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CHIARImenti - Colossi Arte Contemporanea

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<strong>CHIARImenti</strong><br />

luce arte industria<br />

<strong>Arte</strong>insegna 3<br />

dall’ 8 marzo al 20 aprile 2008<br />

<strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong><br />

Corsia del Gambero, n° 12/13<br />

25121 BRESCIA<br />

Tel. 030.3758583 - Cell. 338.9528261<br />

www.colossiarte.it - info@colossiarte.it


Organizzazione:<br />

Comune di Chiari<br />

Assessorato alla Cultura<br />

Un evento con il patrocinio di:<br />

Regione Lombardia<br />

PROVINCIA DI BRESCIA<br />

In collaborazione con:<br />

Galleria <strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong><br />

AIFIL Associazione Italiana Fabbricanti Insegne Luminose


Artisti & Percorsi<br />

Le ricerche storiche<br />

Alberto Biasi<br />

Philip Corner<br />

Joseph Kosuth<br />

Bruno Munari<br />

Ben Patterson<br />

Esperienze e confronti<br />

Carlo Bernardini<br />

Eros Bonamini<br />

Beppe Bonetti<br />

Bonomo Faita<br />

Giorgio Laveri<br />

Massimo Liotti<br />

Adolfo Lugli<br />

I nuovi linguaggi<br />

Laura Ambrosi<br />

C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />

Cuoghi Corsello<br />

Marco De Luca<br />

Francesco De Molfetta<br />

Barbara DePonti<br />

Christian Eisenberger<br />

Giorgio Lupattelli<br />

Vincenzo Marsiglia<br />

Marco Samorè


Un grande evento espositivo si riconosce da alcuni aspetti che non possono mancare: la<br />

presenza di un progetto e di una ricerca scientifi ci e curatoriali attentamente vagliati; la<br />

selezione delle opere da esporre, la loro interazione con lo spazio che le accoglie, con il pubblico<br />

che le guarda e vive; la diffusione mediatica, la comunicazione capillare dell’evento stesso.<br />

Tutto questo è presente, oggi, in questa grande e affascinante esposizione dedicata all’arte<br />

contemporanea nelle sue interazioni con la luce e l’industria, che il Comune di Chiari, fi n dai<br />

primi incontri e dalle prime tappe di lavoro, ha approvato con entusiasmo e convinzione. Ma<br />

vi sono altri elementi, altri aspetti che silenziosamente e costantemente, hanno fatto sì che<br />

questa mostra sia un grande evento espositivo: la passione nei confronti di ogni espressione<br />

artistica e culturale, la convinzione che l’educazione al bello sia il migliore modo per far<br />

crescere una città e i suoi cittadini e la certezza che solo attraverso una costante apertura nei<br />

confronti della contemporaneità, sia possibile non dimenticare il passato e porre le basi per<br />

un futuro migliore. E’ quindi con orgoglio e soddisfazione che il Comune di Chiari presenta,<br />

oggi, “<strong>CHIARImenti</strong> - luce arte industria – <strong>Arte</strong>insegna 3”, una mostra che racconta, alla<br />

luce delle oltre trenta opere esposte nella meravigliosa cornice di Villa Mazzotti, le attuali<br />

interazioni fra tecnologia, scienza, arte e collettività. Vi invitiamo quindi ad attraversare e<br />

vivere con entusiamo, questo spazio fra bagliori e oscurità, forme e percorsi.<br />

Cav. Avv. Sandro Mazzatorta<br />

Sindaco della Città di Chiari<br />

Avv. Fausto Consoli<br />

Assessore alla Cultura


Terzo appuntamento espositivo in Villa Mazzotti, allo scoccare del mese di marzo.<br />

Terzo grande evento artistico e culturale che, con soddisfazione ed orgoglio, desidero invitare<br />

tutti voi a vivere.<br />

Opere ed ambienti, forme e spazi che si esprimono attraverso il medium visivo e linguistico<br />

della luce artifi ciale, soprattutto al neon: grande protagonista di questa mostra, insieme al<br />

buio, suo necessario antagonista, destinato ad esaltarne le potenzialità espressive.<br />

Luce e oscurità; ricerche storiche e nuove esperienze artistiche; arte e industria.<br />

Sono, questi, i binari paralleli sui quali si gioca l’esposizione – oltre trenta opere per ventidue<br />

artisti attentamente selezionati, provenienti da tutto il mondo – che in parte rifl ette ed<br />

approfondisce alcuni aspetti salienti della precedente “CHIARI & geniali. 8 percorsi nell’arte<br />

contemporanea”: a partire, appunto, dal confronto fra le diverse generazioni, alla ricerca di<br />

continuità e differenze; d’altra parte, il dialogo fra i vari media espressivi e formali, nella<br />

mostra di quest’anno si arricchisce della componente della luce, tesa ad esaltare e sottolineare<br />

interazioni fra materiali e linguaggi.<br />

Inutile poi sottolineare la magia suscitata dallo spazio espositivo di Villa Mazzotti di Chiari<br />

che, per la sua storia e le sue splendide sale, stringerà inedite relazioni estetiche con le opere<br />

esposte.<br />

Ecco spiegata una delle chiavi di lettura del titolo: “<strong>CHIARImenti</strong>” vuole infatti essere un<br />

omaggio alla “mia” città, Chiari, ed al suo Assessorato alla Cultura, generoso organizzatore di<br />

esposizioni primaverili d’arte contemporanea, con il quale oramai da tre anni ho stretto una<br />

affi atata collaborazione.<br />

Quest’anno, la mostra intende provare a fare “chiarezza” – di nuovo il gioco di parole del titolo<br />

– sui delicati rapporti fra luce, arte, industria: unendo, come sempre, l’aspetto curatoriale e<br />

scientifi co al fascino di opere ed ambienti dagli anni Sessanta ad oggi.<br />

Un percorso espositivo ed emozionale nato anche grazie all’importante contributo di AIFIL,<br />

Associazione Italiana Fabbricanti Insegne Luminose, che ha saputo leggere in questo progetto<br />

un importante momento di rifl essione e di indagine sulle potenzialità dei propri prodotti e<br />

strumenti nel campo intrigante dell’arte contemporanea.<br />

Seguitemi…<br />

Daniele <strong>Colossi</strong>


L’arte insegna “<strong>CHIARImenti</strong>”<br />

“Ri-qualifi care il paesaggio (urbano e non),<br />

come se esso non potesse avere alcun<br />

signifi cato senza il segno signifi cante,<br />

estetico, dell’artista: un segno che si<br />

concreta in forme realizzate con materiali<br />

industriali, cioè con gli stessi elementi<br />

con cui gli uomini “fabbricano” l’ambiente<br />

dell’esistenza, “urbanizzano” il territorio.<br />

Ciò che si propone non è più una sintesi<br />

delle arti intesa come principio formale dato<br />

a priori, ma una confl uenza terminale delle<br />

esperienze ormai esaurite della pittura, della<br />

scultura, dell’architettura, e convogliate in<br />

un’unica, grandiosa ipotesi “urbanistica”.<br />

Al limite, si considerano potenzialmente<br />

estetici tutti gli interventi operativi nella<br />

città e nel territorio; la materia su cui e con<br />

cui opera l’artista scavando, costruendo,<br />

inserendo nuovi elementi, creando circuiti<br />

luminosi è dunque la realtà stessa”.<br />

Tratto da G.C. Argan, “L’arte moderna –<br />

1770-1970”.<br />

La terza edizione di “<strong>Arte</strong>insegna” dal titolo<br />

“<strong>CHIARImenti</strong>” nasce dalla collaborazione<br />

determinante di tanti nuovi soggetti<br />

protagonisti, allo scopo di ridefi nire e<br />

ribadire con forza le qualità originarie di<br />

questo progetto, ideato per coniugare<br />

nuove modalità di relazioni all’interno dei<br />

nostri sistemi sociali che ne determinino lo<br />

sviluppo civile, economico, culturale.<br />

Epicentro catalizzante di questa galassia<br />

di soggetti diversifi cati a confronto, gli<br />

splendidi spazi di Villa “Mazzotti-Biancinelli”.<br />

Essa è stata il luogo della storia, della<br />

cultura, dell’economia imprenditoriale e dei<br />

legami sociali con il territorio circostante e<br />

non solo: è quindi lo spazio ideale per un<br />

confronto vero.<br />

Determinante anche la scelta politica della<br />

città di Chiari di stimolare ed accogliere<br />

l’incontro inedito del creativo mondo<br />

dell’arte, in sperimentale simbiosi con la<br />

produzione tecnologica industriale di aziende<br />

italiane del settore della comunicazione<br />

illuminotecnica, favorendo l’obiettivo<br />

centrale del progetto “<strong>CHIARImenti</strong>”: far<br />

percepire diffusamente alla società e al<br />

mondo economico l’arte e la cultura come<br />

risorsa strategica di crescita all’interno<br />

delle sfi de globali, oltre che come elementi<br />

di snodo tra territorio, comunità e attività<br />

produttive.<br />

In questi anni l’arte contemporanea è<br />

divenuta consapevole di avere esaurito,<br />

con la fi ne del Novecento, un secolare<br />

ciclo d’indagini all’interno dei suoi codici<br />

alfabetici, che la ricchezza di questa mostra<br />

in parte presenta, e quindi non può perdere<br />

l’opportunità che sempre l’ha caratterizzata<br />

nella storia: essere motore protagonista dei<br />

cambiamenti sociali del suo tempo.<br />

Oggi, essa si presta in particolare ad essere<br />

il tramite della contaminazione tra nuove,<br />

più fl uide “forme di pensiero” in grado di<br />

favorire la produzione di nuovi modelli<br />

possibili d’identità sociale e suggerire<br />

percorsi di relazioni segnati dal rispetto e<br />

valorizzazioni delle diversità.<br />

Inoltre, in questo progetto è presente<br />

l’intenzione di stimolare l’assunzione di<br />

responsabilità in un nuovo e più ampio


uolo del fare, non condizionato dagli<br />

attuali modelli “autoreferenziali” dove risulti<br />

centrale la capacità di gestire un diverso<br />

processo di comunicazione con i soggetti<br />

protagonisti della società.<br />

“<strong>CHIARImenti</strong>” è un laboratorio di idee,<br />

quindi, in cui, partendo dalla storia<br />

recente, si confrontano artisti nazionali ed<br />

internazionali di generazioni e tendenze<br />

linguistiche diverse, chiamati a testimoniare<br />

e sperimentare in totale libertà modelli e<br />

processi diversi di relazioni ideali, tecnologici<br />

e fi losofi ci, nell’intento di superare i confi ni<br />

in atto tra i vari saperi e promuovere un<br />

maggiore collegamento a favore dello<br />

sviluppo della comunità.<br />

All’interno del progetto espositivo, una serie<br />

di lavori storici dialogheranno con opere<br />

inedite, appositamente create nei laboratori<br />

delle aziende dell’Associazione Italiana<br />

Fabbricanti Insegne Luminose A.I.F.I.L.<br />

per l’occasione, opere e relazioni ideate<br />

e caratterizzate da un lavoro di ricerca ad<br />

alto contenuto qualitativo, dove le pratiche<br />

artistiche non sono intese solo come<br />

prodotto ma come processo, superando di<br />

fatto le vecchie modalità di sponsorizzazione<br />

o puro mecenatismo e collezionismo, in cui<br />

sono stati relegati i mondi della produzione<br />

industriale delle imprese e delle politiche<br />

territoriali delle città.<br />

Ritrova così continuità e sviluppo l’obiettivo<br />

di questa terza edizione di <strong>Arte</strong>insegna<br />

“<strong>CHIARImenti</strong>”, con la convinzione profonda<br />

che l’arte insegna ad ascoltare i valori<br />

elaborati e chiariti in questo progetto, dove<br />

i codici dell’arte incontrano e ritrovano le<br />

matrici dei territori all’interno del cantiere<br />

che ospita i lavori in corso ad alta velocità<br />

della globalizzazione, con la dichiarata<br />

intenzione di fare parte delle maestranze<br />

operative che cercheranno di dare senso con<br />

le culture dell’arte al costruirsi degli eventi.<br />

Adolfo Lugli<br />

9 pagina


luce-arte-industria, una storia ancora da<br />

raccontare.<br />

“…Chiediamo a tutti gli uomini di scienza<br />

del mondo, i quali sanno che l’arte è una<br />

necessità vitale della specie, che orientino<br />

una parte delle loro investigazioni verso la<br />

scoperta di questa sostanza luminosa e<br />

malleabile…”. (1)<br />

Un appello. Una richiesta. Una speranza<br />

carica di promesse e di premonizioni. Con<br />

queste parole Lucio Fontana si esprimeva<br />

nel “Manifi esto Blanco”. Era il 1946: forte<br />

delle esperienze e dei linguaggi artistici<br />

legati e indotti dalle scoperte scientifi che<br />

del Novecento, l’artista chiedeva a scienziati,<br />

tecnici, esperti di settore, industriali, di donare<br />

una parte del loro sapere e dei loro strumenti<br />

ad una “…arte spaziale, per ora, neon, luce<br />

di Wood, televisione, la quarta dimensione<br />

ideale dell’architettura…si va formando una<br />

nuova estetica, forme luminose attraversano<br />

gli spazi”. (2)<br />

È con queste parole che ritengo possano<br />

condensarsi lo spirito e le tensioni che<br />

animano e si ritrovano in questa mostra,<br />

dedicata, in primo luogo, alla luce, da oltre<br />

un secolo medium espressivo dell’arte<br />

contemporanea: strumento e insieme<br />

linguaggio, forma e dimensione, materiale<br />

costruttivo e fonte d’ispirazione sempre<br />

diversa anche per le oltre trenta opere<br />

esposte, alcune delle quali, ci tengo a dirlo<br />

fi n da ora, site-specifi c. Tutte chiamate<br />

a confrontarsi con gli spazi di una sede<br />

espositiva abbastanza “impegnativa”, carica<br />

di storia, e “fi sicamente” ricca di arredi,<br />

elementi decorativi e presenze architettoniche<br />

che volutamente abbiamo lasciato interagire<br />

con le opere stesse, chiedendo agli artisti<br />

di metterle in relazione il più strettamente<br />

possibile con gli ambienti e le strutture<br />

esistenti. Una liaison riuscita, credo, come<br />

testimoniano le immagini riprodotte in<br />

catalogo.<br />

Neon, luce di Wood, luce elettrica. Prismi<br />

luminosi, light box, ombre di luce. Sinestesie<br />

e contrasti. Environments e lettering. Insegne<br />

e scritture di luce. Luci polarizzate, pulsanti,<br />

soffuse. Dichiarate e sottintese. Accennate<br />

ed esaltate.<br />

Procediamo con ordine.<br />

Se è vero che la storia dell’arte è – anche –<br />

una delle possibili storie della luce, naturale<br />

e artifi ciale, spontanea o progettata, (3) le<br />

relazioni fra luce, arte e industria, il legame<br />

con le scienze, con l’architettura e con la<br />

tecnologia, ed il ruolo giocato dalle aziende<br />

produttrici di luce nei confronti delle richieste<br />

degli artisti, si evidenziano soprattutto agli<br />

albori della Modernità, fra la fi ne del XIX e<br />

l’inizio del XX secolo: quando la creazione<br />

artistica si confronta e relaziona con le<br />

forme e le dimensioni delle nuove metropoli<br />

illuminate, fonti di choc visivo e di suggestioni;<br />

dove le luci a gas prima, elettriche poi, ad<br />

arco, a incandescenza, stimolano racconti,<br />

suscitano tensioni creative, eccitano nuove<br />

iconografi e, provocano ora sotterranei<br />

smarrimenti ora esaltanti illuminazioni. Fra<br />

deliri da Notti bianche e stupori di Passages,<br />

occhi sorveglianti di vigili lanterne ed effi mere<br />

trasparenze di padiglioni da Esposizioni<br />

Universali, splendori di Gallerie Umbertine e<br />

sospiri di Ville Lumiere, la ricerca artistica ora<br />

s’accecava, ora si rischiarava di fronte alle<br />

nuove scoperte scientifi che e tecnologiche<br />

nel campo della luce. (4)<br />

Una storia che, volendo tenere saldi i tre<br />

riferimenti del titolo della mostra, potrebbe<br />

essere raccontata in due scenari paralleli,<br />

eppure tangenti, sui quali s’incrociano<br />

esperienze diverse: dove la luce si traduce<br />

in segno e forma di un rapporto irrazionale<br />

con l’arte, innescando un cortocircuito


semantico; dove la luce si piega a simbolo e<br />

strumento di una progettazione razionale.<br />

A grandi linee, affondando nei secoli, il primo<br />

percorso parte allora da un concetto di luce<br />

come mezzo spettacolare e coinvolgente, dalla<br />

città della festa e della parata barocca all’opera<br />

d’arte totale (Gesamtkunstwerk), per passare<br />

alla luce fonte di choc, alla luce suggestiva<br />

e romantica, nell’arte e nelle metropoli di<br />

fi ne Ottocento, e successivamente alla luce<br />

fantastica, avvenirista, provocatoria ed<br />

esasperata, sorta nelle nevrosi elettriche del<br />

Novecento, fra futurismo ed espressionismo;<br />

un percorso affascinante che approda alla<br />

luce-icona della civiltà dei consumi, sorta<br />

nei frastuoni del boom economico e memore<br />

del fatuo splendore della merce mostrata,<br />

dalle Esposizioni Universali agli Shopping-<br />

Mall; alla luce dichiarata, eccentrica e<br />

sfacciata nelle opere-logo-insegna pop ed<br />

optical degli anni Sessanta – cresciuta nel<br />

mito di Londra, New York (5) e Las Vegas (6)<br />

– per approdare alle odierne ricerche<br />

artistiche dove la luce diventa segno fl uido,<br />

scrittura urbana, epidermide pulsante, fra<br />

metropoli postmoderne ed opere nate per<br />

contaminazione di linguaggi, frutto di altre<br />

ibridazioni e melting pot linguistici e sociali.<br />

Questo ci raccontano le opere storiche dei<br />

Fluxus Patterson e Corner, le ricerche di<br />

Lugli (per altro verso tese ad un confronto<br />

progettuale con la storia), Faita, Laveri, quelle<br />

dei giovani Cullinan + Richards, De Molfetta,<br />

Samoré.<br />

Il secondo percorso potrebbe invece iniziare<br />

fra le ricerche illuministe – dove la lucesimbolo-della-ragione<br />

individua forme<br />

aprioristiche, assolute, modelli fondativi e<br />

simbolici di una ratio creativa ed urbanistica;<br />

proseguendo nel racconto si dovrebbe parlare<br />

di quella luce che, irradiandosi nelle ricerche<br />

progressiste e scientifi che dell’Ottocento, si<br />

staglia poi sulle grandi speranze progettuali<br />

del Razionalismo e del Funzionalismo, in pieno<br />

Novecento. Una luce capace di unire arte e<br />

industria, diventata strumento d’indagine<br />

delle avanguardie Bauhaus, costruttiviste e<br />

De Stijl; costruzioni di aria e di luce, chiedeva<br />

d’altra parte Léger, dalle fi la del movimento<br />

purista; luce come defi nizione di volumi, luce<br />

con la quale misurare Modulor onnipotenti,<br />

auspicava Le Corbusier, trovando nella luce<br />

naturale il simbolo e lo strumento della sua<br />

Ville Radieuse…Memori di queste esperienze,<br />

rielaborate alla luce di linguaggi personali,<br />

le “Luci metarazionali” di Bonetti, le pieghe<br />

architettoniche della DePonti.<br />

Per entrambi i percorsi tematici, sono gli anni<br />

Cinquanta, o meglio sarebbe dire il secondo<br />

dopoguerra, il momento fondamentale dove<br />

la luce diventa medium artistico capace di<br />

rimescolare le carte, di rimettere in gioco<br />

forme e funzioni, strumento espressivo del<br />

recupero di un sentire individuale e di una<br />

dimensione liberatoria, capace di oltrepassare<br />

l’impasse totalizzante del mito igiene +<br />

estetismo di matrice razionalista e di aprire<br />

nuove strade alla ricerca creativa.<br />

Fondamentale, anche in questo momento,<br />

l’apporto delle scoperte scientifi che, molte<br />

delle quali destinate ad avere grande<br />

incidenza sull’uso e sulla conoscenza della<br />

luce: basti rifl ettere che gli anni Quaranta<br />

si chiudevano con la rifl essione sul fl agello<br />

atomico, portando l’individuo e la collettività<br />

a prendere coscienza di una nuova concezione<br />

dello spazio e della materia e ad assumere<br />

“…una struttura psichica differente…col<br />

variare delle nozioni scientifi che e tecniche…i<br />

gesti scientifi ci provocano sempre gesti<br />

artistici…”: è ancora Fontana a parlare, nel<br />

1947.<br />

Senza volerli fare protagonisti assoluti delle<br />

rifl essioni e delle ricerche espressive del<br />

tempo, sono proprio gli Spazialisti, stretti<br />

attorno all’argentino, ad aver provato a dare<br />

11 pagina


forma a quel vuoto e a quella luce nati da<br />

un nuovo concetto di materia, sorti nello<br />

spazio-tempo quadridimensionale della fi sica<br />

subatomica. Bisognava allora fermarsi a<br />

rifl ettere sulla fenomenologia di Husserl, sulle<br />

teorie della conoscenza di Henry Bergson,<br />

sul relativismo einsteiniano, sull’immaginario<br />

collettivo che andava delineandosi in<br />

seguito alle scoperte di mondi diversi, quello<br />

microscopico dell’atomo e del gene e quello<br />

macroscopico dell’universo, dello “spazio<br />

curvato dal tempo”. Luce-materia-energia<br />

plasmante: inevitabile, d’altra parte, ora il<br />

richiamo alle esperienze futuriste, ora lo<br />

sforzo sempre più pressante di tradurre<br />

l’opera-oggetto in uno spazio-ambiente in<br />

cui agire, muoversi, sperimentare se stessi in<br />

rapporto, innanzitutto, ai propri bisogni, ai<br />

propri desideri, alle proprie reazioni.<br />

Ma questa è un’altra storia affascinante,<br />

dove arte, luce e industria sono ancora<br />

protagoniste: una storia che racconta le<br />

vicende e i passaggi dall’oggetto all’opera<br />

al monumento-struttura luminoso fi no<br />

all’environment di suoni e luci, ambiente<br />

appositamente creato e costruito ai fi ni di<br />

un coinvolgimento e di un’indagine sul ruolo<br />

dell’artista nei confronti dello spettatore – o,<br />

come si diceva a partire dagli anni Sessanta,<br />

dell’operatore culturale nei confronti del<br />

fruitore, destinato a diventare co-autore<br />

dell’opera stessa: ed anche quest’ultima è<br />

un’altra, importante linea di ricerca che offre<br />

la mostra grazie alla presenza di Munari,<br />

da sempre attento al rapporto fra arte<br />

educazione e visione, di Biasi che con l’ “Eco”<br />

chiama in causa il pubblico per completare<br />

l’opera, mentre con il “Light Prisms” ne<br />

osserva le risposte-interazioni, come, su una<br />

linea più analitica, fa anche Bernardini.<br />

Per tornare alla storia che prima accennavo,<br />

se l’opera di Munari è memore delle<br />

pionieristiche opere cinetiche degli anni Venti<br />

e Trenta – gli oggetti e i modulatori di luce di<br />

Pevsner e Gabo, il “Lichtrequisit” di Moholy<br />

Nagy – la sua ricerca fu anche lo stimolo<br />

delle indagini compiute dai gruppi dell’<strong>Arte</strong><br />

Programmata a partire dalla fi ne degli anni<br />

Cinquanta e per tutto il corso del decennio<br />

successivo (dal Gruppo Enne, di cui ha fatto<br />

parte lo stesso Biasi, ai Gruppi MID e T di<br />

Milano). Fu allora, infatti, che si moltiplicavano<br />

i tentativi di estendere le ricerche luminose<br />

legate ad oggetti, strutture e quadri di luce<br />

alla creazione di ambienti appositamente<br />

creati e progettati, di cui il “Light Prisms-<br />

Macchina dell’Arcobaleno” di Biasi è esempio<br />

e modello fondamentale. In mezzo ai due<br />

estremi, l’oggetto e l’ambiente, quelle opere<br />

concepite come sculture, monumenti e<br />

strutture di luce, fi nalizzate ad interagire<br />

con lo spazio circostante, connotandolo e<br />

trasformandolo, grazie ad effetti luminosi<br />

di polarizzazione, trasparenza, vibrazione,<br />

intercezione, trasmissione, rifl essione e<br />

proiezione. (7)<br />

Bisognerebbe poi puntualizzare le diverse<br />

direzioni di ricerca della mostra, ovvero<br />

specifi care quale luce, quale linguaggio della<br />

luce sia stato prevalentemente indagato,<br />

scelto e prima ancora “sentito” dagli artisti<br />

esposti in mostra: volendo dare alcune<br />

indicazioni, luce come strumento di analisi<br />

ottico-percettiva, di formazione gestaltica, di<br />

interazione, da Munari a Bonetti a Marsiglia;<br />

luce come scrittura analitica, del tempo in<br />

Bonamini, concettuale in Kosuth, del segnoicona<br />

in Lugli; luce come elemento grafi coprogettuale,<br />

in DePonti; luce come mezzo<br />

d’azione pluri-sensoriale, per i F-lux-US (così<br />

mi piace pensare il loro nome, visto il tema<br />

espositivo) Corner e Patterson… (8)<br />

Ma alquanto sterile sarebbe stato raccontare<br />

i ventidue artisti presenti in sezioni<br />

distinte e percorsi slegati gli uni dagli altri:<br />

preferendo suddividerli per la loro “presenza


cronologica” nella storia dell’arte, io e Luca<br />

Panaro abbiamo voluto lasciare che ciascuna<br />

loro opera potesse provare a contaminarsi,<br />

fondersi, differenziarsi con e rispetto ad ogni<br />

altra.<br />

Come la luce, l’arte e l’industria, da oltre un<br />

secolo, hanno saputo fare e raccontare.<br />

NOTE<br />

Ilaria Bignotti<br />

1) L. Fontana con B. Arias, H. Cazenueve, M. Fridman, P.<br />

Arias, R. Burgos, E. Benito, C. Bernal, L. Coll, A. Hansen, J.<br />

Roccamonte, “Manifi esto Blanco”, Buenos Aires 1946.<br />

2) L. Fontana, “Manifesto tecnico”, Milano 1951, letto in<br />

occasione del I Congresso Internazionale delle Proporzioni<br />

alla IX Triennale di Milano del 1951. Completo di bibliografi a<br />

e regesto dei testi il catalogo “Lucio Fontana”, a cura di E.<br />

Crispolti e R. Siligato, catalogo della mostra, Roma, Palazzo<br />

delle Esposizioni, 3 aprile-22 giugno 1998, Milano 1998.<br />

3) Affascinante la lettura e l’analisi del rapporto fra arte<br />

e luce di Hans Sedlmayr, “La luce nelle sue manifestazioni<br />

artistiche”, a cura di R. Masiero, Palermo, Aesthetica 1989.<br />

Importante momento di rifl essione e analisi la mostra e il<br />

catalogo “Licht Kunst aus Kunstlicht”, a cura di P. Weibel,<br />

G. Jansen, 19 novembre 2005-6 agosto 2006, Zentrum für<br />

Kunst und Medientechnologie Karlsruhe, Karlsruhe 2006.<br />

4) Per indicazioni bibliografi che, letture, attenti e originali<br />

approfondimenti sulle relazioni fra città moderna ed<br />

illuminazione artifi ciale, dall’800 ad oggi, rimando a “Città<br />

e luce. Fenomenologia del paesaggio illuminato”: ricerche,<br />

conferenze, interventi, mostra e pubblicazioni coordinati<br />

e curati da Francesca Zanella in occasione del Festival<br />

dell’Architettura di Parma, Modena e Reggio Emilia, 2007-<br />

2008, pubblicati sul sito www.festivalarchitettura.it.<br />

5) Imprescindibile la lettura di R. Koolhas, “Delirious New<br />

York – Un manifesto retroattivo per Manhattan”, prima<br />

edizione New York 1978, edizione italiana a cura di M.<br />

Biraghi, Milano, Electa 2001.<br />

6) Come meglio approfondisco nell’intervento dedicato<br />

a Vincenzo Marsiglia, rimando ad un altro testo<br />

fondamentale: R. Venturi, D. Scott Brown, “Learning<br />

from Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma<br />

architettonica”, prima edizione Londra, MIT Press 1972.<br />

7) Rimando alla mia ricerca, dove ho affrontato l’analisi del<br />

rapporto luce-ricerche artistiche dagli anni Cinquanta agli<br />

anni Settanta attraverso sei “nodi” tematici: “dall’oggetto<br />

luminoso all’environment di luci allo spazio urbano”; “il<br />

ruolo della luce nella critica al Funzionalismo Modernista<br />

e nella rifl essione sulle avanguardie storiche”; “la funzione<br />

della luce nel superamento della cultura informale”;<br />

“luce fra individuo e collettività-artista e fruitore”; “luce<br />

irrazionale/luce razionale: luce-progetto e luce-choc”;<br />

“la funzione della luce fra scienza e arte”, in occasione<br />

del Festival dell’Architettura 2007-2008, ma vedi nota 4,<br />

www.festivalarchitettura.it.<br />

8) Sulla base di queste indicazioni generali e direzioni di<br />

ricerca del progetto espositivo, non sono state prese in<br />

considerazione né la corrente dell’<strong>Arte</strong> Povera, né quella<br />

della Minimal Art, pur considerandole teoricamente e<br />

riconoscendone l’importanza all’interno di una storia del<br />

rapporto fra arte, luce e industria.<br />

13 pagina


Artisti & Percorsi<br />

Le ricerche storiche<br />

Alberto Biasi<br />

Philip Corner<br />

Joseph Kosuth<br />

Bruno Munari<br />

Ben Patterson


ALBERTO BIASI, Padova 1937<br />

Fra i principali esponenti delle ricerche<br />

artistiche programmate e cinetiche,<br />

membro del Gruppo Enne di Padova, attivo<br />

nel movimento “Nuove Tendenze” che fra<br />

Zagabria, Parigi e Venezia, dal 1961, unì artisti<br />

di provenienza internazionale…vastissima,<br />

anche ad uno sguardo rapido, è stata in<br />

oltre quarant’anni la sua attività espositiva;<br />

sfaccettata e versatile la sua ricerca, dove<br />

la luce artifi ciale ha spesso giocato il ruolo<br />

di indiscussa protagonista, dall’oggettoopera<br />

alla realizzazione di environments alle<br />

estensioni e verifi che urbane. (1)<br />

Insieme alle categorie del movimento, alle<br />

indagini sul ruolo dell’artista in relazione al<br />

gruppo di lavoro, allo spettatore, al contesto<br />

spazio-temporale, fi n dalla sua prima mostra<br />

nello Studio Enne di Padova Biasi constatava<br />

che, se “…lo studio sempre più oggettivo<br />

delle fi gure spaziali in natura dimostrò che<br />

queste si formano per una doppia tensione<br />

che parte dal centro e vi ritorna... [e] il mezzo<br />

pittorico tradizionale si rivelò inadatto<br />

ad una simile raffi gurazione…”, poteva<br />

essere la luce a tornare “…nel quadro, non<br />

più come interpretazione personale, ma<br />

come fatto fi sico che supera la limitazione<br />

bidimensionale della superfi cie”.<br />

Il dualismo fra programmazione e azzardo,<br />

laddove se l’opera è sempre perfettamente<br />

calcolata in ogni suo aspetto tecnico e<br />

tecnologico, il fruitore che è chiamato a<br />

completarla, a riempirla di senso attraverso<br />

risposte personali e quindi estemporanee,<br />

può stravolgerla completamente nel<br />

meccanismo, scegliendo come comportarsi e<br />

se e come interagire con essa (2) ; la costante<br />

tensione verso l’estensione dell’opera da<br />

oggetto ad ambiente, rispondente alla<br />

necessità di verifi care, attraverso il salto<br />

di scala, la sua reale trasformazione in uno<br />

spazio dove intervenire direttamente, in uno<br />

spazio, dunque, dove opera e spettatore non<br />

siano più separati, ma uniti e confrontati<br />

da una serie di relazioni tra movimento<br />

illusorio e spazio reale, e viceversa;<br />

l’introduzione della luce artifi ciale quale<br />

contributo fondamentale del cambiamento<br />

di percezione consueta della realtà, sia essa<br />

temporale o spaziale: sono, queste, alcune<br />

tematiche che tornano nelle tre opere<br />

esposte, appartenenti a diversi stadi della<br />

sua ricerca.<br />

Con il “Light Prisms”, la cui prima versione<br />

(1962-1965) era concepita come operaquadro<br />

luminoso che interagiva con il<br />

luogo dove era collocata, totalmente<br />

oscurato, Biasi lavora sul concetto di<br />

environment, ambiente appositamente<br />

costruito e destinato a chiarire il dualismo<br />

implicito dell’arte programmata in quanto,<br />

come dice egli stesso “…viene percepita la<br />

compresenza di più segni in trasformazione<br />

secondo un calcolo aperto al disordine<br />

e contemporaneamente al ricomporsi in<br />

geometrie e armonie dell’insieme. I segni<br />

sono in continua mutazione di colore<br />

essendo risultante quest’ultimo dalla<br />

scomposizione prismatica della luce e<br />

dalla successiva selezione delle bande<br />

colorate tramite blocchi trasparenti<br />

in movimento rotatorio”. L’ambiente<br />

è composto infatti da una superfi cie<br />

calpestabile bianca dove sono disposti dei<br />

prismi che scompongono la luce in bande<br />

colorate e dei corpi rifrangenti illuminati e<br />

colorati dalla luce fi ltrata dei prismi stessi.<br />

Tali blocchi, che si rifl ettono negli specchi<br />

disposti lungo i percorsi, ruotano ciascuno<br />

attorno ad un proprio asse, senza reciproci<br />

contatti; l’interrelazione avviene invece<br />

attraverso il rimando continuo di raggi<br />

luminosi di colore cangiante e in continuo<br />

movimento che creano una serie di rinvii.<br />

La combinazione movimento-luce consente<br />

non solo la creazione d’inedite vibrazioni


spaziali, ma suggerisce all’immaginazione<br />

dello spettatore ambigue compenetrazioni<br />

dimensionali. (3)<br />

La versione presentata di “Eco”, esposta<br />

per la prima volta al Padiglione d’<strong>Arte</strong><br />

<strong>Contemporanea</strong> di Ferrara nel 1976, consiste<br />

in una tela rettangolare che, essendo stata<br />

trattata con materiali fotosensibili, assume<br />

la peculiarità di poter essere impressionata<br />

per breve tempo, quasi si trattasse di un<br />

procedimento fotografi co; l’opera indaga<br />

soprattutto il ruolo del fruitore, chiamato<br />

a completarla attraverso la presenza del<br />

proprio corpo o di parte di esso: il risultato<br />

consiste nella traccia lasciata, per un tempo<br />

di circa trenta secondi, sulla tela stessa.<br />

L’artista, concedendo allo spettatore la<br />

discrezionalità del gesto, non ne vincola<br />

NOTE<br />

1) Completata da una attenta bibliografi a è la pubblicazione<br />

“Alberto Biasi – Antologica”, a cura di G. C. Argan, D.<br />

Banzato et al., catalogo della mostra, Padova, Museo Civico<br />

agli Eremitani, 25 giugno-30 ottobre 1988, Padova 1988.<br />

2) Cito solo il pionieristico saggio di Umberto Eco,<br />

“<strong>Arte</strong> programmata, arte cinetica, opere moltiplicate,<br />

opera aperta” pubblicato per la prima volta in occasione<br />

della mostra “<strong>Arte</strong> Programmata” la cui prima sede<br />

espositiva fu il Negozio Olivetti a Milano, organizzata<br />

da Bruno Munari e Giorgio Soavi cui partecipavano:<br />

Giovanni Anceschi (Percorsi fl uidi orizzontali); Davide<br />

Boriani (Superfi cie magnetica); Gianni Colombo<br />

(Strutturazione fl uida); Gabriele De Vecchi (e.r.m.n.t. 1961);<br />

Enzo Mari (Opera n. 649); Bruno Munari (Nove sfere in<br />

le forme d’intervento, e permette così una<br />

continua variabilità e casualità d’immagini:<br />

l’opera e l’individuo, mediante la loro<br />

interazione, generano quindi un processo di<br />

continuo divenire soggetto-oggetto.<br />

Infi ne, “Luce…e la sua ombra”, pare quasi<br />

essere la visualizzazione concettuale e<br />

ridotta ai minimi termini delle sue ricerche<br />

con la luce: l’opera consiste infatti in una<br />

superfi ce bianca, illuminata da una lampada<br />

che, pur essendo essa stessa fonte di luce<br />

e non potendo dunque avere ombra, qui la<br />

“ritrova”. “In altre parole – racconta Biasi<br />

– ecco che anche la luce…possiede la sua<br />

ombra. E l’ombra diventa il doppio della<br />

luce. Qualcuno sostiene che l’ombra sia<br />

l’occultamento della verità…in questo caso<br />

occulta o svela la vera luce?”<br />

I. B.<br />

colonna); Gruppo N (Rilievo ottico-dinamico, Visione<br />

dinamica, Interferenza geometrica, Bispazio Instabile) e<br />

Grazia Varisco (Ox9xX). Ampliata con il G R A V e Alviani,<br />

la stessa mostra passava a Venezia e a Roma nello stesso<br />

anno.<br />

3) Per ulteriori approfondimenti rimando alle ricerche ed<br />

alla conferenza tenuta da Alberto Biasi a Parma, Ridotto<br />

del Teatro Regio, giovedì 13 dicembre 2007 in occasione<br />

di “Città e luce. Fenomenologia del paesaggio illuminato”:<br />

ricerche, conferenze, interventi, mostra e pubblicazioni<br />

coordinati e curati da Francesca Zanella con I. Bignotti,<br />

M. Scotti, V. Strukelj et al., in occasione del Festival<br />

dell’Architettura di Parma, Modena e Reggio Emilia, 2007-<br />

2008, pubblicati sul sito www.festivalarchitettura.it.<br />

17 pagina


Alberto Biasi<br />

Light Prisms, Macchina dell’Arcobaleno<br />

2000 (rifacimento della prima versione 1962-1969)<br />

superfi cie calpestabile in moquette bianca, blocchi sfaccettati in metacrilato, elettromotori,<br />

specchi laterali, modulatori di luce, prismi di cristallo<br />

m. 6 x 4 circa<br />

19 pagina


Alberto Biasi<br />

Eco<br />

1974<br />

tempera fosforescente su tela e luce di Wood<br />

cm. 210 x 125<br />

21 pagina


23 pagina<br />

Alberto Biasi<br />

Luce…e la sua ombra<br />

2004<br />

lampadina, sagomatore di luce, pannelli in legno<br />

cm. 40 x 50 x 25


PHILIP CORNER, New York 1933<br />

Segue “più che la tattica di sperimentazione<br />

di nuovi linguaggi, la strategia del contagio<br />

sociale. La possibilità, cioè, di creare una serie<br />

di reazioni a catena, onde magnetiche al di<br />

sotto e al di sopra dell’arte…”: così Achille<br />

Bonito Oliva a proposito di Fluxus, uno dei<br />

movimenti meno defi nibili, proprio perché<br />

più “contaminati” nel linguaggio espressivo,<br />

della storia dell’arte contemporanea,<br />

al cui fl usso inarrestabile Philip Corner,<br />

uffi cialmente compositore musicale, ha<br />

aderito fi n dai primi anni Sessanta. (1)<br />

Una stele tantrica lunga sei metri,<br />

successione di onde luminose che paiono<br />

seguire un’ipnotica scala musicale; linee di<br />

neon colorato segnano passaggi di suoni,<br />

fl uire di meditazioni, invadono lo spazio<br />

e sembrano ripetersi per una reazione a<br />

catena. Ecco un’opera Fluxus: laddove<br />

il linguaggio delle forme ed il medium<br />

utilizzato, il neon, sono, appunto, un mezzo<br />

attraverso il quale rilanciare stimoli, azioni<br />

e risposte, suggerire gesti e cavar fuori<br />

parole, innescare provocazioni e tensioni<br />

(basti pensare al titolo dell’opera da cui<br />

scaturisce la collisione fra religione ebraica<br />

e meditazione orientale) che concorrono<br />

a formare l’evento totale. Una totalità<br />

che in Fluxus nasce dalla cleptomania<br />

di ogni tecnica e linguaggio possibili,<br />

dalla interdisciplinarietà e dall’incrocio<br />

con le esperienze situazioniste europee e<br />

giapponesi Gutai.<br />

Per primo è l’artista Fluxus a sapere<br />

contaminare la propria forma espressiva:<br />

così è per Philip Corner, la cui storia inizia<br />

con gli studi musicali prima alla Columbia<br />

University, poi al Paris Conservatoire,<br />

passando attraverso diverse scuole ed<br />

approdando a Fluxus fi n dai primi anni<br />

Sessanta, come compositore e musicista<br />

presso il Judson Dance Theatre fra il<br />

1962 e il 1964 e successivamente presso<br />

l’Experimental Intermedia Foundation.<br />

Studi sulla calligrafi a e sul suono coreani,<br />

con i quali confrontare la propria musica,<br />

carica di esplorazioni nella sonorità<br />

spontanea, non intenzionale, pronta ad<br />

aprirsi all’improvvisazione ed alla gestualità,<br />

ma anche alla meditazione orientale; capace<br />

di contagiarsi con gli strumenti musicali non<br />

occidentali, ma anche appartenenti a epoche<br />

lontane come il Barocco, ed ovviamente alle<br />

recenti trovate dell’elettronica.<br />

Fondamentale, infi ne, l’interazione della<br />

musica con i linguaggi artistici: da questo<br />

derivano infatti i numerosi assemblages<br />

e collages, le scritture-dipinto e le opere<br />

multimediali di Corner.<br />

Come la “Stella di David tantrica”, ipnotico<br />

concerto di forme geometriche imbevute<br />

di fi losofi a, sapere esoterico, perfezione<br />

geometrica e dinamismo ritmico: stele muta,<br />

stendardo luminoso destinato a vegliare sul<br />

violento moto dell’arte di Fluxus, quasi fosse<br />

l’ultima stazione alla quale sia concesso<br />

all’artista di meditare e sostare, prima di<br />

irrompere nella vita.<br />

I. B.


NOTE<br />

1) Achille Bonito Oliva, Fluxus, in “L’<strong>Arte</strong> oltre il Duemila”,<br />

Firenze, Sansoni, prima ed. 1991. Achille Bonito Oliva<br />

è stato, fra l’altro, il curatore della mostra “Ubi Fluxus<br />

ibi motus – 1990-1962” tenutasi agli Ex Granai della<br />

Repubblica alle Zitelle, Giudecca, 26 maggio-30 settembre<br />

1990, in occasione della XLIV Esposizione Internazionale<br />

d’<strong>Arte</strong> La Biennale di Venezia. Nato nel 1962 sotto<br />

il coordinamento del lituano George Maciunas, la<br />

prima collettiva del movimento “Fluxus Internationale<br />

Festspiele” fu a Wiesbaden, nello stesso anno. Il festival<br />

fu effettivamente una delle migliori forme di espressione<br />

e di sperimentazione del movimento: da ricordare inoltre il<br />

“Festival Fluxorum Fluxus”, allestito alla Kunstakademie di<br />

Düsseldorf nel febbraio 1963.<br />

Philip Corner<br />

Stella di David tantrica<br />

1994<br />

neon<br />

cm. 600 x 122 x 100<br />

Courtesy Collezione Cattelani, Baggiovara (Mo)<br />

25 pagina


27 pagina


JOSEPH KOSUTH, Toledo, Ohio 1945<br />

“Il neon ha una fragilità che lo rende più<br />

simile alla scrittura. Non è permanente. Ha<br />

una diversa dimensione della permanenza”. (1)<br />

“Red”: lampante tautologia, luce che scrive<br />

e comunica l’evidenza di ciò che si vede.<br />

Un’opera che apparentemente altro non fa,<br />

se non “dire” se stessa. Proclamarsi.<br />

Metà degli anni Sessanta: la Pop Art è nel<br />

pieno fulgore, dirompe e tracima oltre gli<br />

argini di critica e pubblico, tesa a rifl ettere<br />

sempre più lucidamente sui temi del logo<br />

e del marchio, dell’oggetto e della merce.<br />

D’altra parte, le esperienze del Minimalismo:<br />

le verifi che sul rapporto forma-signifi cato,<br />

le riduzioni ad operare in nome di un’arte<br />

del levare, destinata ad estendersi dall’opera<br />

plastica o pittorica all’ambiente, artifi ciale e<br />

naturale, fi no ad incrociarsi con la Land Art.<br />

Analisi linguistiche e semantiche che<br />

l’arte concettuale, negli stessi anni, aveva<br />

avviato attraverso esperienze e personalità<br />

disparate, dal gruppo inglese “Art and<br />

Language” a Sol Le Witt, dal belga<br />

Broodthaers agli americani Bochner,<br />

Darboven e, naturalmente, Joseph Kosuth.<br />

Nel 1969, un anno in anticipo rispetto alla<br />

prima esposizione sull’arte concettuale,<br />

“Conceptual Art and Conceptual Aspects”<br />

allestita al New York Cultural Center, esce<br />

il suo testo “Art after Philosophy”, teso ad<br />

indagare le relazioni fra la speculazione<br />

fi losofi ca e quella artistica: necessaria<br />

rifl essione per l’artista americano che,<br />

avendo intrecciato gli studi in antropologia<br />

e fi losofi a a quelli seguiti alla School of<br />

Visual Arts di New York, provava fi n dalle<br />

prime opere a fondere le fonti più disparate,<br />

dalle defi nizioni lessicali alla Stele di Rosetta,<br />

indagando sui testi di Freud, Thomas Mann<br />

e Kafka, nel tentativo di “tematizzare” le<br />

domande, le questioni poste dal confl itto<br />

fra arte e linguaggio, arte e signifi cato.<br />

Contaminata dalla presenza di fotografi a,<br />

video, oggetti, ampliata in ambienti e<br />

dimensioni installative, confrontata con<br />

la cultura popolare e con il linguaggio di<br />

massa, sviscerata sul tavolo anatomico<br />

della linguistica, scandagliata da sonde<br />

etimologiche, l’arte concettuale di Kosuth<br />

trova infi ne nella tecnologia signifi cativi<br />

strumenti d’espressione e rifl essione.<br />

Fra questi, appunto, la luce al neon:<br />

intuitivamente associata alla segnaletica,<br />

come ricorda lo stesso artista, essa si<br />

connette alla pubblicità che infi erisce sulla<br />

cultura di massa; ma, utilizzata solamente<br />

nella sua materialità, depurata dalle forme<br />

popolari, diventa fl uida scrittura plasmabile<br />

dall’artista, carica eppure depurata di tutta<br />

la sua storia. (2)<br />

Pronta a dire, essenziale e insieme prolissa,<br />

“Red”. Rosso.<br />

I. B.


NOTE<br />

1) Diverse le dichiarazioni dell’artista e le rifl essioni sulla<br />

propria opera; fra queste segnalo: “Art after Philosophy”,<br />

Studio International, New York 1969.<br />

2) Nell’importante catalogo della mostra “Lichtkunst<br />

aus Kunstlicht”, l’opera di Kosuth esposta anziché<br />

univocamente nella sezione dedicata all’<strong>Arte</strong> Concettuale è<br />

stata inserita in quella “Logo-Kultur und Lichtgrafi ken”, tesa<br />

a sottolineare l’importanza dell’unione di scrittura e luce.<br />

Ma vedi “Licht Kunst aus Kunstlicht”, a cura di P. Weibel,<br />

G. Jansen, catalogo della mostra, 19 novembre 2005-6<br />

agosto 2006, Zentrum für Kunst und Medientechnologie<br />

Karlsruhe, Karlsruhe 2006.<br />

pagina seguente<br />

Joseph Kosuth<br />

Red<br />

1984<br />

neon<br />

cm. 16 x 38<br />

Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia<br />

29 pagina


31 pagina


BRUNO MUNARI, Milano 1907-1998<br />

“…Il vivere moderno ci ha dato la musica in<br />

dischi, ora ci dà la pittura proiettata…”: così<br />

scriveva Munari in “Domus”, nel 1954, a<br />

proposito delle sue “Proiezioni dirette” esposte<br />

a Milano nell’ottobre dell’anno precedente,<br />

primi studi sul rapporto fra la luce e la materia,<br />

destinati a tradursi nelle opere con la luce<br />

polarizzata della seconda metà degli anni<br />

Cinquanta. (1)<br />

Tuttavia, ad oggi, pare alquanto sterile<br />

provare ad individuare, in uno degli artisti più<br />

importanti, sia dal punto di vista creativo<br />

che sociale, del Novecento italiano, una<br />

successione ed una dipendenza temporale fra<br />

i suoi cicli di lavori, essendo ognuno di questi<br />

strettamente legato all’altro, sia a quello che lo<br />

precede quanto a quello che lo segue.<br />

Più corretto allora cercare di focalizzare<br />

l’attenzione, nell’ambito di questo intervento,<br />

su come ed attraverso quali passaggi la luce<br />

sia diventata elemento importante della ricerca<br />

artistica di Munari, unendosi all’attenzione alla<br />

scienza in tutte le sue diramazioni, alla tecnica<br />

ed all’industria: aspetti destinati a sfociare<br />

in importanti collaborazioni fra l’artista<br />

e diverse aziende di design, case editrici,<br />

con il mondo della musica, del teatro e del<br />

cinema, oltrechè con il settore dell’educazione<br />

dell’infanzia, grazie al suo innovativo metodo<br />

di apprendimento basato sull’ interazione del<br />

gioco e dell’arte.<br />

In questa analisi è allora da considerare,<br />

innanzitutto, il peso giocato in Munari dal<br />

linguaggio futurista, per la contaminazione<br />

di tutte le arti, lo scardinamento e rifi uto<br />

delle forme naturalistiche e della precedente<br />

tradizione fi gurativa, l’esaltazione dei nuovi<br />

mezzi di comunicazione e tecnologici,<br />

l’attenzione all’esperienza plurisensoriale dello<br />

spettatore, la sperimentazione di materiali<br />

poveri, effi meri, trasparenti – il polimaterico,<br />

in primis.<br />

L’uso della luce è presente già nelle nelle<br />

“Macchine Inutili”, fra le prime, pionieristiche<br />

opere dell’arte cinetica degli anni Trenta,<br />

insieme a quelle di Pevsner e Gabo, Laszlo<br />

Moholy-Nagy, Vasarely e Nicholas Schöffer.<br />

L’attenzione nei confronti del ruolo della<br />

percezione visiva e della psicologia della<br />

Gestalt, il contatto e l’approfondimento delle<br />

ricerche della Bauhaus e della Scuola di Ulm<br />

di Max Bill, oltre all’adesione al Movimento<br />

<strong>Arte</strong> Concreta, approfondiscono i suoi studi<br />

sulla luce, confl uiti nella serie “Concavo-<br />

Convesso”: oggetti tridimensionali che,<br />

sospesi e sensibili agli spostamenti d’aria,<br />

venivano illuminati da una luce puntiforme<br />

fi ssa che proiettava sulla parete ombre e<br />

forme sempre diverse.<br />

Composizioni di luce, uso di materiali<br />

trasparenti e semitrasparenti, di colori<br />

vivaci oppure delicatissimi, di materie<br />

plastiche strappate bruciate graffi ate incise<br />

polverizzate, tessuti animali, vegetali e fi bre<br />

artifi ciali: queste le proiezioni di materia<br />

immediatamente precedenti, all’inizio<br />

degli anni Cinquanta, alle proiezioni a luce<br />

polarizzata. (2) Evidenti alcuni temi chiave<br />

destinati a confl uire nell’arte programmata,<br />

che Munari stesso fu tra i primi a capire e<br />

promuovere (3) : lo studio del movimento di luce<br />

e colore, l’analisi della comunicazione visiva e<br />

luminosa come fenomeno ottico e psicologico,<br />

l’uso della luce quale stimolatore del confronto<br />

fra rigore geometrico e dimensione eccentrica,<br />

fra caos e programma.<br />

<strong>Arte</strong> intesa come pura ricerca, che in Munari<br />

si traduce dal semplice – le “Sculture da<br />

viaggio” – al complesso – appunto, gli studi<br />

sulla luce polarizzata, destinati a sfociare nel<br />

fi lm del 1963 “I colori della luce”, della durata<br />

di cinque minuti, insieme a Marcello Piccardo:<br />

una sperimentazione incentrata sui colori puri<br />

che si ottengono dalla luce scomponendola<br />

mediante il prisma ed i fi ltri polaroid.<br />

Ma questa è un’altra storia: Munari, come


scrisse in una sua autobiografi a, è “Quello<br />

di…” (4) tante idee, tante opere, tanti racconti<br />

e parole ed infi niti progetti.<br />

Oggi viviamo la storia di Munari “Quello del<br />

Polariscopio”: possiamo farlo giocando, oppure<br />

rifl ettendoci su. A Munari sarebbero andate<br />

bene entrambe le cose.<br />

I. B.<br />

NOTE<br />

1) La mostra si intitolava “Prime proiezioni dirette”, Milano,<br />

Studio B24, ottobre 1953.<br />

2) Le prime proiezioni a luce polarizzata avvennero nel 1956<br />

a Milano, Galleria B24, Tokyo, New York, Stoccolma, Roma,<br />

Anversa, Zurigo ed Amsterdam. Nel 1961 furono proiettate<br />

al Teatro Ruzante a Padova.<br />

3) Milano, Negozio Olivetti, “<strong>Arte</strong> Programmata (arte<br />

cinetica, opera moltiplicate, opera aperta)”, organizzata da<br />

Bruno Munari e Giorgio Soavi, con testo critico di Umberto<br />

Eco che precisa l’importanza della ricerca cinetica e visuale.<br />

Partecipano: Giovanni Anceschi (Percorsi fl uidi orizzontali);<br />

Davide Boriani (Superfi cie magnetica); Gianni Colombo<br />

(Strutturazione fl uida); Gabriele De Vecchi (e.r.m.n.t. 1961);<br />

Enzo Mari (Opera n. 649); Bruno Munari (Nove sfere in<br />

colonna); Gruppo N (Rilievo ottico-dinamico, Visione<br />

dinamica, Interferenza geometrica, Bispazio Instabile) e<br />

Grazia Varisco (Ox9xX). Ampliata con il G R A V e Alviani, la<br />

stessa mostra passa a Venezia e a Roma nello stesso anno.<br />

4) Nel 1986, in occasione della mostra antologica<br />

organizzata a Palazzo Reale a Milano, Munari presentava<br />

una inedita auto-presentazione dove l’artista si raccontava<br />

in terza persona, introducendo ogni frase con “Quello di…”,<br />

ovvero: “Bruno Munari è quello di...”.<br />

pagina seguente<br />

Bruno Munari<br />

Polariscope<br />

anni Sessanta<br />

cm. 50 x 50 x 15<br />

Courtesy Angela Zucchetti, Erbusco (Brescia)<br />

33 pagina


35 pagina


BEN PATTERSON, Pittsburgh 1934<br />

Moto, corrente, fl usso inarrestabile di cose<br />

e corpi, uomini e luoghi, artisti ed opere<br />

nati alla fonte della contaminazione e<br />

dell’interdisciplinarietà, Fluxus vuole – nasce<br />

per – essere indefi nibile, non catalogabile,<br />

indescrivibile e di diffi cile storicizzazione.<br />

Fluxus esiste per farsi travolgere e venire<br />

travolto: dai suoi artisti, dal pubblico che<br />

deve abbandonarsi a – combattere – le sue<br />

forze creative ed espressive. Nel momento in<br />

cui Fluxus rischia di farsi defi nizione, testo<br />

incasellato e foto-ricordo di una storia, i suoi<br />

fi gli lottano per vivere nella confusione che<br />

tutto tracima con sé, passato presente futuro:<br />

così Emmett Williams afferma che Fluxus non<br />

è stato ancora inventato; Philip Corner sostiene<br />

che meno si sa, meglio è; e Ben Patterson<br />

osserva che se vi è un bel po’ di gente che dice<br />

di sapere di che cosa si tratta, ovviamente si<br />

sbaglia.<br />

Musicista, partecipa a Fluxus fi n dal primo<br />

Festival di Wiesbaden, nel 1962, diventando al<br />

contempo protagonista della scena musicale<br />

contemporanea più sperimentale; diversi i<br />

fl ussi e rifl ussi, nel corso dei decenni, dell’artista<br />

nel movimento fondato da Maciunas; costante,<br />

tuttavia, la sua passione per l’arte, anche dal<br />

punto di vista amministrativo, oltre che per la<br />

musica.<br />

Un cappello da cuoco e la scritta “Live Pink”:<br />

questa l’insegna che l’artista creava per<br />

presentare una delle sue “Cene Cromatiche”,<br />

destinate ad individuare in un colore il tema<br />

onnivoro della serata-Fluxus e il “motore<br />

immobile” delle azioni derivate. Quella Rosa<br />

avvenne in Italia, nel 1990, a San Gimignano, in<br />

provincia di Siena: Ben allestì un ristorante del<br />

posto con oggetti di svariata provenienza, nella<br />

sala stese dei fi li da bucato cui appese guanti<br />

e cappelli, mentre un po’ dappertutto lasciò<br />

impronte rosa; rosa anche il nome del vino<br />

servito, in nome di una dispotica onnipresenza<br />

cromatica fi nalizzata, naturalmente, alla<br />

provocazione ed alla reazione del pubblico. (1)<br />

Immediati i richiami alle serate futuriste, dove<br />

l’uso frequente di cibo e bevande colorate<br />

in modo insolito, dai sapori e dalle forme<br />

contrastanti, anche nauseanti, era fi nalizzato<br />

a minare alle fondamenta il comune concetto<br />

di gusto, l’abitudinaria separazione delle<br />

sfere sensoriali, attraverso la dissacrazione e<br />

l’attacco – fi sico, oltre che concettuale – del<br />

pubblico partecipante (2) . D’altra parte, la luce<br />

artifi ciale in ambienti, installazioni e percorsi è<br />

stata, dal futurismo in avanti, uno strumento<br />

fondamentale per acutizzare le esperienze<br />

degli spettatori, coinvolti e a volte “maltrattati”<br />

dall’artista, attraverso la provocazione<br />

sensoriale, il disorientamento, l’inganno e<br />

l’instabilità percettivi.<br />

Ma in “Live Pink” rientrano anche tematiche<br />

pop, in quanto l’insegna luminosa vuole<br />

essere il logo del ristorante, l’indicazione visiva<br />

della “Cena Rosa” agita dall’artista, e ricordi<br />

nouveaux realistes: basti pensare alle diverse<br />

cene di Daniel Spoerri, bloccate anch’esse in<br />

opere emblematiche – i “Tableaux Piege” del<br />

1972 – fi no al “Banchetto Funebre”, grande<br />

cena d’addio al Nouveau Réalisme, tenutosi<br />

a Milano nel novembre 1970, durante il quale<br />

ai vari membri del gruppo venivano servite<br />

pietanze ad hoc, in linea con il loro linguaggio<br />

creativo. (3)<br />

A dimostrazione che Fluxus è contaminazione,<br />

fusione, mescolamento, moto, fl usso e rifl usso<br />

di linguaggi ed esperienze, eco di temi e di<br />

rivoluzioni creative anche disparati: e che Ben<br />

Patterson, di quel connubio di arte-vita da<br />

cui entrò ed usci come in una danza, ne è un<br />

notevole rappresentante.<br />

I.B.


NOTE<br />

1) Le notizie sulle “Cene Cromatiche” di Patterson sono state<br />

tratte da www.dispariedispari.org.<br />

2) Ricordo la recente ed interessante esposizione, “Il futuro<br />

del futurismo”, a cura di G. Di Pietrantonio e M. C. Rodeschini,<br />

catalogo della mostra, GAMeC, Bergamo, 21 settembre<br />

2007-24 febbraio 2008, Milano, Electa 2007.<br />

3) Rimando alla mia scheda “L’Ultima Cena. Banchetto<br />

Funebre del Nouveau Réalisme”, in “Strappi alla Regola”,<br />

testi di I. Bignotti, catalogo della mostra, Galleria <strong>Colossi</strong><br />

<strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Brescia, 29 settembre - 27 novembre<br />

2007, Colorart 2007.<br />

Ben Patterson<br />

Live Pink<br />

1990<br />

plexiglas e neon<br />

cm. 85 x 71,5<br />

Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia<br />

37 pagina


39 pagina


Artisti & Percorsi<br />

Esperienze e confronti<br />

Carlo Bernardini<br />

Eros Bonamini<br />

Beppe Bonetti<br />

Bonomo Faita<br />

Giorgio Laveri<br />

Massimo Liotti<br />

Adolfo Lugli<br />

41 pagina


CARLO BERNARDINI, Viterbo 1966<br />

“Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce,<br />

spazi geometrici e tempo astronomico, è<br />

l’aspetto diverso del darsi dello SPAZIO-TEMPO<br />

o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi<br />

tra SPAZIO e TEMPO. Consideriamo la realtà<br />

come un continuo divenire di “fenomeni” che<br />

noi percepiamo nella variazione…”. (1)<br />

Milano, inizio anni Sessanta: così dichiaravano<br />

i componenti del Gruppo T, fra i principali<br />

esponenti dell’arte cinetica e programmata,<br />

sorto all’ombra delle esperienze spazialiste e<br />

legato, nella teoria, a temi e motivi di origine<br />

futurista. È sull’onda di tale corrente che<br />

s’avvia la ricerca di Carlo Bernardini, nato<br />

all’incirca negli anni in cui l’arte programmata<br />

diffondeva le proprie esperienze in tutta<br />

Europa, e da queste partito per elaborare una<br />

serie di indagini, sfociate nella progettazione<br />

e realizzazione di opere tese fra dimensione<br />

scultorea e livello installativo.<br />

Fibre ottiche secanti uno spazio dato,<br />

sottili e leggerissime, fi ssate alle pareti ed<br />

alla pavimentazione: questa l’installazione<br />

ambientale “Accumulatore di luce” che Carlo<br />

oggi presenta, risultato di una lunga rifl essione<br />

su quelle categorie di spazio e tempo, verità<br />

ed alterazione visiva, stasi e movimento,<br />

profondità e superfi cie che, proprio a partire<br />

dagli anni Sessanta, con le poetiche dei gruppi<br />

cinetici, le prime esperienze ambientali, le<br />

nuove opportunità offerte dalla scienza e dalla<br />

tecnologia, venivano analizzate in relazione<br />

al rapporto fra l’opera e lo spettatore. Penso<br />

soprattutto a Gianni Colombo, con le sue<br />

ricerche sullo spazio curvato dal tempo, sul<br />

tema del dislivello e del disorientamento<br />

percettivo, sulle “Superfi ci pulsanti”, sugli<br />

“Spazi elastici”, infi ne sui rapporti fra gli<br />

elementi architettonici e le sensazioni<br />

d’instabilità ed inganno visivo date dalla<br />

distorsione di angoli e dalla manomissione di<br />

equilibri.<br />

Scegliere se osservare o agire, misurare o<br />

incantarsi, davanti alle mute linee di luce che<br />

Carlo tira nello spazio, con metodica poesia,<br />

rigorosa costruzione carica di lirici sussurri.<br />

Alla base, il disegno, il calcolo: lo spazio<br />

costruito e defi nito, attraverso la progettazione<br />

dell’ambiente; l’analisi delle reazioni-relazioni<br />

fra pieni e vuoti, presenze ed assenze. La<br />

verifi ca è l’opera; l’opera ovvero le risposte<br />

del pubblico, ma anche del luogo già esistente<br />

ed “esposto” all’invasione delle linee luminose<br />

tracciate dall’artista.<br />

Questi i fondamenti della ricerca di Carlo, come<br />

dimostra anche il suo percorso biografi co:<br />

a partire dal saggio teorico sulla “Divisione<br />

dell’unità visiva” del 1997, dove le ragioni<br />

operative si focalizzano sullo sdoppiamento fra<br />

la condizione visiva primaria, esterna all’opera<br />

e la condizione visiva, plastica o strutturale ad<br />

essa interna. Lo confermano sia le esposizioni,<br />

personali e collettive alle quali partecipa ed è<br />

invitato, sia i premi vinti – per due volte nel<br />

2000 e nel 2005 il premio “Overseas Grantee”<br />

della Pollock Krasner Foundation di New<br />

York, nel 2002 il premio Targetti Art Light<br />

Collection “White Sculpture”. Lo segnalano le<br />

grandi installazioni ambientali esterne in fi bre<br />

ottiche e le sculture pubbliche permanenti in<br />

acciaio inox e fi bre ottiche realizzate in diverse<br />

città italiane. Una ricerca che si traduce<br />

anche nell’attività didattica: Carlo insegna<br />

Installazioni Multimediali a Brera.<br />

Fra l’analisi e la poesia, l’attenzione scientifi ca<br />

dell’artista e la libertà visiva concessa, anzi<br />

richiesta, al fruitore dell’opera, Bernardini<br />

sceglie la luce quale materializzazione della<br />

visione: “…ciò che nella realtà è incorporeo –<br />

così ha sottolineato – come un’ombra, oltre il<br />

confi ne delle apparenze può divenire virtuale o<br />

illusorio come un raggio rifl esso…”. (2)<br />

I.B.


NOTE<br />

1) Dalla dichiarazione di Anceschi, Boriani, Colombo, De<br />

Vecchi, Gruppo T, 1959, letta alla prima mostra del Gruppo<br />

Miriorama 1, Milano, Galleria Pater, gennaio 1960. Sul Gruppo<br />

T vedere la recente pubblicazione “Gli ambienti del Gruppo<br />

T. Le origini dell’arte interattiva”, a cura di M. Margozzi, con<br />

L. Meloni, F. Cardera, catalogo della mostra a Roma, Galleria<br />

Nazionale d’<strong>Arte</strong> Moderna, 14 dicembre 2005-21 maggio<br />

2006, Silvana Editoriale 2006.<br />

2) Diversi i testi teorici realizzati dall’artista: “Divisione<br />

dell’unità visiva”, Edizioni Stampa Alternativa, ottobre 1997;<br />

“Lo spazio permeabile”, Edizioni MUSIS, 2001; “La linea<br />

sperimentale della luce”, pubblicato nel catalogo del Master<br />

di Light Design, Brera, Milano, 2003-2004 e nel catalogo<br />

della mostra “Lucio Fontana e la sua eredità”, Edizioni Skirà<br />

2005; “La quarta direzione dello spazio”, insieme a Manuela<br />

Sobral, Edizioni Navona 42, settembre 2005.<br />

Carlo Bernardini<br />

Accumulatore di Luce<br />

2008<br />

Installazione ambientale in fi bre ottiche e acciaio inox<br />

cm 450 x 700 x 600<br />

43 pagina


45 pagina


EROS BONAMINI, Verona 1942<br />

“Cronografi e-Vanitas”: questo il titolo che<br />

Bonamini, da sempre rivolto all’analisi dello<br />

Spazio e del Tempo, categorie estetiche, ma<br />

ancor prima fattive, costitutive dell’opera, dà<br />

ai due lavori esposti. Il nome ne diventa, allora,<br />

chiave di lettura, indicandone al contempo la<br />

tecnica,il processo, il risultato ottenuto. (1)<br />

Se il concetto di “scrittura tracciata dal e nel<br />

tempo”, ribadisce la linea di ricerca seguita<br />

dall’artista a partire dai primi anni Settanta,<br />

attraverso una serie di sperimentazioni di<br />

materiali diversi, dall’intonaco al cemento,<br />

dall’inchiostro imbevuto da garze e carte<br />

assorbenti, il termine “Vanitas”, anch’esso<br />

aulico, ricercato come quello di “Cronografi a”,<br />

più che l’azione di verifi ca e di traccia<br />

lasciata dal fare dell’artista sul materiale,<br />

pare ricordare, appunto, la temporaneità e<br />

l’impossibilità, forse, del raggiungimento di un<br />

risultato defi nito e dato; la precarietà, dunque,<br />

della risposta cercata dal lavoro dell’artista e<br />

dall’analisi del fruitore.<br />

Il senso del luogo, infi ne, inteso come<br />

perimetro materiale dell’azione creativa, che<br />

era contenuto nelle serie delle opere con gli<br />

altri materiali (“Cronotopografi e”, le chiama<br />

Bonamini) in questi lavori dove interviene la<br />

luce si perde, evapora. (2)<br />

“Cronografi e-Vanitas”: dietro a queste due<br />

parole, o per meglio dire dentro, il peso<br />

giocato dal Tempo nell’espressione fi gurativa<br />

occidentale: penso soprattutto, ad un<br />

primo rimando ed incrociarsi di parole, alla<br />

meditazione sulla “Vanitas Vanitatum et<br />

Omnia Vanitas” che tanta parte ebbe a partire<br />

nella pittura occidentale seicentesca, con quei<br />

dipinti dove il riverbero di una luce colante di<br />

candela lanciava i suoi strali contro il vano<br />

rincorrere dell’uomo le cose terrene. Attorno,<br />

fondi bui e tinte fosche, profondità dense di<br />

velluti e notti da fi ne dei tempi rimarcavano il<br />

tema della futilità della vita, della transitorietà<br />

degli affanni e dei piaceri quotidiani.<br />

Salto cronologico inaudito: Bonamini affi da<br />

a metalli torturati dalla fi amma ossidrica<br />

il messaggio secolare, evidenzia a forza di<br />

lacerazioni precisamente calcolate, a furia<br />

di bruciature, segni, cicatrici – metafora<br />

dell’inutile affannarsi dell’artista sul “prodotto”<br />

creativo? – l’irreversibile legge del tempo che<br />

scorre ed azzera ogni cosa.<br />

Un tempo fl uido come metallo sciolto nelle<br />

fucine della rifl essione e del calcolo, riversato<br />

nei perimetri esatti del campo di lavoro<br />

dell’artista.<br />

Vanitas di luce gelida, immobile nella sua<br />

tonalità artifi ciale, e quindi perentoria, violenta,<br />

ineluttabile: il neon che dietro illumina il taglio,<br />

che di nascosto enfatizza il peso del trascorrere<br />

di ore minuti secondi, evidenzia, fi amma di<br />

candela dell’oggi, il rapido disciogliersi di tutte<br />

le cose, volti, pensieri, spazio e tempo.<br />

“…Il processo che adotto nelle mie opere, e<br />

quindi il materiale che elaboro, non ha valore in<br />

sé ma in quanto illustrativo di una equivalenza<br />

fra tempo e differenzialità. La scelta del materiale<br />

operativo cioè dipende dalla adeguatezza, dalla<br />

coincidenza fra materiale e tesi che si vuole<br />

dimostrare…”. (3)<br />

Così annotavo, un anno fa, riprendendo<br />

un’importante dichiarazione di Bonamini degli<br />

anni Settanta; di fronte a queste opere, oggi,<br />

essa si rivela ancora quanto mai pertinente, a<br />

dimostrazione di una coerenza del fare e del<br />

“cercare” che da sempre l’artista dimostra nel<br />

corso della sua produzione.<br />

Al fruitore il compito di rispondere, di scegliere,<br />

di “sentire” il messaggio contenuto nelll’opera,<br />

che solo una lunga, meditata visione della<br />

stessa può donargli.<br />

I.B.


NOTE<br />

1) L’artista è stato invitato a partecipare anche ad<br />

“<strong>Arte</strong>insegna 2”: vedere il catalogo della mostra, a cura di M.<br />

Bertoni, allestita al Castello Normanno di Aci Castello (CT),<br />

13 maggio-12 giugno 2005, Edizioni Edi.Bo., Catania 2005.<br />

2) Una puntuale analisi dell’opera di Bonamini è in “Eros<br />

Bonamini. Cronotopografi e 1974-1993”, testi di L. Caramel,<br />

A. Veca, E. Miccini, Verona, Adriano Parise Edizioni, 1993.<br />

pagina seguente a sinistra:<br />

Eros Bonamini<br />

Cronografi e-Vanitas<br />

2007<br />

neon, bruciatura a cannello su acciaio inox<br />

cm. 100 x 100<br />

Ulteriori indicazioni bibliografi che sono nella mia scheda<br />

sull’artista pubblicata in “CHIARI & geniali. 8 percorsi nell’arte<br />

contemporanea”, a cura di I. Bignotti e Daniele <strong>Colossi</strong>,<br />

catalogo della mostra, Chiari (Brescia), Villa Mazzotti, 10<br />

marzo-22 aprile 2007, Colorart 2007, pagg. 58-60.<br />

3) Eros Bonamini, dal catalogo della mostra “Una defi nizione<br />

di segno”, Verona, Galleria Ferrari 1978.<br />

pagina seguente a destra:<br />

Eros Bonamini<br />

Cronografi e-Vanitas<br />

2007<br />

neon, bruciatura a cannello su acciaio inox<br />

cm. 150 x 150<br />

47 pagina


49 pagina


BEPPE BONETTI, Rovato, Brescia 1951<br />

“La metarazionalità vuol dire:<br />

conoscere la regola ma romperla;<br />

vedere il mondo strabicamente;<br />

cercare la ragione nella non ragione;<br />

diffi dare dell’istinto ma anche della ragione.<br />

Non dire “è ragionevole” perché può<br />

Essere irragionevole.<br />

Non dire “abbasso la luna piena”.<br />

Non dire…non dire…e dire…e dire…” (1)<br />

È attraverso la penultima riga della poesiamanifesto<br />

della Metarazionalità, scritta di<br />

pugno dall’artista, che desidero avviare la<br />

lettura delle sue “Luci metarazionali” esposte<br />

in mostra. Metarazionalità, infatti, vuole<br />

anche dire: “non dire abbasso la luna piena”.<br />

Così Bonetti rifi uta, attraverso l’elegante<br />

citazione, da un punto di vista creativo e di<br />

scelta artistica, le cosiddette avanguardie della<br />

dissacrazione, del disordine, della ribellione, per<br />

usare una defi nizione di Calvesi: Dadaismo e<br />

soprattutto Futurismo che provocatoriamente,<br />

ricorda lo stesso artista, proclamava di<br />

uccidere quel chiaro di luna, simbolo, o meglio<br />

sintomo, di una malata Venezia Passatista (2) ,<br />

mentre guardava adorante alla moderna luce<br />

elettrica. Sinonimo e metafora di una radicale<br />

trasformazione dei linguaggi espressivi, la<br />

luce futurista sempre si presenta graffi ante,<br />

allucinata, violenta, frantumata nel coraggio<br />

di dichiarazioni urlate, di gestualità e forme<br />

portate all’eccesso.<br />

Diversamente s’irradia la luce metarazionale,<br />

sorta al polo opposto, dove l’artista si “schiera”:<br />

quella delle avanguardie progettuali, di Bauhaus<br />

e De Stijl, Costruttivismo e Suprematismo; da<br />

Mondrian a Malevich, da Van Doesburg fi no<br />

all’<strong>Arte</strong> Concreta di Dorfl es, Munari e Soldati.<br />

Metarazionalità: da qui parte, ma soltanto<br />

s’avvia, la ricerca di Beppe Bonetti, punto<br />

d’incrocio fra la visualizzazione di un pensiero<br />

matematico, raziocinante, e l’incontrovertibile<br />

presenza di una dimensione estetica, come<br />

sottolineava Munari, oltre vent’anni fa (3) .<br />

La luce metarazionale ribadisce tali<br />

osservazioni: lontana dagli schiamazzi e dalla<br />

provocazione, muta si delinea, e delimita due<br />

forme perfette, millenarie, fi losofi a e raziocinio<br />

insieme, calcolo e meditazione – il quadrato e<br />

il cerchio; ne esalta i perimetri, segnalandone i<br />

limiti, potenziandone l’impatto visivo.<br />

S’imbeve delle illuminazioni gestaltiche, dei<br />

lampi di genio della psicologia percettiva; e<br />

prima ancora dello sforzo suprematista di<br />

tradurre, attraverso il quadrato (o il cerchio, in<br />

questo caso) “…la prima forma di espressione<br />

della sensibilità non oggettiva…” (4) .<br />

Una luce meta-razionale, appunto, venuta<br />

dopo, quindi carica di, ricerche geometriche,<br />

progettuali, costruttive; e intanto sempre<br />

pronta a rivelare l’esistenza, pur nell’astrarre,<br />

del fenomeno naturale e del dato emotivo -<br />

l’affascinante presenza dell’errore umano.<br />

“Imporsi l’esattezza per non andare allo<br />

sbando…” (5) pare facciano eco alle parole<br />

dell’artista, oggi, queste due Luci di meta-fi sica<br />

metarazionalità.<br />

I.B.


NOTE<br />

1) La citazione appartiene al Manifesto redatto da Beppe<br />

Bonetti sulla Metarazionalità, pubblicato, insieme ad una<br />

selezionata antologia critica e ad una bibliografi a completa,<br />

in “Beppe Bonetti. Metarazionalità. Antologica 1968-<br />

2006”, testi di E. Bonessio di Terzet, G. Dorfl es, B. Munari<br />

et al., catalogo della mostra, Rovato, Chiesa storica di San<br />

Vincenzo, 28 ottobre-6 novembre 2006, Colorart 2006.<br />

2) Dal “Discorso futurista di Marinetti ai Veneziani”,<br />

all’interno del manifesto “Contro Venezia Passatista”, fi rmato<br />

da Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo il 27 aprile 1910. La<br />

divisione fra avanguardie dell’ordine e del disordine, del<br />

progetto e del non progetto, è nel pionieristico saggio di<br />

pagina seguente a sinistra<br />

Beppe Bonetti<br />

Luce metarazionale<br />

2008<br />

acrilico su tavola e luce al neon<br />

cm. 150 x 150<br />

Maurizio Calvesi “Le due avanguardie. Dal Futurismo alla Pop<br />

Art”, prima edizione Milano 1966.<br />

3) Bruno Munari, testo di presentazione a Beppe Bonetti,<br />

catalogo della mostra, Milano, Galleria Vismara, 1983.<br />

4) K. Malevich, “Il suprematismo come modello della non<br />

rappresentazione”, 1920, prima pubblicazione edizioni<br />

Bauhaus 1927, consultato in M. De Micheli, “Le avanguardie<br />

artistiche del Novecento”, Milano, Feltrinelli 1994.<br />

5) B. Bonetti, “Metarazionalità – sette anni in frammenti”,<br />

Udine, Campanotto Editore 2005.<br />

pagina seguente a destra<br />

Beppe Bonetti<br />

Luce metarazionale<br />

2008<br />

acrilico su tavola e luce al neon<br />

cm. 150 x 150<br />

51 pagina


53 pagina


BONOMO FAITA, Brescia 1955<br />

“Io non cerco, mi trovano – le immagini,<br />

intendo dire”: cito a memoria una scheggia del<br />

diario dell’artista (1) . Più corretto sarebbe dire<br />

che le immagini non lo trovano – lo assediano,<br />

sbucando da ogni lato egli si volti; ora sono<br />

squarci visivi contemporanei, ora fl ash di fi abe<br />

un poco sadiche, casette nel bosco trapiantate<br />

in città ideali, palloncini vaganti in cieli d’icona<br />

dorata e notti stellate-blu-elettriche che<br />

bucano i soffi tti.<br />

Divagazioni poetiche, trovate lampanti,<br />

confessioni ermetiche, dichiarazioni criptiche<br />

– le sue opere paiono far eco al Calvino<br />

narratore, al Queneau dei “Fiori Blu”; vivono<br />

delle contraddizioni e delle incongruità di cui<br />

sono fatti i sogni (e gli incubi); s’inerpicano<br />

e vagano nei sentieri di un’infanzia che si<br />

trasmuta in fi aba: un’infanzia che da personale<br />

vuol farsi collettiva, una fi aba che ora affonda<br />

nei tempi passati, ora si rivela attualissima.<br />

E se è vero che nelle fi abe di tutti i tempi ci sono<br />

il Buono e il Cattivo, il Bene e il Male, Bonomo<br />

sceglie di visualizzarli attraverso quei valzer<br />

formali di Pieno e Vuoto, Pesante e Leggero,<br />

Buio e Luce che spesso si contrappongono<br />

nelle sue opere.<br />

La luce, in particolar modo, è uno dei soggetti<br />

più acutamente trattati: ora si imbeve di echi<br />

di matrice narrativa e surrealista – sono fuochi<br />

che terrorizzano pupazzi di neve e nasi di<br />

Pinocchio, sono candele che colano su instabili<br />

barchette di carta; è la notte stellata che<br />

s’affaccia nel fondo d’un secchio e si specchia<br />

nel perimetro d’un lavandino; è la luce-colore<br />

che riempie campiture d’oro metafi sico. Ora si<br />

confronta con temi e motivi dichiaratamente<br />

pop – la luce si fa acida, netta, dichiarante<br />

il fatto, l’accaduto, il pensiero; diventa<br />

insegna, motore d’azione dello scardinamento<br />

semantico e del ribaltamento concettuale del<br />

soggetto indagato: la luce che Bonomo utilizza<br />

nelle due opere esposte.<br />

Una bandiera, una sedia. Il neon. Piccole<br />

trasformazioni: aggiungere la sesta punta alle<br />

stelle e giocare con geometrie aniconiche, di<br />

origine araba; avvolgere di tubi la sedia. Partire<br />

da materiali semplici, industriali, le lamiere,<br />

gli oggetti quotidiani. Provocare collisioni di<br />

senso. Illuminare concetti. Innescare circuiti<br />

linguistici. Carica del peso dell’icona pop, da<br />

Jasper Johns a Franco Angeli, la “Bandiera<br />

Elettrica” di Bonomo si fa manifesto di luce<br />

cruda, pronta a visualizzare questioni religiose<br />

e politiche. Memore delle coazioni a ripetere<br />

racchiuse nella serie dei “Disastri” di Warhol,<br />

dai “Car Crash” alla “Electric Chaire”, la “Sedia<br />

Elettrica” di Bonomo dichiara, fra i tubi di neon<br />

che l’avvolgono, la verità del suo scopo.<br />

Sono temi scottanti, icone lampanti,<br />

materializzazioni di pensieri sui quali l’artista<br />

da tempo lavora, immerso in una fucina di<br />

cose e di forme, di soggetti e parole: una<br />

ricerca che inizia negli anni Settanta, segnata<br />

da cicli di opere e da una serie di mostre ed<br />

esposizioni accuratamente scelte e seguite da<br />

critici quali Elena Pontiggia, Mauro Panzera,<br />

Roberto Vidali e Fausto Lorenzi. Attraversati i<br />

mari di anilina di Pino Pascali, le Piazze invase<br />

di palloncini di Aldo Mondino, scivolato fra le<br />

parole-ricamo di Alighiero & Boetti, l’artista<br />

saltella fra citazioni surrealiste, svicola in piazze<br />

metafi siche e libera il proprio “Fiato d’Artista”<br />

in città affastellate di luci soffuse e sospese.<br />

Ogni volta una storia: oggi è quella di una<br />

Sedia che il destino ha voluto crudele, e di<br />

una Bandiera che ancora bene non sa a chi<br />

appartenere e cosa rappresentare…<br />

I.B.<br />

NOTE<br />

1) “Bonomo Faita si racconta: schegge di diario”, pubblicato<br />

in “Bonomo Faita-PaolaPezzi Slittamenti”, a cura di F.<br />

Lorenzi, catalogo della mostra a Lumezzane, (Brescia) Torre<br />

Avogadro 2002.


pagina seguente<br />

Bonomo Faita<br />

Bandiera Elettrica<br />

inizio anni ‘90<br />

lamiera dipinta e luce al neon<br />

cm. 178 x 84 x 5 circa<br />

Bonomo Faita<br />

Sedia Elettrica<br />

2000<br />

Sedia di legno e luce al neon<br />

cm. 74 x 42 x 47<br />

55 pagina


57 pagina


GIORGIO LAVERI, Savona 1954<br />

Fondatore insieme a Patrick Moya, nel 1993,<br />

del Movimento Artistico Mediterraneo, Giorgio<br />

Laveri ha individuato nella ceramica il medium<br />

più congeniale per esprimere la propria<br />

poetica.<br />

Da oltre vent’anni l’artista ligure lavora<br />

al fuoco delle fucine di Albissola, luogo<br />

d’elezione dell’arte della ceramica dal<br />

Rinascimento alla prima metà del Novecento,<br />

dal secondo Futurismo agli anni Cinquanta:<br />

là sperimentavano opere e forme Munari e<br />

Fontana, Jorn, Matta, Corneille...<br />

Se è vero che “...c’è un’evidenza mediterranea<br />

nella storia dell’arte”, come dichiara il manifesto<br />

del M.A.M. , “…questa si rivela, più che<br />

altrove, attraverso l’asse geografi co Vallauris-<br />

Albissola”. (1)<br />

Luoghi invasi da una luce intensa, scaldati dal<br />

tepore soleggiato, carichi di colori forti, è stato<br />

sottolineato più volte dalla critica e dagli artisti<br />

del Movimento, dove il legame fra l’artista e la<br />

materia, fra l’artista e la tecnica si fa stretto,<br />

fondamentale.<br />

<strong>Arte</strong>, allora, e industria: nel senso dell’abilità<br />

del fare, del provare e ripetere, del costante<br />

perfezionamento di una tecnica millenaria.<br />

<strong>Arte</strong> e industria e luce: ora la luce naturale del<br />

Mediterraneo, ora la luce raffi nata, brillante,<br />

che le opere di Giorgio fanno interagire con<br />

dimensioni fuori-scala, forme seducenti e<br />

cangianti variazioni cromatiche.<br />

Dalla serie dei “Truka”, rossetti-monumenti<br />

carichi di estetica neo-pop, a quella delle<br />

penne stilografi che intere, appese o spezzate<br />

in coppe, raffi nate “Stylò” rubate al quotidiano<br />

e sovradimensionate quali fragili totem del<br />

desiderio, l’artista “…adatta, sfrangia, assembla,<br />

ingigantisce…sceglie da sempre un solo<br />

materiale – la sua arma vincente, la ceramica<br />

– che non può che aggiungere lucentezza ed<br />

una certa patina un po’ glamour…”. (2)<br />

Considerazioni pertinenti anche davanti<br />

all’opera esposta, che tuttavia richiede<br />

di allargare il campo d’indagine. Su uno<br />

schermo sottile di ceramica Bone China,<br />

retro-illuminato, compare un fotogramma di<br />

uno dei fi lm che hanno saputo trattare con<br />

maggiore poesia, delicatezza e incanto il tema<br />

dei mondi extra-terrestri: “E.T.” , personaggio<br />

nato in un altrove che nel nostro immaginario<br />

coincide con una notte muta di luce, se non<br />

fosse per quelle fi oche presenze di pianeti e<br />

galassie sconosciuti. Privata dell’illuminazione<br />

retrostante, l’opera si presenta come un<br />

fotogramma senza immagini: defi nita<br />

dall’artista “scultura variabile”, essa si pone<br />

su una linea di ricerca che Giorgio avvia fi n<br />

dagli anni Settanta, quando inizia ad indagare<br />

il tema cinematografi co. (3)<br />

Accogliamo, innanzitutto, i dichiarati legami<br />

dell’opera con l’estetica pop, carica del gusto<br />

per l’icona ed il logo di cui il fotogramma<br />

cinematografi co si fa veicolo per eccellenza;<br />

con la prassi d’ “acquisizione” e “prelievo”<br />

dal bacino iconografi co del<br />

quotidiano, fondamentale anche per<br />

la poetica del Nouveau Réalisme.<br />

A partire dagli anni Ottanta l’artista presenta<br />

una serie di lavori espressamente dedicati al<br />

mondo del cinema: “Cineceramica”, esposto<br />

per la prima volta alle isole Eolie in occasione<br />

dei festeggiamenti per gli ottant’anni della<br />

casa di produzione cinematografi ca Titanus;<br />

i “Fotogrammi in ceramica”, tratti dai grandi<br />

fi lms e presentati in svariate sedi, anche in<br />

occasione della premiazione dei vincitori della<br />

Biennale del Cinema di Venezia nel 1988, a<br />

Milano.<br />

Sempre alla fi ne del decennio si collocano le<br />

sperimentazioni di Ceramica-Luce-Movimento,<br />

provocatoriamente intitolate “Delitto in<br />

CineCeramica” – fra tutti il lavoro più vicino<br />

all’opera esposta in mostra, sottolinea l’artista<br />

– e presentate in un evento itinerante in<br />

molte città italiane, nella forma di pièce<br />

teatrale, dove attori e ceramica interagiscono


sulla scena con una luminosa coreografi a.<br />

Echeggiano richiami alle avanguardie storiche,<br />

ora al Futurismo, per la liaison fra luce, spazio,<br />

tempo, tecnologia, ora alla poetica del ready<br />

made dadaista – dove la trasposizione di un<br />

oggetto lo consacra ad opera d’arte. D’altra<br />

parte, la scelta del soggetto di quest’opera<br />

si connette all’attenzione ed allo studio che<br />

Giorgio ha riservato ai protagonisti italiani del<br />

cinema di Hollywood: fra i quali, appunto, il<br />

padre di E.T., Carlo Rambaldi.<br />

Ma, al di là dell’analisi e dei riferimenti storicoartistici,<br />

è la magia delle lievi immagini,<br />

opalescenti e cariche di fascino, ad emergere<br />

nell’opera che oggi Giorgio ci presenta, frutto<br />

di un intenso confronto dell’artista con i guizzi<br />

della luce ed i capricci della materia.<br />

I.B.<br />

NOTE<br />

1) Notizie sul Movimento Artistico Mediterraneo si trovano<br />

in N. Jeannot, in “La via dell’arte – attraversamento del<br />

confi ne”, a cura di A.M. Rita Matano, N. D. Angerame, G.<br />

Bonomi, CCP (Centro Culturale Paraxo), catalogo della<br />

manifestazione, Alassio (Savona) 2006; rimando inoltre, per<br />

ulteriori indicazioni bibliografi che alle mie schede pubblicate<br />

in “CHIARI & geniali. 8 percorsi nell’arte contemporanea”, a<br />

cura di I. Bignotti e D. <strong>Colossi</strong>, catalogo della mostra, Chiari<br />

(Brescia), Villa Mazzotti, 10 marzo-22 aprile 2007, Colorart<br />

2007, pagg. 112-115, 120-121, 124-125.<br />

2) R. Zelatore, “Truka-Giorgio Laveri”, catalogo della mostra,<br />

Galleria Valente <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Milano, Miart, maggio<br />

2004.<br />

3) Da ricordare gli studi sulla regia televisiva, la fondazione<br />

del gruppo teatrale Rosacroce, ed una serie di sue produzioni<br />

cinematografi che: una ricca bio-bibliografi a è in “Giorgio<br />

Laveri-Ceramista”, a cura di R. Zelatore, Genova 2004.<br />

Giorgio Laveri<br />

Cinéma et Ceramique-E.T.: Scultura Variabile<br />

2008<br />

ceramica Bone China, neon, plexiglas, fotogramma<br />

cm. 28 x 40, con plexiglas cm. 50 x 70<br />

59 pagina


MASSIMO LIOTTI, Roma 1965<br />

La ricerca artistica di Massimo Liotti è una<br />

sorta di ritorno alla spiritualità attraverso<br />

l’utilizzo del linguaggio moderno. Un territorio<br />

in pratica inesplorato, un’osservazione di quella<br />

sacralità che in epoca arcaica era un tutt’uno<br />

con la vita dell’uomo, in un tempo in cui ogni<br />

fenomeno presente in natura trovava una sua<br />

logica giustifi cazione nel trascendente.<br />

L’artista sembra costatare come il mondo<br />

debba riscattare quell’aspetto antico della<br />

cultura, come l’uomo possa svegliarsi da un<br />

lungo letargo ed accorgersi che il mondo non<br />

fi nisce con il culto dell’individuo, ma è un<br />

territorio più ampio e affascinante. Ogni cosa<br />

presente su questa terra è in relazione ad altro,<br />

persone, cose, tempo; il rifl esso dell’uomo si fa<br />

sentire in ogni piccolo particolare, per questo<br />

motivo è opportuno andare più a fondo,<br />

indagare il mondo da vicino con l’aiuto dalle<br />

scritture antiche. Con questo metodo Liotti<br />

legge la realtà che lo circonda nelle sue sottili<br />

gradazioni, andando alla radice di più culture<br />

e trovando nelle testimonianze provenienti dal<br />

passato dei punti di contatto, delle vicinanze<br />

con il presente.<br />

Il percorso di ricerca spirituale dell’artista<br />

parte dalle religioni e fi losofi e orientali<br />

approdando a una sorprendente riscoperta<br />

del Cristianesimo e dei suoi antichi simboli e in<br />

genere della ricchissima tradizione occidentale,<br />

che proprio per la sua vicinanza è a noi più<br />

nascosta. La luce è un linguaggio comune a<br />

quasi tutti i culti, la mancanza di connotazioni<br />

visibili ed il conseguente mistero generato, la<br />

rende il segno trascendentale per eccellenza.<br />

Parlando di spiritualità diventerebbe diffi cile<br />

fare riferimento ad altri elementi, anche in<br />

scultura sarebbe complicato esprimere certi<br />

concetti utilizzando materiali dotati di una<br />

maggiore fi sicità. Pertanto la luce diventa un<br />

elemento essenziale nel lavoro di Liotti. La<br />

utilizza con gran fascino in un’installazione<br />

a Castel Sangallo di Nettuno, eseguita in<br />

collaborazione con Silvia Garau, dove invita il<br />

visitatore all’interno di uno spazio sensoriale<br />

fatto d’acqua e luce.<br />

Nel suo ultimo lavoro, realizzato in occasione<br />

di questa mostra, la luce è “regale” e “divina”<br />

al tempo stesso.<br />

L’artista s’interroga sull’etimologia dei termini<br />

matrimonio (“mater”) e patrimonio (“pater”),<br />

femminile e maschile, la Regina e il Re, nel<br />

primo caso la parola è legata alla nascita di<br />

un fi glio, nel secondo alla sua ereditarietà. Da<br />

qui la rifl essione di Liotti sulla creazione, che<br />

nei trattati antichi implicava sempre i quattro<br />

elementi, due femminili (acqua e terra) e<br />

due maschili (aria e fuoco), più un quinto: lo<br />

Spirito Divino. Quest’ultimo elemento è il più<br />

importante, senza il quale non sarebbe potuta<br />

nascere la vita, intesa quindi come una “Danza<br />

degli elementi (Matrimonium)”.<br />

«Ebbene, quando viene mossa, la materia<br />

si scalda e diventa fuoco e acqua, il primo<br />

vigoroso e forte, la seconda invece passiva.<br />

E il fuoco, essendo opposto all’acqua, seccò<br />

una parte di acqua, e nacque così la terra, che<br />

fl uttua sull’acqua. Quest’ultima poi, continuò<br />

a lungo a disseccarsi tutt’intorno, e nacque un<br />

vapore dalle tre componenti, ossia dall’acqua,<br />

dalla terra e dal fuoco, e così comparve l’aria.<br />

Questi elementi si unirono tra loro secondo<br />

un rapporto armonico, il caldo con il freddo, il<br />

secco con l’umido, e dal loro accordo nacque<br />

un soffi o e una semenza analoga al soffi o<br />

che avviluppa il tutto» (“Corpus Hermeticum”,<br />

estratto XIV di Giovanni Stobeo, V secolo<br />

d.C.).<br />

L. P.


Massimo Liotti<br />

Matrimonium<br />

2008<br />

pvc, plexiglas, ferro, stagno, rame, piombo, resina, neon, pigmenti<br />

cm. 250 x 350 x 120<br />

63 pagina


65 pagina


ADOLFO LUGLI, San Prospero, Modena 1954<br />

Tre anni di <strong>Arte</strong>insegna. Tre anni di rifl essioni e<br />

progetti, contatti, percorsi, parole. (1)<br />

Tre anni di luce, arte, industria che Adolfo<br />

Lugli segue e coordina, avendo scelto<br />

consapevolmente, dopo gli studi all’Accademia<br />

di Belle Arti di Bologna, di appartenere<br />

“…a quella specie non codifi cata di artisti<br />

che sviluppano la propria poetica evitando<br />

accuratamente l’appartenenza a correnti<br />

che potrebbero richiudere l’operatività<br />

della loro ricerca in una circolarità d’intenti<br />

defi niti e limitati all’interrogazione dei suoi<br />

presupposti”. (2)<br />

È il confronto dialettico fra artisti, critici,<br />

tecnici e studiosi afferenti a campi diversi, è lo<br />

scambio costante d’idee e modalità espressive<br />

– dalla pittura alla scultura alle installazioni<br />

ambientali, realizzate a loro volta con materiali<br />

disparati, dai metalli alle ceramiche, dal video<br />

alla fotografi a, fi no alle ibridazioni con oggetti<br />

e tecnologie prodotti da aziende leader in Italia<br />

– che per Adolfo rappresentano e prima ancora<br />

“fanno”, come spesso mi ha ripetuto in queste<br />

settimane di lavoro, l’opera contemporanea. Si<br />

fa dunque interprete di un modo di intendere<br />

l’arte come processo, come cortocircuito<br />

proliferante di segni e signifi cati scaturiti<br />

dalla liaison di sistemi culturali e produttivi:<br />

da qui anche il concetto di <strong>Arte</strong>insegna, e lo<br />

spirito che anima le sue quattro opere esposte<br />

in mostra. Dove la presenza della luce al<br />

neon testimonia l’importanza delle aziende<br />

produttrici e delle moderne tecnologie nella<br />

realizzazione del progetto artistico; d’altra<br />

parte, luce e industria confl uiscono in un<br />

concetto di arte che Lugli intende sia come<br />

strumento d’espressione e di comunicazione<br />

internazionale sia quale progetto chiamato a<br />

stringere insieme l’aspetto produttivo e quello<br />

contemplativo.<br />

L’arte è primariamente medium educativo<br />

e formativo nei confronti, innanzitutto,<br />

proprio degli artisti e dei soggetti coinvolti,<br />

poi del pubblico e della società cui l’arte<br />

spontaneamente si rivolge.<br />

Da questi concetti di base, si comprende<br />

il lavoro di Adolfo, spesso realizzato con<br />

e all’interno di fabbriche ed industrie,<br />

luoghi espositivi d’elezione e di educazione<br />

all’estetico, attraverso il tecnico (3) ; ma anche<br />

nelle città e nelle piazze, spazi pubblici dove<br />

l’opera diventa collettiva, arricchendosi del<br />

signifi cato e del rapporto con la cittadinanza<br />

che la fa propria. (4)<br />

<strong>Arte</strong> infi ne, specifi camente, come analisi,<br />

rifl essione e proposta di espressioni artistiche<br />

chiamate a confrontarsi ora con il campo dei<br />

mass media, ora con la storia – ovvero con il<br />

passato delle forme e dei simboli latori di senso<br />

e di messaggi, dai menhir alle colonne.<br />

Rifl essioni necessarie per introdurre le quattro<br />

opere realizzate da Lugli: così, se “Energia<br />

liquida luminosa”, posta all’ingresso esterno<br />

di Villa Mazzotti, si presenta quale totem<br />

arcaico squarciato da una lingua di neon che,<br />

incuneandosi fra le ferite naturali della pietra, si<br />

fa simbolo del presente, della contemporaneità,<br />

la più piccola “Energia liquida luminosa dei<br />

segni”, esposta nella sala dedicata all’artista,<br />

amplia il confronto accogliendo sui percorsi<br />

luminosi stampe industriali.<br />

“Ordine e disordine dei segni”, colonna di<br />

quattro metri solcata da neon luminosi che<br />

ne esaltano la verticalità, instaura invece<br />

un dialogo aperto con la storia, ribadendo<br />

la funzione comunicativa e semantica di cui<br />

erano – e sono – ammantate architetture e<br />

forme costruttive e strutturali: quali la colonna,<br />

appunto.<br />

Chiamata a racchiudere tali rifl essioni, a<br />

stringerne i nodi e insieme a scioglierli tutti<br />

verso nuove ibridazioni semantiche, è la grande<br />

scultura-installazione “Insegna luminosa per un<br />

archivio di segni, origine di nuove connessioni<br />

di senso”. Esposta alla prima mostra modenese<br />

di <strong>Arte</strong>insegna, l’opera pare oggi voler


ifl ettere, insieme al suo artefi ce, sugli obiettivi<br />

raggiunti ed i percorsi ancora da compiere nel<br />

viaggio dell’arte associata al medium della luce<br />

ed all’appoggio illuminato delle aziende AIFIL.<br />

pag. 70<br />

Adolfo Lugli<br />

Energia liquida luminosa<br />

2008<br />

pietra, neon e plexiglas<br />

cm. 180 x 100 x 100 circa<br />

I.B.<br />

pag. 71 e 73 in alto<br />

Adolfo Lugli<br />

Insegna luminosa per un archivio di segni,<br />

origine di nuove connessioni di senso<br />

2004<br />

plexiglas, stampa su plexiglas e neon, telaio<br />

cm. 300 x 250, plexiglas cm. 145 x 212 x 16<br />

NOTE<br />

1) “<strong>Arte</strong>insegna”, a cura di M. Bertoni, ideazione e<br />

coordinamento del progetto di Adolfo Lugli con le aziende<br />

AIFIL, catalogo della mostra a Modena, Galleria D406,<br />

22 maggio-30 giugno 2004, Edizioni APM, Carpi (MO)<br />

2004; “<strong>Arte</strong>insegna 2”, a cura di M. Bertoni, ideazione e<br />

coordinamento del progetto di Adolfo Lugli con le aziende<br />

AIFIL, catalogo della mostra, Castello Normanno di Aci<br />

Castello (CT), 13 maggio-12 giugno 2005, Edizioni Edi.Bo.,<br />

Catania.<br />

2) Dalla conversazione con l’artista, gennaio 2008.<br />

3) Per una bibliografi a ed un’analisi completa del lavoro di<br />

Lugli, rimando alla monografi a “Adolfo Lugli 1968-2002.<br />

Sentiero del tempo”, testi di M. Bertoni, J. Draganovic, P.<br />

Bellasi, catalogo della mostra, Sala dei Cervi, Castello dei Pio,<br />

Carpi (MO), novembre 2002, Edizioni Nuovagrafi ca, Carpi<br />

(MO), 2002.<br />

4) Un progetto di grande respiro, caratterizzato<br />

dall’esposizione di opere realizzate da Lugli con pietra e neon<br />

è stato “Città ideale”, testo critico di L. Panaro, catalogo della<br />

mostra, Piazza del Palazzo della Rocca di Firenzuola, Edizioni<br />

Nuovagrafi ca, Carpi (MO), 2005.<br />

pag. 71 e 72<br />

Adolfo Lugli<br />

Ordine e disordine dei segni<br />

2008<br />

neon, scatola metallica<br />

cm. 400 x 30<br />

pag. 71 e 73 in basso<br />

Adolfo Lugli<br />

Energia liquida luminosa dei segni<br />

2008<br />

pietra, neon e stampe industriali<br />

cm. 50 x 40 x 40 circa<br />

67 pagina


69 pagina


71 pagina


Artisti & Percorsi<br />

I nuovi linguaggi<br />

Laura Ambrosi<br />

C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />

Cuoghi Corsello<br />

Marco De Luca<br />

Francesco De Molfetta<br />

Barbara DePonti<br />

Christian Eisenberger<br />

Giorgio Lupattelli<br />

Vincenzo Marsiglia<br />

Marco Samorè<br />

73 pagina


LAURA AMBROSI, Soave, Verona 1959<br />

Con una spiccata propensione per le<br />

installazioni in metacrilato, Laura Ambrosi<br />

realizza oggetti tra arte e design. Si tratta<br />

di strutture leggere e trasparenti che si<br />

rapportano con l’ambiente circostante, nate<br />

per essere collocate in luoghi alternativi, fuori<br />

dai tradizionali circuiti artistici.<br />

Il fi lo conduttore delle sue opere è in un primo<br />

momento legato al tema dell’abito, un pretesto<br />

utilizzato dall’artista per raccontarsi, a volte la<br />

narrazione è da ricostruirsi anche mediante<br />

indizi che riconducono alla persona. Mostrare<br />

il contenuto della sua borsa diventa un modo<br />

per svelare se stessa, così come esibire in video<br />

parti del corpo (“La borsa di Winnie”, 2001).<br />

La ricerca di Laura Ambrosi sembra orientata<br />

alla riscoperta della sua natura, a volte<br />

grazie a ricordi che provengono dall’infanzia,<br />

più che altro aspetti ludici che riaffi orano<br />

dalla memoria, giochi, passatempi, come<br />

ad esempio un’altalena (“Vieni è tardi!”),<br />

ricostruita sul modello di quella che usava da<br />

bambina. Le bolle di sapone sembrano essere<br />

rimaste particolarmente in mente all’artista,<br />

si materializzano nelle sue opere in forma<br />

reale (“Soap’s opera”, 2000-2006), oppure<br />

attraverso una scultura luminosa che ne<br />

riproduce l’apposito contenitore ingrandito<br />

(“Bubbles”, 2006). Laura Ambrosi vive nel<br />

presente, è orientata a proiettarsi nel futuro,<br />

e ciononostante si aggrappa ai ricordi, in altre<br />

parole al passato. Probabilmente non si tratta<br />

di una contraddizione, ma è semplicemente<br />

un tentativo, fra l’altro riuscito, di sfuggire al<br />

tempo.<br />

Quando non sono i ricordi l’espediente<br />

per comunicare nuove informazioni<br />

autobiografi che, vengono in aiuto gli<br />

incontri accidentali che consolidano idee<br />

precedentemente elaborate dall’artista ma<br />

non ancora realizzate. Una lettera mai spedita<br />

trovata accartocciata in una strada di Trieste,<br />

spinge Laura Ambrosi a concretizzare un lavoro<br />

lasciato in sospeso. Dopo aver raccolto altre<br />

lettere - scritte da persone sofferenti per amori<br />

non ricambiati e problemi di salute, lettere<br />

che testimoniano la mancanza di coraggio<br />

di chi le ha scritte e poi abbandonate senza<br />

spedirle al destinatario – decide di riprodurle<br />

in metacrilato installandole nell’ambiente<br />

(“Lettere dal Mediterraneo”, 2007).<br />

Anche i sogni si sommano alla serie d’indizi<br />

che le opere di Ambrosi forniscono sulla<br />

sua personalità. L’installazione “Agoni-a”,<br />

presentata assieme alla già citata altalena<br />

in mostra qui a Chiari, trae ispirazione<br />

dall’elaborazione di un sogno: «il fi lo rappresenta<br />

il mio percorso, la mia strada; l’ago non è da<br />

considerarsi un elemento negativo… certo<br />

può pungere, mi può far male, ma può anche<br />

essere uno stimolo che mi fa aprire gli occhi,<br />

mi fa capire meglio ciò che mi sta intorno; il<br />

bianco e la trasparenza, la cruna degli aghi…<br />

queste fessure nelle quali mi posso infi lare, ci<br />

posso entrare e nascondermi, confondendomi<br />

con la trasparenza… sono lì, davanti alla mia<br />

vita…».<br />

Dai grandi aghi, carichi di “agonia” ma gioiosi<br />

di luce, Ambrosi passa ai “Gomitoli” (2004),<br />

all’interno dei quali scorre il colore. Dietro ad<br />

ogni lavoro c’è un “disegno del quotidiano”,<br />

percorso dall’artista con inquietudine,<br />

accettando i dolori, ma superandoli grazie alle<br />

forme ludiche, le cromie accese, la luce che<br />

brilla.<br />

L.P.


Laura Ambrosi<br />

Vieni é tardi!<br />

2007<br />

installazione: metacrilicato, neon, acciaio<br />

cm. 220 x 45 x 25<br />

pagine seguenti:<br />

Laura Ambrosi<br />

Agoni-a<br />

2005<br />

installazione: metacrilato, neon,<br />

trasformatore F.a.r.t.<br />

dimensioni:<br />

aghi in metacrilato trasparente,<br />

cm. 180 x diametro cm. 3 e cm. 100<br />

x diametro cm. 2,5;<br />

pezza in metacrilato bianco satinato cm.<br />

120 x 150<br />

75 pagina


77 pagina


C. CULLINAN+J. RICHARDS (ART-LAB)<br />

ART-LAB (Charlotte Cullinan + Jeanine Richards)<br />

è un sodalizio artistico nato a Londra nel 1997<br />

che oggi può vantare numerose esposizioni<br />

di livello internazionale. Le due artiste inglesi<br />

sono interessate a stabilire dei collegamenti tra<br />

le persone, le opere e la storia, esprimendosi<br />

con una gran varietà di linguaggi: installazioni,<br />

pittura, progetti, fotografi e e scritte luminose.<br />

Le loro sculture, costruite usando legno,<br />

plastica, specchi e tele, offrono un appoggio<br />

fi sico per mostrare un fi lm o appendere un<br />

dipinto, un disegno, un neon. Come dichiarano<br />

le stesse artiste, la loro ricerca consiste nel<br />

mettere a disposizione un’arena, dove forse<br />

potrà accadere qualcosa, ma anche no. Si<br />

tratta sempre d’installazioni su scala umana<br />

dove la struttura di sostegno diventa l’oggetto<br />

d’arte stesso.<br />

Il modo di lavorare è particolarmente vicino al<br />

rapporto arte e industria che in questa sede si<br />

cerca di “chiarire”. Per Cullinan+Richards sono<br />

molto importanti le relazioni, l’esatto contrario<br />

dell’isolamento che spesso contraddistingue la<br />

vita di un artista. Un approccio diverso, basato<br />

su contatti e rapporti esterni al proprio mondo,<br />

così come accade nelle realtà industriali dove<br />

la comunicazione è ormai riconosciuta come<br />

risorsa fondamentale, non solo da un punto<br />

di vista economico. Un modello concettuale<br />

interessante di cui da qualche tempo si discute<br />

senza mai approdare a risultati condivisi dal<br />

sistema dell’arte. Il programma che ART-LAB<br />

sostiene con una ricerca così orientata, porta<br />

il mondo artistico verso nuovi traguardi, la<br />

costruzione di una via di comunicazione<br />

fresca, nata per connettere vari aspetti della<br />

ricerca creativa.<br />

Lo spazio del cinema è un luogo particolarmente<br />

adatto alla fi losofi a di Cullinan+Richards,<br />

molto meno lo è quello museale. La fruizione<br />

cinematografi ca è per le artiste una modalità<br />

maggiormente aperta alle interpretazioni<br />

di quanto lo sia l’esposizione di opere in un<br />

museo. La loro idea di cinema è spaziale e<br />

tridimensionale più che legata alla proiezione<br />

d’immagini, il loro interesse è orientato allo<br />

spazio utilizzabile ed alla possibilità d’interagire<br />

con esso in maniera libera da imposizioni e<br />

pregiudizi.<br />

In questa occasione le artiste britanniche<br />

presentano l’installazione al neon “AEIOU”.<br />

Cinque vocali misteriose utilizzate da<br />

Federico III d’Asburgo per contrassegnare<br />

edifi ci e oggetti nati sotto il suo regno.<br />

Particolare era infatti la sua inclinazione per<br />

le formulazioni legate al mito. Il signifi cato<br />

dell’acronimo non fu mai spiegato, ma prima<br />

della morte dell’imperatore fu data questa<br />

interpretazione: “Alles Erdreich Ist Österreich<br />

Untertan”, ovvero “L’intero mondo è soggetto<br />

all’Austria”. La defi nizione è ritenuta discutibile,<br />

anche se, in ogni caso, le altre avanzate<br />

sono tutte riconducibili alla superiorità del<br />

grande impero degli Asburgo. “AEIOU” può<br />

anche rappresentare la traslitterazione in<br />

latino o tedesco del Tetragramma biblico<br />

che fa riferimento al nome con il quale Dio<br />

è più frequentemente nominato nell’Antico<br />

Testamento. Sempre quindi alludendo al<br />

diritto divino della casata sui territori del Sacro<br />

Romano Impero e forse dell’intero mondo.<br />

L.P.


C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />

AEIOU<br />

2006<br />

installazione neon<br />

cm. 55 x 30<br />

Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia<br />

79 pagina


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CUOGHI CORSELLO<br />

Monica Cuoghi, Sermide, Mantova 1965<br />

Claudio Corsello, Bologna 1964<br />

Cuoghi Corsello hanno occupato la loro prima<br />

fabbrica l’11-11-1994. Si trovava al numero<br />

civico n°11 e all’uscita 11 bis della tangenziale.<br />

Per 11 anni hanno preso possesso di fabbricati<br />

industriali abbandonati in giro per Bologna. La<br />

magia dei numeri è all’ordine del giorno per<br />

questi artisti.<br />

Oggi i tempi sono cambiati e così anche la loro<br />

vita. Ora è la città il territorio d’azione, lo spazio<br />

da “occupare” con il benestare dei proprietari,<br />

così come d’altronde è sempre accaduto.<br />

Paradossalmente, infatti, la conquista dei vari<br />

territori è sempre avvenuta pacifi camente,<br />

trovando il consenso di chi quelle fabbriche<br />

le aveva dismesse, scoprendo nell’avvento dei<br />

due artisti una risorsa più che un disturbo. Al<br />

posto di spaccio e violenza, che da sempre<br />

abita questi luoghi in disuso, Cuoghi Corsello<br />

hanno portato la loro arte, quella che li unisce<br />

fi n dai tempi dell’Accademia.<br />

La prima fabbrica occupata è stata il “Giardino<br />

dei Bucintori”, gli ex Magazzini Generali<br />

Raccordati della Banca Del Monte, lungo la<br />

ferrovia di Bologna, nei quali hanno vissuto<br />

dal 1994 al 1996. Senza acqua e privi dei<br />

normali comfort, gli artisti hanno così iniziato<br />

il loro particolare stile di vita e d’arte. Il lavoro<br />

artistico diventa il ripristino di questi luoghi<br />

abbandonati, donandogli vitalità, riempiendoli<br />

di nuove energie e personaggi di fantasia.<br />

Le fabbriche non solo diventano l’abitazione<br />

e lo studio di Cuoghi Corsello, ma anche un<br />

museo delle loro opere, piuttosto che luogo<br />

d’incontro di giovani creativi d’ogni estrazione<br />

e provenienza.<br />

Il 1996 è l’anno del primo trasloco, dopo un<br />

breve periodo trascorso in un garage, i due<br />

artisti si trasferiscono fi no al 2001 nell’ex<br />

fabbrica di materassi Silma, da loro chiamata<br />

“Cime tempestose”. L’arredo improvvisato della<br />

nuova casa diventa una sorta d’installazione,<br />

non si distingue cosa è arte e cosa è vita.<br />

Poi arriva il momento della “Fiat”, l’ex<br />

concessionaria, forse l’occupazione più<br />

memorabile (2001-2005). Una superfi cie<br />

vastissima concepita come opera unica, con<br />

grandi installazioni ambientali e animata dalla<br />

presenza stessa degli artisti, dal loro cantare<br />

tutte le notti o dal percorrere con amore questi<br />

grandi spazi semi vuoti, amandoli in tutti i<br />

particolari. Il più esteso atelier mai visto, con<br />

una stanza per la pittura, una per la musica,<br />

per non parlare della sala conferenze.<br />

La pluralità linguistica da sempre li<br />

caratterizza: attività di writer, performance,<br />

video, animazioni, suoni, sculture, fotografi e<br />

e light box. Quest’ultimi, realizzati negli exspazi<br />

industriali occupati, mantengono vivi i<br />

personaggi da loro creati sui muri delle città,<br />

come “Pea Brain”, “CaneK8”, “Petronill”a,<br />

“Bello”, “Cocaina”, “Kit”, “Schifi o” e “Suf.” Le<br />

loro sculture di luce hanno la particolarità di<br />

cambiare colore illuminando suggestivamente<br />

una grande stanza, oppure, come in questo<br />

caso, di ipnotizzare il visitatore grazie<br />

l’accensione e lo spegnimento degli occhi del<br />

personaggio rappresentato.<br />

La grande sensibilità che contraddistingue<br />

Cuoghi Corsello gli permette di far risaltare<br />

in termini emozionali i più piccoli dettagli<br />

che percepiscono dalle esperienze quotidiane.<br />

Il luogo, la vita e le opere di Cuoghi Corsello<br />

sono una cosa sola, come i loro cognomi, privi<br />

della «e» di congiunzione.<br />

L.P.


Cuoghi Corsello<br />

Suf<br />

2008<br />

light box<br />

cm. 93 x 130 x 15,5<br />

83 pagina


85 pagina


MARCO DE LUCA, Torino, 1964<br />

La ricerca artistica di Marco De Luca indaga il<br />

rapporto tra l’individuo e l’ambiente, in termini<br />

sia mentali, che fi sici o sociali, toccando i<br />

temi del desiderio, del gioco, della memoria<br />

personale e collettiva. Si esprime con la<br />

scultura e l’installazione, il video, il disegno e<br />

la pittura.<br />

«Parte della mia ricerca» scrive De Luca, «è<br />

rivolta alla progettazione di oggetti e ambienti<br />

che interrogano la sfera del comportamento.<br />

Mi interessa rifl ettere sul rapporto di reciproco<br />

condizionamento – e quindi di adattamento e<br />

trasformazione - che si stabilisce, attraverso<br />

l’uso, tra un oggetto, un ambiente, un luogo e<br />

la persona che vi si relaziona».<br />

“Sistemi di adattamento”, titolo di un suo ciclo<br />

di lavori avviato nel 1999, sintetizza molto bene<br />

la fi losofi a che guida queste opere, intese come<br />

dispositivi destinati a sovvertire l’accezione<br />

funzionale e normata di “adatto” attraverso<br />

l’adattamento al piacere, alla condivisione, al<br />

gesto “liberato”. Sculture dai rigorosi volumi<br />

geometrici quando chiuse, i “Mobili da uffi cio”<br />

(1999-2001) una volta aperti consentono<br />

di spostarsi altrove, di inceppare il ritmo<br />

lavorativo quotidiano, assecondando, ciascuno<br />

in modo specifi co, attività quali la lettura, il<br />

fumo, la preparazione del caffè. Tra le opere<br />

di questo ciclo uno zaino multifunzionale,<br />

realizzato e accessoriato dall’artista con<br />

elementi destinati a fare fronte a situazioni<br />

di emergenza, quali l’air-bag e le cinture di<br />

sicurezza, diviene, nel video che ne mostra le<br />

possibilità d’uso, un’altalena, un cuscino, uno<br />

strumento apparentemente paradossale, ideale<br />

per lasciarsi andare (“Zainetto”, 2000-2001).<br />

Tra i suoi progetti più recenti ha realizzato,<br />

nel parco giochi di Settimo Rottaro, un<br />

Comune della provincia di Torino, una grande<br />

scultura ludica progettata come uno spazio<br />

trasformabile sui desideri di quei bambini che<br />

ne saranno i principali fruitori, e destinata<br />

all’intera comunità degli abitanti. In perfetto<br />

equilibrio tra arte e design, questo progetto<br />

permette una moltiplicazione esponenziale<br />

di possibilità d’uso e di invenzioni, così come<br />

suggerito dal titolo dell’opera: “Al cubo”<br />

(2006).<br />

Per Villa Mazzotti, De Luca realizza<br />

l’installazione “Non tutti gli incantesimi volano”,<br />

titolo tratto da una poesia di John Keats. Si<br />

tratta di sette scritte al neon a luce bianca<br />

che riproducono in corsivo il nome dei colori<br />

che compongono l’arcobaleno: violetto, rosso,<br />

blu, arancione, giallo, indaco, verde. Installate<br />

a terra in ordine sparso, come disperse dopo<br />

una caduta, queste parole luminose rifl ettono<br />

su un fenomeno fi sico che si manifesta nella<br />

meraviglia di un incantesimo, di un miraggio,<br />

e che nei tempi ha assunto diversi signifi cati:<br />

in passato metafora del passaggio dal terreno<br />

al divino, oggi utilizzato come simbolo di<br />

associazioni umanitarie e della rivendicazione<br />

dei diritti umani. Con l’arcobaleno scomposto<br />

nelle sue singole unità, l’artista allude a<br />

una situazione contemporanea sempre più<br />

contrassegnata dalla sfi ducia nel presente e<br />

dalla diffi cile proiezione nel futuro, lasciando<br />

al tempo stesso al visitatore la possibilità di<br />

ricomporre il miraggio e la sua carica utopica.<br />

I colori, resi invisibili, restano infatti presenti<br />

all’interno delle sette parole al neon, illuminate<br />

da una luce volutamente senza colore che<br />

racchiude in sé l’intero spettro dei colori<br />

reali. Se la somma dei colori genera il bianco,<br />

signifi ca che all’interno di quelle parole senza<br />

pigmento sono ancora contenuti, seppure in<br />

forma potenziale, tutti i colori dell’arcobaleno,<br />

pronti per generare nuove combinazioni,<br />

nuovi linguaggi. L’opera diventa così un punto<br />

di partenza, una serie di parole consegnate<br />

all’immaginazione.<br />

L.P.


Marco De Luca<br />

Non tutti gli incantesimi volano<br />

2008<br />

installazione: sette scritte al neon<br />

cm. 700 x 570<br />

87 pagina


89 pagina


FRANCESCO DE MOLFETTA (Milano 1979)<br />

Vocabolario:<br />

“Tassidermia”: dal greco “taxis”, ordinamento,<br />

collezione e derma, pelle; tecnica di preparare<br />

la pelle degli animali, trattandola ai fi ni della<br />

sua conservazione.<br />

Il “Tassì”: versione italiana della parola<br />

internazionale “Taxi”.<br />

Il Tasso: mammifero appartenente alla famiglia<br />

dei Mustelidi.<br />

Descrizione:<br />

un tasso adulto, con il muso digrignante, ha<br />

quattro ruote al posto delle zampe. Sul dorso<br />

sorregge l’insegna luminosa del Taxi.<br />

Considerazioni:<br />

Francesco De Molfetta ha quasi trent’anni.<br />

Francesco De Molfetta ha in testa qualcosa di<br />

nuovo da dire. Da fare. (1)<br />

Procediamo con ordine.<br />

L’opera presentata è un’operazione<br />

concettuale: linguaggio, tecnica e tema si<br />

rifl ettono, tautologicamente, l’uno nell’altro.<br />

Esposto, dichiarato, eppure da trovare<br />

all’interno dell’opera stessa, il titolo<br />

contiene tutti i messaggi che l’artista vuole<br />

comunicare.<br />

E, al contempo, tutti li fa saltare. Spiazza e<br />

sorprende.<br />

Lasciamo per un attimo da parte le seppur<br />

valide categorie d’analisi con le quali è stato<br />

spesso analizzato il lavoro di De Molfetta:<br />

ironia sulla scia d’avanguardie del Novecento,<br />

salto-di-scala-gli-omini-di-demolfettacome-alterego-dell’artista-oppure-criticadivertita,<br />

componente teatral- beckettiana,<br />

trasposizione semantica, provocazione<br />

narrativa, fi gure retoriche applicate all’opera<br />

d’arte, quali: antifrasi, ossimori, metafore<br />

eccetera eccetera.<br />

Partiamo da quell’insegna luminosa che,<br />

contenendo una parola ben precisa,<br />

immediatamente riconducibile al suo primo<br />

signifi cato – il taxi è un’auto ed un conducente<br />

“a noleggio” per spostarsi più o meno<br />

rapidamente da un posto all’altro – associata a<br />

cosa, o meglio chi, la sostiene, innesca il primo<br />

cortocircuito linguistico: taxi-tassì-tasso.<br />

Un animale con le ruote. Al posto della<br />

macchina, dello strumento, un mammifero<br />

meccanizzato. La parola dell’insegna,<br />

rimarcata dall’illuminazione, acquista un<br />

messaggio inaspettato, graffi ante, perentorio:<br />

il tasso diventa un curioso tassì, le sue zampe<br />

sono fatte di copertone. L’animale non pare<br />

nemmeno troppo felice di questo suo nuovo<br />

ruolo-funzione.<br />

Da mammifero a macchina.<br />

Qui sta il nodo della questione.<br />

Attenzione, ci dice Francesco, forse abbiamo<br />

esagerato: strumentalizziamo gli animali, ci<br />

serviamo di loro, incapaci a vedere al di là<br />

dell’uso che vogliamo farne.<br />

Evitiamo qualsiasi critica animalista. Francesco<br />

ama gli animali, ogni tanto cambia casa per far<br />

spazio ai suoi cani ingombranti.<br />

Pensiamo alle operazioni concettuali di<br />

Kounellis, quando esponeva i cavalli: anche<br />

in quel caso, parte del signifi cato dell’opera<br />

si rifl etteva nell’impatto concettuale, nel<br />

rapporto fra luogo e destinazione, fra segno<br />

signifi cante e senso. Fra natura e artifi cio.<br />

In Francesco de Molfetta il percorso semantico<br />

ad un certo punto inverte la rotta: il tasso è<br />

un tassì – dal naturale all’artifi ciale, ovvero<br />

la critica alla strumentalizzazione degli esseri<br />

viventi – ma il tassì può diventare un tasso?<br />

Ovvero, fuor dai giochi di parole: quante volte,<br />

oggi, assistiamo ad un ribaltamento dei ruoli,<br />

ad una preoccupante antropomorfi zzazione<br />

delle cose, degli oggetti, dei mezzi e degli<br />

strumenti, insomma dei beni di consumo che<br />

usiamo?<br />

La polemica riprende tematiche<br />

dichiaratamente pop, dalle critiche del<br />

Baudrillard del “Sistema degli oggetti” (2) alle<br />

opere di Segal, Hamilton, Oldenburg, dove<br />

la cosa diventa feticcio, la donna mostra un


sorriso sbiancato come i panni della sua amata<br />

lavatrice e l’uomo si esprime attraverso il<br />

rombo del motore di una nuova automobile…<br />

Qui, nell’opera di De Molfetta, l’oggetto si fa<br />

feticcio inquietante, aberrazione d’ogni regola,<br />

macchina e animale insieme, e prima di tutto<br />

ancora essere umano, con quell’espressione<br />

arrabbiata, furente, quasi a ribellarsi al delirio<br />

di ruoli di cui è vittima e artefi ce.<br />

Unica indifferente, e motore di tutto, l’insegna<br />

luminosa, che imperterrita ci ricorda, casomai<br />

fossimo di fretta, che il Tassì è pronto a portarci<br />

dove vogliamo. Più o meno…<br />

I.B<br />

NOTE<br />

1) Scoperto nel 2000 da Franco Toselli, presso il quale ha<br />

esposto giovanissimo nella sua prima personale milanese<br />

“oggetti che cambiano il loro destino”, recensito da ambite<br />

testate e riviste d’arte contemporanea, da “Flash Art” a<br />

“Juliet”, da “Tema Celeste” a “Il Giornale dell’<strong>Arte</strong>”, De Molfetta<br />

ha al suo attivo una serie di importanti tappe espositive,<br />

dalla Tokyo Gallery di Tokyo al Museo d’<strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong><br />

di Besançon, fi no in Spagna, a Murcia, alla Galleria T20,<br />

oltre alle più importanti fi ere d’arte internazionali. Fra<br />

i progetti curatoriali, sono da menzionare nel 2004 la<br />

Biennale “inTransito 04” a Castel Sant’Angelo a Roma, nel<br />

2005 l’ “Opera al Nero” al Museo ed alla Mole Vanvitelliana<br />

di Ancona, e l’anno successivo la sua presenza nel progetto<br />

“Container 1”, curato dal vice direttore di Art Basel Oliver<br />

Tschirky; diversi inoltre i progetti espositivi dove la sua opera<br />

è stata avvicinata ad alcuni artisti del Novecento, da Pino<br />

Pascali ad Aldo Mondino (“CHIARI & geniali”, organizzata<br />

dalla Galleria <strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong> in Villa Mazzotti,<br />

a cura di Ilaria Bignotti, marzo-aprile 2007; “Profumo di<br />

Cacao”, a cura di Marisa Vescovo, Museo La Giardinera di<br />

Settimo Torinese, Torino).<br />

2) J. Baudrillard, “Le systéme des objets”, Paris 1968,<br />

traduzione italiana “Il sistema degli oggetti”, Milano 1972.<br />

91 pagina


Francesco De Molfetta<br />

Il Tassì<br />

2008<br />

tecnica mista e insegna luminosa<br />

cm. 50 x 70 x 50<br />

93 pagina


BARBARA DEPONTI, Magenta, Milano 1975<br />

“…Che cosa sono le nostre case se non bare<br />

erette dalla terra verso il cielo?… Bare con<br />

buchi per l’aria. I cimiteri hanno più aria per gli<br />

scheletri dei loro morti di quanto ne abbiano<br />

le città per i polmoni dei loro abitanti…pareti,<br />

pareti, PARETI... ABOLIREMO LE PARETI, queste<br />

armature del corpo e dell’anima…” (1) .<br />

Sono le architetture effi mere fi glie dei nuovi<br />

materiali del vetro e del ferro, nate agli albori<br />

della Modernità; sono le tensioni espressioniste<br />

della “Glasarchitecture” di Taut e Scheerbart;<br />

sono le città industriali, i progetti urbanistici,<br />

le soluzioni costruttive a stimolare Barbara, a<br />

partire da quando, nel 2003, iniziava a rifl ettere<br />

su Torino, affascinata dall’impatto visivo della<br />

sua stazione ferroviaria. Venivano poi le<br />

ricerche sull’architettura razionalista, tradotte<br />

in opere e studi sulle aree monumentali<br />

della città di Como; le numerose analisi sulla<br />

città, sfociate in interessanti esposizioni e<br />

pubblicazioni, da “Cittàstrattismo e urban-art”<br />

a “Urbs”, nel 2005, da “Cittàmorfosi” nel 2006<br />

a “Interni” e “Percorsi urbani” nello scorso<br />

anno. (2)<br />

Leggerezza. Trasparenza. Struttura. Profondità<br />

e Superfi cie.<br />

Libertà dell’aria e della luce di attraversare gli<br />

spazi, superando il limite di masse e murature.<br />

Libertà dell’occhio di costruirsi un luogo,<br />

di scegliere una direzione, d’inventarsi un<br />

sistema. Questo suggeriscono oggi le sue<br />

opere, delicate traduzioni formali di una<br />

severa analisi architettonica, fi glie preziose di<br />

un’estenuante gestualità eseguita dall’artista<br />

sul piano-superfi cie da cui scaturisce la<br />

visualizzazione dell’idea.<br />

Opacità e presenza materica del fogliosupporto,<br />

la carta da spolvero, ora lasciata nella<br />

sua tonalità naturale, in questo caso tinta con<br />

colore acrilico nero; fragilità delle consunzioni<br />

del fare, che Barbara imprime alle sue carte,<br />

effettuando pieghe in tempi successivi,<br />

fi no a graffi are l’acrilico, a farlo crollare dal<br />

supporto, intenta a liberare – nuovamente,<br />

maniacalmente – il colore originario della<br />

carta.<br />

Riaperto il foglio, ecco il progetto, formato<br />

da linee e convergenze, da strutture che<br />

s’intersecano formando avveniristiche<br />

architetture, provvisorie elucubrazioni di<br />

tracciati percorribili, inganni di padiglioni<br />

smisurati, ponti che s’impennano in voragini<br />

tridimensionali. (3)<br />

Da qui le sue opere, diafane traduzioni di<br />

una “nostalgia per l’idea di struttura”, è stato<br />

acutamente scritto, una struttura che ora<br />

fornisce rigore alla dimensione espressiva,<br />

ora svela il lato sensuale di ogni forma<br />

rigorosa (4) ; da qui quel costante passare,<br />

in ogni sua carta, nella traccia di qualsiasi<br />

piegatura, dalla dinamica della costruzione<br />

alla tensione decostruttivista, alla ricerca<br />

di regole linguistiche di un’architettura che<br />

Barbara sceglie, provvisoriamente, di lasciare<br />

sospesa sulla bidimensionalità della superfi cie<br />

cartacea. La profondità è data dalla luce, che<br />

s’irradia dal retro dell’opera, fi ltrando dalle<br />

ferite strutturali e prospettiche che l’artista<br />

agisce sul supporto.<br />

Coinvolto in prima persona, lo spettatore,<br />

chiamato a trovare il proprio punto di vista,<br />

a stabilire se la visione, o meglio veduta,<br />

sia all’interno o all’esterno dell’edifi cio<br />

rappresentato, dall’alto in basso o dal sotto<br />

in su. Superfi cie e profondità, luce soffusa<br />

e luce imposta, luce che fi ltra nello spazio<br />

architettonico e struttura luminosa che<br />

s’impone nello spazio: fertile il recente<br />

confronto espositivo con le installazioni<br />

ambientali di Carlo Bernardini, destinato a<br />

suggerire risultati diversi, ha scritto la stessa<br />

artista, “…tra i due linguaggi che usano la luce<br />

come agente prospettico, modellando la terza<br />

dimensione tra lo spazio immaginario e quello<br />

illusorio…” (5)<br />

I.B.


NOTE<br />

1) Questa l’immagine della città trasparente nel “Manifesto<br />

del tensionismo”, “De Stijl” 1925.<br />

2) “La nuova scena urbana, Cittàstrattismo e urban-art”, J.<br />

Ceresoli, ed. Franco Angeli, Milano 2005; “Urbs”, testi di M.<br />

Arioli, R. Borghi, catalogo della mostra, Grafi che Morandi,<br />

Fusignano (RA) 2005; “Cittàmorfosi”, testi di J. Ceresoli,<br />

catalogo della mostra, Centro Culturale Cascina Grande,<br />

Rozzano, (MI) 2006; “Interni”, testi di R. Borghi, A. Coppa,<br />

A. Pioselli, C. Ristagno, catalogo della mostra, Cesarenani<br />

editore, Lipomo, Como 2007; “Percorsi urbani”, a cura di A.<br />

Pioselli, ospitata da Studio, promossa da Ermanno Tedeschi<br />

Gallery, Torino 2007.<br />

Barbara DePonti<br />

T. p. S.<br />

2007<br />

acrilico e piegature su carta da spolvero, plexiglas e neon<br />

cm. 130 x 200<br />

3) Interessante la spiegazione della tecnica da parte<br />

dell’artista, intervistata da Laura Carcano, in occasione della<br />

sua personale “Transiti” allestita alla Silbernagl Undergallery,<br />

Milano, a cura di Luca Beatrice.<br />

4) Così Roberto Borghi nel testo “La sensualità della<br />

struttura”, catalogo della mostra “Interni”, Milly Pozzi <strong>Arte</strong><br />

<strong>Contemporanea</strong>, Como 2007.<br />

5) In “Interazioni: strutturaspazioluce”, a cura di L. Caramel,<br />

catalogo della mostra con Carlo Bernardini, Como, Milly<br />

Pozzi <strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Marelli Edizioni 2007.<br />

95 pagina


97 pagina


CHRISTIAN EISENBERGER, Graz, 1978<br />

Le opere dell’artista Christian Eisenberger sono<br />

realizzate con l’utilizzo di materiali modesti<br />

e facilmente reperibili in qualsiasi città del<br />

mondo, come cartone, legno, tela, gomma<br />

e nastro adesivo. Alcune sculture sono<br />

arricchite da tubi al neon, videoproiezioni,<br />

fotografi e e dall’intervento performativo dello<br />

stesso artista. Più di una volta Eisenberger<br />

si è barricato all’interno di strutture da lui<br />

costruite, in altre occasioni ha realizzato azioni<br />

dentro edifi ci pubblici. Una volta ha vissuto per<br />

quaranta giorni nella chiesa di Sant’Andrea a<br />

Graz rifl ettendo, in occasione della Quaresima,<br />

sul rapporto arte/spiritualità, mediante<br />

l’allestimento di un atelier provvisorio dove<br />

con ritualità religiosa erano ripetuti alcuni<br />

gesti artistici quotidiani.<br />

La pittura e il disegno convivono nelle<br />

installazioni dell’artista austriaco con altre<br />

tecniche e oggetti di uso comune, riutilizzati<br />

quasi a costruire una storia disorganica,<br />

volutamente anti-narrativa. Pupazzi di peluche<br />

imbottiti, capelli reperiti da veri coiffeur<br />

oppure una grande pozzanghera di latte, sono<br />

utilizzati dall’austriaco per disegnare sagome<br />

antropomorfe sul pavimento delle gallerie che<br />

lo ospitano. Anche servendosi di banalissimi<br />

cotton fi oc è capace di costruire delle strutture<br />

molecolari complesse.<br />

Su fogli di cartone inciso con lettere e frasi<br />

retroilluminate, comunica messaggi da writer,<br />

dove anche il colore, spesso sgocciolato, e il<br />

disegno, scarabocchiato, contribuiscono a<br />

un forte senso di disordine. Come ha scritto<br />

Silvia Ferrari, Eisenberger, allo stesso modo<br />

dei graffi tisti, in certe occasioni usa fi rmarsi<br />

con lo pseudonimo “Urex”, dato dalla fusione<br />

dei prefi ssi “ur” (rimando a una dimensione<br />

primordiale), “re” (che introduce il concetto<br />

di ripetizione), “ex” (che retrodata ogni<br />

posizione eventuale). «La fl uidità concettuale<br />

del soprannome è indicativa del suo concepirsi<br />

catalizzatore entro processi metamorfi ci,<br />

che spesso si esplicano in tentativi di<br />

sensibilizzazione pubblica».<br />

Le opere di Eisenberger si vivono dall’interno,<br />

chinando la testa per passare sotto le strutture<br />

di legno ottenute accumulando materiali di<br />

scarto, per poi trovare all’interno piccoli spazi<br />

di libertà, dove guardare un video o apprezzare<br />

disegni realizzati dall’artista o da amici invitati<br />

a partecipare a un progetto artistico collettivo.<br />

Il risultato di questo modo di operare consiste<br />

molto spesso in opere effi mere, l’artista è un<br />

trasformatore di eventi più che un creatore di<br />

oggetti, non offre un’interpretazione univoca<br />

del suo lavoro ma, anzi, sprona il visitatore<br />

alla partecipazione fi sica e concettuale delle<br />

stesse.<br />

In occasione di questa mostra Christian<br />

Eisenberger ha realizzato un elegante cappio<br />

al neon sorretto da un’impalcatura che<br />

contribuisce a simulare un’impiccagione. A<br />

fi anco, un’inquietante fi gura umana fatta<br />

di scotch. Si tratta di una sorta di calco del<br />

corpo dell’artista, frutto di una performance:<br />

dopo essersi avvolto come una mummia con<br />

nastro adesivo da magazziniere, creando così<br />

una scultura che lo conteneva, se ne è liberato<br />

tagliandolo con un cutter dall’interno.<br />

L.P.<br />

Christian Eisenberger<br />

Cappio<br />

2007<br />

neon, legno, nastro adesivo<br />

cm. 220 x 200 circa<br />

Courtesy dispari&dispari project, Reggio Emilia


99 pagina


101 pagina


GIORGIO LUPATTELLI, Magione, Perugia 1958<br />

L’opera di Giorgio Lupattelli si caratterizza per<br />

un’attenta osservazione del mondo fi ltrata<br />

dai moderni mezzi di comunicazione. L’autore<br />

s’impossessa della storia e degli usi e costumi<br />

dell’umanità, facendo una sorta di “zapping”<br />

nella moda, nel cinema, nella televisione, nella<br />

pubblicità, nella musica, nella religione e nella<br />

scienza. La sua rifl essione verte principalmente<br />

sulla tendenza dell’uomo contemporaneo alla<br />

manipolazione genetica e quindi alla resistenza<br />

della vita sulla morte.<br />

La forte curiosità scientifi ca e grafi ca di<br />

Lupattelli lo ha condotto attraverso un<br />

percorso artistico anomalo e diffi cilmente<br />

collocabile nelle situazioni oggi esistenti. La<br />

ricerca sull’immagine, il prelievo fotografi co<br />

e sonoro dal mondo della comunicazione,<br />

l’utilizzo della luce, spingono a situare il suo<br />

lavoro sotto l’etichetta di “pittura mediale”.<br />

In realtà però l’artista non ha mai utilizzato<br />

solamente il mezzo pittorico, si è servito<br />

di molte altre tecniche come la fotografi a,<br />

l’installazione, recentemente la scultura e il<br />

video.<br />

La mostra “Buildings” (2006) ha segnato<br />

un punto di svolta nel percorso dell’artista,<br />

spostando maggiormente la sua ricerca<br />

sull’aspetto scientifi co, insistendo su concetti<br />

come la manipolazione genetica, la costruzione<br />

meccanica, la ricerca medica, le teorie e le<br />

formule matematiche, chimiche, fi siche, unite<br />

alle problematiche d’ordine etico derivanti<br />

dalla volontà dell’uomo di prendere in mano le<br />

redini del suo destino. Tutto questo evitando<br />

sempre una presa di posizione sulle grandi<br />

tematiche; il compito dell’artista è sollevare i<br />

problemi non dare le soluzioni.<br />

Con la mostra “Freon” (2007), Lupattelli<br />

fa riferimento alla famiglia di gas derivati<br />

dal metano che hanno trovato largo<br />

impiego nell’industria del freddo, come<br />

fl uidi del ciclo frigorifero. Il freon abbassa<br />

la temperatura favorendo la conservazione<br />

degli alimenti, così come le vicende della vita<br />

rallentano l’inevitabilità della morte. Il freon,<br />

paradossalmente, mentre diminuisce il grado<br />

di calore dei cibi alza quello del pianeta, poiché<br />

tra i gas responsabili del buco nell’ozono.<br />

Il freon esprime perfettamente il senso del<br />

disperato tentativo dell’uomo contemporaneo<br />

di prolungare la giovinezza, allontanando il<br />

sopraggiungere della morte. Freon quindi<br />

come metafora dell’esistenza.<br />

Nel video “Delta Esse Maggiore di Zero” (2005)<br />

l’artista si ispira alla formula del 2° principio<br />

della termodinamica (∆S>0), che si fonda<br />

sull’introduzione di una nuova funzione di<br />

stato, l’entropia, in altre parole tendenza di un<br />

sistema fi sico (o più in generale dell’universo) al<br />

caos, al disordine, all’autodistruzione. Nel light<br />

box presentato qui a Chiari, invece, Lupattelli<br />

cita la teoria della relatività di Albert Einstein<br />

(E=mc 2 – l’energia è uguale alla massa per la<br />

velocità della luce al quadrato), rifl ettendo su<br />

come che la massa “m” è equivalente all’energia<br />

“E” e la velocità della luce “c” sia l’unica<br />

costante immutabile. Invitato a realizzare un<br />

lavoro sul tema della luce, l’artista lo affronta<br />

a livello concettuale da un punto di vista<br />

scientifi co, mentre come traduzione pratica<br />

si affi da alla simulazione dei moderni schermi<br />

televisivi in 16:9, dove la luce si fa veicolo di<br />

tutte le informazioni e attività riguardanti il<br />

nostro tempo.<br />

L.P.


Giorgio Lupattelli<br />

E=mc 2<br />

2004 - 2008<br />

stampa digitale su light box, dimensione dell’immagine<br />

cm. 110 x 62, dimensione del box cm. 118 x 70 x 12<br />

103 pagina


105 pagina


VINCENZO MARSIGLIA, Belvedere Marittimo, 1972<br />

Esce a Londra nel 1972 “Learning from Las<br />

Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma<br />

architettonica”: se è risaputo l’impatto che<br />

il testo ebbe sulla critica e sulla storia<br />

dell’architettura, sull’analisi della metropoli<br />

contemporanea e dell’illuminazione notturna,<br />

forse non tutti sanno che il suo autore, Robert<br />

Venturi, ottenne il principale patrocinio dalla<br />

YESCO, Young Electric Sign Company, azienda<br />

leader nella produzione di insegne luminose.<br />

Se questo è uno degli aspetti che avvicina<br />

quel caso editoriale a questo progetto<br />

espositivo appoggiato dalla AIFIL, un’altra<br />

“affi nità elettiva” si profi la pensando che fra<br />

i principali temi del testo di Venturi vi sono<br />

l’analisi dell’icona pubblicitaria e del marchio<br />

commerciale nel tessuto della metropoli, ed<br />

osservando l’opera “Interact Star” di Vincenzo<br />

Marsiglia, giovane artista ligure con alle spalle<br />

un interessante percorso di ricerca (1) .<br />

“…Senz’altro uno dei più capaci a disancorarsi<br />

dalle trame del decorativismo per produrre<br />

una ricerca contemporanea che identifi chi nel<br />

logo (nel marchio) il “punctum” dello sguardo…<br />

risale all’epoca pop e si snoda per buona parte<br />

della contemporaneità, sulla non-necessità<br />

di produrre immagini nuove e originali<br />

all’interno di un sistema visivo che ne licenzia<br />

continuamente ogni giorno…” (2) .<br />

Così indicava Beatrice, cinque anni fa:<br />

importante osservare come, pur affi nandola e<br />

maturandola, l’artista abbia sempre mantenuto<br />

questa direzione di ricerca espressiva, confl uita<br />

nel tema della stella a quattro punte agita e<br />

tradotta su supporti e con materiali disparati,<br />

dall’acrilico al feltro, dalla ceramica all’uso del<br />

glitter e delle paillettes, la scritta LOGO, lo<br />

scambio concettuale fra il nome dell’artista,<br />

Marsiglia, e il prodotto, attraverso la creazione<br />

di saponette – prima reali, poi in ceramica –<br />

quali media di senso “…su cui sovra-scrivere<br />

la mia presenza e la mia ricerca…”. Necessaria<br />

la sperimentazione dei materiali, basti pensare<br />

alla ceramica, certo “destinata” a Marsiglia<br />

per quella vicinanza geografi co-spirituale<br />

con le fornaci di Albissola Marina, centro del<br />

Movimento Artistico Mediterraneo.<br />

Fondamentale, d’altra parte, la meditazione<br />

sulla Minimal Art di Judd, Le Witt, Marden,<br />

Spalletti; l’analisi della percezione visiva e<br />

gestaltica, determinante per la confi gurazione<br />

dell’opera. Ma, come l’insegna di Las Vegas,<br />

studiata a tavolino dalle menti del commercio<br />

e poi spontaneamente capace di contaminarsi<br />

con la metropoli dello shock visivo, del kitsch<br />

commerciale, l’arte di Marsiglia è “…un’arte<br />

dinamica che si contamina continuamente<br />

con tutto ciò che le, e mi, ruota attorno. Non<br />

è più negativamente kitsch se si pondera<br />

tutta la strutturazione che le sta dietro, la<br />

compensazione delle linee, la forza dei colori,<br />

il dinamismo dei colloqui intrinseci”. (3)<br />

In particolare, quest’opera interattiva si<br />

compone di quattro quadri digitali che<br />

richiedono l’intervento del pubblico: nel primo<br />

e nel secondo, è il corpo dello spettatore a<br />

determinare, attraverso il suo spostamento<br />

e relazionarsi con lo schermo, i movimenti<br />

e i raggruppamenti delle stelle e dei loghi;<br />

nel terzo quadro, l’intervento del fruitore<br />

determina invece i cambiamenti dei campi<br />

cromatici. Nel quarto infi ne, lo spettatore<br />

si rifl ette e riconosce completamente nello<br />

schermo, agendo nell’opera come soggetto<br />

principale.<br />

I. B.


NOTE<br />

1) Fra le più recenti esposizioni personali, basti ricordare<br />

nel 2007 “Stardust”, a cura di Chiara Argenteri, LoftGallery,<br />

Corigliano Calabro, mentre l’anno precedente “Vincenzo<br />

Marsiglia – Infi nito Stellare”, a cura di Nicola Davide<br />

Angerame, Chiesa Anglicana, Alassio Savona; nel 2005:<br />

“Vincenzo Marsiglia – Oltre il mito”, Fortezza Castelfranco<br />

Finale Ligure, Savona e nel 2004 “Confi gurazioni in continuo<br />

divenire”, a cura di Claudio Cerritelli, Galleria Cavenaghi <strong>Arte</strong>,<br />

Milano, e “Il fascino della percezione”, a cura di Riccardo<br />

Zelatore, Galleria Roberto Rotta Farinelli, Genova.<br />

Vincenzo Marsiglia<br />

Interact Star<br />

2008<br />

quadro interattivo<br />

cm. 55 x 62,5 x 9<br />

2) “Il paradosso astratto”, a cura di Luca Beatrice, Casa<br />

del Console, Museo d’<strong>Arte</strong> <strong>Contemporanea</strong>, Calice Ligure,<br />

Savona 2003.<br />

3) Vincenzo Marsiglia, dall’intervista rivoltagli nell’ottobre<br />

2007 da Matteo Galbiati; da qui provengono anche le<br />

citazioni dell’artista che seguono nel testo.<br />

107 pagina


109 pagina


MARCO SAMORÈ (Faenza, 1964)<br />

Le opere di Marco Samorè parlano una lingua<br />

universale, ci proiettano in una dimensione<br />

domestica alla quale noi tutti sappiamo<br />

accostare una memoria o un ricordo. L’effetto<br />

shock gioca un ruolo importante per l’artista,<br />

riesce a trasmettere alle sue installazioni,<br />

sculture o fotografi e quello spaesamento<br />

perturbante che lascia il fruitore in balia degli<br />

eventi, di fronte ad un déjà-vu destabilizzante<br />

che non riesce a controllare.<br />

“Standard” e “Domestica” non sono soltanto i<br />

titoli dati da Samorè a due mostre di qualche<br />

anno fa, questi termini sono la chiave di<br />

lettura di tutta la sua produzione. “Standard”<br />

è l’oggetto commerciale diffuso in tutte le<br />

abitazioni e ormai parte della nostra esistenza<br />

quotidiana. “Domestica” è l’atmosfera in cui<br />

questo oggetto standard risiede, cioè fra le<br />

pareti di casa.<br />

Dietro le sue belle opere studiate con grande<br />

cura formale si nasconde quindi qualche cosa<br />

di più profondo, che fa leva sulla riconoscibilità<br />

degli oggetti e degli ambienti rappresentati. A<br />

questi “oggetti d’affezione” noi tutti sappiamo<br />

accostare una memoria o un ricordo. È questa<br />

la forza celata nella ricerca artistica di Samorè,<br />

le sue opere sono capaci di parlare una lingua<br />

universale, una narrazione collettiva che fa<br />

leva sul vissuto generazionale, perché, nella<br />

società dei mass media - come fa intendere lo<br />

stesso artista nel titolo di un lavoro del 1999 -<br />

“molti ricordi sono comuni”.<br />

“Storia di uno che se ne andò in cerca della<br />

paura” ben rappresenta la poetica di Samorè.<br />

Il classico tema dell’iniziazione adolescenziale,<br />

ripreso dall’universo narrativo dei fratelli<br />

Grimm, viene qui interpretato con sottile<br />

ironia dopo essere stato catapultato nel<br />

passato prossimo di ognuno di noi. Samorè,<br />

come il giovane protagonista della fi aba in<br />

cerca della “pelle d’oca”, intraprende un lungo<br />

e faticoso viaggio per trovare qualcosa che<br />

soltanto dopo una vana ricerca si rivela essere<br />

facilmente raggiungibile senza spostarsi dal<br />

letto di casa propria.<br />

Installazioni, sculture e fotografi e, trasportano<br />

lo spettatore in sognanti atmosfere, fatte di<br />

boschi incantati, limpidi ruscelli e accoglienti<br />

tappeti. Soltanto dopo una più attenta lettura,<br />

questo immaginario da fi aba, si scopre essere<br />

terribilmente falso. L’immagine boschiva non è<br />

che una semplice stampa incollata alla parete.<br />

I tronchi di legno sparsi qua e là sono senza<br />

radici e sorretti da precari listelli di compensato<br />

con tanto di codice a barre. Un trampolino<br />

ligneo che allude ad una pista da skateboard è<br />

volutamente antifunzionale. I tappeti, tutt’altro<br />

che pregiati, sembrano mangiati da tondi e<br />

bassi sgabelli di legno. La bella ragazza che<br />

esce senza veli dal mare, purtroppo soltanto<br />

una fotografi a. Anche la grande insegna che<br />

riprende il logo del noto gruppo musicale AC/<br />

DC, reinstallata per l’occasione qui a Chiari, è<br />

riprodotta con un legno impiallacciato modello<br />

Ikea e da una saetta illuminata con qualche<br />

decina di lampadine.<br />

Samorè, pare voglia tirare allo spettatore<br />

la stessa secchiata d’acqua fredda ricevuta<br />

da quel ragazzo “in cerca della paura”. E<br />

come quel giovane, lo spettatore si trova<br />

improvvisamente a vedere quella realtà che gli<br />

era stata occultata. Marco Samorè, come del<br />

resto i fratelli Wilhelm e Jacob Grimm, sembra<br />

condividere pienamente le parole di Herder: “si<br />

crede perché non si sa; si sogna perché non<br />

si vede”.<br />

L.P.


Marco Samorè<br />

Storia di uno che se ne andò in cerca della paura (il lupo)<br />

2003<br />

legno nobilitato, lampadine, fi lo elettrico<br />

cm. 120 x 300 x 20<br />

Courtesy Betta Frigieri, Sassuolo (Modena)<br />

111 pagina


113 pagina


VILLA MAZZOTTI<br />

Commissionata dal conte Ludovico Mazzotti<br />

Biancinelli all’architetto Antonio Vandone di<br />

Torino, che la realizzò fra il 1910 ed il 1919 in<br />

collaborazione con l’architetto Citterio, la Villa<br />

è circondata da cancellate e ringhiere in ferro<br />

battuto, disegnate da Alessandro Mazzucotelli<br />

e restaurate nel 2005 dal Comune di Chiari.<br />

Immersa in un parco di circa dieci ettari,<br />

risultato di diverse “mani” – quella<br />

dell’architetto Vandone, che ne curò il giardino<br />

all’italiana, oltrechè di uno specialista inglese<br />

e del prestigioso studio Adam & Co. di Parigi,<br />

che nel 1927 progettò il rifacimento di un’altra<br />

parte del parco – la Villa è un imponente<br />

edifi cio a pianta centrale, organizzato attorno<br />

ad un ampio atrio coperto da un luminoso<br />

lucernario in vetro colorato; si sviluppa su due<br />

piani, il primo rialzato con seminterrato.<br />

Acquistati dal Comune di Chiari da Giulio<br />

Binda, vedovo ed erede di Angelica Mazzotti<br />

Biancinelli, nel 1981, Villa e parco offrono un<br />

interessante fusione dei canoni del Liberty con<br />

gli stilemi ancora delicatamente neoclassici,<br />

in linea con il gusto aperto al moderno, ma<br />

orgogliosamente attaccato ad un passato<br />

secolare, della famiglia Mazzotti.<br />

Distintasi fra XVIII e XIX secolo nell’industria<br />

del cotone e della manifattura, nella prima<br />

metà del Novecento essa fu ricordata dalle<br />

intriganti personalità di Franco Mazzotti, fi glio<br />

di Ludovico Mazzotti e di Lucrezia Biancinelli.<br />

Per gli amici Chino, o Kino, secondo la moda<br />

esotica di allora – fu uno dei personaggi cardine<br />

dell’Italia del XX secolo: giocò con il suo nome<br />

per battezzare la casa cinematografi ca da lui<br />

fondata e fi nanziata Kinofi lm, testimoniata<br />

dal grande cineproiettore all’ingresso della<br />

Villa. Intraprendente e spregiudicato affarista,<br />

divenne proprietario della casa automobilistica<br />

Isotta Fraschini, prestigioso marchio e vero<br />

status symbol dell’epoca.<br />

Una passione, quella dell’automobile, che si<br />

concretizzò nella Mille Miglia, da Franco ideata<br />

e realizzata. Fu inoltre un audace aviatore<br />

intento a misurarsi in voli transatlantici e<br />

raid aerei: scomparve nel 1942, in piena<br />

seconda guerra mondiale, durante un volo di<br />

salvataggio di soldati italiani in Africa.<br />

La sorella Nelly, diminutivo di Angelica,<br />

nata nel 1903, ebbe invece una tumultuosa<br />

vita sentimentale, ed un carattere volitivo e<br />

malinconico insieme.<br />

Sono loro i soggetti ritratti nei due dipinti<br />

realizzati da Emilio Pasini fra il 1923 e il 1924<br />

ed esposti in permanenza nel salone centrale<br />

della Villa, insieme a quello realizzato da<br />

Vittorio Corcos nel 1916, che ritrae Giovanni<br />

Mazzotti. Mentre Franco, diciottenne, ci<br />

guarda con compassata serietà – non priva di<br />

un certo snobismo – dalla grande tela, Nelly<br />

sorride nel giallo intenso dell’abito, diventando<br />

la protagonista di un’opera esposta alla XIV<br />

Biennale d’<strong>Arte</strong> di Venezia del 1924 insieme a<br />

quadri di Cagnaccio di San Pietro, di Casorati, di<br />

Von Stuck ed altri autori del primo Novecento.<br />

I tre dipinti sono stati restaurati nel 2005 grazie<br />

al sovvenzionamento della Galleria <strong>Colossi</strong> <strong>Arte</strong><br />

<strong>Contemporanea</strong>.<br />

115 pagina


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<strong>CHIARImenti</strong><br />

luce arte industria - <strong>Arte</strong>insegna 3<br />

Progetto e realizzazione<br />

Antonella e Daniele <strong>Colossi</strong><br />

AIFIL Associazione Italiana Fabbricanti Insegne Luminose<br />

Adolfo Lugli<br />

Catalogo a cura di:<br />

Ilaria Bignotti<br />

Crediti fotografi ci:<br />

Giorgio Campiotti<br />

Testi a cura di:<br />

Daniele <strong>Colossi</strong>, Adolfo Lugli, Ilaria Bignotti, Luca Panaro<br />

Hanno sostenuto la Mostra con Sponsorizzazione le Aziende:<br />

F.A.R.T. S.p.A. Preganziol (TV) - BROLLO S.I.E.T. S.r.L. Caerano San Martco (TV)<br />

Hanno collaborato per la Mostra le Aziende:<br />

Mario Acerbis per NEON GAMMA Bergamo<br />

Angelo Baldaccini e Remo Cioni per NEON KING Modena<br />

Gianluca Brandoli per CARPI NEON Carpi<br />

Massimo Cipriani per NUOVA TRIONFAL NEON Roma<br />

Fulvio e Damiano Di Pietro per PROGETTO NEON Roma<br />

Enrico Guidetti per GEROGRAF-IRA Torino<br />

Sonia Stefanello per NEON Stefanello Arino di Dolo(VE)<br />

Coordinamento per AIFIL<br />

Il Gruppo di lavoro ARTEINSEGNA: Brandoli,Di Pietro,Degli Esposti ,Lugli.<br />

Stampa Color Art<br />

Finito di stampare nel mese di marzo duemilaotto


CHIARI <strong>CHIARImenti</strong> menti<br />

luce arte industria - <strong>Arte</strong>insegna 3<br />

Laura Ambrosi<br />

C. Cullinan + J. Richards (ART-LAB)<br />

Carlo Bernardini<br />

Alberto Biasi<br />

Eros Bonamini<br />

Beppe Bonetti<br />

Philip Corner<br />

Cuoghi Corsello<br />

Marco De Luca<br />

Francesco De Molfetta<br />

Barbara DePonti<br />

Christian Eisenberger<br />

Bonomo Faita<br />

Joseph Kosuth<br />

Giorgio Laveri<br />

Massimo Liotti<br />

Adolfo Lugli<br />

Giorgio Lupattelli<br />

Vincenzo Marsiglia<br />

Bruno Munari<br />

Ben Patterson<br />

Marco Samorè<br />

Comune di Chiari<br />

Assessorato alla Cultura

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