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Boccaccio lettore di Stazio

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ARIANNA PUNZI<br />

<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

La biblioteca del <strong>Boccaccio</strong> rappresenta certamente un serbatoio formidabile<br />

<strong>di</strong> ricerca per chi voglia sondare concretamente i libri da lui posseduti, postillati,<br />

copiati.<br />

Non si tratta come nel caso <strong>di</strong> Dante <strong>di</strong> una biblioteca “virtuale”, ricostruibile<br />

a posteriori e non identificabile in un luogo fisico, ma <strong>di</strong> un’entità concreta<br />

frutto <strong>di</strong> raccolte decennali, lasciata in ere<strong>di</strong>tà agli Agostiniani <strong>di</strong> santo Spirito 1<br />

perché salvassero il prezioso patrimonio librario dalla <strong>di</strong>spersione.<br />

Ma come per Petrarca quella che viene conservata è solo la biblioteca classica<br />

e questa<br />

[...] fu la sorte <strong>di</strong> quasi tutti i libri posseduti da umanisti: i quali giunti a dover <strong>di</strong>sporre<br />

stabilmente per il futuro della loro personale biblioteca, ne enucleavano i libri volgari, che<br />

pure avevano acquistato o copiato, certo usato e letto, considerandoli estranei al canone, indegni<br />

<strong>di</strong> una conservazione pubblica e <strong>di</strong> un’utilizzazione a scopo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, per lasciarli in via<br />

privata a parenti ed amici 2 .<br />

1 Così leggiamo nel suo testamento datato 28 agosto 1374: «[…] et de eis exhibere<br />

copiam cui voluerit donec vixerit, […] et tempore suae mortis debeat consignare <strong>di</strong>ctos libros<br />

conventui sancti Spiritus, sine aliqua <strong>di</strong>minutione, et ibidem debeant perpetuo remanere<br />

[…]», cfr. G. BOCCACCIO, Lettere e<strong>di</strong>te e ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> messer G. <strong>Boccaccio</strong>, a cura <strong>di</strong> F.<br />

Corazzini, Firenze, Sansoni, 1877, pp. 425-33. Le notizie più complete sulle vicende della<br />

biblioteca <strong>di</strong> Santo Spirito sono <strong>di</strong>sponibili in D. GUTIÉRREZ, La biblioteca <strong>di</strong> Santo Spirito in<br />

Firenze nella metà del secolo XV, in «Analecta Augustiniana», XXIII, 1962, pp. 6-24 e A.<br />

MAZZA, L’inventario della “Parva libraria” <strong>di</strong> Santo Spirito e la biblioteca del <strong>Boccaccio</strong>, in<br />

«Italia me<strong>di</strong>oevale e umanistica», IX, 1966, pp. 1-74.<br />

2 Cfr. A. PETRUCCI, Le biblioteche antiche, in Letteratura italiana. Produzione e<br />

consumo, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1983, pp. 527-51: 537. Si veda anche G. BILLANOVICH, Biblioteche<br />

<strong>di</strong> dotti e letteratura italiana tra il Trecento e il Quattrocento, in «Stu<strong>di</strong> e problemi <strong>di</strong> critica<br />

testuale», 1961, pp. 335-48.<br />

131


Arianna Punzi<br />

In questa «traumatica epurazione linguistica» vengono coinvolti anche i suoi<br />

stessi scritti, insieme a quelle dei suoi venerati maestri come Dante e Petrarca<br />

delle cui opere volgari <strong>Boccaccio</strong> era stato un tramite assolutamente fondamentale<br />

3 . D’altra parte la <strong>di</strong>alettica latino-volgare si configura ancora in <strong>Boccaccio</strong><br />

come un dato problematico e la scelta <strong>di</strong> un determinato veicolo linguistico<br />

risulta ancora influenzata dalla scelta della materia da trattare 4 .<br />

Naturalmente poi, nella concreta prassi operativa, i gran<strong>di</strong> autori della classicità<br />

vengono fruiti e riletti attraverso un composito universo letterario che per<br />

semplicità potremmo definire “moderno”. Esemplare in questa <strong>di</strong>rezione i canoni<br />

<strong>di</strong> poeti reperibili nelle opere giovanili, come nella chiusa del Filocolo 5 :<br />

Agli eccellenti ingegni e alle robuste menti lascia i gran versi <strong>di</strong> Vergilio… e quelli del<br />

valoroso Lucano, ne’ quali le fiere arme <strong>di</strong> Marte si cantano, lasciali agli armigeri cavalieri<br />

insieme con quelli del tolosano <strong>Stazio</strong>. E chi con molta efficacia ama, il sermontino Ovi<strong>di</strong>o<br />

séguiti, delle cui opere tu se’ confortatore. Né ti sia cura <strong>di</strong> voler essere dove i misurati versi<br />

del fiorentino Dante si cantino, il quale tu sì come piccolo servitore molto devi reverente servire.<br />

La suggestione <strong>di</strong> Dante, quinto – potremmo <strong>di</strong>re – fra «cotanto senno», l’unico<br />

fra i moderni ad essere incluso in questo canone (ma vedremo che in opere<br />

più tarde, sarà accolta a pieno titolo, l’altra grande auctoritas moderna:<br />

Petrarca), deve aver certamente influenzato la costituzione <strong>di</strong> questa rosa <strong>di</strong> eletti,<br />

e non sarà un caso che gran parte delle riprese <strong>di</strong> auctores già cari a Dante<br />

siano filtrate attraverso <strong>di</strong> lui. Così la chiusa del Teseida 6 databile al 1340, dove<br />

l’auctor per eccellenza è, ovviamente, lo <strong>Stazio</strong> della Tebaide, risponde ad un’esplicita<br />

volontà <strong>di</strong> colmare quella lacuna che Dante ad<strong>di</strong>tava nel De vulgari eloquentia<br />

(II, ii): «Arma vero nullum latium adhuc invenio poetasse» 7 .<br />

3 <strong>Boccaccio</strong> è infatti copista ed e<strong>di</strong>tore della Comme<strong>di</strong>a, della Vita Nuova, <strong>di</strong> parte delle<br />

Rime, delle Egloghe, delle Epistole. Per un’approfon<strong>di</strong>ta sintesi della questione, si veda oltre<br />

a G. PADOAN, s. v. <strong>Boccaccio</strong>, in Enciclope<strong>di</strong>a dantesca, vol. I, Roma, Istituto dell’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

Italiana, 1984, pp. 645-50; C. BOLOGNA, Tra<strong>di</strong>zione e fortuna dei classici italiani, 2 voll.,<br />

Torino, Einau<strong>di</strong>, 1994, vol. I, pp. 123-34.<br />

4 Su questi problemi si veda F. BRUNI, <strong>Boccaccio</strong>. L’invenzione della letteratura<br />

mezzana, Bologna, Il Mulino, 1990.<br />

5 Le opere <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong> sono citate dall’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Tutte le opere, a c. <strong>di</strong> V. Branca,<br />

Milano, Mondadori, 1964-94.<br />

6 Cito dall’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> BOCCACCIO, Teseida, a cura <strong>di</strong> A. Limentani in Tutte le opere, cit.,<br />

(fondata sul testo a c. <strong>di</strong> S. Battaglia, Firenze 1938, ma con introduzione <strong>di</strong> talune mo<strong>di</strong>fiche).<br />

7 Si tenga però conto che, come taluni hanno suggerito, potrebbe trattarsi <strong>di</strong> un’aggiunta<br />

posteriore alla data presunta <strong>di</strong> inizio della stesura dell’operetta (1339-1341) dal momento<br />

che il De vulgari eloquentia non sarebbe noto al <strong>Boccaccio</strong> nel periodo napoletano. Sulla<br />

132


<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

Com’è stato recentemente osservato, se si considera l’attività boccacciana<br />

nel suo complesso si vede con chiarezza come il certaldese attraversi alternativamente,<br />

e talvolta contemporaneamente, le quattro modalità facien<strong>di</strong> libros stabilite<br />

da Bonaventura da Bagnorea: scriptor, compilator 8 commentator e auctor,<br />

attitu<strong>di</strong>ni che risultano contemporaneamente attive nei riguar<strong>di</strong> dell’intera opera<br />

dantesca.<br />

Quello che vorrei qui <strong>di</strong>mostrare, idealmente tirando giù dagli scaffali della<br />

biblioteca <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong> i co<strong>di</strong>ci della Tebaide da lui posseduti, è come il<br />

<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong> non sia scin<strong>di</strong>bile mai dal <strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> Dante e<br />

come questi venga ad assumere una funzione <strong>di</strong> tramite privilegiato attraverso cui<br />

riguardare l’intera ere<strong>di</strong>tà classica. In questa chiave possono in<strong>di</strong>viduarsi alcune<br />

costanti che potrei così schematizzare: 1. seleziona e riprende quei luoghi della<br />

Tebaide (o più raramente dell’Achilleide) già utilizzati da Dante; 2. li contamina<br />

con luoghi danteschi; 3. infine, nel momento in cui intraprende il lavoro <strong>di</strong> commento<br />

alla Comme<strong>di</strong>a, li utilizza per comprendere e chiosare passi del poema.<br />

Leggiamo la terzultima e penultima ottava del do<strong>di</strong>cesimo e ultimo libro del<br />

Teseida:<br />

XII, 84<br />

Poi che le Muse nude cominciaro<br />

nel cospecto degli uomini ad andare,<br />

già fur <strong>di</strong> quelli i quai l’esercitaro<br />

con bello stile in onesto parlare, come in canzoni morali<br />

ed altri in amoroso l’operaro; in canzoni e sonetti d’amore<br />

ma tu, o libro, primo a lor cantare<br />

<strong>di</strong> Marte fai gli affanni sostenuti cioè <strong>di</strong> battaglie<br />

nel volgare latio più mai non veduti. latio s’intende qui largamente per tutta<br />

Ytalia<br />

85<br />

E perciò che tu primo col tuo legno<br />

seghi queste onde, non solcate mai cioè, che mai in rima non è stata messa,<br />

davanti a te da nessuno altro ingegno, prima che questa, alcuna istoria <strong>di</strong> guerre<br />

ben che infimo sii, pure starai<br />

forse tra gli altri d’alcuno onor degno;<br />

questione, ve<strong>di</strong> da ultimo il saggio su G. <strong>Boccaccio</strong> <strong>di</strong> L. BATTAGLIA RICCI, apparso nella Storia<br />

della letteratura italiana, vol. II, Il Trecento, Roma, Salerno, 1995, pp. 727-877: 768-69.<br />

8 Si osservi, per inciso, che <strong>Boccaccio</strong> nel Teseida usa due volte il verbo compilare, la<br />

prima nell’epistola de<strong>di</strong>catoria a Fiammetta «E che ella [l’antichissima istoria] da me per voi<br />

sia compilata, due cose fra l’altro il manifestano […]», la seconda nel sonetto conclusivo del<br />

poema. Sull’uso del termine cfr. D. ANDERSON, Before the Knight’s Tale: Imitation of classical<br />

epic in <strong>Boccaccio</strong>’s Teseida, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1988, pp. 52<br />

sgg.<br />

133


Arianna Punzi<br />

intra li qual se vieni, onorerai<br />

come maggior ciaschedun tuo passato,<br />

materia dando a cui <strong>di</strong>etro hai lasciato. d’onorare, quando che sia, te.<br />

Quin<strong>di</strong> non solo la ripresa staziana nasce dalla volontà <strong>di</strong> rispondere ad una<br />

sollecitazione dantesca, ma tutto il poema è infarcito <strong>di</strong> espliciti echi della<br />

Comme<strong>di</strong>a, a cominciare dalle pagine iniziali nelle quali si rivolge a Fiammetta:<br />

Come che a memoria tornandomi le felicità trapassate, nella miseria vedendomi dov’io<br />

sono, mi sieno <strong>di</strong> grave dolore manifesta cagione, non m’è per tanto <strong>di</strong>scaro il riducere spesso<br />

nella faticata mente, o crudel donna, la piacevole imagine della vostra intera bellezza [...]<br />

che riprendono i famosi versi <strong>di</strong> Inf. V, 121 « […] nessun maggior dolore /<br />

che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria; e ciò sa’l tuo dottore […] » 9 .<br />

E si veda un altro importante luogo <strong>di</strong> convergenza fra la Tebaide ed il<br />

Teseida, già analizzato da Crescini e poi da Limentani 10 :<br />

Theb. XII, 540-546<br />

Paulum et ab insessis maestae Pelopeides aris<br />

promovere gradum seriemque et dona triumphi<br />

mirantur, victique animo re<strong>di</strong>ere mariti.<br />

atque ubi tardavit currus et ab axe superbo<br />

explorat causas victor poscitque benigna<br />

aure preces, ausa ante alias Capaneia coniunx:<br />

«belliger Aegide […]<br />

Come osserva Limentani «Le tre ottave abbondanti che corrispondono nel<br />

Teseida a questi pochi versi (Theb. XII, 540-6; Tes. II, 25-6-7-8, 1-5) si presentano<br />

assai più ricche e mosse. Le donne tebane, come nell’originale, si accostano<br />

dal tempio <strong>di</strong> Clemenza al carro <strong>di</strong> Teseo trionfatore degli Sciti, per chiedere<br />

il suo intervento contro Creonte» 11 , ma nella ripresa viene invece accentuata la<br />

tensione drammatica:<br />

134<br />

Teseida, II, 26<br />

Chi son costor ch’a’ nostri lieti eventi<br />

co’ crini sparti, battendosi il petto,<br />

<strong>di</strong> squalor piene in atri vestimenti,<br />

9 E poco oltre «Amore […] ancora che voi ingiustamente <strong>di</strong> piacevole sdegnosa siate tornata,<br />

però non m’abandona» che riprende il famoso verso <strong>di</strong> Inf. V, 105.<br />

10 Cfr. V. CRESCINI, Contributo agli stu<strong>di</strong> sul <strong>Boccaccio</strong>, Torino, Ermanno Loescher, 1887,<br />

cap. IX, appen<strong>di</strong>ce e A. LIMENTANI, <strong>Boccaccio</strong> “traduttore” <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong>, in «La rassegna della<br />

letteratura italiana», LXVI, 1960, pp. 231-42. Per la Tebaide mi servo dell’e<strong>di</strong>zione<br />

Teubneriana, curata da A. Klotz, Leipzig 1908, in seguito rivista su C. Klinnert, Leipzig 1973.<br />

11 LIMENTANI, <strong>Boccaccio</strong> “traduttore”, cit., p. 234.


tutte piangendo, come se’n <strong>di</strong>spetto<br />

avesson la mia gloria, a l’altre genti,<br />

sì com’io veggo, cagion <strong>di</strong> <strong>di</strong>letto?<br />

E si veda in Inferno IX, 49-51, la descrizione delle tre Furie:<br />

Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;<br />

battiensi a palme e gridavan sì alto,<br />

ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.<br />

Lo stesso luogo dantesco deve avere probabilmente suggestionato <strong>Boccaccio</strong><br />

proprio nella descrizione <strong>di</strong> «Erinis, infernal furia», luogo che a sua volta è <strong>di</strong>rettamente<br />

ispirato all’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Tesifone che si legge nell’VIII libro della Tebaide:<br />

Teseida, IX, 5<br />

Venne costei <strong>di</strong> ceraste crinita,<br />

e <strong>di</strong> ver<strong>di</strong> idre li suoi ornamenti<br />

erano a cui Elisso la vita<br />

riconfortata avea [...]<br />

Inf. IX, 37-41<br />

dove in un punto furon dritte ratto<br />

tre furïe infernal <strong>di</strong> sangue tinte,<br />

che membra feminine avieno e atto,<br />

e con idre ver<strong>di</strong>ssime eran cinte;<br />

serpentelli e ceraste avien per crine […]<br />

E nelle ottave imme<strong>di</strong>atamente successive si veda non solo come affiorino<br />

altri evidentissimi echi della Comme<strong>di</strong>a 12 , ma perfino la suggestione della similitu<strong>di</strong>ne<br />

del testo latino (Theb. VII, 124, «Qualis getulae […]») assuma evidenti<br />

connotati danteschi:<br />

Teseida, IX, 28<br />

Quali i fioretti rinchiusi ne’ prati<br />

per lo notturno freddo, tutti quanti<br />

s’apron come dal sol son riscaldati […]<br />

Inf. II, 127-29<br />

Quali fioretti dal notturno gelo<br />

chinati e chiusi, poi che’l sol li ‘mbianca,<br />

si drizzan tutti aperti in loro stelo [...] 13<br />

<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

12 Come in Teseida, IX, 7 «Costei nel chiaro dì rassicurata/ non mutò forma né cangiò<br />

sembiante» che recupera Inf. X, 74-75.<br />

13 Come fa osservare LIMENTANI, (ed. cit, p. 451), <strong>Boccaccio</strong> aveva già sfruttato questa<br />

similitu<strong>di</strong>ne in modo anche più fedele nel Filostrato II, 80.<br />

135


Arianna Punzi<br />

O ancora si consideri come la descrizione <strong>di</strong> Creonte risulti improntata alla<br />

statuaria sdegnosità del Farinata dantesco (Inf. X, 32-36):<br />

Teseida, II, 63<br />

Non spaventar le parole Creonte,<br />

perch’abattuto si vedesse in terra,<br />

né sembianza mutò l’ar<strong>di</strong>ta fronte,<br />

né mitigossi nel cuor la sua guerra;<br />

anzi più fiero e con parole pronte,<br />

aspra risposta parola <strong>di</strong>serra<br />

a que’ che sopra il petto fier li stava<br />

e col suo ferro morte gli aprestava;<br />

descrizione ancora riproposta per Arcita e Palemone:<br />

Teseida, II, 86<br />

E’ non eran da sé guari lontani,<br />

armati tutti ancora, e a giacere;<br />

i qua’, come coloro le cui mani<br />

pervenner prima, udendo lor dolere,<br />

gli vider, si pensar che de’ sovrani<br />

esser doveano; e ciò fecer vedere<br />

le lucenti armi e loro altiero aspetto<br />

che <strong>di</strong>o nell’ira lor facea <strong>di</strong>spetto.<br />

Infine, come ultimo esempio, ma altri se ne potrebbero addurre per i quali si<br />

rimanda al commento <strong>di</strong> Limentani, si rilegga nel VII libro la descrizione <strong>di</strong><br />

Emilia piangente che fruga con lo sguardo il fuoco, in attesa <strong>di</strong> future premonizioni.<br />

Appare evidente come sul modello staziano (Theb. X, 598-601) si innestino<br />

numerosi echi danteschi:<br />

136<br />

Teseida, VII, 91-92<br />

La giovinetta le lagrime spinse<br />

dagli occhi belli, e <strong>di</strong>morando attenta<br />

più ver lo foco le luci sospinse;<br />

né stette guari che l’una fu spenta,<br />

poi per sé si raccese, e l’altra tinse<br />

e tal <strong>di</strong>venne qual talora <strong>di</strong>venta<br />

quella del solfo, e, le punte menando,<br />

in qua in là già forte mormorando. Inf. XXVI, 85-89<br />

E parean sangue gli accesi tizzoni,<br />

da’ capi spenti tututti gemendo Inf. XIII, 40-45<br />

lagrime tai, che spegnieno i carboni<br />

[...]


<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

Fu merito <strong>di</strong> Hecker nel 1902 riconoscere nel Laurenziano 38, 36 uno dei<br />

co<strong>di</strong>ci confluiti a Santo Spirito, e attribuire al <strong>Boccaccio</strong> l’autografia <strong>di</strong> quattro<br />

carte 14 . Tuttavia sappiamo che il poeta dovette possedere anche un altro testimone<br />

della Tebaide che l’inventario <strong>di</strong> Santo Spirito in<strong>di</strong>ca come quarto del II<br />

banco, da me identificato con un co<strong>di</strong>ce conservato alla Biblioteca Apostolica<br />

Vaticana: il Barberiniano Latino 74 15 .<br />

La possibilità <strong>di</strong> ragionare concretamente su due copie possedute dal<br />

<strong>Boccaccio</strong> è, ovviamente, un’occasione preziosa che ci conduce <strong>di</strong>rettamente<br />

nel laboratorio dell’autore e che ci consente <strong>di</strong> cogliere se non ad<strong>di</strong>rittura la<br />

genesi dell’idea creativa, almeno <strong>di</strong> evidenziare con chiarezza che cosa significa<br />

per un autore «stu<strong>di</strong>are» gli auctores latini e come si realizza concretamente il<br />

processo <strong>di</strong> riscrittura, fenomeno particolarmente interessante in un autore come<br />

<strong>Boccaccio</strong> che, come è stato chiaramente <strong>di</strong>mostrato 16 , è abilissimo nel riutilizzare<br />

trasformandoli materiali <strong>di</strong>versi.<br />

Non ci stupiremo, dunque, <strong>di</strong> vedere affiorare proprio nelle chiose marginali<br />

della Tebaide da lui posseduta tracce del germinare dell’inventio, fino alla fortunata<br />

coincidenza <strong>di</strong> un luogo sovrapponibile fra la Tebaide laurenziana e il<br />

Teseida, acutamente segnalato da Anderson 17 .<br />

Non solo un segno <strong>di</strong> paragrafo circoscrive il luogo imitato, ma piccole lettere<br />

soprascritte a e b suggeriscono la concordanza fra primam e rabiem, (a<br />

magnam). E ancora si consideri il tale rispetto al qualis <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong>, che recupera<br />

la chiosa «ille erat talis», esattamente come il «non armati <strong>di</strong> corna» è una ripresa<br />

fedele della glossa a «nondum bellantem fronte iuvencum», dove leggiamo<br />

«id est iuvenis sine cornubus»:<br />

Theb. VII, 670-674<br />

qualis ubi primam leo mane cubilibus atris ille erat talis<br />

erexit rabiem et saevo speculatur ab antro<br />

aut cervum aut nondum bellantem fronte iuvencum,<br />

it fremitu gaudens, licet arma gregesque lacessant id est iuvenis sine cornubus<br />

venantum, praedam videt et sua volnera nescit [...]<br />

Teseida, VII, 115<br />

tale a veder qual tra giovenchi giunge<br />

14 Cfr. O. HECKER, <strong>Boccaccio</strong>-Funde, Braunschweig, Westermann, 1902, pp. 33-34, tav.<br />

VIII. Per la <strong>di</strong>scussione sull’autografia <strong>di</strong> altre carte oltre alle quattro segnalate da Hecker,<br />

cfr. ANDERSON, Before the Knight’s Tale, cit., p. 82, n. 2, che osserva ancora: «The text of<br />

<strong>Boccaccio</strong> copied into these four leaves does not derive from the same family of manuscripts<br />

as that of the rest of Plut. 38.6» (p. 83, n. 8).<br />

15 Cfr. A. PUNZI, I libri del <strong>Boccaccio</strong> e un nuovo co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Santo Spirito: il Vaticano<br />

Barberiniano lat. 74, in A. PUNZI -A. MANFREDI, Per le biblioteche del <strong>Boccaccio</strong> e del<br />

Salutati, in «Italia me<strong>di</strong>oevale e umanistica», XXXVII, 1994, pp. 193-203.<br />

16 Si veda, fra gli altri, G. VELLI, Petrarca e <strong>Boccaccio</strong>. Tra<strong>di</strong>zione-Memoria-Scrittura,<br />

Padova, Antenore, 1979.<br />

17 Cfr. ANDERSON, Before the Knight’s Tale, cit., pp. 40-44.<br />

137


Arianna Punzi<br />

non armati <strong>di</strong> corna il fier leone<br />

libico, e affamato i denti munge<br />

con la sua lingua e aguzza l’unghione,<br />

e col capo alto, quale innanzi punge,<br />

l’occhio girando, fa <strong>di</strong>librazione;<br />

e sì negli atti si mostra rabbioso<br />

ch’ogni giovenco fa <strong>di</strong> sé dottoso.<br />

Ma nello stesso tempo l’analisi delle chiose poste dal certaldese alla sua<br />

Tebaide ci aiuta a capire che anche in un poeta dall’evidente vocazione narrativa,<br />

questa attitu<strong>di</strong>ne si realizza a partire da uno stu<strong>di</strong>o accurato e attento del lessico,<br />

della retorica e della sintassi delle fonti, secondo una tendenza verificabile<br />

anche nel suo autocommento. D’altra parte già Vandelli suggeriva che l’idea a<br />

corredare il suo poema da chiose gli fosse venuto da un co<strong>di</strong>ce della Tebaide<br />

accompagnata dal commento <strong>di</strong> Lattanzio Placido 18 .<br />

Il lavoro <strong>di</strong> chiosa operato sulla Tebaide laurenziana, che presuppone un<br />

modello dove il commento era interlineare, ci suggerisce qualche altra considerazione.<br />

Intanto mi sembra interessante notare che il <strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

non <strong>di</strong>verge dal <strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> sé e che dunque tocchiamo con mano come<br />

il suo autocommento ricalchi le regole del commento ai classici.<br />

In particolare le sue chiose sono volte:<br />

1. a chiarire un problema lessicale o sintattico, il significato <strong>di</strong> vocaboli<br />

desueti e arcaici e costruzioni <strong>di</strong>fficili («anhaelante»= «laborantes»; «moeret»=<br />

«flet» «singultibus» = «fragoribus»), spesso corredando queste note con osservazioni<br />

<strong>di</strong> carattere grammaticale: es. «proprium nomen» o «genitivus graecos»;<br />

2. ad interpretare metafore o figure retoriche <strong>di</strong>fficili;<br />

3. a sciogliere tutti i riferimenti non imme<strong>di</strong>atamente comprensibili: «gener»<br />

= «Polinices»; «socer» = «Adrastus»; «hospes» = «Polinices»<br />

Non si tratta tanto <strong>di</strong> <strong>di</strong>vagazioni <strong>di</strong>dattico allegoriche o semplicemente <strong>di</strong><br />

carattere mitologico, quanto piuttosto <strong>di</strong> un’attenzione volta a chiarire la lettera<br />

del testo nei suoi singoli termini, secondo un’attitu<strong>di</strong>ne che ritroviamo esattamente<br />

nelle chiose al Teseida 19 . Infine grande attenzione rivela anche nel segna-<br />

18 Cfr. G. VANDELLI, Un autografo della Teseide, in «Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> filologia italiana», II, 1929,<br />

pp. 5-76. In proposito anche A. LIMENTANI, Tendenze della prosa del <strong>Boccaccio</strong> ai margini<br />

del Teseida, in «Giornale storico della letteratura italiana», LXXV, 1958, pp. 524-54. Sulle<br />

caratteristiche dell’autocommento, si vedano anche R. HOLLANDER, The Vali<strong>di</strong>ty of<br />

<strong>Boccaccio</strong>’s Self Exegesis in his Teseida, in «Me<strong>di</strong>evalia et Humanistica», VIII, 1977, pp.<br />

163-83 e P. BOITANI, Chaucer and <strong>Boccaccio</strong>, Oxford, Society for the Study of Me<strong>di</strong>eval<br />

Languages and Literature, 1977, pp. 45 sgg.<br />

19 Si considerino per es. note come plena: cioè gravida (IV, 14); Dionisio: re <strong>di</strong> Tebe (IV, 15);<br />

li nostri duoli: <strong>di</strong> noi tebani, ecc. Diversamente, come osserva ANDERSON, Before the knight’s Tale,<br />

cit., p. 44, notazioni relative alle costruzioni grammaticali sarebbero assenti nel Teseida.<br />

138


<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

re la <strong>di</strong>visione formale del testo, sottolineando i <strong>di</strong>versi episo<strong>di</strong> sia con uso <strong>di</strong><br />

maiuscole sia con segni <strong>di</strong> paragrafo, secondo un sistema <strong>di</strong> partizioni affine a<br />

quello utilizzato proprio nell’autografo del Teseida 20 .<br />

Sulla base del tipo <strong>di</strong> citazioni della Tebaide presenti nell’opera del<br />

<strong>Boccaccio</strong> e della famosa epistola Sacre famis datata 1339 21 , Anderson giunge<br />

ad ipotizzare che <strong>Boccaccio</strong> dovette possedere almeno tre co<strong>di</strong>ci della Tebaide.<br />

La proposta risulta senz’altro convincente, tuttavia cercare <strong>di</strong> <strong>di</strong>panare il<br />

momento concreto in cui questi co<strong>di</strong>ci entrano nelle mani del <strong>Boccaccio</strong> è operazione<br />

assai complessa, e non possono che avanzarsi ipotesi estremamente<br />

caute.<br />

È noto che le carte laurenziane autografe sono corredate da chiose <strong>di</strong> mano del<br />

<strong>Boccaccio</strong>, non provenienti dal commentario <strong>di</strong> Lattanzio Placido, <strong>di</strong>versamente<br />

da quanto si verifica nella restante parte del manoscritto. Di fronte a questa situazione<br />

non resta che ipotizzare che <strong>Boccaccio</strong> integri i fogli mancanti del co<strong>di</strong>ce<br />

servendosi <strong>di</strong> un altro, attualmente non identificato, esemplare. Come ha <strong>di</strong>mostrato<br />

Anderson si tratta <strong>di</strong> chiose provenienti dal commentario che va sotto il<br />

nome <strong>di</strong> In principio 22 . Questo commentario conta un numero piuttosto alto <strong>di</strong><br />

testimoni 23 , ma è possibile tuttavia selezionarne alcuni la cui fisionomia sembrerebbe<br />

affine a quella del co<strong>di</strong>ce usato da <strong>Boccaccio</strong>. Per l’ottimo e accurato lavoro<br />

<strong>di</strong> collazione rimando al lavoro <strong>di</strong> Anderson, solo invitando a considerare con particolare<br />

attenzione il manoscritto Vallicelliano C 97, che non solo presenta molte<br />

glosse in comune con quelle che corredano le carte autografe del Laurenziano 24 ,<br />

20 Cfr. VANDELLI, Un autografo, cit., pp. 27-29.<br />

21 Epistola in cui il <strong>Boccaccio</strong> chiede ad un ignoto amico <strong>di</strong> inviargli una copia della<br />

Tebaide perché quella da lui posseduta è priva <strong>di</strong> commento. Sulle ragioni retoriche e concettuali<br />

sottese a questa epistola, GIUS. BILLANOVICH, Restauri boccacceschi, Roma, E<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

Storia e Letteratura, 1945, pp. 68-78 e BRUNI, <strong>Boccaccio</strong>, cit., pp. 66-67.<br />

22 Cfr. ANDERSON, <strong>Boccaccio</strong>’s glosses, cit., pp. 63 sgg. e pp. 76-80.<br />

23 Cfr. Ivi, pp. 120-128.<br />

24 Ho ricontrollato ed integrato le chiose del ms. Roma, Biblioteca Vallicelliana C 97<br />

(=Vallicelliano) menzionate da Anderson. Di seguito riporto le principali coincidenze con il<br />

ms. Laurenziano:<br />

seu quos] «Alii venerunt ad Polinicem pro pietate quia exul, alii quia tendebant Eteocli<br />

servire, alii quia iustiorem causam habuit»<br />

Vallicelliano, c. 30v: «Hic ponit tria quare advenire, scilicet Polinicis pietatem, Ethiocli<br />

servire et [...]/ quia causa illius Polinicis erat iustior».<br />

4, 103 liber senio] «etate quia ex abiectione pellis <strong>di</strong>cuntur serpentes iuvenescere.<br />

Quaedam herba <strong>di</strong>citur meracos, quam cum commedunt etatis senium deponunt».<br />

Vallicelliano, c. 31r: «Notat hic f(abula) o(vi<strong>di</strong>i) que <strong>di</strong>cit sorores Meleagri tan<strong>di</strong>u flevisse<br />

donec mutate in aves».<br />

7, 684 altera cura liei] «Bachi. Hoc <strong>di</strong>cit propter tigres que erant prima cura».<br />

139


Arianna Punzi<br />

ma riporta all’inizio del co<strong>di</strong>ce un riassunto della storia <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po che <strong>Boccaccio</strong><br />

sembrerebbe avere conosciuto e utilizzato 25 .<br />

Come <strong>di</strong>cevo l’inventario della Parva libraria ci documenta anche la presenza<br />

<strong>di</strong> un altro co<strong>di</strong>ce della Tebaide, da identificarsi con il Barb. Lat. 74. L’identificazione<br />

è <strong>di</strong>mostrata dalla presenza della doppia segnatura <strong>di</strong> Santo Spirito nel<br />

foglio finale, la prima cifra romana riferita al banco, la seconda al posto occupato<br />

dal co<strong>di</strong>ce in quel banco e dalla perfetta corrispondenza dell’incipit e dell’explicit<br />

dell’ultimo foglio che coincide con il II libro dell’Achilleide, v. 128.<br />

Inoltre, a riprova <strong>di</strong> quanto questo co<strong>di</strong>ce sia attivo nella cerchia del<br />

<strong>Boccaccio</strong> ci soccorrono le due glosse che leggiamo alla fine della Tebaide e<br />

una terza collocata nello spazio tra l’explicit e l’accessus alla Tebaide 26 , che iniziano<br />

così:<br />

1. Gratie tres sunt pe<strong>di</strong>sece veneris Pasthrea, egale Euprosina quae nude pinguntur quia?<br />

amicitia simplex debet esse et non palliata.<br />

2. tres gradus sunt mortis fatum, casus, genitura. Epicuri fatum, Stoici casum, pitagorici<br />

id est philosophi <strong>di</strong>citur? genitura.<br />

3. Tempore Aoth Clio cogitatio <strong>di</strong>scen<strong>di</strong>, Thali capacitas, Terpsichore delectans instructionem<br />

Come osserva Violetta de Angelis, alla fine delle Genealogiae <strong>di</strong> Forese<br />

Donati e Franceschino degli Albizzi (trà<strong>di</strong>te soltanto in abbozzo nello Zibaldone<br />

Magliabechiano) troviamo affastellate una serie <strong>di</strong> informazioni «che nel medesimo<br />

or<strong>di</strong>ne e con identità totale persino nelle varianti si ritrovano nel Barb. 74<br />

[…]. Le glosse, stese da una mano forse <strong>di</strong>versa, sono al massimo posteriori <strong>di</strong><br />

50 anni» 27 e denunciano una filiazione <strong>di</strong>retta con quelle del co<strong>di</strong>ce barberiniano.<br />

Inoltre la chiusa nella Genealogia si presenta ex abrupto, il che potrebbe<br />

Vallicelliano, c. 69v: «prima de tigribus ista secunda».<br />

7, 686 Thesea Naxos] «insula quam Theseus devicit».<br />

Vallicelliano, c. 69v: «ubi Theseus regnavit».<br />

7, 687 Ganges] «fluvius indorum. Bachus debellavit habitantes iuxta gangem eosque coegit<br />

iurare per sua orgia».<br />

Vallicelliano, c. 69v: «Bachus habitatores Gangis ad sacrificia sua coegit iuratus in<br />

Thebana orgia».<br />

25 In proposito mi permetto <strong>di</strong> rimandare al mio contributo A. PUNZI, Oe<strong>di</strong>podae confusa<br />

domus. La materia tebana nel Me<strong>di</strong>oevo latino e romanzo, Roma, Bagatto libri, 1995, in particolare<br />

pp. 175-230.<br />

26 Cfr. V. DE ANGELIS, Magna questio preposita coram Dante et Domino Francisco<br />

Petrarca et Virgiliano, in «Stu<strong>di</strong> petrarcheschi», n. s., I, 1984, pp. 103-209: 179.<br />

27 Ivi, pp. 179-80.<br />

140


far propendere ad una giunta dell’ultima ora, magari ad opera <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong><br />

stesso 28 .<br />

Le Genealogiae occupano il fascicolo 8 dello Zibaldone Magliabechiano 29 ,<br />

cioè una sezione particolarmente <strong>di</strong>sorganica la quale «tematicamente e graficamente<br />

iniziata con le ultime carte del fasc. 7 soffre della caduta <strong>di</strong> tutto un fascicolo,<br />

il nono, e non ha un chiaro termine, né co<strong>di</strong>cologico né tematico» 30 è con<br />

buona probabilità databile intorno al 1356 31 .<br />

Tornando alle chiose che costellano il poema, è evidente che esse possono<br />

fornirci un’idea concreta del tipo <strong>di</strong> materiali su cui lavorava il <strong>Boccaccio</strong> e<br />

quin<strong>di</strong> anche in questo caso suggerire come esse rappresentino il lievito fecondo<br />

su cui costruire la propria opera. Basterà consultare contemporaneamente le<br />

chiose al V libro del Teseida e le prime carte del co<strong>di</strong>ce:<br />

Teseida, V, 57<br />

Vuole qui mostrare Arcita che tutti li suoi predecessori, <strong>di</strong>scesi <strong>di</strong> Cadmo, facitore e re<br />

primo <strong>di</strong> Tebe abbiano fatta mala morte (…). E <strong>di</strong>ce primieramente <strong>di</strong> quelli “che nacquer<br />

de’denti seminati” etc.: a che è da sapere che avendo Giove in forma <strong>di</strong> toro (…) rapita<br />

Europa, figliuola <strong>di</strong> Agenore, re <strong>di</strong> Fenici, Agenore comandò a Cadmo, suo figliuolo, che<br />

andasse cercando d’Europa, sua sorella e mai a lui senza lei non ritornasse.<br />

Barb. Lat. f. 1r<br />

b. Europam <strong>di</strong>cit filiam regis Sidoniorum quam rapuisset Iuppiter<br />

<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

28 In tempi recenti gli Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong> sono stati oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> importanti. Per<br />

l’ultimo ventennio si veda la Bibliografia degli Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong> [1976-1995], a cura<br />

del Dipartimento <strong>di</strong> Filologia e Storia dell’Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Cassino, Roma, Viella,<br />

1996, e ora Gli Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong>. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del Seminario<br />

internazionale <strong>di</strong> Firenze-Certaldo (26-28 aprile 1996), a cura <strong>di</strong> M. Picone e <strong>di</strong> C. Cazalé<br />

Bérard, Firenze, Franco Cesati E<strong>di</strong>tore, 1998.<br />

29 Cfr. V. BROWN, <strong>Boccaccio</strong> in Naples: the beneventan liturgical palimpsest of the<br />

Laurentian autographs (29.8 and 33. 31), in «Italia me<strong>di</strong>oevale e umanistica», XXXIV, 1991,<br />

pp. 41-126 e i cui principali risultati vengono sostanzialmente riba<strong>di</strong>ti nel saggio dal titolo<br />

Between the convent and the court: <strong>Boccaccio</strong> and a Benevental gradual from Naples, in Gli<br />

Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong>, cit., pp. 307-13. Come si osserva nel saggio <strong>di</strong> S. ZAMPONI, M.<br />

PANTAROTTO e A. TOMIELLO (Stratigrafia dello Zibaldone e della miscellanea Laurenziani, in<br />

Gli Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong>, cit., pp. 181-258): «[…] l’uso <strong>di</strong> fogli provenienti da uno stesso<br />

fascicolo del graduale ora <strong>di</strong>ffratti fra Zibaldone e Miscellanea suggerisce la possibilità <strong>di</strong><br />

datazioni comuni per singole sezioni dei due co<strong>di</strong>ci, permette in alcuni casi <strong>di</strong> circoscrivere i<br />

<strong>di</strong>versi momenti <strong>di</strong> copia in un giro d’anni contenuto, lascia intravedere <strong>Boccaccio</strong> al suo<br />

scrittoio, dai primi, autonomi, esperimenti letterari alla copia <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> autori classici,<br />

me<strong>di</strong>olatini o a lui contemporanei» (p. 184).<br />

30 Cfr. G. POMARO, Memoria della scrittura e scrittura della memoria: a proposito dello<br />

Zibaldone magliabechiano, in Gli Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong>, cit., pp. 259-82: 270.<br />

31 Ivi, p. 277.<br />

141


Arianna Punzi<br />

e nell’interlinea:<br />

sorore quaerendo<br />

Iusserat Agenor ne Cathmus re<strong>di</strong>ret nisi inventa Europa.<br />

Riscontri <strong>di</strong> questo tipo si potrebbero moltiplicare, ma servirebbero semplicemente<br />

a suggerire che <strong>Boccaccio</strong> <strong>di</strong>sponeva <strong>di</strong> commenti ai classici corredati<br />

da note. Più interessante un’altra suggestione. Infatti sono quattro le mani che<br />

chiosano il testo, la prima che glossa massicciamente le prime 10 carte è <strong>di</strong> circa<br />

50 anni posteriore a quella che scrive, le altre sono mani trecentesche. Tra queste<br />

tuttavia non sono riuscita con certezza ad in<strong>di</strong>viduare la mano del <strong>Boccaccio</strong><br />

che, pur essendo una mano nota e ben stu<strong>di</strong>ata, risulta estremamente mutevole.<br />

Inoltre – come ha <strong>di</strong>mostrato con estrema efficacia Patrizia Rafti – ci troviamo<br />

sovente <strong>di</strong> fronte «a un <strong>Boccaccio</strong> scriba influenzato dal modello relativamente<br />

alla sfera grafico-estetica e quin<strong>di</strong> teso a riprodurne fedelmente, o almeno nell’intenzione<br />

<strong>di</strong> fondo, l’assetto e l’aspetto» 32 .<br />

In questi casi l’unica pista percorribile è sembrata quella <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are tutti i<br />

segni paratestuali che costellano il co<strong>di</strong>ce: maniculae, graffe, crocette, segni <strong>di</strong><br />

paragrafo ecc. 33 , che nel loro insieme possono almeno suggerire una precisa<br />

modalità <strong>di</strong> lettura. La prima domanda da porsi sarà allora se una qualche ratio<br />

colleghi tra loro i luoghi così segnalati alla quale si può rispondere che nella<br />

maggior parte vengono evidenziate quelle sezioni del testo in vario modo connesse<br />

con le riflessioni in margine alla Comme<strong>di</strong>a dantesca che dovettero<br />

accompagnare <strong>Boccaccio</strong> lungo tutto l’arco della sua produzione, per trovare<br />

nelle Esposizioni il momento culminante.<br />

Intanto molti versi della Tebaide citati nelle Esposizioni sono nel co<strong>di</strong>ce barberiniano<br />

segnati con una crocetta, come nel caso <strong>di</strong> Theb., V, 344-435 (f. 42v), ricordato<br />

nelle Esposizioni a Inferno II: «E secondo che scrive <strong>Stazio</strong> nel suo Tebaida egli<br />

[Orfeo] fu <strong>di</strong> que’ nobili uomini li quali furono chiamati Argonauti [...]». Ma più<br />

interessante la crocetta accanto a Theb. I, 106-109, dove si mette in evidenza un<br />

luogo che sarà ripreso nella chiosa a Inf. IX, 41 (esp. all.) relativa a Tisifone:<br />

142<br />

A’ quali agiugne <strong>Stazio</strong>, <strong>di</strong>cendo:<br />

[...] Suffusa veneno<br />

32 Cfr. P. RAFTI, Riflessioni sull’usus <strong>di</strong>stinguen<strong>di</strong> del <strong>Boccaccio</strong> negli Zibaldoni, in Gli<br />

Zibaldoni <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong>, cit., pp. 283-306: 284. La stessa stu<strong>di</strong>osa ha de<strong>di</strong>cato che negli ultimi<br />

anni <strong>di</strong>versi contributi ad un elemento fondamentale del sistema grafico del <strong>Boccaccio</strong>: l’interpunzione,<br />

cfr. P. RAFTI, Lumina <strong>di</strong>ctionum. Interpunzione e prosa in Giovanni <strong>Boccaccio</strong>,<br />

I, in «Stu<strong>di</strong> sul <strong>Boccaccio</strong>», XXIV, 1996, pp. 59-121; II, in «Stu<strong>di</strong> sul <strong>Boccaccio</strong>», XXV,<br />

1997, pp. 239-73; III, in «Stu<strong>di</strong> sul <strong>Boccaccio</strong>», XXVII, 1999, pp. 81-123.<br />

33 E che da un punto <strong>di</strong> vista grafico nulla osta a considerare <strong>di</strong> <strong>Boccaccio</strong>.


ten<strong>di</strong>tur ac sanie gliscit cutis; igneus atro i. crine<br />

ore vapor, quo longa sitis morbique famesque<br />

et populi mors una venit etc...<br />

Nella Tebaide barberiniana troviamo accanto alla crocetta anche una interessante<br />

notazione vicinissima a quanto si legge nelle Esposizioni<br />

2r<br />

Cerastes serpens <strong>di</strong>ctus est eo quod in capite cornua habeat similia arcetam; cerasta enim<br />

grece cornua vocant et aut flexuos plerique alie serpentes.<br />

Esposiz. IX, 28<br />

E sono “ceraste” una spezie <strong>di</strong> serpenti, li quali hanno o uno o due cornicelli in capo; e da<br />

questo son <strong>di</strong>nominate “ceraste”, però che ceras in greco tanto vuol <strong>di</strong>re quanto “corno” o<br />

“corna” in latino.<br />

Inoltre non si può trascurare la concordanza tra le chiose barberiniane e<br />

quelle delle Esposizioni, dal momento che si tratta <strong>di</strong> dati assenti sia in<br />

Lattanzio Placido che in Servio. Nella folta messe <strong>di</strong> materiali staziani reperibili<br />

nella Comme<strong>di</strong>a, possiamo ancora segnalare qualche altro luogo dove l’intertesto<br />

latino doveva essere imme<strong>di</strong>atamente riconoscibile da <strong>Boccaccio</strong>, tanto più<br />

che si tratta <strong>di</strong> luoghi poi commentati nelle Esposizioni. È il caso per esempio<br />

del personaggio <strong>di</strong> Capaneo, al quale <strong>Stazio</strong> de<strong>di</strong>ca ampio spazio sia nel II libro,<br />

vv. 845-882 che nel X libro. Ora se apriamo il nostro co<strong>di</strong>ce alle carte corrispondenti<br />

al II libro (12v-18r) lo troveremo corredato da numerose graffe proprio<br />

in quei luoghi collegati al poema dantesco, quali l’episo<strong>di</strong>o della battaglia<br />

<strong>di</strong> Flegras o le molte menzioni dei ciclopi. La stessa tecnica <strong>di</strong> segnalazione <strong>di</strong><br />

passaggi chiave si realizza nel X libro della Tebaide, così accanto al nome <strong>di</strong><br />

uno dei tre ciclopi: Piragmone, la chiosa interlineare riporta fabro, termine usato<br />

da Dante in Inferno XIV, v. 52: Se Giove stanchi il suo fabbro…, ampiamente<br />

glossato dal <strong>Boccaccio</strong> nelle Esposizioni, dove definisce appunto i ciclopi fabri<br />

<strong>di</strong> Giove:<br />

Inf. XIV, 52-56<br />

Se Giove stanchi’l suo fabbro da cui<br />

crucciato prese la folgore aguta<br />

onde l’ultimo dì percosso fui;<br />

s’elli stanchi li altri a muta a muta<br />

in Mongibello a la focina negra<br />

chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”<br />

sì com’elli fece a la pugna <strong>di</strong> Flegra…<br />

<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

Nel XIV canto dell’Inferno Dante descrive, dopo l’incontro con Capaneo,<br />

l’arrivo presso le rive del Flegetonte, la cui origine spiega Virgilio a Dante si fa<br />

143


Arianna Punzi<br />

risalire alle lacrime provenienti dalle fessure che solcano la statua del Veglio <strong>di</strong><br />

Creta, dal quale derivano anche l’Acheronte, lo Stige e il Cocito. Così Dante<br />

recupera un preciso passaggio staziano: Tebaide VIII, 29-30: «assistunt lacrimis<br />

atque igne tumentes / Cocytos Phlegetontenque […]», in un contesto particolarmente<br />

significativo, considerato che, come osserva Paratore «la scena staziana è<br />

ideata come sfondo alla figura <strong>di</strong> Minosse giu<strong>di</strong>ce infernale e in occasione del<br />

precipitare <strong>di</strong> Anfiarao nel Tartaro […] un episo<strong>di</strong>o tenuto presente da Dante» 34 .<br />

Ora, non solo in corrispondenza <strong>di</strong> questo luogo la Tebaide barberiniana registra<br />

sia una manicula che una graffa, ma anche la lunga chiosa con cui <strong>Boccaccio</strong><br />

commenta i versi danteschi nelle Esposizioni potrebbero recare traccia <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>retta consultazione delle chiose barberiniane, anche se non è possibile escludere<br />

la derivazione da altre fonti mitografiche:<br />

1r<br />

Stix et Flegeton et Acheron et Cocitus et Erebus fluvii sunt infernales. Stigen <strong>di</strong>cunt philosophi<br />

quicquid inter se humanos in gurgitem mergit o<strong>di</strong>orum. Flegetontem ardores irarum<br />

et cupi<strong>di</strong>tatum. Acherontem quicquid fecisse <strong>di</strong>xissent usque ad tristiciam humane varietatis<br />

more nos […]. Cocitum quiquid homines in luctum lacrimasque compellit.<br />

Esp. all. XIV, 42-43<br />

[...] e nomina questi quattro fiumi, il primo Acheronte, il secondo Stige, il terzo<br />

Flegetonte, il quarto e ultimo Cocito, volendo per Acheronte intendere la prima cosa, la quale<br />

avviene a’ dannati. È Acheronte [...] interpretato “senza allegrezza”: per la quale interpetrazione<br />

assai chiaro si conosce colui, il quale per lo suo peccato <strong>di</strong>scende in per<strong>di</strong>zione, avanti<br />

ad ogni altra cosa perdere l’allegreza dell’eterna beatitu<strong>di</strong>ne [...]. Appresso intende l’autore<br />

per Istige, il quale è interpetrato “tristizia”, quello che che il misero peccatore, avendo per le<br />

sue iniquità perduta l’allegreza <strong>di</strong> vita eterna, abbia acquistato, che è tristizia perpetua...<br />

seguita il terzo fiume, chiamato Flegetonte, il quale è interpetrato “ardente”: volendo per questo<br />

ardore darne l’autore ad intendere che, poi che il peccatore è <strong>di</strong>venuto nella tristizia della<br />

sua per<strong>di</strong>zione, incontanente <strong>di</strong>viene nell’ardore della gravità de’ supplìci... quarto fiume,<br />

cioè nel Cocito. Il quale è interpetrato “pianto”, per ciò che trafiggendo l’ardore delle pene<br />

eternali alcuno, esso incontanente comincia a piagnersi e a dolersi e a ramaricarsi.<br />

Infine l’ultima suggestione “in chiave dantesca” sembra essere suggerita<br />

dalla similitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Theb. V, 13-18. Com’è noto questa similitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> stampo<br />

certamente classico torna in luoghi strategici del poema (Inf. V e Purg. XXIV,<br />

62) e sulle sue possibili fonti sono state avanzate molte ipotesi. Ora non solo la<br />

fonte staziona sembra quella maggiormente riconoscibile in filigrana, ma è <strong>di</strong>fficile<br />

pensare che <strong>Boccaccio</strong> (o chi per lui) non scorgesse nei versi della Tebaide<br />

il modello per la similitu<strong>di</strong>ne dantesca, considerate le chiose interlineari che vi<br />

sono apposte:<br />

34 Cfr. E. PARATORE, s. v. <strong>Stazio</strong>, in Enciclope<strong>di</strong>a dantesca, vol. V, Roma, Istituto<br />

dell’Enciclope<strong>di</strong>a Italiana, 1984, pp. 419-25: 423.<br />

144


Theb. V, 13-18 (f. 38v)<br />

rauca... decedunt agmina Nilo, .i. grues<br />

quo fera cogit hiems: illae clangore fugaci,<br />

umbra fretis arvisque, volant, sonat avius aether.<br />

Iam Borean imbrisque pati, iam nare solutis gelu<br />

amnibus et nudo iuvat aestivare sub Haemo.<br />

Purg., XXVI, 43-48<br />

Poi, come grue ch’a le montagne Rife<br />

volasser parte, e parte inver’ l’arene,<br />

queste del gel, quelle del sol schife,<br />

l’una gente sen va, l’altra sen vene;<br />

e tornan, lagrimando, a’ primi canti<br />

e al gridar che più lor si convene [...]<br />

<strong>Boccaccio</strong> <strong>lettore</strong> <strong>di</strong> <strong>Stazio</strong><br />

In sostanza, ben due termini chiave utilizzati da Dante: gru e gelo sono nelle<br />

chiose interlineari. Dobbiamo attribuire a <strong>Boccaccio</strong> questa chiosa e dunque la<br />

capacità <strong>di</strong> riconoscere la fonte dantesca e ad<strong>di</strong>rittura segnalare le corrispondenze<br />

precise fra le due similitu<strong>di</strong>ni? Difficile pronunciarsi con certezza. Resta tuttavia<br />

il dato incontrovertibile che si tratta <strong>di</strong> un co<strong>di</strong>ce proveniente dalla biblioteca<br />

del <strong>Boccaccio</strong> che sembra lasciar trapelare talune, significative tracce del<br />

suo straor<strong>di</strong>nario sguardo <strong>di</strong> <strong>lettore</strong>.<br />

145

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