L'edizione critica e i suoi segreti
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L’edizione <strong>critica</strong> e i <strong>suoi</strong> <strong>segreti</strong><br />
Ogni volta che un testo viene trascritto, esiste la possibilità che sia sottoposto a<br />
modifiche più o meno coscienti da parte del copista.<br />
Dunque, quando un testo non è nato per la stampa, ma ha avuto una tradizione<br />
almeno in parte manoscritta, come nelle opere antiche e medievali, curarne un’edizione<br />
presuppone un lavoro accurato per cercare di ricostruire il testo corretto, cioè il più possibile<br />
conforme alla volontà dell’autore.<br />
Tanto più nel Medioevo occidentale, quando la nozione di paternità del testo sembra<br />
offuscarsi e ogni copista sembra sentirsi autorizzato a diventare autore a sua volta<br />
intervenendo sul testo tramandato. Insomma, lo stesso approccio che possiamo constatare<br />
nell’adattamento dei monumenti antichi tipico del Medioevo (si pensi a tutte le modifiche<br />
subite dall’edificio che fu palazzo del catepano e poi basilica di S. Nicola a Bari).<br />
Dunque, ricostruire il testo il più possibile corretto tramite le copie tramandate o<br />
testimoni (che nel loro insieme vengono chiamate la “tradizione manoscritta” di un testo)<br />
presuppone un approccio critico alla tradizione manoscritta. Questo approccio è alla base di<br />
una scienza autonoma, chiamata ecdotica o <strong>critica</strong> del testo, che è la più importante<br />
applicazione della filologia, la “scienza della parola” che aspira a mettere in condizione di<br />
leggere e capire i testi antichi e medievali e dunque anche di emendarli, laddove ci fossero<br />
argomenti per ipotizzare che si avvenuta una distorsione del testo corretto.<br />
Per prima cosa occorre individuare tutti i testimoni della tradizione manoscritta,<br />
distinguendo i testimoni diretti da quelli indiretti. La tradizione manoscritta diretta è<br />
formata da tutti i manoscritti o opere a stampa in cui sia conservato il testo, più o meno<br />
integro; a questi vanno aggiunte tutte quelle testimonianze premoderne in cui il testo è citato<br />
(a volte persino figurativamente), riscritto o tradotto in un’altra lingua, dal momento che<br />
spesso gli autori di queste citazioni o riscritture avevano a disposizione copie del testo che<br />
poi sono andate perdute. Tutte queste testimonianze “mediate” da un altro autore vengono<br />
classificate come tradizione indiretta.<br />
Innanzi tutto vanno individuati ed esaminati tutti i testimoni diretti (recensio), per<br />
ciascuno dei quali deve essere approntata una trascrizione (edizione diplomatica).<br />
Successivamente, le varie trascrizioni vanno confrontate individuando le varianti testuali e<br />
dunque isolando gli errori più significativi o errori-guida, quelli che meno facilmente<br />
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possono essere stati commessi da copisti diversi in maniera indipendente, e dunque<br />
dimostrano o escludono una connessione tra testimoni (cioè svolgono una funzione<br />
congiuntiva o separativa). Per esempio, gli errori di ortografia normalmente non sono<br />
sufficientemente caratteristici, mentre un errore come una lacuna (cioè l’assenza di una<br />
porzione di testo) sono di norma molto più significativi.<br />
Gli ‘errori’ principali possono essere lacune/omissioni, dittografie/reduplicazioni,<br />
metatesi/trasposizioni. Nei manoscritti medioevali abbondano poi anche modifiche più o<br />
meno intenzionali, che in senso lato contano come ‘errori’: cioè le interpolazioni (aggiunte<br />
di testo, a volte basate su glosse, cioè note aggiunte ad un manoscritto che poi viene preso a<br />
modello da un copista e trascritto inserendo le glosse nel testo: in quel caso si parla di glosse<br />
infiltrate nel testo) e le contaminazioni (modifiche apportate al testo partendo dal confronto<br />
con il testo di un altro testimone).<br />
In base agli errori-guida, il filologo costruisce uno stemma codicum (o meglio,<br />
un’ipotesi stemmatica), vale a dire uno schema dei rapporti genealogici tra i testimoni,<br />
rispetto all’originale (cioè il testo secondo la volontà dell’autore) o almeno rispetto<br />
all’archetipo (cioè il capostipite di tutti i testimoni attestati, che può coincidere con<br />
l’originale, ma anche essere una sua copia).<br />
In uno stemma codicum, si rappresentano come linee verticali i rapporti di semplice<br />
derivazione da un manoscritto all’altro, cioè di trascrizione meccanica senza correzioni o<br />
contaminazioni. Quando si riesce a provare che due testimoni conservati sono in un simile<br />
rapporto diretto di derivazione l’uno dall’altro, il manoscritto antigrafo, che è servito da<br />
modello per l’altro, se è integro in ogni sua parte e non è stato fatto oggetto di correzioni o<br />
modifiche posteriori, reca un testo che non può in alcun modo essere migliorato dall’altro<br />
manoscritto: in questo caso il manoscritto copiato (chiamato codex descriptus) non verrà<br />
preso in considerazione dal filologo quando passerà a ricostruire il testo corretto dell’opera<br />
di cui vuole fare l’edizione.<br />
La creazione dello stemma codicum è alla base del metodo genealogico di edizione<br />
dei manoscritti, teorizzato per la prima volta dal filologo tedesco Karl Lachmann nella<br />
prima metà del XIX secolo. Se prima di Lachmann, i metodi per approntate l’edizione di un<br />
testo antico o medievale erano il textus receptus (utilizzare un testo ‘tradizionale’, cioè in<br />
pratica rinunciare all’edizione <strong>critica</strong> in senso scientifico), il codex optimus (cioè scegliere<br />
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un solo testimone), o tutt’al più i codices plurimi (valutare volta per volta la lezione<br />
migliore sulla base di un semplice criterio di maggioranza dei testimoni disponibili).<br />
Grazie al metodo lachmaniano, nel caso della recensio ‘chiusa’, in cui non c’è<br />
contaminazione tra testimoni ma solo chiari rapporti di anteriorità-posteriorità, e dunque il<br />
confronto tra varianti può avvenire in modo meccanico, si pone un limite evidente<br />
all’arbitrio, quando si passa alla fase di comparazione (collatio) dei testi trascritti, che<br />
vengono analizzati secondo i rami della tradizione e non più singolarmente. In questo modo,<br />
la scelta della lezione più corretta (selectio) può avvenire secondo un criterio di<br />
maggioranza più scientifico, evitando di farsi influenzare dal fatto che ci siano molti<br />
manoscritti che portano un determinato errore, magari tutti derivati dallo stesso antigrafo,<br />
mentre uno o pochi altri manoscritti tramandano una lezione differente. Facciamo un<br />
esempio: se uno stemma codicum presenta tre testimoni ABC, derivati da un archetipo a sua<br />
volta derivato dall’originale attraverso un numero incerto di passaggi (ma caratterizzato dal<br />
fatto che ABC condividono almeno un errore-guida che non sembra possibile attribuire<br />
all’originale, e che dunque va attribuito al copista dell’archetipo), qualora AB condividano<br />
uno o più errori significativi cui si possa attribuire una funzione separativa rispetto all’altro<br />
testimone C, si può ipotizzare che i due testimoni AB discendano da un modello comune<br />
(subarchetipo). Se è così, nel calcolo della maggioranza la loro testimonianza vale come un<br />
solo codice, il subarchetipo perduto da cui evidentemente hanno tratto l’errore; ciò varrebbe<br />
anche se i manoscritti fossero tre, quattro, o quaranta.<br />
Se invece uno dei due testimoni AB condivide anche almeno un errore congiuntivo<br />
con C che abbia funzione separativa rispetto all’altro, è un forte indizio a favore dell’ipotesi<br />
che i tre testimoni rappresentino rami indipendenti della tradizione e che la legge della<br />
maggioranza possa dunque essere applicata praticamente in modo meccanico.<br />
Se però la tradizione manoscritta è composta da un solo manoscritto (codex unicus) o<br />
due testimoni indipendenti l’uno dall’altro, chiaramente il criterio della maggioranza non<br />
può essere applicato, a meno che non ci giunga un aiuto insperato dalla tradizione indiretta,<br />
come non può essere applicato nel caso della diffrazione, quando cioè ci sono conservate<br />
due o più lezioni erronee di peso comparabile nella tradizione. Egualmente, questo criterio<br />
di maggioranza può non essere utilizzabile qualora nello stemma codicum compaiano<br />
eventuali linee orizzontali, che rappresentano le contaminazioni, cioè il confronto tra più<br />
manoscritti per approntare un testo.<br />
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Soprattutto per le tradizioni manoscritte contaminate, dove cioè vi siano testimoni<br />
derivati da più manoscritti (in genere esemplati su un antigrafo e corretti da un altro) e<br />
questi manoscritti non siano tutti attestati (nel qual caso il testimone contaminato sarebbe un<br />
codex descriptus e potrebbe essere eliminato), la recensio deve essere ‘aperta’, cioè non<br />
può basarsi su un’analisi meccanica delle varianti, quanto sullo judicium dell’editore<br />
moderno.<br />
Laddove la selectio in base alla maggioranza non sia sufficiente, ci si affida<br />
soprattutto a due criteri assai diversi: l’usus scribendi, cioè la coerenza di una determinata<br />
lezione con ciò che sappiamo della lingua e dello stile dell’autore, e alla lectio difficilior,<br />
cioè la scelta della lezione meno comune che dunque avrebbe potuto essere ‘banalizzata’ o<br />
‘normalizzata’ dal copista. Si può notare che i due criteri possono essere usati l’uno contro<br />
l’altro e che dunque occorre molta cautela e un’ottima conoscenza della lingua dell’autore,<br />
dei <strong>suoi</strong> contemporanei, dei <strong>suoi</strong> modelli (e si può notare che una delle più importanti abilità<br />
del filologo è questa particolare sensibilità per la lingua).<br />
In particolare per la diffrazione si può usare la combinatio, cioè proporre una lezione<br />
che riunisce quelle realmente esistenti (realmente attestata in uno dei rami della tradizione –<br />
e allora si dirà che è un diffrazione in praesentia – oppure solo ipotizzata – nel qual caso si<br />
parla di diffrazione in absentia).<br />
Queste varie correzioni che si applicano al testo-base su cui si costruisce l’edizione<br />
fanno parte dell’opera di restitutio textus (cioè ricostruzione del testo) e sono classificabili<br />
come emendatio.<br />
L’edizione <strong>critica</strong> di un testo medievale va comunque corredata da un apparato<br />
critico, cioè un insieme di note che riportino tutte le varianti testuali non accettate nel testo<br />
ricostruito, eventualmente giustificando la scelta, soprattutto laddove il testo sia stato<br />
emendato per interpretare eventuali lezioni problematiche agli occhi del filologo.<br />
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