rave su due ruote gogol bordello poster sound - Urban
rave su due ruote gogol bordello poster sound - Urban
rave su due ruote gogol bordello poster sound - Urban
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
SOLO 2880 MINUTI<br />
© Jeroen Hendriks<br />
Produrre un film in 48 ore è una sfida quasi<br />
impossibile, soprattutto se la troupe non è<br />
esattamente di professionisti. L’unica buona ragione<br />
per buttarsi in un’avventura tanto sconsiderata è<br />
quella di partecipare a un festival veramente urban:<br />
il 48 Hour Film Project<br />
testo: Alberto Angelini<br />
Il tappeto rosso, le star, le feste. Dimenticatevi tutto<br />
questo. Il 48 Hour Film Project (www.48hourfilm.com)<br />
non è certo come i festival di Venezia, Cannes o Berlino.<br />
Innanzitutto perché è itinerante: l’edizione 2007 si è<br />
svolta in 56 città diverse da Seattle a San Paolo, da Los<br />
Angeles ad Amsterdam passando per Roma (che bisserà<br />
nel maggio 2008) fino a Tel Aviv.<br />
Poi, perché la formula è banalmente geniale o se preferite<br />
genialmente banale. Raccogliere, giudicare e premiare cortometraggi<br />
al massimo di sette minuti prodotti in 48 ore<br />
da chiunque abbia pagato i 100 euro della quota d’iscrizione,<br />
nel luogo dove il festival si svolge.<br />
E, soprattutto, per l’urban appeal. Durante i <strong>due</strong> giorni in<br />
cui le troupe concorrenti si scatenano per le strade non<br />
esiste angolo, piazza o locale in cui non ci sia un set allestito.<br />
E alla fine la giuria che visiona tutti i corti prodotti ha<br />
sotto gli occhi un quanto mai poliedrico ritratto della città.<br />
Ma com’è veramente girare un film in 48 ore? Abbiamo<br />
rubato il diario a un aiutoregista di una spaghetti-troupe<br />
che ha partecipato alla tappa di Amsterdam.<br />
Pagata la tassa d’iscrizione siamo in concorso. La troupe<br />
con relativa attrezzatura l’abbiamo raggranellata in una<br />
settimana di scouting tra amici e professionisti, tanto si<br />
tratta di un weekend: qualcuno continuerà a fare il <strong>su</strong>o<br />
lavoro, qualcun altro improvviserà nel tempo libero. Anche<br />
se la prassi vuole che a partecipare siano potenziali videomaker<br />
“locali”, la nostra squadra rappresenta un’ibrida<br />
eccezione, un sorta di macedonia in cui spuntano qua<br />
e là frammenti d’Italia: Anna (regista) è italo-olandese,<br />
e si è appena diplomata al Centro Sperimentale di<br />
Cinematografia a Roma; Claudia (sceneggiatrice) è italoamericana,<br />
ma vive qui perché ha sposato un olandese;<br />
Art (fotografo di scena), emigrato dall’Armenia, si è fidanzato<br />
con una delle più famose scrittrici dei Paesi Bassi<br />
– l’ultima amante di Fellini, che ha esordito nella narrativa<br />
proprio con un diario della <strong>su</strong>a esperienza col Maestro;<br />
per ultimo il sottoscritto (assistente di scena) che viene<br />
da esperienze cine-televisive nostrane, e da sei mesi è ad<br />
Amsterdam in pausa meditativa. Insomma, gli attori sono<br />
gli unici “indigeni”, quindi parliamo in inglese, confabuliamo<br />
in italiano e ci apprestiamo a girare in nederlandese.<br />
venerdì, ore 18<br />
Le regole del 48 Hour Film Project sono molto semplici:<br />
<strong>due</strong> giorni di tempo per scrivere, filmare, montare e<br />
musicare un video di massimo sette minuti, secondo un<br />
filone assegnato. È per questo che ora siamo riuniti nel<br />
padiglione degli organizzatori, assieme agli altri 45 team:<br />
per estrarre a sorte il nostro “genere”. Le possibilità sono<br />
svariate, western, horror, commedia, fantascienza, ma<br />
ahinoi il bigliettino appena pescato recita semplicemente:<br />
“film de femme”. Film al femminile: poteva andarci deci-<br />
samente meglio! Disquisendo di cellulite e celluloide, ci<br />
allontaniamo a passo cadenzato. Dietro di noi – <strong>su</strong> un<br />
minaccioso quadrante digitale – è appena partito il conto<br />
alla rovescia.<br />
sabato, ore 4<br />
Inutile illudersi che sia ancora la notte di venerdì: tra un<br />
paio d’ore sorgerà il sole e bisogna iniziare lo shooting.<br />
Claudia e <strong>su</strong>o marito vivono in un’elegante casa nei pressi<br />
del Red Light District. Siamo appollaiati nell’ampio salone<br />
dal tardo pomeriggio, spremendoci le meningi in un<br />
© Melanie Bruno<br />
INTANTO IL SOLE SI FA PIÙ CALDO, IL GIOCO DI SQUADRA INIZIA A FUNZIONARE, E PIAN PIANO LA STORIA SEMBRA PRENDERE QUOTA<br />
furibondo brainstorming collettivo. Non è facile partorire<br />
una storia al femminile che ri<strong>su</strong>lti fattibile e non scontata.<br />
Abbiamo ingurgitato litri di tè, ma i nostri occhi cominciano<br />
comunque a chiudersi. Quando ci ritiriamo stremati nei<br />
rispettivi alloggi, la sceneggiatura è poco più di un canovaccio:<br />
“una donna smarrisce la <strong>su</strong>a identità nel tentativo<br />
di conformarsi ai desideri dei <strong>su</strong>oi spasimanti”. Vediamo<br />
che cosa ci verrà in mente domani (oggi!).<br />
sabato mattina, ore 8<br />
Il set è stato allestito all’alba. Infreddoliti e assonnati,<br />
maneggiando cavi e microfoni sotto un cielo poco promettente,<br />
mettiamo in atto quanto abbiamo partorito la<br />
sera/notte prima. Anna è china <strong>su</strong>l monitor di controllo, le<br />
pupille che guizzano da un particolare all’altro. Io mi aggiro<br />
febbrilmente con un taccuino, prendendo nota delle<br />
take migliori e della continuità delle azioni. La protagonista<br />
viene rifiutata da un <strong>su</strong>o collega di lavoro mentre la<br />
cameraman gira intorno alla coppia. A ogni ripetizione la<br />
recitazione si fa più enfatica. Intanto il sole si fa più caldo,<br />
il gioco di squadra inizia a funzionare, e pian piano la storia<br />
sembra prendere quota.<br />
sabato, ore 14<br />
Durante le riprese non c’è tempo per un break. Ciascuno<br />
di noi sgattaiola via appena le <strong>su</strong>e responsabilità si attenuano,<br />
per poi tornare – munito di paninetto – a ricoprire<br />
il ruolo previsto. Per girare la seconda scena abbiamo scelto<br />
il cortile interno di una chiesa gotica. Il rumore di fondo<br />
è incontenibile e il fonico sta uscendo pazzo; catturare le<br />
voci degli attori così non è semplice, ma non vogliamo<br />
rinunciare a questa location. Troviamo uno spiazzo isolato<br />
e siamo pronti a continuare. Al nono ciak tutte le variabili<br />
sembrano finalmente collimare. Sto per appuntare la B di<br />
“buona” nel mio tabulato, mentre i sinistri rintocchi delle<br />
campane irrompono <strong>su</strong>lla scena.<br />
sabato, ore 17<br />
Siamo nel seminterrato di un pub, in discreto ritardo<br />
<strong>su</strong>lla fittissima tabella di marcia. Ci sono ancora alcuni<br />
esterni da ultimare e ci restano meno di <strong>due</strong> ore di luce.<br />
Finalmente arriva Art, il co-protagonista di questo sketch;<br />
trafelato e spettinato, dice di non aver sentito la sveglia.<br />
Sarà vero? Alle cinque del pomeriggio, la sveglia, mah? In<br />
un attimo ripassa le <strong>su</strong>e linee di dialogo e si cala nel personaggio.<br />
Aiuto Anna a sistemare le luci e chiedo il silen-<br />
zio al piano <strong>su</strong>periore. Motore ciak azione (in tre lingue):<br />
il tour-de-force procede. Una crescente e non del tutto<br />
giustificata euforia collettiva contagia la troupe.<br />
sabato, ore 23<br />
Giornata campale. Siamo schizzati da una parte all’altra<br />
della città, chiedendo permessi, rasentando orari di chiu<strong>su</strong>ra,<br />
lottando contro le variabili del caso, smontando e rimontando<br />
il nostro modesto arsenale. Sempre con le mani<br />
occupate e la testa <strong>su</strong>rriscaldata, incuranti della pioggia o<br />
dei passanti incuriositi. Qua e là ci siamo imbattuti in altre<br />
squadre al lavoro: gruppi di persone di ogni tipo che armeggiavano<br />
con telecamere di ogni dimensione, ognuno<br />
alle prese con il <strong>su</strong>o frammento da raccontare.<br />
Tornati alla base, una copiosa spaghettata condisce<br />
discussioni e riflessioni, poi, stremati ma soddisfatti, ci<br />
dividiamo. Nella stanza attigua, il ronzio delle minidv che<br />
vengono riversate nell’hard-disk del montatore. La <strong>su</strong>a<br />
maratona è appena iniziata: armato di forbici digitali,<br />
tirerà mattina per tagliuzzare e riassemblare il materiale<br />
catturato durante la maratona diurna.<br />
domenica mattina, troppo presto<br />
Il telefonino squilla perentorio – devo aver dormito<br />
qualcosa come quattro ore. È solo quando appoggio<br />
il <strong>poster</strong>iore <strong>su</strong>l sellino gelato della bici che mi sveglio<br />
completamente. C’è stato un problema con l’editing della<br />
colonna sonora, e hanno bisogno di rinforzi. Pedalo nella<br />
notte silente, con il laptop a tracolla e il naso che gocciola.<br />
Potevo cavarmela come dinoccolato assistente di scena...<br />
perché ho lasciato trapelare la mia parallela attività di musicista/film-maker?<br />
domenica pomeriggio, orario imprecisato<br />
Risolti a fatica gli ultimi inghippi e masterizzato un fulmineo<br />
dvd nell’immediato dopopranzo. Il disco smaltato è<br />
ancora tiepido: tutto lo stress e l’adrenalina sono lì dentro,<br />
<strong>su</strong>blimati in una pacata galleria di sguardi. Ci dirigiamo<br />
al padiglione per la consegna, distrutti ma contenti.<br />
Affidiamo il dvd alle mani dei giudici: da questo momento<br />
sarà il film a parlare per noi. Siamo i primi a consegnare e<br />
anche in tremendo anticipo: la giuria non si è ancora riunita<br />
e abbiamo già vinto un premio!<br />
18 URBAN URBAN 19<br />
© Amir Westhoff<br />
© Amir Westhoff