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Morfologia germanica

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La morfologia <strong>germanica</strong><br />

Il concetto di flessione<br />

Il germanico comune, come l’indoeuropeo, era un lingua flessiva, cioè esprimeva per<br />

mezzo dell’aggiunta di desinenze tutta una serie di informazioni.<br />

Il concetto di flessione esiste anche in italiano, dove bello e belle si differenziano perché il<br />

primo si riferisce ad un soggetto [singolare, maschile] e l’altro [plurale, femminile]; oppure canti<br />

porta l’informazione [presente, seconda persona, singolare] mentre cantarono [passato remoto,<br />

terza persona, plurale]. Però rispetto all’italiano, l’indoeuropeo e il germanico comune<br />

esprimevano tramite la desinenza anche il ruolo grammaticale dei nomi: rosa si contrapponeva a<br />

rosam e rosarum perché il primo era [singolare, femminile, soggetto], il secondo [singolare,<br />

femminile, complemento oggetto] e il terzo [plurale, femminile, specificazione]. Queste diverse<br />

forme assunte dagli elementi nominali della frase sono chiamate casi.<br />

Nella teoria linguistica corrente, si indicano con il termine flessive solo le lingue che<br />

presentano i casi; ad esempio il latino, il greco, il tedesco e il russo (non a caso, tutte lingue<br />

indoeuropee). Le lingue come l’italiano, che indica questi rapporti prevalentemente per mezzo di<br />

preposizioni (e - in misura minore - tramite la posizione della parola nella frase) si dicono invece<br />

analitiche. In realtà flessione e analisi sono tendenze, che coesistono nelle lingue: questa<br />

classificazione è una schematizzazione, sia pure utile.<br />

La flessione <strong>germanica</strong> nel contesto indoeuropeo<br />

Il germanico comune esprime dunque attraverso le desinenze un gran numero di<br />

informazioni.<br />

Nel caso degli elementi nominali (sostantivi, aggettivi, pronomi: gli articoli nascono nelle<br />

lingue germaniche solo in fase postunitaria, come nelle lingue romanze) si tratta di<br />

1) genere: maschile, femminile o neutro,<br />

2) numero: singolare, duale (in via di sparizione, tranne che nei pronomi personali) e<br />

plurale,<br />

3) caso: nominativo (soggetto), genitivo (complemento di specificazione e partitivo),<br />

dativo (complemento di termine), accusativo (indica la direzione dell'azione:<br />

complemento oggetto e moto a luogo), più alcuni resti di strumentale (complemento di<br />

mezzo: per es. l'inglese why etimologicamente vale “per che cosa” ed è lo strumentale di<br />

what; tuttavia, la funzione dello strumentale in germanico è passata al caso dativo) e<br />

vocativo (parzialmente conservato in gotico, dove comunque già è stato in gran parte<br />

assorbito dal nominativo), mentre sono scomparsi altri due casi (locativo e ablativo, che<br />

esprimevano lo stato in luogo e il moto da luogo).<br />

Nel caso dei modi finiti dei verbi (per gli aggettivi e i nomi verbali – cioè infiniti e<br />

participi - vale quanto già detto degli elementi nominali) si tratta di<br />

1) persona: prima, seconda o terza,<br />

2) numero: singolare, duale e plurale),<br />

3) la diatesi: attiva e medio-passivo (in fase di regressione),<br />

4) tempo: presente, preterito (il futuro si esprime con il presente o con verbi servili),<br />

5) modo: indicativo, congiuntivo (che continua anche il modo ottattivo, quello<br />

dell'eventualità) e imperativo.


Il sistema era già stato leggermente semplificato rispetto all’indoeuropeo: per esempio,<br />

aveva perso quattro degli otto casi indoeuropei e aveva perso la distinzione tra radici e tempi che<br />

esprimevano l'aspetto dell'azione (durativa, puntuale, resultativa o perfettiva: cf. l'italiano<br />

cantava, cadde, ha pianto): confrontare il sistema verbale del germanico con quello del greco<br />

classico, ad esempio, è molto istruttivo.<br />

Nel corso di due millenni la semplificazione della flessione nelle lingue germaniche è stata<br />

molto forte. Questo è stato di solito imputato alla fissazione dell’accento sulla sillaba radicale, che<br />

ha prodotto gradualmente l’effetto di indebolire le sillabe desinenziali che così tendono a<br />

indebolirsi e sparire. L’effetto è il passaggio da un sistema flessivo ad uno analitico, che in<br />

inglese e in tedesco non è ancora del tutto concluso, con la morte del genitivo sassone inglese e la<br />

continua semplificazione delle flessioni del tedesco.<br />

La flessione nominale <strong>germanica</strong><br />

Radice e tema<br />

L’indoeuropeo aveva numerosi modelli di flessione, chiamati declinazioni, a seconda se la<br />

radice del nome si univa al suffisso del caso con una vocale, un dittongo, una o più consonanti;<br />

questa unità teoricamente separata sia dalla radice del nome sia dal suffisso si chiama suffisso<br />

tematico o tema. (ma quest'ultima parola può anche essere impiegata per designare l'unione della<br />

radice con il suffisso tematico).<br />

Per esempio, lŭp-ŭ-s è un tema in -ŏ-, perché grazie al gotico wulfs possiamo ricostruire<br />

un indoeuropeo *wlp-ŏ-s; hŏmō è un tema in -n-, come possiamo vedere dall'accusativo hŏm-ĭnĕm.<br />

(rispettivamente dall’ie. *gwŏm-n-m). Non è sempre così facile separare le tre unità; ad<br />

esempio, nel femminile lān-ă ( lupo, lānă > lana): se in gotico le varie flessioni sono ancora<br />

piuttosto ben conservate, anche lì i temi in -u- tendono ad assimilarsi a quelli in -i-, e questi a loro<br />

volta ad assimilarsi a quelli in -ŏ- quando sono maschili e neutri, a quelli in -ā- se femminili.<br />

Nel passaggio dall’indoeuropeo al germanico, sappiamo che ie. *ŏ > gc.*ă, e ie.*ā ><br />

gc.*ō; quindi le declinazioni con tema vocalico in germanico sono le seguenti: -ă-, -jă-, -wă-<br />

(maschili e neutri) -ō-, -jō-, -wō- (femminili); -i- (maschili e femminili, pochi neutri); -u-<br />

(maschili e femminili, quasi nessun neutro). In concreto, le parole che seguivano declinazioni<br />

diverse da ă (maschili e neutri) e ō (femminili) tendono ad uniformarsi a queste per analogia<br />

sparire; se in germanico comune era ancora facile distinguere il tipo *wulf-ăz (maschile in -ă-),<br />

*sprēk-ō (femminile in -ō-) e *feh-u (neutro in -u-), oggi wolf, speech e fee sono decisamente<br />

indistinguibili, se non in sede di linguistica storica: i plurali wolves, speeches e fees non sono<br />

originali: il tipo wolves ha assimilato gli altri due. La particolare tendenza all'analogia verso<br />

questo modello flessione da parte di tutte le altre flessioni (non solo in vocale, ma anche le<br />

seguenti), fa sì che la flessione in vocale sia chiamata normalmente flessione forte.


) temi in consonante<br />

Nel secondo caso, il tema era rappresentato da una o più consonanti: -n-, -r-, -s-(/-z-), -nt-.<br />

A parte la flessione in -n-, che poteva avere vocali differenti davanti a -n- (sono attestate -ă-, -jă-<br />

per i maschili, -ō-, -jō-, e anche -i- per i femminili), le altre flessioni presentano forme<br />

indistinguibili in base al genere: i nomi dei tre generi nella flessione in -r- non presentano<br />

distinzioni riconducibili all'indoeuropeo (quasi tutti sono nomi di parentela, dunque maschili o<br />

femminili); i nomi in -nt- sono solo maschili (antichi participi presenti sostantivato, del tipo<br />

'amante', anche etimologicamente corrispondente all'inglese moderno friend), i nomi in -s- solo<br />

neutri. Tutte queste flessioni tendono a sparire, uniformandosi alla flessione forte; l'insieme delle<br />

flessioni in nasale è quella che offre una maggiore resistenza al fenomeno ed è dunque stata<br />

considerata l'esponente più rappresentativo di questo gruppo di declinazioni che viene designato<br />

come flessione debole.<br />

c) atematici<br />

Nell’ultimo caso, infine, i sostantivi univano direttamente la radice nominale al suffisso<br />

casuale: sono perciò detti atematici, o temi-radice (cioè il tema è rappresentato da tutta la radice).<br />

Nelle varie lingue germaniche, questi sostantivi si sono spesso confusi con altri tipi: casi<br />

tipici sono *man-z “uomo, persona” (che in gotico assume le forme dei maschili in -ă-n)e *naxt-z<br />

“notte” (che nelle varie lingue germaniche assume spesso il plurale dei femminili in -i- o in -ō-),<br />

più difficile è trovare traccia di neutri appartenenti a questa classe.<br />

Alla fine, le lingue germaniche moderne hanno sancito la vittoria delle flessioni in -ă-,-ō-<br />

e la sopravvivenza di quella in -n- (di cui in inglese resta qualche traccia in plurali del tipo oxen);<br />

la flessione in -ă-, in particolare, ha dato i plurali inglesi in -s e il genitivo sassone, quella in -n- il<br />

proliferare di plurali in -en in tedesco moderno.<br />

Gli aggettivi e i pronomi<br />

I pronomi personali e gli aggettivi/pronomi dimostrativi hanno fin dall’indoeuropeo una<br />

flessione molto peculiare, con desinenze loro proprie, anche se subiscono l’influsso dei sostantivi.<br />

Se si pensa al latino, vediamo come i pronomi personali non siano riconducibili ad una<br />

declinazione nominale. Anche gli aggettivi dimostrativi, in latino, presentano forme particolari in<br />

alcuni casi (per esempio ille, illius, illi invece delle forme attese **illus, **illi, **illo): queste<br />

sono chiaramente resti di una situazione indoeuropea.<br />

Per quanto riguarda gli aggettivi, l’indoeuropeo aveva aggettivi che seguivano tutte le<br />

declinazioni con tema vocalico e persino in consonante (si veda il greco classico, che ha ancora<br />

aggettivi in -s-).<br />

La flessione forte (vocalica) degli aggettivi in indoeuropeo forse non era perfettamente<br />

identica a quella dei sostantivi. Sicuramente tendeva ad essere influenzata da quella pronominale;<br />

infatti, le lingue germaniche hanno ancora forme pronominali nella flessione degli aggettivi.<br />

In gotico ci sono conservati ancora aggettivi con tutti i temi vocalici, ma già nelle lingue<br />

germaniche occidentali gli aggettivi in -i- e in -u- tendono a sparire (lasciando a volte traccia nella<br />

radice: l'inglese green deriva chiaramente da un g.c. *grōn-i con metafonia della vocale radicale);<br />

gradualmente, un’unica flessione in -ă-/-ō- (-ă- per maschile e neutro, -ō- per il femminile) si<br />

impone per tutti gli aggettivi.<br />

Quello che il germanico comune fa, insieme ad altri dialetti indoeuropei, è la creazione di<br />

un’altro modo di flettere gli aggettivi quando sono determinati, derivato dalla flessione in nasale,<br />

che in origine serviva soprattutto a riferirsi a referenti ben noti e dunque poteva formare


soprannomi, tratti da sostantivi e aggettivi (cf. in latino il soprannome del poeta Ovidio Naso,<br />

Nasonis vuol dire ‘Il nasuto’).<br />

Proprio a partire da costruzioni del tipo “Erik il rosso”, “Filippo il bello”, “Olaf il<br />

grasso” (riferite sempre, dunque, ad un referente ben determinato) si forma una flessione parallela<br />

dell’aggettivo, che le lingue germaniche usano quando gli aggettivi che si riferiscono a nomi<br />

determinati (cioè preceduti da articolo determinativo o da aggettivo dimostrativo). Questa<br />

flessione usata con determinativi è definita ‘debole’, mentre quella di derivazione indoeuropea<br />

(che, come abbiamo visto, era solo in vocale, e sottoposta all’influsso della flessione<br />

pronominale) è definita ‘forte’ ed è ormai limitata ai nomi senza determinazione (dunque il cui<br />

referente non è già noto).<br />

Questa doppia flessione dell’aggettivo, caratteristica del germanico comune, si perde in<br />

inglese fin dalla sua fase media, mentre si è mantenuta in tedesco e nelle lingue nordiche fino ad<br />

oggi (tedesco der schöne Mann “l'uomo bello”, ma ein schöner Mann “un uomo bello”; danese<br />

det røde bord “il tavolo rosso” ma en rødt bord “un tavolo rosso”).<br />

La tendenza a semplificare la flessione comincia in germanico già nella fase comune: la<br />

lingua di più antica attestazione, il gotico, non ci testimonia già più alcun esempio di duale nei<br />

sostantivi e negli aggettivi (anche se si mantiene nei pronomi personali), mentre il caso<br />

strumentale è ormai ridotto a pochi esempi mummificati.<br />

<strong>Morfologia</strong> verbale<br />

Le forme del verbo<br />

Il verbo in indoeuropeo aveva forme sintetiche (cioè in un’unica parola) per la diatesi<br />

medio-passiva: il latino mantiene ancora forme di questo tipo per i tempi derivati dal tema del<br />

presente passivo (amas “tu ami”, amaris “tu sei amata/o”).<br />

Il germanico doveva aver mantenuto solo parzialmente il passivo sintetico; il gotico ne<br />

mantiene una forma già molto semplificata (si conserva solo per il tema del presente, dove la<br />

forma della terza persona singolare vale anche per la prima, e la terza plurale anche per le altre<br />

due persone, prima e seconda; per il preterito si usano già forme perifrastiche).<br />

Inoltre, l’indoeuropeo doveva possedere forme separate per esprimere diversi aspetti<br />

dell’azione, durativo e perfettivo: una distinzione che, tramite il latino, è rimasta in italiano, che<br />

oppone il passato prossimo e remoto (perfettivi) al presente e l’imperfetto (durativi); e una<br />

distinzione tra almeno due modi della non-realtà con diverse sfumature: il congiuntivo<br />

(possibilità) e l’ottativo (eventualità).<br />

Fin dal periodo del germanico comune non abbiamo tracce di un passato durativo affine al<br />

nostro imperfetto. Esistono solo due tempi, il presente (che include anche il futuro) e il perfetto<br />

(che include anche il passato puntuale e quello durativo), e tre modi finiti, indicativo, congiuntivo<br />

(che in realtà continua le forme dell'ottativo indoeuropeo) e imperativo (solo al presente). Si<br />

aggiungono inoltre tre forme nominali del verbo: l’infinito presente, il participio presente attivo e<br />

il participio passato (attivo nei verbi intransitivi, passivo negli altri).<br />

I verbi forti<br />

Il germanico comune conserva invece una caratteristica propria dell’indoeuropea nella<br />

formazione del perfetto, ovverossia l'apofonia.<br />

L’apofonia, cioè il cambiamento di vocale interna alla radice con valore morfologico (cioè<br />

nel corso della flessione), è un fenomeno che in alcune lingue assume una rilevanza anche nella<br />

flessione nominale (per esempio in latino pater- vs. patr-is, dove e si oppone a zero).<br />

Il cambiamento di vocale (che si chiama grado, e può essere quantitativo – 'zero', normale<br />

o allungato – o qualitativo – e/o) poteva creare al massimo quattro forme distinte o temi verbali:<br />

quello del presente indicativo (da cui si formano anche il presente congiuntivo, l’infinito e il


participio presente), quello del perfetto singolare, quello del perfetto plurale (da cui si forma<br />

anche il congiuntivo perfetto), e quello del participio passato.<br />

Il fondo più antico di verbi indoeuropei è conservato in germanico comune in sei classi,<br />

che vengono definite verbi ‘forti’ (in inglese e tedesco formano tuttora la maggior parte dei verbi<br />

irregolari).<br />

Le prime tre classi di verbi forti, accomunate dalla presenza di una semivocale (secondo la<br />

teoria indoeuropea: dunque non solo le approssimanti j,w, ma anche l, m, n, r) avevano l’identico<br />

schema apofonico: ĕ / ŏ / zero / zero.<br />

Nella prima classe, la vocale apofonica era seguita dalla semivocale -j-, che diventava<br />

vocale a tutti gli effetti al grado zero (ĭ):<br />

I classe presente perfetto singolare perfetto plurale participio passato<br />

indoeuropeo ĕ + j ŏ + j ĭ ĭ<br />

germanico comune ī ă + i ĭ ĭ<br />

nella seconda, la vocale apofonica era seguita dalla semivocale -w- che diventava vocale a tutti gli<br />

effetti al grado zero (ŭ):<br />

II classe presente perfetto singolare perfetto plurale participio passato<br />

indoeuropeo ĕ + w ŏ + w ŭ ŭ<br />

germanico comune ĕu (ĭu) ă + u ŭ ŭ<br />

nella terza, la vocale apofonica era seguita dalle sonanti -l-, -m-, -n-, -r- a loro volta seguite da<br />

una consonante qualunque (qui indicata con C) che diventavano vocali a tutti gli effetti al grado<br />

zero (l R, m R, n R, r R):<br />

III classe presente perfetto singolare perfetto plurale participio passato<br />

indoeuropeo ĕ + l + C<br />

ĕ + m + C<br />

ĕ + n + C<br />

ĕ + r + C<br />

germanico comune ĕ + l + C<br />

ĭ + m + C<br />

ĭ + n + C<br />

ĕ + r + C<br />

ŏ + l + C<br />

ŏ + m + C<br />

ŏ + n + C<br />

ŏ + r + C<br />

ă + l + C<br />

ă + m + C<br />

ă + n + C<br />

ă + r + C<br />

l R+ C<br />

m R+ C<br />

n R+ C<br />

r R+ C<br />

ŭ + l + C<br />

ŭ + m + C<br />

ŭ + n + C<br />

ŭ + r + C<br />

l R+ C<br />

m R+ C<br />

n R+ C<br />

r R+ C<br />

ŭ + l + C<br />

ŭ + m + C<br />

ŭ + n + C<br />

ŭ + r + C<br />

Sembra che già in germanico comune la ĕ, seguita da nasale più consonante, si chiudesse in ĭ: il<br />

che spiega esiti come ie. *bhendh- da cui inglese bind e tedesco binden (che presuppongono un<br />

g.c. *bindan).


Nella quarta, la vocale apofonica era seguita dalle sonanti -l-, -m-, -n-, -r-, che non<br />

potevano diventare vocali a tutti gli effetti, perché non erano seguite da una consonante. Il<br />

participio passato di questa classe segue quello della terza, probabilmente per analogia, mentre il<br />

perfetto plurale inserisce il grado allungato:<br />

IV classe presente perfetto singolare perfetto plurale participio passato<br />

indoeuropeo ĕ + l<br />

ĕ + m<br />

ĕ + n<br />

ĕ + r<br />

germanico comune ĕ + l<br />

ĕ + m<br />

ĕ + n<br />

ĕ + r<br />

ŏ + l<br />

ŏ + m<br />

ŏ + n<br />

ŏ + r<br />

ă + l<br />

ă + m<br />

ă + n<br />

ă + r<br />

ē + l<br />

ē + m<br />

ē + n<br />

ē + r<br />

ē + l<br />

ē + m<br />

ē + n<br />

ē + r<br />

l R<br />

m R<br />

n R<br />

r R<br />

ŭ + l<br />

ŭ + m<br />

ŭ + n<br />

ŭ + r<br />

nella quinta, la vocale apofonica era seguita da una consonante diversa dalle semivocali:<br />

V classe presente perfetto singolare perfetto plurale participio passato<br />

indoeuropeo ĕ + C ŏ + C ē + C ĕ + C<br />

germanico comune ĕ + C ă + C ē + C ĕ + C<br />

la sesta, infine, si basava su un’apofonia quantitativa, che diventava anche qualitativa in<br />

germanico comune per effetto del passaggio a-o:<br />

VI classe presente perfetto singolare perfetto plurale participio passato<br />

indoeuropeo ŏ + C ō + C ō + C ŏ + C<br />

germanico comune ă + C ō + C ō + C ă + C<br />

I verbi germanici conoscevano poi i verbi a raddoppiamento, che formavano presente e<br />

participio passato con la stessa forma della radice (proprio come le classi V e VI), mentre per<br />

formare il tema del preterito alla radice si premetteva una sillaba che cominciava con lo stesso<br />

fonema veniva replicato. Il raddoppiamento è un fenomeno ben attestato nell'indoeuropeo nella<br />

formazione di tempi passati: per esempio, il perfetto (passato risultativo) del verbo latino curro<br />

“corro” era cucurri, il perfetto del verbo greco leipo era le-loipa (con apofonia della vocale<br />

radicale). Il greco attesta il raddoppiamento anche in alcuni presenti in verbi del tipo di-do-mi<br />

“do” (dalla radice *-do); una radice che per il suo significato facilmente aveva un valore<br />

perfettivo (nel momento stesso che io do qualcosa, l'ho ormai dato: l'azione è compiuta). La<br />

lingua <strong>germanica</strong> antica di più antica attestazione, il gotico, presenta sia verbi con apofonia (per


es. il verbo lētan “lasciare” ha il preterito le-lot [scritto lailot]) sia senza apofonia (per es. il verbo<br />

haldan “tenere”, ha il preterito he-hald [scritto haihald]. Il vocalismo del presente di questa classe<br />

di verbi in germanico sembra avere avuto una vocale lunga oppure a, sia in dittongo con una<br />

semivocale (j, w, l, m, n, r) sia seguita da una consonante qualunque.<br />

Questi verbi nelle lingue germaniche del gruppo nord-occidentale formeranno una settima classe,<br />

sostituendo il raddoppiamento del preterito con un'apofonia caratterizzata da una vocale ē (il<br />

preterito dell'antico nordico lāta è lēt, dell'inglese antico læ; tan è lēt) evidentemente esito di una<br />

contrazione, il cui timbro era più chiuso di quella di derivazione indoeuropea (che nel germanico<br />

nordoccidentale passa ad ā) e per questo è indicata solitamente come ē 2 .<br />

I verbi deboli<br />

Il germanico comune crea poi una serie molto vasta di verbi, quasi tutti derivati da<br />

sostantivi, aggettivi o altri verbi, che avevano un tema di presente con suffissi caratteristici, cui si<br />

opponeva il tema di preterito e quello di participio passato, formati con un suffisso in dentale -ð-<br />

(poi rafforzato in -d- nel gruppo occidentale) caratteristico del germanico.<br />

In base all’infinito, il germanico comune distingue quattro classi di verbi deboli,<br />

originariamente con funzioni differenti:<br />

classe presente perf. p. p. valori originari presunti<br />

I -ja-n - ĭ-ð- -ĭ-ð deverbali causativi (*satjan “porre”), fattitivi da aggettivi<br />

(*hailjan “sanare”), primari (*sōkjan “cercare”)<br />

II -ō-n -ō-ð- -ō-ð denominativi da sostantivi e aggettivi con valore duraturo<br />

(*salƀōn “ungere”), intensivi (*sprangōn ‘ribollire’)<br />

III -ē-n -ē-ð- -ē-ð incoativi e durativi da verbi forti e aggettivi (*fulēn<br />

“marcire” e *wakēn ‘vegliare’), primari (*sagēn “dire”)<br />

IV -nō-n -nō-ð- -nō-ð incoativi e intransitivi da aggettivi (*waknōn ‘svegliarsi’,<br />

*fulnōn ‘riempirsi’)<br />

I verbi perfetto-presenti<br />

In indoeuropeo, esistevano radici verbali con valore di perfetto resultativo che avevano la<br />

forma di plurale e il significato di presente, per esempio *woid “so” (il suo primo significato era<br />

quello di perfetto della radice *w.jd- “vedere”, dunque presentava il “sapere” come risultato<br />

dell'aver visto: “ho visto, dunque so”) corrispondente al gc. *wait “io so”. Ormai persa o<br />

fortemente indebolita la nozione originale etimologica, questi verbi si ricreano le altre forme del<br />

paradigma usano il tema del preterito plurale per formare l'infinito presente e le forme deboli per<br />

il tempi diversi dal presente.<br />

I verbi perfetto-presenti (anche chiamati preterito-presenti) sono relativamente poco<br />

numerosi, ma comprendono verbi importanti come appunto *witan “sapere, conoscere”, *kunnan<br />

“potere, saper (fare)”, *skulan “dovere” (il presente di questi tre verbi è appunto formato in modo<br />

simile al preterito dei verbi forti della 1, 3 e 4 classe rispettivamente).<br />

La flessione atematica<br />

In indoeuropeo esistevano un gran numero di verbi atematici, che univano alla radice<br />

desinenze in consonante senza inserire una vocale 'tematica'. Si noti la differenza tra il latino leg-


o, leg-i-s (tematico) vs. su-m, e-s (unico esempio di atematico conservato in latino) o tra il greco<br />

arcaico lego, legeis vs. es-mi, es-si. Spesso vengono chiamati verbi in –mi, dalla forma assunta<br />

dalla desinenza della prima persona singolare nei verbi greci.<br />

In germanico comune resta una traccia importante di questa flessione nelle forme del<br />

presente del verbo “essere” derivate dalla radice indoeuropea *-es- (la forma dell’inglese I am<br />

deriva verosimilmente da una forma *esm/asm; l'inglese is e il tedesco ist sono esattamente<br />

corrispondenti al latino est).<br />

Altri verbi che seguivano questa flessione sono attestati solo nel germanico occidentale:<br />

erano *dōn, che mantiene una declinazione irregolari anche in inglese e tedesco moderni (do, did,<br />

done; tun, tat, getan), e *gān (che in tedesco presenta una -n- nella flessione: gehen, ging,<br />

gegangen; l’inglese ha direttamente sostituito il perfetto con un’altra radice). Il primo verbo<br />

conservava ancora forme atematiche nella fase antica (inglese antico ic dom, tedesco antico ih<br />

tuom: oggi sono state regolarizzate in I do e ich tue affini ai verbi tematici del tipo I sing e ich<br />

singe). Anche *stān aveva forme di questo tipo: l’inglese moderno l’ha sostituite con quelle<br />

regolari del verbo forte di VI classe *standan, stod, stodun, gestanden (da cui stand, stood),<br />

mentre il tedesco ha ancora stehen, stand, gestanden.<br />

Conclusioni<br />

Dal punto di vista morfologico, il germanico ha molto semplificato la grammatica<br />

dell'indoeuropeo, come hanno fatto tante altre lingue indoeuropee. In particolare, è suggestivo<br />

notare che il germanico comune nei primi secoli della nostra era seguiva linee di sviluppo simili<br />

alle lingue classiche: prevalenza della flessione in vocale, riduzione del sistema dei casi<br />

indoeuropeo con graduale passaggio da un sistema più sintetico-flessivo ad uno più analitico,<br />

forte regressione del duale, riduzione del numero dei modi e dei tempi verbali.<br />

Nonostante creazioni originali del germanico (come la sistematizzazione della doppia<br />

flessione dell'aggettivo) altri sviluppi sembrano correre addirittura in parallelo tra lingue<br />

germaniche e lingue classiche: per esempio, la creazione dell'articolo determinativo a partire da<br />

aggettivi dimostrativi e dell'articolo indeterminativo dal numerale “uno”, o la nascita di un<br />

sistema di forme perifrastiche per indicare varie sfumature di preterito e per la diatesi passiva in<br />

sostituzione delle vecchie forme sintetiche.<br />

Questi e altri sviluppi sembrano dovuti più ad un influsso diretto della cultura classica<br />

(anche greca per le popolazioni germaniche orientali, ma prevalentemente latina per tutte le altre).<br />

Un ambito affascinante, su cui ancora le ricerche non hanno prodotto risultati definitivi.

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