circuiti artistici.<br />
Il fi lo conduttore delle sue opere è in un primo<br />
momento legato al tema dell’abito, un pretesto<br />
utilizzato dall’artista per raccontarsi, a volte la<br />
narrazione è da ricostruirsi anche mediante<br />
indizi che riconducono alla persona. Mostrare<br />
il contenuto della sua borsa diventa un modo<br />
per svelare se stessa, così come esibire in video<br />
parti del corpo (“La borsa di Winnie”, 2001).<br />
La ricerca di Laura Ambrosi sembra orientata<br />
alla riscoperta della sua natura, a volte<br />
grazie a ricordi che provengono dall’infanzia,<br />
più che altro aspetti ludici che riaffi orano<br />
dalla memoria, giochi, passatempi, come<br />
ad esempio un’altalena (“Vieni è tardi!”),<br />
ricostruita sul modello di quella che usava da<br />
bambina. Le bolle di sapone sembrano essere<br />
rimaste particolarmente in mente all’artista,<br />
si materializzano nelle sue opere in forma<br />
reale (“Soap’s opera”, 2000-2006), oppure<br />
attraverso una scultura luminosa che ne<br />
riproduce l’apposito contenitore ingrandito<br />
(“Bubbles”, 2006). Laura Ambrosi vive nel<br />
presente, è orientata a proiettarsi nel futuro,<br />
e ciononostante si aggrappa ai ricordi, in altre<br />
parole al passato. Probabilmente non si tratta<br />
di una contraddizione, ma è semplicemente<br />
un tentativo, fra l’altro riuscito, di sfuggire al<br />
tempo.<br />
Quando non sono i ricordi l’espediente<br />
per comunicare nuove informazioni<br />
autobiografi che, vengono in aiuto gli<br />
incontri accidentali che consolidano idee<br />
precedentemente elaborate dall’artista ma<br />
non ancora realizzate. Una lettera mai spedita<br />
trovata accartocciata in una strada di Trieste,<br />
spinge Laura Ambrosi a concretizzare un lavoro<br />
lasciato in sospeso. Dopo aver raccolto altre<br />
lettere - scritte da persone sofferenti per amori<br />
non ricambiati e problemi di salute, lettere<br />
che testimoniano la mancanza di coraggio<br />
di chi le ha scritte e poi abbandonate senza<br />
spedirle al destinatario – decide di riprodurle<br />
in metacrilato installandole nell’ambiente<br />
(“Lettere dal Mediterraneo”, 2007).<br />
Anche i sogni si sommano alla serie d’indizi<br />
che le opere di Ambrosi forniscono sulla<br />
sua personalità. L’installazione “Agoni-a”,<br />
presentata assieme alla già citata altalena<br />
in mostra qui a Chiari, trae ispirazione<br />
dall’elaborazione di un sogno: «il fi lo rappresenta<br />
il mio percorso, la mia strada; l’ago non è da<br />
considerarsi un elemento negativo… certo<br />
può pungere, mi può far male, ma può anche<br />
essere uno stimolo che mi fa aprire gli occhi,<br />
mi fa capire meglio ciò che mi sta intorno; il<br />
bianco e la trasparenza, la cruna degli aghi…<br />
queste fessure nelle quali mi posso infi lare, ci<br />
posso entrare e nascondermi, confondendomi<br />
con la trasparenza… sono lì, davanti alla mia<br />
vita…».<br />
Dai grandi aghi, carichi di “agonia” ma gioiosi<br />
di luce, Ambrosi passa ai “Gomitoli” (2004),<br />
all’interno dei quali scorre il colore. Dietro ad<br />
ogni lavoro c’è un “disegno del quotidiano”,<br />
percorso dall’artista con inquietudine,<br />
accettando i dolori, ma superandoli grazie alle<br />
forme ludiche, le cromie accese, la luce che<br />
brilla.<br />
L.P.
Laura Ambrosi<br />
Vieni é tardi!<br />
2007<br />
installazione: metacrilicato, neon, acciaio<br />
cm. 220 x 45 x 25<br />
pagine seguenti:<br />
Laura Ambrosi<br />
Agoni-a<br />
2005<br />
installazione: metacrilato, neon,<br />
trasformatore F.a.r.t.<br />
dimensioni:<br />
aghi in metacrilato trasparente,<br />
cm. 180 x diametro cm. 3 e cm. 100<br />
x diametro cm. 2,5;<br />
pezza in metacrilato bianco satinato cm.<br />
120 x 150<br />
75 pagina
77 pagina
C. CULLINAN+J. RICHARDS (ART-LAB)<br />
ART-LAB (Charlotte Cullinan + Jeanine Richards)<br />
è un sodalizio artistico nato a Londra nel 1997<br />
che oggi può vantare numerose esposizioni<br />
di livello internazionale. Le due artiste inglesi<br />
sono interessate a stabilire dei collegamenti tra<br />
le persone, le opere e la storia, esprimendosi<br />
con una gran varietà di linguaggi: installazioni,<br />
pittura, progetti, fotografi e e scritte luminose.<br />
Le loro sculture, costruite usando legno,<br />
plastica, specchi e tele, offrono un appoggio<br />
fi sico per mostrare un fi lm o appendere un<br />
dipinto, un disegno, un neon. Come dichiarano<br />
le stesse artiste, la loro ricerca consiste nel<br />
mettere a disposizione un’arena, dove forse<br />
potrà accadere qualcosa, ma anche no. Si<br />
tratta sempre d’installazioni su scala umana<br />
dove la struttura di sostegno diventa l’oggetto<br />
d’arte stesso.<br />
Il modo di lavorare è particolarmente vicino al<br />
rapporto arte e industria che in questa sede si<br />
cerca di “chiarire”. Per Cullinan+Richards sono<br />
molto importanti le relazioni, l’esatto contrario<br />
dell’isolamento che spesso contraddistingue la<br />
vita di un artista. Un approccio diverso, basato<br />
su contatti e rapporti esterni al proprio mondo,<br />
così come accade nelle realtà industriali dove<br />
la comunicazione è ormai riconosciuta come<br />
risorsa fondamentale, non solo da un punto<br />
di vista economico. Un modello concettuale<br />
interessante di cui da qualche tempo si discute<br />
senza mai approdare a risultati condivisi dal<br />
sistema dell’arte. Il programma che ART-LAB<br />
sostiene con una ricerca così orientata, porta<br />
il mondo artistico verso nuovi traguardi, la<br />
costruzione di una via di comunicazione<br />
fresca, nata per connettere vari aspetti della<br />
ricerca creativa.<br />
Lo spazio del cinema è un luogo particolarmente<br />
adatto alla fi losofi a di Cullinan+Richards,<br />
molto meno lo è quello museale. La fruizione<br />
cinematografi ca è per le artiste una modalità<br />
maggiormente aperta alle interpretazioni<br />
di quanto lo sia l’esposizione di opere in un<br />
museo. La loro idea di cinema è spaziale e<br />
tridimensionale più che legata alla proiezione<br />
d’immagini, il loro interesse è orientato allo<br />
spazio utilizzabile ed alla possibilità d’interagire<br />
con esso in maniera libera da imposizioni e<br />
pregiudizi.<br />
In questa occasione le artiste britanniche<br />
presentano l’installazione al neon “AEIOU”.<br />
Cinque vocali misteriose utilizzate da<br />
Federico III d’Asburgo per contrassegnare<br />
edifi ci e oggetti nati sotto il suo regno.<br />
Particolare era infatti la sua inclinazione per<br />
le formulazioni legate al mito. Il signifi cato<br />
dell’acronimo non fu mai spiegato, ma prima<br />
della morte dell’imperatore fu data questa<br />
interpretazione: “Alles Erdreich Ist Österreich<br />
Untertan”, ovvero “L’intero mondo è soggetto<br />
all’Austria”. La defi nizione è ritenuta discutibile,<br />
anche se, in ogni caso, le altre avanzate<br />
sono tutte riconducibili alla superiorità del<br />
grande impero degli Asburgo. “AEIOU” può<br />
anche rappresentare la traslitterazione in<br />
latino o tedesco del Tetragramma biblico<br />
che fa riferimento al nome con il quale Dio<br />
è più frequentemente nominato nell’Antico<br />
Testamento. Sempre quindi alludendo al<br />
diritto divino della casata sui territori del Sacro<br />
Romano Impero e forse dell’intero mondo.<br />
L.P.
C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />
AEIOU<br />
2006<br />
installazione neon<br />
cm. 55 x 30<br />
Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia<br />
79 pagina
81 pagina
CUOGHI CORSELLO<br />
Monica Cuoghi, Sermide, Mantova 1965<br />
Claudio Corsello, Bologna 1964<br />
Cuoghi Corsello hanno occupato la loro prima<br />
fabbrica l’11-11-1994. Si trovava al numero<br />
civico n°11 e all’uscita 11 bis della tangenziale.<br />
Per 11 anni hanno preso possesso di fabbricati<br />
industriali abbandonati in giro per Bologna. La<br />
magia dei numeri è all’ordine del giorno per<br />
questi artisti.<br />
Oggi i tempi sono cambiati e così anche la loro<br />
vita. Ora è la città il territorio d’azione, lo spazio<br />
da “occupare” con il benestare dei proprietari,<br />
così come d’altronde è sempre accaduto.<br />
Paradossalmente, infatti, la conquista dei vari<br />
territori è sempre avvenuta pacifi camente,<br />
trovando il consenso di chi quelle fabbriche<br />
le aveva dismesse, scoprendo nell’avvento dei<br />
due artisti una risorsa più che un disturbo. Al<br />
posto di spaccio e violenza, che da sempre<br />
abita questi luoghi in disuso, Cuoghi Corsello<br />
hanno portato la loro arte, quella che li unisce<br />
fi n dai tempi dell’Accademia.<br />
La prima fabbrica occupata è stata il “Giardino<br />
dei Bucintori”, gli ex Magazzini Generali<br />
Raccordati della Banca Del Monte, lungo la<br />
ferrovia di Bologna, nei quali hanno vissuto<br />
dal 1994 al 1996. Senza acqua e privi dei<br />
normali comfort, gli artisti hanno così iniziato<br />
il loro particolare stile di vita e d’arte. Il lavoro<br />
artistico diventa il ripristino di questi luoghi<br />
abbandonati, donandogli vitalità, riempiendoli<br />
di nuove energie e personaggi di fantasia.<br />
Le fabbriche non solo diventano l’abitazione<br />
e lo studio di Cuoghi Corsello, ma anche un<br />
museo delle loro opere, piuttosto che luogo<br />
d’incontro di giovani creativi d’ogni estrazione<br />
e provenienza.<br />
Il 1996 è l’anno del primo trasloco, dopo un<br />
breve periodo trascorso in un garage, i due<br />
artisti si trasferiscono fi no al 2001 nell’ex<br />
fabbrica di materassi Silma, da loro chiamata<br />
“Cime tempestose”. L’arredo improvvisato della<br />
nuova casa diventa una sorta d’installazione,<br />
non si distingue cosa è arte e cosa è vita.<br />
Poi arriva il momento della “Fiat”, l’ex<br />
concessionaria, forse l’occupazione più<br />
memorabile (2001-2005). Una superfi cie<br />
vastissima concepita come opera unica, con<br />
grandi installazioni ambientali e animata dalla<br />
presenza stessa degli artisti, dal loro cantare<br />
tutte le notti o dal percorrere con amore questi<br />
grandi spazi semi vuoti, amandoli in tutti i<br />
particolari. Il più esteso atelier mai visto, con<br />
una stanza per la pittura, una per la musica,<br />
per non parlare della sala conferenze.<br />
La pluralità linguistica da sempre li<br />
caratterizza: attività di writer, performance,<br />
video, animazioni, suoni, sculture, fotografi e<br />
e light box. Quest’ultimi, realizzati negli exspazi<br />
industriali occupati, mantengono vivi i<br />
personaggi da loro creati sui muri delle città,<br />
come “Pea Brain”, “CaneK8”, “Petronill”a,<br />
“Bello”, “Cocaina”, “Kit”, “Schifi o” e “Suf.” Le<br />
loro sculture di luce hanno la particolarità di<br />
cambiare colore illuminando suggestivamente<br />
una grande stanza, oppure, come in questo<br />
caso, di ipnotizzare il visitatore grazie<br />
l’accensione e lo spegnimento degli occhi del<br />
personaggio rappresentato.<br />
La grande sensibilità che contraddistingue<br />
Cuoghi Corsello gli permette di far risaltare<br />
in termini emozionali i più piccoli dettagli<br />
che percepiscono dalle esperienze quotidiane.<br />
Il luogo, la vita e le opere di Cuoghi Corsello<br />
sono una cosa sola, come i loro cognomi, privi<br />
della «e» di congiunzione.<br />
L.P.
Cuoghi Corsello<br />
Suf<br />
2008<br />
light box<br />
cm. 93 x 130 x 15,5<br />
83 pagina
85 pagina
MARCO DE LUCA, Torino, 1964<br />
La ricerca artistica di Marco De Luca indaga il<br />
rapporto tra l’individuo e l’ambiente, in termini<br />
sia mentali, che fi sici o sociali, toccando i<br />
temi del desiderio, del gioco, della memoria<br />
personale e collettiva. Si esprime con la<br />
scultura e l’installazione, il video, il disegno e<br />
la pittura.<br />
«Parte della mia ricerca» scrive De Luca, «è<br />
rivolta alla progettazione di oggetti e ambienti<br />
che interrogano la sfera del comportamento.<br />
Mi interessa rifl ettere sul rapporto di reciproco<br />
condizionamento – e quindi di adattamento e<br />
trasformazione - che si stabilisce, attraverso<br />
l’uso, tra un oggetto, un ambiente, un luogo e<br />
la persona che vi si relaziona».<br />
“Sistemi di adattamento”, titolo di un suo ciclo<br />
di lavori avviato nel 1999, sintetizza molto bene<br />
la fi losofi a che guida queste opere, intese come<br />
dispositivi destinati a sovvertire l’accezione<br />
funzionale e normata di “adatto” attraverso<br />
l’adattamento al piacere, alla condivisione, al<br />
gesto “liberato”. Sculture dai rigorosi volumi<br />
geometrici quando chiuse, i “Mobili da uffi cio”<br />
(1999-2001) una volta aperti consentono<br />
di spostarsi altrove, di inceppare il ritmo<br />
lavorativo quotidiano, assecondando, ciascuno<br />
in modo specifi co, attività quali la lettura, il<br />
fumo, la preparazione del caffè. Tra le opere<br />
di questo ciclo uno zaino multifunzionale,<br />
realizzato e accessoriato dall’artista con<br />
elementi destinati a fare fronte a situazioni<br />
di emergenza, quali l’air-bag e le cinture di<br />
sicurezza, diviene, nel video che ne mostra le<br />
possibilità d’uso, un’altalena, un cuscino, uno<br />
strumento apparentemente paradossale, ideale<br />
per lasciarsi andare (“Zainetto”, 2000-2001).<br />
Tra i suoi progetti più recenti ha realizzato,<br />
nel parco giochi di Settimo Rottaro, un<br />
Comune della provincia di Torino, una grande<br />
scultura ludica progettata come uno spazio<br />
trasformabile sui desideri di quei bambini che<br />
ne saranno i principali fruitori, e destinata<br />
all’intera comunità degli abitanti. In perfetto<br />
equilibrio tra arte e design, questo progetto<br />
permette una moltiplicazione esponenziale<br />
di possibilità d’uso e di invenzioni, così come<br />
suggerito dal titolo dell’opera: “Al cubo”<br />
(2006).<br />
Per Villa Mazzotti, De Luca realizza<br />
l’installazione “Non tutti gli incantesimi volano”,<br />
titolo tratto da una poesia di John Keats. Si<br />
tratta di sette scritte al neon a luce bianca<br />
che riproducono in corsivo il nome dei colori<br />
che compongono l’arcobaleno: violetto, rosso,<br />
blu, arancione, giallo, indaco, verde. Installate<br />
a terra in ordine sparso, come disperse dopo<br />
una caduta, queste parole luminose rifl ettono<br />
su un fenomeno fi sico che si manifesta nella<br />
meraviglia di un incantesimo, di un miraggio,<br />
e che nei tempi ha assunto diversi signifi cati:<br />
in passato metafora del passaggio dal terreno<br />
al divino, oggi utilizzato come simbolo di<br />
associazioni umanitarie e della rivendicazione<br />
dei diritti umani. Con l’arcobaleno scomposto<br />
nelle sue singole unità, l’artista allude a<br />
una situazione contemporanea sempre più<br />
contrassegnata dalla sfi ducia nel presente e<br />
dalla diffi cile proiezione nel futuro, lasciando<br />
al tempo stesso al visitatore la possibilità di<br />
ricomporre il miraggio e la sua carica utopica.<br />
I colori, resi invisibili, restano infatti presenti<br />
all’interno delle sette parole al neon, illuminate<br />
da una luce volutamente senza colore che<br />
racchiude in sé l’intero spettro dei colori<br />
reali. Se la somma dei colori genera il bianco,<br />
signifi ca che all’interno di quelle parole senza<br />
pigmento sono ancora contenuti, seppure in<br />
forma potenziale, tutti i colori dell’arcobaleno,<br />
pronti per generare nuove combinazioni,<br />
nuovi linguaggi. L’opera diventa così un punto<br />
di partenza, una serie di parole consegnate<br />
all’immaginazione.<br />
L.P.
Marco De Luca<br />
Non tutti gli incantesimi volano<br />
2008<br />
installazione: sette scritte al neon<br />
cm. 700 x 570<br />
87 pagina
89 pagina
FRANCESCO DE MOLFETTA (Milano 1979)<br />
Vocabolario:<br />
“Tassidermia”: dal greco “taxis”, ordinamento,<br />
collezione e derma, pelle; tecnica di preparare<br />
la pelle degli animali, trattandola ai fi ni della<br />
sua conservazione.<br />
Il “Tassì”: versione italiana della parola<br />
internazionale “Taxi”.<br />
Il Tasso: mammifero appartenente alla famiglia<br />
dei Mustelidi.<br />
Descrizione:<br />
un tasso adulto, con il muso digrignante, ha<br />
quattro ruote al posto delle zampe. Sul dorso<br />
sorregge l’insegna luminosa del Taxi.<br />
Considerazioni:<br />
Francesco De Molfetta ha quasi trent’anni.<br />
Francesco De Molfetta ha in testa qualcosa di<br />
nuovo da dire. Da fare. (1)<br />
Procediamo con ordine.<br />
L’opera presentata è un’operazione<br />
concettuale: linguaggio, tecnica e tema si<br />
rifl ettono, tautologicamente, l’uno nell’altro.<br />
Esposto, dichiarato, eppure da trovare<br />
all’interno dell’opera stessa, il titolo<br />
contiene tutti i messaggi che l’artista vuole<br />
comunicare.<br />
E, al contempo, tutti li fa saltare. Spiazza e<br />
sorprende.<br />
Lasciamo per un attimo da parte le seppur<br />
valide categorie d’analisi con le quali è stato<br />
spesso analizzato il lavoro di De Molfetta:<br />
ironia sulla scia d’avanguardie del Novecento,<br />
salto-di-scala-gli-omini-di-demolfettacome-alterego-dell’artista-oppure-criticadivertita,<br />
componente teatral- beckettiana,<br />
trasposizione semantica, provocazione<br />
narrativa, fi gure retoriche applicate all’opera<br />
d’arte, quali: antifrasi, ossimori, metafore<br />
eccetera eccetera.<br />
Partiamo da quell’insegna luminosa che,<br />
contenendo una parola ben precisa,<br />
immediatamente riconducibile al suo primo<br />
signifi cato – il taxi è un’auto ed un conducente<br />
“a noleggio” per spostarsi più o meno<br />
rapidamente da un posto all’altro – associata a<br />
cosa, o meglio chi, la sostiene, innesca il primo<br />
cortocircuito linguistico: taxi-tassì-tasso.<br />
Un animale con le ruote. Al posto della<br />
macchina, dello strumento, un mammifero<br />
meccanizzato. La parola dell’insegna,<br />
rimarcata dall’illuminazione, acquista un<br />
messaggio inaspettato, graffi ante, perentorio:<br />
il tasso diventa un curioso tassì, le sue zampe<br />
sono fatte di copertone. L’animale non pare<br />
nemmeno troppo felice di questo suo nuovo<br />
ruolo-funzione.<br />
Da mammifero a macchina.<br />
Qui sta il nodo della questione.<br />
Attenzione, ci dice Francesco, forse abbiamo<br />
esagerato: strumentalizziamo gli animali, ci<br />
serviamo di loro, incapaci a vedere al di là<br />
dell’uso che vogliamo farne.<br />
Evitiamo qualsiasi critica animalista. Francesco<br />
ama gli animali, ogni tanto cambia casa per far<br />
spazio ai suoi cani ingombranti.<br />
Pensiamo alle operazioni concettuali di<br />
Kounellis, quando esponeva i cavalli: anche<br />
in quel caso, parte del signifi cato dell’opera<br />
si rifl etteva nell’impatto concettuale, nel<br />
rapporto fra luogo e destinazione, fra segno<br />
signifi cante e senso. Fra natura e artifi cio.<br />
In Francesco de Molfetta il percorso semantico<br />
ad un certo punto inverte la rotta: il tasso è<br />
un tassì – dal naturale all’artifi ciale, ovvero<br />
la critica alla strumentalizzazione degli esseri<br />
viventi – ma il tassì può diventare un tasso?<br />
Ovvero, fuor dai giochi di parole: quante volte,<br />
oggi, assistiamo ad un ribaltamento dei ruoli,<br />
ad una preoccupante antropomorfi zzazione<br />
delle cose, degli oggetti, dei mezzi e degli<br />
strumenti, insomma dei beni di consumo che<br />
usiamo?<br />
La polemica riprende tematiche<br />
dichiaratamente pop, dalle critiche del<br />
Baudrillard del “Sistema degli oggetti” (2) alle<br />
opere di Segal, Hamilton, Oldenburg, dove<br />
la cosa diventa feticcio, la donna mostra un
sorriso sbiancato come i panni della sua amata<br />
lavatrice e l’uomo si esprime attraverso il<br />
rombo del motore di una nuova automobile…<br />
Qui, nell’opera di De Molfetta, l’oggetto si fa<br />
feticcio inquietante, aberrazione d’ogni regola,<br />
macchina e animale insieme, e prima di tutto<br />
ancora essere umano, con quell’espressione<br />
arrabbiata, furente, quasi a ribellarsi al delirio<br />
di ruoli di cui è vittima e artefi ce.<br />
Unica indifferente, e motore di tutto, l’insegna<br />
luminosa, che imperterrita ci ricorda, casomai<br />
fossimo di fretta, che il Tassì è pronto a portarci<br />
dove vogliamo. Più o meno…<br />
I.B<br />
NOTE<br />
1) Scoperto nel 2000 da Franco Toselli, presso il quale ha<br />
esposto giovanissimo nella sua prima personale milanese<br />
“oggetti che cambiano il loro destino”, recensito da ambite<br />
testate e riviste d’arte contemporanea, da “Flash Art” a<br />
“Juliet”, da “Tema Celeste” a “Il Giornale dell’<strong>Arte</strong>”, De Molfetta<br />
ha al suo attivo una serie di importanti tappe espositive,<br />
dalla Tokyo Gallery di Tokyo al Museo d’<strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong><br />
di Besançon, fi no in Spagna, a Murcia, alla Galleria T20,<br />
oltre alle più importanti fi ere d’arte internazionali. Fra<br />
i progetti curatoriali, sono da menzionare nel 2004 la<br />
Biennale “inTransito 04” a Castel Sant’Angelo a Roma, nel<br />
2005 l’ “Opera al Nero” al Museo ed alla Mole Vanvitelliana<br />
di Ancona, e l’anno successivo la sua presenza nel progetto<br />
“Container 1”, curato dal vice direttore di Art Basel Oliver<br />
Tschirky; diversi inoltre i progetti espositivi dove la sua opera<br />
è stata avvicinata ad alcuni artisti del Novecento, da Pino<br />
Pascali ad Aldo Mondino (“CHIARI & geniali”, organizzata<br />
dalla Galleria <strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong> in Villa Mazzotti,<br />
a cura di Ilaria Bignotti, marzo-aprile 2007; “Profumo di<br />
Cacao”, a cura di Marisa Vescovo, Museo La Giardinera di<br />
Settimo Torinese, Torino).<br />
2) J. Baudrillard, “Le systéme des objets”, Paris 1968,<br />
traduzione italiana “Il sistema degli oggetti”, Milano 1972.<br />
91 pagina
Francesco De Molfetta<br />
Il Tassì<br />
2008<br />
tecnica mista e insegna luminosa<br />
cm. 50 x 70 x 50<br />
93 pagina
BARBARA DEPONTI, Magenta, Milano 1975<br />
“…Che cosa sono le nostre case se non bare<br />
erette dalla terra verso il cielo?… Bare con<br />
buchi per l’aria. I cimiteri hanno più aria per gli<br />
scheletri dei loro morti di quanto ne abbiano<br />
le città per i polmoni dei loro abitanti…pareti,<br />
pareti, PARETI... ABOLIREMO LE PARETI, queste<br />
armature del corpo e dell’anima…” (1) .<br />
Sono le architetture effi mere fi glie dei nuovi<br />
materiali del vetro e del ferro, nate agli albori<br />
della Modernità; sono le tensioni espressioniste<br />
della “Glasarchitecture” di Taut e Scheerbart;<br />
sono le città industriali, i progetti urbanistici,<br />
le soluzioni costruttive a stimolare Barbara, a<br />
partire da quando, nel 2003, iniziava a rifl ettere<br />
su Torino, affascinata dall’impatto visivo della<br />
sua stazione ferroviaria. Venivano poi le<br />
ricerche sull’architettura razionalista, tradotte<br />
in opere e studi sulle aree monumentali<br />
della città di Como; le numerose analisi sulla<br />
città, sfociate in interessanti esposizioni e<br />
pubblicazioni, da “Cittàstrattismo e urban-art”<br />
a “Urbs”, nel 2005, da “Cittàmorfosi” nel 2006<br />
a “Interni” e “Percorsi urbani” nello scorso<br />
anno. (2)<br />
Leggerezza. Trasparenza. Struttura. Profondità<br />
e Superfi cie.<br />
Libertà dell’aria e della luce di attraversare gli<br />
spazi, superando il limite di masse e murature.<br />
Libertà dell’occhio di costruirsi un luogo,<br />
di scegliere una direzione, d’inventarsi un<br />
sistema. Questo suggeriscono oggi le sue<br />
opere, delicate traduzioni formali di una<br />
severa analisi architettonica, fi glie preziose di<br />
un’estenuante gestualità eseguita dall’artista<br />
sul piano-superfi cie da cui scaturisce la<br />
visualizzazione dell’idea.<br />
Opacità e presenza materica del fogliosupporto,<br />
la carta da spolvero, ora lasciata nella<br />
sua tonalità naturale, in questo caso tinta con<br />
colore acrilico nero; fragilità delle consunzioni<br />
del fare, che Barbara imprime alle sue carte,<br />
effettuando pieghe in tempi successivi,<br />
fi no a graffi are l’acrilico, a farlo crollare dal<br />
supporto, intenta a liberare – nuovamente,<br />
maniacalmente – il colore originario della<br />
carta.<br />
Riaperto il foglio, ecco il progetto, formato<br />
da linee e convergenze, da strutture che<br />
s’intersecano formando avveniristiche<br />
architetture, provvisorie elucubrazioni di<br />
tracciati percorribili, inganni di padiglioni<br />
smisurati, ponti che s’impennano in voragini<br />
tridimensionali. (3)<br />
Da qui le sue opere, diafane traduzioni di<br />
una “nostalgia per l’idea di struttura”, è stato<br />
acutamente scritto, una struttura che ora<br />
fornisce rigore alla dimensione espressiva,<br />
ora svela il lato sensuale di ogni forma<br />
rigorosa (4) ; da qui quel costante passare,<br />
in ogni sua carta, nella traccia di qualsiasi<br />
piegatura, dalla dinamica della costruzione<br />
alla tensione decostruttivista, alla ricerca<br />
di regole linguistiche di un’architettura che<br />
Barbara sceglie, provvisoriamente, di lasciare<br />
sospesa sulla bidimensionalità della superfi cie<br />
cartacea. La profondità è data dalla luce, che<br />
s’irradia dal retro dell’opera, fi ltrando dalle<br />
ferite strutturali e prospettiche che l’artista<br />
agisce sul supporto.<br />
Coinvolto in prima persona, lo spettatore,<br />
chiamato a trovare il proprio punto di vista,<br />
a stabilire se la visione, o meglio veduta,<br />
sia all’interno o all’esterno dell’edifi cio<br />
rappresentato, dall’alto in basso o dal sotto<br />
in su. Superfi cie e profondità, luce soffusa<br />
e luce imposta, luce che fi ltra nello spazio<br />
architettonico e struttura luminosa che<br />
s’impone nello spazio: fertile il recente<br />
confronto espositivo con le installazioni<br />
ambientali di Carlo Bernardini, destinato a<br />
suggerire risultati diversi, ha scritto la stessa<br />
artista, “…tra i due linguaggi che usano la luce<br />
come agente prospettico, modellando la terza<br />
dimensione tra lo spazio immaginario e quello<br />
illusorio…” (5)<br />
I.B.
NOTE<br />
1) Questa l’immagine della città trasparente nel “Manifesto<br />
del tensionismo”, “De Stijl” 1925.<br />
2) “La nuova scena urbana, Cittàstrattismo e urban-art”, J.<br />
Ceresoli, ed. Franco Angeli, Milano 2005; “Urbs”, testi di M.<br />
Arioli, R. Borghi, catalogo della mostra, Grafi che Morandi,<br />
Fusignano (RA) 2005; “Cittàmorfosi”, testi di J. Ceresoli,<br />
catalogo della mostra, Centro Culturale Cascina Grande,<br />
Rozzano, (MI) 2006; “Interni”, testi di R. Borghi, A. Coppa,<br />
A. Pioselli, C. Ristagno, catalogo della mostra, Cesarenani<br />
editore, Lipomo, Como 2007; “Percorsi urbani”, a cura di A.<br />
Pioselli, ospitata da Studio, promossa da Ermanno Tedeschi<br />
Gallery, Torino 2007.<br />
Barbara DePonti<br />
T. p. S.<br />
2007<br />
acrilico e piegature su carta da spolvero, plexiglas e neon<br />
cm. 130 x 200<br />
3) Interessante la spiegazione della tecnica da parte<br />
dell’artista, intervistata da Laura Carcano, in occasione della<br />
sua personale “Transiti” allestita alla Silbernagl Undergallery,<br />
Milano, a cura di Luca Beatrice.<br />
4) Così Roberto Borghi nel testo “La sensualità della<br />
struttura”, catalogo della mostra “Interni”, Milly Pozzi <strong>Arte</strong><br />
<strong>Contemporanea</strong>, Como 2007.<br />
5) In “Interazioni: strutturaspazioluce”, a cura di L. Caramel,<br />
catalogo della mostra con Carlo Bernardini, Como, Milly<br />
Pozzi <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Marelli Edizioni 2007.<br />
95 pagina
97 pagina
CHRISTIAN EISENBERGER, Graz, 1978<br />
Le opere dell’artista Christian Eisenberger sono<br />
realizzate con l’utilizzo di materiali modesti<br />
e facilmente reperibili in qualsiasi città del<br />
mondo, come cartone, legno, tela, gomma<br />
e nastro adesivo. Alcune sculture sono<br />
arricchite da tubi al neon, videoproiezioni,<br />
fotografi e e dall’intervento performativo dello<br />
stesso artista. Più di una volta Eisenberger<br />
si è barricato all’interno di strutture da lui<br />
costruite, in altre occasioni ha realizzato azioni<br />
dentro edifi ci pubblici. Una volta ha vissuto per<br />
quaranta giorni nella chiesa di Sant’Andrea a<br />
Graz rifl ettendo, in occasione della Quaresima,<br />
sul rapporto arte/spiritualità, mediante<br />
l’allestimento di un atelier provvisorio dove<br />
con ritualità religiosa erano ripetuti alcuni<br />
gesti artistici quotidiani.<br />
La pittura e il disegno convivono nelle<br />
installazioni dell’artista austriaco con altre<br />
tecniche e oggetti di uso comune, riutilizzati<br />
quasi a costruire una storia disorganica,<br />
volutamente anti-narrativa. Pupazzi di peluche<br />
imbottiti, capelli reperiti da veri coiffeur<br />
oppure una grande pozzanghera di latte, sono<br />
utilizzati dall’austriaco per disegnare sagome<br />
antropomorfe sul pavimento delle gallerie che<br />
lo ospitano. Anche servendosi di banalissimi<br />
cotton fi oc è capace di costruire delle strutture<br />
molecolari complesse.<br />
Su fogli di cartone inciso con lettere e frasi<br />
retroilluminate, comunica messaggi da writer,<br />
dove anche il colore, spesso sgocciolato, e il<br />
disegno, scarabocchiato, contribuiscono a<br />
un forte senso di disordine. Come ha scritto<br />
Silvia Ferrari, Eisenberger, allo stesso modo<br />
dei graffi tisti, in certe occasioni usa fi rmarsi<br />
con lo pseudonimo “Urex”, dato dalla fusione<br />
dei prefi ssi “ur” (rimando a una dimensione<br />
primordiale), “re” (che introduce il concetto<br />
di ripetizione), “ex” (che retrodata ogni<br />
posizione eventuale). «La fl uidità concettuale<br />
del soprannome è indicativa del suo concepirsi<br />
catalizzatore entro processi metamorfi ci,<br />
che spesso si esplicano in tentativi di<br />
sensibilizzazione pubblica».<br />
Le opere di Eisenberger si vivono dall’interno,<br />
chinando la testa per passare sotto le strutture<br />
di legno ottenute accumulando materiali di<br />
scarto, per poi trovare all’interno piccoli spazi<br />
di libertà, dove guardare un video o apprezzare<br />
disegni realizzati dall’artista o da amici invitati<br />
a partecipare a un progetto artistico collettivo.<br />
Il risultato di questo modo di operare consiste<br />
molto spesso in opere effi mere, l’artista è un<br />
trasformatore di eventi più che un creatore di<br />
oggetti, non offre un’interpretazione univoca<br />
del suo lavoro ma, anzi, sprona il visitatore<br />
alla partecipazione fi sica e concettuale delle<br />
stesse.<br />
In occasione di questa mostra Christian<br />
Eisenberger ha realizzato un elegante cappio<br />
al neon sorretto da un’impalcatura che<br />
contribuisce a simulare un’impiccagione. A<br />
fi anco, un’inquietante fi gura umana fatta<br />
di scotch. Si tratta di una sorta di calco del<br />
corpo dell’artista, frutto di una performance:<br />
dopo essersi avvolto come una mummia con<br />
nastro adesivo da magazziniere, creando così<br />
una scultura che lo conteneva, se ne è liberato<br />
tagliandolo con un cutter dall’interno.<br />
L.P.<br />
Christian Eisenberger<br />
Cappio<br />
2007<br />
neon, legno, nastro adesivo<br />
cm. 220 x 200 circa<br />
Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia
99 pagina
101 pagina
GIORGIO LUPATTELLI, Magione, Perugia 1958<br />
L’opera di Giorgio Lupattelli si caratterizza per<br />
un’attenta osservazione del mondo fi ltrata<br />
dai moderni mezzi di comunicazione. L’autore<br />
s’impossessa della storia e degli usi e costumi<br />
dell’umanità, facendo una sorta di “zapping”<br />
nella moda, nel cinema, nella televisione, nella<br />
pubblicità, nella musica, nella religione e nella<br />
scienza. La sua rifl essione verte principalmente<br />
sulla tendenza dell’uomo contemporaneo alla<br />
manipolazione genetica e quindi alla resistenza<br />
della vita sulla morte.<br />
La forte curiosità scientifi ca e grafi ca di<br />
Lupattelli lo ha condotto attraverso un<br />
percorso artistico anomalo e diffi cilmente<br />
collocabile nelle situazioni oggi esistenti. La<br />
ricerca sull’immagine, il prelievo fotografi co<br />
e sonoro dal mondo della comunicazione,<br />
l’utilizzo della luce, spingono a situare il suo<br />
lavoro sotto l’etichetta di “pittura mediale”.<br />
In realtà però l’artista non ha mai utilizzato<br />
solamente il mezzo pittorico, si è servito<br />
di molte altre tecniche come la fotografi a,<br />
l’installazione, recentemente la scultura e il<br />
video.<br />
La mostra “Buildings” (2006) ha segnato<br />
un punto di svolta nel percorso dell’artista,<br />
spostando maggiormente la sua ricerca<br />
sull’aspetto scientifi co, insistendo su concetti<br />
come la manipolazione genetica, la costruzione<br />
meccanica, la ricerca medica, le teorie e le<br />
formule matematiche, chimiche, fi siche, unite<br />
alle problematiche d’ordine etico derivanti<br />
dalla volontà dell’uomo di prendere in mano le<br />
redini del suo destino. Tutto questo evitando<br />
sempre una presa di posizione sulle grandi<br />
tematiche; il compito dell’artista è sollevare i<br />
problemi non dare le soluzioni.<br />
Con la mostra “Freon” (2007), Lupattelli<br />
fa riferimento alla famiglia di gas derivati<br />
dal metano che hanno trovato largo<br />
impiego nell’industria del freddo, come<br />
fl uidi del ciclo frigorifero. Il freon abbassa<br />
la temperatura favorendo la conservazione<br />
degli alimenti, così come le vicende della vita<br />
rallentano l’inevitabilità della morte. Il freon,<br />
paradossalmente, mentre diminuisce il grado<br />
di calore dei cibi alza quello del pianeta, poiché<br />
tra i gas responsabili del buco nell’ozono.<br />
Il freon esprime perfettamente il senso del<br />
disperato tentativo dell’uomo contemporaneo<br />
di prolungare la giovinezza, allontanando il<br />
sopraggiungere della morte. Freon quindi<br />
come metafora dell’esistenza.<br />
Nel video “Delta Esse Maggiore di Zero” (2005)<br />
l’artista si ispira alla formula del 2° principio<br />
della termodinamica (∆S>0), che si fonda<br />
sull’introduzione di una nuova funzione di<br />
stato, l’entropia, in altre parole tendenza di un<br />
sistema fi sico (o più in generale dell’universo) al<br />
caos, al disordine, all’autodistruzione. Nel light<br />
box presentato qui a Chiari, invece, Lupattelli<br />
cita la teoria della relatività di Albert Einstein<br />
(E=mc 2 – l’energia è uguale alla massa per la<br />
velocità della luce al quadrato), rifl ettendo su<br />
come che la massa “m” è equivalente all’energia<br />
“E” e la velocità della luce “c” sia l’unica<br />
costante immutabile. Invitato a realizzare un<br />
lavoro sul tema della luce, l’artista lo affronta<br />
a livello concettuale da un punto di vista<br />
scientifi co, mentre come traduzione pratica<br />
si affi da alla simulazione dei moderni schermi<br />
televisivi in 16:9, dove la luce si fa veicolo di<br />
tutte le informazioni e attività riguardanti il<br />
nostro tempo.<br />
L.P.
Giorgio Lupattelli<br />
E=mc 2<br />
2004 - 2008<br />
stampa digitale su light box, dimensione dell’immagine<br />
cm. 110 x 62, dimensione del box cm. 118 x 70 x 12<br />
103 pagina
105 pagina
VINCENZO MARSIGLIA, Belvedere Marittimo, 1972<br />
Esce a Londra nel 1972 “Learning from Las<br />
Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma<br />
architettonica”: se è risaputo l’impatto che<br />
il testo ebbe sulla critica e sulla storia<br />
dell’architettura, sull’analisi della metropoli<br />
contemporanea e dell’illuminazione notturna,<br />
forse non tutti sanno che il suo autore, Robert<br />
Venturi, ottenne il principale patrocinio dalla<br />
YESCO, Young Electric Sign Company, azienda<br />
leader nella produzione di insegne luminose.<br />
Se questo è uno degli aspetti che avvicina<br />
quel caso editoriale a questo progetto<br />
espositivo appoggiato dalla AIFIL, un’altra<br />
“affi nità elettiva” si profi la pensando che fra<br />
i principali temi del testo di Venturi vi sono<br />
l’analisi dell’icona pubblicitaria e del marchio<br />
commerciale nel tessuto della metropoli, ed<br />
osservando l’opera “Interact Star” di Vincenzo<br />
Marsiglia, giovane artista ligure con alle spalle<br />
un interessante percorso di ricerca (1) .<br />
“…Senz’altro uno dei più capaci a disancorarsi<br />
dalle trame del decorativismo per produrre<br />
una ricerca contemporanea che identifi chi nel<br />
logo (nel marchio) il “punctum” dello sguardo…<br />
risale all’epoca pop e si snoda per buona parte<br />
della contemporaneità, sulla non-necessità<br />
di produrre immagini nuove e originali<br />
all’interno di un sistema visivo che ne licenzia<br />
continuamente ogni giorno…” (2) .<br />
Così indicava Beatrice, cinque anni fa:<br />
importante osservare come, pur affi nandola e<br />
maturandola, l’artista abbia sempre mantenuto<br />
questa direzione di ricerca espressiva, confl uita<br />
nel tema della stella a quattro punte agita e<br />
tradotta su supporti e con materiali disparati,<br />
dall’acrilico al feltro, dalla ceramica all’uso del<br />
glitter e delle paillettes, la scritta LOGO, lo<br />
scambio concettuale fra il nome dell’artista,<br />
Marsiglia, e il prodotto, attraverso la creazione<br />
di saponette – prima reali, poi in ceramica –<br />
quali media di senso “…su cui sovra-scrivere<br />
la mia presenza e la mia ricerca…”. Necessaria<br />
la sperimentazione dei materiali, basti pensare<br />
alla ceramica, certo “destinata” a Marsiglia<br />
per quella vicinanza geografi co-spirituale<br />
con le fornaci di Albissola Marina, centro del<br />
Movimento Artistico Mediterraneo.<br />
Fondamentale, d’altra parte, la meditazione<br />
sulla Minimal Art di Judd, Le Witt, Marden,<br />
Spalletti; l’analisi della percezione visiva e<br />
gestaltica, determinante per la confi gurazione<br />
dell’opera. Ma, come l’insegna di Las Vegas,<br />
studiata a tavolino dalle menti del commercio<br />
e poi spontaneamente capace di contaminarsi<br />
con la metropoli dello shock visivo, del kitsch<br />
commerciale, l’arte di Marsiglia è “…un’arte<br />
dinamica che si contamina continuamente<br />
con tutto ciò che le, e mi, ruota attorno. Non<br />
è più negativamente kitsch se si pondera<br />
tutta la strutturazione che le sta dietro, la<br />
compensazione delle linee, la forza dei colori,<br />
il dinamismo dei colloqui intrinseci”. (3)<br />
In particolare, quest’opera interattiva si<br />
compone di quattro quadri digitali che<br />
richiedono l’intervento del pubblico: nel primo<br />
e nel secondo, è il corpo dello spettatore a<br />
determinare, attraverso il suo spostamento<br />
e relazionarsi con lo schermo, i movimenti<br />
e i raggruppamenti delle stelle e dei loghi;<br />
nel terzo quadro, l’intervento del fruitore<br />
determina invece i cambiamenti dei campi<br />
cromatici. Nel quarto infi ne, lo spettatore<br />
si rifl ette e riconosce completamente nello<br />
schermo, agendo nell’opera come soggetto<br />
principale.<br />
I. B.
NOTE<br />
1) Fra le più recenti esposizioni personali, basti ricordare<br />
nel 2007 “Stardust”, a cura di Chiara Argenteri, LoftGallery,<br />
Corigliano Calabro, mentre l’anno precedente “Vincenzo<br />
Marsiglia – Infi nito Stellare”, a cura di Nicola Davide<br />
Angerame, Chiesa Anglicana, Alassio Savona; nel 2005:<br />
“Vincenzo Marsiglia – Oltre il mito”, Fortezza Castelfranco<br />
Finale Ligure, Savona e nel 2004 “Confi gurazioni in continuo<br />
divenire”, a cura di Claudio Cerritelli, Galleria Cavenaghi <strong>Arte</strong>,<br />
Milano, e “Il fascino della percezione”, a cura di Riccardo<br />
Zelatore, Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova.<br />
Vincenzo Marsiglia<br />
Interact Star<br />
2008<br />
quadro interattivo<br />
cm. 55 x 62,5 x 9<br />
2) “Il paradosso astratto”, a cura di Luca Beatrice, Casa<br />
del Console, Museo d’<strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Calice Ligure,<br />
Savona 2003.<br />
3) Vincenzo Marsiglia, dall’intervista rivoltagli nell’ottobre<br />
2007 da Matteo Galbiati; da qui provengono anche le<br />
citazioni dell’artista che seguono nel testo.<br />
107 pagina
109 pagina
MARCO SAMORÈ (Faenza, 1964)<br />
Le opere di Marco Samorè parlano una lingua<br />
universale, ci proiettano in una dimensione<br />
domestica alla quale noi tutti sappiamo<br />
accostare una memoria o un ricordo. L’effetto<br />
shock gioca un ruolo importante per l’artista,<br />
riesce a trasmettere alle sue installazioni,<br />
sculture o fotografi e quello spaesamento<br />
perturbante che lascia il fruitore in balia degli<br />
eventi, di fronte ad un déjà-vu destabilizzante<br />
che non riesce a controllare.<br />
“Standard” e “Domestica” non sono soltanto i<br />
titoli dati da Samorè a due mostre di qualche<br />
anno fa, questi termini sono la chiave di<br />
lettura di tutta la sua produzione. “Standard”<br />
è l’oggetto commerciale diffuso in tutte le<br />
abitazioni e ormai parte della nostra esistenza<br />
quotidiana. “Domestica” è l’atmosfera in cui<br />
questo oggetto standard risiede, cioè fra le<br />
pareti di casa.<br />
Dietro le sue belle opere studiate con grande<br />
cura formale si nasconde quindi qualche cosa<br />
di più profondo, che fa leva sulla riconoscibilità<br />
degli oggetti e degli ambienti rappresentati. A<br />
questi “oggetti d’affezione” noi tutti sappiamo<br />
accostare una memoria o un ricordo. È questa<br />
la forza celata nella ricerca artistica di Samorè,<br />
le sue opere sono capaci di parlare una lingua<br />
universale, una narrazione collettiva che fa<br />
leva sul vissuto generazionale, perché, nella<br />
società dei mass media - come fa intendere lo<br />
stesso artista nel titolo di un lavoro del 1999 -<br />
“molti ricordi sono comuni”.<br />
“Storia di uno che se ne andò in cerca della<br />
paura” ben rappresenta la poetica di Samorè.<br />
Il classico tema dell’iniziazione adolescenziale,<br />
ripreso dall’universo narrativo dei fratelli<br />
Grimm, viene qui interpretato con sottile<br />
ironia dopo essere stato catapultato nel<br />
passato prossimo di ognuno di noi. Samorè,<br />
come il giovane protagonista della fi aba in<br />
cerca della “pelle d’oca”, intraprende un lungo<br />
e faticoso viaggio per trovare qualcosa che<br />
soltanto dopo una vana ricerca si rivela essere<br />
facilmente raggiungibile senza spostarsi dal<br />
letto di casa propria.<br />
Installazioni, sculture e fotografi e, trasportano<br />
lo spettatore in sognanti atmosfere, fatte di<br />
boschi incantati, limpidi ruscelli e accoglienti<br />
tappeti. Soltanto dopo una più attenta lettura,<br />
questo immaginario da fi aba, si scopre essere<br />
terribilmente falso. L’immagine boschiva non è<br />
che una semplice stampa incollata alla parete.<br />
I tronchi di legno sparsi qua e là sono senza<br />
radici e sorretti da precari listelli di compensato<br />
con tanto di codice a barre. Un trampolino<br />
ligneo che allude ad una pista da skateboard è<br />
volutamente antifunzionale. I tappeti, tutt’altro<br />
che pregiati, sembrano mangiati da tondi e<br />
bassi sgabelli di legno. La bella ragazza che<br />
esce senza veli dal mare, purtroppo soltanto<br />
una fotografi a. Anche la grande insegna che<br />
riprende il logo del noto gruppo musicale AC/<br />
DC, reinstallata per l’occasione qui a Chiari, è<br />
riprodotta con un legno impiallacciato modello<br />
Ikea e da una saetta illuminata con qualche<br />
decina di lampadine.<br />
Samorè, pare voglia tirare allo spettatore<br />
la stessa secchiata d’acqua fredda ricevuta<br />
da quel ragazzo “in cerca della paura”. E<br />
come quel giovane, lo spettatore si trova<br />
improvvisamente a vedere quella realtà che gli<br />
era stata occultata. Marco Samorè, come del<br />
resto i fratelli Wilhelm e Jacob Grimm, sembra<br />
condividere pienamente le parole di Herder: “si<br />
crede perché non si sa; si sogna perché non<br />
si vede”.<br />
L.P.
Marco Samorè<br />
Storia di uno che se ne andò in cerca della paura (il lupo)<br />
2003<br />
legno nobilitato, lampadine, fi lo elettrico<br />
cm. 120 x 300 x 20<br />
Courtesy Betta Frigieri, Sassuolo (Modena)<br />
111 pagina
113 pagina
VILLA MAZZOTTI<br />
Commissionata dal conte Ludovico Mazzotti<br />
Biancinelli all’architetto Antonio Vandone di<br />
Torino, che la realizzò fra il 1910 ed il 1919 in<br />
collaborazione con l’architetto Citterio, la Villa<br />
è circondata da cancellate e ringhiere in ferro<br />
battuto, disegnate da Alessandro Mazzucotelli<br />
e restaurate nel 2005 dal Comune di Chiari.<br />
Immersa in un parco di circa dieci ettari,<br />
risultato di diverse “mani” – quella<br />
dell’architetto Vandone, che ne curò il giardino<br />
all’italiana, oltrechè di uno specialista inglese<br />
e del prestigioso studio Adam & Co. di Parigi,<br />
che nel 1927 progettò il rifacimento di un’altra<br />
parte del parco – la Villa è un imponente<br />
edifi cio a pianta centrale, organizzato attorno<br />
ad un ampio atrio coperto da un luminoso<br />
lucernario in vetro colorato; si sviluppa su due<br />
piani, il primo rialzato con seminterrato.<br />
Acquistati dal Comune di Chiari da Giulio<br />
Binda, vedovo ed erede di Angelica Mazzotti<br />
Biancinelli, nel 1981, Villa e parco offrono un<br />
interessante fusione dei canoni del Liberty con<br />
gli stilemi ancora delicatamente neoclassici,<br />
in linea con il gusto aperto al moderno, ma<br />
orgogliosamente attaccato ad un passato<br />
secolare, della famiglia Mazzotti.<br />
Distintasi fra XVIII e XIX secolo nell’industria<br />
del cotone e della manifattura, nella prima<br />
metà del Novecento essa fu ricordata dalle<br />
intriganti personalità di Franco Mazzotti, fi glio<br />
di Ludovico Mazzotti e di Lucrezia Biancinelli.<br />
Per gli amici Chino, o Kino, secondo la moda<br />
esotica di allora – fu uno dei personaggi cardine<br />
dell’Italia del XX secolo: giocò con il suo nome<br />
per battezzare la casa cinematografi ca da lui<br />
fondata e fi nanziata Kinofi lm, testimoniata<br />
dal grande cineproiettore all’ingresso della<br />
Villa. Intraprendente e spregiudicato affarista,<br />
divenne proprietario della casa automobilistica<br />
Isotta Fraschini, prestigioso marchio e vero<br />
status symbol dell’epoca.<br />
Una passione, quella dell’automobile, che si<br />
concretizzò nella Mille Miglia, da Franco ideata<br />
e realizzata. Fu inoltre un audace aviatore<br />
intento a misurarsi in voli transatlantici e<br />
raid aerei: scomparve nel 1942, in piena<br />
seconda guerra mondiale, durante un volo di<br />
salvataggio di soldati italiani in Africa.<br />
La sorella Nelly, diminutivo di Angelica,<br />
nata nel 1903, ebbe invece una tumultuosa<br />
vita sentimentale, ed un carattere volitivo e<br />
malinconico insieme.<br />
Sono loro i soggetti ritratti nei due dipinti<br />
realizzati da Emilio Pasini fra il 1923 e il 1924<br />
ed esposti in permanenza nel salone centrale<br />
della Villa, insieme a quello realizzato da<br />
Vittorio Corcos nel 1916, che ritrae Giovanni<br />
Mazzotti. Mentre Franco, diciottenne, ci<br />
guarda con compassata serietà – non priva di<br />
un certo snobismo – dalla grande tela, Nelly<br />
sorride nel giallo intenso dell’abito, diventando<br />
la protagonista di un’opera esposta alla XIV<br />
Biennale d’<strong>Arte</strong> di Venezia del 1924 insieme a<br />
quadri di Cagnaccio di San Pietro, di Casorati, di<br />
Von Stuck ed altri autori del primo Novecento.<br />
I tre dipinti sono stati restaurati nel 2005 grazie<br />
al sovvenzionamento della Galleria <strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong><br />
<strong>Contemporanea</strong>.<br />
115 pagina
119 pagina
<strong>CHIARImenti</strong><br />
luce arte industria - <strong>Arte</strong>insegna 3<br />
Progetto e realizzazione<br />
Antonella e Daniele <strong>Colossi</strong><br />
AIFIL Associazione Italiana Fabbricanti Insegne Luminose<br />
Adolfo Lugli<br />
Catalogo a cura di:<br />
Ilaria Bignotti<br />
Crediti fotografi ci:<br />
Giorgio Campiotti<br />
Testi a cura di:<br />
Daniele <strong>Colossi</strong>, Adolfo Lugli, Ilaria Bignotti, Luca Panaro<br />
Hanno sostenuto la Mostra con Sponsorizzazione le Aziende:<br />
F.A.R.T. S.p.A. Preganziol (TV) - BROLLO S.I.E.T. S.r.L. Caerano San Martco (TV)<br />
Hanno collaborato per la Mostra le Aziende:<br />
Mario Acerbis per NEON GAMMA Bergamo<br />
Angelo Baldaccini e Remo Cioni per NEON KING Modena<br />
Gianluca Brandoli per CARPI NEON Carpi<br />
Massimo Cipriani per NUOVA TRIONFAL NEON Roma<br />
Fulvio e Damiano Di Pietro per PROGETTO NEON Roma<br />
Enrico Guidetti per GEROGRAF-IRA Torino<br />
Sonia Stefanello per NEON Stefanello Arino di Dolo(VE)<br />
Coordinamento per AIFIL<br />
Il Gruppo di lavoro ARTEINSEGNA: Brandoli,Di Pietro,Degli Esposti ,Lugli.<br />
Stampa Color Art<br />
Finito di stampare nel mese di marzo duemilaotto
CHIARI <strong>CHIARImenti</strong> menti<br />
luce arte industria - <strong>Arte</strong>insegna 3<br />
Laura Ambrosi<br />
C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />
Carlo Bernardini<br />
Alberto Biasi<br />
Eros Bonamini<br />
Beppe Bonetti<br />
Philip Corner<br />
Cuoghi Corsello<br />
Marco De Luca<br />
Francesco De Molfetta<br />
Barbara DePonti<br />
Christian Eisenberger<br />
Bonomo Faita<br />
Joseph Kosuth<br />
Giorgio Laveri<br />
Massimo Liotti<br />
Adolfo Lugli<br />
Giorgio Lupattelli<br />
Vincenzo Marsiglia<br />
Bruno Munari<br />
Ben Patterson<br />
Marco Samorè<br />
Comune di Chiari<br />
Assessorato alla Cultura