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CHIARImenti - Colossi Arte Contemporanea

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forma a quel vuoto e a quella luce nati da<br />

un nuovo concetto di materia, sorti nello<br />

spazio-tempo quadridimensionale della fi sica<br />

subatomica. Bisognava allora fermarsi a<br />

rifl ettere sulla fenomenologia di Husserl, sulle<br />

teorie della conoscenza di Henry Bergson,<br />

sul relativismo einsteiniano, sull’immaginario<br />

collettivo che andava delineandosi in<br />

seguito alle scoperte di mondi diversi, quello<br />

microscopico dell’atomo e del gene e quello<br />

macroscopico dell’universo, dello “spazio<br />

curvato dal tempo”. Luce-materia-energia<br />

plasmante: inevitabile, d’altra parte, ora il<br />

richiamo alle esperienze futuriste, ora lo<br />

sforzo sempre più pressante di tradurre<br />

l’opera-oggetto in uno spazio-ambiente in<br />

cui agire, muoversi, sperimentare se stessi in<br />

rapporto, innanzitutto, ai propri bisogni, ai<br />

propri desideri, alle proprie reazioni.<br />

Ma questa è un’altra storia affascinante,<br />

dove arte, luce e industria sono ancora<br />

protagoniste: una storia che racconta le<br />

vicende e i passaggi dall’oggetto all’opera<br />

al monumento-struttura luminoso fi no<br />

all’environment di suoni e luci, ambiente<br />

appositamente creato e costruito ai fi ni di<br />

un coinvolgimento e di un’indagine sul ruolo<br />

dell’artista nei confronti dello spettatore – o,<br />

come si diceva a partire dagli anni Sessanta,<br />

dell’operatore culturale nei confronti del<br />

fruitore, destinato a diventare co-autore<br />

dell’opera stessa: ed anche quest’ultima è<br />

un’altra, importante linea di ricerca che offre<br />

la mostra grazie alla presenza di Munari,<br />

da sempre attento al rapporto fra arte<br />

educazione e visione, di Biasi che con l’ “Eco”<br />

chiama in causa il pubblico per completare<br />

l’opera, mentre con il “Light Prisms” ne<br />

osserva le risposte-interazioni, come, su una<br />

linea più analitica, fa anche Bernardini.<br />

Per tornare alla storia che prima accennavo,<br />

se l’opera di Munari è memore delle<br />

pionieristiche opere cinetiche degli anni Venti<br />

e Trenta – gli oggetti e i modulatori di luce di<br />

Pevsner e Gabo, il “Lichtrequisit” di Moholy<br />

Nagy – la sua ricerca fu anche lo stimolo<br />

delle indagini compiute dai gruppi dell’<strong>Arte</strong><br />

Programmata a partire dalla fi ne degli anni<br />

Cinquanta e per tutto il corso del decennio<br />

successivo (dal Gruppo Enne, di cui ha fatto<br />

parte lo stesso Biasi, ai Gruppi MID e T di<br />

Milano). Fu allora, infatti, che si moltiplicavano<br />

i tentativi di estendere le ricerche luminose<br />

legate ad oggetti, strutture e quadri di luce<br />

alla creazione di ambienti appositamente<br />

creati e progettati, di cui il “Light Prisms-<br />

Macchina dell’Arcobaleno” di Biasi è esempio<br />

e modello fondamentale. In mezzo ai due<br />

estremi, l’oggetto e l’ambiente, quelle opere<br />

concepite come sculture, monumenti e<br />

strutture di luce, fi nalizzate ad interagire<br />

con lo spazio circostante, connotandolo e<br />

trasformandolo, grazie ad effetti luminosi<br />

di polarizzazione, trasparenza, vibrazione,<br />

intercezione, trasmissione, rifl essione e<br />

proiezione. (7)<br />

Bisognerebbe poi puntualizzare le diverse<br />

direzioni di ricerca della mostra, ovvero<br />

specifi care quale luce, quale linguaggio della<br />

luce sia stato prevalentemente indagato,<br />

scelto e prima ancora “sentito” dagli artisti<br />

esposti in mostra: volendo dare alcune<br />

indicazioni, luce come strumento di analisi<br />

ottico-percettiva, di formazione gestaltica, di<br />

interazione, da Munari a Bonetti a Marsiglia;<br />

luce come scrittura analitica, del tempo in<br />

Bonamini, concettuale in Kosuth, del segnoicona<br />

in Lugli; luce come elemento grafi coprogettuale,<br />

in DePonti; luce come mezzo<br />

d’azione pluri-sensoriale, per i F-lux-US (così<br />

mi piace pensare il loro nome, visto il tema<br />

espositivo) Corner e Patterson… (8)<br />

Ma alquanto sterile sarebbe stato raccontare<br />

i ventidue artisti presenti in sezioni<br />

distinte e percorsi slegati gli uni dagli altri:<br />

preferendo suddividerli per la loro “presenza

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