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relazione archeologica

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Questo rilievo porta, sia nella mia descrizione geologica, sia nella mia grande carta in due fogli, il<br />

nome di “Monte Olladiri”, che gli è stato dato anche dall’Angius nella sua voce sull’antica<br />

diocesi di Dolia. Alla voce “Monastir”, lo stesso autore parla delle rovine del castello di<br />

Bauladiri, che dice di aver visto sull’altura che domina la riva sinistra del Flumineddu, e che,<br />

secondo tale indicazione, dovrebbe essere la montagnola più settentrionale del gruppo dei monti<br />

di Monastir, e cioè quello che domina l’omonimo villaggio; non ho potuto osservare quei resti<br />

che, secondo l’Angius, sarebbero costruiti con argilla e ghiaia (argilla ghiaiosa); ma tutte le volte,<br />

circa otto o dieci, in cui ho dovuto raggiungere nel punto più alto del Monte Olladiri la mia<br />

stazione trigonometrica, alla base del mio segnale ho sempre notato un lembo di muro di una<br />

costruzione non in argilla, ma in buon cemento a calce, simile a quello dei muri degli antichi<br />

castelli medievali. In base alla semplice ispezione della malta, ho sempre considerato questo muro<br />

un’opera dei Pisani anziché degli Spagnoli. Nelle mie ricerche sui testi degli antichi storici della<br />

Sardegna non ho mai trovato una qualunque menzione di un castello che avesse il nome di<br />

Olladiri; vi si legge però di un castello di Baratuli che apparteneva, con altre fortezze della<br />

regione, al famoso conte Ugolino della Gherardesca, immortalato da Dante a causa della sua<br />

triste fine nella torre di Pisa. Ora, non ho mai potuto trovare traccia di un castello con questo<br />

nome nella valle del Cixerri, dove si ergono ancora oggi le rovine del castello di Gioiosaguardia e<br />

di quello d’Acquafredda, già appartenenti alla stessa famiglia; d’altra parte, dopo aver perlustrato<br />

accuratamente la zona in cui si trovano queste rovine, situate su due alture isolate,<br />

rapportandomi mentalmente alla maniera di concepire l’arte della guerra dei castellani del<br />

Medioevo, sono giunto alla conclusione che gli ingegneri dell’epoca scegliessero preferibilmente<br />

le cime più isolate e inaccessibili, per costruirvi dei “nidi d’aquila” che comunicassero tra loro<br />

mediante segnali luminosi; vedendo da lontano il Monte Olladiri mi sono chiesto: perché non vi<br />

avrebbero potuto erigere un castello? Questa supposizione è adesso avvalorata sia dallo stesso<br />

nome di Monte Olladiri, che probabilmente non è esatto e che, credo, debba essere sostituito da<br />

quello di Boladiri, sia dalle rovine dei muri di cui si è detto. Perciò penso in primo luogo che<br />

l’antico castello di Baratuli non debba essere cercato nella valle del Cixerri ma nel gruppo dei<br />

monti di Monastir; poi che il castello di Bauladiri di cui parla l’Angius sia lo stesso Baratuli del<br />

Fara ma, anziché essere collocato sul monticello del gruppo di Monastir che domina il villaggio a<br />

nord, esso debba, al contrario, essere cercato sulla cima più isolata e più alta del gruppo, che è<br />

quella del mio segnale, dove ci sono i ruderi di un vero muro costruito nel genere tipico del<br />

Medioevo. Probabilmente, quando mi è stato indicato il nome della cima, al mio orecchio di<br />

straniero il nome pronunciato Olladiri dalla guida sarà suonato come Boladiri. In base alle<br />

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