Testi prima parte corso - Facoltà di Lettere e Filosofia
Testi prima parte corso - Facoltà di Lettere e Filosofia
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Gabriele d’Annunzio, Alcione
La tregua
Dèspota, andammo e combattemmo, sempre
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l’armi e i polsi eran di buone tempre.
O magnanimo Dèspota, concedi
al buon combattitor l’ombra del lauro,
ch’ei senta l’erba sotto i nudi piedi,
ch’ei consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l’aurora
ei conosca la gioia del Centauro.
O Dèspota, ei sarà giovine ancóra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovine ancóra
Deterso d’ogni umano lezzo in fonti
gelidi, ei chiederà per la sua festa
sol l’anello degli ultimi orizzonti
I vènti e i raggi tesseran la vesta
nova, e la carne scevra d’ogni male
éntrovi balzerà leggera e presta.
Tu ’l sai: per t’obbedire, o Trionfale,
sí lungamente fummo a oste, franchi
e duri; né il cor disse mai “Che vale?”
disperato di vincere; né stanchi
mai apparimmo, né mai tristi o incerti,
ché il tuo volere ci fasciava i fianchi.
O Maestro, tu ’l sai: fu per piacerti.
Ma greve era l’umano lezzo ed era
vile talor come di mandre inerti;
e la turba faceva una Chimera
opaca e obesa che putiva forte
sí che stretta era all’afa la gorgiera.
Gli aspetti della Vita e della Morte
invano balenavan sul carname
folto, e gli enimmi dell’oscura sorte.
Non era pane a quella bassa fame
la bellezza terribile; onde il tardo
bruto mugghiava irato sul suo strame.
Pur, lieta maraviglia, se alcun dardo
tutt’oro gli giungea diritto insino
ai precordii, oh il suo fremito gagliardo!
E tu dicevi in noi: “Quel ch’è divino
si sveglierà nel faticoso mostro.
Bàttigli in fronte il novo suo destino”.
E noi perseverammo, col cuor nostro
ardente, per piacerti, o Imperatore;
e su noi non potè ugna nè rostro.
Ma ne sorse per mezzo al chiuso ardore
la vena inestinguibile e gioconda
del riso, che sonò come clangore.
E ad ogni ingiuria della bestia immonda
scaturiva più vivido e più schietto
tal cristallo dall’anima profonda.
Erma allegrezza! Fin lo schiavo abietto,
sfumato con le miche del convito,
lungi rauco latrava il suo dispetto;
e l’obliqio lenone, imputridito
nel vizio suo, dal lubrico angiporto
con abominio ci segnava a dito.
O Dèspota, tu dài questo conforto
al cuor possente, cui l’oltraggio èlode
e assillo di virtù ricever torto.
Ei nella solitudine si gode
sentendo sé come inesausto fonte
Dedica l’opre al Tempo; e ciò non ode.
Ammonisti l’alunno: “Se hai man pronte,
non iscegliere i vermini nel fimo
ma strozza i serpi di Laocoonte”.
Ed ei seguì l’ammonimento primo;
restò fedele ai tuoi comandamenti;
fiso fu ne’ tuoi segni a sommo e ad imo.
Dèspota, or tu concedigli che allenti
il nervo ed abbandoni gli ebri spirti
alle voraci melodíe dei vènti!
Assai si travagliò per obbedirti.
Scorse gli Eroi su i prati d’asfodelo.
Or ode i Fauni ridere tra i mirti.
La sera fiesolana
1
Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscío che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e su ’l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su ’l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne e l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s’incúrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amor più forte.
Laudata sii per la tua pura morte
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!
Aldo Palazzeschi
Chi sono?,Poemi
2
(Capponcina di Settignano, 17 giugno 1899)
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
a penna dell’anima mia:
«follia».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
«malinconia».
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
«nostalgia».
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi Sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
Lasciatemi divertire, L’incendiario (1910)
[…]
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate
Non sono grullerie
Sono la… spazzatura
Delle altre poesie.
[…]
Infine
Io ho pienamente ragione,
i tempi sono cambiati,
gli uomini non domandano più nulla
dai poeti:
e lasciatemi divertire!
La passeggiata, L’incendiario (1913)
– Andiamo?
– Andiamo pure.
All' arte del ricamo,
fabbrica di passamanerie,
ordinazioni, forniture.
Sorelle Purtaré
alla città di Parigi,
nouveauté.
Benedetto Paradiso
successore di Michele Salvato,
antica farmacia,
gabinetto fondato nell'anno 1783.
Avviso importante alle signore!
la bellezza del viso!
pelle di velluto,
nuovissimo insuperabile sapone.
Orologeria di precisione.
43.
Lotteria del milione.
Antica trattoria
la pace,
con giardino;
fiaschetteria,
mescita di vino.
Loffredo e Rondinella,
primaria casa di stoffe,
panni, lana e flanella.
Oggetti d'arte,
antichità.
26,
26 A.
Corso Napoleone Bonaparte,
Cartoleria del progresso,
Si cercano abili lavoranti sarte.
Anemia!
Fallimento!
grande liquidazione!
ribasso del 90%
libero ingresso.
Hôtel risorgimento
e d'Ungheria.
Lastrucci e Garfagnoni,
impianti moderni di riscaldamento;
caloriferi, termosifoni.
Via fratelli Bandiera,
già via del Crocifisso.
Saldo,
fine stagione,
prezzo fisso.
Diodato Postiglione,
scatole per tutti gli usi di cartone.
Inaudita crudeltà!
Il più ricercato biscotto!
Duretto e Tenerini.
Via della Carità.
2 17 40 25 88.
Cinematografo Splendor,
il ventre di Berlino,
viaggio nel Giappone,
l'onomastico di Stefanino:
attrazione! attrazione!
Cerotto Manganello,
infallibile contro i reumatismi,
l'ultima scoperta della scienza!
L'addolorata al Fiumicello,
associazione di beneficenza.
Luigi Cacace,
deposito di lampadine.
Legna, carbone, brace,
segatura,
grandi e piccole fascine,
fascinotti,
forme, pine.
Professor Nicola Frescura.
State all' erta giovinotti!
Camicie su misura.
Fratelli Buffi,
lubrificatori per macchine
e stantuffi.
Fumista.
Parrucchiere.
Fioraio,
Libreria,
Modista.
Tipografia,
L'amor patrio,
antico caffè.
Affittasi quartiere,
rivolgersi al portiere.
193.
Adamo Sensi,
studio d'avvocato.
Mesticatore.
Ferrarecce.
Rosticcere e friggitore.
Teatro Comunale,
Manon di Massenet,
gran serata in onore
di Michelina Proches.
Politeama Manzoni,
il teatro dei Cani,
ultima matinée.
Riparazioni in caloches,
cordonier.
Deposito di legnami.
Teatro Goldoni,
I figli di nessuno,
serata popolare.
3
29,
31.
Bar la Stella Polare.
Assunta Chiodaroli,
levatrice.
Parisina Sudori,
rammendatrice.
L'arte di non far figliuoli,
Gabriele Pagnotta
strumenti musicali.
Narciso Gonfalone,
tessuti di seta e di cotone,
Lodovico Bizzarro,
fabbricante di confetti per nozze,
Giacinto Pupi,
tinozze, semicupi.
Pasquale Bottega fu Pietro,
calzature.
– Torniamo indietro?
-–Torniamo pure .
. . . . . . . . . . .
Sergio Corazzini
I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici, semplici così, che se io
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio, come un povero
[specchio melanconico
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
[…]
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per essere detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen
Guido Gozzano
La signorina Felicita , I colloqui
Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi
Desolazione del povero poeta sentimentale, Piccolo luceva una blandizie femminina;
libro inutile
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina;
e più d’ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!
VI.
Unire la mia sorte alla tua sorte
per sempre, nella casa centenaria!
Ah! Con te, forse, piccola consorte
vivace, trasparente come l’aria,
rinnegherei la fede letteraria
che fa la vita simile alla morte...
[dovessi confessarle a te arrossirei. Oh! questa vita sterile, di sogno!
Oggi io penso a morire.
Meglio la vita ruvida concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d’essere un poeta!
Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t’han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi... E non mediti Nietzsche...
Mi piaci. Mi faresti più felice
d’un’intellettuale gemebonda...
4
Tu ignori questo male che s’apprende
in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
tutta beata nelle tue faccende.
Mi piace. Penso che leggendo questi
miei versi tuoi, non mi comprenderesti,
ed a me piace chi non mi comprende.
Ed io non voglio più essere io!
Non più l’esteta gelido, il sofista,
ma vivere nel tuo borgo natio,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
come tuo padre, come il farmacista...
Ed io non voglio più essere io!
Corrado Govoni
Le cose che fanno la domenica, Gli aborti
L’odore caldo del pane che si cuoce dentro il forno
Il canto del gallo nel pollaio.
Il gorgheggio dei canarini alle finestre.
L’urto dei secchi contro il pozzo e il cigolio della
La biancheria distesa nel prato. [puleggia
Il sole sulle soglie.
La tovaglia nuova nella tavola.
Gli specchi nelle camere.
I fiori nei bicchieri.
Il girovago che fa piangere la sua armonica.
Il grido dello spazzacamino.
L’elemosina.
La neve.
Il canale gelato.
Il suono delle campane.
Le donne vestite di nero.
Le comunicanti.
Il suono bianco e nero del pianoforte.
Le suore bianche bendate come ferite.
I preti neri.
I ricoverati grigi.
L’azzurro del cielo sereno.
Le passeggiate degli amanti.
Le passeggiate dei malati.
Lo stormire degli alberi.
I gatti bianchi contro i vetri.
Il prillare delle rosse ventarole.
Lo sbattere delle finestre e delle porte.
Le bucce d’oro degli aranci sul selciato.
I bambini che giuocano nei viali al cerchio.
Le fontane aperte nei giardini.
Gli aquiloni librati sulle case.
I soldati che fanno la manovra azzurra.
I cavalli che scalpitano sulle pietre.
Le fanciulle che vendono le viole.
Il pavone che apre la ruota sopra la scalèa rossa.
Le colombe che tubano sul tetto.
I mandorli fioriti nel convento.
Gli oleandri rosei nei vestiboli.
Le tendine bianche che si muovono al vento.
Giuseppe Ungaretti
Il porto sepolto, L’allegria
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla d'inesauribile segreto
Cera una volta, L’allegria
Bosco Cappuccio
ha un declivio
di velluto verde
come una dolce
poltrona
Appisolarmi là
solo
in un caffè remoto
con una luce fievole
come questa
di questa luna
I fiumi
Mi tengo a quest'albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
5
Mariano il 29 giugno 1916
Quota 141 il 1° agosto 1916
in un'urna di acqua
e come una reliquia
ho riposato
L'Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr' ossa
e me ne sono andato
come un acrobàta
delle acque
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato
a ricevere
il sole
Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
manI
che mi intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni
forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
e questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d'inconsapevolezza
nelle estese pianure
protette d'azzurro
e questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell'Isonzo
e questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch' è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
L’isola, Sentimento del tempo
A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s’inoltrò
E lo richiamò rumore di penne
Ch’erasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell’acqua torrida,
E una larva (languiva
E rifioriva) vide;
Ritornato a salire vide
Ch’era una ninfa e dormiva
Ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera
Errando, giunse a un prato ove
L’ombra negli occhi s’addensava
Delle vergini come
Sera appiè degli ulivi;
Distillavano i rami
Una pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s’erano appisolate
Sotto il liscio tepore,
Altre brucavano
La coltre luminosa;
Le mani del pastore erano un vetro
Levigato da fioca febbre.
6
Cotici il 16 agosto 1916
Inno alla morte, Sentimento del tempo
Amore, mio giovine emblema,
Tomato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
E l’ultima volta che miro
(Appiè del botro, d’irruenti
Acque sontuoso, d’antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull’erba svagata si turba.
Amore, salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi.
Abbandonata la mazza fedele,
Scivolerò nell’acqua buia
Senza rimpianto.
Morte, arido fiume...
Immemore sorella, morte,
L’uguale mi farai del sogno
Baciandomi.
Avrò il tuo passo,
Andrò senza lasciare impronta.
Mi darai il cuore immobile
D’un iddio, sarò innocente,
Non avrò più pensieri né bontà.
Colla mente murata,
Cogli occhi caduti in oblio,
Farò da guida alla felicità
Eugenio Montale
I limoni, Ossi di seppia
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di
[ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Falsetto, Ossi di seppia
Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra
l’arciera Diana.
7
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile di sonagliere.
La dubbia dimane non t’impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola ferma
sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
L’acqua è la forza che ti tempra,
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo,
come un’equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.
Hai ben ragione tu! Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizi
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.
La casa dei doganieri, Le occasioni
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
vi sostò irrequieto1.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’ accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
2ancora sulla balza che scoscende…).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
La gondola…, Le occasioni
La gondola che scivola in un forte
bagliore di catrame e di papaveri,
la subdola canzone che s’alzava
da masse di cordame, l’alte porte
rinchiuse su di te e risa di maschere
che fuggivano a frotte –
una sera tra mille e la mia notte
è più profonda! S’agita laggiù
uno smorto groviglio che m’avviva
a stratti e mi fa eguale a quell’assorto
pescatore d’anguille dalla riva.
Nuove stanze, Le occasioni
Poi che gli ultimi fili di tabacco
al tuo gesto si spengono nel piatto
di cristallo, al soffitto lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi anelli
la seguono, più mobili di quelli
delle tue dita.
La morgana che in cielo liberava
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s’apre la finestra
non vista e il fumo s’agita. Là in fondo,
altro stormo si muove: una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
Il mio dubbio d’un tempo era se forse
tu stessa ignori il giuoco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follìa di morte non si placa a poco
prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo,
ma domanda altri fuochi, oltre le fitte
8
cortine che per te fomenta il dio
del caso, quando assiste.
Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco
tocco la Martinella ed impaura
le sagome d’avorio in una luce
spettrale di nevaio. Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi d’acciaio.
Alfonso Gatto
Carri d’autunno, Isola
Nello spazio lunare
pesa il silenzio dei morti.
Ai carri eternamente remoti
il cigolìo dei lumi
improvvisa perduti e beati
villaggi di sonno.
Come un tepore troveranno l’alba
gli zingari di neve,
come un tepore sotto l’ala i nidi.
Così lontano a trasparire il mondo
ricorda che fu d’erba, una pianura.
Alba a Sorrento, Morto ai paesi (1937)
Al freddo stretto i limoni movevano la luna d’alba
prossima ad esalare scialba nel cielo dei portoni 3 .
Sulla finestra a grate, tra i rami d’arancio
portava il vento uno slancio di polle rosate:
i gerani smorti dal gelo trepidavano d’aria
sotto l’arcata solitaria illuminata dal cielo.
Ai monti pallidi d’ali sorgevano voci remote,
per strada le ruote dei primi carri, i fanali
tenui nel vetro dell’aria, trasparenza del verde
fresco delle persiane 8 ; lungo i cancelli
il sole era un caldo cane addormentato tra i monelli.
Salvatore Quasimodo
L’eucalyptus, Oboe sommerso
Non una dolcezza mi matura,
e fu di pena deriva
ad ogni giorno
il tempo che rinnova
a fiato d'aspre resine.
In me un albero oscilla
da assonnata riva,
alata aria
amare fronde esala.
M’accori, dolente rinverdire,
odore dell'infanzia
che grama gioia accolse,
inferma già per un segreto amore
di narrarsi all'acque.
Isola mattutina:
riaffiora a mezza luce
la volpe d'oro
uccisa a una sorgiva.
Mario Luzi
L’immensità dell’attimo, La barca
Quando tra estreme ombre profonda
in aperti paesi l’estate
rapisce il canto agli armenti
e la memoria dei pastori e ovunque tace
la segreta alacrità delle specie,
i nascituri avvallano
nella dolce volontà delle madri
e preme i rami dei colli e le pianure
aride il progressivo esser dei frutti.
Sulla terra accadono senza luogo,
senza perché le indelebili
verità, in quel soffio ove affondan
leggere il peso le fronde
le navi inclinano il fianco
e l’ansia de’ naviganti a strane coste,
il suono d’ogni voce
perde sé nel suo grembo, al mare al vento.
Avorio, Avvento notturno
Parla il cipresso equinoziale1 oscuro
e montuoso esulta il capriolo,
dentro le fonti rosse le criniere
dai baci adagio lavan le cavalle.
Giù da foreste vaporose immensi
9
alle eccelse città battono i fiumi
lungamente, si muovono in un sogno
affettuose vele verso Olimpia.
Correranno le intense vie d’Oriente
ventilate fanciulle e dai mercati
salmastri guarderanno ilari il mondo.
Ma dove attingerò io la mia vita
ora che il tremebondo amore è morto?
Violavano le rose l’orizzonte,
esitanti città stavano in cielo
asperse di giardini tormentosi,
la sua voce nell’aria era una roccia
deserta e incolmabile di fiori.
A. Gatto, Amore
Silenzio, primitivo amore: cautela
di sembrare devoto, allontanato
nella sera armoniosa che rivela
favole calme e sogni al mio passato.
Odora calda origine: mi svela
desideri perduti ed un fissato
contegno di tacere: in me si cela
idillio eterno, il mondo immaginato.
In pudore deserto, alla serena
notte, continua voce m’allontana.
Un silenzio di pelle al mio svanire
risale il cielo: odore, antica pena
in cui m’amai compiuto: e resta vana
memoria il tempo, un sogno di morire
(Isola, 1932)
Vittorio Sereni
Terrazza, Frontiera
Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
Dove il lago finisca;
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.
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Nella sera armoniosa che rivela
favole calme e sogni al mio passato
l’amore così timido mi svela
desideri perduti, quasi il fiato
delle prime parole in cui si vela
idillio eterno il mondo immaginato.
O di silenzio calda già s’inciela
la rondine nel volo e l’incantato
fanciullo lascia a scorgere serena
la notte che all’oriente s’allontana.
E del mio cuore nulla saprò dire
ad altri mai, fu tenero ed in piena
di sua pietà travolto lasciò vana
memoria al tempo, un sogno di morire.
(Poesie, 1939)