don carlo banfi: un eroe sconosciuto
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don carlo banfi: un eroe sconosciuto
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Com<strong>un</strong>e di Sormano<br />
Gruppo Alpini di Sormano<br />
Parrocchia S. Ambrogio<br />
DON CARLO BANFI:<br />
UN EROE SCONOSCIUTO<br />
Solidarietà e impegno civile a Sormano 1943 - 1945<br />
Documenti e testimonianze<br />
Consulenza storica<br />
ISTITUTO DI STORIA CONTEMPORANEA PIER AMATO PERRETTA<br />
Associato all’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia
Com<strong>un</strong>e di Sormano<br />
Gruppo Alpini di Sormano<br />
Parrocchia S. Ambrogio<br />
DON CARLO BANFI:<br />
UN EROE SCONOSCIUTO<br />
Solidarietà e impegno civile a Sormano 1943 - 1945<br />
Documenti e testimonianze<br />
Consulenza storica<br />
ISTITUTO DI STORIA CONTEMPORANEA PIER AMATO PERRETTA<br />
Associato all’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia<br />
I
Un po’ di bene fatto ci lascia<br />
contenti del tempo vissuto.<br />
Ci è grato sapere che altri ancora<br />
possono godere la vita in grazia nostra.<br />
Ecco <strong>un</strong> segreto per la felicità:<br />
vivere per gli altri, non per noi soli<br />
per la famiglia,<br />
come voi per la scuola,<br />
per i fratelli in tribolazione.<br />
Da <strong>un</strong>a lettera di <strong>don</strong> Carlo Banfi<br />
al professor Ferruccio Pardo<br />
III<br />
Tutti noi abbiamo insegnato<br />
con la parola e coll’esempio<br />
che quando è l’ora<br />
si deve andare innanzi<br />
se occorre pagare di persona.<br />
Da <strong>un</strong>a lettera di <strong>don</strong> Carlo Banfi<br />
al dottor Angelo Bianchi Bosisio
Com<strong>un</strong>e di Sormano - Via Trento e Trieste 14 - 22030 Sormano (Co)<br />
Edizione Tipografia Artigiana Vallassinese - Asso<br />
Prima edizione: aprile 2013<br />
Si ringraziano per la collaborazione<br />
Anita Bernasconi<br />
Rosa Bussadori<br />
Tiziana Meroni<br />
Giuseppe Rizzi<br />
Rosita Luisa Sormani<br />
Raul Sormani<br />
IV
INDICE<br />
VII Presentazione<br />
IX Don Valentino Viganò Dare la vita per i propri amici<br />
1 Daniele Corbetta Salvezza e Shoah in Vallassina<br />
10 Lina Paracchi L’aiuto agli ebrei: <strong>don</strong> Carlo Banfi, Ada Tommasi e Mario De Micheli<br />
16 Don Carlo Banfi Passaggio in Svizzera<br />
20 Lucio Pardo Il segreto di <strong>don</strong> Carlo Banfi: vivere per gli altri<br />
26 Den<strong>un</strong>cia di <strong>don</strong> Carlo Banfi al Trib<strong>un</strong>ale Speciale per la Difesa dello Stato<br />
28 Mons. Primo Discacciati Com<strong>un</strong>icazione al cardinale Schuster<br />
30 Don Carlo Banfi Lettera informativa al cardinale Schuster<br />
32 Emilio Canarutto Proposta di medaglia d’oro per Ada Tommasi De Micheli<br />
35 Anna e Gioxe De Micheli Ada e Mario<br />
40 Scialom Hassan In Isvizzera ha continuato a rincuorare e consolare<br />
41 Don Carlo Banfi Lettera al dott. Angelo Bianchi Bosisio<br />
45 Com<strong>un</strong>ità Israelitica di Milano Ricordo perenne di gratitudine degli ebrei d’Italia<br />
V
Presentazione<br />
La vicenda della persecuzione e sterminio degli ebrei mi sconvolse quando, da ragazzino, lessi i libri di<br />
Primo Levi, il Diario di Anna Frank, le testimonianze dei sopravvissuti che raccontavano quanto era<br />
successo. Non riuscivo a capacitarmi dell’enormità di quello che leggevo. Fu in queste letture che mi<br />
imbattei per la prima volta nel nome di <strong>don</strong> Carlo Banfi: in <strong>un</strong> elenco di persone che avevano aiutato<br />
e difeso gli ebrei veniva citato <strong>un</strong> Don Carlo di Sormano. Non ne avevo mai sentito parlare. Chiesi a<br />
mia mamma che mi raccontò quel poco che sapeva: “si, si c’era il parroco di allora che faceva scappare<br />
gli ebrei, anche lo zio Piero li portava in Svizzera”.<br />
Ma era <strong>un</strong>a storia di cui non si parlava. In paese i vecchi la conoscevano, ma non veniva mai rievocata.<br />
Nei libri che raccontano la storia del paese la vicenda è completamente ignorata. Nel 1977 <strong>un</strong> articolo<br />
di Carlo Demetrio Faroldi su L’Ordine fece conoscere qualcosa di quel periodo, ma passò quasi<br />
inosservato.<br />
Nel 2006 venne pubblicato il “Taccuino degli anni difficili” dell’Istituto Perretta che documentava<br />
questi fatti insieme a molti altri di quel periodo nella nostra zona. In seguito il professor Corbetta ha<br />
ritrovato altri documenti ed ha raccolto la testimonianza di Lina Paracchi.<br />
Quest’anno, nel settantesimo anniversario di quelle vicende e nella ricorrenza della Festa della Liberazione,<br />
il Com<strong>un</strong>e di Sormano, la Parrocchia S. Ambrogio e il Gruppo Alpini, con la collaborazione<br />
indispensabile dell’Itituto Perretta, hanno voluto finalmente ricostruire questo capitolo della storia del<br />
nostro paese e ricordare le persone e i fatti di quegli anni. Ci sembra doveroso far conoscere questi<br />
episodi di generosità ed altruismo e rendere il giusto omaggio ai loro protagonisti.<br />
Senza voler fare paragoni con gli anni terribili 1943 – 1945, anche oggi stiamo vivendo momenti<br />
difficili e abbiamo, tanti fratelli in tribolazione. Non a caso il cardinale Tettamanzi, nel 2008, ha dato<br />
nuovo impulso alla Carità dell’Arcivescovo, istituzione nata in quegli anni, il cui fondatore e primo<br />
responsabile, nominato dal Cardinale Schuster, fu l’ing. Carlo Bianchi, martire a Fossoli, allievo e<br />
amico di Don Banfi.<br />
La crisi che oggi travaglia la nostra società non è solo crisi economica, ma è soprattutto crisi di valori.<br />
In queste pagine, possiamo trovare valori e norme di vita. Solidarietà umana e condivisione dei sacrifici:<br />
con queste si esce dai periodi bui.<br />
Quando è l’ora si deve andare innanzi, dice Don Banfi. Da queste vicende, da queste <strong>don</strong>ne e uomini<br />
possiamo trarre, umilmente, esempio per il nostro presente.<br />
Giuseppe Sormani<br />
Sindaco di Sormano<br />
I
VIII
Dare la vita per i propri amici<br />
Quando <strong>un</strong> uomo compie <strong>un</strong>a scelta, porta in questo gesto tutta la sua storia. Più alta è la decisione,<br />
maggiore è lo spessore umano che la deve accompagnare. Persone mediocri sanno produrre scelte<br />
mediocri. Persone luminose compiono scelte luminose.<br />
Così è stato per Don Carlo Banfi, Parroco di Sormano.<br />
Ci troviamo al cospetto di <strong>un</strong> uomo che, per quello che la sua storia lo aveva portato ad essere, ha<br />
scelto di mettere a disposizione la sua esistenza per consentire all’esistenza di altri di non venire umiliata<br />
e spezzata da ideologie disumane.<br />
Nella storia che ha portato Don Banfi a comportamenti eroici <strong>un</strong> ruolo essenziale lo ha avuto il suo<br />
essere <strong>un</strong> Sacerdote.<br />
Da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista pratico: il Sacerdote Cattolico non ha <strong>un</strong>a famiglia sua. La sua vita appartiene<br />
totalmente a Dio ed è a disposizione del popolo che gli è affidato. Se Don Banfi avesse avuto <strong>un</strong>a<br />
moglie e dei figli, se avesse avuto <strong>un</strong> lavoro con interessi economici, avrebbe dovuto fare i conti con<br />
legami e doveri che avrebbero rallentato o addirittura impedito la possibilità di rischiare per altri.<br />
Da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista interiore: <strong>un</strong> Sacerdote sa che deve conformare la sua vita a quella del Cristo. E<br />
proprio Lui ci ha consegnato questa Parola: “Ness<strong>un</strong>o ha <strong>un</strong> amore più grande di questo: dare la vita<br />
per i propri amici”. Come Sacerdote, come Parroco, Don Banfi non ha compiuto semplicemente<br />
azioni di squisita umanità. Lo ha spinto la Parola e l’esempio di quel Maestro a cui aveva dedicato la sua<br />
vita. Il suo è stato <strong>un</strong> realizzare nella sua esistenza la Parola del suo Signore. Così non ha avuto paura<br />
di spendere la sua vita per la vita di altri anche con il rischio di perderla, sicuro di quanto è detto da<br />
Gesù: “chi perderà la propria vita a causa mia e del Vangelo, la troverà”.<br />
Per questa nostra Parrocchia di Sormano è motivo di orgoglio poter annoverare tra i suoi Parroci <strong>un</strong><br />
Sacerdote di questo spessore e scoprire con sempre rinnovata certezza quanto sia affascinante e bello<br />
il Vangelo quando viene vissuto.<br />
Don Valentino Viganò<br />
Parroco di Sormano<br />
IX
Daniele Corbetta<br />
Salvezza e Shoah in Vallassina.<br />
Bisogno di memoria - In questo tempo di crisi della convivenza (e delle certezze istituzionali, anche europee),<br />
conviene tornare alla lezione di chi, nella Resistenza, trovò risposte che rimangono. Ripensare alla<br />
Resistenza che è stata sorgente del nostro attuale umanesimo.<br />
In Vallassina bisognerà ritrovare la figura di <strong>don</strong> Carlo Banfi (parroco di Sormano, 1938 – 1945), di cui<br />
ricorre quest’anno <strong>un</strong> anniversario: quello dell’accompagnamento in Svizzera di 16 ebrei (22 – 23<br />
novembre 1943). Fu il gesto conclusivo di <strong>un</strong>a pratica pastorale - quasi <strong>un</strong> manifesto - come servizio<br />
rivolto a tutti; in fondo, di <strong>un</strong>a didattica della concretezza.<br />
Era <strong>un</strong> senso com<strong>un</strong>e alla migliore Resistenza (specie a quella appena successiva all’8 settembre, quando<br />
il centro–nord era stato abban<strong>don</strong>ato all’occupazione nazista e mancava <strong>un</strong>’organizzazione capillare) il<br />
dovere per ogn<strong>un</strong>o di assumersi le proprie responsabilità. E’ la “spontaneità autosufficiente” delle<br />
prime iniziative autonome, di cui parla Claudio Pavone (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella<br />
Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991).<br />
Don Banfi riassume questo principio etico, che ha evidenti riferimenti evangelici, in <strong>un</strong>a lettera del<br />
12.11.1949 al dott. Angelo Bianchi Bosisio, in cui ricorda l’allievo–amico Carlo Bianchi, fucilato a<br />
Fossoli con altri 66 il 12.7.1944. Don Banfi era andato a consolare i genitori, che l’avevano guardato<br />
con rimprovero, considerandolo quasi corresponsabile della morte del figlio (Carlo Bianchi era stato<br />
suo allievo all’oratorio della Barona, a Milano, dove <strong>don</strong> Banfi era coadiutore).<br />
“Tutti noi abbiamo insegnato con la parola e con l’esempio che quando è l’ora si deve andare innanzi,<br />
se occorre pagare di persona.” Chiarissimo.<br />
E in effetti l’ing. Carlo Bianchi, che veniva spesso a trovarlo a Sormano, era divenuto presidente della<br />
FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani) clandestina e attivista di OSCAR (Opera Scautistica<br />
Cattolica Aiuto ai Ricercati); poi fondatore dell’associazione “La carità dell’Arcivescovo” e collaboratore<br />
di Teresio Olivelli. Un legame importante anche per <strong>don</strong> Banfi. Carlo Bianchi era stato arrestato con<br />
Olivelli il 27.4.1944.<br />
Quella stessa idea di “andare innanzi, se occorre pagare di persona” a Sormano fu praticata da tanti<br />
altri amici e collaboratori di <strong>don</strong> Banfi: Lina Paracchi, Piero Bussadori, Alessandro Beretta, il magg.<br />
Clemente Gatta… Soprattutto da <strong>un</strong>a coppia di intellettuali com<strong>un</strong>isti, Ada Tommasi e Mario De<br />
Micheli, che erano ospiti nel piano seminterrato della casa del parroco. Questo era il primo rifugio di<br />
tanti perseguitati in fuga: quasi tutti cercavano <strong>un</strong>a possibilità di salvezza in Svizzera; si trattava di ebrei,<br />
ex-prigionieri alleati, oppositori politici, militari italiani sbandati. E’ <strong>un</strong>’esperienza che anticipa la<br />
Costituzione, questa collaborazione tra diverse culture in difesa dell’uomo (e non si dimentichi che si<br />
intitolava “L’Uomo” il giornale clandestino diffuso da Apollonio, Bontadini, Franceschini, padre Turoldo<br />
nell’Università Cattolica).<br />
Così Sormano si trovò ad essere, nell’aut<strong>un</strong>no ’43, l’approdo di varia gente in pericolo, perché la Vallassina<br />
1
(come del resto anche l’alta Brianza e il Lecchese) era <strong>un</strong> rifugio facilmente accessibile per chi veniva<br />
dalla città e da più lontano.<br />
Naturalmente arrivarono anche oppositori politici e militari coraggiosi, decisi a battersi per la dignità<br />
dell’Italia umiliata e per <strong>un</strong>’idea di nuova società. Il comando della prima Resistenza in Vallassina fu<br />
situato nella “Villa dei tre pini” a Sormano ed era costituito da ufficiali agli ordini del maggiore Clemente<br />
Gatta. I partigiani del Pian del Tivano e del monte S. Primo, invece, gravitavano attorno all’albergo del<br />
Pian del Tivano ed erano al comando di Cesare Pusinelli e del ten. Carlo Fumagalli.<br />
Questi presìdi fornirono al parroco <strong>don</strong> Banfi <strong>un</strong>a collaborazione essenziale per il soccorso ai perseguitati.<br />
Salvezza e Shoah in Vallassina - Le iniziative di soccorso e Resistenza intrecciarono progressivamente <strong>un</strong>a<br />
rete di contatti con il CLN di Milano (dalla fine di gennaio 1944: Comitato di Liberazione Nazionale<br />
Alta Italia) e con i CLN locali, in via di formazione.<br />
Nella Vallassina, come nella Brianza e nel Lecchese, il più infaticabile coordinatore di questa “spontaneità”<br />
iniziale fu Poldo Gasparotto, accademico del CAI, che verrà catturato a Milano l’11.12.1943; poi fucilato<br />
a Fossoli il 22.6.1944. Gasparotto era in collegamento con il gruppo di Puecher a Erba - Pontelambro<br />
e con quelli del magg. Gatta in Vallassina, di Pusinelli e Fumagalli al Pian del Tivano.<br />
L’assistenza agli ex-prigionieri alleati in fuga, anche attraverso la Vallassina, poi il lago e le montagne di<br />
confine, fu affidata dal CLN centrale a Sergio Kasman (“Marco”), poi a Giuseppe Bacciagaluppi (“Joe”),<br />
che negli ultimi tempi operò dalla Svizzera.<br />
Il solidarismo cattolico si esercitò soprattutto tramite la rete di OSCAR (<strong>don</strong> Enrico Bigatti, <strong>don</strong> Aurelio<br />
Giussani, <strong>don</strong> Giovanni Barbareschi, <strong>don</strong> Natale Motta ecc…) con la collaborazione di molti parroci di<br />
campagna e di confine. Contarono anche le iniziative singole, che rivelavano <strong>un</strong> sentimento diffuso,<br />
come quella del salesiano padre Davide Perniceni, viceparroco di S. Bernardo a Lodi e cappellano di <strong>un</strong><br />
campo di concentramento: questi accompagnò due volte ex-prigionieri alleati fino a Sormano, per<br />
affidarli a <strong>don</strong> Banfi. Scoperto il 17.11.1943, finirà a Mauthausen, da cui tornerà per intercessione del<br />
card. Schuster.<br />
In Vallassina l’afflusso di gente in pericolo crebbe notevolmente dopo il 20 settembre 1943, quando i<br />
nazisti chiusero la frontiera a Como e Varese. Da allora fu più sicuro (benché faticoso) raggi<strong>un</strong>gere la<br />
Svizzera passando per Asso, Sormano, Magreglio, Civenna. Di là si scendeva a Nesso o Faggeto Lario,<br />
Lezzeno, Bellagio; si attraversava il lago e si valicavano le montagne di confine.<br />
D’altra parte la Vallassina offriva numerose possibilità di rifugio (alberghi, pensioni, case di vacanza) ed<br />
era facilmente accessibile grazie alla Ferrovia Nord e a <strong>un</strong>a discreta rete stradale. Purtroppo era facilmente<br />
accessibile anche per le forze nazifasciste; tanto che i partigiani entro il dicembre ’43 dovettero trasferirsi<br />
altrove (sulle montagne del lago o in Valsassina). Un ordine esplicito era stato dato in tal senso dal CLN<br />
di Como verso la metà di novembre.<br />
Ed è all’incirca in quel periodo che <strong>don</strong> Banfi pensò di accompagnare in Svizzera i suoi amici ebrei.<br />
Com<strong>un</strong>que l’assistenza ai perseguitati continuerà anche nei mesi successivi, per quanto in forma<br />
clandestina e con maggiori rischi. Purtroppo in questa fase ulteriore la Vallassina conoscerà episodi<br />
orrendi: per gli ebrei <strong>un</strong>a shoah.<br />
Fino ai primi di maggio ’44 il più importante snodo di raccordo, per l’assistenza ai ricercati, tra il centro<br />
2
Le SS italiane a Villa Meda, trasformata in caserma, Canzo<br />
[Foto Paredi, Asso - Biblioteca Com<strong>un</strong>ale di Canzo]<br />
3
(CLN di Milano, poi CLNAI) e il Triangolo Lariano e il Lecchese, fu quello organizzato in Brianza dal<br />
cap. Guido Brugger (tra Cesana, Suello, Bosisio Parini, Annone B.za, Molteno).<br />
Guido Brugger si nascondeva nella cascina Brugné di Bosisio Parini, da dove coordinava i passaggi in<br />
montagna, tenendo i contatti con il presidente del CLNAI, Alfredo Pizzoni, suo vecchio amico (cfr.: A.<br />
Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Il Mulino, Bologna 1995, p. 202); oltre che con Kasman<br />
e Bacciagaluppi, naturalmente (Bacciagaluppi cita esplicitamente <strong>don</strong> Banfi nel suo Rapporto finale<br />
sull’attività svolta dal C. L. N. Alta Italia in favore di ex prigionieri di guerra alleati, in “Il Movimento di<br />
Liberazione in Italia”, 1954, 33, pp. 3-31).<br />
Del resto lo stesso Pizzoni aveva <strong>un</strong> rifugio nelle vicinanze, a Longone al Segrino, presso l’abitazione<br />
dell’industriale Carletto De Filippi. Brugger verrà arrestato il 4 maggio 1944 e morirà nel lager di<br />
Gusen: <strong>un</strong> martire, di <strong>un</strong>a generosità indimenticabile.<br />
La fuga da Milano per molti ricercati (tra cui gli ebrei che approdavano numerosissimi in Vallassina),<br />
poteva includere l’arrivo in treno alle stazioni di Merone, Pontelambro, Canzo-Asso, oppure Molteno e<br />
Oggiono (linee Milano–Asso, Como–Lecco, Milano–Molteno–Lecco). Poi il trasferimento in montagna<br />
con l’aiuto di partigiani o passatori retribuiti.<br />
A prima vista appare sorprendente l’affollamento di tanti ebrei stranieri (in aggi<strong>un</strong>ta agli italiani) in<br />
Vallassina. Quali le ragioni? Oltre alla facilità di accesso e alle opport<strong>un</strong>ità già viste (che certamente<br />
sollecitarono gli afflussi dopo l’8 settembre), si può ritenere che molti vi avessero predisposto <strong>un</strong><br />
rifugio fin dall’approvazione delle leggi razziali nel ’38. Quei provvedimenti, tra l’altro, vietavano la<br />
residenza in Italia agli ebrei stranieri (R. d. L. 17.11.1938, art. 17), che perciò dovevano nascondersi.<br />
Molti ebrei stranieri (specialmente tedeschi) erano affluiti in Italia dal momento delle leggi antiebraiche<br />
di Norimberga (settembre 1935); tanti altri a seguito dell’espansionismo nazista verso l’Austria, i Sudeti,<br />
la Moravia, la Polonia.<br />
Mussolini fino alla conferenza di Stresa (11–14 aprile 1935) si era atteggiato a oppositore<br />
dell’espansionismo tedesco, a garante dello status quo. Un’amara illusione. Anche in Italia arrivò la<br />
persecuzione razziale; con l’entrata in guerra, nel ’40, fu disposto l’internamento degli ebrei stranieri. In<br />
Brianza, ad esempio, furono sedi di internamento Mariano Comense, Inverigo, Lambrugo, Erba…<br />
Naturalmente tutti questi ebrei, dopo la caduta di Mussolini (25 luglio 1943) e a maggior ragione dopo<br />
l’8 settembre, fuggirono: molti in alta Brianza e Vallassina, a Canzo, Asso, Sormano, Magreglio e Civenna.<br />
Sormano fu <strong>un</strong> approdo sicuro e <strong>un</strong>a via di salvezza fino alla fine di novembre ’43; fin quando, cioè,<br />
f<strong>un</strong>zionò la rete di <strong>don</strong> Banfi. In seguito ci furono arresti e deportazioni.<br />
Nel frattempo, infatti, i nazifascisti avevano completato l’occupazione del territorio. In ottobre le SS si<br />
erano stanziate a Canzo; la Guardia Nazionale Repubblicana (che sostituiva la vecchia Milizia e<br />
comprendeva anche i carabinieri) si era stabilita ad Erba, poi a Canzo, Asso, S. Valeria (amministrazione<br />
comprendente Caglio, Sormano e Rezzago).<br />
Bellagio era diventata <strong>un</strong>’importante sede di presidio militare e di governo per la Repubblica di Salò,<br />
con la presenza di ambasciate e ministeri.<br />
Nell’estate ’44 a Longone al Segrino (Villa Beldosso) si insediò <strong>un</strong>a formazione militare speciale tedesca,<br />
il Sonderkommando Magnus, dell’Abwehr II (scuola di commando per servizi speciali; si veda il saggio di<br />
Roberta Cairoli in Taccuino degli anni difficili. Alta Brianza e Vallassina 1943-1945, Istituto di Storia<br />
4
Contemporanea P. A. Perretta – NodoLibri, Como 2009, pp. 95-97).<br />
Nell’ottobre ’44 Himmler trasferì ad Asso e Canzo il reggimento di artiglieria della 59.a brigata (poi<br />
29.a divisione) delle SS italiane.<br />
Bisogna anche ricordare che la Repubblica Sociale Italiana aveva emanato l’atto amministrativo più<br />
abietto della storia d’Italia: l’ordine di arresto e di deportazione nei campi di sterminio di tutti gli ebrei<br />
presenti sul territorio (Mussolini – Buffarini Guidi, 1 dicembre 1943). I fascisti di Salò non furono<br />
soltanto spettatori, ma carnefici.<br />
Dal dicembre ’43 la Shoah macchiò anche la Vallassina. Il Libro della memoria di Liliana Picciotto Fargion<br />
(Mursia, Milano 2002) elenca numerosi ebrei arrestati a Sormano e Magreglio e assassinati nei lager<br />
tedeschi. Persone ospiti di questi paesi, che non sono state salvate. Le ricordiamo per <strong>un</strong> debito di<br />
onore e di solidarietà.<br />
Arrestati a Sormano: Oliviero Ruggero Barda (arrestato nel 1943, Auschwitz, morto il 25.9.1944);<br />
Salomone Barda e Renata Hann<strong>un</strong>a (arrestati nel 1943, Auschwitz, morti il 10.4.1944); Simeone Barda<br />
(arrestato nel 1943, Auschwitz, data di morte ignota); Alessandro Bardavid e Violetta Pontremoli (coniugi,<br />
arrestati il 13.3.1944, Auschwitz, data di morte ignota); Elia Bardavid (arrestato con i genitori il 13.3.1944,<br />
Auschwitz, morto dopo il 22.1.1945).<br />
Arrestati a Magreglio: Frieda J<strong>un</strong>ger (arrestata il 13.9.1944, Ravensbrück, data di morte ignota); Finder<br />
Breindel (arrestato il 13.9.1944, Auschwitz, data di morte ignota).<br />
Di altri ebrei arrestati a Magreglio nella stessa data (13. 9.1944) non si hanno notizie.<br />
Della famiglia Bardavid (padre, madre e figlio uccisi) si salvò la figlioletta Graziella, che era stata affidata<br />
ai coniugi Maria Bonaiti e Giuseppe Mazza di Asso. Nel 1998 lo Yad Vashem onorò Maria e Giuseppe<br />
con il riconoscimento di Giusti tra le nazioni.<br />
I fatti di Vassena, Civenna e Magreglio – Il 13 settembre 1944 a Vassena (com<strong>un</strong>e di Oliveto Lario) ci fu <strong>un</strong><br />
atto di guerra partigiana: l’uccisione del ten. Hermann Weber, che provocò minacce di ritorsioni sui<br />
paesi del circondario. Invece l’esito imprevisto di quell’episodio fu la deportazione nei lager degli ebrei<br />
rifugiati a Magreglio e Civenna.<br />
Era stato arrestato <strong>un</strong>o dei capi partigiani dei dintorni di Bellagio, Cesare Gilar<strong>don</strong>i, e trasferito a Lecco<br />
nella sede della GNR. I suoi compagni pensarono di catturare <strong>un</strong> ostaggio per proporre <strong>un</strong>o scambio.<br />
Perciò disposero <strong>un</strong> posto di blocco a Vassena (sulla strada Bellagio – Lecco) e intimarono l’alt al<br />
passaggio di <strong>un</strong>’auto tedesca, che non si fermò. Allora i partigiani fecero fuoco, ferendo gravemente il<br />
ten. Weber. Testimonianze locali riferiscono che l’ufficiale, in p<strong>un</strong>to di morte, chiese ai suoi di non<br />
effettuare rappresaglie (cfr.: Taccuino degli anni difficili. Alta Brianza e Vallassina 1943-1945, cit., p. 91).<br />
Com<strong>un</strong>que affluirono forze tedesche e fasciste, che rastrellarono i paesi costieri e quelli di montagna<br />
(Oliveto Lario con le frazioni di Vassena e Limonta; Civenna con le frazioni di Magreglio e Barni),<br />
intimando la consegna dei responsabili, pena gravi rappresaglie. Scadenza il 15 settembre. Furono presi<br />
in ostaggio gli anziani delle famiglie con figli renitenti o sbandati. Le camicie nere appartenevano alla XI<br />
brigata “Cesare Rodini” ed erano comandate dal cap. Antonio Ciceri, responsabile dell’Ufficio Politico<br />
Investigativo della stessa.<br />
Per salvare la popolazione civile furono messe in atto varie iniziative. I parroci e il commissario prefettizio<br />
5
di Oliveto Lario si recarono alla casa del Fascio a Como, dove barattarono la salvezza della com<strong>un</strong>ità<br />
con la consegna delle armi da parte dei partigiani locali. Qualcosa di simile dovette accadere a Civenna,<br />
dove spadroneggiava <strong>un</strong>a squadra antipartigiana agli ordini del ten. Giovanni Tucci (nome di copertura,<br />
in realtà si chiamava Emilio Poggi: <strong>un</strong> ex-agente dell’OVRA), che alternava la violenza alla concessione<br />
di autorizzazioni, lasciapassare. Tale politica “moderata” era approvata dal capo della provincia Renato<br />
Celio e dal questore Lorenzo Pozzoli, mentre il federale Paolo Porta, comandante della XI Brigata<br />
Nera, propugnava <strong>un</strong>a linea di intransigenza.<br />
Un’altra iniziativa, questa più eccentrica ma certamente coordinata alle precedenti, fu messa in atto<br />
dallo scrittore tedesco Albert Rausch, residente a Magreglio.<br />
Rausch era stato <strong>un</strong> autore di successo, ora caduto in disgrazia e perciò confinato a Magreglio in <strong>un</strong>a<br />
specie di esilio controllato. Tuttavia conservava aderenze con elementi potenti della gerarchia nazista,<br />
tra cui il gen. SS Paul Zimmerman, che era stato suo amico (con lui aveva condiviso <strong>un</strong>a passione per<br />
i concerti). Zimmerman era <strong>un</strong> personaggio pericolosissimo: responsabile nel Nord Italia della repressione<br />
antioperaia. Risiedeva a Blevio (secondo certe testimonianze, a Torno). I parroci di Civenna e di Magreglio<br />
(<strong>don</strong> Pietro Caprotti e <strong>don</strong> Ermelindo Viganò) convinsero Rausch a recarsi nella sua residenza e ve lo<br />
accompagnarono.<br />
Il risultato fu che Zimmerman accettò di derubricare l’uccisione ad atto di criminalità com<strong>un</strong>e e di non<br />
effettuare rappresaglie. Le ragioni di questa moderazione sono forse da identificare in <strong>un</strong> desiderio di<br />
migliorare la propria immagine (in previsione del finale di partita, ovviamente) e di tranquillizzare il<br />
territorio di Bellagio, che era sede di importanti istituzioni.<br />
C’è però <strong>un</strong> documento del com<strong>un</strong>e di Civenna che testimonia come in realtà <strong>un</strong>a rappresaglia sia stata<br />
fatta: sulla parte più innocente e inerme della popolazione, quella degli ebrei (quasi tutti di origine<br />
straniera), che furono arrestati e inviati nei lager. La data è il 13 settembre 1944 (2 giorni prima della<br />
scadenza dell’ultimatum).<br />
Ebrei presenti al 13 settembre 1944:<br />
Arturo Spielberger, nato a Vienna il 26/7/1887, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.<br />
Anna Schrank Spielberg, nata a Vienna il 27/2/1888, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Milano 24.<br />
Berta Reisman in Stossel, nata a Budapest il 25/10/1874, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Milano<br />
24.<br />
Jacob J<strong>un</strong>ger, nato a Dragonina il 5/3/1865, residente in Civenna, frazione di Magreglio.<br />
Frieda J<strong>un</strong>ger, nata a Vienna il 7/7/1903, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.<br />
Betti Loringen in J<strong>un</strong>ger, nata a Galanta il 16/5/1885, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Bologna 7.<br />
Finder Herz Breindel, nato a Stopniza il 9/2/1890, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.<br />
Horn Herz Jetti, nato a Vienna il 7/10/1897, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Bologna 7.<br />
Armin Abramo Schwarz, nato a Nyitra il 23/3/1869, abitante in Civenna, frazione di Magreglio.<br />
Sarolta Gluk Schwartz, nata a Nyitra il 8/2/1874, abitante in Civenna, frazione di Magreglio, via Milano 24.<br />
Valeria Hoherberger Wassing, nata a Vienna il 10/8/1893, abitante in Civenna.<br />
Felice Wassing, nato a Vienna il 18/10/1880, abitante in Civenna, via Cermenati 9.<br />
Gli ebrei Ada della Torre in Toller, Francesca Toller, Antonio Toller, Kuzmann Rosher, Geltrude Herpe, Raffaele<br />
Herpe, Erna Lobl Seeman, Beata Seeman, Hamelae Seeman, Silvana Seeman, Attilio della Torre, Berardo Fontanella,<br />
6
Rosa Mendelsom Jakubonschi, non sono più presenti in questo Com<strong>un</strong>e.<br />
(Dall’Archivio del Com<strong>un</strong>e di Civenna. Pubblicato da P. Ceruti in Un’altra vita. Albert H. Rausch – Henry<br />
Benrath, Grafica A.Zeta, Erba 2001, pp. 123-124.)<br />
Come si è visto, due di queste persone, Frieda J<strong>un</strong>ger e Finder Breindel, figurano nel libro di Liliana<br />
Picciotto Fargion tra i deportati e uccisi nei campi di sterminio (rispettivamente a Ravensbrück e ad<br />
Auschwitz). Si può ritenere con ragionevole certezza che anche gli altri siano stati arrestati; della loro<br />
sorte nei lager non si hanno notizie.<br />
E’ interessante osservare come quasi tutti gli ebrei arrestati fossero residenti a Magreglio. “Noi i nostri<br />
ebrei li abbiamo salvati tutti” dicono a Civenna. La differenza stava nel fatto che Civenna era <strong>un</strong> paese<br />
di contrabbandieri e di militari sbandati: gente esperta di montagna, disponibile ad accompagnare i<br />
fuggiaschi per umanità o per lucro. Magreglio invece era <strong>un</strong> paese più chic, di residenze borghesi, carente<br />
di quel particolare tessuto sociale.<br />
I due ebrei di Civenna centro, compresi nell’elenco degli arrestati (Valeria Hoherberger Wassing e<br />
Felice Wassing), in precedenza erano stati accompagnati alla frontiera da passatori, ma respinti dalle<br />
guardie svizzere (cfr. la testimonianza di Zita Merzario in Taccuino degli anni difficili, cit., p. 105).<br />
Rimane la sensazione che <strong>un</strong>a permanenza rischiosa sia stata protratta troppo a l<strong>un</strong>go. Il com<strong>un</strong>e era in<br />
possesso dell’elenco degli ebrei presenti e dei salvati (di quelli che erano fuggiti per tempo). Evidentemente<br />
gli ebrei di Civenna – Magreglio avevano raggi<strong>un</strong>to <strong>un</strong> modus vivendi con l’amministrazione, sicuramente<br />
approvato dalla banda del ten. Tucci, che spadroneggiava in paese come <strong>un</strong> signorotto, <strong>un</strong>a specie di<br />
Kurtz (Cuore di tenebra, Conrad); che non disdegnava di prelevare tangenti dai contrabbandieri (cfr. la<br />
testimonianza di Angelo Colombo, in Taccuino degli anni difficili, cit., p. 93).<br />
Probabilmente mancavano a Civenna – Magreglio i necessari collegamenti con la rete di assistenza del<br />
CLNAI, dal momento che le stesse bande partigiane erano alquanto precarie, instabili, più che altro<br />
costituite da renitenti nascosti, militari sbandati.<br />
Soprattutto mancavano il coraggio e il lavoro di <strong>un</strong> personaggio profetico come il parroco di Sormano.<br />
La lezione di <strong>don</strong> Banfi – Anche nei mesi della più crudele repressione, dopo la sua partenza, rimase viva<br />
a Sormano la lezione di <strong>don</strong> Banfi. Si è già detto che continuò, pur con maggiori difficoltà, l’attività<br />
degli amici: Ada Tommasi e Mario De Micheli, Piero Bussadori, Alessandro Beretta, il magg. Clemente<br />
Gatta (fin che poté)…<br />
L’azione di <strong>don</strong> Banfi era stata tutt’altro che improvvisata. Aveva <strong>un</strong> radicamento e <strong>un</strong>a proiezione<br />
educativa nell’esperienza del movimento cattolico di allora, soprattutto dell’Azione Cattolica milanese.<br />
Abbiamo visto il suo ruolo nella formazione di Carlo Bianchi a Milano. Bisognerà aggi<strong>un</strong>gere la<br />
frequentazione dell’industriale Angelo Testori, presidente diocesano dell’Unione Uomini di Azione<br />
Cattolica, che risiedeva a Novate Milanese, ma era originario di Sormano. Del resto era stato proprio<br />
Giovanni Testori, lo scrittore suo cugino, ad accompagnare i De Micheli a Sormano. In quell’ambiente<br />
formativo avevano avuto <strong>un</strong> forte impatto le prese di posizione antirazziste di Pio XI (“L’antisemitismo<br />
è inammissibile. Noi siamo spiritualmente dei semiti”, allocuzione del 6 settembre 1938 a <strong>un</strong> gruppo di<br />
giovani belgi della Je<strong>un</strong>esse Catholique Ouvrière) e del card. Schuster (“Un’eresia antiromana”, omelia<br />
del 13 novembre 1938, dove il razzismo è definito “pericolo internazionale non minore del bolscevismo”).<br />
7
La svolta di Schuster era tanto più importante se si considera che veniva dopo <strong>un</strong>’iniziale simpatia per<br />
il regime.<br />
L’orientamento del parroco influenzò largamente i parrocchiani, che per la maggior parte solidarizzarono<br />
con i perseguitati, come conferma la testimonianza di Lina Paracchi (Sormano). Favorì anche l’intesa<br />
con i due ospiti Ada Tommasi e Mario De Micheli, che furono i principali continuatori della sua opera.<br />
Continuarono a risiedere nel seminterrato della casa parrocchiale e a ospitare perseguitati, nonostante<br />
le sgradevoli contestazioni da parte della curia milanese, finché furono arrestati nell’estate ’44. I loro<br />
nomi sono ricordati nello Yad Vashem di Israele.<br />
Del resto lo stesso <strong>don</strong> Banfi ebbe qualche difficoltà a giustificare presso la burocrazia curiale l’abban<strong>don</strong>o<br />
della parrocchia (che in realtà non restò senza preti, essendo stato nominato <strong>un</strong> sostituto, padre Gaetano<br />
Cappellini).<br />
Nel dopoguerra continuò con modestia la sua attività nelle parrocchie di Mesenzana (Varese) e di<br />
Gorla (Milano), senza rivendicare meriti, convinto di avere semplicemente adempiuto ai suoi doveri.<br />
Ebbe la riconoscenza della Com<strong>un</strong>ità Ebraica di Milano e l’amicizia di persone che aveva salvato o che<br />
l’avevano conosciuto nei momenti di difficoltà.<br />
A noi quell’esperienza di Sormano rimane come <strong>un</strong> frammento della parte migliore della Resistenza,<br />
quella che ha praticato nel concreto, cioè nel vissuto, i Principi Fondamentali della Costituzione,<br />
anticipandola.<br />
Rimane, accanto al dolore per le vittime di <strong>un</strong>’aberrazione storica, la lezione morale di <strong>don</strong> Carlo Banfi:<br />
interpretò <strong>un</strong>’idea di parroco-fratello di credenti e non credenti, che vede in chi soffre l’icona del santo<br />
volto.<br />
Piccola bibliografia<br />
G. BACCIAGALUPPI, Rapporto finale sull’attività svolta dal C. L. N. Alta Italia in favore di ex prigionieri di guerra<br />
alleati, in “Il Movimento di Liberazione in Italia”, 1954, 33.<br />
Il contributo dei cattolici alla lotta di liberazione, Spinardi, Torino 1964.<br />
G. BIANCHI, Gian<strong>carlo</strong> Puecher, a vent’anni per la libertà, Mondadori, Milano 1965.<br />
P. SCOPPOLA, Chiesa e Stato nella storia d’Italia, Laterza, Bari 1967.<br />
G. BIANCHI, Antifascismo e Resistenza nel Comasco, Com<strong>un</strong>e di Como – Amministrazione Provinciale, Como 1975.<br />
P. SCOPPOLA e F. TRANIELLO (a c. di), I cattolici tra Fascismo e Democrazia, Il Mulino, Bologna 1975.<br />
Per amore ribelli, a cura di G. Bianchi e B. De Marchi, Vita e Pensiero, Milano 1976.<br />
A. BONFANTI, Un popolo per la libertà. Pagine sconosciute della Resistenza cattolica nel lecchese, Unità di<br />
transizione Lecco 1, Lecco 1977.<br />
V. E. GIUNTELLA, Il nazismo e i lager, Studium, Roma 1980.<br />
R. LAZZERO, Le SS italiane, Rizzoli, Milano 1982.<br />
R. LAZZERO, Le brigate nere, Rizzoli, Milano 1983.<br />
8
M. MARTINELLI, Aspetti e problemi del movimento cattolico comasco dal 1919 al 1945, New Press, Como 1985.<br />
G. BARBARESCHI, Memoria di sacerdoti “ribelli per amore”, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi<br />
Religiosi, Milano 1986.<br />
S. ZUCCOTTI, L’olocausto in Italia, Mondadori, Milano 1987.<br />
G. COPPENO, Como dalla dittatura alla libertà, Istituto Comasco per la Storia del Movimento di Liberazione, Como<br />
1989.<br />
L. KLINKHAMMER, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1993.<br />
M. FRANZINELLI, Stellette, croce e fascio littorio, Franco Angeli, Milano 1995.<br />
A. PIZZONI, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Il Mulino, Bologna 1995.<br />
G. DE ROSA (a c. di), Cattolici, Chiesa e Resistenza, Il Mulino, Bologna 1997.<br />
B. GARIGLIO (a c. di), Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale, Il Mulino, Bologna 1997.<br />
G. PERRETTA - G. SANTONI, L’antifascismo nel Comasco. 1919-1943, Istituto Comasco per la Storia del Movimento<br />
di Liberazione, Como 1997.<br />
C. BIANCHI IACONO, Aspetti dell’opposizione dei cattolici di Milano alla Repubblica sociale italiana, Morcelliana,<br />
Brescia 1998.<br />
R. BROGGINI, La frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera, Mondadori, Milano 1998.<br />
M. COLOMBO, Aristide Pirovano il vescovo dei due mondi, Centro Ambrosiano, Milano 1999.<br />
L. GANAPINI, La repubblica delle camicie nere, Garzanti, Milano 1999.<br />
A. LEPRE, La storia della Repubblica di Mussolini, Mondadori, Milano 1999.<br />
P. ARIENTI, La Resistenza in Brianza. 1943-1945, Tip. Ronchi, Concorezzo 2000.<br />
Un’altra vita. Albert H. Rausch – Henry Benrath, Grafica A.Zeta, Erba 2001.<br />
M. FRANZINELLI, Le stragi nascoste, Mondadori, Milano 2002.<br />
R. MORO, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2002.<br />
L. PICCIOTTO FARGION, Il libro della memoria, Mursia, Milano 2002.<br />
V. RONCACCI, La calma apparente del lago, Macchione, Varese 2003.<br />
R. MARCHESI, Como ultima uscita, NodoLibri, Como 2004.<br />
G. VECCHIO, Lombardia 1940-1945. Vescovi, preti, società alla prova della guerra, Morcelliana, Brescia 2005.<br />
E. COLLOTTI, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, Bari 2006.<br />
P. GHEDDO, Il vescovo partigiano. Aristide Pirovano 1915-1997, EMI, Bologna 2007.<br />
M. A. MATARD – BONUCCI, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2008.<br />
Taccuino degli anni difficili. Alta Brianza e Vallassina 1943-1945, Istituto di Storia Contemporanea P. A. Perretta –<br />
NodoLibri, Como 2009.<br />
9
Lina Paracchi<br />
L’aiuto agli ebrei: <strong>don</strong> Carlo Banfi, Ada Tommasi e<br />
Mario De Micheli.<br />
Intervista del 10 luglio 2010 a cura del prof. Daniele Corbetta<br />
D Quando iniziò questa presenza di ebrei a Sormano?<br />
R Già nel ‘43. Io facevo le p<strong>un</strong>ture alle famiglie Cappelluto; poi Modena, anche… C’era qui il dottore,<br />
mio fratello, e mi diceva: “Tu fai finta di niente, tu fai le p<strong>un</strong>ture”. Facevo da infermiera a mio fratello<br />
Natalino, lui era medico interinale. In queste circostanze avevo occasione di vedere gli ebrei che<br />
arrivavano. Perché fossero venuti non lo sapevo, che fossero ebrei lo sapevo. Ce n’erano tanti, di tutti i<br />
tipi: ce n’erano dai Molteni, ce n’erano soprattutto dai Conti. Questi qui che sono scappati e sono<br />
venuti da me, erano dai Conti.<br />
D Quando sono arrivati a Sormano?<br />
R Non so, ma nel ’42 - ‘43 c’erano già.<br />
D In genere dove erano sistemati?<br />
R Ah, erano ospitati in case private.<br />
D Sappiamo che qui c’erano anche molti ebrei di origine straniera…<br />
R Guardi, questo io non lo so. C’erano famiglie che vendevano anche, come si dice, delle pietre preziose…<br />
ori. Quelli lì erano giù all’albergo dove c’è adesso il Luigi, al “Miravalle”. Un’altra famiglia era là dove<br />
andava a servire la zia Bambina. E questi qui <strong>un</strong>a notte sono spariti: avevano possibilità, erano<br />
commercianti.<br />
D Una volta ha raccontato di avere salvato degli ebrei.<br />
R Sì. Ero giù sul terrazzo, dove allora c’era <strong>un</strong> lavatoio, con la <strong>don</strong>na di servizio che curava i bambini.<br />
Arriva dentro ‘sta madre con <strong>un</strong>a bambina e dice: “Signora, c’è il dottore?” Ma dopo <strong>un</strong> minuto: “Eh,<br />
sa signora… noi siamo ebrei… ci stanno buttando fuori dalla stanza la nostra roba, le nostre cose…”.<br />
Abitavano nella casa del Conti Antonio, la casa era del Conti Giuseppe. “Signora, io sono scappata, ma<br />
adesso mi nasconda… mi metta in qualche posto!” Avevano buttato fuori la loro roba.<br />
D E questo chi lo faceva?<br />
R Le SS. Erano salite a fare <strong>un</strong>a perquisizione e loro due erano scappate. La casa aveva due uscite: <strong>un</strong>a<br />
più grande e <strong>un</strong>a lì dietro, dove c’è il Meroni. Il marito non è venuto qui, è scappato dal Molteni; è<br />
andato là col figlio. Io avevo nel camino <strong>un</strong> calderone, era <strong>un</strong> l<strong>un</strong>edì. Sarà stato il primo o il secondo<br />
l<strong>un</strong>edì del mese. Di questo sono certa, di aprile ’44. Ho tirato giù il calderone dal camino (perché<br />
avevamo <strong>un</strong> grande camino con le ante) e ho messo dentro la mamma con la bambina, le ho nascoste.<br />
Poco dopo sono arrivati due con il moschetto… non lo so se erano italiani o tedeschi, perché ero<br />
talmente confusa… e hanno chiesto alla <strong>don</strong>na che era fuori a lavare: “E’ lei la padrona?” “No.”<br />
Allora sono andata fuori io. “Ah. E’ lei la padrona? Allora faccia saltar fuori gli ebrei.” “Guardi, io non<br />
ho visto ness<strong>un</strong>o.” (Ecco, sono più commossa adesso che allora.) E dice: “Lei ha qui gli ebrei. Li han<br />
10
Perquisizione delle SS alla famiglia ebrea Vita, Asso<br />
[Foto Paredi, Asso]<br />
11
visti entrare e adesso li faccia saltar fuori”. “Io non sono mica obbligata a far declinare le generalità a<br />
tutti, non è possibile. C’è qui il dottore.” “Ah sì? Mi faccia girar la casa.”<br />
D Quindi erano italiani?<br />
R No. Adesso che ci penso erano tedeschi, ma c’era insieme <strong>un</strong> italiano che faceva da guida […].<br />
Quello lì faceva la spia. Qui c’era <strong>un</strong>a famiglia… c’erano qui degli sfollati… poi di sopra <strong>un</strong>’altra<br />
famiglia… li abbiamo accompagnati a visitarli tutti. E non li hanno trovati. Allora hanno minacciato:<br />
“Adesso noi usciamo e lei sta qui. Perché lei deve bruciare con gli ebrei. Noi adesso bruciamo la casa”.<br />
E io che avevo due fratelli nascosti! Avevamo fatto <strong>un</strong>a specie di b<strong>un</strong>ker in <strong>un</strong> prato a monte; però ogni<br />
tanto venivano giù a fare la barba. Erano nascosti in <strong>un</strong> casel, dove si metteva là il formaggio. Adesso<br />
dove saranno, cosa faranno? Ma la casa non l’hanno bruciata.<br />
Ad ogni modo abbiamo bagnato <strong>un</strong>a ventina di lenzuola e le abbiamo messe nei corridoi, distese l<strong>un</strong>go<br />
il loggiato. Poi abbiamo tirato fuori quelle là - che si erano anche <strong>un</strong> po’ scottate - e le abbiamo fatte<br />
salire in cascina. Le lenzuola servivano a non farle vedere. Sono rimaste in cascina finché è venuta sera.<br />
Intanto le abbiamo cambiate, perché per combinazione mi era morta anche <strong>un</strong>a sorella e avevo i vestiti.<br />
Mia sorella aveva lasciato qui due bambini. Difatti quello che accompagnava i tedeschi aveva cercato di<br />
farli parlare: “Dov’è che hai visto il tuo zio?” “Non c’è lo zio, è andato via.”<br />
Alpe Spezzola: luogo di transito di partigiani, ebrei, rifugiati, prigionieri alleati in fuga<br />
[Archivio privato Cesare Gilar<strong>don</strong>i, Civenna]<br />
12
Poi di notte quella <strong>don</strong>na che era qui a servizio - era di Arzignano - li ha portati su al Pizzo, sopra<br />
Lasnigo. Hanno attraversato il Lambro e sono andati dal parroco di Lasnigo, che li ha tenuti tre giorni<br />
sul campanile. Dopo <strong>un</strong> po’ li hanno accompagnati giù a Onno e da Onno hanno fatto la traversata e<br />
sono andati a prendere il treno. Sono stati nascosti tutto il tempo a Milano. Dopo la guerra sono tornati<br />
a salutarmi, io allora mi ero già sposata.<br />
D Come si chiamavano?<br />
R E’ passato tanto tempo, ma credo che fossero i Cappelluto… O i Modena o i Cappelluto. E mi è<br />
stato detto che sono l’<strong>un</strong>ica famiglia che si è salvata di quelli che sono stati cercati qui, nel ‘44. Allora<br />
<strong>don</strong> Carlo era già andato in Svizzera. Mi hanno portato <strong>un</strong> cuscino per ricordo.<br />
D Continuiamo a parlare di Sormano. C’erano molti rifugiati e figure importanti della Resistenza:<br />
anzitutto il parroco Don Carlo Banfi, poi due intellettuali milanesi, Ada Tommasi e Mario De Micheli.<br />
Parliamo di queste parsone.<br />
R Quando son venuti a Sormano, è stato il Testori Giovanni, lo scrittore, che me li ha portati<br />
personalmente. Lui e sua mamma - c’era insieme sora Lina, anche lei Paracchi, che era di Lasnigo -<br />
perché li mettessimo a posto. Sono arrivati qua nel ‘41 - ‘42, credo.<br />
D I De Micheli sono stati arrestati nel luglio ’44.<br />
R Quando erano qui, avevano <strong>un</strong>a scuola a Milano, che non mi ricordo quale fosse.<br />
Ogni tanto facevano lezioni private qui a casa nostra, in questa cucina. Poi però aumentavano sempre<br />
più gli allievi, tutta gente danarosa. E allora mio papà e mia mamma hanno detto: “Ghe domandom a <strong>don</strong><br />
Lina Paracchi nel giorno del suo novantesimo compleanno<br />
[Archivio privato famiglia Invernizzi, Novate Milanese]<br />
13
Banfi, che ha giù quel posto lì”. Mio padre era fabbriciere della parrocchia, sapeva come era costruita la<br />
casa. Infatti <strong>don</strong> Banfi li ha accolti subito, nel suo seminterrato; il seminterrato della canonica. C’è<br />
ancora adesso, lì adesso c’è il sagrestano. Facevano lezione nel salone grande della casa del parroco.<br />
D E il famoso refettorio, dove ospitavano gli ebrei e altri perseguitati, dov’era?<br />
R Sarà stato dietro la loro abitazione, nel seminterrato.<br />
D Sapevate dell’aiuto che davano agli ebrei?<br />
R No, di loro sapevamo che erano com<strong>un</strong>isti. Non hanno mai accennato a questa attività.<br />
D Parliamo di <strong>don</strong> Carlo Banfi.<br />
R Aveva <strong>un</strong> coraggio… perché aveva due sorelle, Erminia e Maria, che facevano da perpetue, ma non<br />
aveva neanche le suole da cambiare! Perché ghe n’era minga… Probabilmente dava tutto agli ebrei e a<br />
quelli che avevano bisogno. Era povero. C’erano qui anche suo papà e suo fratello, che faceva il calzolaio.<br />
Il papà è morto qui. Sugli ebrei era molto riservato, quando è rimasto via si è saputo che era andato con<br />
gli ebrei. Per la mia famiglia sono stati mesi cruciali, pieni di disgrazie. Mio fratello, questo qui che è<br />
rimasto, andando a caccia aveva preso <strong>un</strong>a schioppettata (volevano prendere <strong>un</strong>a lepre). Poi si è ammalata<br />
mia sorella, aveva 28 anni, ed è morta; ha lasciato lì due bambini piccoli. Poi mi è morta mia mamma.<br />
E i fratelli nascosti. Insomma è stato <strong>un</strong> macello, peggio di così…<br />
D Quando <strong>don</strong> Banfi è andato in Svizzera con gli ebrei, cos’è successo in paese? Successivamente altri<br />
ebrei sono stati arrestati e portati nei lager.<br />
R Sì. Poi hanno detto che solo quelli lì che ha portato via <strong>don</strong> Banfi si sono salvati. Gli <strong>un</strong>ici! Gli altri<br />
sono stati uccisi. Invece quello lì, quel …taleone [si intenda: Portaleone, n. d. r.] - doveva essere il giorno di<br />
Natale o di Pasqua quando sua moglie ha avuto <strong>un</strong>’emorragia, forse aveva perso <strong>un</strong> bambino - ha<br />
chiamato di notte mio fratello, che abitava qui. E lui è andato subito di notte e l’ha salvata per miracolo,<br />
se no moriva dissanguata, ‘sta povera <strong>don</strong>na, era la moglie di <strong>un</strong> ebreo. Quando l’ho rivisto dopo la<br />
guerra, era il preside di <strong>un</strong>a scuola. La scuola Leonardo da Vinci a Milano. Giù vicino alla stazione.<br />
Loro erano ebrei che erano qui sfollati, ce n’erano parecchi qui sfollati nella villa rossa. Si chiamavano…<br />
Pantaleone… no, Portaleone! Quello lì io l’ho trovato come preside nella scuola Leonardo da Vinci,<br />
dove ha studiato mio figlio. Vicino alla Nord. E mi ha contato su: “Pensi, sono stato ad Auschwitz - o<br />
a Dachau, non mi ricordo più bene - [nota della testimone]! Ho preso tante botte e ci avevo <strong>un</strong> rene<br />
solo…” Però è tornato, io li ho rivisti negli anni ‘60.<br />
D Invece le famiglie che sono state arrestate e poi uccise nei lager si chiamavano Bardavid, Barda,<br />
Hann<strong>un</strong>a, Pontremoli…<br />
R Anche a Lasnigo ce n’erano...<br />
D Quando <strong>don</strong> Banfi è andato in Svizzera, i De Micheli hanno continuato la sua opera. Questo fino<br />
all’estate ’44, quando li ha presi il famigerato Pankoff. Ma alla fine li ha lasciati andare. Cosa possiamo<br />
ricordare? Non sono più tornati a Sormano?<br />
R No no. Non si sono più visti. Saranno tornati a Milano, saranno andati via tramite i Testori… Si vede<br />
che il Gianni… bisogna dire che lui era proprio <strong>un</strong> com<strong>un</strong>ista…<br />
D Giovanni Testori era andato a scuola dai coniugi De Micheli?<br />
R Senz’altro. Allora Mario arrivava dentro da quel portone… e mia mamma stava facendo il minestrone…<br />
La sera arrivavano da Milano, quando uscivano andavano a Milano. Perché in giro non è che Mario<br />
14
camminava molto. Lui usciva il tempo di andare a prendere la corriera; perché non camminava tanto,<br />
era bello zoppo, eh! Senza l’Ada non usciva mai. Ci siamo sentiti ancora dopo la guerra con lui e con<br />
l’Ada. Allora arrivava dentro e diceva: “Senti, Ada, che bel profumo che viene dalla cucina della signora<br />
Martina.” E le la faseva: “O sciur Mario, l’è rivaa?” “Sì, cosa sta facendo?” “Un bel minestrone.” “Ah, che<br />
bel profumo si sente!” “Sciur Mario, se stasera el vegn giò a resp<strong>un</strong>d al rusari gh’en do <strong>un</strong>a bela marmitina per tutt<br />
e du e anca per la tusa.” Perchè c’era anche la bambina.<br />
“Hai sentito Ada? Dobbiamo venire a mangiare e a rispondere al rosario. Ebbene, hai fame? Sì.<br />
Cominciamo a prendere la minestra. Poi veniamo giù a rispondere al rosario.” E venivano a rispondere<br />
al rosario! Quante volte hanno fatto così! Eravamo tutta <strong>un</strong>a famiglia, sa. Poi suonavano l’ocarina…<br />
quando il mandolino… quando la mandola e cantavano. Cantavano: “Corpo de… sangue de… in duvé te<br />
sett Marianna, sangue de biss…” Lui faceva sempre il marito, la moglie cantava in falsetto. C’era <strong>un</strong> rapporto<br />
di amicizia, ma tanto. Tra l’altro non avevano mai i soldi per pagare l’affitto. Spendevano tutto in libri.<br />
Poi quando prendevano il ‘27 arrivavano con <strong>un</strong> gabaret cosi. E mia mamma: “Oh, ma si propi por bagai!”.<br />
Ora che pagaven i debiti e portà su cose inutili, ghe n’even pu.<br />
D E <strong>don</strong> Banfi frequentava le case della gente? Era di compagnia?<br />
R No. Non era <strong>un</strong> compagnone come il De Micheli, era <strong>un</strong> uomo riservato. In famiglia da noi veniva<br />
spesso, perché c’era qui il fabricer che doveva firmare. L’era semper chi. Era <strong>un</strong>a persona simpaticissima.<br />
Ma brava!<br />
Il vecchio Miravalle negli anni ‘40.<br />
[Cartolina d’epoca dalla collezione Rosa Bussadori, Sormano]<br />
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Don Carlo Banfi<br />
Passaggio in Svizzera<br />
Archivio Storico Diocesano, Milano, Fondo Resistenza.<br />
ll Sac. Don Carlo Banfi fu Antonio,<br />
nato a Saronno il 10.09.1903, ordinato l’ 11 giugno 1927 al tempo dei fatti, luglio ‘ 43 luglio ’45 Parroco<br />
a Sormano, si è trovato compromesso nella Resistenza senza averci mai pensato. Tornato dalla Svizzera<br />
il 25.07.1945 riprese la sua vita di Parroco, senza pensar più altro. Solo dopo aver ricevuto la lettera del<br />
Cancelliere della Curia si decise a scrivere le note che seguono.<br />
Tutto cominciò nel luglio ’43. Stando io in Sormano vennero da me i fratelli Hassan Scialom e Leone,<br />
e il sig. Hann<strong>un</strong>a. Ebrei, di Tripoli, cittadini italiani. Hassan residenti a Milano Hann<strong>un</strong>a rientrato dalla<br />
Francia dopo essere sfuggito alla Gestapo per intervento del Console italiano, perché cittadini italiani.<br />
Erano sfollati a Asso, ma non si sentivano sicuri. Cercavano <strong>un</strong> alloggio in Sormano dove vivere ignorati<br />
e quieti. Trovato l’alloggio, si sistemarono e … respirarono.<br />
Venne il 25 luglio. Caduta di Mussolini . Breve euforia. Presto vennero i tedeschi. Dissi a tutti: Per ora<br />
non c’è pericolo, quando si presentirà vi avvertirò. Arrivò l’otto settembre. Proclama di Badoglio,<br />
disorganizzazione dell’esercito, militari che tornano a casa, se possono, e chi abita in zona occupata<br />
cerca <strong>un</strong> rifugio dove può. Di questi parecchi arrivano a Sormano. Diversi Colonnelli qui sfollati si<br />
interessano di questi e trovano per loro <strong>un</strong> rifugio al Pian del Tivano, ma occorre in Sormano <strong>un</strong> posto<br />
di tappa e raccolta prima di mandarli lassù colle guide. Nel salone dell’Oratorio si preparano tavoli e<br />
coperte (data dai sigg. Testori e Beretta). La cucina già disposta per la refezione scolastica darà i pasti..<br />
E arrivano i prigionieri di guerra. Li porta <strong>un</strong> giorno Don Davide Perniceni, Ex Salesiano, missionario<br />
in India, è Cappellano di <strong>un</strong> campo Prigionieri nella zona di Lodi. Dopo l’8 settembre fugge la guardia,<br />
e fuggono i prigionieri, ma arrivano i Tedeschi e li catturano per mandarli in Germania. Si avviano alla<br />
Svizzera via Como e Varese, ma in poco tempo i tedeschi bloccano i passi. Don Davide tenta la via di<br />
Sormano. Perché? Deve aver sentito che di lì è possibile andare in Svizzera. Difatti, soldati o sbandati<br />
o renitenti alla leva han trovato il passo: Pian-Tivano , discesa a Nesso, traversata a Torrigia, albergo del<br />
Tabacco e confine.<br />
Una e due volte venne D. Perniceni con prigionieri, ed <strong>un</strong>a terza ne mandò <strong>un</strong> gruppo con <strong>un</strong>a guida.<br />
Intanto siamo arrivati a Novembre. Le guide ci dicono che la strada è dura, più dura la notte per il<br />
freddo; se la cosa deve continuare, occorre provvedere. Per conoscere de visu la situazione faccio <strong>un</strong>a<br />
volta il percorso. Con difficoltà ma senza pericolo, entriamo in Svizzera da Bruzzella. Con ingenua<br />
semplicità diciamo il motivo della nostra venuta, ma la guardia di frontiera scuote il capo: ma Reverendo.<br />
Siamo in guerra, la frontiera è chiusa, lei ha commesso <strong>un</strong> reato violandola. Io dovrei consegnarla alla<br />
Polizia. Benevolmente suppongo di averlo fermato alla frontiera e lo rimando immediatamente. Prima<br />
di partire dissi: Io ho della gente in pericolo: ebrei, prigionieri, soldati che presto o tardi dovrò condurre<br />
quì. La Confederazione riceve chi è in pericolo, ma chi decide è il Comando di Polizia.<br />
16
Non passarono molti giorni ed il pericolo si presentò: si volevano far paracadutare armi sul Pian Tivano.<br />
Il presidio tedesco di Erba sarebbe subito intervenuto. Dissi agli ebrei che era necessario partire. Qui la<br />
sorpresa: tre ne conoscevo, ma alla partenza diventarono 16. Sp<strong>un</strong>tarono bambine di 5 e 6 e 7 anni,<br />
uomini attempati, vecchie signore che non riuscivano bene a camminare. Non c’era tempo per discutere,<br />
e fare complicati preparativi, eppure tutto andò bene. Si offrirono di accompagnarci e fu provvidenza,<br />
Crivelli, Bussadori e Haardt. Durante la faticosa salita trovammo aiuto nei boscaioli della zona, e le<br />
Guardie di Finanza ci indicarono il p<strong>un</strong>to in cui si poteva alzare la rete di confine e passare. Il difficile<br />
vene dopo: passata la rete,le <strong>don</strong>ne ed i vecchi non vollero più avanzare. Non ne potevano più. La china<br />
era ripida, il fondo sdrucciolevole, il luogo deserto. Cercai di convincere almeno i validi ad andare<br />
avanti ma non vollero. Non era tempo né luogo da tergiversare. Troncai gli indugi e mi misi in cammino.<br />
Veduta di Sormano fine anni ‘40<br />
[Cartolina d’epoca dalla collezione Rosa Bussadori, Sormano]<br />
17
Chi può mi segua. Scesi <strong>un</strong> poco, trovammo <strong>un</strong> sentiero e poco dopo le guardie svizzere. Senza <strong>un</strong>a<br />
parola ci guidarono al posto di dogana. Il comandante del posto mi riconobbe e disse: Questa volta<br />
devo proprio consegnarlo alla Polizia. Niente in contrario, però lassù al 47 (numero sulla rete di confine)<br />
ci sono <strong>don</strong>ne e bambini che atten<strong>don</strong>o aiuto. “Bene. Sarà provveduto.”<br />
Rifocillati, ci condussero al posto di raccolta in Bruzzella. Intanto arrivarono tutti gli altri. Si dormì<br />
sulla paglia, ed al mattino ci condussero a Mendrisio e nel pomeriggio a Chiasso, dove trovammo altri,<br />
ebrei e no, entrati nella notte. Da Chiasso ci portarono a Bellinzona al Comando di Polizia. Fatto<br />
l’interrogatorio, gli ebrei ebbero Asilo, Crivelli che mi aveva voluto accompagnare ebbe <strong>un</strong> mese di<br />
arresto, ed io 5 giorni di arresto. Spiegatomi colla Polizia il giorno dopo fui libero e, per intervento del<br />
Vescovo Mons. Jelmini, condotto a Lugano e consegnato al Seminario, ospite di Monsignor Vescovo.<br />
Ero salvo in Svizzera ma senza mezzi e senza il minimo corredo. Rendo quindi omaggio alla carità di<br />
Mons. Jelmini che mi ospitò nel suo seminario per più di tre mesi. Mi permise anche qualche opera di<br />
ministero, finchè per la Pasqua del 1944 fui assegnato come cappellano ad <strong>un</strong> campo di internati, prima<br />
come provvisorio, poi come effettivo con largo stipendio. La mia sede era Klendietwil nel settore di<br />
Langental in Cantone di Berna. Mio superiore immediato era il Rev. Br<strong>un</strong>o Heim oggi Vescovo<br />
Intern<strong>un</strong>zio in America Latina. Egli risiedeva in Rohrbach. Cappellano del settore era Don Giuseppe<br />
Carozzi di Como. Avevo in consegna sei campi di internati italiani che dovevo periodicamente visitare.<br />
Fu così fino all’aut<strong>un</strong>no del ‘ 44 quando, dopo l’effimera Repubblica di Domodossola, si rifugiarono in<br />
Svizzera i partigiani della Val D’Ossola e della Val Toce. Dopo diversi spostamenti in Tracselvald e in<br />
Lutzelflue, ritornai in Klendietwil coi partigiani. Con loro rimasi sino alla fine. Al momento di rimpatriare<br />
fui fermato ala frontiera e rimandato al campo, perché il mio nome non c’era sull’elenco del Comando<br />
militare. Difatti io civile ero addetto al servizio dei campi ma ero civile. Dovetti restare internato fino al<br />
25 luglio 1945 quando, finito l’internamento, tutti i servizi vennero rimpatriati: Comandi, Magazzini,<br />
Furerie ecc.<br />
Dirò <strong>un</strong>a parola anche dei miei rapporti ecclesiastici nel tempo dell’internamento. Ho detto che il<br />
giorno dopo il mio arrivo a Bellinzona, liberato dalla Polizia sono stato dato in consegna a Mons.<br />
Jelmini Vescovo di Lugano. Lui fece sapere al Cardinal Schuster che io ero a Lugano. Il Cardinale di<br />
risposta disse al Vescovo di non lasciarmi partire, se volessi rientrare, perché a Sormano c’era <strong>un</strong>a<br />
reazione fortissima delle autorità per quanto faceva la Resistenza del luogo, ma tutti erano anonimi; io<br />
solo ero conosciuto per nome, e tornando avrei pagato per tutti.<br />
Dopo il 25 aprile la prospettiva era di tornare quanto prima. Ma dove? A Sormano c’era <strong>un</strong> altro<br />
Parroco; io non avevo più casa. Scrissi al Cardinale di assegnarmi <strong>un</strong>a Parrocchia dove poter andare. Mi<br />
assegnò Mesenzane. Saputo questo Mons. Jelmini mi sollecitava a partire, ma a Soletta Mons. Streng,<br />
dopo <strong>un</strong> ritiro ci fece promettere che ness<strong>un</strong> Cappellano sarebbe partito clandestino, per non lasciare<br />
i campi senza assistenza.<br />
Dopo il 25 aprile arrivarono alla frontiera gli Alleati ed ogn<strong>un</strong>o che rientrasse era sottoposto al loro<br />
controllo. Ci potevano essere criminali di guerra o spie o collaborazionisti. Dalla Svizzera prima di<br />
partire <strong>un</strong>a schedatura della Croce Rossa, al confino foglio alleato di rientro che doveva servire come<br />
foglio di via, tessera viveri, e controllo sussidi avuti.<br />
18
Arrivati a Como la mattinata del 26 luglio, arrivai a Sormano la sera accolto da <strong>un</strong>a ovazione del popolo.<br />
Ebbi aiuti, riconoscimenti, ed attesati vari che metto qui di seguito come documentazione.<br />
Attestato del Comando Volontari della Libertà<br />
Comando Settore di Asso<br />
Attestato del Com<strong>un</strong>e di Santa Valeria<br />
Attestato e premio del Comando Alleato Alta Italia.<br />
Attestato della Com<strong>un</strong>ità Israelitica di Milano<br />
E qui ci dovrebbe essere il brevetto di Partigiano, ma non c’è. Motivo? Con molta premura me lo<br />
offrivano in quei giorni, il Partito Com<strong>un</strong>ista ed il Partito d’Azione ai quali appartenevano quelle che<br />
con me lavorarono nei giorni in cui di partiti neppur si parlava. C’era <strong>un</strong> solo partito: Italia. Allora il<br />
brevetto di partigiano non mi interessava e la lasciai perdere. Più tardi pensando ai possibili vantaggi<br />
che la legge concedeva ai partigiani, ne feci richiesta alla Democrazia Cristiana tramite l’On. Clerici.<br />
Con lui ci eravamo visti a Lugano cogli On. Migliori e Malvestiti. Lui sapeva e poteva testimoniare , ma<br />
ero fuori tempo massimo. Per legge l’era di liberazione era chiusa, e brevetti non si concedevano più.<br />
Ness<strong>un</strong> male, ness<strong>un</strong> dispiacere ma per la verità qui la cosa si doveva dire.<br />
La conclusione. Se questo album di ricordi fosse stato preparato nei giorni immediatamente seguenti ai<br />
fatti, sarebbe completato con attestazioni e firme di testimoni. Ma alla data di oggi 23 novembre 1978,<br />
a 33 anni di distanza dai fatti molte persone sono morte, ed altre disperse per il mondo. D’altra parte la<br />
mia vicenda è stata breve, e non ci sono fatti che si possano mettere in discussione, essendo avvenuti<br />
alla luce del sole , ed hanno la testimonianza: prima della Svizzera, di tutto Sormano. Dopo l’ingresso<br />
in Svizzera, delle Autorità Competenti: Polizia Svizzera degli Stranieri, egli Ecc. Vescovi di Lugano e di<br />
Basilea. Quanto a me ho la coscienza di aver fatto solo il mio dovere. Chi<strong>un</strong>que avrebbe fatto altrettanto.<br />
Fatto e firmato in Varese – Casa S. Giuseppe – il 28 Nov. 1978<br />
In fede di tutto<br />
Sac. Don Carlo Banfi<br />
19
Lucio Pardo<br />
Il segreto di <strong>don</strong> Carlo Banfi<br />
Lucio Pardo era bambino, rifugiato in Svizzera con la famiglia, quando conobbe Don Banfi. Questa è la testimonianza<br />
di quegli eventi.<br />
Anni fa Anna Amendola giornalista RAI presentò in TV (e poi in <strong>un</strong> libro) testimonianze dell’ultimo<br />
conflitto mondiale intitolate “La Mia Guerra”.<br />
C’era anche mia madre Iris Volli, così:<br />
“Il 25 novembre del 1943 riparammo fort<strong>un</strong>osamente in Svizzera. Non fu affatto semplice... tutti i passaggi, tutte le<br />
frontiere erano chiuse e sorvegliate dai tedeschi...<br />
Due mesi prima per i continui bombardamenti su Bologna eravamo sfollati a Budrio (circa 20 km. dalla città) in affitto<br />
in <strong>un</strong> piccolo appartamento. Mio marito però veniva a Bologna regolarmente per dare lezioni private di matematica ad<br />
alc<strong>un</strong>i studenti.<br />
Una mattina perse il treno, arrivò a Bologna in ritardo. Tornò a Bologna due giorni dopo. Stava per aprire il cancello del<br />
nostro appartamento al primo piano, già studio notarile, sotto la scuola elementare ebraica ove insegnavo. Ma sentì <strong>un</strong>a<br />
voce da sopra le scale: ‘Professore, non entri venga, venga qua...’ Era l’inquilino del quarto piano del nostro stesso stabile.<br />
Aggi<strong>un</strong>se: ‘Per carità, non entri in casa sua, venga <strong>un</strong> momentino da me...’ Andarono nel suo appartamento attraverso<br />
quanto restava dell’antica torre degli Orsi. Gli raccontò che due giorni prima <strong>un</strong> poliziotto nazista, con <strong>un</strong> carabiniere,<br />
era venuto a cer<strong>carlo</strong>, interrogando inquilini e passanti, sostando l<strong>un</strong>gamente in attesa (era stato proprio quando mio<br />
marito aveva perso il treno…) Alfredo Giommi, retta e coraggiosa persona, da allora non aveva più avuto pace. Sapeva<br />
che mio marito quasi regolarmente veniva in città, ed era stato tre giorni lì, sulle scale, davanti alla sua porta ad attenderlo<br />
per avvertirlo del pericolo. Era sicuro che sarebbero senz’altro tornati. E lo fecero. Il sig. Giommi accettò le chiavi di casa<br />
nostra, gli mostrò dove le avrebbe nascoste, lo salutò, rifiutò <strong>un</strong> rimborso spese, dicendo: ‘Ora servono più a te che a me.<br />
Quando tornerai festeggeremo insieme’, come hanno fatto per tutta la vita.<br />
Per strada incontrò ancora chi lo scongiurò di andarsene e tornò subito a Budrio.<br />
Preoccupato, ma non sconvolto; non vide nostro figlio. ‘Dov’è Lucio?’ - chiese - e subito corse fuori. Vide che giocava con<br />
gli altri bambini. Tornò dentro, mi informò e disse: ‘Andiamo via subito, non possiamo più rimanere qui...’ “Andiamo.<br />
Ma dove andiamo? Qui non conosciamo ness<strong>un</strong>o...’ ‘Via - insisteva - presto!’ ‘Sì, ma domani dovremo venire a prendere<br />
qualcosa da mangiare, da vestire...’<br />
Dicemmo alla signora Bonoli: ‘Siamo ebrei, dobbiamo partire, ci vogliono uccidere tutti…’ ‘Ma… anche i bambini?’,<br />
poi non riuscì più a parlare, piangeva... Allora il marito chiese: ‘Ma cosa avete fatto?’ ‘Niente, siamo ebrei… ha capito<br />
che siamo ebrei?’ Lo guarda e dice: ‘E allora? Non siete Cristiani come noi?’ E la moglie aggi<strong>un</strong>ge: ‘Ma cosa volete fare?<br />
Dove volete andare? Lasciateci almeno i bambini...’<br />
Chiedemmo <strong>un</strong> carro... qualcosa per trasportare noi e <strong>un</strong> po’ di cose che avevamo cominciato frettolosamente ad imballare.<br />
Faceva notte ed eravamo sfiniti quando ci avvisarono: ‘Abbiamo trovato <strong>un</strong> carro con due buoi. Se volete, a mezzanotte<br />
sarà qui...’ Eravamo stanchissimi, i bambini dormivano. Aggi<strong>un</strong>sero: ‘…oppure domattina...’<br />
Io quella notte feci venti casse di roba, mio marito raccolse i suoi manoscritti (anni di ricerche e di faticoso lavoro poi<br />
riconosciuti dalla Treccani).<br />
20
Alle cinque del mattino svegliai i bambini. Presi pure i materassi sui quali dormivano. Partimmo che era ancora buio. A<br />
Bologna dovevamo prendere <strong>un</strong> treno per Milano.<br />
Ma la stazione non esisteva più: distrutta dalle bombe.<br />
Andammo più a Nord, a Borgo Panigale. Il capo stazione, viste le casse, esclamò: ‘Signora, ma non sono neanche chiuse,<br />
come faccio a caricargliele?’ Firmai che mi assumevo io la responsabilità del viaggio.<br />
Soltanto alla stazione di Milano: sventurati fra tanti sventurati, profughi fra tanti profughi, fra gente che dormiva per<br />
terra, soldati sbandati, distesi con gli zaini sotto alla testa, con le sirene che fuori ululavano l’allarme aereo, derelitti fra<br />
tanti derelitti, ma finalmente anonimi potemmo tirare <strong>un</strong> sospiro di sollievo. Finalmente eravamo uguali a tutti gli altri...<br />
‘Qui ness<strong>un</strong>o ci conosce, - pensammo - forse in questo momento i nazisti ci cercano ancora a Bologna o forse già a<br />
Budrio...’ Ed intanto, ossessivo, l’altoparlante martellava: ‘Milano! Stazione di Milano! Coprifuoco ! Chi esce dalla<br />
stazione sarà passato per le armi!’ (E sempre a mio figlio in qual<strong>un</strong>que stazione, anche estera, l’altoparlante ricorda<br />
sempre quell’ann<strong>un</strong>cio!)<br />
Partimmo per Solzago la mattina seguente. Scaricando, <strong>un</strong>a grossa cassa si sfasciò ed il contenuto si sparpagliò al suolo...<br />
Ernesto Raffa, mio cognato, Ingegnere Capo del Genio Civile, risiedeva in Como.<br />
Mio marito andava a Milano per dare lezioni e la sera, se tardava qualche minuto, io ero col cuore in gola per la paura<br />
che l’avessero preso. Stavo in casa, i nostri bambini scendevano a giocare con gli altri bambini.<br />
Un giorno mi dissero: ‘Domenica nella casa vicina danno <strong>un</strong>a festa. Hanno invitato noi e te, andiamo? Vieni?’ Mandai<br />
loro due. Come rispondere a domande, dire chi ero?<br />
Rientrarono e mi dissero: ‘Tutti i bambini erano con le loro mamme, solo noi eravamo soli, tutti ci hanno chiesto di te...’<br />
Dopo la guerra mio marito ha scritto a questi vicini: ‘Scusateci, non vi abbiamo mai ringraziato e neanche salutato, ma<br />
sapete, siamo ebrei ed eravamo ricercati.’<br />
Immediata la risposta: ‘L’avevamo capito benissimo, cercavamo solo di rendere meno amaro questo periodo della vostra<br />
vita.’<br />
Gemma Volli, mia sorella, sfollata a Laglio viene a trovarci: ‘Com’è che siete qua?’ ‘Siamo vicini alla Svizzera, dove<br />
pensiamo di andare… E tu?’ ‘Perché ci siete voi. Volete andare in Svizzera? Ci andremo insieme, lasciate fare a me.’<br />
Ritorna Il giorno dopo: ‘Adesso la frontiera è aperta, ho preso contatto con dei contrabbandieri che ci porteranno fino al<br />
confine. Occorre roba pesante, scarpe adatte perché la mulattiera che dovremo percorrere può essere ghiacciata. Sul<br />
Bisbino ha nevicato e noi lo dobbiamo oltrepassare. Mi hanno assicurato che vi procureranno due muli. Potrete portare<br />
<strong>un</strong>o zaino per persona, niente di più!’ ‘Valigie?’ ‘No, niente valigie! Ci sarà pure <strong>un</strong> portatore per portare la bambina<br />
fino al confine.’”<br />
***<br />
Scendiamo a Como, giriamo tutto il giorno per comperare il necessario. Alla sera gli zii preparano dei<br />
letti improvvisati. Ma la mamma è sfinita. Per la stanchezza, l’agitazione, l’immobilità forzata e per non<br />
svegliare mia sorella, dorme poco e male.<br />
Alla mattina non può muoversi, tutta anchilosata come <strong>un</strong> pezzo di legno. Con <strong>un</strong>o sforzo immane<br />
arriva fino al bagno e lì sviene. Come potrà affrontare la montagna?<br />
Ma é curata bene. Mio padre la sostiene. Risaliamo a Solzago.<br />
Due giorni dopo, la mattina presto, scendiamo a Laglio: il battello ci porta all’altra sponda del lago. Da<br />
li <strong>un</strong>’erta mulattiera andava fino alla cima innevata del Monte Bisbino. Il piccolo gruppo s’avvia per la<br />
salita. Dopo <strong>un</strong> po’ ecco i contrabbandieri che devono portarci in Svizzera con i muli ed <strong>un</strong> giovane di<br />
21
20 anni che deve portare mia sorella Ariella in braccio fino al confine. Con noi si è <strong>un</strong>ita la famiglia<br />
Cafàz di Bologna marito e moglie. Per la moglie il marito ha contrattato <strong>un</strong> mulo. Per noi due muli per<br />
gli zaini, due su ogni mulo. Ariella é presa in braccio. Sembra molto grassa. Indossa due vestiti e due<br />
cappotti. Ci avviamo. Io, sette anni, snello e leggero, sono sempre avanti a tutta la fila indiana.<br />
Davanti alla mamma cammina <strong>un</strong> mulo. La mulattiera è ripida, stretta. Il mulo cammina sempre rasente<br />
al muro. Uno zaino sfrega sempre contro le pietre del muro contro ripa, che sovrasta la strada.<br />
Camminiamo da ore. La mamma guarda con terrore il mulo e pensa: adesso la tela dello zaino si<br />
sbriciola e semina tutto il contenuto nella zona sottostante.<br />
Imbr<strong>un</strong>iva ed é stanca. Si attacca alla coda del mulo. È <strong>un</strong> aiuto. Camminiamo nel più assoluto silenzio.<br />
Ad <strong>un</strong> tratto per <strong>un</strong>a mossa brusca perde la coda del mulo, inciampa e cade. Ariella grida per lo spavento...<br />
é buio... pensa che la mamma sia rotolata in fondo al burrone. È zittita con <strong>un</strong>a mano sulla bocca e dalle<br />
parole: “Tua mamma ora è morta, ma non vogliamo morire anche noi”. Aveva tre anni e mezzo. Mai<br />
più ha dimenticato. A tuttoggi se qualcosa la spaventa vuole gridare, ma la voce la muore in gola…<br />
La mamma si rialza e proseguiamo. In silenzio.<br />
Io sono avanti a tutti, con qualche zolletta di zucchero, con l’energia dei miei sette anni e lo sguardo in<br />
avanti. Non ho visto e non ho saputo niente fino a qualche anno fa.<br />
Dopo la notte passata in <strong>un</strong>a malga di pastori, all’alba riprendiamo la marcia nel buio dell’alba invernale,<br />
in cresta facendo ben attenzione ai crepacci coperti da <strong>un</strong> velo di ghiaccio azzurrino. Dopo <strong>un</strong> po’ ci<br />
indicano <strong>un</strong>a caserma che s’intravede da lontano. “Là ci sono i tedeschi” dicono. “Adesso non fiatate!<br />
Avanti!”<br />
E poi, con il Bisbino alle spalle, la rete! Dal foro, sul pendio a strapiombo ci rotoliamo giù, non si riesce<br />
a stare in piedi. Ci sono tante montagnole ove viene prodotta della carbonella con la combustione<br />
incompleta del legno, ma la pendenza è sempre forte.<br />
Ci sediamo per terra : é giorno fatto.<br />
Un doganiere svizzero ci viene incontro. Tiene il figlioletto in mano. “Non si può entrare, dovete<br />
tornare in Italia.” Ariella lo guarda e dice: “Ma lì ci sono i tedeschi che vogliono prenderci per<br />
ammazzarci…”<br />
Lui la prende in braccio e ci avviamo verso la casa cantoniera.<br />
Seguita a dire: “Bisogna tornare indietro” e intanto suo figlio, <strong>un</strong> ragazzino di sette o otto anni, mi<br />
mette in mano di nascosto <strong>un</strong>a mela ed <strong>un</strong>a tavoletta di cioccolata…<br />
Nella casa cantoniera di Bruzzella aspettiamo da Bellinzona l’assenso della Polizia Cantonale.<br />
Il giorno dopo siamo condotti a Chiasso. Scortati da due guardie, saliamo sul postale. Dai vestiti si<br />
capisce che siamo profughi. Piove, ad Ariella hanno regalato <strong>un</strong>a mantellina impermeabile con il<br />
cappuccio. Una signora seduta vicino a lei chiede: “Come ti chiami? Da dove vieni?” Lei risponde,<br />
mentre tutti la guardano, ed aggi<strong>un</strong>ge con chiarezza: “Siamo qui perché i tedeschi volevano ammazzarci<br />
tutti”.<br />
Sull’autobus cala il silenzio. Una signora di fronte a noi ha gli occhi lucidi…<br />
Nella grande caserma di Chiasso l’accettazione.<br />
Dopo la doccia obbligatoria, ci mettono in mano <strong>un</strong> biglietto. C’è scritto: S.P. e i miei pensano: “S. P. =<br />
Servizi Pesanti? Ma anche ai bambini?” Più tardi - seppi - ci svelano il significato: “Senza pidocchi”.<br />
22
La procedura é completata, abbiamo nuovamente dei documenti di identità veri, le sole annotazioni<br />
servono per assegnarci le razioni dei viveri, niente più razza e discriminazioni. È il Libretto per rifugiati.<br />
Entriamo nel grande refettorio, ci danno il nostro primo “caffè completo” con pane , burro, marmellata.<br />
In fondo, proprio di fronte a noi, si apre <strong>un</strong>a porta, entra <strong>un</strong> sacerdote cattolico: Don Carlo Banfi.<br />
Per l’ennesima volta è riuscito a portare in salvo <strong>un</strong> numeroso gruppo di ebrei, fra i quali pure <strong>un</strong>a<br />
novantenne e molti bambini.<br />
Quando entra nel refettorio della caserma le persone si alzano, si avvicinano, alc<strong>un</strong>i baciano i lembi<br />
della sua veste ed altri si inginocchiano davanti a lui.<br />
Come la limatura di ferro accanto ad <strong>un</strong>a calamita sono tutti attorno a lui.<br />
Mio padre vuole conoscerlo. Per anni nel dopoguerra gli scrive.<br />
Veduta di Sormano nel 1925<br />
La freccia indica la casa dei pini, rifugio dei partigiani del Maggiore Clemente Gatta<br />
[Cartolina d’epoca da collezione privata - Edizione Oleotti, Asso]<br />
23
La Svizzera ci accoglie. Nel 1944 – 45, nel Castello di Trevano, sopra Lugano, il Governo dell’Italia<br />
libera organizza <strong>un</strong> Liceo - convitto, presieduto da mio padre Ferruccio Pardo, per aiutare i profughi<br />
più giovani a recuperare gli anni scolastici perduti. C’erano studenti, docenti, famiglie e diverse altre<br />
persone dai più vecchi ai più giovani: dal vecchio Alpron alla piccola Ariella.<br />
Quel mezzogiorno di luglio del ’45 in cui il prof. Pinchetti, decano del corpo insegnante ann<strong>un</strong>cia il<br />
ritorno in Italia tutti scattano in piedi.<br />
È festa grande per tutto il giorno.<br />
Due giorni dopo da Como gi<strong>un</strong>gono i camion americani.<br />
Tre giorni dopo la famiglia Pardo è a Bologna.<br />
L’appartamento di via Zamboni é stato requisito dalla polizia fascista ed assegnato ad <strong>un</strong> nucleo familiare<br />
di tre persone. Altri venticinque parenti sono poi venuti dalla campagna, portando oche e galline,<br />
conigli e mangime.<br />
Nella grande terrazza sulla Piazza di Porta Ravegnana, al primo piano di via Zamboni n.2 hanno<br />
sistemato fornelli all’aperto alimentati dai libri e dalle riviste della biblioteca di casa.<br />
Quella notte Alfredo Giommi, grande invalido della guerra di Libia, dorme per terra insieme ai suoi per<br />
lasciare i letti alla famiglia Pardo.<br />
La vita riprende faticosamente, ma mio padre conserva le vere amicizie delle ore difficili. Fra le carte<br />
più care l’ultima lettera di Don Carlo Banfi.<br />
È <strong>un</strong>a calligrafia bella e chiara, <strong>un</strong>a lettera semplice, ma che a noi dice tanto,<br />
Prof. Pardo,<br />
Così è! Siamo ancora qui.<br />
e possiamo ringraziare Dio di esserci.<br />
E quanti non sono più tornati, dopo<br />
quei giorni!<br />
Un po’ di bene fatto ci lascia<br />
contenti del tempo vissuto. Ci è<br />
grato sapere che altri ancora possono<br />
godere la vita in grazia nostra.<br />
Ecco <strong>un</strong> segreto per la felicità:<br />
vivere per gli altri, non per noi soli<br />
per la famiglia, come voi<br />
per la scuola,<br />
per i fratelli in tribolazione.<br />
Grazie del ricordo che contraccambio.<br />
Augurio di anni molti e felici<br />
Don Carlo Banfi.<br />
24
Lettera autografa di <strong>don</strong> Carlo Banfi al prof. Ferruccio Pardo<br />
[Archivio privato della famiglia Pardo, Bologna ]<br />
25
Den<strong>un</strong>cia di <strong>don</strong> Carlo Banfi al Trib<strong>un</strong>ale Speciale per<br />
la Difesa dello Stato<br />
Archivio di Stato, Como, Fondo Gabinetto di Prefettura II versamento, Carte Scassellati, Cart. 1 n.1 a/C<br />
REGIA QUESTURA DI COMO<br />
N°0452G/GAB. Como, 18 Febbraio 1944 . XXII<br />
OGGETTO: CAPARARO Gian<strong>carlo</strong> di Guido e di Camilla Chiara, nato a Erba il 2.7.1910, domiciliato<br />
ad Albavilla Via dei Crotti, impiegato Cassa Risparmio;<br />
BANFI Carlo fu Antonio e fu Galli Antonietta, nato a Saronno il 9.9.1903, parroco di Sormano<br />
AL TRIBUNALE SPECIALE PER LA DIFESA DELLO STATO - SUA SEDE<br />
E p.c. ALL’ECCELLENZA IL CAPO DELLA PROVINCIA – COMO<br />
La persona in oggetto subito dopo l’8 settembre abban<strong>don</strong>ava la sua abituale dimora e si dava alla<br />
campagna. Gi<strong>un</strong>to pertanto a Sormano di S. Valeria si portava nell’abitazione di <strong>un</strong> fascista intimandogli<br />
a mano armata di consegnargli le armi che il predetto deteneva. In tale occasione il Capararo dichiarò<br />
che era a contatto con alc<strong>un</strong>e personalità fra le quali il Generale Pariani e che il gruppo per il quale egli<br />
agiva era sovvenzionato dal Senatore De Capitani di Milano.<br />
In data 17 del mese di novembre per gli addebiti sopracitati si procedeva al fermo del Capararo. Questi<br />
interrogato <strong>un</strong>a prima volta negava di avere minacciato lo squadrista [...] di Sormano allo scopo di farsi<br />
consegnare le armi in suo possesso e negava anche di avere dichiarato che era in contatto con alc<strong>un</strong>e<br />
personalità tra le quali il Generale Pariani e di avere affermato che il gruppo per il quale egli agiva era<br />
sovvenzionato dal Senatore De Capitani di Milano. Ammetteva tuttavia di avere potuto fare dei nomi<br />
di personalità molto in vista in quell’epoca.<br />
Aggi<strong>un</strong>geva di essersi trovato a Sormano verso la metà del mese di settembre mentre si dirigeva a<br />
Casargo per sottrarsi alle operazioni di rastrellamento dei Militari sbandati da parte delle forze armate<br />
tedesche.<br />
Secondo le sue dichiarazioni egli si sarebbe recato in casa del [...] per <strong>un</strong>a visita amichevole ed avrebbe<br />
ottenuto dal [...] stessi <strong>un</strong>a pistola “Beretta” calibro 6,35, della quale si sarebbe liberato il giorno dopo<br />
gettandola nel lago di Como, essendo venuto a conoscenza della proibizione di detenzione di armi.<br />
Contrariamente a quanto dichiara il Capararo, il [...] afferma che il Capararo si recò in casa sua verso la<br />
mezzanotte, <strong>un</strong>itamente a due giovani ed al parroco Don Carlo Banfi. Il Capararo gli dichiarò che ai<br />
piani di Resinelli presso Lecco <strong>un</strong> Colonnello deli alpini organizzava gli sbandati, a suo dire finanziati<br />
da alc<strong>un</strong>i industriali fra cui il Senatore De Capitani d’Arzago di Milano, e che gli inglesi ormai erano a<br />
26
trenta chilometri da Roma. Poiché il Capararo lasciò capire di essere pronto ad usare la maniera forte,<br />
vedi secondo verbale di interrogatorio, egli fu costretto a consegnargli <strong>un</strong>a pistola “Beretta” calibro<br />
6,35- Non è vero infine che detta pistola sia stata gettata nel lago, poiché il padre del Capararo la restituì<br />
al [...] verso la fine di novembre. Dette dichiarazioni concordano con quelle del giovane Cesare Capararo<br />
che aveva accompagnato il fratello Gian<strong>carlo</strong> attraverso i monti. Il Capararo si recò in casa del [...] per<br />
consiglio del parroco di Sormano Don Carlo Banfi, noto sostenitore degli sbandati della località e che<br />
aveva alloggiati vari sbandati in casa propria.<br />
Il Capararo era <strong>un</strong> po’ brillo poiché oltre ad essersi fatto offrire da bere dal [...], aveva già bevuto in casa<br />
del parroco e nella trattoria Porta Carlo (vedi secondo verbale di interrogatorio) dove sostò in sua<br />
attesa il fratello Cesare che pare quindi estraneo al fatto. Un attenuante al gesto compiuto dal Capararo<br />
è il fatto che egli il giorno dopo il discorso del Duce liberato, rientrò ad Albavilla ed aderì in seguito al<br />
Partito Repubblicano. Il Parroco Don Carlo Banfi è da tempo scomparso da Sormano e pare che si sia<br />
recato in Svizzera con <strong>un</strong> gruppo di persone espatriate clandestinamente. Sorge anche il sospetto che il<br />
Capararo abbia avuto contatto sia pure per qualche giorno con elementi che in seguito ass<strong>un</strong>sero colori<br />
antifascisti compiendo i noti misfatti contro le persone e contro il patrimonio.<br />
Sta di fatto che anch’egli ha ricorso all’ausilio del famigerato Don Carlo Banfi, Parroco di Sormano a<br />
mezzo del quale ass<strong>un</strong>se le notizie per potersi procurare a qualsiasi costo <strong>un</strong>a pistola.<br />
Il predetto Parroco va lumeggiato con tutti i caratteri richiesti dalla sua losca figura. Egli non solo era<br />
<strong>un</strong> accanito antifascista, al cui scopo aveva sovvertito il suo sacro Ministero, come si rileva dalle<br />
dichiarazioni del [...], del [...] e del Gatta allegati in stralcio al presente rapporto, ma era notorio che le<br />
sue prediche dal Pulpito servivano per aizzare la popolazione alla disubbidienza alle leggi dello Stato ed<br />
alla lotta contro il nascente Stato Repubblicano.<br />
Con tali orientamenti egli si scelse <strong>un</strong>a posto di primo ordine, schierandosi dapprima a favore degli<br />
sbandati, successivamente a fianco dei ribelli e dei loro capi (vedi rapporto inviato al Trib<strong>un</strong>ale Speciale<br />
per la Difesa dello Stato a carico del Ten. Col. Gatta e Carletti).<br />
Infine prendeva apertamente le difese degli ebrei, dichiarati nemici della Patria, e con questi si allontanava<br />
dal territorio della Repubblica, espatriando clandestinamente nella vicina Svizzera, <strong>don</strong>de non risulta<br />
che sia ancora rientrato.<br />
Si den<strong>un</strong>ziano per quanto sopra il Capararo a piede libero a norma degli articoli 265- 266-270 2^<br />
capoverso , 271 1^ capoverso, 286 1^ parte, 305-306 e 610 aggravata dalle condizioni previste dall’art.<br />
399 del C.P ed il Parroco Banfi in contumacia per i reati previsti dagli art. 265-266-270-272-285-286-<br />
302-303-306 e 307 del C.P nonché per la violazione delle disposizioni che regolano il trattamento ai<br />
cittadini di razza ebraica, considerati nemici della Patria.<br />
Si allegano gli atti ass<strong>un</strong>ti.<br />
IL QUESTORE<br />
(Console Lorenzo Pozzoli)<br />
27
Monsignor Primo Discacciati<br />
Com<strong>un</strong>icazione al cardinale Schuster<br />
Archivio Storico Diocesano, Milano, Carte Schuster, n. 29179.<br />
Em.za Rev.ma<br />
28<br />
Asso 3-12-1943<br />
Il Sacerdote che fa da Coadiutore a Sormano, Giovedì 25/11 in occasione della<br />
Congregazione Plebana in Asso mi com<strong>un</strong>icava che il Parroco di Sormano si sarebbe<br />
assentato dalla parrocchia alc<strong>un</strong>i giorni, ma certamente sarebbe rientrato prima di<br />
Domenica 28/11.<br />
L<strong>un</strong>edì 29/11 il Coadiutore di Somano tornava ad avvisarmi che il Parroco non era<br />
ancora rientrato, ma lo si aspettava da <strong>un</strong> momento all’altro.<br />
Dove era andato? Aveva varcato il confine svizzero - ignoro il motivo.<br />
Ho pregato il Coadiutore di telefonarmi immediatamente appena fosse arrivato per poi<br />
mettermi in com<strong>un</strong>icazione con lui ed avere spiegazioni.<br />
Oggi alle 17 il Parroco di Caglio è venuto da me a com<strong>un</strong>icarmi che il Parroco di Sormano<br />
non ancora era ritornato in paese e che il Questore di Como lo cercava e voleva vederlo…<br />
Da più di <strong>un</strong> mese, per <strong>un</strong>a disgraziata caduta, devo camminare col bastone, non posso<br />
quindi muovermi come vorrei e le circostanze consigliano<br />
Ho dato al Parroco di Caglio le direttive per assumere più dettagliate notizie a fonte<br />
sicura perché si naviga nel buio.<br />
Domani verrà a riferirmi in merito ed io potrò essere più preciso anche con V. Eminenza.<br />
Ho esposto in succinto i fatti come sono a mia conoscenza: ho tardato e non l’ho fatto<br />
prima perché ogni giorno speravo nel ritorno del Parroco.<br />
Ora sembra che le cose si complicano.<br />
Baciando il lembo della Sacra Porpora<br />
Umiliss. In Xsto<br />
Rev. Discacciati Primo
Testimonianza di buona e volenterosa collaborazione di <strong>don</strong> Carlo Banfi a Piero Bussadori<br />
[Archivio privato Rosa Bussadori, Sormano]<br />
29
Don Carlo Banfi<br />
Lettera informativa al Cardinale Schuster<br />
Archivio Storico Diocesano, Milano, Ultimi Tempi di <strong>un</strong> Regime, n. 307.<br />
Eminenza Reverendissima,<br />
KLEINDIETWIL 19/06/1944<br />
scrivo queste righe nella speranza che possano gi<strong>un</strong>gere sino a voi, e per dirvi, in seguito a quali<br />
circostanze mi son trovato esule in terra straniera, dopo aver abban<strong>don</strong>ata la mia parrocchia.<br />
A dir vero avevo prevenuto il Prevosto di Asso della possibilità di <strong>un</strong>a mia improvvisa scomparsa,<br />
ma lui non riteneva che il fatto dovesse avverarsi mancan<strong>don</strong>e i motivi. Egli infatti non sapeva quanto<br />
io mi fossi compromesso, dopo che ebbi assistito i pochi ebrei che egli mi aveva mandati.<br />
Subito dopo l’armistizio, Sormano ed i monti soprastanti, eran divenuti nascondiglio di disertori,<br />
a cui provvedevano alti ufficiali residenti sul posto. L’amichevole confidenza ed il bisogno, spinsero<br />
quelli a domandare, e me a concedere, in diversi modi, aiuto e consiglio. Poi la necessità di disciplinare<br />
le cose e di avere sussidi consigliarono di far capo al Comitato Milanese di Liberazione.<br />
D’altra parte verso la fine di settembre, <strong>un</strong> sacerdote Salesiano, già cappellano di <strong>un</strong> campo di<br />
prigionieri, domandò il mio aiuto per poter far arrivare in salvo, in Svizzera, parecchi di questi infelici<br />
che sfuggiti al campo, vagavano per la campagna di Lodi, ed a lui si raccomandavano. Casa mia cominciò<br />
così ad esser luogo di tappa per prigionieri che provenienti da diverse parti, gi<strong>un</strong>gevano a Sormano, si<br />
rifocillavano e poi proseguivano per i monti dove <strong>un</strong> altro p<strong>un</strong>to di tappa, m<strong>un</strong>ito di guide, provvedeva<br />
all’inoltro fino alla frontiera. La faccenda continuò bene per <strong>un</strong> mese circa poi, <strong>don</strong> Davide fu arrestato<br />
coi suoi collaboratori ed io ne ebbi notizia solo due settimane dopo, quando già ero sul p<strong>un</strong>to di partire.<br />
Non basta. Il Comitato di Milano ritenne di dover agire anche nella zona di Sormano, e poiché<br />
ciò avrebbe senz’altro messo in pericolo gli ebrei che vi stavano occultati, occorreva provvedere a<br />
metterli in salvo. Poiché ero già venuto in svizzera <strong>un</strong>a prima volta e ne ero tornato presto e bene, non<br />
ritenni imprudente aderire all’insistente preghiera degli ebrei, ormai divenuti amici, di accompagnarli<br />
per garantirli dai tiri birboni delle guide e dei contrabbandieri; e dalla certezza di restare in salvo.<br />
Fu così che il 22 nov. Partii da Sormano, dove lasciavo altro Sacerdote, con 16 ebrei; e dopo due<br />
giorni di viaggio, assai duro, arrivai alla frontiera. Qui, tentai <strong>un</strong>’ultima volta di ritornare lasciando gli<br />
altri al sicuro, ma quelli a piangere; che non sapevan la via, che il luogo (<strong>un</strong> pendio scosceso e viscido)<br />
era impraticabile per le <strong>don</strong>ne ed i bambini, che se venissero rimandati come era già loro occorso altra<br />
volta, mal li avrebbe incolti per non saper la via del ritorno, ecc. ecc. . Non era quello il luogo ed il<br />
tempo di far discussioni, per cui mi decisi a guidar la comitiva fino in fondo. Il risultato fu che, ritenuto<br />
dalle Autorità di frontiera, trattato come passatore di contrabbando, ebbi 5 giorni di arresto a partire<br />
dal venerdì sera. Presi a riflettere: a Milano 13 Sacerdoti erano già stati arrestati (me l’aveva detto il<br />
30
Prevosto di Asso); il passo alla frontiera presentava ben maggiori pericoli all’uscita, che non all’entrata;<br />
a casa il lavoro mi comprometteva ogni giorno più, ed era già di pubblica ragione. Pensai: potior est<br />
conditio possidentis¼ Prudenza vuole che si resti. Ma per non far di mio capo, dopo la preghiera chiesi<br />
consiglio ad <strong>un</strong> Sacerdote di qui, e secondo il suo consiglio, chiesi di rimanere. Era il sabato 27 nov.<br />
1943, a mezzogiorno.<br />
Queste cose deve averle già dette a voi D. Cirillo Monzani, ed anche <strong>un</strong>’altro Sacerdote che in incognito<br />
partì da qui e venne da Voi portando il mio saluto e chiedendo la Pastorale benedizione.<br />
Sono rimasto 4 mesi a Lugano in Seminario, e dal 25 aprile sono cappellano di <strong>un</strong> campo di internati a<br />
Kleindietwil nel canton di Berna.<br />
31<br />
Don Carlo Banfi<br />
Parroco di Sormano<br />
La vallata di Sormano e la chiesa parrocchiale all’epoca di <strong>don</strong> Carlo Banfi<br />
[Cartolina d’epoca da collezione privata. Edizioni Prato Bambina, Sormano]
Emilio E. Canarutto<br />
Proposta di medaglia d’oro per Ada Tommasi De<br />
Micheli<br />
Archivio Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano<br />
Oggetto: DOTT.SSA DE MICHELI ADA NATA TOMMASI<br />
Piazza Lima, 1 - MILANO tel. 27.60.48<br />
32<br />
Milano, 16 marzo 1955.<br />
Detta signora, attualmente attiva nelle trasmissioni televisive della Radio Italiana, insieme al marito<br />
prof. Mario De Micheli, critico d’arte, ha svolto <strong>un</strong>a importante opera di salvataggio e di assistenza agli<br />
ebrei fuggitivi, organizzando nel paese di Sormano di S. Valeria, a sette km. Da Canzo il lavoro di aiuto<br />
per il passaggio dei profughi oltre frontiera, esponendosi a gravissimi rischi e subendo, insieme al<br />
marito, le conseguenze di tale sua attività.<br />
Il prof. Mario De Micheli venne anche arrestato con quattro capi di accusa di cui il primo era<br />
“per aver organizzato il salvataggio degli ebrei”. Gli altri capi di accusa erano: “noto com<strong>un</strong>ista”,<br />
cifrario segreto”, “elenco di armi”.<br />
L’attività in favore dei profughi ebrei veniva però svolta in modo particolare dalla signora Ada<br />
De Micheli Tommasi nel seminterrato annesso alla parrocchia di Sormano di S. Valeria, dove il parroco,<br />
Don Carlo, forniva pure la propria assistenza per l’accompagnamento in Svizzera.<br />
La signora De Micheli ha così salvato <strong>un</strong>a trentina di ebrei, fra uomini, <strong>don</strong>ne e bambini,<br />
fornendo loro anche denari, vitto e vesti, nei casi più disperati.<br />
La signora De Micheli profittava del fatto che la parrocchia si trovava al termine della scorciatoia<br />
sul dirupo per recarsi alla frontiera. Ed i profughi venivano prelevati alla stazione di Canzo dove alc<strong>un</strong>e<br />
staffette li convogliavano nel seminterrato anzidetto.<br />
Nel luglio del 1944 la signora De Micheli prelevava il signor Haardt nella casa in cui era nascosto,<br />
e trattandosi di <strong>un</strong> sessantenne infermo, lo accompagnava attraverso il paese, brulicante di brigatisti<br />
neri, sino a Milano, mentre gli stessi fascisti, in possesso del nome del Haardt, perquisivano il rifugio di<br />
questi e la casa della signora De Micheli.
Ritornata la signora De Micheli a Sormano, essa veniva arrestata col marito, per mandato del<br />
questore di Como, Pozzuoli e del capo della polizia, Saletta, noto seviziatore, che si serviva per le sue<br />
indagini del famigerato russo - bianco Pankoff.<br />
Lo stesso Pankoff interrogò i coniugi De Micheli per 24 ore consecutive, dichiarando che egli<br />
avrebbe proposto la loro esecuzione immediata.<br />
I coniugi De Micheli resistettero nei loro dinieghi e riuscirono a salvarsi, non esistendo prove<br />
contro di loro.<br />
L’episodio dell’Haardt verrà confermato, nei prossimi giorni, dal figlio Ruggero, vivente,<br />
commerciante in tessuti, dato che il padre è frattempo deceduto.<br />
Subito dopo questo episodio, che è stato quello culminante, il paese Sormano di S. Valeria è stato<br />
completamente invaso dai fascisti, che volevano impedire la continuazione dell’opera di salvataggio,<br />
procedendo ad arresti di numerosi ebrei, provvisoriamente nascosti in diverse case, colla speranza di<br />
raggi<strong>un</strong>gere la Svizzera.<br />
La signora dott.ssa Ada De Micheli Tommasi risponde alle nostre esigenze nei riguardi del dosaggio<br />
politico e me lo ha provato, ma data l’attuale situazione di lavoro, desidera che nella motivazione non si<br />
faccia assolutamente cenno delle sue ideologie.<br />
L’attività sua e di suo marito era completamente disinteressata, dovrà essere attribuita<br />
esclusivamente a solidarietà umana e politica.<br />
33<br />
(Emilio E. Canarutto)
consegna medaglia d’oro<br />
La consegna della medaglia d’oro della Com<strong>un</strong>ità Ebraica ad Ada Tommasi De Micheli<br />
[Archivio privato famiglia De Micheli, Milano]<br />
34
Anna e Gioxe De Micheli<br />
Ada e Mario<br />
Questo scritto, dei figli Anna e Gioxe, ripercorre la storia dei coniugi De Micheli, con particolare riguardo al periodo<br />
trascorso a Sormano.<br />
Ada Tommasi e Mario De Micheli si incontrano nel 1938 a Milano all’Università Cattolica. Ada, <strong>un</strong>a<br />
bella ragazza br<strong>un</strong>a arrivata da Parma dove viveva con la famiglia, era nata a Poggio Rusco in provincia<br />
di Mantova. La madre era maestra e il padre cappellaio. Mario è <strong>un</strong> bel giovanotto biondo con gli occhi<br />
azzurri - pare che gli occhi azzurri piacquero molto all’Ada - ed è approdato a Milano dopo <strong>un</strong>o strano<br />
percorso che lo aveva portato dalla nativa Genova a Gubbio e a Roma, dove aveva intrapreso gli studi<br />
di Tomistica. Nella città ligure, la mamma Pierina, che era nata a Trezzo, aveva <strong>un</strong> carretto di frutta e<br />
verdura e il padre, profugo dalla Dalmazia, era tagliatore di tomaie. Soldi ce n’erano pochi e Mario,<br />
come i giovani poveri di <strong>un</strong> tempo, “aveva studiato da prete”.<br />
A Milano i due ragazzi diventano ben presto innamorati e antifascisti. I loro amici sono Ernesto Treccani,<br />
Raffaele De Grada, Giacomo Manzù, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo. Malgrado l’oscurantismo<br />
del regime sono anni di grande fermento culturale; gli amici discutono, progettano, sognano l’Europa,<br />
il surrealismo, il cubismo, Eluard, Breton, Picasso, Tristan Tzara. E progettano possibili strategie contro<br />
il potere. All’inizio degli anni Quaranta Mario pubblica due libri che aprono la sua attività: <strong>un</strong>o su<br />
Picasso corredato dalle poesie che Eluard aveva dedicato al grande artista e <strong>un</strong>o su Manzù. La seconda<br />
edizione del Picasso sarà sequestrata dalla censura fascista, mentre il Manzù uscirà nelle edizioni di<br />
Corrente, il movimento milanese a cui ha aderito.<br />
Ada e Mario nel ‘41 si sposano e nel ’42 nasce la figlia Anna. Per vivere insegnano, fanno supplenze,<br />
danno lezioni private. Tutto attorno c’è la guerra. Entrano in contatto con il gruppo di Eugenio Curiel<br />
e pren<strong>don</strong>o attivamente parte alla Resistenza.<br />
Nel 1943, Ada, Mario e Anna, abitano in via degli Arditi (oggi via Cerva), ma, dopo che <strong>un</strong>a bomba<br />
colpisce il loro palazzo, si trasferiscono a Sormano di Santa Valeria, in provincia di Como, inizialmente<br />
ospiti delle sorelle di Giovanni Testori e poi della famiglia Paracchi. In seguito, <strong>don</strong> Carlo Banfi, parroco<br />
del paese, offre alla famiglia <strong>un</strong> piccolo appartamento e <strong>un</strong>o spazio dove insegnare ai ragazzi delle<br />
medie. Qui, Ada e Mario organizzano la fuga verso la vicina Svizzera di numerosi ebrei. Per questo<br />
motivo Ada è insignita della medaglia d’oro della Com<strong>un</strong>ità Ebraica italiana e il suo nome e quello di<br />
Mario sono scolpiti nel Muro dei Giusti a Gerusalemme.<br />
Nel settembre del ’44, di notte, i fascisti fanno irruzione nella loro casa. In quei giorni Mario sta<br />
traducendo la Marcia trionfale, di Thomas Eliot. Nella perquisizione le “camicie nere” sequestrano dei<br />
fogli che così recitano:<br />
Cosa viene per primo? Puoi vedere? Diccelo.<br />
35
Sono<br />
5.800 fucili e carabine<br />
102.000 mitragliatrici<br />
28.000 mortai da trincea<br />
53.000 cannoni pesanti e da campagna<br />
Non posso dirti quanti proiettili, mine e spolette,<br />
13.000 aeroplani<br />
24.000 motori d’aeroplano<br />
50.000 carri di m<strong>un</strong>izioni<br />
e ora 55.000 carri militari<br />
11.000 cucine da campo<br />
1.500 forni da campo*<br />
Mario viene arrestato e tradotto alle carceri di Como.<br />
“[...] Il prof. De Micheli venne anche arrestato con quattro capi di accusa di cui il primo era ‘per aver organizzato<br />
l’espatrio di ebrei’. Gli altri capi d’accusa erano: ‘noto com<strong>un</strong>ista’ , ‘cifrario segreto’, ‘elenco di armi’. [...]”**<br />
Sottoposto per 24 ore consecutive a <strong>un</strong> martellante interrogatorio da parte del “famigerato russo-<br />
bianco Pankoff ” e minacciato di fucilazione immediata, Mario continua a negare ostinatamente ogni<br />
addebito. Dopo alc<strong>un</strong>e settimane mia madre riesce a farlo rilasciare. Infatti, impietosendo la fidanzata<br />
del tenente fascista che aveva eseguito l’arresto, ottiene <strong>un</strong>a serie di preziose informazioni. Nella den<strong>un</strong>cia<br />
erano infatti indicate delle date precise, ma non corrette e, grazie alla testimonianza del professor Di<br />
Iorio, <strong>un</strong> medico comasco, riesce a dimostrare al prefetto Porta e al commissario Pi<strong>un</strong>ti che nei giorni<br />
indicati nella den<strong>un</strong>cia riguardante la fuga degli ebrei, il marito, malato di difterite, era ricoverato a<br />
Como all’ospedale Sant’Anna della Camerlata, e che l’elenco di armi e il cifrario altro non erano che <strong>un</strong><br />
poemetto del grande poeta americano e che il “noto com<strong>un</strong>ista” era solo <strong>un</strong> “sognatore dedito<br />
esclusivamente ai suoi studi e assolutamente innocuo”.<br />
In realtà nella casa di Sormano c’era <strong>un</strong> documento davvero compromettente che però, durante la<br />
perquisizione, mia madre era riuscita a nascondersi addosso. Si trattava di “Realismo e poesia” , <strong>un</strong> saggio<br />
di Mario che per disposizione di Eugenio Curiel era stato diffuso clandestinamente, attraverso i canali<br />
della Resistenza, fin dall’anizio del 1944.<br />
Il 25 aprile del ’45, Ada e Mario sono a Milano con il fazzoletto rosso al collo.<br />
L’immediato dopoguerra è tutto <strong>un</strong> intreccio di lavoro culturale, di grande idealità, di rinnovati progetti,<br />
la pittura, la poesia, il “Partito”.<br />
Ed è per il “Partito” che, nel 1947, accettano di andare a insegnare in Jugoslavia nelle scuole della<br />
36
Diploma d’onore dello Yad Vashem a Ada Tommasi De Micheli e Mario De Micheli<br />
[Archivio privato famiglia De Micheli, Milano]<br />
37
minoranza italiana. Nel gennaio nasce il secondo figlio, Gioxe. Poco dopo la famiglia si trasferisce a<br />
Fiume, ma bastano pochi mesi per capire che c’è qualcosa che non va in quel paese che si dice “socialista”.<br />
Ada e Mario den<strong>un</strong>ciano pubblicamente i soprusi e le intimidazioni contro quegli italiani che optano<br />
per il ritorno in patria e criticano la “congiura del silenzio” verso le voci dissenzienti. Ce n’è abbastanza<br />
per guadagnarsi il sospetto e l’ostilità del regime. Dopo il XX Congresso del PCUS e la rottura di Tito<br />
con l’Unione Sovietica, i com<strong>un</strong>isti italiani in Jugoslavia vengono accusati di <strong>un</strong> inesistente complotto.<br />
Una notte la polizia politica, l’UDBA, irrompe in casa e arresta Mario. Vogliono sapere da lui i nomi dei<br />
cospiratori. Mario non ammette nulla e non fa nomi, i cospiratori non esistono perché non c’è ness<strong>un</strong><br />
complotto. Lo terranno nove mesi in <strong>un</strong>a minuscola cella in compagnia solo delle cimici. Cerca di non<br />
lasciarsi abbattere, si impone di fare qualche esercizio di ginnastica tutti i giorni e, sostenuto dalla sua<br />
prodigiosa memoria, recita ad alta voce i versi di Carducci e la Divina Commedia. Fuori vengono tolte<br />
le tessere per gli alimentari e si sospende l’insegnamento all’Ada. La situazione è disperante: fame,<br />
malattie, amara disillusione. Li aiutano gli operai di <strong>un</strong>a fabbrica vicina che passando lanciano di nascosto<br />
nel giardinetto dei cartoccetti con <strong>un</strong> po’ di pane nero e di lardo. Dall’Italia arriva qualche pacco<br />
spedito dalla nonna Pierina. Ada vende la sua vera, l’anello con il brillantino, la catenina d’oro e si<br />
inventa l’impossibile per trovare qualcosa da mangiare, senza dimenticarsi del suo compagno in carcere.<br />
Privati anche dei passaporti, dopo alc<strong>un</strong>i tentativi di fuga, compreso <strong>un</strong> fallito imbarco su <strong>un</strong> piccolo<br />
peschereccio genovese, alla fine, nascosti in <strong>un</strong> camion, nel ’49 i De Micheli riescono a tornare a<br />
Milano. Nella casa di viale Abruzzi la vita ricomincia e nel 1953, a Palazzo Reale - che porta ancora le<br />
ferite dei bombardamenti - Mario è tra i curatori e allestisce l’indimenticabile grande mostra di Picasso.<br />
Ma gli anni che vanno dal ’50 al ’60 sono ancora difficili. Il magro stipendio che percepisce da “l’Unità”<br />
per cui tiene la Cronaca d’arte non basta certo per sostenere tutta la famiglia. Ancora <strong>un</strong>a volta Ada,<br />
che già insegna Lettere alla “Manzoni”, provvede. Collabora con la radio, dove tiene <strong>un</strong>a rubrica<br />
pedagogica, con la televisione con dei programmi per “La TV dei ragazzi” e alla fine della giornata<br />
insegna anche alle “serali”. Intanto Mario scrive: libri, saggi, presentazioni - che non si fa mai pagare<br />
- e certo i suoi scritti, i suoi studi, ne fanno <strong>un</strong>o dei più importanti critici e storici dell’arte italiani. E’ di<br />
quegli anni “Le avanguardie artistiche del Novecento”, <strong>un</strong> libro che, gi<strong>un</strong>to oggi alla quarant<strong>un</strong>esima<br />
edizione e tradotto in mezzo mondo, è diventato, nel suo genere, <strong>un</strong> vero caso letterario.<br />
Ma essenzialmente Mario è <strong>un</strong> critico militante, <strong>un</strong> critico, cioè, che “vive” con gli artisti, li appoggia,<br />
sprona, conforta, cresce assieme a loro e al loro lavoro. Il talento di <strong>un</strong> giovane artista lo entusiasma, la<br />
tenacia di <strong>un</strong> vecchio artista lo commuove. Per loro scrive, cerca contatti con galleristi e mercanti, trova<br />
persino il possibile collezionista, scopre e promuove giovani talenti ancora sconosciuti, organizza mostre.<br />
Dalla fine degli anni ’60 in poi arriva finalmente <strong>un</strong> po’ di tranquillità economica, Mario è ormai <strong>un</strong><br />
critico di fama e di successo. Sono gli anni delle sue grandi mostre: Siqueiros a Firenze (1976), Orozco<br />
a Siena (1981), Marino Marini a Venezia (1983), Arturo Martini a Milano (1989), Henry Moore ancora<br />
a Milano (1989); delle prestigiose monografie: Picasso, Manzù, Guttuso, e della cattedra di Sociologia<br />
dell’Arte al Politecnico di Milano. Ma contemporaneamente continua ad occuparsi attivamente degli<br />
artisti più giovani ed esordienti o di quelli meno giovani e più appartati o addirittura colpevolmente<br />
dimenticati da critica e mercato.<br />
Ada lo segue e approva, il suo Mario con gli occhi azzurri.<br />
38
Ecco, abbiamo voluto raccontare brevemente queste cose, perché se c’è stata <strong>un</strong>a cosa che ha<br />
contraddistinto la vita dei nostri genitori, questa è stata la loro “fame e sete di giustizia”. Per questo<br />
hanno sempre messo al secondo posto il loro interesse personale e sempre in accordo tra loro, <strong>un</strong>iti e<br />
solidali, anche nelle più dure avversità, forti del coraggio di vivere. Questa “fame e sete di giustizia” e<br />
l’amore per la cultura sono ora “dentro” i libri della loro gigantesca biblioteca, nei tanti documenti,<br />
nelle opere d’arte che, per loro volontà, sono diventati patrimonio della collettività di Trezzo D’Adda e<br />
raccolti nel museo loro dedicato.<br />
* Non si è potuta riportare la traduzione di mio padre, sequestrata dai fascisti,<br />
si è utilizzata quindi quella di Roberto Sanesi, edizioni Bompiani<br />
**Archivio del centro di documentazione ebraica contemporanea, Milano.<br />
39
Scialom Hassan<br />
In Isvizzera ha continuato a rincuorare e consolare<br />
Archivio Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano<br />
Signor<br />
Avv. Giuseppe Ottolenghi<br />
presso Com<strong>un</strong>ità Israelitica<br />
Milano: Via Guastalla<br />
Gentilissimo Avvocato,<br />
40<br />
Firenze, 18 Aprile 1955.<br />
sul “Corriere della Sera del 14 Aprile sotto il titolo “Riconoscenza degli Ebrei Italiani per gli<br />
aiuti ricevuti nel periodo razziale” leggo, fra l’altro, che a Sormano era stato organizzato dalla D.ssa<br />
Ada De Micheli <strong>un</strong> centro di aiuto a favore degli ebrei perseguitati dai nazifascisti. Siccome in quel<br />
periodo mi trovavo assieme a mio fratello a Sormano desidero segnalarle l’opera altamente umanitaria<br />
svolta dal parroco di Sormano spesso a rischio della propria vita.<br />
Don Carlo Banfi aveva dato ospitalità ad <strong>un</strong>a quantità di ebrei e prigionieri alleati, li ha assistiti;<br />
quando poi la permanenza a Sormano era diventata pericolosa ha organizzato l’espatrio ed accompagnato<br />
in Isvizzera <strong>un</strong> primo gruppo di circa diciotto persone fra cui <strong>don</strong>ne vecchi e bambini, non senza<br />
prima recarsi qualche giorno prima alla frontiera Svizzera per informarsi delle reali possibilità di<br />
accoglimento in quel paese.<br />
Dopo aver condotto attraverso le montagne questo gruppo in Isvizzera e si accingeva a rientrare<br />
in Italia, è stato consigliato – pare dall’Arcivescovo di Lugano – a non rientrare per non esporsi a sicura<br />
rappresaglia.<br />
In Isvizzera ha continuato a rincuorare e consolare con lettere affettuose e ad aiutare con quel<br />
magro provento che gli proveniva facendo il cappellano militare.<br />
Segnalo quanto sopra per dovere di riconoscenza e perché Ella gent.mo Avvocato, lo renda noto<br />
a chi di ragione.<br />
Si abbia i sensi della mia massima considerazione,<br />
Scialom Hassan
Don Carlo Banfi<br />
Al dottor Angelo Bianchi Bosisio<br />
Ricordo di Carlo Bianchi<br />
Archvio privato professoressa Carla Bianchi Iacono, Milano<br />
Caro dottore,<br />
41<br />
Mesenzana, 12.XI.1949.<br />
è molto facile scrivere a te, per riprendere <strong>un</strong>’amicizia interrotta, ma non è facile esaudire il tuo desiderio.<br />
Di Carlo o dir troppo o dir niente. Voi l’avete conosciuto più a l<strong>un</strong>go e più a fondo che non io, e voi gli<br />
siete stati vicini negli ultimi anni, i più decisivi. Com<strong>un</strong>que vedrò di raccogliere le idee sull’argomento.<br />
Senz’altro sono consenziente ad illustrare la sua figura perché ha fatto molte cose buone in poco<br />
tempo, e non ha cercato nulla, ne gloria, ne onore ma pagò di persona e volentieri la sua passione per<br />
l’idea che se fu idea di libertà, di patria, di umanità, fu prima e soprattutto, idea di fedeltà Al Bene in<br />
tutte le sue forme: Dovere, carità, generosità, difesa del debole, rivendicazione dei diritti civili. Anch’io<br />
ti rivedrei volentieri, e perderei qualche momento a rivangare cose passate. Se vengo a Milano, verrò a<br />
cercarti.<br />
Salutami <strong>don</strong> Ghetti. Non lo conosco e la sua ombra mi insegue dappertutto. Al Buon Pastore son<br />
succeduto a lui; presso Carlo lui è succeduto a me. In Svizzera ancora di lui si parlò, oggi ancora di lui<br />
parliamo e mai l’ho vista.<br />
Ciao. Sta bene.<br />
Don Carlo Banfi<br />
Di Carlo Bianchi collegiale, <strong>un</strong>iversitario, propagandista, professionista, confratello di S. Vincenzo, altri<br />
potrà dire meglio di me. Io mi limiterò a parlare di lui per quello che fece negli anni 1927-1931 in seno<br />
alla sua Associazione ed al suo Oratorio della Barona. In quegli anni non solo l’Oratorio, ma tutta la<br />
Parrocchia della Barona era ben poco oanizzata, e l’ambiente era per nulla invitante, specie per <strong>un</strong><br />
elemento come il Bianchi uso a frequentare ambienti ben più signorili. Suo primo merito fu d<strong>un</strong>que<br />
quella di accettare il campo del suo lavoro così come era di entrarvi decisamente, senza riserve.<br />
Coi ragazzi del popolo, cogli operai, non sempre in linea coll’etichetta, in <strong>un</strong>a Associazione che era alle<br />
sue prime incerte esperienze, egli entrò colla massima naturalezza e di primo acchito, si amicò tutti,<br />
famigliarizzò con tutti senza limitazioni.
Non fu il primo Presidente, ma lui , licealista cedè il passo ad <strong>un</strong> ortolano. Per se invece riservò l’ingegno<br />
del buon esempio iscrivendosi subito al corso Propagandisti. Non era quella iscrizione <strong>un</strong>a fiamma<br />
fugace di entusiasmo passeggero. Durò fino alla fine del corso e subito entrò in propaganda dove restò<br />
fino al giorno in cui le esigenze degli studi glielo impedirono.<br />
All’Oratorio assisteva i ragazzi, faceva la dottrina, prendeva parte alle piccole recite, giocava con gli altri<br />
sempre pronto agli scherzi bonari, alla sana allegria.<br />
Quando era con gli altri, non era mai diverso dagli altri. Quando però gli altri se ne erano andati egli<br />
diventava tutt’altra cosa. Ness<strong>un</strong>o come lui si imposte fin dal principio la Messa, la Com<strong>un</strong>ione la<br />
meditazione quotidiana.<br />
Il secondo suo merito fu d<strong>un</strong>que quello di incoraggiare con l’esempio, coll’opera, col suo valore personale,<br />
i primi tentativi di Azione Cattolica in quel greggio ambiente della Barona 1927. E poiché faceva le<br />
cose “sul serio” con franchezza e decisione, il suo esempio fu decisivo per più di <strong>un</strong> compagno.<br />
Tutti gli altri lo apprezzavano assai più di quello che stimava lui stesso, ed <strong>un</strong>a volta che lo si invitava a<br />
prendere certo atteggiamento d’avanguardia diffidando di se, gli sfuggì detto “Oh, ma voi, chissà cosa<br />
mi credete …..”<br />
Ogni anno faceva, durante le vacanze, <strong>un</strong> mese di soggiorno in Germania. Fu così che vide il Nazismo<br />
nascere, crescere sviluppare di anno in anno fin a divenire <strong>un</strong>’esaltazione parossistica collettiva; mentre<br />
la resistenza della parte migliore andava sempre più attenuandosi. Una volta al suo ritorno dalla Germania<br />
gli chiesi: Di Hitler, del Nazismo che ne pensi, che ne dicono, là? Scosse il capo scoraggiato. O faranno<br />
<strong>un</strong>a rivoluzione tra di loro, e sarà terribile, o si romperanno la testa con tutti gli altri. Sono troppo<br />
esaltati….. Quel troppo voleva dire: son fuori dell’onesto, del giusto”. Se irromperanno fuori della loro<br />
terra, bisognerà fermarli ad ogni costo, ma il cozzo sarà duro. Eravamo nel 1934 o 1935. Vedeva<br />
d<strong>un</strong>que giusto, e fin dallora preparavasi in se le idee che l’avrebbero poi animato alla lotta, tra i primi,<br />
nell’ottobre 1943.<br />
In quei giorni io ero a Sormano, e lui ci veniva in campagna con la famiglia. Poiché anche là nascevano<br />
le prime forme di resistenza importava aver direttive ed aiuti dal C.L.N. di Milano, Si rivolsero a lui.<br />
Ebbe <strong>un</strong>o sguardo scrutatore, fu cauto nel pron<strong>un</strong>ciarsi, promise di interessarsi…. Ma io che ero<br />
presente, mi trovai ad <strong>un</strong> tempo sorpreso e contento di vederlo già impegnato nella lotta.<br />
Buon sangue, non mente …..<br />
Qualche giorno più tardi ci portava la risposta: bastare coi propri mezzi per il momento, ed andare cauti<br />
perché il nemico vegliava. Fu l’ultima volta che lo vidi: Pochi giorni dopo, le circostanze mi portarono<br />
in Svizzera, ed a Lugano mi trovai con Jacini, Migliori, Malavasi, Malvestiti, Clerici. Fu app<strong>un</strong>to da loro,<br />
sempre in contatto coi centri della resistenza, che nel Luglio Agosto 1944 ebbi la notizia: Hanno<br />
fucilato l’Ing. Bianchi di Milano. Ebbi <strong>un</strong> colpo, ma sapendo che il nome Bianchi a Milano è assai<br />
com<strong>un</strong>e speravo ancora. Clerici mi levò ogni illusione: <strong>un</strong> Bianchi ingegnere, della Democrazia Cristina,<br />
tipografo….. troppe coincidenze è lui. Naturalmente era lui.<br />
Rientrato in Italia dopo la liberazione andai a trovare la famiglia Bianchi colla quale ero in relazione da<br />
tempo. Vi aleggiava <strong>un</strong> senso di dolore nobile e silenzioso. Nel salotto dove fui ricevuto <strong>un</strong>a bella<br />
fotografia di Carlo, la più recente, rassomigliatissimo, era attraversata nell’angolo da <strong>un</strong> nastro tricolore.<br />
Anche volendo sfuggire l’argomento, non si poteva, lui era là troppo presente, non si poteva ignorarlo.<br />
42
Don Carlo Banfi<br />
[Archivio privato famiglia Banfi, Saronno]<br />
43
La conversazione era difficile, e papà e mamma mi guardavano con <strong>un</strong> muto rimprovero negli occhi.<br />
Voi ne avete <strong>un</strong> po’ colpa, voi gli avete insegnato così…. E’ vero signori, ma anche voi di casa gli avete<br />
insegnato così. Tutti noi abbiamo insegnato con la parola e coll’esempio che quando è l’ora si deve<br />
andare innanzi, se occorre pagare di persona. Figlio della sua casa e forte della sua fede, come poteva<br />
diversamente? …. Per questo, se egli è il nostro dolore, egli è anche la nostra gloria. Colla sua fine eroica<br />
egli ha veramente cantato, nel modo migliore, le virtù delle sue famiglie.<br />
E quanti conoscono la sua famiglia mi daranno ragione.<br />
La Colma negli anni ’30. Qui i fuggitivi valicavano i monti per scendere a Nesso.<br />
[Cartolina d’epoca da collezione privata. Edizioni Sormani Giuseppe, Sormano]<br />
44
Com<strong>un</strong>ità Israelitica di Milano<br />
Ricordo perenne di gratitudine degli ebrei d’Italia<br />
Archivio privato famiglia Banfi, Saronno<br />
M. Rev.<br />
Don Carlo Banfi<br />
Parrocchia S. Teresa<br />
Via Aristotile, 2<br />
G o r l a<br />
Circa <strong>un</strong> anno fa, il 17 Aprile 1955, gli ebrei di tutta Italia celebravano in Milano, in occasione<br />
del decimo anniversario della Liberazione, la loro “Giornata della riconoscenza”. Nel corso di <strong>un</strong>a<br />
solenne, commovente cerimonia vennero distribuite, simbolicamente, 23 medaglie d’oro a benemeriti<br />
di ogni categoria e di ogni ceto sociale i quali, durante le nefande persecuzioni nazifasciste contro gli<br />
ebrei, si erano prodigati talora attraverso torture e pericoli di ogni genere, talora sino alla morte, a<br />
favore dei loro fratelli colpiti da <strong>un</strong> flagello che non ha pari nella storia dei secoli.<br />
Ci gi<strong>un</strong>sero nei giorni che seguirono quella memorabile cerimonia tante e tante lettere di nostri<br />
correligionari i quali ci segnalavano le gesta veramente indimenticabili di moltissimi non ebrei. Ogni<br />
lettera meriterebbe <strong>un</strong>a citazione particolare, ed il Comitato centrale dell’Unione delle Com<strong>un</strong>ità<br />
Israelitiche Italiane, con la collaborazione delle varie Com<strong>un</strong>ità d’Italia, decideva di ri<strong>un</strong>ire in <strong>un</strong>a<br />
documentazione di eccezionale valore storico i nomi e la disinteressata, nobile opera svolta, nel solo<br />
nome di <strong>un</strong>a giustizia superiore, da tanta parte del popolo italiano.<br />
Ci permettiamo oggi inviare a Lei, il cui nome è compreso e ricordato con amore da persone<br />
alle quali Ella giovò in tempi ed in circostanze ormai lontane ma pur tanto vicine nei nostri cuori, <strong>un</strong><br />
modesto simbolo della nostra gratitudine.<br />
Forse Ella sorriderà, perché certi slanci spontanei del cuore non si portanno mai abbastanza<br />
premiare. Ma questo non è <strong>un</strong> premio, rappresenta semplicemente il ricordo perenne di gratitudine<br />
degli Ebrei d’Italia.<br />
Con devoti saluti.<br />
COMUNITÀ ISRAELITICA DI MILANO<br />
IL PRESIDENTE DEL COMITATO<br />
(Dott. Marcello Cantoni)<br />
45<br />
Milano, Aprile 1956.<br />
Via Guastalla, 19 – tel. 791.851 – 791.892<br />
COMUNITÀ ISRAELITICA DI MILANO<br />
IL PRESIDENTE