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EROS BONAMINI, Verona 1942 “Cronografi e-Vanitas”: questo il titolo che Bonamini, da sempre rivolto all’analisi dello Spazio e del Tempo, categorie estetiche, ma ancor prima fattive, costitutive dell’opera, dà ai due lavori esposti. Il nome ne diventa, allora, chiave di lettura, indicandone al contempo la tecnica,il processo, il risultato ottenuto. (1) Se il concetto di “scrittura tracciata dal e nel tempo”, ribadisce la linea di ricerca seguita dall’artista a partire dai primi anni Settanta, attraverso una serie di sperimentazioni di materiali diversi, dall’intonaco al cemento, dall’inchiostro imbevuto da garze e carte assorbenti, il termine “Vanitas”, anch’esso aulico, ricercato come quello di “Cronografi a”, più che l’azione di verifi ca e di traccia lasciata dal fare dell’artista sul materiale, pare ricordare, appunto, la temporaneità e l’impossibilità, forse, del raggiungimento di un risultato defi nito e dato; la precarietà, dunque, della risposta cercata dal lavoro dell’artista e dall’analisi del fruitore. Il senso del luogo, infi ne, inteso come perimetro materiale dell’azione creativa, che era contenuto nelle serie delle opere con gli altri materiali (“Cronotopografi e”, le chiama Bonamini) in questi lavori dove interviene la luce si perde, evapora. (2) “Cronografi e-Vanitas”: dietro a queste due parole, o per meglio dire dentro, il peso giocato dal Tempo nell’espressione fi gurativa occidentale: penso soprattutto, ad un primo rimando ed incrociarsi di parole, alla meditazione sulla “Vanitas Vanitatum et Omnia Vanitas” che tanta parte ebbe a partire nella pittura occidentale seicentesca, con quei dipinti dove il riverbero di una luce colante di candela lanciava i suoi strali contro il vano rincorrere dell’uomo le cose terrene. Attorno, fondi bui e tinte fosche, profondità dense di velluti e notti da fi ne dei tempi rimarcavano il tema della futilità della vita, della transitorietà degli affanni e dei piaceri quotidiani. Salto cronologico inaudito: Bonamini affi da a metalli torturati dalla fi amma ossidrica il messaggio secolare, evidenzia a forza di lacerazioni precisamente calcolate, a furia di bruciature, segni, cicatrici – metafora dell’inutile affannarsi dell’artista sul “prodotto” creativo? – l’irreversibile legge del tempo che scorre ed azzera ogni cosa. Un tempo fl uido come metallo sciolto nelle fucine della rifl essione e del calcolo, riversato nei perimetri esatti del campo di lavoro dell’artista. Vanitas di luce gelida, immobile nella sua tonalità artifi ciale, e quindi perentoria, violenta, ineluttabile: il neon che dietro illumina il taglio, che di nascosto enfatizza il peso del trascorrere di ore minuti secondi, evidenzia, fi amma di candela dell’oggi, il rapido disciogliersi di tutte le cose, volti, pensieri, spazio e tempo. “…Il processo che adotto nelle mie opere, e quindi il materiale che elaboro, non ha valore in sé ma in quanto illustrativo di una equivalenza fra tempo e differenzialità. La scelta del materiale operativo cioè dipende dalla adeguatezza, dalla coincidenza fra materiale e tesi che si vuole dimostrare…”. (3) Così annotavo, un anno fa, riprendendo un’importante dichiarazione di Bonamini degli anni Settanta; di fronte a queste opere, oggi, essa si rivela ancora quanto mai pertinente, a dimostrazione di una coerenza del fare e del “cercare” che da sempre l’artista dimostra nel corso della sua produzione. Al fruitore il compito di rispondere, di scegliere, di “sentire” il messaggio contenuto nelll’opera, che solo una lunga, meditata visione della stessa può donargli. I.B.
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