TURANDOT TURANDOT - Il giornale dei Grandi Eventi
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6 Turandot <strong>Il</strong><br />
La composizione della Turandot, ultima opera di<br />
Puccini, si svolse tra il 1920 e il 1924, in quegli<br />
ultimi quattro anni di vita del Compositore tristemente<br />
segnati dalla malattia che lo condurrà alla<br />
morte. Dopo il successo del Trittico nel gennaio 1919<br />
al Costanzi di Roma, Puccini si pose nuovamente<br />
con l’aiuto del fedele amico Giuseppe Adami alla ricerca<br />
di un soggetto per un’opera. Determinante per la<br />
nascita della Turandot fu però l’incontro con il giornalista<br />
Renato Simoni nell’autunno del 1919 a Torre del<br />
Lago, residenza amatissima dal Maestro, dove si dedicava<br />
alla sua grande passione, la caccia. Simoni, commediografo<br />
e critico drammatico sensibilissimo e raffinato,<br />
sembrò a Puccini il più adatto da affiancare ad<br />
Adami. L’intesa tra i due librettisti fu subito cordiale e<br />
produttiva: la prima proposta fu un testo tratto dalla<br />
riduzione teatrale dell’Oliver Twist di Dickens. L’opera,<br />
il cui titolo avrebbe dovuto essere Fanny, non piacque<br />
però a Puccini: l’ambientazione nello squallido clima<br />
<strong>dei</strong> sobborghi londinesi avrebbe potuto offrire solamente<br />
tematiche e situazioni già ampiamente utilizzate dal<br />
compositore, che invece aveva l’intenzione di “tentare<br />
vie non battute”.<br />
Nata in un ristorante milanese<br />
I biografi raccontano che la nascita della Turandot –<br />
soggetto così “regale” - avvenne, invece, in circostanza<br />
meno “nobile”: a tavola! Nel febbraio del 1920<br />
Puccini e Simoni erano in un ristorante milanese, per<br />
ingannare il tempo in attesa che il Maestro prendesse<br />
un treno per Roma. Simoni disse: «E Gozzi? … se<br />
ripensassimo a Gozzi?… una fiaba che fosse magari la<br />
sintesi di altre fiabe più tipiche?… Non so… qualche cosa<br />
di fantastico e di remoto, interpretato con sentimento di<br />
umanità e presentato con colori moderni?». Puccini fece<br />
il nome di Turandot e Simoni mandò immediatamente<br />
a prendere il volume nella sua biblioteca, in modo<br />
che Puccini potesse portarlo con se in treno. La<br />
Turandot di Carlo Gozzi, rappresentata per la prima<br />
volta a Venezia nel 1761 al teatro di San Samuele con<br />
la compagnia di Antonio Sacchi, affascinò subito il<br />
compositore per il carattere orientaleggiante che<br />
avrebbe potuto aprire più ampi e sfaccettati orizzonti.<br />
Puccini iniziò immediatamente a documentarsi,<br />
leggendo la versione in italiano del poeta Andrea<br />
Maffei - noto come librettista di Verdi - basata sulla traduzione<br />
in tedesco di Schiller. Puccini visionò anche<br />
riproduzioni sceniche e figurini di Max Reinhardt, il<br />
quale poco prima aveva curato la messa in scena della<br />
fiaba in Germania. Sull’argomento Puccini scrisse con entusiasmo<br />
a Simoni: «…in Reinhardt, Turandot era una donnina<br />
piccola piccola; attorniata da uomini di donnina viperina e con un<br />
cuore strano di isterica. Insomma io ritengo che Turandot sia il<br />
pezzo di teatro più normale e umano di tutte le altre produzioni di<br />
Gozzi. In fine: una Turandot attraverso il cervello moderno, il tuo,<br />
d’Adami e il mio».<br />
Difficoltà dietro l’angolo<br />
L’entusiasmo però era destinato ad essere frenato<br />
dall’effettiva difficoltà di ridurre la fiaba.<br />
L’epistolario pucciniano è il testimone delle difficoltà<br />
incontrate durante i quattro anni dedicati alla<br />
Principessa cinese. Puccini fu a lungo indeciso se<br />
costruire l’opera in uno, due o tre atti. La versione<br />
che né risultò fu quella in tre atti, ma il musicista<br />
sembrò più volte propendere per l’atto unico. Inoltre<br />
occorreva « lasciare un po’ da parte Gozzi e lavorare di<br />
logica e fantasia». <strong>Il</strong> primo rimaneggiamento operato<br />
in quest’ottica dai librettisti, fu la trasformazione<br />
delle quattro maschere della commedia italiana presenti<br />
nella fiaba - Tartaglia, Pantalone Truffaldino e<br />
Brighella - nei tre ministri cinesi Ping, Pang e Pong.<br />
L’altro cambiamento fondamentale fu l’introduzione<br />
della figura di Liù, non presente nella favola di<br />
Gozzi, con la funzione di umanizzare attraverso il<br />
suo sacrificio la figura della Principessa.<br />
Nella primavera del 1920 Puccini manifestava il suo<br />
sconforto ad Adami: «metto le mani al piano e mi si<br />
sporcano di polvere! La scrivania mia è una marea di lettere,<br />
non c’è traccia di musica. La musica? Cosa inutile. Non<br />
avendo il libretto come faccio con la musica? Ho quel gran<br />
difetto di scriverla solamente quando i miei carnefici burattini<br />
si muovono sulla scena…». Nel Natale dello stesso<br />
anno i librettisti sottoposero il primo atto a Puccini,<br />
ma l’iniziale giudizio fu negativo. Dopo alcune modifiche,<br />
in cui si diminuirono molte cineserie, Puccini lo<br />
approvò ed iniziò a strumentarlo. Nel 1921, a distanza<br />
di un anno, il primo atto fu completato. Ben più<br />
faticosi, invece, furono gli altri due atti per i quali il<br />
Maestro fu spesso sul punto di abbandonare la composizione.<br />
L’11 dicembre 1922 amaramente scriveva<br />
ad Adami: «di Turandot niente di buono. Comincio a<br />
impensierirmi della mia pigrizia! Che io sia saturo di Cina<br />
per aver fatto il primo e quasi il 2° atto? <strong>Il</strong> fatto sta che non<br />
riesco ad attecchire niente di buono. Sono anche vecchio!<br />
Questo è sicuro…. A Milano deciderò qualcosa. Forse<br />
restituisco i soldi a Ricordi e mi liberi».<br />
I primi mesi del 1923 furono ancora molto difficili,<br />
ma in primavera il compositore, rinfrancato nello spirito<br />
e con nuovo entusiasmo, si dedicò a strutturare e<br />
musicare il secondo atto. Nel gennaio 1924 Puccini<br />
annunciò ad Adami l’inizio dell’orchestrazione del<br />
terzo atto. In aprile finalmente la composizione della<br />
Turandot era a buon punto ed il compositore né diede<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Storia dell’opera<br />
In un ristorante milanese la nascita di Turandot<br />
ancora notizia ad Adami: «Penso ora per ora, minuto<br />
per minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta fino ad<br />
ora mi pare una burletta e non mi piace più».<br />
Triste presagio<br />
L’autunno di quello stesso anno - 1924 - fu caratterizzato<br />
dall’incontro a Salsomaggiore e dalla riappacificazione<br />
con Arturo Toscanini, dopo lo screzio sorto a<br />
causa di una incomprensione, quando in aprile il<br />
direttore diede l’ordine di non ammetterlo alla prova<br />
generale della prima esecuzione postuma del Nerone<br />
di Boito al Teatro Alla Scala. Pochi giorni dopo i due<br />
si incontrano a Milano e Puccini fece ascoltare all’amico<br />
ritrovato il terzo atto di Turandot, fino al punto<br />
in cui Liù sacrifica la propria vita. Ad esecuzione terminata<br />
Puccini disse a Toscanini la frase che egli<br />
avrebbe dovuto pronunziare davanti al pubblico se<br />
lui fosse stato nell’impossibilità di concludere l’opera:<br />
«E qui, signori, il maestro è morto». Presagio sinistro.<br />
<strong>Il</strong> male alla gola, manifestatosi già da parecchi<br />
mesi, iniziò ad aumentare ed in ottobre Puccini si era<br />
recato a Firenze per essere visitato. La diagnosi atroce<br />
fu cancro alla gola. Come ultimo tentativo fu consigliata<br />
una cura presso una clinica specializzata in<br />
Belgio e Puccini si recò a Bruxelles per essere ricoverato.<br />
La sera del 28 novembre sopraggiunse una crisi<br />
cardiaca. Puccini lottò per la vita l’intera notte e il mattino<br />
successivo. <strong>Il</strong> 29 novembre 1924 verso mezzogiorno<br />
il cuore del maestro cessò di battere. Turandot, come il<br />
suo stesso creatore aveva funestamente previsto, era<br />
rimasta incompleta.<br />
Un finale postumo<br />
Gli editori di casa Ricordi, Clausetti e Valcarenghi,<br />
decisero allora di farla terminare dal musicista<br />
Franco Alfano. Questi pensò di utilizzare le trentasei<br />
pagine di abbozzi lasciati dal Maestro per il duetto e,<br />
nelle parti in cui gli schizzi non erano di aiuto, i temi<br />
precedentemente usati dal compositore all’interno<br />
dell’opera. <strong>Il</strong> lavoro, così completato, era pronto per<br />
andare in scena. Alla vigilia la recita rischiò, però, di<br />
essere annullata per un increscioso incidente diplomatico.<br />
Mussolini, in quei giorni a Milano, fu invitato<br />
alla “prima” dalla direzione della Scala. <strong>Il</strong> Duce<br />
impose come condizione che durante la serata fosse<br />
eseguito l’inno fascista in suo onore, dal momento<br />
che Toscanini nel 1923 si era rifiutato di eseguirlo<br />
davanti ad un gruppo di Camicie Nere. Ancora una<br />
volta Toscanini si oppose ed il Duce non prese parte<br />
alla “prima”.<br />
<strong>Il</strong> 25 aprile del 1926, dinanzi al commosso pubblico<br />
della Scala, la Turandot andò in scena. <strong>Il</strong> cast composto<br />
da Rosa Raisa nel ruolo di Turandot, Maria<br />
Bamboli in quello di Liù e Miguel Fleta in quello di<br />
Calaf, utilizzo le scene di Galileo Chini. Dopo la<br />
morte di Liù, Toscanini – come è noto - seguì la<br />
volontà di Puccini: interrompendo la musica e voltandosi<br />
verso il pubblico, con voce velata, disse:<br />
«Qui finisce l’opera, perché a questo punto il maestro è<br />
morto. La morte in questo caso è stata più forte dell’arte».<br />
e poi: “viva Puccini!”. Subito scrosciarono gli<br />
applausi, mentre il sipario calava. Dalla sera successiva<br />
le recite proseguirono con il finale realizzato da<br />
Alfano.<br />
C.C.