DOCUMENTI - Facoltà di Lettere e Filosofia
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STORIA DELLE REGIONI ALPINE OCCIDENTALI<br />
NEL MEDIOEVO<br />
(Modulo 1, a.a. 2007/2008)<br />
Luigi Provero<br />
<strong>DOCUMENTI</strong>
L'ascesa al trono <strong>di</strong> Rotari (Paolo Diacono, Storia dei Longobar<strong>di</strong>)<br />
PAOLO DIACONO, Storia dei Longobar<strong>di</strong>, a cura <strong>di</strong> L. CAPO, Milano 1992, pp. 225-227<br />
(testo e traduzione)<br />
Assunse il regno Rotari, della stirpe degli Aro<strong>di</strong>. Fu uomo <strong>di</strong> grande forza e seguì il<br />
sentiero della giustizia, ma non tenne la retta via nella fede cristiana e si macchiò della<br />
perfi<strong>di</strong>a dell'eresia ariana. Perché gli Ariani sostengono, a loro rovina, che il Figlio è minore<br />
del Padre e che lo Spirito Santo è minore del Padre e del Figlio; invece noi cattolici<br />
professiamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono un unico e vero Dio in tre<br />
Persone, con uguale potenza e stessa gloria. Ai suoi tempi in quasi ogni città del suo regno<br />
c'erano due vescovi, uno cattolico e l'altro ariano. Ancor oggi nella città <strong>di</strong> Ticino si mostra<br />
il luogo dove aveva il battistero il vescovo ariano, che risiedeva presso la basilica <strong>di</strong><br />
Sant'Eusebio, pur essendo presente in città anche il vescovo della Chiesa cattolica. Tuttavia<br />
il vescovo ariano <strong>di</strong> Ticino, <strong>di</strong> nome Anastasio, si convertì alla fede cattolica e resse poi la<br />
Chiesa <strong>di</strong> Cristo. Il re Rotari redasse in una serie <strong>di</strong> articoli scritti le leggi dei Longobar<strong>di</strong>,<br />
che si conservavano solo attraverso la memoria e l'uso, e or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> dare al co<strong>di</strong>ce il nome <strong>di</strong><br />
E<strong>di</strong>tto. Era ormai il settantasettesimo anno da quando i Longobar<strong>di</strong> erano venuti in Italia,<br />
come attesta il re stesso nel prologo del suo E<strong>di</strong>tto.<br />
Leggi longobarde, prologo <strong>di</strong> Rotari (643)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 243 sg.<br />
Inizia l'E<strong>di</strong>tto che ha rinnovato Rotari signore, uomo eccellentissimo, re della stirpe<br />
dei Longobar<strong>di</strong>, con i suoi giu<strong>di</strong>ci preminenti.<br />
Nel nome del Signore, io Rotari, uomo eccellentissimo e <strong>di</strong>ciassettesimo re della stirpe<br />
dei Longobar<strong>di</strong>, nell'ottavo anno del mio regno col favore <strong>di</strong> Dio, nel trentottesimo anno<br />
d'età, nella seconda in<strong>di</strong>zione e nell'anno settantaseiesimo dopo la venuta nella provincia<br />
d'Italia dei Longobar<strong>di</strong>, dove furono condotti dalla potenza <strong>di</strong>vina, essendo in quel tempo<br />
re Alboino, [mio] predecessore, salute. Dato a Pavia, nel palazzo.<br />
Quanta è stata, ed è, la nostra sollecitu<strong>di</strong>ne per la prosperità dei nostri sud<strong>di</strong>ti lo<br />
<strong>di</strong>mostra il tenore <strong>di</strong> quanto è aggiunto sotto, principalmente per le continue fatiche dei<br />
poveri, così come anche per le eccessive esazioni da parte <strong>di</strong> coloro che hanno maggior<br />
potere, a causa dei quali abbiamo saputo che subiscono violenza. Per questo, confidando<br />
nella grazia <strong>di</strong> Dio onnipotente, ci è parso necessario promulgare migliorata la presente<br />
1
legge, che rinnova ed emenda tutte le precedenti ed aggiunge ciò che manca e toglie ciò che<br />
è superfluo. Vogliamo che sia riunito tutto in un volume, perché sia consentito a ciascuno<br />
vivere in pace nella legge e nella giustizia e con questa consapevolezza impegnarsi contro i<br />
nemici e <strong>di</strong>fendere se stesso e il proprio paese. Tuttavia, sebbene le cose stiano così, ci è<br />
parso utile per la memoria dei tempi futuri or<strong>di</strong>nare che siano annotati in questa<br />
pergamena i nomi dei re nostri predecessori, da quando i re cominciarono ad essere<br />
nominati nella nostra stirpe dei Longobar<strong>di</strong>, così come lo abbiamo appreso tramite gli<br />
anziani.<br />
Il primo re fu Agilmundo, del lignaggio dei Gugingi. [...]<br />
Il <strong>di</strong>ciassettesimo io Rotari, <strong>di</strong> cui sopra, re in nome <strong>di</strong> Dio, figlio <strong>di</strong> Nan<strong>di</strong>nig, del<br />
lignaggio degli Haro<strong>di</strong>.<br />
Nan<strong>di</strong>nig [era] figlio <strong>di</strong> Notzone, Notzone figlio <strong>di</strong> Adamundo, Adamundo figlio <strong>di</strong><br />
Alaman, Alaman figlio <strong>di</strong> Hiltzone, Hiltzone figlio <strong>di</strong> Wehilone, Wehilone figlio <strong>di</strong> Weone,<br />
Weone figlio <strong>di</strong> Fronchone, Fronchone figlio <strong>di</strong> Fachone, Fachone figlio <strong>di</strong> Mammone,<br />
Mammone figlio <strong>di</strong> Ustbora.<br />
L'origine del popolo dei Longobar<strong>di</strong>, cap. 1<br />
trad. tratta da Le leggi dei Longobar<strong>di</strong>. Storia, memoria e <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> un popolo<br />
germanico, a c. <strong>di</strong> C. AZZARA, S. GASPARRI, Milano 1992, p. 3<br />
C'è un'isola, detta Scadanan, che significa "ecci<strong>di</strong>", nelle regioni dell'Aquilone, dove<br />
abitano molte stirpi; tra <strong>di</strong> esse c'era una stirpe piccola che era chiamata dei Winnili. E c'era<br />
con loro una donna <strong>di</strong> nome Gambara e aveva due figli, uno <strong>di</strong> nome Ibor e l'altro <strong>di</strong> nome<br />
Aione; costoro, assieme alla loro madre <strong>di</strong> nome Gambara, avevano il comando sui Winnili.<br />
Si mossero quin<strong>di</strong> i duchi dei Vandali, cioè Ambri ed Assi, con il loro esercito, e <strong>di</strong>cevano ai<br />
Winnili: “Pagateci dei tributi o preparatevi alla battaglia e battetevi con noi”. Risposero<br />
allora Ibor ed Aione con la loro madre Gambara: “Per noi è meglio preparaci alla battaglia,<br />
piuttosto che pagare dei tributi ai Vandali”. Allora Ambri ed Assi, cioè i duchi dei Vandali,<br />
pregarono Wotan perché concedesse loro la vittoria sui Winnili. Wotan rispose <strong>di</strong>cendo: “A<br />
quelli che vedrò per primi al sorgere del sole, a costoro concederò la vittoria”. In quel<br />
tempo medesimo, Gambara con i suoi due figli, cioè Ibor ed Aione, che comandavano sui<br />
Winnili, pregarono Frea, la moglie <strong>di</strong> Wotan, perché fosse propizia ai Winnili. Allora Frea<br />
consigliò che i Winnili venissero al sorgere del sole e le loro mogli venissero con i propri<br />
mariti con i capelli sciolti attorno al volto, a somiglianza <strong>di</strong> una barba. Quando il sole<br />
nascente si levò, Frea, moglie <strong>di</strong> Wotan, girò il letto su cui giaceva suo marito e fece che sì<br />
che il suo viso fosse rivolto verso oriente e lo svegliò. E quello, guardando, vide i Winnili e<br />
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le loro mogli con i capelli sciolti attorno al volto e <strong>di</strong>sse: “Chi sono quelle lunghebarbe?”. E<br />
Frea <strong>di</strong>sse a Wotan: “Come hai dato loro un nome, dà loro anche la vittoria”. Ed [egli] <strong>di</strong>ede<br />
loro la vittoria perché, così come sembrava opportuno, si ven<strong>di</strong>cassero e riportassero la<br />
vittoria. Da quel tempo i Winnili sono chiamati Longobar<strong>di</strong>.<br />
Il battesimo <strong>di</strong> Clodoveo (Gregorio <strong>di</strong> Tours, Storia dei Franchi)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 123 sg.<br />
Intanto la regina non smetteva <strong>di</strong> pregare, affinché Clodoveo arrivasse a conoscere il<br />
vero Dio e abbandonasse gli idoli. Eppure in nessun modo egli poteva essere allontanato da<br />
queste credenze, finché un giorno, durante una guerra <strong>di</strong>chiarata contro gli Alamanni, egli<br />
fu costretto per necessità a credere quello che prima aveva negato sempre ostinatamente.<br />
Accadde infatti che, venuti a combattimento i due eserciti, si profilava un massacro e<br />
l'esercito <strong>di</strong> Clodoveo cominciò a subire una grande strage. Vedendo questo, egli, levati gli<br />
occhi al cielo e con il cuore addolorato, già scosso dalle lacrime, <strong>di</strong>sse: "O Gesù Cristo, che<br />
Clotilde pre<strong>di</strong>ca come figlio del Dio vivente, tu che, <strong>di</strong>cono, presti aiuto a coloro che sono<br />
angustiati e che doni la vittoria a quelli che sperano in te, io devotamente chiedo la gloria<br />
del tuo favore, affinché, se mi concederai la vittoria sopra questi nemici e se potrò<br />
sperimentare quella grazia che <strong>di</strong>ce d'aver provato il popolo de<strong>di</strong>cato al tuo nome, io possa<br />
poi credere in te ed essere così battezzato nel tuo nome. Perché ho invocato i miei dei ma,<br />
come vedo, si sono astenuti dall'aiutarmi; per questo credo che loro non posseggano alcuna<br />
capacità, perché non soccorrono quelli che credono in loro. Allora, adesso, invoco te, in te<br />
voglio credere, basta che tu mi sottragga ai miei nemici". E dopo aver pronunciato queste<br />
frasi, ecco che gli Alamanni si volsero in fuga, e cominciarono a <strong>di</strong>sperdersi.<br />
Poi, quando seppero che il loro re era stato ucciso, si sottomisero alla volontà <strong>di</strong><br />
Clodoveo <strong>di</strong>cendo: "Ti preghiamo, non uccidere più la nostra gente: ormai siamo in mano<br />
tua". Ed egli, sospese le ostilità, parlò all'esercito e, tornando in pace, raccontò alla regina<br />
in quale modo meritò d'ottenere la vittoria attraverso l'invocazione del nome <strong>di</strong> Cristo. E<br />
questo fu nel quin<strong>di</strong>cesimo anno del suo regno.<br />
Allora la regina or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> nascosto al santo Remigio, vescovo della città <strong>di</strong> Reims, <strong>di</strong><br />
presentarsi, pregandolo d'introdurre nell'animo del re la parola della vera salute. Giunto<br />
presso <strong>di</strong> lui, il vescovo cominciò con delicatezza a chiedergli che credesse nel Dio vero,<br />
creatore del cielo e della terra, che abbandonasse gli idoli, i quali non potevano giovare né<br />
a lui né ad altri. Ma Clodoveo rispondeva: "Io ti ascolto volentieri, santissimo padre; ma c'è<br />
una cosa: il popolo, che mi segue in tutto, non ammette <strong>di</strong> rinunciare ai propri dei; eppure,<br />
3
egualmente, io andrò e parlerò a loro secondo quanto m'hai detto". Trovatosi quin<strong>di</strong> con i<br />
suoi, prima ch'egli potesse parlare, poiché la potenza <strong>di</strong> Dio lo aveva preceduto, tutto<br />
l'esercito acclamò all'unisono: "Noi rifiutiamo gli dei mortali, o re pio, e siamo preparati a<br />
seguire il Dio che Remigio pre<strong>di</strong>ca come immortale". E annunziarono queste decisioni al<br />
vescovo, che, pieno <strong>di</strong> gioia, comandò che fosse preparato il lavacro. [...]<br />
Allora il re chiese d’essere battezzato per primo dal pontefice. S’avvicinò al lavacro<br />
come un nuovo Costantino, per essere liberato dalla lebbra antica, per sciogliere in<br />
un'acqua fresca macchie luride createsi lontano nel tempo. E, quando Clodoveo fu entrato<br />
nel battesimo, il santo <strong>di</strong> Dio così <strong>di</strong>sse con parole solenni: "Piega quieto il tuo capo, o<br />
Sicambro; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato". Il santo Remigio<br />
era vescovo <strong>di</strong> grande scienza ed assai istruito negli stu<strong>di</strong> retorici, ma anche tanto elevato<br />
in santità da poter essere paragonato a Silvestro nei miracoli. Esiste infatti un libro intorno<br />
alla sua vita che racconta come egli risuscitò un morto.<br />
Così il re confessò Dio onnipotente nella Trinità, fu battezzato nel nome del Padre, del<br />
Figlio e dello Spirito Santo e venne segnato con il sacro crisma del segno della croce <strong>di</strong><br />
Cristo. Del suo esercito, poi, ne furono battezzati più <strong>di</strong> tremila.<br />
Clausola per l'unzione <strong>di</strong> Pipino<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 123 sg.<br />
Il potentissimo signore Pipino fu innalzato al trono per autorità e comando del papa<br />
Zaccaria <strong>di</strong> santa memoria, per unzione del santo crisma ad opera dei beati vescovi della<br />
Gallia e per elezione <strong>di</strong> tutti i Franchi. Dopo tre anni, per mano del pontefice Stefano, nella<br />
chiesa dei beati martiri Dionigi, Rustico ed Eleuterio - dove è arcivescovo e abate il<br />
venerabile Fulrado - in un solo giorno fu unto e benedetto re e patrizio, nel nome della<br />
santa Trinità, insieme con i figli Carlo e Carlomanno. Nello stesso giorno, in quella stessa<br />
chiesa dei beati martiri, il pontefice bene<strong>di</strong>sse con la grazia dello Spirito Santo la sposa del<br />
re potentissimo, la nobilissima Bertrada - devotissima e zelante del culto dei martiri -<br />
vestita dei paramenti regali.<br />
Contemporaneamente fortificò con la grazia dello Spirito Santo i principi dei Franchi e<br />
fece a tutti loro <strong>di</strong>vieto, pena la scomunica, <strong>di</strong> scegliere mai, per il futuro, un re <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong> coloro che la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong>vina si era degnata <strong>di</strong><br />
innalzare e che su intercessione dei santi apostoli - aveva voluto confermare e consacrare<br />
per mano del beatissimo pontefice, loro vicario.<br />
4
Gli ultimi Merovingi (Eginardo, Vita <strong>di</strong> Carlo)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 227 sg.<br />
La stirpe dei Merovingi, dalla quale i Franchi erano soliti eleggere i loro re, si reputa<br />
sia durata fino al re Childerico che, per or<strong>di</strong>ne del romano pontefice Stefano, fu deposto e<br />
successivamente sottoposto a tonsura e rinchiuso in un monastero. E sebbene tale stirpe<br />
appaia finire con lui, già da tempo non aveva alcuna vitalità, e niente offriva in sé <strong>di</strong><br />
illustre se non il vano titolo <strong>di</strong> re. Infatti le ricchezze e il potere del regno erano saldamente<br />
in mano dei maestri <strong>di</strong> palazzo, che erano detti maggiordomi ed esercitavano il supremo<br />
potere dello Stato.<br />
Né al re veniva lasciato altro che sedersi sul trono contentandosi del semplice titolo<br />
regale, con la chioma abbondante e la barba fluente, a dare la rappresentazione del<br />
sovrano, concedendo u<strong>di</strong>enza ai legati che venivano d'ogni dove e rendendo loro, quando<br />
ripartivano, le risposte per le quali veniva istruito o anche comandato, in modo tale che<br />
sembrassero venire dalla sua volontà. Quin<strong>di</strong>, eccetto l'inutile titolo <strong>di</strong> re e un precario<br />
appannaggio per vivere che il palazzo gli elargiva come meglio credeva, non aveva nulla <strong>di</strong><br />
sua proprietà se non una sola tenuta e anch'essa <strong>di</strong> scarsissimo red<strong>di</strong>to, dov'era la sua<br />
<strong>di</strong>mora e da cui traeva i poco numerosi domestici che accu<strong>di</strong>vano alle sue necessità e gli<br />
prestavano omaggio. Dovunque dovesse recarsi, viaggiava col carro condotto da coppie <strong>di</strong><br />
buoi guidati da un bifolco, all'uso rustico. Così era solito recarsi a palazzo, così andava<br />
all'assemblea generale del suo popolo, che ogni anno si celebrava per trattare le questioni<br />
del regno, così tornava alla sua <strong>di</strong>mora. Ma all'amministrazione del regno e a tutto ciò che<br />
in patria o all'estero doveva essere svolto o <strong>di</strong>sposto badava il maestro <strong>di</strong> palazzo.<br />
Tale carica, al tempo in cui Childerico venne deposto, era già tenuta quasi per <strong>di</strong>ritto<br />
ere<strong>di</strong>tario da Pipino padre <strong>di</strong> re Carlo. A sua volta infatti già era stata esercitata da Carlo<br />
padre <strong>di</strong> Pipino, colui che schiacciò i tiranni che pretendevano il dominio su tutta la<br />
Francia e che sconfisse i Saraceni che tentavano <strong>di</strong> occupare la Gallia [...].<br />
5
Gli obblighi del vassallo (801-813?).<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 385<br />
Se qualcuno vorrà abbandonare il suo signore e potrà comprovare uno dei seguenti<br />
crimini: cioè, in primo luogo che il signore abbia voluto ingiustamente ridurlo in servitù; in<br />
secondo luogo, che abbia tramato contro la sua vita; in terzo luogo, che il signore abbia<br />
commesso adulterio con la moglie del suo vassallo; in quarto luogo, che il signore si sia<br />
scagliato con la spada sguainata contro <strong>di</strong> lui con la volontà <strong>di</strong> ucciderlo; in quinto luogo,<br />
che il signore non abbia prestato aiuto al suo vassallo dopo che questo si era accomandato<br />
nelle sue mani, allora sia lecito al vassallo abbandonarlo.<br />
Capitolare sulla spe<strong>di</strong>zione in Corsica (825)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 391<br />
Vogliamo che tutti i conti mantengano questa <strong>di</strong>sposizione tra quelli che con essi si<br />
<strong>di</strong>rigono in Corsica o devono restare.<br />
1. I vassalli dominici che sono austal<strong>di</strong> e che prestano spesso servizio nel nostro<br />
palazzo, vogliamo che rimangano; i loro uomini che in precedenza essi avevano e che per<br />
questa circostanza ad essi si erano commendati, restino con i loro signori. Coloro che invece<br />
si trovano a loro <strong>di</strong>sposizione, vogliamo sapere chi siano e quin<strong>di</strong> vogliamo valutare, chi<br />
parta e chi rimanga. Coloro che invece godono <strong>di</strong> nostri benefici e risiedono fuori [dal<br />
palazzo]vogliamo che partano.<br />
2. Gli uomini dei vescovi o degli abati, che risiedono fuori, vogliamo che vadano con i<br />
loro conti, eccetto i due che lui abbia scelto; e i loro austal<strong>di</strong> liberi, tranne quattro,<br />
vogliamo che siano pienamente mobilitati.<br />
3. Per i restanti uomini liberi, detti bharigil<strong>di</strong>, vogliamo che ogni conte si comporti in<br />
questo modo: è evidente che coloro che possiedono molti beni e che possono andare da<br />
soli, ed hanno anche salute e forze adatte, vadano; quelli che invece possiedono beni, ma<br />
tuttavia non sono in grado <strong>di</strong> andare, aiutino chi è valido ma povero. Riguardo ai liberi <strong>di</strong><br />
secondo rango, che a causa della loro povertà non possono andare da soli, ma lo possono in<br />
parte, si uniscano in due, in tre o in quattro (e in altri se fosse necessario), i quali secondo<br />
la valutazione del conte <strong>di</strong>ano l’aiuto a uno che possa così andare; e in questo modo<br />
codesta <strong>di</strong>sposizione sia osservata fino a quelli che per troppa povertà né sono in grado <strong>di</strong><br />
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andare da soli, né sono in grado <strong>di</strong> dare aiuto a chi parte. I conti possono esentare ma solo<br />
secondo l’antica consuetu<strong>di</strong>ne che deve essere fedelmente osservata da quei conti.<br />
Capitolare <strong>di</strong> Quierzy-sur-Oise (877)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 395 sg.<br />
9. Se sarà morto un conte, il cui figlio sia con noi, nostro figlio, insieme con gli altri<br />
nostri fedeli <strong>di</strong>sponga <strong>di</strong> coloro che furono tra i più familiari e più vicini al defunto, i quali<br />
insieme con i ministeriali della stessa contea e col vescovo amministrino la contea fino<br />
quando ciò sarà riferito a noi. Se invero [il defunto] avrà un figlio piccolo, questo stesso<br />
insieme con i ministeriali della contea e il vescovo, nella cui <strong>di</strong>ocesi si trova, amministri la<br />
medesima contea, finché non ce ne giunga notizia. Se invece non avrà figli, nostro figlio,<br />
insieme con i rimanenti nostri fedeli, decida chi, insieme con i ministeriali della stessa<br />
contea con il vescovo, debba amministrare la stessa contea, finché non arriverà la nostra<br />
decisione. E a causa <strong>di</strong> ciò nessuno si irriti se affideremo la medesima contea a un altro, che<br />
a noi piaccia, piuttosto che a colui il quale fino ad allora la amministrò. Ugualmente, dovrà<br />
essere fatto anche dai nostri vassalli. E vogliamo ed espressamente or<strong>di</strong>niamo che tanto i<br />
vescovi, quanto gli abati e i conti, o anche gli altri nostri fedeli cerchino <strong>di</strong> applicare le<br />
stesse regole nei confronti dei loro uomini.<br />
10. Se qualcuno dei nostri fedeli, dopo la nostra morte, [...] vorrà rinunciare al<br />
mondo, lasciando un figlio o un parente capace <strong>di</strong> servire lo stato, egli sia autorizzato a<br />
trasmettergli i suoi onori [...]. E se vorrà vivere tranquillamente sul suo allo<strong>di</strong>o, nessuno osi<br />
ostacolarlo in alcun modo né si esiga da lui null'altro che l'impegno <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere la patria.<br />
Capitolare sulle villae<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, pp. 396-402.<br />
1. Vogliamo che le nostre ville, che abbiamo istituito per il nostro profitto, siano<br />
sfruttate integralmente a nostro vantaggio e non all'altrui.<br />
2. Che tutti i nostri sottoposti siano trattati bene e da nessuno ridotti in povertà.<br />
3. Che i nostri giu<strong>di</strong>ci non pretendano <strong>di</strong> impiegare i nostri sottoposti a loro servizio,<br />
né li costringano alle corvées, al taglio della legna, né ad altro lavoro a loro personale<br />
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vantaggio; non accettino nulla in dono da loro, né un cavallo, un bove, una vacca, un<br />
porco, una pecora, un maiale, un agnello, né alcuna altra cosa, se non qualche bottiglia <strong>di</strong><br />
vino, ortaggi, frutta, polli e uova.<br />
4. Se i nostri sottoposti si sono resi colpevoli <strong>di</strong> una frode a nostro danno, <strong>di</strong> un<br />
ladrocinio o <strong>di</strong> altra colpa, riparino il danno per intero; per il resto, secondo la legge,<br />
ricevano la punizione della frusta, tranne che per i reati <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o e incen<strong>di</strong>o, che<br />
possono essere puniti con un'ammenda.<br />
6. Vogliamo che i nostri giu<strong>di</strong>ci devolvano integralmente la decima <strong>di</strong> ogni prodotto<br />
alle chiese poste sui nostri posse<strong>di</strong>menti, e che le decime non siano date alle chiese altrui,<br />
se non nel caso in cui ciò sia stabilito fin dall'antico. E quelle stesse chiese non siano<br />
affidate ad altri chierici che ai nostri, della nostra casa e della nostra cappella.<br />
8. Che i nostri giu<strong>di</strong>ci curino le nostre vigne che sono <strong>di</strong> loro competenza e le<br />
coltivino bene; sistemino il vino in recipienti adatti in modo che non possa andare a male.<br />
Il resto del vino se lo procurino, acquistandolo, in quantità sufficiente<br />
all'approvvigionamento della tenuta signorile. Nel caso se ne sia acquistato in quantità<br />
superiore al fabbisogno dei nostri posse<strong>di</strong>menti, ci sia reso noto, onde possiamo far sapere<br />
quale sia la nostra volontà in proposito.<br />
16. Vogliamo che i giu<strong>di</strong>ci obbe<strong>di</strong>scano puntualmente a qualunque cosa sarà loro<br />
comandata da noi, dalla regina, o dai nostri funzionari, siniscalco e bottigliere, in nome<br />
nostro o della regina; chiunque pecchi <strong>di</strong> negligenza, si astenga dal bere dal momento in<br />
cui sarà avvertito, fino a che non venga in presenza nostra o della regina a chiedere la<br />
grazia per l'assoluzione. Se poi un intendente è sotto le armi, o <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a, o incaricato <strong>di</strong><br />
un'ambasceria altrove, e qualcuno dei suoi or<strong>di</strong>ni non sarà stato eseguito dai suoi<br />
subalterni, costoro vengano a pie<strong>di</strong> a palazzo e si astengano dalla carne e dalle bevande<br />
finché non avranno reso conto della loro trascuratezza; poi ascoltino la sentenza e siano<br />
puniti con percosse sulla schiena o con quella punizione che piacerà a noi o alla regina.<br />
42. Che in ognuna della nostre proprietà, l'alloggio sia provvisto <strong>di</strong> trapunte, cuscini,<br />
guanciali, lenzuola, tovaglie, panche, vasi <strong>di</strong> rame, <strong>di</strong> piombo, <strong>di</strong> ferro, <strong>di</strong> legno; <strong>di</strong> alari,<br />
catene, ganci da camino, cazzuole, asce, coltelli da cucina, trapani, scalpelli e ogni altra<br />
specie <strong>di</strong> utensili, onde non sia necessario cercarli o prenderli a prestito altrove. E<br />
considerino loro compito che gli strumenti da guerra siano in buono stato e quando<br />
saranno resi siano <strong>di</strong> nuovo sistemati negli alloggi.<br />
44. Ogni anno ci siano inviati per nostro uso due terzi dei cibi magri, sia legumi che<br />
pesce, formaggi, burro, miele, senape, aceto; miglio, panico, erbe secche e ver<strong>di</strong>, ra<strong>di</strong>ci e<br />
navoni, cera e sapone e tutti gli altri prodotti; e ciò che resta ci sia comunicato attraverso<br />
un ren<strong>di</strong>conto […]; non <strong>di</strong>mentichino assolutamente <strong>di</strong> fare questo, come fino ad ora hanno<br />
fatto, perché vogliamo conoscere, per mezzo dei due terzi, in che cosa consista quel terzo<br />
che rimane.<br />
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45. Ciascun giu<strong>di</strong>ce abbia nel suo <strong>di</strong>stretto dei buoni artigiani: cioè fabbri ferrai,<br />
argentieri e orefici; calzolai, tornitori, carpentieri, fabbricanti <strong>di</strong> scu<strong>di</strong>, pescatori,<br />
uccellatori, saponificatori, fabbricanti <strong>di</strong> birra, <strong>di</strong> sidro, <strong>di</strong> liquore <strong>di</strong> pere o che sappiano<br />
fare ogni altro tipo <strong>di</strong> liquore da bere; fornai che preparino pani per la nostra tavola;<br />
artigiani che sappiano fare bene le reti, sia per la caccia che per la pesca e per catturare gli<br />
uccelli; e tutti gli altri che sarebbe troppo lungo enumerare.<br />
62. Ogni giu<strong>di</strong>ce ci renda noto <strong>di</strong> anno in anno, a Natale, con un elenco <strong>di</strong>stinto ed<br />
or<strong>di</strong>nato, l'entità delle ren<strong>di</strong>te <strong>di</strong> ogni singolo prodotto, in modo che possiamo sapere che<br />
cosa e quanto ci venga da ogni cosa.<br />
doc. 28<br />
Placito <strong>di</strong> Torino (827)<br />
Monumenta Novaliciensia Vetustiora, a cura <strong>di</strong> C. Cipolla, Roma 1898, I, pp.75-80,<br />
Notizia del giu<strong>di</strong>zio con il quale è stata compiuta e definita una causa. Mentre il conte<br />
Bosone, messo del signor imperatore, risiedeva nella città <strong>di</strong> Torino, nella corte ducale, nel<br />
placito pubblico per ascoltare le cause <strong>di</strong> tutti e deliberare in merito, e con lui erano<br />
presenti Clau<strong>di</strong>o vescovo della santa chiesa torinese, Ratperto conte, Vaulfrit, Rotpaldo,<br />
Eldefre, Teudelo e Australdo vassalli imperiali, Boniperto, Mauro e Sunifrit giu<strong>di</strong>ci<br />
imperiali, Ansulfo, Leone e Grauso scabini torinesi, Turengo, Berto e Bertllo vassalli del<br />
conte Ratperto, e altri;<br />
vennero in loro presenza, a presentare querela, Sigiberto, Tattone, Bertaldo,<br />
Sigiprando, Liberto, Ghisemar, Ghisulfo, Bertelaigo, Ghisemundo, Anseberto, Gariardo,<br />
Ghiso, Alulfo, Stavari, Landeverto, Gaiperto, Gunduni, residenti nel villaggio <strong>di</strong> Oziate,<br />
<strong>di</strong>chiarando che la chiesa <strong>di</strong> San Pietro del monastero <strong>di</strong> Novalesa, in cui era abate<br />
Eldrado, li aveva pignorati illegalmente e voleva ingiustamente ridurli al proprio servizio.<br />
Il conte e messo imperiale Bosone fece quin<strong>di</strong> venire, alla presenza sua e <strong>di</strong> quegli<br />
uomini, Giselberto <strong>di</strong> Feletto, che è avvocato del detto monastero <strong>di</strong> Novalesa, perché desse<br />
risposta; Giselberto <strong>di</strong>chiarò che non ne sapeva nulla e che avrebbe indagato.<br />
Stabilirono quin<strong>di</strong> che entrambe le parti, sia Giselberto sia gli uomini che avevano<br />
presentato la querela, dessero garanzie che Giselberto avrebbe indagato e le due parti si<br />
sarebbero presentate al placito del conte Ratperto per averne giu<strong>di</strong>zio. Bosone, conte e<br />
messo imperiale, ammonì il conte Ratperto <strong>di</strong> indagare <strong>di</strong>ligentemente la causa e deliberare<br />
in merito secondo legge e giustizia, ponendosi tra <strong>di</strong> loro come giu<strong>di</strong>ce.<br />
- Nel giorno stabilito, mentre il detto Ratperto, conte del luogo, era nella corte <strong>di</strong><br />
Continasco, nel pubblico placito per ascoltare le cause <strong>di</strong> tutti e deliberare in merito, ed<br />
9
erano presenti con lui Clau<strong>di</strong>o vescovo della chiesa <strong>di</strong> Torino, Vualfredo vassallo imperiale,<br />
Isemberto cappellano imperiale, Sunifrit, Giovanni e Ugherardo scabini, Grasemaro e<br />
Graseverto gastal<strong>di</strong> <strong>di</strong> Torresana, Madalgaudo e Agustaldo sculdasci, Torengo, Betillo, Betto,<br />
Gundachari vassalli del detto conte Ratperto, Aredeo <strong>di</strong> Vigone, Raidulfo <strong>di</strong> Continasco,<br />
Ghisemundo <strong>di</strong> Ubero e altri;<br />
alla presenza dei suddetti si presentarono gli uomini residenti nel villaggio <strong>di</strong> Oziate e<br />
Giselberto avvocato del detto monastero <strong>di</strong> Novalesa, insieme con Ricario e Aleramo<br />
prevosti e monaci del detto monastero <strong>di</strong> S. Pietro <strong>di</strong> Novalesa; i suddetti uomini del<br />
villaggio <strong>di</strong> Oziate <strong>di</strong>cevano e reclamavano che il detto monastero li aveva pignorati<br />
illegalmente e voleva sottometterli al suo servizio, ingiustamente perché essi dovevano<br />
essere liberi <strong>di</strong> fronte alla legge..<br />
A questo rispose il detto Giselberto: non è vero, come <strong>di</strong>te, che il monastero <strong>di</strong><br />
Novalesa vi abbia pignorato illegalmente o voglia asservirvi ingiustamente, perché i vostri<br />
avi, padri e parenti erano <strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> Unnone, figlio <strong>di</strong> Dionisio, che donò tutti i suoi<br />
beni al detto monastero <strong>di</strong> S. Pietro, e abbiamo anche delle sentenze da cui risulta che i<br />
vostri parenti furono in lite con Unnone e con il monastero, e in giu<strong>di</strong>zio furono sconfitti.<br />
E mostrava queste sentenze e le fecero leggere:<br />
a) [774-800] La prima sentenza riportava che Unnone, con Adamo e Dondone<br />
monaci del detto monastero, ebbero un processo contro Antolino, Tattone, Radoaldo,<br />
Gaiperto, Gundo, Audoaldo, Fortemundo, Faroaldo, Vualperto, Vualcauso, Teobaldo,<br />
Leodoaldo, Donadeo e Rodoaldo, alla presenza <strong>di</strong> Vuiberto e Arduino messi del re<br />
Carlo, <strong>di</strong> Andrea vescovo, e dei loro scabini Ardengo, Friccone, Arderico, Vuiniperto,<br />
Rotelmo e Ghisfredo; e in quell’occasione i detti uomini mostrarono la carta <strong>di</strong> libertà<br />
che il loro signore Dionisio, che era il padre <strong>di</strong> Unnone, aveva concesso loro, e lo<br />
stesso Unnone e i monaci <strong>di</strong>mostrarono con testimoni che detta carta per trent’anni<br />
era rimasta senza effetto, e questi uomini per trent’anni avevano servito sotto<br />
con<strong>di</strong>zione Dionisio e Unnone.<br />
b) [800-814] La seconda sentenza riportava che Gundo, Fortemundo,<br />
Bertemundo, Radoaldo, Liudoaldo, Rodoaldo, Giovanni, Simperto, Vualcauso,<br />
Ermerigo, con altri loro consorti, ebbero un processo con l’abate Frodoino nel palazzo<br />
della città <strong>di</strong> Pavia, alla presenza <strong>di</strong> Amalrico, Ariberto e Vulperto scabini; e lì fu<br />
presentata la prima sentenza, fu letta e fu confermata dallo scabino Rotelmo, che<br />
<strong>di</strong>fendeva detta sentenza e la <strong>di</strong>chiarò autentica; quando gli scabini seppero ciò,<br />
interrogarono i suddetti uomini del villaggio <strong>di</strong> Oziate, chiedendo se i loro <strong>di</strong>ritti<br />
fossero tali quali erano descritti nella sentenza, e se questa sentenza fosse autentica, al<br />
che i suddetti uomini <strong>di</strong> Oziate riconobbero e <strong>di</strong>chiararono che questa sentenza era<br />
autentica e gli uomini lì citati erano i loro nonni, padri e parenti ed erano <strong>di</strong>pendenti<br />
da Dionisio, che fu padre <strong>di</strong> Unnone, e lo avevano servito sotto con<strong>di</strong>zione, come da<br />
sentenza, ed essi stessi in precedenza avevano voluto fare tale servizio, perché la loro<br />
con<strong>di</strong>zione era quella descritta nella sentenza, e fecero questo servizio sia con le cose<br />
sia con le persone.<br />
Quando i suddetti scabini u<strong>di</strong>rono e seppero tutto ciò, sembrò loro giusto e<br />
stabilirono che questi uomini del villaggio <strong>di</strong> Oziate facciano in futuro questo servizio<br />
10
secondo detta sentenza e secondo la loro <strong>di</strong>chiarazione, in quanto <strong>di</strong>pendenti; e tutto<br />
rimanga come loro hanno riconosciuto e <strong>di</strong>chiarato.<br />
Concilio <strong>di</strong> Charroux (989)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 519<br />
1. Male<strong>di</strong>zione contro coloro che violano le chiese. Se qualcuno avrà violato una santa<br />
chiesa, o ne avrà portato via qualcosa con la violenza, se non rime<strong>di</strong>erà sufficientemente a<br />
ciò che ha fatto, sia maledetto.<br />
2. Male<strong>di</strong>zione contro coloro che <strong>di</strong>struggono i beni dei pauperes . Se qualcuno avrà<br />
predato una pecora, un bue, un asino, una vacca, una capra, un capro o dei maiali <strong>di</strong><br />
conta<strong>di</strong>ni o <strong>di</strong> altri pauperes , a meno che non lo abbia fatto per propria colpa, se<br />
trascurerà <strong>di</strong> risarcire tutto completamente, sia maledetto.<br />
3. Male<strong>di</strong>zione contro coloro che colpiscono i chierici. Se qualcuno avrà attaccato,<br />
preso o percosso un sacerdote, un <strong>di</strong>acono o qualunque altro membro del clero che non<br />
porta armi - cioè scudo, spada, corazza, elmo - ma che va semplicemente in giro o sta nella<br />
[sua] casa, a meno che, dopo un esame del suo proprio vescovo, si scopra che [il chierico] è<br />
incorso in qualche delitto, quel sacrilego, se non avrà dato sod<strong>di</strong>sfazione, sia tenuto lontano<br />
dalle soglie della santa Chiesa <strong>di</strong> Dio.<br />
Concilio <strong>di</strong> Poitiers, 999-1000<br />
MANSI, Sacrorum conciliorum collectio, 19, coll. 267-268<br />
E' bello il nome della pace e bella è l'idea <strong>di</strong> unità, che Cristo, ascendendo in cielo,<br />
lasciò ai suoi <strong>di</strong>scepoli. Perciò alle i<strong>di</strong> <strong>di</strong> gennaio, poiché il duca Guglielmo <strong>di</strong> Poitiers<br />
convocò un concilio, convennero a Poitiers cinque vescovi, ovvero l'arcivescovo Siguino <strong>di</strong><br />
Bordeaux, i vescovi Giselberto <strong>di</strong> Poitiers, Ilduino <strong>di</strong> Limoges, Grimoardo <strong>di</strong> Angoulême, Islo<br />
<strong>di</strong> Saintes e do<strong>di</strong>ci abati per la restaurazione della Chiesa. Il duca e gli altri principi<br />
stabilirono, con ostaggi e scomunica, la restaurazione <strong>di</strong> questa pace e giustizia.<br />
1. Hanno stabilito che per i beni sottratti negli ultimi cinque anni e per quelli che lo<br />
saranno in futuro, per i quali vi sia lite all'interno <strong>di</strong> quei territori i cui principi sono qui<br />
presenti, se uno dei contendenti chiamerà in giu<strong>di</strong>zio l'altro, si presentino davanti al<br />
principe <strong>di</strong> quella regione o davanti a un altro giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> quel territorio, e si sottopongano<br />
11
alla giustizia per quei beni; e per chi rifiuterà <strong>di</strong> sottostare alla giustizia, il principe o il<br />
giu<strong>di</strong>ce o faccia giustizia per quei beni, oppure perderà gli ostaggi. E se non potrà fare<br />
giustizia, convochi i principi e i vescovi che hanno istituito il concilio, e tutti unanimemente<br />
si impegnino alla <strong>di</strong>struzione e confusione del recalcitrante, fino a che torni alla retta<br />
giustizia. Perciò, a garanzia <strong>di</strong> tutto ciò, sono consegnati ostaggi e si decreta la scomunica,<br />
affinché nessuno da oggi in poi violi una chiesa e gli altri decreti come stabilito nel concilio<br />
<strong>di</strong> Charroux.<br />
[…]<br />
Giuramento dei cavalieri (promosso dal vescovo Guarino <strong>di</strong> Beauvais,<br />
1023-1025)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 520 sg.<br />
Non invaderò in nessun modo una chiesa. In ragione della sua immunità, non<br />
invaderò neppure i magazzini che sono nella cinta <strong>di</strong> una chiesa, salvo se un malfattore<br />
abbia violato questa pace o per un omici<strong>di</strong>o o per prendere un uomo o un cavallo. Ma se<br />
invado per questi motivi i suddetti magazzini, non porterò via nulla, se non il malfattore o<br />
il suo equipaggiamento, consapevolmente.<br />
Non attaccherò il chierico o il monaco se non portano le armi del mondo, né quello<br />
che cammina con loro senza lancia né scudo; non prenderò il loro cavallo, salvo il caso <strong>di</strong><br />
flagrante delitto che mi autorizzi a farlo o a meno che essi abbiano rifiutato <strong>di</strong> riparare la<br />
loro colpa nello spazio <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci giorni dopo il mio avvertimento.<br />
Non prenderò il bue, la vacca, il maiale, la pecora, l'agnello, la capra, l'asino e il<br />
fardello che porta, la giumenta e il suo puledro non domo. Non assalirò il conta<strong>di</strong>no né la<br />
conta<strong>di</strong>na, i sergenti o i mercanti; non prenderò il loro denaro; non li costringerò al<br />
riscatto; non li rovinerò prendendo i loro averi col pretesto della guerra del loro signore, e<br />
non li batterò per togliere loro il sostentamento.<br />
Mulo o mula, cavallo o giumenta e puledro che sono al pascolo, non ne spoglierò<br />
alcuno dalle calende <strong>di</strong> marzo fino a Ognissanti, salvo se li trovo in atto <strong>di</strong> farmi danno.<br />
Non incen<strong>di</strong>erò né abbatterò le case, a meno che non vi trovi un cavaliere mio nemico<br />
o un ladro, e a meno che siano unite a un castello che sia davvero un castello.<br />
Non taglierò né sra<strong>di</strong>cherò né vendemmierò le viti altrui, col pretesto della guerra, se<br />
non sulla terra che è e deve essere mia. Non <strong>di</strong>struggerò mulini e non ruberò il grano che vi<br />
si trova, salvo quando sarò in cavalcata o in spe<strong>di</strong>zione militare pubblica, o se è sulla mia<br />
propria terra.<br />
12
Al ladro pubblico e riconosciuto non procurerò né appoggio né protezione, né a lui né<br />
alla sua impresa <strong>di</strong> brigantaggio, consapevolmente. Quanto all'uomo che scientemente<br />
violerà questa pace, cesserò <strong>di</strong> proteggerlo non appena lo saprò; e se ha agito in modo<br />
inconsapevole ed è ricorso alla mia protezione, o farò riparazione per lui o l'obbligherò a<br />
farla nello spazio <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci giorni, dopo <strong>di</strong> che sarò autorizzato a chiedergli ragione o lo<br />
priverò della mia protezione.<br />
Non attaccherò il mercante né il pellegrino e non li spoglierò, salvo se commettono<br />
qualche malefatta. Non ucciderò il bestiame dei conta<strong>di</strong>ni, se non per il mio nutrimento e<br />
quello della mia scorta.<br />
Non catturerò il conta<strong>di</strong>no e non gli toglierò il sostentamento per istigazione perfida<br />
del suo signore.<br />
Non attaccherò le donne nobili, né quelli che circoleranno con esse, in assenza del<br />
loro marito, a meno che non trovi che commettono qualche malefatta contro <strong>di</strong> me nel loro<br />
movimento; mi comporterò allo stesso modo con le vedove e le monache.<br />
Non spoglierò neppure quelli che trasportano vino su carrette e non prenderò i loro<br />
buoi. Non fermerò i cacciatori, i loro cavalli e i loro cani, salvo se mi nuocciono, a me o a<br />
tutti quelli che hanno assunto lo stesso impegno e l'osservano nei miei confronti.<br />
Eccettuo le terre che sono del mio allo<strong>di</strong>o e del mio feudo, o mi appartengono in<br />
franchigia, o sono sotto la mia protezione o <strong>di</strong> mia spettanza. Eccettuo anche i casi in cui<br />
costruirò o asse<strong>di</strong>erò un castello, il caso in cui sarò presso l'esercito del re e dei nostri<br />
vescovi, o alla cavalcata. Ma anche allora, esigerò soltanto ciò che sarà necessario per il mio<br />
sostentamento e non riporterò a casa nient'altro che i ferri dei miei cavalli. Nell'esercito,<br />
non violerò l'immunità delle chiese, a meno che non m'impe<strong>di</strong>scano l'acquisto e il trasporto<br />
dei viveri.<br />
Dall'inizio della Quaresima fino a Pasqua non attaccherò il cavaliere che non porta le<br />
armi del mondo e non gli toglierò il sostentamento che avrà con sé. Se un conta<strong>di</strong>no fa<br />
torto a un altro conta<strong>di</strong>no o a un cavaliere, aspetterò quin<strong>di</strong>ci giorni; dopo <strong>di</strong> che, se non<br />
avrà riparato m'impadronirò <strong>di</strong> lui, ma prenderò dei suoi averi solo quanto è legalmente<br />
fissato.<br />
13
E<strong>di</strong>ctum de beneficiis (Corrado II, 28 maggio 1037)<br />
M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, IV, p. 336 sg., doc. 244<br />
Nel nome della santa e in<strong>di</strong>visibile Trinità. Corrado per grazia <strong>di</strong> Dio imperatore<br />
augusto dei Romani. Vogliamo che sia noto a tutti i fedeli della santa Chiesa <strong>di</strong> Dio e nostri,<br />
sia presenti sia futuri, che noi, per riconciliare gli animi <strong>di</strong> signori e milites, affinché si<br />
trovino sempre concor<strong>di</strong> tra <strong>di</strong> loro e affinché servano in modo fedele e perseverante noi e i<br />
loro signori, or<strong>di</strong>niamo e stabiliamo fermamente che nessun miles <strong>di</strong> vescovi, abati,<br />
badesse, o marchesi, o conti o <strong>di</strong> altri, se tiene ora un beneficio dai nostri beni pubblici o<br />
dai patrimoni delle chiese o lo tenne in precedenza e lo perdette ingiustamente, sia tra i<br />
nostri valvassori maggiori sia tra i loro milites, perda il proprio beneficio senza una certa e<br />
provata colpa, se non secondo la costituzione dei nostri predecessori e il giu<strong>di</strong>zio dei suoi<br />
pari.<br />
Se nascerà una lite tra signori e milites, se i pari giu<strong>di</strong>cheranno che egli debba perdere<br />
il suo beneficio, e se egli <strong>di</strong>rà che questo è stato fatto ingiustamente o per o<strong>di</strong>o, continui a<br />
tenere il suo beneficio, fino a che il signore e il miles che egli accusa con i suoi pari<br />
vengano alla nostra presenza, e qui la causa sia definita giustamente. Se tuttavia i pari<br />
dell'accusato in giu<strong>di</strong>zio andranno contro il signore, colui che è accusato tenga il suo<br />
beneficio, fino a che egli con il suo signore e i pari venga alla nostra presenza. Il signore o il<br />
miles accusato, che abbia deciso <strong>di</strong> presentarsi a noi, dovrà comunicarlo a quello con cui ha<br />
la lite sei settimane prima <strong>di</strong> partire. Questo sia osservato per i valvassori maggiori. Per i<br />
minori, la loro causa sia definita nel regno o davanti ai signori o davanti al nostro messo.<br />
Or<strong>di</strong>niamo inoltre che, quando un miles - sia dei maggiori sia dei minori - muore, lasci<br />
il suo beneficio al figlio; se non ha un figlio, ma lascia un nipote natogli da figlio maschio,<br />
allo stesso modo abbia il beneficio, conservando l'uso dei maggiori valvassori nel dare<br />
cavalli e armi ai suoi signori. Nel caso non lasci un nipote ma abbia un fratello legittimo<br />
nato dallo stesso padre, se ha offeso il signore e vuole dargli sod<strong>di</strong>sfazione e <strong>di</strong>venire suo<br />
miles, ottenga il beneficio che era del padre.<br />
Inoltre proibiamo in ogni modo che nessun signore pensi <strong>di</strong> fare cambio o precaria o<br />
livello del beneficio dei suoi milites senza il loro consenso. Dei beni che tengono per <strong>di</strong>ritto<br />
<strong>di</strong> proprietà o per contratto o per giusto livello o per precaria, nessuno osi spogliarli<br />
ingiustamente.<br />
Vogliamo riscuotere il fodro dai castelli che i nostri predecessori ebbero; quello che<br />
essi non ebbero, in nessun modo lo esigiamo.<br />
[…]<br />
Dato nell'asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Milano.<br />
14
Diploma dei re Ugo e Lotario al conte Aleramo (940)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 438<br />
In nome del Signore Dio eterno. Ugo e Lotario per il favore della <strong>di</strong>vina clemenza re<br />
[…]. Sappia la devozione <strong>di</strong> tutti i fedeli della santa Chiesa <strong>di</strong> Dio e nostri, presenti e futuri,<br />
che il vescovo Ambrogio e il conte Eldrico, <strong>di</strong>letti fedeli nostri, hanno richiesto<br />
supplichevolmente alla nostra serenità che ci degnassimo <strong>di</strong> concedere in perpetuo a titolo<br />
<strong>di</strong> proprietà, me<strong>di</strong>ante questo precetto da noi scritto, al nostro fedele conte Aleramo una<br />
corte detta Foro, sul fiume Tanaro, nel comitato <strong>di</strong> Acqui. Cedendo alle loro preghiere,<br />
conce<strong>di</strong>amo con questo nostro precetto nella sua totalità la medesima corte […], insieme<br />
con i castelli, le cappelle, le case, le terre […], le peschiere, i porti […], i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> caccia, i<br />
red<strong>di</strong>ti, i <strong>di</strong>ritti coercitivi, i servi, le ancelle, gli al<strong>di</strong> maschi e femmine […]. Inoltre<br />
conce<strong>di</strong>amo al medesimo fedele nostro Aleramo e ai suoi ere<strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>strictio e funzione<br />
pubblica e la pubblica azione giu<strong>di</strong>ziaria […] nella villa <strong>di</strong> Ronco e su tutti gli arimanni che<br />
lì <strong>di</strong>morano […].<br />
Diploma dell'imperatore Ottone I al vescovo <strong>di</strong> Parma (962)<br />
trad. tratta da G. FASOLI, F. BOCCHI, La città me<strong>di</strong>evale italiana, Firenze 1973, p. 127<br />
In nome della santa e in<strong>di</strong>vidua Trinità, Ottone, imperatore Augusto per <strong>di</strong>sposizione<br />
della <strong>di</strong>vina Provvidenza […]. Sia a conoscenza <strong>di</strong> tutti i fedeli della santa Chiesa e nostri,<br />
tanto presenti come futuri, la solerzia con la quale Uberto, vescovo della chiesa <strong>di</strong> Parma,<br />
presentandosi alla nostra presenza, ha chiesto che noi, giovando alla sua chiesa, al modo<br />
dei nostri predecessori, lo arricchissimo <strong>di</strong> quelle cose che spettavano al regio potere e alla<br />
pubblica funzione, e specialmente <strong>di</strong> quelle per le quali la sua chiesa veniva lacerata da<br />
parte del comitato, cioè che noi trasferissimo le cose e i servi tanto <strong>di</strong> tutto il clero <strong>di</strong> quello<br />
stesso vescovado in qualunque luogo si trovino, quanto <strong>di</strong> tutti gli uomini che abitano<br />
dentro la medesima città dalla nostra giuris<strong>di</strong>zione alla giuris<strong>di</strong>zione e dominio e <strong>di</strong>stretto<br />
della santa Chiesa, così che abbia la potestà <strong>di</strong> deliberare e decidere tanto sulle cose e sui<br />
servi del clero sopraddetto, quanto anche sugli uomini che abitano dentro la stessa città e<br />
le cose e i servi loro, come se fosse presente il conte del nostro palazzo. Noi, considerando e<br />
valutando l'utilità per la <strong>di</strong>gnità dell'impero sopraddetto e per tutti i mali che spesso<br />
accadono fra i conti <strong>di</strong> uno stesso comitato e i vescovi della medesima Chiesa, perché sia<br />
15
eliminata interamente ogni passata lite e scisma e perché lo stesso vescovo con il clero a lui<br />
affidato viva pacificamente e attenda senza alcuna molestia alle preghiere, tanto per la<br />
salvezza nostra come per la stabilità del regno e <strong>di</strong> tutti coloro che vivono nel nostro regno,<br />
conce<strong>di</strong>amo e permettiamo e dal nostro <strong>di</strong>ritto e dominio trasferiamo nel <strong>di</strong> lui <strong>di</strong>ritto e<br />
dominio completamente e gli affi<strong>di</strong>amo le mura della stessa città e il <strong>di</strong>stretto ed il teloneo<br />
ed ogni altra pubblica funzione tanto entro la città quanto fuori da ogni parte della città<br />
per lo spazio <strong>di</strong> tre miglia attorno, segnato e determinato nella linea <strong>di</strong> confine con pietre<br />
terminali […], e le strade regie e il corso delle acque e tutto il territorio coltivato e incolto<br />
ivi giacente e tutto ciò che è <strong>di</strong> pertinenza della cosa pubblica. Inoltre conce<strong>di</strong>amo anche<br />
che tutti gli uomini abitanti nella città e nel territorio soprain<strong>di</strong>cato, ovunque abbiano beni<br />
ere<strong>di</strong>tari o acquisiti, o dei servi, tanto nel comitato parmense, quanto nei comitati vicini,<br />
non corrispondano alcuna prestazione ad alcuna persona del nostro regno, né osservino il<br />
placito <strong>di</strong> chiunque se non il vescovo <strong>di</strong> Parma che sarà in carica in quel momento, ma<br />
abbia il vescovo della stessa chiesa licenza, come se fosse il conte del nostro palazzo, <strong>di</strong><br />
definire, deliberare e decidere <strong>di</strong> tutte le cose e dei servi tanto <strong>di</strong> tutti i membri del clero<br />
dello stesso vescovado, quanto anche <strong>di</strong> tutti gli uomini che abitano entro la predetta città,<br />
con contratto <strong>di</strong> affitto, <strong>di</strong> livello ovvero <strong>di</strong> precaria, ovvero castellani e così trasferiamo dal<br />
nostro <strong>di</strong>ritto e dominio nel suo <strong>di</strong>ritto e dominio.<br />
Diploma <strong>di</strong> Berengario I agli uomini <strong>di</strong> Galliate (911)<br />
trad. tratta da S. GASPARRI, A. DI SALVO, F. SIMONI, Fonti per la storia me<strong>di</strong>evale. Dal V<br />
all'XI secolo, Firenze 1992, p. 438<br />
In nome del Signor nostro Dio eterno Gesù Cristo. Berengario, con il favore della<br />
<strong>di</strong>vina clemenza re […]. Sappia la devota solerzia <strong>di</strong> tutti i fedeli della santa chiesa <strong>di</strong> Dio e<br />
nostri, presenti e futuri, che questi uomini, e cioè: il giu<strong>di</strong>ce regio e visdomino della santa<br />
chiesa <strong>di</strong> Novara Leone, lo scabino Warnemperto, i fratelli Petronace e Teuperto, Donnolo,<br />
Benedetto, un altro Benedetto figlio del fu Uvedeo, un terzo Benedetto, Angelberto, un altro<br />
Angelberto, i fratelli Orso e Walperto, Aredeo, Peredeo, i fratelli Domenico e Stefano, un<br />
altro Stefano, Simperto, il notaio Gauso, Widelperto, un altro Teuperto e Wafredo suo<br />
fratello, Teuderado, tutti abitanti nel villaggio <strong>di</strong> Galliate, Guido del medesimo luogo,<br />
Rimfredo, i fratelli Amelfredo e Martino, Alperto, Arisuso del villaggio <strong>di</strong> Berconate,<br />
vennero da noi chiedendo che dessimo loro il permesso <strong>di</strong> costruire un castello nelle loro<br />
proprietà, a causa della persecuzione dei pagani e dei cattivi cristiani. Dando alle loro<br />
preghiere, per amore <strong>di</strong> Dio e ricompensa della nostra anima, assenso affinché costruiscano<br />
un castello, e propugnacoli e bertesche per munirlo quanti vorranno, con la scrittura <strong>di</strong><br />
16
questa pagina or<strong>di</strong>niamo che nessun conte, visconte o sculdascio [segue la consueta<br />
formula <strong>di</strong> immunità ].<br />
L'ascesa degli Arduinici (X secolo) secondo la Cronaca <strong>di</strong> Novalesa (metà<br />
XI secolo)<br />
Cronaca <strong>di</strong> Novalesa, a c. <strong>di</strong> G. C. Alessio, Torino 1982, pp. 261-265 (testo e<br />
traduzione)<br />
E dopo che abbiamo passato in rassegna le imprese e le azioni dei re, è bene che<br />
parliamo anche dei vassalli. Ci occuperemo della infelice stirpe <strong>di</strong> Arduino. Tramanda<br />
infatti il racconto degli antichi che vi furono due fratelli, Ruggero e Arduino, e un loro<br />
cliente <strong>di</strong> nome Alineo. Costoro, pro<strong>di</strong>ghi e privi <strong>di</strong> tutto, scendono in Italia da sterili monti,<br />
sottomettono il loro capo ai nobili, in breve <strong>di</strong>ventano ricchi. Stringono inoltre un patto fra<br />
<strong>di</strong> loro: che se uno <strong>di</strong> essi fosse salito più in alto, gli altri due sarebbero stati suoi coa<strong>di</strong>utori<br />
e sottoposti al suo volere. O fatto scellerato! Imprevisti sono i <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Dio e gli uomini<br />
promettono onori prima <strong>di</strong> ottenerli. Ma la mente cupida riesce talora a raggiungere, col<br />
passare del tempo, ciò che desidera.<br />
Mentre così si patteggiava, Ruggero, avido <strong>di</strong> onori terreni, arraffa la contea <strong>di</strong><br />
Auriate. Il conte cui era stato commesso il potere su quella contea era allora un tale <strong>di</strong><br />
nome Rodolfo. Il solerte Arduino dal canto suo, vedendo che non gli riusciva <strong>di</strong> ottenere<br />
quella contea, avendo le mani legate dal patto, <strong>di</strong>venne miles <strong>di</strong> Rodolfo.<br />
Infine Rodolfo, ormai logoro per la vecchiaia avanzata, chiama a sé Ruggero, fatti<br />
allontanare tutti: “Tu ve<strong>di</strong> che, così pieno d'acciacchi, io non sono più in grado <strong>di</strong> recarmi<br />
al palazzo del re; mando te da lui perché consideri ciò che è bene fare”. Quegli, ascoltatore<br />
non sordo, subito asseconda le parole del suo signore che così gli comanda e con celere<br />
corsa si precipita alla città <strong>di</strong> Pavia, perché li stava il re. Quando giunse <strong>di</strong>nanzi al re, lo<br />
salutò con blande parole. E il re gli <strong>di</strong>mostrò benevolenza e gli promise che avrebbe<br />
ottenuto amplissimi favori se lo avesse frequentato con ossequio e senza trame oscure. Egli<br />
restò qualche tempo col re e dopo non molti giorni ritornò dal suo signore. Vide il signore<br />
che egli aveva agito provvidamente e chiamandolo più vicino a sé gli <strong>di</strong>sse: “Dopo la mia<br />
morte sarai tu il signore <strong>di</strong> tutta la terra che io so <strong>di</strong> avere posseduto prima”. Lo ornò <strong>di</strong><br />
molti monili e lo rinviò al re. Ed egli ottenne quella contea e il re gliela donò: anche la<br />
regina era consenziente. Morto frattanto il conte, Ruggero ne sposò la moglie e così prese il<br />
potere su quella terra. Da quella donna generò due figli: chiamò il primo col suo nome, il<br />
secondo con il nome del fratello, cioè Ruggero e Arduino. Quest'ultimo generò poi<br />
Manfredo.<br />
17
Franchigie del vescovo <strong>di</strong> Asti agli uomini <strong>di</strong> Bene Vagienna (1196)<br />
Il Libro verde della chiesa d'Asti, a c. <strong>di</strong> C. ASSANDRIA, Pinerolo 1904-1907, II, pp. 168-<br />
170, doc. 296<br />
Nazario vescovo <strong>di</strong> Asti investe gli uomini <strong>di</strong> Bene Vagienna degli usi e le consuetu<strong>di</strong>ni<br />
scritte in questa pagina, promettendo che in nessun momento né lui né un suo<br />
rappresentante andranno contro queste consuetu<strong>di</strong>ni, né creerà in qualche momento altre<br />
consuetu<strong>di</strong>ni che sembrino abrogare queste, se non con il comune consenso <strong>di</strong> questi<br />
uomini.<br />
Poiché devono esserci in Bene solo quattro domus <strong>di</strong> milites, le persone <strong>di</strong> quelle<br />
quattro famiglie e quelle che da esse <strong>di</strong>scendono, quali saranno <strong>di</strong>chiarate sotto giuramento<br />
da do<strong>di</strong>ci uomini del luogo, a titolo <strong>di</strong> feudo cavalleresco devono avere il verde e il secco<br />
nella foresta Bannale. Al tempo delle ghiande, ognuna <strong>di</strong> queste domus può avere due<br />
uomini a raccoglierle il primo giorno, come i signori maggiori; trascorso il primo giorno, sia<br />
signori, sia milites, sia conta<strong>di</strong>ni possono raccoglierle a piacere. La chiesa ha lo stesso<br />
<strong>di</strong>ritto d'uso dei milites. I conta<strong>di</strong>ni invece per il legno verde non hanno <strong>di</strong>ritto in questo<br />
bosco, se non quanto è loro necessario per far utensili e strumenti necessari per<br />
l'agricoltura; per il legno secco, è loro consentito prenderne a sufficienza.<br />
Inoltre i milites non sono tenuti a rispondere alla giustizia del villico del vescovo. Sarà<br />
lecito a questi milites porre sotto <strong>di</strong> sé, con i propri beni, uomini che non siano in<br />
precedenza uomini del vescovo, sui quali il vescovo non dovrà avere né fodro né drictum .<br />
Inoltre i milites devono dare al vescovo custo<strong>di</strong> per quin<strong>di</strong>ci giorni in qualunque suo<br />
castello egli voglia. E poiché è dubbio se il vescovo debba pagar loro le spese o essi debbano<br />
coprirle con i propri beni, questo dovrà essere definito sulla base dei vecchi documenti.<br />
Inoltre ognuna delle quattro domus dovrà consegnare al vescovo un ronzino per il viaggio a<br />
Roma, che dovrà essere restituito al ritorno. Per la guerra, ognuna delle domus dovrà<br />
tenere un miles. Nessun miles dovrà pagare il tractum per la sua caccia.<br />
A tutti gli uomini <strong>di</strong> Bene in comune sarà permesso vendere, alienare e lasciare in<br />
testamento i propri beni, purché si conservino gli obblighi, i red<strong>di</strong>ti e gli altri impegni dei<br />
ven<strong>di</strong>tori, alienatori e testatori. Altrimenti il vescovo e il suo rappresentante potranno<br />
annullare le alienazioni fatte recentemente, fino a che il nuovo possessore gli restituisca<br />
integralmente i red<strong>di</strong>ti e gli impegni andati perduti. Inoltre gli uomini <strong>di</strong> Bene potranno<br />
vendere i propri beni ai consorti senza pagare il tercium ; se venderanno ad altri che i<br />
consorti, siano delle domus <strong>di</strong> milites o conta<strong>di</strong>ni, dovranno versare il tercium . A tutti i<br />
forestieri sarà permesso vendere tutto ciò che acquisiranno senza versare il tercium .<br />
Gli uomini <strong>di</strong> Bene devono fare un trasporto con carri per il vescovo ovunque egli<br />
vorrà tra il Tanaro e la Stura, nella <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Asti e fino a Pollenzo. Ogni manso deve a<br />
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titolo <strong>di</strong> obbligo fornire do<strong>di</strong>ci giornate <strong>di</strong> corvées e condurre tre carri <strong>di</strong> legno. Altrettanto<br />
deve fare ogni tiro <strong>di</strong> buoi presente sul manso.<br />
Inoltre il fratello deve succede al fratello, il nipote allo zio paterno o materno e<br />
viceversa; negli altri casi il vescovo dovrà succedere al morto. Chi sta per morire non dovrà<br />
assegnare per testamento più <strong>di</strong> un terzo dei propri beni mobili. Nelle case dei minori sotto<br />
tutela il vescovo non potrà richiedere i servizi <strong>di</strong> corvées , tranne se hanno buoi. La donna<br />
vedova non deve essere espulsa dalla casa e dal possesso dei beni del marito, finché vivrà<br />
onestamente. Allo stesso modo neppure il marito, finché vivrà, non potrà essere espulso dai<br />
possessi della moglie dopo la morte <strong>di</strong> questa. Inoltre ogni custo<strong>di</strong>a delle vigne <strong>di</strong> Bene deve<br />
per obbligo un canestro <strong>di</strong> uve al vescovo, e non <strong>di</strong> più.<br />
Il detto vescovo <strong>di</strong>ede e concesse queste consuetu<strong>di</strong>ni agli uomini <strong>di</strong> Bene, in modo<br />
che in seguito non sia permesso a lui né ad alcun suo rappresentante andare contro questo<br />
documento <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ni, o contrapporvi nuovi usi. Si aggiunge che se si potrà trovare<br />
qualche altra consuetu<strong>di</strong>ne in un vecchio documento che appaia utile al vescovo o agli<br />
uomini <strong>di</strong> Bene, potrà essere aggiunta al documento.<br />
Convenzione tra l'abbazia <strong>di</strong> Caramagna e i signori <strong>di</strong> Luserna (1173)<br />
Le più antiche carte dell'abazia <strong>di</strong> Caramagna, a c. <strong>di</strong> C. E. PATRUCCO, in Miscellanea<br />
Saluzzese, Pinerolo 1902, pp. 87-88, doc. 10<br />
Poiché il monastero <strong>di</strong> Caramagna ha mosso querela contro Guglielmo signore <strong>di</strong><br />
Luserna per il fodro che riscuoteva sugli uomini <strong>di</strong> Caramagna e sugli uomini <strong>di</strong> Sommariva<br />
del Bosco <strong>di</strong>pendenti dal monastero, e per le albergarie che riscuoteva nella casa stessa<br />
dell'abbazia, e per le successioni dei suddetti uomini, e per i placiti non comitali, e per i<br />
banni; il signor Guglielmo, per amore <strong>di</strong> Dio e per la pietà dell'anima propria e dei suoi<br />
antenati e <strong>di</strong>scendenti, e per l'amore della signora Beatrice, sua sorella e badessa del<br />
monastero, e per 10 lire <strong>di</strong> buoni segusini che per questo ha ricevuto, giunge a questo patto<br />
e transazione con la predetta badessa e il convento ad essa sottoposto.<br />
Guglielmo rimette, per sé e i suoi successori in perpetuo, tutte le albergarie che era<br />
solito riscuotere giustamente e ingiustamente in questa stessa casa principale dell'abbazia,<br />
e da questa casa non esigerà né riscuoterà, né <strong>di</strong> persona né tramite altri, alcun altro pasto<br />
o altra albergaria, tranne quello e quella che la badessa vorrà offrirgli per sua libera e<br />
spontanea volontà, come a qualunque estraneo.<br />
La detta badessa, con il convento a lei sottoposto, come meglio può, concede al signor<br />
Guglielmo <strong>di</strong> riscuotere il fodro sugli uomini <strong>di</strong> Caramagna e sugli uomini <strong>di</strong> Sommariva<br />
<strong>di</strong>pendenti dal monastero. Per quanto riguarda le successioni, si definisce tra <strong>di</strong> loro, con<br />
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patto stabile e fermo, che sugli uomini <strong>di</strong> Caramagna - siano essi uomini del monastero o <strong>di</strong><br />
Guglielmo - il monastero abbia metà delle successioni e Guglielmo e i suoi successori l'altra<br />
metà; ma sugli uomini <strong>di</strong> Sommariva il monastero deve avere tutte le successioni sui propri<br />
uomini, e Guglielmo tutte quelle dei suoi.<br />
I placiti comitali, ovvero omici<strong>di</strong>o, spergiuro, adulterio, incen<strong>di</strong>o e furto, tra<strong>di</strong>mento e<br />
rissa, poiché sono soliti spettare a Guglielmo, in futuro spettino a Guglielmo e ai successori.<br />
Tutti gli altri placiti, per concessione <strong>di</strong> Guglielmo, appartengano e spettino alla badessa del<br />
monastero e al monastero stesso. E sia così, se la badessa vorrà e potrà fare giustizia. Ma se<br />
per qualche causa non potrà fare giustizia, la questione sia presentata a Guglielmo, che<br />
dovrà fare giustizia. E ciò che si è detto dei placiti, è da intendere sia per gli uomini <strong>di</strong><br />
Caramagna, sia per quelli <strong>di</strong> Sommariva che <strong>di</strong>pendono dal monastero. I banni ban<strong>di</strong>ti a<br />
nome della castellania spetteranno propriamente a Guglielmo; gli altri banni che sono<br />
ban<strong>di</strong>ti pubblicamente, spetteranno per metà al monastero, e per metà a Guglielmo e ai<br />
suoi successori.<br />
Accor<strong>di</strong> tra i signori <strong>di</strong> Piossasco e <strong>di</strong> Castagnole (1208)<br />
Cartari minori, I, a c. <strong>di</strong> E. DURANDO e V. DRUETTI, Pinerolo 1908, pp. 85-88, docc. 1-3<br />
- Il signor Guido, il signor Gualfredo e il signor Bonifacio, fratelli, figli del fu signor<br />
Merlone <strong>di</strong> Piossasco, fanno fine, pace, rinuncia e assoluzione al signor Giacomo figlio del<br />
fu signor Pietro <strong>di</strong> Castagnole, per tutti i debiti e ogni obbligazione dei beni dello stesso<br />
Giacomo, e per ogni fideiussione per cui fino a oggi fosse tenuto nei loro confronti. Vale a<br />
<strong>di</strong>re che assolvono lui e tutti i beni che possiede per ogni debito, obbligazione e<br />
fideiussione per cui è oggi tenuto nei loro confronti, mantenendo solo ogni debito,<br />
obbligazione e fideiussione per cui è tenuto sulle cose del detto signor Giacomo nel luogo <strong>di</strong><br />
Cercenasco, e non su qualunque altro bene <strong>di</strong> Giacomo. E su questo luogo <strong>di</strong> Cercenasco<br />
abbiano ogni debito e ogni obbligazione per cui in qualunque modo egli è ora tenuto nei<br />
loro confronti, poiché così si sono accordati.<br />
Fatto a Castagnole, nella casa del detto signor Giacomo.<br />
- Il signor Gualfredo, il signor Guido e il signor Bonifacio, fratelli, figli del fu Merlone<br />
<strong>di</strong> Piossasco, da una parte, per una metà che con<strong>di</strong>vidono; e il signor Giacomo, figlio del fu<br />
signor Pietro <strong>di</strong> Castagnole, dall’altra, per l’altra metà che possiede interamente; fanno tra<br />
<strong>di</strong> loro compromesso reciproco in buona fede e senza alcun dolo o frode o alcun pensiero<br />
maligno, <strong>di</strong> istituire tra <strong>di</strong> loro un consortile e osservarlo fedelmente, ovvero proteggere,<br />
custo<strong>di</strong>re e curare reciprocamente la parte che hanno nel castello, nei villaggi, nei territori<br />
e nelle <strong>di</strong>pendenze <strong>di</strong> Castagnole e Vinovo, e proteggersi l’un l’altro nei beni e nelle<br />
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persone, e avere tra <strong>di</strong> loro in comune tutto ciò che è detto prima, pertinente al dominio e<br />
al comitato dei detti luoghi, ovvero i boschi comuni, i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> caccia e <strong>di</strong> pesca, i pascoli, le<br />
acque, le rive e tutte le altre cose che fanno capo alla comunità del feudo, del castello e dei<br />
villaggi <strong>di</strong> Castagnole e Vinovo. Vale a <strong>di</strong>re che il detto Giacomo e i suoi ere<strong>di</strong> avranno metà<br />
in con<strong>di</strong>visione, e i detti fratelli l’altra metà, analogamente in con<strong>di</strong>visione. Nessuno <strong>di</strong> loro<br />
dovrà costruire, fare o e<strong>di</strong>ficare un mulino, un battitoio, un paratorio o un forno, o istituire<br />
<strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pesca o <strong>di</strong> caccia, senza l’accordo reciproco. E se capiterà che li e<strong>di</strong>fichino, saranno<br />
comuni e li possiederanno in comune con<strong>di</strong>videndoli, finché non decideranno per volontà<br />
comune <strong>di</strong> <strong>di</strong>viderli. I fratelli, ognuno con la propria mano sui santi Vangeli, e il detto<br />
Giacomo, anch’egli con la mano sui santi Vangeli, giurano <strong>di</strong> rispettare e osservare tutto<br />
ciò. E ne vengono scritte due carte, con lo stesso testo.<br />
Fatto a Castagnole, nella casa del detto signor Giacomo.<br />
- Il signor Giacomo, figlio del fu signor Pietro <strong>di</strong> Castagnole, con un libro che teneva<br />
nelle mani, investe il signor Gualfredo, e il signor Guido e il signor Bonifacio, fratelli, figli<br />
del fu Merlone <strong>di</strong> Piossasco, a titolo <strong>di</strong> retto, libero e nobile feudo, anche per i figli e le<br />
figlie, <strong>di</strong> una metà in con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> Castagnole e Vinovo, con tutti i loro territori e<br />
<strong>di</strong>pendenze, ovvero con le terre, i boschi, i gerbi<strong>di</strong>, i prati, le terre coltivate e incolte, le<br />
aque, le rive, i pascoli, i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pesca e <strong>di</strong> caccia e con tutti il potere, il <strong>di</strong>stretto, il<br />
comitato e il dominio pertinenti a questa metà, come un tempo Federico <strong>di</strong> Castagnole<br />
teneva e doveva tenere da lui. Cosicché i detti fratelli, signor Gualfredo, signor Guido e<br />
signor Bonifacio e i loro figli e figlie legittimi - in modo che in assenza <strong>di</strong> maschi succedano<br />
le femmine - abbiano e tengano la detta metà <strong>di</strong> Castagnole e Vinovo, con il castello e le<br />
<strong>di</strong>pendenze, come detto sopra, a nome <strong>di</strong> retto e nobile feudo, per i figli e le figlie, e<br />
rispettando il <strong>di</strong>ritto feudale facciano ciò che sia loro opportuno, senza contrad<strong>di</strong>zione del<br />
detto signor Giacomo e dei suoi ere<strong>di</strong> né <strong>di</strong> alcuna persona a loro sottoposta. Gli stessi<br />
signor Gualfredo, signor Guido e signor Bonifacio fanno e giurano al detto signor Giacomo<br />
fedeltà, come è costume e consuetu<strong>di</strong>ne che i vassalli giurino e facciano fedeltà ai signori. E<br />
il detto signor Giacomo or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> fare questo documento, come sopra.<br />
Fatto a Castagnole, nella casa del detto signor Giacomo.<br />
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Riven<strong>di</strong>cazioni dei canonici <strong>di</strong> Asti sugli uomini <strong>di</strong> Quarto (1185)<br />
trad. tratta da P. CAMMAROSANO, Le campagne nell'età comunale (metà sec. XI - metà<br />
sec. XIV), Torino 1974, pp. 44-46<br />
Riven<strong>di</strong>chiamo nei confronti delle famiglie Amalrici tutta la giuris<strong>di</strong>zione che un<br />
signore suole esercitare sui propri uomini, sia per i beni allo<strong>di</strong>ali che per i mansi, così come<br />
la esercitava il vescovo <strong>di</strong> Asti, il quale ci trasferì tutti i suoi <strong>di</strong>ritti, e come risulta<br />
confermata e attestata dai privilegi in nostro possesso. Avanziamo tale riven<strong>di</strong>cazione in<br />
base ai seguenti argomenti. Per via della curtis <strong>di</strong> Quarto, che ci appartiene. Per la fedeltà<br />
che ci è dovuta dagli uomini <strong>di</strong> Quarto: essi hanno tutti giurato - o sono tenuti a giurare - <strong>di</strong><br />
non vendere, alienare o concedere in pegno a chicchessia le nostre terre senza averci<br />
interpellato (a meno che non facciano a noi la prima offerta o non le cedano ad altri<br />
uomini <strong>di</strong> Quarto oppure ai nostri uomini <strong>di</strong> Mirabello). Per il fatto che teniamo il placito.<br />
Perché riscuotiamo, dalle terre che abbiamo loro concesso, canoni in grano, in vino, in<br />
legumi, in fieno e in altri prodotti - canoni che loro sono tenuti a trasportare sino a noi: le<br />
messi nell'aia, il grano nel granaio, il fieno nelle cascine e il vino nei tini; ci devono anche 4<br />
sol<strong>di</strong> per ogni manso, della legna a Natale, l'albergaria, un agnello a Pasqua, due prestazioni<br />
d'opera - una <strong>di</strong> scasso del terreno e una <strong>di</strong> semina - e la camparia sia per le messi che per<br />
i prati e i boschi. Perché ci versano un fitto per i poderi su cui risiedono e per le terre.<br />
Sosteniamo inoltre che dalle Calende <strong>di</strong> marzo fino a quando non sia stata compiuta la<br />
falciatura dei prati non possono entrare nella Garsia mandrie <strong>di</strong> buoi, fatta eccezione per i<br />
buoi a<strong>di</strong>biti al lavoro della terra: questi potranno entrarvi se necessario due volte al giorno,<br />
verso l'ora terza - quando viene tolto il giogo - e dopo la nona, ma con un custode e solo<br />
nella parte <strong>di</strong> prato ad essi destinata; quanto ai buoi del dominico, possono pascolare<br />
dappertutto incusto<strong>di</strong>ti.<br />
Chie<strong>di</strong>amo giustizia contro Enrico Rufo, Pietro Amalrico, il fratello <strong>di</strong> costui e i figli <strong>di</strong><br />
Manasse: in tempo <strong>di</strong> tregua, essi penetrarono con violenza e a mano armata nella chiesa e<br />
nel chiostro e salirono alla sala superiore minacciando <strong>di</strong> uccidere il sacerdote.<br />
Riven<strong>di</strong>chiamo le decime della chiesa <strong>di</strong> S. Pietro, detenute da loro; la terra che Pietro<br />
Amalrico vendette a nostra insaputa, facendola passare come allo<strong>di</strong>ale; le terre nostre che<br />
comprarono da terzi, nonostante che spettasse a noi la facoltà <strong>di</strong> venderle e che, comunque,<br />
avremmo dovuto prima essere avvisati; i canoni che ci hanno sottratto; le albergarie e la<br />
legna che Manasse e Ottone Rufo non ci forniscono da <strong>di</strong>ciotto anni; i debiti che Pietro<br />
Amalrico non ci paga da sette anni; il fieno che Ottone Rosso lasciò marcire sul prato; il<br />
cane del nostro villico che ammazzarono quando entrarono con la violenza nell'immunità<br />
della chiesa. Asseriamo che Ottone Rosso non ha più alcun <strong>di</strong>ritto sui beni che deteneva<br />
dalla nostra chiesa, dal momento che compì in nostro favore un atto <strong>di</strong> definitiva rinunzia.<br />
22
Chie<strong>di</strong>amo giustizia contro Enrico Rosso, perché quando riven<strong>di</strong>cavamo da lui la fedeltà,<br />
che si rifiutava <strong>di</strong> prestare, pur essendovi tenuto, violò il pignoramento <strong>di</strong> beni al quale<br />
eravamo ricorsi per la circostanza. Esigiamo un risarcimento, quale è d'obbligo per ogni<br />
uomo nei confronti del suo signore.<br />
E come ulteriore prova <strong>di</strong> questa giuris<strong>di</strong>zione che riven<strong>di</strong>chiamo sugli Amalrici e su<br />
tutti gli uomini <strong>di</strong> Quarto, ricor<strong>di</strong>amo come spetti a noi senza contestazione, quando in una<br />
famiglia vengano a mancare i maschi, il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> succedere ai defunti e <strong>di</strong> concedere in<br />
matrimonio le donne: <strong>di</strong>ritto che esercitiamo sia sui proprietari <strong>di</strong> allo<strong>di</strong> che sui detentori<br />
<strong>di</strong> mansi. E ogni volta che vengono venduti prati della Garsia i compratori sono tenuti a<br />
rivolgersi a noi per concordare il prezzo.<br />
107-108<br />
Concordato <strong>di</strong> Worms (1122)<br />
M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, I, pp. 159-161, docc.<br />
- Privilegium Imperatoris.<br />
Nel nome della santa e in<strong>di</strong>visibile Trinità. Io Enrico, per grazia <strong>di</strong> Dio imperatore<br />
augusto dei Romani, per amore <strong>di</strong> Dio e della santa Chiesa romana e <strong>di</strong> papa Callisto e per<br />
la salvezza della mia anima, cedo a Dio e ai santi apostoli <strong>di</strong> Dio Pietro e Paolo e alla santa<br />
Chiesa cattolica, ogni investitura con l'anello e la verga, e concedo che in tutte le chiese che<br />
sono nel mio regno o impero, si facciano elezione canonica e libera consacrazione. Per i<br />
possessi e <strong>di</strong>ritti regali <strong>di</strong> san Pietro, che dall'inizio <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a fino ad oggi, sia al<br />
tempo <strong>di</strong> mio padre sia al mio, sono stati sottratti, restituisco alla stessa santa Chiesa<br />
romana quelli che sono in mio possesso e darò il mio aiuto perché siano restituiti quelli che<br />
non sono in mio possesso. Per i possessi <strong>di</strong> tutte le altre chiese e principi e altri uomini, sia<br />
chierici sia laici, che in questa guerra sono stati perduti, restituirò quelli che sono in mio<br />
possesso con il consiglio dei principi e la giustizia, e darò il mio aiuto perché siano restituiti<br />
quelli che non sono in mio possesso. Do la vera pace a papa Callisto, e alla santa chiesa <strong>di</strong><br />
Roma e a tutti quelli che sono o furono dalla sua parte. E nelle cose per cui la santa chiesa<br />
<strong>di</strong> Roma chiederà aiuto, aiuterò fedelmente, e per quelle <strong>di</strong> cui mi muoverà querela, farò ad<br />
essa la dovuta giustizia. Tutto ciò è fatto con il consenso e il consiglio dei principi [<strong>di</strong> cui<br />
segue elenco].<br />
- Privilegium Pontificis<br />
Io Callisto vescovo, servo dei servi <strong>di</strong> Dio, concedo a te Enrico, <strong>di</strong>letto figlio, per grazia<br />
<strong>di</strong> Dio imperatore augusto dei Romani, che le elezioni dei vescovi e degli abati del regno<br />
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tedesco, che fanno parte del regno, avvengano in tua presenza, senza simonia né alcuna<br />
violenza; cosicché, se tra le parti dovesse emergere un qualche <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a, con il consiglio e<br />
il giu<strong>di</strong>zio del metropolita e degli altri vescovi della provincia, tu <strong>di</strong>a assenso e aiuto alla<br />
parte più sana. L'eletto quin<strong>di</strong> riceva da te i <strong>di</strong>ritti regi con lo scettro e faccia ciò che per<br />
queste cose giustamente ti deve. Invece nelle altre parti dell'impero il vescovo consacrato<br />
riceva da te, con lo scettro, i <strong>di</strong>ritti regali entro sei mesi, e faccia ciò che per queste cose<br />
giustamente ti deve, facendo eccezione per ciò che si sa spettare alla chiesa romana. Per le<br />
cose <strong>di</strong> cui mi muoverai querela e chiederai aiuto, ti darò aiuto secondo i doveri del mio<br />
ufficio. Do la vera pace a te e a tutti quelli che sono dalla tua parte o lo furono nel tempo <strong>di</strong><br />
questa <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a.<br />
La fondazione <strong>di</strong> San Giusto <strong>di</strong> Susa (1029) secondo Rodolfo il Glabro<br />
trad. tratta da RODOLFO IL GLABRO, Cronache dell'anno Mille (Storie), a cura <strong>di</strong> G.<br />
CAVALLO e G. ORLANDI, Milano 1989, l. IV, capp. 6-8, pp. 207-213<br />
6. In quel periodo circolava un personaggio <strong>di</strong> bassa estrazione, imbroglione<br />
consumato, del quale non si conoscevano il nome e la patria, perché, secondo i luoghi dove<br />
andava a rifugiarsi, mentiva sulla propria identità per non far sapere neppure il suo paese<br />
d'origine. Scavava nei sepolcri, estraendo <strong>di</strong> nascosto le ossa dai resti <strong>di</strong> persone morte da<br />
poco, le sistemava in vari cofanetti e le vendeva a moltissima gente spacciandole per<br />
reliquie <strong>di</strong> santi martiri e confessori. Dopo aver compiuto in Gallia innumerevoli inganni <strong>di</strong><br />
questo genere, dovette emigrare nella zona delle Alpi, dove sono frequenti gli stanziamenti<br />
<strong>di</strong> popolazioni primitive, per lo più in luoghi impervi. Lì si fece chiamare Stefano, mentre<br />
prima era stato <strong>di</strong> volta in volta Pietro o Giovanni. Quin<strong>di</strong>, secondo le sue abitu<strong>di</strong>ni,<br />
raccolse <strong>di</strong> notte da sepolture <strong>di</strong> bassissimo rango le ossa <strong>di</strong> uno sconosciuto, le collocò in<br />
una teca o in un'urna, e finse <strong>di</strong> aver avuto da un angelo la rivelazione che si trattava <strong>di</strong> un<br />
santo martire <strong>di</strong> nome Giusto. Come suole fare per l'inerzia mentale tipica della gente <strong>di</strong><br />
campagna, udendo questa storia il volgo si precipitò in massa; c'era perfino chi si lagnava<br />
<strong>di</strong> non avere una malattia <strong>di</strong> cui invocare la guarigione. Gli portarono invali<strong>di</strong>; gli fecero<br />
doni; vegliarono la notte in attesa <strong>di</strong> miracoli improvvisi che, come <strong>di</strong>cevamo, è consentito<br />
talvolta agli spiriti maligni <strong>di</strong> operare per mettere alla prova gli uomini quando<br />
commettono dei peccati - come risultò chiaro oltre ogni dubbio in questa occasione. Pare<br />
infatti che in quel luogo si sia assistito a risanamenti <strong>di</strong> persone in <strong>di</strong>verse parti del corpo, e<br />
che venissero appesi ex-voto d'ogni genere. Con tutto ciò i vescovi delle città <strong>di</strong> Saint-Jean<br />
de Maurienne, Uzès e Grenoble, nelle cui <strong>di</strong>ocesi si commettevano tali profanazioni, non<br />
sentirono il bisogno <strong>di</strong> promuovere un'inchiesta; preferivano fissare dei conciliaboli, nei<br />
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quali non si faceva altro che estorcere al popolo assur<strong>di</strong> profitti e favorire al tempo stesso<br />
quell'impostura.<br />
7. Nel frattempo il ricchissimo marchese Manfre<strong>di</strong>, venuto a conoscenza del fatto,<br />
inviò degli uomini a strappare con la forza e portare da lui quell'oggetto illusorio <strong>di</strong><br />
venerazione, le credute spoglie <strong>di</strong> un degno martire. Il marchese aveva iniziato presso il<br />
castello <strong>di</strong> Susa, che è tra i più antichi delle Alpi, la costruzione <strong>di</strong> un monastero in onore <strong>di</strong><br />
Dio onnipotente e <strong>di</strong> sua madre Maria sempre vergine: e qui appunto, una volta ultimato il<br />
lavoro, si proponeva <strong>di</strong> collocare le reliquie insieme a quelle <strong>di</strong> molti altri santi. Poco tempo<br />
dopo, terminata l'e<strong>di</strong>ficazione della chiesa e fissato il giorno della consacrazione, furono<br />
invitati i vescovi dei territori circostanti, e con loro venne anche quell'abate Guglielmo che<br />
abbiamo più volte menzionato, oltre a vari altri abati. Era anche presente l'impostore,<br />
<strong>di</strong>venuto molto caro al marchese perché gli prometteva <strong>di</strong> scoprire presto per lui reliquie <strong>di</strong><br />
santi assai più preziose <strong>di</strong> quelle; santi dei quali inventava nome, vita e passione. Quando i<br />
più istruiti tra i presenti gli chiedevano come ne venisse a conoscenza, blaterava fandonie<br />
inverosimili; ho assistito io stesso alla scena, essendomi recato sul posto insieme all'abate<br />
più volte nominato […].<br />
8. Celebrando il rito <strong>di</strong> consacrazione della chiesa per il quale erano venuti, i vescovi<br />
portarono dentro, tra le altre reliquie, anche le ossa scoperte per finta dall'empio: e ciò in<br />
mezzo al giubilo grande dell'uno e dell'altro popolo, che era convenuto innumerevole sul<br />
luogo. Tutto questo si svolse in 17 ottobre, giacché i fautori <strong>di</strong> quell'errata opinione<br />
sostenevano che si trattava delle ossa <strong>di</strong> quel martire Giusto che proprio in tale data<br />
affrontò il martirio nella città gallica <strong>di</strong> Beauvais, e la cui testa fu riportata a Auxerre dove<br />
ero nato e cresciuto e dove tuttora essa si trova. Ma io, ben sapendo come stavano le cose,<br />
affermai che era una pretesa assurda; e la mia asserzione fu confortata dal parere <strong>di</strong><br />
personaggi ragguardevoli che avevano capito l'insi<strong>di</strong>osa finzione. La notte seguente certi<br />
monaci e altri religiosi assistettero in quella chiesa ad apparizioni mostruose: si videro<br />
figure tenebrose <strong>di</strong> Etiopi uscire all'urna che custo<strong>di</strong>va le ossa e allontanarsi dalla chiesa. E<br />
sebbene parecchie persone <strong>di</strong> mente lucida gridassero all'abominio per l'ignobile<br />
menzogna, la massa della plebe rurale, corrotta da quel ciarlatano, persisteva nel vecchio<br />
errore <strong>di</strong> venerare, come fosse Giusto, un nome riferito a persona non giusta.<br />
25
La fondazione <strong>di</strong> San Giusto <strong>di</strong> Susa nell'atto <strong>di</strong> fondazione (1029)<br />
C. CIPOLLA, Le più antiche carte <strong>di</strong>plomatiche del monastero <strong>di</strong> S. Giusto <strong>di</strong> Susa<br />
(1029-1212), in "Bullettino dell'Istituto storico italiano per il me<strong>di</strong>o evo", 18 (1896), pp.<br />
68-75, doc. 1<br />
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Noi Alrico, per grazia <strong>di</strong> Dio<br />
vescovo della santa chiesa Astense, e Olderico detto anche Manfredo, con l'assenso <strong>di</strong> Dio<br />
marchese, fratelli, figli del fu Manfredo, anch'egli marchese, e Berta, per la misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />
Cristo contessa, figlia del fu Oberto anch'egli marchese, coniugi, [Olderico e Berta] […],<br />
desideriamo <strong>di</strong>sporre per <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> alcuni nostri beni con un nostro testamento, e quin<strong>di</strong><br />
costituiamo nostro erede per questi beni Dio onnipotente, a cui sono soggette tutte le cose<br />
visibili e invisibili; e per suo amore e timore vogliamo costruire un monastero in cui si<br />
stabilisca in perpetuo una congregazione <strong>di</strong> monaci, che giorno e notte innalzi preghiere al<br />
nostro Creatore sia per noi e i nostri genitori e figli e figlie, <strong>di</strong> noi detti coniugi, e <strong>di</strong><br />
Arduino nostro nonno e <strong>di</strong> Adalberto marchese, fratello della contessa Berta, e dei suoi figli,<br />
e <strong>di</strong> Oddone, Attone, Ugone e Guido nostri fratelli, e <strong>di</strong> Arduino e Oddone, nostri zii, e<br />
ancora <strong>di</strong> Arduino nostro cugino, sia per nonne, zii e zie paterni e materni e per tutti i<br />
nostri parenti <strong>di</strong> entrambi i sessi, e per tutti i fedeli vivi e defunti; [innalzi preghiere]<br />
affinché egli nella sua clemenza cancelli i nostri peccati e ci faccia perseverare nelle buone<br />
opere […].<br />
Sia quin<strong>di</strong> noto a tutti che abbiamo e posse<strong>di</strong>amo in nostra proprietà una pezza <strong>di</strong><br />
terra posta entro la città <strong>di</strong> Susa, dove è costruita una basilica in onore <strong>di</strong> Nostro Signore<br />
Gesù Cristo, e della santa Trinità, e <strong>di</strong> santa Maria Vergine, e <strong>di</strong> san Michele Arcangelo, e<br />
dei santi Pietro e Paolo principi degli apostoli, e dei santi Giovanni Battista e Giovanni<br />
Evangelista, e <strong>di</strong> san Giusto martire <strong>di</strong> Cristo, in cui riposa il suo santo corpo, e in onore <strong>di</strong><br />
tutti i santi; questa terra misura due iugeri, a confina ad aquilone e occidente con il muro<br />
della stessa città. In questa basilica vogliamo e stabiliamo che da adesso in perpetuo si<br />
stabilisca una congregazione <strong>di</strong> monaci [sotto la regola <strong>di</strong> san Benedetto] […]; e alla guida<br />
<strong>di</strong> questa congregazione abbiamo eletto e consacrato come abate un monaco devoto a Dio,<br />
degno grazie alla misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Cristo e dotto <strong>di</strong> questa regola, <strong>di</strong> nome Domenico, che fin<br />
dall'infanzia seguendo la vita <strong>di</strong> questa regola appare essere ben dotto e cresciuto.<br />
Con questo nostro testamento confermiamo, aggiu<strong>di</strong>chiamo e conce<strong>di</strong>amo al<br />
monastero, dalla nostra proprietà per l'uso e le spese dei monaci del monastero, insieme<br />
con la pezza <strong>di</strong> terra detta sopra, dove la basilica è de<strong>di</strong>cata, la terza parte della stessa città<br />
<strong>di</strong> Susa e del suo territorio, escluso il castello posto nei pressi della stessa città, e la terza<br />
parte della valle <strong>di</strong> Susa, che è nostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, sia nei monti sia nelle pianure, come<br />
26
delimitano i monti chiamati Ginevro e Cenisio, fino al territorio e ai confini del villaggio<br />
chiamato Vaie, nei luoghi e fon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Cesana, Oulx, Bardonecchia, Salbertrand, Exilles,<br />
Chiomonte, Giaglione, Meana, Mattie, Foresto, Bussoleno, San Giorio, Chianocco, Bruzolo,<br />
Borgone, Villarfocchiardo e sant'Antonino, con le case, cappelle e tutti i beni pertinenti a<br />
questi luoghi e territori. Conce<strong>di</strong>amo inoltre e doniamo due intere corti, con le loro<br />
pertinenze, chiamate Almese e Rubiana, nostre <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto; e inoltre un'altra corte con le sue<br />
pertinenze, chiamata Vigone, e metà <strong>di</strong> un'altra corte e delle sue pertinenze, chiamata<br />
Volvera, anch'essa nostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto. […]<br />
Giu<strong>di</strong>chiamo e fermamente or<strong>di</strong>niamo che il monastero in nessun modo resti sotto il<br />
governo <strong>di</strong> alcuna <strong>di</strong>ocesi o <strong>di</strong> un altro monastero, né <strong>di</strong> altre persone, o per dono<br />
dell'imperatore, del re o <strong>di</strong> altra persona, ma sempre sia nella potestà <strong>di</strong> Dio onnipotente,<br />
che nominiamo nostro erede per questo […]. [Stabiliamo che] finché tutti o uno <strong>di</strong> noi sarà<br />
in vita, il monastero sia nel nostro governo, seguendo Dio e tutti i santi. Dopo la morte <strong>di</strong><br />
tutti noi, se un figlio maschio sarà nato dal matrimonio <strong>di</strong> noi coniugi, spetterà al<br />
primogenito <strong>di</strong> dare senza essere pagato l'or<strong>di</strong>nazione, ovvero costituire l'abate. E dopo il<br />
primo il secondo, e dopo il secondo il terzo, e così uno dopo l'altro riceva [il compito]<br />
dell'or<strong>di</strong>nazione. Se verranno a mancare i figli maschi, e nipoti e pronipoti maschi saranno<br />
<strong>di</strong>scesi dal matrimonio <strong>di</strong> noi coniugi, come abbiamo stabilito per i figli, così sia anche per<br />
loro, fino alla quinta generazione, in modo che sempre abbia l'or<strong>di</strong>nazione il maggiore della<br />
stirpe. E se verranno mancare figli maschi, nipoti e pronipoti dello stesso sesso, allora<br />
stabiliamo che spetti alle nostre figlie e ai loro figli maschi il potere <strong>di</strong> dare, senza<br />
pagamento, questa or<strong>di</strong>nazione, non parimenti a tutti, ma sempre a quello o quella che sarà<br />
il maggiore della stirpe.<br />
[All'estinguersi della stirpe i monaci avranno il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> eleggere l'abate, che potrà<br />
andare a farsi consacrare da qualunque vescovo]<br />
Diploma <strong>di</strong> Berengario I al vescovo <strong>di</strong> Bergamo (904)<br />
trad. tratta da G. FASOLI, F. BOCCHI, La città me<strong>di</strong>evale italiana, Firenze 1973, p. 121<br />
In nome della santa e in<strong>di</strong>visibile Trinità, Berengario per grazia <strong>di</strong>vina re […].<br />
Ildegario venerabile vescovo e Sigifredo glorioso conte del sacro palazzo, nostri consiglieri<br />
<strong>di</strong>letti, hanno fatto ricorso alla nostra bontà, a nome <strong>di</strong> Adelberto reverendo vescovo della<br />
santa Chiesa <strong>di</strong> Bergamo, dandoci notizia che la città <strong>di</strong> Bergamo fu sopraffatta da un<br />
attacco nemico, così che ora è gravemente turbata per l'incursione dei feroci Ungari e per la<br />
grave oppressione dei conti e dei loro uomini e hanno chiesto che le torri e le mura della<br />
suddetta città vengano ricostruite per opera e cura del vescovo e dei suoi concitta<strong>di</strong>ni e <strong>di</strong><br />
27
coloro che si sono rifugiati sotto la <strong>di</strong>fesa della Chiesa matrice <strong>di</strong> San Vincenzo e ci hanno<br />
anche chiesto <strong>di</strong> confermare con la nostra regale autorità le concessioni e i privilegi dei<br />
piissimi re e imperatori predecessori nostri, quanti dal tempo <strong>di</strong> Carlo Magno <strong>di</strong> venerata<br />
memoria hanno regnato fino ad ora.<br />
Rispondendo alle loro devote preghiere con il nostro consenso, abbiamo or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong><br />
scrivere queste pagine nelle quali, accogliendo la preghiera del suddetto vescovo presentata<br />
dai nostri fedeli, or<strong>di</strong>niamo che, per l'imminente necessità per l'incursione dei pagani, la<br />
città <strong>di</strong> Bergamo venga ricostruita ovunque il predetto vescovo e i citta<strong>di</strong>ni lo ritengano<br />
necessario. Le torri, le mura, le porte della città ad opera e cura del vescovo e dei citta<strong>di</strong>ni e<br />
dei rifugiati rimangano sotto la potestà e la <strong>di</strong>fesa del vescovo e dei suoi successori in<br />
perpetuo. Abbia anche la potestà <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare case presso le torri e le mura, dove sarà<br />
necessario, purché non impe<strong>di</strong>scano i servizi <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa.<br />
Tutti i <strong>di</strong>ritti della cosa pubblica siano trasferiti alla sopraddetta Chiesa, così che il<br />
vescovo e i suoi successori abbiano tutti i <strong>di</strong>ritti su tutte queste cose, come su tutte le altre<br />
cose che i vescovi della stessa Chiesa hanno posseduto fin dai tempi più antichi. Decretiamo<br />
che qualsiasi cosa che gli antichi imperatori e re, le imperatrici e le regine dei Romani, dei<br />
Longobar<strong>di</strong> e dei Franchi, nonché tutte le altre persone timorate <strong>di</strong> Dio hanno offerto alla<br />
santa Chiesa <strong>di</strong> Bergamo rimanga ferma e stabile ai tempi nostri e in futuro.<br />
Diploma <strong>di</strong> Berengario II e Adalberto ai Genovesi (958)<br />
trad. tratta da G. FASOLI, F. BOCCHI, La città me<strong>di</strong>evale italiana, Firenze 1973, p. 124<br />
In nome <strong>di</strong> Dio eterno, Berengario e Adalberto re per grazia <strong>di</strong>vina. Conviene che<br />
l'eccellenza regale inclini le orecchie ai voti dei suoi fedeli, per renderli più fedeli e pronti<br />
nella loro obbe<strong>di</strong>enza, perciò […] confermiamo e corroboriamo a tutti i nostri fedeli e<br />
abitatori della città <strong>di</strong> Genova tutte le cose e le proprietà loro, i livelli e le precarie e tutte le<br />
cose che possiedono secondo le loro consuetu<strong>di</strong>ni quale sia il titolo o il tipo <strong>di</strong> scrittura con<br />
il quale le acquisirono, e quelle cose che ad essi pervennero da parte del padre e della<br />
madre. Confermiamo e corroboriamo loro tutte le cose dentro e fuori della città, insieme<br />
con le terre, vigne e prati, pascoli, selve, saliceti, seminativi, rive, mulini, <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pesca,<br />
monti, valli, pianure, acque e corsi d'acqua, servi ed ancelle dell'uno e dell'altro sesso e<br />
tutto quello che può essere detto e nominato, che secondo la loro consuetu<strong>di</strong>ne essi<br />
possiedono, con annessi e connessi nella loro integrità. Or<strong>di</strong>niamo anche che nessun duca,<br />
marchese e conte, sculdascio, decano o qualsiasi altra persona grande o piccola del nostro<br />
regno osi entrare ad esercitare atti <strong>di</strong> autorità nelle loro case o pretenda il mansionatico o<br />
rechi loro ingiuria o molestia.<br />
28
Diplomi <strong>di</strong> Enrico II agli uomini e alla chiesa <strong>di</strong> Savona (1014)<br />
M.G.H., Diplomata Regum et Imperatorum Germaniae, III, pp. 377-379, docc. 303-304<br />
Enrico, con il favore della <strong>di</strong>vina clemenza, imperatore augusto dei Romani. Vogliamo<br />
che sia noto a tutti i nostri fedeli, presenti e futuri, che per l’intercessione <strong>di</strong> Ardemanno<br />
vescovo <strong>di</strong> Savona e nostro <strong>di</strong>letto fedele, conce<strong>di</strong>amo, confermiamo e con la nostra<br />
autorità <strong>di</strong> legge garantiamo a tutti gli uomini maggiori abitanti nella marca <strong>di</strong> Savona, nel<br />
castello, tutte le cose e le proprietà dal mare fino ai monti e fino al fiume Lerone, sia nelle<br />
città sia al <strong>di</strong> fuori, e i villaggi, i beni dati in affitto, i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> pesca e <strong>di</strong> caccia che sono<br />
soliti avere. Or<strong>di</strong>niamo inoltre che all’interno dei detti confini non siano costruiti castelli né<br />
sia imposto alcunché <strong>di</strong> aggiuntivo a questi uomini da parte dei marchesi o dei loro conti o<br />
visconti, vale a <strong>di</strong>re per il fodro, l’imprigionamento degli uomini o le terre e<strong>di</strong>ficate. Perciò<br />
raccoman<strong>di</strong>amo e per il futuro stabiliamo fermamente che nessun duca, marchese, vescovo,<br />
conte, visconte, gastaldo, cacciatore o qualunque altra persona grande o piccola del nostro<br />
impero si permetta <strong>di</strong> infasti<strong>di</strong>re o molestare per questi beni i detti uomini abitanti nel<br />
castello <strong>di</strong> Savona. Se qualcuno tenterà <strong>di</strong> andar contro questo nostro or<strong>di</strong>ne imperiale,<br />
dovrà pagare un pena <strong>di</strong> mille lire <strong>di</strong> ottimo oro, metà alla nostra camera e metà ai suddetti<br />
migliori e più nobili uomini abitanti nel castello <strong>di</strong> Savona.<br />
Enrico, con il favore della <strong>di</strong>vina grazia, imperatore augusto dei Romani. La<br />
provvidenza della <strong>di</strong>vina pietà ci ha condotto a questo onore imperiale e al culmine <strong>di</strong><br />
tanto potere, affinché siamo solleciti al culto <strong>di</strong>vino e sempre vigili e attenti alla protezione,<br />
alla custo<strong>di</strong>a e alla crescita della chiesa <strong>di</strong> Cristo. Perciò sappia la devozione <strong>di</strong> tutti i fedeli<br />
della santa chiesa <strong>di</strong> Dio e nostri, presenti e futuri, che Ardemanno vescovo <strong>di</strong> Savona ha<br />
presentato ai nostri imperiali sguar<strong>di</strong> il <strong>di</strong>ploma e protezione dei nostri nobilissimi<br />
predecessori imperatori Ottoni, con cui avevano concesso alla stessa chiesa <strong>di</strong> Savona cose,<br />
beni e immunità. Perciò noi, considerando la loro conferma, <strong>di</strong>ploma e immunità, per il<br />
timore <strong>di</strong> Dio e per la salvezza della nostra anima, confermiamo e garantiamo in perpetuo<br />
con questo nostro <strong>di</strong>ploma imperiale, la casa con torre e corte e mansi, porta e riva del<br />
mare del castello <strong>di</strong> Savona [e altri 27 luoghi e 4 pievi], e le corti, pievi, proprietà con le<br />
decime, le cappelle, le vigne, le famiglie servili <strong>di</strong> entrambi i sessi, terre, prati, campi,<br />
pascoli, boschi, e con tutte le corti che versano le decime […]. Or<strong>di</strong>na che nessun duca,<br />
marchese, conte o altra persona grande o piccola del nostro impero osi privare o molestare<br />
<strong>di</strong> questi beni la detta sede savonese. Chi lo farà, dovrà pagare cento lire d’oro, metà alla<br />
nostra camera e metà al detto vescovo Ardemanno e ai suoi successori.<br />
29
Or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Corrado II ai Cremonesi (1037)<br />
trad. tratta da G. FASOLI, F. BOCCHI, La città me<strong>di</strong>evale italiana, Firenze 1973, p. 134<br />
- In nome della santa e in<strong>di</strong>visibile Trinità, Corrado per grazia <strong>di</strong>vina augusto<br />
imperatore dei Romani […]. Abbiamo saputo che i citta<strong>di</strong>ni cremonesi hanno cospirato e<br />
congiurato contro la santa Chiesa cremonese, loro madre spirituale e signora, e contro<br />
Landolfo <strong>di</strong> buona memoria vescovo della stessa sede e loro spirituale patrono e signore,<br />
così che con grave ignominia e <strong>di</strong>sdoro lo hanno scacciato dalla città e spogliato dei suoi<br />
beni. Essi hanno <strong>di</strong>strutto dalle fondamenta un torrione del castello, circondato con doppio<br />
muro e con sette torri; e i servi che erano dentro, insieme con alcuni fedeli canonici sono<br />
stati costretti a riscattarsi con denaro per sfuggire alla morte dopo essere stati depredati <strong>di</strong><br />
tutte le loro cose. Essi hanno demolito la cerchia <strong>di</strong> mura della città vecchia costruendone<br />
un'altra più ampia per meglio <strong>di</strong>fendersi contro <strong>di</strong> noi […]. E poiché rimangono<br />
ostinatamente stretti in questa congiura e impe<strong>di</strong>scono al santo vescovo Ubaldo <strong>di</strong><br />
esercitare la sua autorità e <strong>di</strong> riscuotere l'affitto dei mulini e il censo delle navi e i red<strong>di</strong>ti<br />
delle case, che tengono senza l'investitura <strong>di</strong> lui, e occupano le terre proprie della chiesa<br />
[…], e assalgono i suoi agenti per ucciderli […], e sra<strong>di</strong>cano le sue foreste e non gli<br />
consentono nessuna autorità fuori dalla porta della sua casa […]. Per reprimere la<br />
contumacia ed estirpare il ripetersi <strong>di</strong> questi delitti e sollevare la miseria della Chiesa<br />
cremonese, le conce<strong>di</strong>amo tutte le terre che i congiurati e i cospiratori possiedono nella<br />
città o nel suburbio nel raggio <strong>di</strong> cinque miglia.<br />
- Corrado, per grazia <strong>di</strong> Dio augusto imperatore dei Romani, a tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />
Cremonesi, salute. Vogliamo e fermamente or<strong>di</strong>niamo che voi paghiate il denaro promesso<br />
al vostro vescovo in risarcimento dell'aggressione, dell'incen<strong>di</strong>o e della preda che avete<br />
fatto nei suoi castelli, se volete la nostra benevolenza. Noi vogliamo che il vostro signore<br />
goda la terra della Chiesa come l'aveva goduta il vescovo Landolfo al tempo dell'imperatore<br />
Enrico. Quanto alle selve della Chiesa che sono nei <strong>di</strong>ntorni, delle quali voi vi servite contro<br />
la sua volontà, or<strong>di</strong>niamo che voi non ve ne possiate giovare, se non gli pagherete un censo,<br />
come Milano, Pavia, Piacenza […]. Gli omici<strong>di</strong> e i ladri che sono in città e che il vescovo<br />
vuole sottoporre a giu<strong>di</strong>zio, voi dovete condurli alla sua presenza e dovete collaborare<br />
perché possa giu<strong>di</strong>carli.<br />
30
Breve dei consoli <strong>di</strong> Genova (1143)<br />
trad. tratta da G. FASOLI, F. BOCCHI, La città me<strong>di</strong>evale italiana, Firenze 1973, p. 149<br />
In nome <strong>di</strong> Dio amen. Dalla prossima festa della Purificazione <strong>di</strong> Maria per un anno,<br />
noi consoli eletti per il Comune riconosceremo e opereremo secondo l'onore del nostro<br />
arcivescovado e della nostra santa madre Chiesa e della nostra città in tutte le cose mobili e<br />
immobili […].<br />
Non <strong>di</strong>minuiremo volontariamente l'onore della nostra città, né il vantaggio e l'onore<br />
della nostra santa madre Chiesa. Non faremo torto a nessuno dei nostri concitta<strong>di</strong>ni a<br />
vantaggio del Comune, né al Comune a vantaggio <strong>di</strong> qualche nostro concitta<strong>di</strong>no, ma<br />
procederemo con equità, come riconosceremo in buona fede e ragionevolmente essere<br />
giusto […].<br />
E per nessuna ragione trascureremo <strong>di</strong> occuparci delle <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e che ci saranno tra le<br />
pievi della nostra archi<strong>di</strong>ocesi per cose <strong>di</strong> interesse comune o relative al nostro comune,<br />
per le quali si sia fatto ricorso a noi […].<br />
E prima <strong>di</strong> tutto andremo a far vendetta e a ristabilire la giustizia e l'onore del nostro<br />
arcivescovado e della nostra santa madre Chiesa e <strong>di</strong> tutte le altre chiese, dei sacerdoti, dei<br />
vecchi, degli orfani, delle vedove, dei minorenni, delle donne della nostra città […].<br />
Se qualcuno, uomo o donna, intenzionalmente commetterà un omici<strong>di</strong>o contro un<br />
uomo della nostra compagna o contro qualcuno <strong>di</strong> quelli che non furono chiamati a far<br />
parte della nostra compagna, o che noi non abbiamo ritenuto essere utile che vi entrassero,<br />
o contro un sacerdote, o contro un minorenne, che facciano parte della nostra compagna,<br />
quell'omicida lo manderemo in esilio e <strong>di</strong>struggeremo tutti i suoi beni e li devasteremo e<br />
assegneremo le proprietà <strong>di</strong> colui che ha commesso omici<strong>di</strong>o al padre, alla madre o ai figli o<br />
alle figlie, ai fratelli o alle sorelle dell'ucciso se vorranno averli; e se non vorranno averli, li<br />
assegneremo alla chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo e sentenzieremo che se l'omicida avrà figli e figlie<br />
non ere<strong>di</strong>tino i suoi beni e seguiremo tale sentenza […].<br />
Se un Genovese sarà stato personalmente invitato da uno <strong>di</strong> noi o pubblicamente<br />
chiamato a entrare nella nostra compagna ed entro 40 giorni dopo essere stato invitato non<br />
vorrà entrare, non avremo il dovere <strong>di</strong> proteggerlo e per tre anni non accoglieremo le sue<br />
istanze davanti al nostro tribunale […], e non lo nomineremo console, né custode delle<br />
chiavi della città, non lo manderemo in nessun luogo come ambasciatore, non lo<br />
accetteremo come avvocato davanti al nostro tribunale, né gli daremo un ufficio comunale<br />
[…].<br />
31
Se da qualche torre sarà gettata qualche cosa durante un combattimento citta<strong>di</strong>no,<br />
senza or<strong>di</strong>ne dei consoli, e qualcuno per quel lancio sarà ucciso, <strong>di</strong>struggeremo la torre o<br />
imporremo al proprietario 1.000 sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> multa […].<br />
Se qualcuno, abitante della nostra città, avente dai 14 anni in su, porterà un coltello o<br />
una spada o una lancia senza il nostro permesso, salvo il caso che esca dalla città, gli<br />
toglieremo 20 sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> multa […].<br />
Costituzione <strong>di</strong> pace <strong>di</strong> Federico I (1158)<br />
M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, X/2, p.33, doc. 241<br />
Federico, per grazia <strong>di</strong> Dio imperatore dei Romani e sempre Augusto, a tutti i sud<strong>di</strong>ti<br />
del suo impero.<br />
Con questa legge in forma <strong>di</strong> e<strong>di</strong>tto, or<strong>di</strong>niamo che tutti i sud<strong>di</strong>ti del nostro impero<br />
osservino una pace vera e perpetua tra <strong>di</strong> loro, e che un patto tra tutti sia conservato<br />
inviolato in perpetuo. I duchi, marchesi, conti, capitanei, valvassori e i rettori <strong>di</strong> tutti i<br />
luoghi, con tutti i maggiori dei luoghi e le plebi, a partire dal <strong>di</strong>ciottesimo anno d'età e fino<br />
al sessantesimo, si obblighino con il giuramento a rispettare la pace, e i rettori dei luoghi<br />
aiutino a <strong>di</strong>fendere e ven<strong>di</strong>care la pace; e ogni cinque anni si rinnovino i giuramenti <strong>di</strong> tutti<br />
relativi alla conservazione della pace.<br />
Se qualcuno riterrà <strong>di</strong> avere un qualche <strong>di</strong>ritto contro qualcuno, per qualunque causa<br />
o fatto, ricorra al potere giu<strong>di</strong>ziario e tramite esso ottenga il <strong>di</strong>ritto che gli spetta.<br />
Se qualcuno temerariamente penserà <strong>di</strong> rompere questa pace, se è una città, sia<br />
punita con una pena <strong>di</strong> 100 lire d'oro da pagare al nostro tesoro. Un castello sia multato <strong>di</strong><br />
20 lire d'oro. Duchi, marchesi e conti versino 50 lire d'oro. I capitanei e i valvassori<br />
maggiori siano puniti <strong>di</strong> 20 lire d'oro. Invece i valvassori minori e tutti gli altri violatori <strong>di</strong><br />
questa pace, siano costretti a versare 6 lire d'oro, e risarciscano secondo le leggi il danno a<br />
chi l'avrà subito.<br />
L'ingiuria e il furto siano puniti secondo le leggi. L'omici<strong>di</strong>o e l'amputazione dei<br />
membri e qualunque altro delitto sia ven<strong>di</strong>cato secondo le leggi.<br />
I giu<strong>di</strong>ci e i <strong>di</strong>fensori dei luoghi e qualunque altro magistrato istituiti o confermati<br />
dall'imperatore o per sua volontà, che rifiuteranno <strong>di</strong> fare giustizia e trascureranno <strong>di</strong><br />
ven<strong>di</strong>care secondo le leggi la pace violata, siano costretti a risarcire tutto il danno a chi<br />
avrà subito l'ingiuria. Inoltre, se è un giu<strong>di</strong>ce maggiore, versi al sacro erario la pena <strong>di</strong> 10<br />
lire d'oro; se invece è minore, sia multato <strong>di</strong> una pena <strong>di</strong> 3 lire d'oro. Colui che mostrerà <strong>di</strong><br />
faticare a pagare questa pena per la propria povertà, patisca la punizione sul proprio corpo<br />
con le frustate, e per cinque anni viva lontano 50 miglia dal luogo in cui abita.<br />
32
Proibiamo <strong>di</strong> fare patti e tutte le congiure dentro le città e al <strong>di</strong> fuori, anche se dovuti<br />
alla parentela, sia tra città e città, sia tra persona e persona o tra città e persona;<br />
<strong>di</strong>chiariamo nulle quelle fatte in precedenza, con l'obbligo per ognuno dei giuranti <strong>di</strong><br />
pagare una pena <strong>di</strong> 1 lira d'oro.<br />
Vogliamo che i vescovi dei luoghi obblighino con la censura ecclesiastica i violatori <strong>di</strong><br />
questa legge, finché non vengano a dare sod<strong>di</strong>sfazione; [stabiliamo] che chi accoglierà i<br />
malfattori che avranno violato questa pace o che compreranno il bottino così ottenuto,<br />
subiscano la nostra in<strong>di</strong>gnazione e siano sottoposti alla stessa pena.<br />
Inoltre, se qualcuno non vorrà giurare e rispettare la pace, i suoi beni siano messi<br />
all'incanto e la casa <strong>di</strong>strutta, e non potrà fruire della legge <strong>di</strong> pace.<br />
Condanniamo e in ogni modo proibiamo, nelle città e nei castelli, le esazioni illecite<br />
soprattutto ai danni delle chiese, il cui abuso da lungo tempo è cresciuto. E se saranno<br />
fatte, siano restituite raddoppiate.<br />
Siano rispettati in modo inviolabili i giuramenti degli adolescenti fatti per contratti<br />
non rescin<strong>di</strong>bili relativi al loro patrimonio. Or<strong>di</strong>niamo invece che siano nulli i giuramenti<br />
estorti con la forza o con l'ingiusto timore, anche da parte dei maggiori, soprattutto [quelli<br />
ottenuti] perché non facessero querela per i malefici commessi.<br />
Inoltre: chi venda il proprio allo<strong>di</strong>o, non pensi <strong>di</strong> vendere il potere e la giuris<strong>di</strong>zione<br />
dell'imperatore; e se lo farà, non avrà valore.<br />
Il comune <strong>di</strong> Genova <strong>di</strong> fronte a Federico I<br />
trad. tratta da Gli Annali <strong>di</strong> Caffaro (1099-1163), a c. <strong>di</strong> G. AIRALDI, traduzione e note<br />
<strong>di</strong> M. MONTESANO, Genova 2002, pp. 108-112<br />
1158<br />
In tutto il regno d'Italia cominciarono e si compirono molti, <strong>di</strong>versi e inau<strong>di</strong>ti fatti; fra<br />
i quali vi sono le cose fatte da Federico imperatore dei Romani in Liguria e per mare, <strong>di</strong> cui<br />
è opportuno che Caffaro, per quanto è nelle sue conoscenze, <strong>di</strong>a notizia affinché non<br />
cadano nell'oblio. Conosca dunque il senno degli uomini presenti e futuri che detto<br />
imperatore scese in Lombar<strong>di</strong>a con un grande esercito <strong>di</strong> Tedeschi, in modo che quanti<br />
erano stati sino ad allora inadempienti, dessero piena sod<strong>di</strong>sfazione all'impero per la<br />
misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio e la venuta del sovrano. Per questo, dopo aver convocato per la guerra<br />
tutti i marchesi, i conti e i consoli delle città, nonché tutti gli uomini d'arme <strong>di</strong> Toscana e<br />
Lombar<strong>di</strong>a, l'imperatore pose il campo presso l'arco romano per asse<strong>di</strong>are Milano con un<br />
immenso esercito. E i Milanesi, dopo aver resistito per pochi giorni, in breve tempo<br />
giurarono <strong>di</strong> sottostare alla volontà e agli or<strong>di</strong>ni dell'imperatore. Ed egli da parte sua,<br />
33
mosso a pietà, trattò con indulgenza e senza conseguenze le passate <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enze dei<br />
Milanesi; confermarono con giuramento che gli avrebbero prestato fedeltà e gli avrebbero<br />
rimesso i <strong>di</strong>ritti regali e gli avrebbero dato nei termini stabiliti novemila marche d'argento e<br />
trecento ostaggi. Allora tutte le genti <strong>di</strong> Lombar<strong>di</strong>a e Toscana, terrorizzate, al pari dei<br />
Milanesi <strong>di</strong>edero piena sod<strong>di</strong>sfazione all'imperatore. Compiuta la maggior parte <strong>di</strong> queste<br />
cose, riunì un'assemblea a Roncaglia e vi emanò molte leggi in merito alle cause presentate<br />
<strong>di</strong>nanzi a lui, e or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> ristabilire e mantenere la pace tra le città d'Italia. Nel frattempo i<br />
Genovesi, già più volte convocati alla sua curia con lettere e insistentemente incalzati dai<br />
suoi principi e funzionari, gli inviarono numerosi fra i più nobili dei loro. Egli presentava<br />
numerose richieste, ossia che senza indugi e al pari delle altre città d'Italia per <strong>di</strong>mostrargli<br />
fedeltà consegnassero gli ostaggi e ripristinassero i <strong>di</strong>ritti regi. Al che, pur lodando le cose<br />
fatte dagli altri, tuttavia con cautela cercavano <strong>di</strong> sfuggire a questi obblighi e <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare<br />
che ne erano esenti. Infatti sin dai tempi antichi gli imperatori romani avevano concesso e<br />
confermato che gli abitanti della città <strong>di</strong> Genova dovessero essere per sempre esentati da<br />
ogni servizio <strong>di</strong> angaria e <strong>di</strong> parangaria , e che dovessero all'impero solo la fedeltà e il<br />
servizio <strong>di</strong> protezione marittima contro i barbari, e in nessun modo potessero essere gravati<br />
ulteriormente. Poiché essi avevano bene adempiuto a ciò che era il loro dovere e, con<br />
l'aiuto <strong>di</strong>vino, avevano allontanato gli attacchi e le minacce dei barbari che<br />
quoti<strong>di</strong>anamente vessavano tutta la fascia <strong>di</strong> mare fra Roma e Barcellona, cosicché grazie a<br />
loro ciascuno poteva dormire e riposare sicuro sotto il suo fico e la sua vite, cose che<br />
l'impero non avrebbe potuto assicurare altrimenti, nemmeno spendendo <strong>di</strong>ecimila marche<br />
d'argento l'anno: per questo non si poteva per alcun motivo pretendere da loro cose non<br />
dovute; inoltre non possono esser chiamati a compiere ciò che agli altri Italici è richiesto;<br />
poiché non hanno terre dell'impero da cui trarre <strong>di</strong> che vivere o in qualche modo<br />
sostentarsi; e poiché prendono altrove il necessario per vivere in Genova e per poter<br />
sostenere l'onore dell'impero; e, ancora, poiché nelle terre straniere in cui esercitano il<br />
commercio sono soggetti a innumerevoli dazi per le loro transazioni mercantili e<br />
acquistano, pagandone il prezzo, il libero possesso delle loro cose: per tutte queste ragioni<br />
non devono tributo all'impero, poiché fin dagli antichi tempi è stato stabilito<br />
dall'imperatore romano che nessuno, eccetto Cesare, riscuota tributo e sia un suo problema<br />
se venga percepito da un altro. Quin<strong>di</strong> gli abitanti <strong>di</strong> Genova devono soltanto la fedeltà, e<br />
non si può esigere da loro nient'altro.<br />
[…] [i Genovesi si fortificano e si preparano a uno scontro armato]<br />
L'imperatore da parte sua, considerando ogni cosa, non voleva da un lato accettare le<br />
azioni e le eccezioni sollevate dai Genovesi, e rendendosi conto che essi non avrebbero<br />
sopportato <strong>di</strong> veder in qualche modo sminuita la loro antica consuetu<strong>di</strong>ne, li convocò<br />
nuovamente presso Bosco, dove era giunto con un contingente militare […]. [I<br />
rappresentanti <strong>di</strong> Genova] conclusero con lui questo accordo, cioè che l'imperatore<br />
34
concedeva la sua buona <strong>di</strong>sposizione e la sua grazia <strong>di</strong> Genovesi, e li accettava sotto la sua<br />
tutela e <strong>di</strong>fesa; aggiungendo che non avrebbe dato ascolto a nessun ricorso contro <strong>di</strong> loro,<br />
né in alcun modo li avrebbe perseguiti per quanto avevano e possedevano giustamente o<br />
ingiustamente: eccetto che se si fosse trattato <strong>di</strong> beni presi a qualche viaggiatore, ché in tal<br />
caso non avrebbe consentito che essi li tenessero, e stabilì che l'accordo sarebbe stato<br />
valido sino al giorno <strong>di</strong> San Giovanni. E i Genovesi gli fecero giurare fedeltà da quaranta<br />
loro uomini […], ma alla con<strong>di</strong>zione che per quella fedeltà non sarebbero stati tenuti a<br />
raccogliere armati o pagare alcuna somma <strong>di</strong> danaro, e che da parte sua si sarebbe<br />
adempiuto a tutte quelle cose <strong>di</strong> cui si è detto in precedenza. Promisero pure che gli<br />
avrebbero rimesso quei <strong>di</strong>ritti regi che avrebbero riconosciuto a lui spettanti <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto.<br />
Inoltre versarono all'imperatore e alla sua corte milleduecento marche d'argento.<br />
La pace <strong>di</strong> Costanza (1183)<br />
trad. tratta da G. FASOLI, F. BOCCHI, La città me<strong>di</strong>evale italiana, Firenze 1973, p. 164<br />
In nome della santa in<strong>di</strong>vidua Trinità. Federico per <strong>di</strong>vina clemenza imperatore dei<br />
Romani Augusto e suo figlio Enrico re dei Romani Augusto […].<br />
E però sappiano tutti i fedeli dell'Impero presenti e futuri, che noi per consueta<br />
benignità della nostra grazia, aprendo le viscere della nostra innata pietà alla fede e<br />
all'ossequio dei Lombar<strong>di</strong>, i quali si erano levati contro <strong>di</strong> noi e dell'Impero, li abbiamo<br />
ricevuti nella nostra grazia colla Società loro e i loro fautori; che noi clementi condoniamo<br />
loro tutte le offese e le colpe colle quali avevano provocato la nostra in<strong>di</strong>gnazione, e che,<br />
avuto riguardo ai servigi <strong>di</strong> leale affetto che noi speriamo da loro, giu<strong>di</strong>chiamo <strong>di</strong><br />
annoverarli tra i nostri <strong>di</strong>letti e fedeli sud<strong>di</strong>ti.<br />
Pertanto abbiamo comandato <strong>di</strong> sottoscrivere e <strong>di</strong> confermare col sigillo della nostra<br />
autorità la pace che nella presente pagina abbiamo loro benignamente accordato. Tale ne è<br />
il tenore e la serie.<br />
Noi Federico imperatore dei Romani ed il nostro figlio Enrico re dei Romani<br />
conce<strong>di</strong>amo a voi città, terre e persone della Lega le regalie e le consuetu<strong>di</strong>ni vostre, tanto<br />
in città che fuori […]. Che nella città abbiate ogni cosa come avete avuto sin qui ed avete,<br />
fuori poi esercitiate senza nostra contrad<strong>di</strong>zione tutte le consuetu<strong>di</strong>ni come avete sino ad<br />
oggi esercitate. Ciò sul fodro, sui boschi, sui pascoli, sui ponti, sulle acque e molini come<br />
usata ab antico o fate ora nel formare esercito, nelle fortificazioni delle città, nella<br />
giuris<strong>di</strong>zione, così nelle cause criminali come pecuniarie entro e fuori, ed in tutte le altre<br />
cose che appartengono agli utili delle città […].<br />
35
In quella città dove il vescovo ha giuris<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> conte per privilegio imperiale o<br />
reale, se i consoli sogliono ricevere l'investitura della loro carica dal vescovo, continuino<br />
quell'uso. In caso <strong>di</strong>verso ciascuna città riceverà da noi il consolato, e ogni volta che in<br />
alcuna città siano costituiti i consoli riceveranno l'investitura dal nostro nunzio che sarà<br />
nella città o nella <strong>di</strong>ocesi. Ciò vale per un quinquennio, finito il quale ciascuna città man<strong>di</strong><br />
un nunzio a ricevere l'investitura da noi, e così <strong>di</strong> seguito in modo che ogni quinquennio<br />
ricevano l'investitura da noi o dal nostro nunzio, se non fossimo noi in Lombar<strong>di</strong>a, perché<br />
allora da noi la devono ricevere […].<br />
Si faccia appello a noi nelle cause che sorpassano la somma <strong>di</strong> venticinque lire […];<br />
pure nessuno deve essere costretto andare in Germania, ma noi avremo un nostro nunzio<br />
nella città o <strong>di</strong>ocesi che conosca degli appelli e giuri che in buona fede esaminerà e definirà<br />
le cause secondo i costumi e le leggi <strong>di</strong> quella città, ed entro due mesi dalla contestazione<br />
della lite, cioè dal tempo che ricevette la causa, se non rimanga per giusto impe<strong>di</strong>mento o<br />
per consenso delle parti […]. Non faremo <strong>di</strong>mora non necessaria nelle città e nelle <strong>di</strong>ocesi a<br />
danno <strong>di</strong> nessuna città.<br />
Sia lecito alle città fortificarsi e fare fortilizi anche fuori.<br />
E potranno conservare la Lega che ora hanno, e revocarla quando loro piaccia […].<br />
Quei possessi che qualsiasi della Lega teneva legittimamente prima del tempo della<br />
guerra, e che furono violentemente rapiti da quelli che non sono della Lega, siano restituiti<br />
senza compenso <strong>di</strong> frutti e danni, e se vennero ricuperati non ne sia inquietato il<br />
possessore, ad eccezione che gli arbitri eletti al riconoscimento delle regalie non li<br />
assegnino a noi […].<br />
Tutti quelli della Lega che ci giureranno fedeltà aggiungeranno fedelmente nel<br />
giuramento che ci aiuteranno a mantenere i posse<strong>di</strong>menti e <strong>di</strong>ritti che abbiamo e teniamo<br />
in Lombar<strong>di</strong>a fuori della Lega, ed a ricuperarli se li avessimo perduti, e ciò se sarà<br />
necessario, e saranno richiesti da noi per mezzo <strong>di</strong> un nostro messo sicuro. Con tale or<strong>di</strong>ne,<br />
però, che le città più vicine al luogo dove occorre l'aiuto siano le prime obbligate a<br />
prestarlo, le altre all'uopo man<strong>di</strong>no competente soccorso. Le città della Lega fuori <strong>di</strong><br />
Lombar<strong>di</strong>a abbiano il medesimo obbligo nei loro confini.<br />
Se qualche città non osserverà quelle cose che nella convenzione <strong>di</strong> pace furono<br />
convenute a nostro favore, sarà costretta in buona fede all'osservanza delle altre città, e, ciò<br />
nonostante, la pace resterà nel suo pieno vigore.<br />
Quando noi entreremo in Lombar<strong>di</strong>a, quegli che sogliono e devono ci daranno nel<br />
tempo che sogliono e devono il consueto fodro regio, e ci riatteranno sufficientemente le<br />
vie, e ci appresteranno sufficiente vettovaglia in buona fede e senza frode per l'andata e il<br />
ritorno.<br />
Richiedendo noi, o <strong>di</strong>rettamente o per nostri nunzi, ci rinnoveranno ogni <strong>di</strong>eci anni le<br />
fedeltà per quelle cose che non ci avessero fatte […].<br />
36
Il comune <strong>di</strong> Piacenza prende possesso del villaggio <strong>di</strong> Fombio (1227)<br />
Il Registrum Magnum del comune <strong>di</strong> Piacenza, a c. <strong>di</strong> E. FALCONI e R. PREVERI, Milano<br />
1984-1988, II, pp. 178-181, doc. 381<br />
Nel luogo <strong>di</strong> Fombio […]. Dopo l'acquisto fatto dal signor Guido <strong>di</strong> Landriano, podestà<br />
del comune <strong>di</strong> Piacenza, a nome dello stesso comune, del luogo, la corte, i possessi, il<br />
territorio, l'onore e la giuris<strong>di</strong>zione del luogo <strong>di</strong> Fombio […], [il podestà], volendo a nome<br />
dello stesso comune prendere corporale tenuta e possesso dello stesso luogo e corte, e dei<br />
possessi, giuris<strong>di</strong>zione, onore e <strong>di</strong> tutto ciò che è compreso tra le cose vendute e consegnate<br />
nel detto contratto, prendendo in mano le funi delle campane della chiesa <strong>di</strong> san Pietro del<br />
detto luogo <strong>di</strong>sse: “Io, in nome del comune <strong>di</strong> Piacenza, entro in possesso e tenuta <strong>di</strong> questo<br />
luogo, corte, onore, giuris<strong>di</strong>zione e delle altre cose che appartengono a questa<br />
giuris<strong>di</strong>zione”. Quin<strong>di</strong>, salendo alla sala superiore, allo stesso modo prese possesso e tenuta<br />
a nome del detto comune; e l'abate Palmerio del monastero [<strong>di</strong> san Pietro in Ciel d'Oro <strong>di</strong><br />
Pavia], lo investì e lo mise in possesso a nome del comune, alla presenza del signor<br />
Visdomino, vescovo della chiesa <strong>di</strong> Piacenza, che concesse la sua autorità e il suo consenso.<br />
In seguito […] il podestà, volendo esercitare e introdurre la giuris<strong>di</strong>zione acquisita e<br />
l'onore, in nome del comune, elesse come consoli <strong>di</strong> questo luogo <strong>di</strong> Fombio Andrea Mazza,<br />
Gerardo Portonario e Giannino Gonselmo, che nello stesso luogo, su or<strong>di</strong>ne del podestà,<br />
giurarono corporalmente la sequela dello stesso podestà, e gli or<strong>di</strong>ni del comune <strong>di</strong><br />
Piacenza e <strong>di</strong> esercitare il consolato del luogo per l'onore e l'utilità del comune <strong>di</strong> Piacenza.<br />
E su or<strong>di</strong>ne del podestà, giurarono la sua sequela e i suoi or<strong>di</strong>ni coloro che il podestà elesse<br />
al consiglio del luogo [segue elenco] […].<br />
In seguito […] il podestà, in nome del comune <strong>di</strong> Piacenza, investì Ugo <strong>di</strong> Ottobelli e<br />
Ottone suo figlio e Ribaldo <strong>di</strong> Ottobelli figlio <strong>di</strong> Guido, del loro giusto feudo, con la<br />
presenza e l'or<strong>di</strong>ne dello stesso abate; ed essi giurarono fedeltà al podestà in nome del<br />
comune <strong>di</strong> Piacenza e al comune, contro tutti gli uomini.<br />
In seguito […] il podestà, in nome del comune <strong>di</strong> Piacenza, elesse Martino Vacca come<br />
campario del luogo e corte, ed egli nello stesso luogo giurò la sequela del podestà e del<br />
comune <strong>di</strong> Piacenza, e <strong>di</strong> fare il campario dello stesso luogo e corte in buona fede e senza<br />
inganno, per l'onore e l'utilità e secondo la volontà del comune <strong>di</strong> Piacenza.<br />
[idem per il portonario]<br />
E il podestà fece tutto ciò con la volontà e in presenza dell'abate e alla presenza e con<br />
l'autorità del vescovo, e con la piena volontà <strong>di</strong> tutti i predetti uomini <strong>di</strong> Fombio. Il podestà<br />
or<strong>di</strong>nò ai consoli che facessero giurare entro otto giorni a tutti gli uomini <strong>di</strong> Fombio la<br />
sequela del podestà e del comune e gli or<strong>di</strong>ni del podestà e del comune.<br />
37
In seguito Guglielmo Saporito, giu<strong>di</strong>ce e assessore del podestà, facendo uso della<br />
predetta giuris<strong>di</strong>zione, e ascoltando le cause tra gli uomini del luogo, condannò Vignolo<br />
scu<strong>di</strong>ero <strong>di</strong> Petraccio Palastrelli a una multa <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci denari piacentini, secondo il tenore<br />
degli statuti della città <strong>di</strong> Piacenza, poiché aveva sra<strong>di</strong>cato un siepe <strong>di</strong> Zillio <strong>di</strong> Castello, era<br />
entrato in una vigna e aveva fatto danno.<br />
La contesa tra Genova e i marchesi <strong>di</strong> Loreto per Noli (1154-1155)<br />
trad. tratta da Gli Annali <strong>di</strong> Caffaro (1099-1163), a c. <strong>di</strong> G. AIRALDI, traduzione e note<br />
<strong>di</strong> M. MONTESANO, Genova 2002, pp. 98-101<br />
1154<br />
Non bisogna consegnare all'oblio, poi, quanto accadde quell'anno al castello <strong>di</strong> Noli<br />
per opera dei marchesi <strong>di</strong> Loreto. Sappiano i presenti e i posteri che Enrico marchese <strong>di</strong><br />
Loreto aveva giurato che avrebbe posto <strong>di</strong>mora a Genova, prestato giuramento alla<br />
compagna e si sarebbe attenuto al lodo dei consoli sulla <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a con Noli. E i consoli,<br />
sentite entrambe le parti in causa, avevano messo pace. Ma in seguito, poiché era costume<br />
dei marchesi viver <strong>di</strong> rapina piuttosto che comportarsi rettamente, cominciò <strong>di</strong> nuovo a<br />
entrare in conflitto; al che i consoli, poiché il marchese aveva giurato <strong>di</strong> stare al loro<br />
arbitrato circa la <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a, gli mandarono alcuni legati, invitandolo a comparire. Ma questi<br />
lo prometteva a parole, avendo in animo altre intenzioni. E nel frattempo, un giorno del<br />
mese <strong>di</strong> agosto, con un'armata <strong>di</strong> cavalieri e <strong>di</strong> fanti, giunse <strong>di</strong> nascosto presso quel castello<br />
e lo prese con la frode grazie ad alcuni tra<strong>di</strong>tori. Allora i consoli, con molti cavalieri,<br />
balestrieri e arcieri, per tutto il loro consolato, com'era giusto gli mossero guerra,<br />
devastando e incen<strong>di</strong>ando tutti i suoi posse<strong>di</strong>menti; ma poiché era inverno, non poterono<br />
avventurarsi per mare e prendere il castello.<br />
1155<br />
I marchesi <strong>di</strong> Loreto, che un tempo avevano fatto guerra a Genova per il castello <strong>di</strong><br />
Noli, giurarono <strong>di</strong> rimettersi al giu<strong>di</strong>zio dei presenti e dei futuri consoli a proposito <strong>di</strong> Noli<br />
e <strong>di</strong> ogni altra questione.<br />
38
Accordo tra Genova e i marchesi per Noli (1155)<br />
I Libri iurium della Repubblica <strong>di</strong> Genova, a c. <strong>di</strong> D. PUNCUH e A. ROVERE, I/1, a c. <strong>di</strong> A.<br />
ROVERE, Genova 1992, p. 259, doc. 180<br />
Noi Genovesi, dopo che avremo il castello <strong>di</strong> Noli, entro 15 giorni dovremo<br />
abbandonarlo senza custo<strong>di</strong>a, e non dobbiamo impadronircene; e se i Nolesi o i Savonesi o<br />
qualche altra gente lo prenderà a forza, in buona fede dovremo essere con loro [i marchesi]<br />
per recuperarlo. Facciamo pace a loro e ai loro coa<strong>di</strong>utori, e faremo giurare fino a cento dei<br />
nobili della nostra città <strong>di</strong> rispettare questo patto, come è detto. E non toglieremo ai<br />
marchesi ciò che avevano nella marca <strong>di</strong> Savona al tempo in cui giurarono l'abitacolo, e<br />
saremo tenuti nei loro confronti per questi beni come lo erano quei consoli quando<br />
giurarono l'abitacolo. Non faremo un castello nella marca <strong>di</strong> Savona, e se qualcuno lo farà,<br />
non daremo loro aiuto o consiglio. E per quello che avevate nella marca quando giuraste il<br />
nostro abitacolo, saremo tenuti ad aiutarvi come siamo tenuti ad aiutare i citta<strong>di</strong>ni<br />
genovesi. E faremo giurare i consoli che entreranno [in carica] dopo <strong>di</strong> noi che osservino<br />
questo patto e che facciano giurare gli altri consoli che entreranno dopo, fino alla nuova<br />
compagna. E in essa sarà scritto che il popolo è tenuto ad osservare il detto patto nei<br />
confronti dei marchesi. I Savonesi devono fare la fedeltà che sono soliti fare, e i marchesi<br />
[devono fare] i giuramenti che sono soliti fare a loro. Dobbiamo dare ai marchesi 500 lire<br />
entro le prossime calende <strong>di</strong> agosto, metà in denaro o pepe e l'altra metà entro la prossima<br />
festa <strong>di</strong> san Michele. In tutto questo patto o concor<strong>di</strong>a si potranno aggiungere o togliere<br />
[clausole] con l'accordo dei comuni <strong>di</strong> Genova e dei marchesi, fino a che i marchesi<br />
terranno il luogo <strong>di</strong> Noli in comune, o con il permesso del solo nella cui parte questo luogo<br />
sarà. I Nolesi da quin<strong>di</strong>ci anni in su devono giurare fedeltà.<br />
Noi marchesi Manfredo, Enrico e Ottone poniamo i consoli del comune <strong>di</strong> Genova in<br />
possesso del castello <strong>di</strong> Noli per l'onore della città <strong>di</strong> Genova, con l'accordo che, fatti i<br />
dovuti giuramenti dalle due parti, dovranno tenere il castello per 15 giorni, e dopo 15<br />
giorni dovranno abbandonarlo senza custo<strong>di</strong>a. Ed essi non devono sottrarcelo, e se i Nolesi<br />
o i Savonesi o qualunque altra gente lo prenderà a forza, in buona fede dovranno essere<br />
con noi per recuperarlo. Dobbiamo giurare l'abitacolo della città <strong>di</strong> Genova, [giurando] che<br />
uno <strong>di</strong> noi abiterà [in Genova] per tre mesi [all'anno] in tempo <strong>di</strong> guerra, e per un mese in<br />
tempo <strong>di</strong> pace. Uno <strong>di</strong> noi andrà con loro nell'esercito con 25 cavalieri senza essere pagato<br />
e a spese del comune <strong>di</strong> Genova, tra Ventimiglia e il Porto Bertrame, e da Paro<strong>di</strong> e Voltaggio<br />
fino al mare. Ed esse devono darci 200 lire, metà entro le calende <strong>di</strong> agosto e metà entro la<br />
prossima festa <strong>di</strong> san Michele. In seguito né noi né i nostri ere<strong>di</strong> imporremo alcun nuovo<br />
uso o nuova consuetu<strong>di</strong>ne sui Nolesi. Dovremo tenere in ogni tempo tre placiti, ovvero per<br />
omici<strong>di</strong>o, spergiuro e adulterio; per gli altri placiti, dovremo placitare per venti giorni<br />
39
all'anno, consecutivi o <strong>di</strong>visi in tre momenti dell'anno, noi in prima persona, o le nostre<br />
mogli o i nostri ere<strong>di</strong>, se ci sarà stata presentata querela; e i consoli <strong>di</strong> Noli non dovranno<br />
placitare in questi perio<strong>di</strong>. Faremo risolvere la contesa che i Nolesi hanno con gli uomini <strong>di</strong><br />
Piga, per la quale hanno giurato; conce<strong>di</strong>amo loro il mercato, con l'accordo che avremo lo<br />
starium come hanno costituito per sé i Nolesi, e la cura<strong>di</strong>a come ci hanno promesso.<br />
Dobbiamo avere tutte le giustizie che avevamo al tempo dell'ultima lite, e dobbiamo avere i<br />
falconi, e faremo nel borgo, in piano, una caminata per nostra abitazione, dove vorremo.<br />
Non dobbiamo entrare ulteriormente nel detto castello senza il permesso dei consoli del<br />
comune <strong>di</strong> Genova; ma se, mentre saremo nel borgo, avverrà un attacco dei Pisani e dei<br />
Saraceni contro questo luogo, allora potremo per timore entrare nel castello, e quando il<br />
pericolo si sarà allontanato dovremo uscire e rispettare quanto è nei patti. Similmente i<br />
Nolesi non devono entrare se non nel suddetto caso. Dobbiamo giurare questo patto<br />
all'inizio <strong>di</strong> ogni compagna, entro 15 giorni da quando i consoli <strong>di</strong> Genova ce lo <strong>di</strong>ranno o<br />
lo or<strong>di</strong>neranno. Facciamo pace con i Savonesi e gli Albenganesi e i loro alleati, e faremo ai<br />
Savonesi i giuramenti che siamo soliti fare loro. Non faremo alcun castello dalla cima dei<br />
monti fino al mare, e da capo Mele fino al castello <strong>di</strong> Albisola. Inoltre noi, marchesi<br />
Manfredo, Enrico e Ottone Boverio, giuriamo l'abitacolo della città <strong>di</strong> Genova, in modo tale<br />
che uno <strong>di</strong> noi abiterà in città ogni anno per tre mesi quando sarà in guerra, e per un mese<br />
in tempo <strong>di</strong> pace. E saremo tenuti alla compagna <strong>di</strong> Genova, come è contenuto nel breve<br />
della compagna genovese. e saremo tenuti a giurarla ogni volta che sarà rinnovata. Tutto<br />
ciò, relativo all'abitacolo e alla compagna, lo rispetteremo secondo le in<strong>di</strong>cazioni dei consoli<br />
genovesi, tanto gli attuali quanto i futuri. In tutto questo patto o concor<strong>di</strong>a si potranno<br />
aggiungere o togliere [clausole] con l'accordo dei comuni <strong>di</strong> Genova e dei marchesi, fino a<br />
che i marchesi terranno il luogo <strong>di</strong> Noli in comune, o con il permesso del solo nella cui<br />
parte questo luogo sarà. Per la compagna non saremo tenuti a stare in giu<strong>di</strong>zio a Genova né<br />
in favore dei Genovesi, né venire alla concione, o a fare saccheggi o a trarre le navi.<br />
La fondazione della villanova <strong>di</strong> Cherasco (1243)<br />
Appen<strong>di</strong>ce documentaria al Rigestum comunis Albe, a c. <strong>di</strong> F. GABOTTO, Pinerolo 1912,<br />
pp. 125-132, docc. 106-107<br />
- 12 novembre 1243<br />
Il signor Manfredo marchese Lancia e Sarlo <strong>di</strong> Drua podestà <strong>di</strong> Alba e lo stesso<br />
comune <strong>di</strong> Alba, in vece e nel nome del signor imperatore, salirono sul piano <strong>di</strong> Cherasco<br />
per costituirvi ed e<strong>di</strong>ficarvi un villaggio, su richiesta e postulazione del comune <strong>di</strong> Bra,<br />
poiché gli uomini <strong>di</strong> Bra <strong>di</strong>cono che nel luogo <strong>di</strong> Bra non potevano abitare, a causa delle<br />
40
ingiurie che i signori <strong>di</strong> Bra ogni giorno infliggono loro ingiustamente, e poiché i nemici del<br />
signor imperatore e a lui infedeli, ovvero il marchese <strong>di</strong> Monferrato e molti altri, lì si<br />
trovavano a colloquio e avevano rifugio, e spesso si fermavano, trattando nel detto luogo <strong>di</strong><br />
Bra il danno e il <strong>di</strong>sonore del signor imperatore. Perciò i detti uomini <strong>di</strong> Bra, non volendo<br />
essere ribelli al signor imperatore ma fedeli, proposero quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> abitare con i propri beni<br />
sul piano <strong>di</strong> Cherasco, in onore e lode <strong>di</strong> nostro Signore Gesù Cristo e del signor<br />
imperatore, e lì restare sotto la protezione e la <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Cristo del signor imperatore.<br />
Il marchese e Sarlo, a nome del comune <strong>di</strong> Alba, e lo stesso comune, per l'onore, la<br />
lode e la gloria del signor imperatore e in nome suo, iniziarono a or<strong>di</strong>nare e costruire il<br />
villaggio, e lo or<strong>di</strong>narono, costruirono ed e<strong>di</strong>ficarono secondo la volontà del signor<br />
imperatore, sotto la custo<strong>di</strong>a e la protezione <strong>di</strong> Gesù Cristo e del signor imperatore.<br />
- 13 <strong>di</strong>cembre 1243<br />
I signori <strong>di</strong> Manzano [segue elenco <strong>di</strong> 21 signori e gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> altri 5] da una parte, e il<br />
signor Sarlo <strong>di</strong> Drua vicario del signor Manfredo marchese Lancia podestà <strong>di</strong> Alba a nome<br />
del comune dall'altra, stipulano una tale concor<strong>di</strong>a, convenzione e patto <strong>di</strong> amicizia e<br />
concor<strong>di</strong>a.<br />
Prima <strong>di</strong> tutto i detti signori <strong>di</strong> Manzano, per sé e i propri ere<strong>di</strong>, promettono al detto<br />
signor Sarlo, a nome del comune <strong>di</strong> Alba, <strong>di</strong> fare e costruire case nella villanova del piano<br />
<strong>di</strong> Cherasco, e lì abitare in continuità con le proprie famiglie, e restarvi secondo la volontà<br />
del podestà e del consiglio <strong>di</strong> Alba; e salvare, <strong>di</strong>fendere, mantenere e far crescere detto<br />
luogo secondo le proprie possibilità […].<br />
Promettono <strong>di</strong> vendere, consegnare e dare al signor Sarlo, in vece e nel nome del<br />
comune <strong>di</strong> Alba, il contitum e la giuris<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Manzano, Costangaresca, Meane,<br />
Trifoglietto, Ripalta, Montarono e Villate, e degli uomini e territori dei detti luoghi, e <strong>di</strong><br />
tutta la castellania <strong>di</strong> Manzano e Cervere, ovvero ognuno per la parte che ha nei detti<br />
luoghi.<br />
Per questo il suddetto signor Sarlo, a nome del comune <strong>di</strong> Alba, promette <strong>di</strong> restituire<br />
e far restituire ai detti signori tutti i documenti che uomini <strong>di</strong> Alba o abitanti in Alba<br />
avevano dei debiti e in occasione dei debiti che i signori <strong>di</strong> Manzano dovevano ai detti<br />
uomini <strong>di</strong> Alba [e <strong>di</strong> versare ai Manzano 800 lire].<br />
I signori <strong>di</strong> Manzano dovranno dare e consegnare la torre del castello <strong>di</strong> Manzano<br />
nella forza e virtù e custo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Oberto <strong>di</strong> Montalto, che la abbia, la tenga e la custo<strong>di</strong>sca a<br />
spese del comune <strong>di</strong> Alba, fino a quattro anni, per il comune <strong>di</strong> Alba e i detti signori <strong>di</strong><br />
Manzano. Oberto dovrà giurare <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>rla e tutelarla per l'utilità del comune <strong>di</strong> Alba e<br />
dei detti signori <strong>di</strong> Manzano, e per il comune <strong>di</strong> Alba fare guerra contro tutti i nemici della<br />
città <strong>di</strong> Alba, e accogliere nel detto castello <strong>di</strong> Manzano i clienti e gli uomini <strong>di</strong> Alba, se sarà<br />
necessario […].<br />
41
[Gli Albesi] dovranno fare dare ai detti signori, dagli uomini <strong>di</strong> Manzano, Meane,<br />
Costangaresca, Villate, Montarono, Ripalta, Trifoglietto e <strong>di</strong> tutta la castellania <strong>di</strong> Manzano e<br />
Narzole, che siano del <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Alba o abitino nella villanova <strong>di</strong> Cherasco e alla Morra, e<br />
da tutti gli uomini della giuris<strong>di</strong>zione e <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Alba abitanti nella villanova <strong>di</strong><br />
Cherasco, tutti i loro red<strong>di</strong>ti, debiti, fitti e <strong>di</strong>ritti delle terre che sono loro dovuti ed era<br />
consueto dare […].<br />
Dovranno aiutare a <strong>di</strong>fendere e conservare i <strong>di</strong>ritti che la chiesa e i signori <strong>di</strong><br />
Manzano hanno, ovunque siano; inoltre dovranno far trasportare nel luogo <strong>di</strong> Cherasco le<br />
case, ovvero le coperture e i legnami delle case della detta chiesa e dei detti signori e i loro<br />
beni mobili, in ogni momento in cui sia richiesto, fino alla prossima festa <strong>di</strong> Pentecoste, a<br />
spese del comune <strong>di</strong> Cherasco; inoltre dovranno dare ai signori <strong>di</strong> Manzano stalli e terreni<br />
e<strong>di</strong>ficabili nei pressi della scarpata, nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Manzano, se vorranno abitarli; inoltre<br />
dovranno dare al prevosto della chiesa <strong>di</strong> San Pietro <strong>di</strong> Manzano un terreno e<strong>di</strong>ficabile e<br />
uno stallo accanto a quelli dei signori, dove sia possibile costruire la chiesa e le case. Detta<br />
chiesa, ovvero la chiesa <strong>di</strong> San Pietro <strong>di</strong> Manzano, sia immune da tutti pagamenti e le<br />
esazioni dei ponti e delle vie, e dalle esazioni, angarie e perangarie. […]<br />
Se qualcuno o alcuni colpiranno con violenza qualcuno dei detti signori <strong>di</strong> Manzano e<br />
dei loro ere<strong>di</strong>, dovrà sopportare la stessa pena che avrebbe per un citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Alba dei<br />
maggiori. E tanto più, quanto sembrerà al podestà.<br />
Sia lecito alla chiesa e ai signori <strong>di</strong> Manzano fare e costruire mulini nel Tanaro e nella<br />
Stura e forni nella villanova <strong>di</strong> Cherasco, in modo che il podestà o i consoli all'epoca in<br />
carica e gli uomini e il comune <strong>di</strong> Cherasco non potranno costringere o proibire o imporre<br />
pena o banno a qualcuno perché non vada liberamente a macinare e cuocere ai loro mulini<br />
e forni […].<br />
Il podestà e il comune <strong>di</strong> Cherasco non dovranno dare ascolto ad alcuno che presenti<br />
una querela contro qualcuno dei signori <strong>di</strong> Manzano per le usure e le pene in ragione <strong>di</strong><br />
qualche contratto o mutuo fatto un tempo.<br />
Il podestà e il comune <strong>di</strong> Alba e <strong>di</strong> Cherasco non potranno costringere i signori <strong>di</strong><br />
Manzano o qualcuno tra <strong>di</strong> loro, che sia senza cavallo, ad andare nell'esercito o cavalcata,<br />
se non entro il territorio <strong>di</strong> Alba e la villanova del piano <strong>di</strong> Cherasco […].<br />
I signori non devono né sono tenuti a dare il fodro, né il mutuo né alcun altra<br />
esazione al comune <strong>di</strong> Alba e Cherasco, per 12 anni; e dal do<strong>di</strong>cesimo anno in avanti ogni<br />
quartiere <strong>di</strong> Manzano <strong>di</strong>a e paghi solo per un patrimonio <strong>di</strong> 200 lire genovesi, in modo che<br />
ogni signore <strong>di</strong> questi quartieri paghi per la parte che gli spetta.<br />
Il comune e il podestà <strong>di</strong> Alba e Cherasco dovrà dare o far dare ai singoli signori <strong>di</strong><br />
Manzano che abbiano terreni e<strong>di</strong>ficabili sulla scarpata <strong>di</strong> Cherasco verso Manzano, un<br />
terreno a ognuno dei signori per farvi una vigna, per il nutrimento <strong>di</strong> ogni area e<strong>di</strong>ficabile,<br />
tanto quanto ne sarebbe dato a un citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Alba che lo volesse.<br />
42
Rustici e signori nello statuto <strong>di</strong> Vercelli (1241)<br />
P. CAMMAROSANO, Le campagne nell'età comunale (metà sec. XI - metà sec. XIV),<br />
Torino 1974, p. 81<br />
1. [Io podestà] giuro sui santi Vangeli <strong>di</strong> Dio che in buona fede, senza inganno e senza<br />
tener conto <strong>di</strong> alcuna mia amicizia né o<strong>di</strong>o, guiderò, reggerò, custo<strong>di</strong>rò e governerò la città<br />
<strong>di</strong> Vercelli; i suoi citta<strong>di</strong>ni e gli abitanti in generale e gli uomini del <strong>di</strong>stretto e della<br />
giuris<strong>di</strong>zione citta<strong>di</strong>na, <strong>di</strong>fendendone i beni mobili e immobili, gli averi, i posse<strong>di</strong>menti<br />
fon<strong>di</strong>ari e le persone, sia nel loro complesso che a titolo singolare, fermo restando tuttavia<br />
quel capitolo dello Statuto che concerne i signori e i rustici e comincia così: “Giuro che non<br />
costringerò i signori a rendere giustizia ai propri rustici eccetera”.<br />
181. E' stabilito che nessuna persona, maschio o femmina, del <strong>di</strong>stretto della città <strong>di</strong><br />
Vercelli possa venire costretta dal podestà o dal console <strong>di</strong> un borgo o <strong>di</strong> un villaggio del<br />
<strong>di</strong>stretto della città <strong>di</strong> Vercelli - a meno che non venga costretta dal proprio signore - a<br />
comparire presso il podestà o il console <strong>di</strong> quel luogo in cause del valore <strong>di</strong> 5 sol<strong>di</strong> o più.<br />
231. Giuro che non costringerò i signori a rendere giustizia ai propri rustici per delitti<br />
che abbiano commesso contro <strong>di</strong> loro né renderò giustizia per le cose prese dai signori ai<br />
rustici quando questi ultimi erano alle loro <strong>di</strong>pendenze, eccezion fatta per tutti i <strong>di</strong>ritti<br />
dotali delle mogli dei rustici.<br />
Si deve rendere tuttavia giustizia al rustico quando esibisca un atto scritto da cui<br />
risulta che il signore gli aveva condonato, per una convenzione reciprocamente stabilita, il<br />
fodro o altre prestazioni: se ci sarà una causa in merito, renderò giustizia in base a tale atto<br />
scritto.<br />
232. Se un signore ucciderà o mutilerà un suo rustico senza una causa giusta e<br />
ragionevole, il podestà <strong>di</strong> Vercelli avrà la facoltà <strong>di</strong> procedere giu<strong>di</strong>zialmente contro tale<br />
delitto, non d'ufficio, ma secondo la procedura or<strong>di</strong>naria e <strong>di</strong>etro richiesta <strong>di</strong> un accusatore<br />
legittimo. Per ogni altra questione resti fermo e venga osservato il precedente capitolo sui<br />
signori e i rustici.<br />
246. E' stabilito che se una persona, <strong>di</strong> qualunque luogo, vorrà venire ad abitare nella<br />
città <strong>di</strong> Vercelli, dovrà essere accolta come citta<strong>di</strong>no e abitatore, a meno che non si tratti <strong>di</strong><br />
uno che il Comune non possa accogliere in virtù <strong>di</strong> un contratto stipulato tra il Comune e<br />
terzi. Fatta questa eccezione, a chiunque dev'essere lecito venire ad abitare nella città <strong>di</strong><br />
Vercelli, nonostante l'eventuale fodro o un pignoramento dei suoi beni eseguito o imposto<br />
dal signore o la stipulazione <strong>di</strong> una promessa od obbligo <strong>di</strong> non abbandonare la terra del<br />
signore; e questi non potrà impe<strong>di</strong>rgli in alcun modo <strong>di</strong> venire ad abitare nella città <strong>di</strong><br />
43
Vercelli né <strong>di</strong> portarsi via i beni mobili e semoventi, avanzando il pretesto del fodro o <strong>di</strong> un<br />
pignoramento fatto per il fodro […].<br />
Quanto al fondo, che la persona in questione aveva o deteneva in nome del proprio<br />
signore e su cui abitava, deve esserne fatta completa rinunzia al signore - ove questi<br />
appartenga alla giuris<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Vercelli - insieme con tutte le costruzioni e con le terre<br />
tenute in livello o in affitto o per altro titolo in nome del detto signore; a meno che la<br />
persona in questione non possa esibire un contratto <strong>di</strong> acquisto a titolo <strong>di</strong> libero allo<strong>di</strong>o o<br />
un contratto <strong>di</strong> investitura a titolo <strong>di</strong> feudo gentile. La persona non è peraltro tenuta, in<br />
base al presente statuto, a cedere al signore sul cui fondo abitava - né ad altri - le terre che<br />
deteneva in affitto o per altro titolo in nome <strong>di</strong> altri signori. I <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> questi ultimi<br />
rimarranno immutati, quali erano prima del presente statuto.<br />
Rimanga fermo che se la persona in questione e i suoi ere<strong>di</strong> non avranno abitato nella<br />
città <strong>di</strong> Vercelli con la famiglia per <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> seguito, ma se ne saranno andati ad abitare<br />
dove erano prima o comunque in un altro luogo, i <strong>di</strong>ritti del signore quanto al<br />
pignoramento, al fodro, agli atti <strong>di</strong> promessa e a tutto il resto dovranno essere pienamente<br />
ripristinati, così come erano prima che la persona venisse ad abitare in città.<br />
312. […] Il podestà sia tenuto a provvedere affinché nessun comune <strong>di</strong> un villaggio<br />
emani statuti che rechino pregiu<strong>di</strong>zio al Comune <strong>di</strong> Vercelli o a un signore; ove siano stati<br />
emanati simili statuti, li faccia abrogare.<br />
(1243)<br />
Il comune <strong>di</strong> Vercelli <strong>di</strong>chiara liberi gli uomini della sua giuris<strong>di</strong>zione<br />
P. CAMMAROSANO, Le campagne nell'età comunale (metà sec. XI - metà sec. XIV),<br />
Torino 1974, p. 83<br />
In nome del Signore, amen. Dato che gli uomini e i rustici abitanti nei castelli, nelle<br />
località e nei villaggi del <strong>di</strong>stretto e della giuris<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Vercelli […] erano soggetti ai loro<br />
signori - sui fon<strong>di</strong> e sulle aie dei quali sorgevano le loro abitazioni - così da essere oppressi<br />
e tormentati, ad arbitrio <strong>di</strong> costoro, con fodri, banni, maltollètte, angarie, perangarie e altre<br />
innumerevoli estorsioni, per cui venivano sempre <strong>di</strong> più a trovarsi nell'impossibilità <strong>di</strong><br />
accollarsi e <strong>di</strong> sostenere gli oneri pubblici imposti dalla città e dal comune <strong>di</strong> Vercelli - e<br />
questo motivo tratteneva inoltre molti uomini <strong>di</strong> altre giuris<strong>di</strong>zioni e <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>stretti dal<br />
venire ad abitare nel <strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Vercelli, cosicché la città non riceveva incremento; dato<br />
che, cosa ancor più grave, i detti signori esercitavano una potestà sulle persone dei loro<br />
uomini; dato che lo Statuto del comune <strong>di</strong> Vercelli conteneva una norma per cui i podestà<br />
non avrebbero dovuto rendere giustizia ai rustici per colpe commesse nei loro confronti dai<br />
44
signori […] e che gli uomini erano soggetti all'autorità dei propri signori anche sul piano<br />
giu<strong>di</strong>ziario, per cui veniva ad essere ridotta la giuris<strong>di</strong>zione citta<strong>di</strong>na […] [il podestà e le<br />
altre autorità comunali citta<strong>di</strong>ne] stabilirono e or<strong>di</strong>narono quanto segue circa la libertà e<br />
l'affrancamento degli uomini nei confronti dei signori.<br />
D'ora in avanti nessuna persona, la quale abbia […] uomini nella giuris<strong>di</strong>zione e nel<br />
<strong>di</strong>stretto <strong>di</strong> Vercelli o abbia fon<strong>di</strong> e terreni sui quali risiedano determinate persone, possa o<br />
debba esercitare alcuna sovranità, giuris<strong>di</strong>zione, prerogativa o <strong>di</strong>stretto su tali uomini e<br />
persone, né avere la loro successione, né esigere da loro il fodro, il banno o altre<br />
maltollètte, né costringerli a prestare angarie e perangarie, né estorcere o esigere alcunché<br />
da loro: questi uomini siano al contrario liberi e immuni sotto ogni riguardo nei confronti<br />
dei rispettivi signori. Fermo restando tuttavia che per fon<strong>di</strong>, terreni e beni fon<strong>di</strong>ari <strong>di</strong> ogni<br />
sorta i signori abbiano, percepiscano dagli uomini e dalle terre e possano esigere quanto<br />
deve essere versato loro come corrispettivo dei fon<strong>di</strong> e delle terre, per reciproca<br />
convenzione e consuetu<strong>di</strong>ne […] [vengono poi abrogati i capitoli 231, 232 e 181 dello<br />
Statuto del 1241].<br />
Statuti <strong>di</strong> Guglielmo il Conquistatore (1066-1087)<br />
W. STUBBS, Select Charters and other Illustrations of English constitutional History,<br />
Oxford 1905<br />
Qui si <strong>di</strong>chiara ciò che Guglielmo re degli Angli ha stabilito con i suoi principi dopo la<br />
conquista dell'Inghilterra.<br />
1. Prima <strong>di</strong> tutto, sopra ogni cosa, vuole che per tutto il suo regno sia venerato Dio, sia<br />
custo<strong>di</strong>ta una fede in Cristo sempre inviolata, sia conservata la pace e la sicurezza tra gli<br />
Angli e i Normanni.<br />
2. Stabiliamo anche che ogni uomo libero si impegni con un patto e un giuramento,<br />
nei confronti <strong>di</strong> tutti coloro che dentro e fuori dall'Inghilterra vogliono essere fedeli a re<br />
Guglielmo, ad aiutarli a conservare le loro terre e l'onore con ogni fedeltà, e a <strong>di</strong>fenderli<br />
contro i nemici.<br />
3. Voglio inoltre che tutti gli uomini che portai con me o vennero dopo <strong>di</strong> me siano<br />
nella mia pace e tranquilli. E se qualcuno <strong>di</strong> loro sarà ucciso, il suo signore catturi entro<br />
cinque giorni l'omicida se potrà; in caso contrario, inizi a pagarmi 46 marche d'argento,<br />
fino a che il patrimonio <strong>di</strong> questo signore duri. Se il patrimonio verrà a mancare, tutta la<br />
centena in cui l'omici<strong>di</strong>o è avvenuto paghi collettivamente quanto manca.<br />
45
4. Ogni Francese che al tempo <strong>di</strong> re Edoardo, mio parente, fu in Inghilterra, partecipe<br />
delle consuetu<strong>di</strong>ni degli Angli, che essi chiamano onhlote e anscote, sia trattato secondo la<br />
legge degli Angli.<br />
Consuetu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Chester nel Domesday book (1086)<br />
W. STUBBS, Select Charters and other Illustrations of English constitutional History,<br />
Oxford 1905<br />
La pace data dalla mano del re o tramite un suo scritto o un suo rappresentante, se<br />
sarà infranta da qualcuno, per questo il re avrà 100 sol<strong>di</strong>. Se questa stessa pace del re<br />
infranta era stata data per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> un conte, <strong>di</strong> questi cento sol<strong>di</strong> che per questo saranno<br />
versati, un terzo andrà al conte. Se invece si romperà la pace data dal prevosto del re o dal<br />
ministro del conte, sarà emendato per 40 sol<strong>di</strong>, e il conte avrà un terzo.<br />
Se un uomo libero, infrangendo la pace del re, ucciderà un uomo, la sua terra e i suoi<br />
denari saranno del re, e egli <strong>di</strong>verrà utlagh. Questo stesso avrà il conte, solo <strong>di</strong> un suo uomo<br />
che abbia commesso questo delitto. A qualunque utlagh nessun potrà restituire la pace, se<br />
non il re.<br />
Magna Charta (1215)<br />
G.R.C. DAVIS, Magna Carta, London 1989<br />
Giovanni, per grazia <strong>di</strong> Dio re d'Inghilterra, signore d'Irlanda, duca <strong>di</strong> Norman<strong>di</strong>a ed<br />
Aquitania, conte d'Angiò, saluta gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti, i baroni, i<br />
giu<strong>di</strong>ci, i forestarii, gli sceriffi, gli intendenti, i servi e tutti i suoi balivi e leali sud<strong>di</strong>ti […].<br />
1. In primo luogo abbiamo accordato a Dio e confermato con questa carta, per noi e i<br />
nostri ere<strong>di</strong> in perpetuo, che la Chiesa d'Inghilterra sia libera, abbia integri i suoi <strong>di</strong>ritti e le<br />
sue libertà non lese; e vogliamo che ciò sia osservato; come appare evidente dal fatto che<br />
per nostra chiara e libera volontà, prima che nascesse la <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a tra noi ed i baroni,<br />
abbiamo, <strong>di</strong> nostra libera volontà, concesso e confermato con la nostra carta la libertà delle<br />
elezioni, considerata della più grande importanza per la Chiesa anglicana ed abbiamo<br />
inoltre ottenuto che ciò fosse confermato da Papa Innocenzo; la qual cosa noi osserveremo<br />
e vogliamo che i nostri ere<strong>di</strong> osservino in buona fede e per sempre. Abbiamo concesso a<br />
46
tutti gli uomini liberi del regno, per noi e i nostri ere<strong>di</strong> tutte le libertà sottoscritte, che essi<br />
e i loro ere<strong>di</strong> ricevano e conservino da noi e dai nostri ere<strong>di</strong>.<br />
2. Venendo a morte alcuno dei nostri conti o baroni o altri vassalli con obbligo nei<br />
nostri confronti <strong>di</strong> servizio <strong>di</strong> militare e alla sua morte l'erede sia maggiorenne e debba<br />
pagare il relevio, potrà avere la sua ere<strong>di</strong>tà solo su pagamento del relevio. Vale a <strong>di</strong>re che<br />
l'erede o gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> un conte o <strong>di</strong> un barone pagheranno cento sterline per l'intera<br />
baronia; l'erede o gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> un cavaliere al massimo cento scellini per l'intero feudo; e chi<br />
deve <strong>di</strong> meno pagherà <strong>di</strong> meno, secondo l'antico uso dei feu<strong>di</strong>.<br />
4. Il tutore delle terre <strong>di</strong> un erede minorenne non prenda da essa nulla <strong>di</strong> più <strong>di</strong><br />
ragionevoli profitti, <strong>di</strong> ragionevoli tributi consuetu<strong>di</strong>nari e ragionevoli servizi e ciò senza<br />
danni alla proprietà o spreco <strong>di</strong> uomini e mezzi; se avremo affidato la tutela della terra ad<br />
uno sceriffo o ad altra persona responsabile verso <strong>di</strong> noi per le ren<strong>di</strong>te e questi avrà<br />
provocato detrimento o danno <strong>di</strong> ciò che gli è stato affidato, esigeremo un risarcimento da<br />
lui, e la terra sarà affidata a due uomini ligi e prudenti <strong>di</strong> quel feudo, che saranno<br />
responsabili per le ren<strong>di</strong>te, verso <strong>di</strong> noi o nei confronti della persona alla quale l'avremo<br />
affidata; e se noi avremo dato o venduto ad alcuno l'amministrazione <strong>di</strong> tale terra ed egli<br />
ne avrà causato <strong>di</strong>struzione o danno, egli perderà la tutela della terra, che verrà consegnata<br />
a due uomini <strong>di</strong> legge equilibrati dello stesso feudo, che saranno similmente responsabili<br />
verso <strong>di</strong> noi, come è stato detto.<br />
9. Né noi né i nostri balivi ci impadroniremo <strong>di</strong> alcuna terra o <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>te <strong>di</strong> chiunque<br />
per debiti, finché i beni mobili del debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito, né<br />
coloro che hanno garantito il pagamento subiscano danno, finché lo stesso non sarà in<br />
grado <strong>di</strong> pagarlo; e se il debitore non potrà pagare per mancanza <strong>di</strong> mezzi, i garanti<br />
risponderanno del debito e se questi lo vorranno, potranno sod<strong>di</strong>sfarlo con le terre e il<br />
red<strong>di</strong>to del debitore fino a quando il debito non sarà stato assolto, a meno che il debitore<br />
non <strong>di</strong>mostri <strong>di</strong> aver già pagato i suoi garanti.<br />
12. Nessun pagamento <strong>di</strong> scutagio o auxilium sarà imposto nel nostro regno se non<br />
per comune consenso, a meno che non sia per il riscatto della nostra persona e per la<br />
nomina a cavaliere del nostro figlio primogenito e una sola volta per il matrimonio della<br />
nostra figlia maggiore, per tali fini sarà imposto solo un ragionevole ; lo stesso<br />
vale per gli auxilia della città <strong>di</strong> Londra.<br />
14. Per ottenere il generale consenso per l'imposizione <strong>di</strong> un auxilium, eccettuati i tre<br />
casi sopra specificati, o <strong>di</strong> uno scutagio , faremo convocare con nostre lettere gli<br />
arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti ed i maggiori baroni, e faremo emettere da tutti i<br />
nostri sceriffi e balivi una convocazione generale <strong>di</strong> coloro che possiedono terre<br />
<strong>di</strong>rettamente per nostra concessione, in un dato giorno, affinché si trovino, con preavviso<br />
<strong>di</strong> almeno quaranta giorni, in un determinato luogo; e in tutte le lettere <strong>di</strong> convocazione ne<br />
in<strong>di</strong>cheremo la causa; quando sarà avvenuta la convocazione, nel giorno stabilito si<br />
47
procederà secondo la risoluzione <strong>di</strong> coloro che saranno presenti, anche se non tutti i<br />
convocati si saranno presentati.<br />
15. Noi non conce<strong>di</strong>amo che alcuno chieda un auxilium ai suoi uomini liberi, se non<br />
per riscattare la sua persona, per fare cavaliere il figlio primogenito o per maritare una sola<br />
volta la figlia maggiore e per questi motivi sarà imposto solo un auxilium ragionevole.<br />
21. Conti e baroni non siano multati, se non dai loro pari, e se non secondo la gravità<br />
del reato commesso.<br />
28. Nessun conestabile o altro ufficiale della corona potrà prendere frumento od altri<br />
beni mobili da alcuno se non pagandoli imme<strong>di</strong>atamente, a meno che non abbia ottenuto<br />
una <strong>di</strong>lazione per libera volontà del ven<strong>di</strong>tore.<br />
29. Nessun conestabile potrà costringere un cavaliere a pagare del denaro in cambio<br />
della guar<strong>di</strong>a al castello, se quello vorrà assumersi personalmente la custo<strong>di</strong>a o affidarlo a<br />
un uomo probo, qualora non possa farlo per un valido motivo; e se noi lo arruoliamo o lo<br />
man<strong>di</strong>amo a prestare servizio d'armi, sarà affrancato dalla custo<strong>di</strong>a per tutto il periodo <strong>di</strong><br />
durata del servizio presso <strong>di</strong> noi.<br />
30. Nessuno sceriffo, ufficiale reale o chiunque altro potrà prendere cavalli o carri ad<br />
alcun uomo libero, per lavori <strong>di</strong> trasporto, se non con il consenso dello stesso uomo libero.<br />
31. Né noi né alcun ufficiale regio prenderemo legna per il nostro castello o per nostra<br />
necessità, se non con il consenso del proprietario del bosco.<br />
32. Noi non occuperemo le terre <strong>di</strong> coloro che sono <strong>di</strong>chiarati colpevoli <strong>di</strong> fellonia per<br />
un periodo più lungo <strong>di</strong> un anno e un giorno, dopo <strong>di</strong> che esse saranno restituite ai<br />
proprietari del feudo.<br />
39. Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge,<br />
esiliato o molestato in alcun modo, né noi useremo la forza nei suoi confronti o<br />
demanderemo <strong>di</strong> farlo ad altre persone, se non per giu<strong>di</strong>zio legale dei suoi pari e per la<br />
legge del regno.<br />
giustizia.<br />
40. A nessuno venderemo, negheremo, <strong>di</strong>fferiremo o rifiuteremo il <strong>di</strong>ritto o la<br />
52. Se qualcuno è stato da noi spossessato o privato senza un legale processo dei suoi<br />
pari, <strong>di</strong> terre, castelli, delle libertà o dei <strong>di</strong>ritti, imme<strong>di</strong>atamente glieli restituiremo; e se<br />
sorgono casi controversi, essi saranno decisi dal giu<strong>di</strong>zio dei venticinque baroni cui si fa<br />
riferimento sotto relativamente alla sicurezza della pace. Poi per tutte quelle cose <strong>di</strong> cui<br />
qualcuno è stato spossessato senza un processo legale dei suoi pari, da parte <strong>di</strong> nostro<br />
padre re Enrico o <strong>di</strong> nostro fratello re Riccardo, e si trovi in nostro possesso o nelle mani <strong>di</strong><br />
altri sotto la nostra garanzia, noi dovremo avere un termine comunemente concesso a chi è<br />
segnato della croce; eccetto quei casi in cui sia iniziato un processo o aperta un'inchiesta<br />
per nostro or<strong>di</strong>ne, prima della sospensione per la nostra croce; al nostro ritorno dal<br />
48
pellegrinaggio o in caso <strong>di</strong> rinuncia al pellegrinaggio, imme<strong>di</strong>atamente sarà resa piena<br />
giustizia.<br />
61. Poiché noi abbiamo fatto tutte queste concessioni per Dio, per un miglior<br />
or<strong>di</strong>namento del nostro regno e per sanare la <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a sorta tra noi ed i nostri baroni, e<br />
poiché noi desideriamo che esse siano integralmente e in perpetuo godute, <strong>di</strong>amo e<br />
conce<strong>di</strong>amo le seguenti garanzie:<br />
I baroni eleggano venticinque baroni del regno che desiderano, allo scopo <strong>di</strong> osservare<br />
mantenere e far osservare con tutte le loro forze, la pace e le libertà che ad essi abbiamo<br />
concesso e che confermiamo con questa nostra carta.<br />
Se noi, il nostro primo giu<strong>di</strong>ce, i nostri ufficiali o qualunque altro dei nostri funzionari<br />
offenderemo in qualsiasi modo un uomo o trasgre<strong>di</strong>remo alcuno dei presenti articoli della<br />
pace e della sicurezza, e il reato viene portato a conoscenza <strong>di</strong> quattro dei venticinque<br />
baroni suddetti, costoro si presenteranno <strong>di</strong> fronte a noi o se saremo fuori dal regno, al<br />
nostro primo giu<strong>di</strong>ce, per denunciare il misfatto e senza indugi procederemo alla<br />
riparazione.<br />
E se noi o, in nostra assenza, il nostro primo giu<strong>di</strong>ce non faremo tale riparazione entro<br />
quaranta giorni dal giorno in cui il misfatto sia stato <strong>di</strong>chiarato a noi od a lui, i quattro<br />
baroni metteranno al corrente della questione il rimanente dei venticinque che potranno<br />
fare sequestri ai nostri danni ed attaccarci in qualsiasi altro modo e secondo il loro arbitrio,<br />
insieme alla popolazione del regno, impadronendosi dei nostri castelli, delle nostre terre,<br />
dei nostri beni o <strong>di</strong> qualsiasi altra cosa, eccettuate la nostra persona, quella della regina e<br />
dei nostri figli; e quando avranno ottenuto la riparazione, ci obbe<strong>di</strong>ranno come prima.<br />
E chiunque nel regno lo voglia può <strong>di</strong> sua spontanea volontà giurare <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re agli<br />
or<strong>di</strong>ni dei predetti venticinque baroni per il conseguimento dei suddetti scopi, e <strong>di</strong> unirsi a<br />
loro contro <strong>di</strong> noi, e noi <strong>di</strong>amo pubblicamente e liberamente autorizzazione <strong>di</strong> dare questo<br />
giuramento a chiunque lo voglia e non proibiremo a nessuno <strong>di</strong> pronunciarlo […].<br />
In tutti gli adempimenti <strong>di</strong> questi venticinque baroni, se dovesse accadere che i<br />
venticinque siano presenti e tra <strong>di</strong> loro siano in <strong>di</strong>saccordo su qualcosa o uno <strong>di</strong> loro che è<br />
stato convocato non vuole o non può venire, ciò che la maggioranza dei presenti avrà<br />
deciso o or<strong>di</strong>nato, sarà come se avessero acconsentito tutti i venticinque; e i suddetti<br />
venticinque giurino <strong>di</strong> osservare fedelmente tutte le cose suddette e <strong>di</strong> fare tutto ciò che è<br />
loro possibile per farle osservare.<br />
E noi non chiederemo nulla, per noi o per altri, perché alcuna parte <strong>di</strong> queste<br />
concessioni o libertà sia revocata o ridotta; e se qualcosa sarà richiesta, sarà considerata<br />
nulla e invalida e noi non potremo usarla per noi o tramite altri.<br />
Abbiamo giurato, sia da parte nostra sia da parte dei baroni, che tutto ciò che<br />
abbiamo detto sopra in buona fede e senza cattive intenzioni sarà osservato in buona fede e<br />
senza inganno. Ne sono testimoni le summenzionate persone e molti altri.<br />
49
Dato per nostra mano nel prato chiamato Runnymede, tra Windsor e Staines, il<br />
quin<strong>di</strong>cesimo giorno <strong>di</strong> Giugno, <strong>di</strong>ciassettesimo anno del nostro regno.<br />
doc. 2<br />
Franchigie sabaude alla città <strong>di</strong> Aosta (1326)<br />
Le Livre Rouge de la cité d'Aoste, a c. <strong>di</strong> M.A. LETEY VENTILATICI, Torino 1956, p. 9,<br />
Noi Edoardo conte e principe <strong>di</strong> Savoia, duca d'Aosta e Chablais e marchese in Italia,<br />
ren<strong>di</strong>amo noto a tutti che, poiché dalla comunità dei probi uomini fedeli nostri citta<strong>di</strong>ni,<br />
borghigiani e abitanti della città e del borgo <strong>di</strong> Aosta, fu esposto che i nostri balivi della<br />
valle d'Aosta, e ancor <strong>di</strong> più i mistrali, manderii e altri nunzi minori della corte, col pretesto<br />
del governo a loro affidato, presumono molte cose che appaiono sconvenienti e procurano<br />
danni ai nostri citta<strong>di</strong>ni e abitanti; e che hanno alcuni usi e consuetu<strong>di</strong>ni che si ritorcono a<br />
loro danno invece che utilità; e poiché hanno supplicato che ci degnassimo <strong>di</strong> soccorrerli,<br />
in modo che non siano più gravati da tali oppressioni e consuetu<strong>di</strong>ni;<br />
noi quin<strong>di</strong>, spinti dalle giuste suppliche, volendo provvedere ad essi con salubre<br />
rime<strong>di</strong>o, stabiliamo e or<strong>di</strong>niamo e anche vogliamo che sia in perpetuo osservato tra i<br />
predetti citta<strong>di</strong>ni, borghigiani e abitanti nostri:<br />
Prima <strong>di</strong> tutto che, ogni volta che avvenga che il nostro balivo della Valle d'Aosta, che<br />
ora è o sarà in futuro, dovrà assentarsi per qualche causa dalla città, lasci al suo posto una<br />
buona e sicura persona che faccia le sue veci. E gli atti fatti con costui varranno come quelli<br />
fatti con il balivo.<br />
Inoltre il balivo ponga negli uffici <strong>di</strong> mistralia e dei manderii persone tali che possano<br />
fare i dovuti risarcimenti alle persone che abbiano subito danni. Se danneggeranno<br />
indebitamente qualcuno nel corso del loro ufficio e avvenga <strong>di</strong> gravare su qualcuno<br />
indebitamente, il balivo farà risarcire il danno al danneggiato senza processo. E se non<br />
avranno <strong>di</strong> che risarcire, su richiesta del danneggiato, siano incarcerati nella torre e <strong>di</strong> lì<br />
non escano se non avranno prima fatto il risarcimento, oppure su richiesta del<br />
danneggiato. In modo tale tuttavia che il danneggiato dovrà fornire all'imprigionato, finché<br />
sarà in prigione, due denari <strong>di</strong> pane al giorno.<br />
Non vogliamo che alcun abitante nel borgo e città <strong>di</strong> Aosta sia costretto a prendere<br />
lettere degli atti nella corte del balivo, e vogliamo invece che gli atti fatti presso detto<br />
balivo siano vali<strong>di</strong> [senza farne documento] e siano mandati in esecuzione, purché siano<br />
accertati da altri documenti legali. E se accadrà che qualcuno vorrà avere lettere degli atti<br />
della corte o <strong>di</strong> altri affari che ogni giorno avvengono al <strong>di</strong> fuori dei tribunali, o far sigillare<br />
qualche documento, or<strong>di</strong>niamo <strong>di</strong> farli sigillare al prezzo stabilito negli statuti <strong>di</strong> Savoia dal<br />
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fu nostro principe <strong>di</strong> buona memoria e altri predecessori. Vogliamo e or<strong>di</strong>niamo che queste<br />
lettere e documenti, sigillati con il sigillo della corte, siano mandati in esecuzione<br />
semplicemente e senza processo, come è contenuto in detti statuti.<br />
Vogliamo e or<strong>di</strong>niamo che i manderii della nostra corte, a titolo <strong>di</strong> salario o rimborso,<br />
dentro e fuori dalla città, non possano chiedere altro che quanto è definito nei detti statuti,<br />
e giurino <strong>di</strong> non prendere nulla in più, e <strong>di</strong> esercitare il proprio ufficio fedelmente,<br />
tralasciando ogni amore, timore, prezzo e o<strong>di</strong>o […].<br />
Coloro che riscuotono le imposte, dovranno giurare <strong>di</strong> esercitare fedelmente il proprio<br />
ufficio, e non trattenere nulla se non il salario, ovvero <strong>di</strong>videndo tra <strong>di</strong> loro 12 denari per<br />
ogni lira. Completata la riscossione dell'imposta, dovranno rendere, se richiesti da<br />
qualcuno della comunità, un ren<strong>di</strong>conto valido e legale, alla presenza del nostro balivo e <strong>di</strong><br />
alcuni onesti uomini della città, che il balivo vorrà scegliere per questo […].<br />
Or<strong>di</strong>niamo ai nostri balivi che saranno in carica che non permettano che siano<br />
pignorati i citta<strong>di</strong>ni e abitanti dei buoi, asini e armi, finché avranno altri beni mobili per cui<br />
sia comodamente possibile pignorarli. E su questo si presti fiducia alle <strong>di</strong>chiarazioni alla<br />
corte del nunzio incaricato del pignoramento.<br />
Epistola <strong>di</strong> Rambaldo <strong>di</strong> Vaqueiras a Bonifacio <strong>di</strong> Monferrato (1205 ?)<br />
testo e traduzione in Poesie provenzali storiche relative all'Italia, a c. <strong>di</strong> V. DE<br />
BARTHOLOMAEIS, Roma 1931, I, p. 125, doc. 36<br />
1. Valoroso Marchese, signore <strong>di</strong> Monferrato, so grado a Dio che vi <strong>di</strong>é tanto d'onore,<br />
che più avete conquiso e largito e dato ch'uom senza corona della Cristianità; e lodone<br />
Id<strong>di</strong>o, che tanto m'ha avanzato, che ho in voi rinvenuto assai buon signore, ché m'avete<br />
nudrito e addobbato e recato gran bene e <strong>di</strong> basso in alto sospinto, e dal nulla fatto<br />
cavaliere <strong>di</strong> pregio, gra<strong>di</strong>to in corte e dalle dame lodato. Ed io v'ho servito volentieri, con<br />
fedeltà, con piacere, con tutto il poter mio: ed ho con voi compiute assai nobili imprese, ché<br />
in molti acconci luoghi ho con voi donneato, ed ho con voi in guerre cavalcato, e<br />
armeggiando perduto e vinto, e assai colpi ho presi e assestati, e son caduto e ho buttato<br />
giù d'arcioni, e destramente con voi son fuggito ed ho incalzato, vincendo l'incalzo e dal<br />
fuggire voltandomi alla riscossa. Ed ho in gua<strong>di</strong> e su ponti giostrato ed ho con voi oltre<br />
barriere fatto balzare il cavallo e assaliti barbacani e fossi, e alto sulle vedette e <strong>di</strong>fese<br />
montane son giunto, vincendo gran folte <strong>di</strong> nemici: ed aiutato v'ho a conquistare impero e<br />
regno <strong>di</strong> questa terra e l'isola e il ducato, e re a prendere, principe e principato, e a<br />
superare molti armati cavalieri. Molti forti castelli e città, e molti bei palagi ho spianati con<br />
voi; e imperatore e re e ammiraglio, e l'augusto Lascaris e il protostratore, nel Petrio ho<br />
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asse<strong>di</strong>ato, e molti altri signori. E incalzai con voi sino a Filopation l'imperatore, che <strong>di</strong><br />
Romania avete spogliato per coronarne l'altro. E se per voi non giungo a gran ricchezza,<br />
non parrà che appresso io vi sia stato, né v'abbia servito come vi ricordai. E voi sapete che<br />
<strong>di</strong>co al tutto la verità, signor Marchese.<br />
[…]<br />
3. Signor Marchese, non vo' tutti ricordarvi i giovanili fatti che fin dapprincipio<br />
pigliammo a compiere, ché ho timore non riuscisse <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole a noi che dovremmo gli altri<br />
ammaestrare: tuttavia furon que' fatti così splen<strong>di</strong><strong>di</strong>, che in un giovane non ci s'avrebbe a<br />
pensar nulla <strong>di</strong> meglio: ché primo sforzo <strong>di</strong> nobil giovine è scegliere che voglia: gran pregio<br />
procurarsi o rinunciarvi; come voi, signore, che voleste sollevar tanto il valor vostro subito<br />
al cominciare, che voi e me feste lodare ovunque, voi come signore e me come baccelliere.<br />
[…]<br />
E s'io volessi a pieno <strong>di</strong>re e contare le onorate geste, signore, che vi ho visto compiere,<br />
ci potrebbe ad ambedue venire noia, a me del <strong>di</strong>re, a voi dell'ascoltare. Più <strong>di</strong> cento<br />
fanciulle vi ho visto maritare a conti, marchesi, a baroni d'alto grado, che <strong>di</strong>savventurate<br />
sarebbero rimaste e non avrebber saputo che farsi: ché mai con nessuna giovinezza vi fe'<br />
commetter peccato. Cento cavalieri vi ho visti arricchire e altri cento abbattere e cacciare, i<br />
buoni sollevare e i falsi e i cattivi deprimere: mai lusingatore poté sedurvi. Tante vedove e<br />
tanti orfani consigliare e tanti <strong>di</strong>sgraziati vi ho visto soccorrere, che in Para<strong>di</strong>so ve ne<br />
dovrebbero addurre, se per mercé alcun uomo deve entrarci: ché ognora con mercé voleste<br />
reggere, ché mai ad uomo nessuno, degno <strong>di</strong> ottener mercé, se ve la chiese, ce la sapeste<br />
negare. E chi vuol <strong>di</strong>re e contare il vero, Alessandro vi lasciò la sua larghezza, e l'ar<strong>di</strong>mento<br />
Rolando e i do<strong>di</strong>ci pari, e il pro' Bernardo galanteria e il parlar gentile. In vostra corte<br />
regnano tutte le grazie, liberalità e galanteria, bel vestire, armi leggiadre, trombe e giochi e<br />
viole e canti; né mai vi piacque custode alle porte nell'ore de' conviti, così come fanno i<br />
signori avari.<br />
Ed io, signore, posso <strong>di</strong> tanto vantarmi che in vostra corte ho saputo serbar<br />
convenevole contegno, regalare e servire e soffrire e nascondere, né mai feci torto ad<br />
alcuno; né può alcun <strong>di</strong>re né rinfacciarmi che in guerra mi scostassi da voi, né temessi<br />
morte per esaltar l'onor vostro, né vi volessi impe<strong>di</strong>re alcun nobile fatto. E poiché, signore,<br />
so tanto <strong>di</strong> voi, per tre degli altri mi dovete far <strong>di</strong> bene, ed è ragione, ché in me trovar<br />
potete testimone, cavaliere e giullare, signor Marchese.<br />
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Il marchese Tommaso III <strong>di</strong> Saluzzo <strong>di</strong> ritorno da Parigi (1405)<br />
GIOFFREDO DELLA CHIESA, Cronaca <strong>di</strong> Saluzzo, a c. <strong>di</strong> C. MULETTI, in Historiae Patriae<br />
Monumenta, Scriptores, III, Torino 1848, coll. 1037-1038<br />
Porto costuy quando el viene da Paris molte belle cosse e gentileze. E tra le altre uno<br />
horologio che ad ogny meza hora sonava cum sey o otto campanete “Gloria in excelsis”,<br />
tute intonate <strong>di</strong> accor<strong>di</strong>o, che havea insieme el corso dy 7 pianeti e molte altre cose belle<br />
dentro. Et uno mapamondo dy bronzo cum le terre principale <strong>di</strong> paesi tute dy rellevo<br />
dargento sino cum ly scritty dy anielura. Porto poy tuto lo intaglio <strong>di</strong>l coro dy san<br />
Domenico cum il leterille e le tavole de bronzo che sono atorno il choro. Porto ancora ly<br />
imaginy de legno dy Christo steso sopra il monumento cum quely qui el guardaveno e san<br />
Pier e san Paulo e le Marie, tuty imaginy de la grandeza de una persona humana.<br />
Porto ancora 4 volumy de libry bellissimy che non ce libro che non valesse a ly giorny<br />
dy hogi forse cento ducaty. Uno fu un Legendario de vitta dy sancty in Francioso in<br />
bergamina duna bellissima e grossa lettera a grosse lettere dy oro et azurro e tuty ly sancty<br />
istoriaty benissimo, le tavole coperte dy veluto dy grande forma cum grossy boglony dy<br />
rellevo deauraty cum le arme e cimero dy la casa e similmente le chiavete, molto ponposi e<br />
tuty 4 duna fogia. L'altro era Tito Livio in Francioso come laltro, istoriato pure ut supra.<br />
Laltro chiamato el Faveo. Laltro non lo havemo per noticia el nome, pero che venendo el<br />
conte Amedeo dy Savoya primo ducha che fu poy legato, e la venuta soa fu nel tempo del<br />
marchexe Loys figlolo <strong>di</strong> questo Thomas, questo ducha se ne porto via doy de quely libry, el<br />
Faveo e laltro; ly altry doy ly sono ancora.<br />
Porto ancho esso Thomas marchexe al <strong>di</strong>segno dy la torre grossa dy Salucio <strong>di</strong>l<br />
castello in bergamena che luy fece fare. Porto doy coffany dy latta dy ferro che vano su<br />
rode atacade ad essi. Porto una piu degna cossa che tuto il resto: monstrando una volta el<br />
re dy Franza la sancta corona dy spine dy nostro creatore in san Dunis, in svilupandola<br />
cascho una de le spine dy essa, et ritrovandosi presso il marchexe Thomas subbito la leva;<br />
et il re ly <strong>di</strong>sse la sarebe soa e la dono al detto Thomas.<br />
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