Uso del dizionario - Facoltà di Lettere e Filosofia
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Dizionario
Uso del dizionario
Sarebbe opportuno lasciare per un momento il dizionario CHIUSO e leggere il testo da tradurre, cercando di
cogliere la struttura dei periodi (individuare il verbo della principale, e quelli delle subordinate; il soggetto di ognuno –
tenendo presente che può non essere espresso – e i vari complementi). Provare poi a fornire una prima traduzione
provvisoria sulla base degli elementi di lessico già noti. Per quelli che non sono noti, la ricerca sul dizionario dovrebbe
essere in certo modo già orientata. In primo luogo in senso morfologico: vale a dire, dobbiamo essere per quanto
possibile certi che stiamo leggendo la voce giusta, quella che corrisponde al vocabolo che abbiamo davanti.
Si tenga presente che il dizionario registra i nomi al nominativo singolare, seguito dal genitivo singolare e
dall’indicazione del genere (che può non corrispondere a quello del vocabolo italiano): rosa,ae, f.; lupus,i, m.; bellum, i,
n.; miles, militis, m.; civis, civis, m.; pinus, us e i, f. (significa che il vocabolo può seguire la IV o la II declinazione);
dies, diei, m. e f. Ricordare che esistono vocaboli che hanno solo il plurale, e sono pertanto registrati al nominativo
plur.: deliciae, arum, f.; moenia, ium, n..
Gli aggettivi sono registrati al maschile singolare, seguito dal femminile e dal neutro, se appartengono alla
prima classe (bonus,a,um; pulcher, pulchra, pulchrum), o alla seconda a tre uscite (acer, acris, acre; equester, equestris,
equestre); dal m. f. seguito dal neutro se a due uscite (fortis, forte), dal m.f.n. seguito dal genitivo se ad una sola uscita
(ingens, ingentis). Così i pronomi.
I verbi sono registrati alla prima persona del presente indicativo, seguita dal paradigma (seconda persona sing.
pres. indicativo, prima persona sing. perfetto indicativo, supino, infinito presente: dico,is, dixi, dictum, dicěre). Si
tratterà quindi di riuscire a risalire, da qualsiasi forma verbale flessa si trovi nel testo da tradurre, alla prima persona
singolare del presente indicativo. Cosa non difficile, dal momento che la maggior parte dei dizionari (non tutti!) registra
come lemmi a sé tutti i perfetti e i supini di tutti i verbi, salvo quelli in –avi della prima, in –evi della seconda e in – ivi
della quarta coniugazione (e quelli che nell’ordine alfabetico si troverebbero immediatamente prima o dopo il verbo da
cui derivano). Per es. dovrebbe esser registrato come lemma a sé sonui, pf. di sono; pepuli, pf. di pello; actum, supino di
ago, ecc.
Le parti invariabili del discorso (avverbi, preposizioni, interiezioni) e gli aggettivi (per es. frugi) e i sostantivi
(per es. fas, nefas) indeclinabili sono naturalmente registrati nell’unica forma di cui dispongono.
Prima del lemma può esserci un numero. Per es. 1. dĭco: significa che c’è almeno un altro lemma omografo
2.dīco. Si tratta in questo caso di due diversi verbi, uno della I coniugazione, e con i breve, dico, as,avi,atum,are; un
altro della terza coniugazione e con i lunga, dico,is,dixi,dictum,dicere. Supponiamo di aver davanti questa frase: dicebas
quondam solum te nosse Catullum (72). Se analizzo correttamente la forma dicebas come imperfetto di un verbo della III
coniugazione, saprò con certezza che la voce del dizionario che mi interessa è 2. dico, e che devo trascurare 1. dico.
Viceversa, se ho una frase che dice pontifex Iovi aram dicavit, analizzata la forma dicavit come perfetto indicativo di
verbo della I coniugazione, saprò che la voce da consultare è 1.dico.
Possono essere omografi anche vocaboli appartenenti a parti del discorso diverse, per es. 1. lābor, laberis,
lapsus sum, labi e 2. lăbor, laboris, m.; 1. consulto, avv. e 2. consulto, as, āvi, ātum, are. In questi casi la scelta dovrebbe
essere ancora più facile; in genere infatti il contesto dovrebbe indicare senza ambiguità se si tratta di una forma del
verbo o del sostantivo, se è l’avverbio o il verbo
A volte l’identità non si limita al lemma. Per es. 1. lĕvis, leve e 2. lēvis, leve sono due aggettivi a due uscite, che
differiscono soltanto per la quantità della prima sillaba e per il significato (“leggero” e “liscio”): levis armatura
“armatura leggera”; levia pocula, “coppe levigate” (ma potrebbe essere anche il contrario). Identici anche i verbi
corrispondenti, 1. lěvo, as, āvi, ātum, āre e 2. lēvo, as, āvi, ātum, āre, salvo la quantità della e e il significato
(rispettivamente “alleggerire” e “lisciare”). Così ad es. 1. sĕro, is, sevi, satum, serěre e 2. sĕro, is, serui, sertum serěre
sono due diversi verbi della terza coniugazione, distinti solo nelle forme del perfectum e identici in quelle dell’infectum,
ma con significati diversi, “seminare” e “intrecciare”.
Non si tratta di casi molto frequenti, ma è bene prestare attenzione.
In secondo luogo, individuato il lemma esatto, occorre scegliere il significato. Anche in questo caso, la scelta
dovrebbe essere orientata, dal testo che si sta leggendo, dall’autore, dalla struttura della frase. E’ ovvio che ci sono
lemmi semplici e lemmi più complessi: molti dizionari, per le voci più ricche di accezioni (spesso legate a costrutti
diversi), offrono all’inizio uno specchietto riassuntivo dei principali significati. In generale è bene partire dal senso
fondamentale del vocabolo. In particolare, per i verbi fare attenzione ai costrutti, che possono non corrispondere a quelli
italiani. Verbi intransitivi in latino, per es., possono essere transitivi in italiano, e viceversa: invĭdeo, es, invīdi, invīsum,
invidēre, “invidiare” è intransitivo in latino e transitivo in italiano; viceversa iuvo, as, iuvi, iutum, iuvāre, “giovare” è
transitivo in latino e intransitivo in italiano. Anche queste importanti informazioni sono offerte dal dizionario: per
invideo “con il dativo”; per iuvo “tr.”. In tutti i dizionari poi sono forniti esempi, dai quali si possono ricavare le
informazioni sul costrutto del verbo. Talvolta costrutti diversi corrispondono a significati diversi: per es. consulo +
accusativo “consultare qualcuno”; consulo +dativo “provvedere a qualcuno”; talvolta invece il verbo ammette, senza
differenza di significato, costrutti diversi. Per es. dono (-as, -avi, -atum, -are) presenta sia un costrutto identico a quello
italiano, con l’accusativo della cosa e il dativo della persona (donare qualcosa a qualcuno), per es. dux coronam militi
donavit, sia un costrutto non ammissibile in italiano, con l’accusativo della persona e l’ablativo (strumentale) della cosa,
dux coronā militem donavit. In entrambi i casi la trad. it. sarà “il comandante donò la corona al soldato”.
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Facciamo un esempio pratico con la prima parte del brano 2 a p. 317, Cicerone ottimo governatore della
Cilicia.
Alle informazioni, molto utili, premesse al brano, aggiungiamo che la carica fu ricoperta da Cicerone dal 51 al 50 a.C.
Dopo aver letto con attenzione l’intero brano si procede all’analisi delle singole frasi.
Cicero a senatu in Ciliciam proconsul missus est. Frase semplice, con una sola forma verbale, indicativo
perfetto passivo terza persona singolare di mitto,is, misi, missum, mittĕre. Il verbo dovrebbe essere noto; se non lo è, per
risalire alla prima persona singolare del pres. indicativo attivo (lemma del dizionario) è sufficiente cercare il supino
missum (ricordiamo che il part. pf. si forma dal tema del supino: è quindi facile risalire dal part. pf. della forma missus
est al supino missum). La voce mitto è molto ampia, ma qui si comprende subito che l’accezione appropriata è quella
fondamentale e più generale del verbo, “inviare, mandare”. Il verbo richiede un soggetto singolare, ovviamente al
nominativo: in questa frase abbiamo due sostantivi al nominativo Cicero, Cicerōnis e proconsul, proconsŭlis. Dopo
averli individuati occorre chiedersi quale sia la loro funzione nella frase: anche la collocazione della parole dovrebbe
indirizzare alla trad. “Cicerone fu mandato come proconsole”, intendendo correttamente proconsul come compl.
predicativo del soggetto Cicero, piuttosto che a quella, in teoria egualmente possibile, “il proconsole Cicerone fu
mandato” (interpretando proconsul come apposizione del soggetto). Attenzione alla trad. del perfetto: sappiamo che ad
esso corrispondono il passato remoto, il passato prossimo e il trapassato remoto italiani. Escludiamo subito il trapassato
remoto, usato di solito con valore relativo (processo verbale anteriore ad un altro passato); fra passato prossimo (“è stato
mandato”) e passato remoto (“fu mandato”), la scelta cadrà sul passato remoto, dal momento che il brano espone fatti
storici, lontani e del tutto conclusi. Ma soprattutto occorre non farsi ingannare dalla forma missus est, che potrebbe
suggerire la trad. errata “è mandato”: si tratta di una forma verbale unica, non della giustapposizione di est (“è”) e
missus (“mandato”: ricordiamo che il part. pf. significa “che è stato, che fu mandato”). La forma passiva è
accompagnata dal compl. d’agente (v. p. 76) a senatu (senatus, -us, m. sost. della IV decl.). Infine, in Ciliciam non può
che essere un compl. di moto a luogo: “Cicerone fu mandato dal senato come proconsole in Cilicia”.
Tum vero ob Romanorum cladem et victoriam Parthorum Cilīces magnam spem rerum novarum habebant, sed
Cicero iustitiā et moderatione suā provinciam ad fidem benevolentiamque reduxit
Individuati i verbi presenti nel periodo, habebant e reduxit, in primo luogo occorre comprendere in quale
relazione stiano fra loro: la congiunzione avversativa coordinante sed (v. p. 94 e p. 131) chiarisce che le due
proposizioni sono al medesimo livello gerarchico, sono cioè due principali; inoltre il significato della congiunzione,
“ma”, indica che c’è opposizione fra le due proposizioni.
Per ogni verbo occorre individuare il soggetto, che può anche non essere espresso (sogg. pronominale o
sottinteso): sarà plurale per habebant e singolare per reduxit, in entrambi i casi al nominativo. Nella prima proposizione
la sola parola con desinenza di nominativo plurale è Cilĭces: è certamente il soggetto di habebant. Nella seconda frase, il
solo vocabolo al nominativo singolare è Cicero (Cicerōnis), soggetto di reduxit. Il segno della lunga su iustitia (e su sua)
informa infatti che le due parole sono in caso ablativo. In entrambe le proposizioni i verbi hanno un compl. oggetto, in
accusativo: magnam spem e provinciam; infine entrambe le proposizioni contengono anche complementi indiretti ob
cladem et victoriam la prima (ciascuno dei due vocaboli è determinato da un genitivo, rispettivamente Romanorum e
Parthorum); iustitiā et moderatione suā e ad fidem benevolentiamque (= et benevolentiam) la seconda.
Solo a questo punto, dopo aver compreso la struttura delle frasi, e aver individuato i complementi, si può
consultare il dizionario per conoscere e scegliere il significato dei vocaboli non ancora noti.
Tum: avv. di tempo; i valori fondamentali sono due 1) “allora, in quel tempo” 2) “poi, in seguito”
vero: i lemmi presenti nel dizionario sono tre 1. vero, -as, -āre “dire la verità” 2. vero, verōnis, m. = veru,
“giavellotto” 3.vero avv., con due valori fondamentali, asseverativo “invero, certo” e avversativo “tuttavia”. E’ ovvio
che vanno subito scartati i lemmi 1 e 2: a parte ogni altra considerazione, un verbo alla prima persona singolare (il testo
è narrativo, con verbi tutti alla terza persona) e un sostantivo al nominativo singolare (il sogg. di questa frase deve
essere plurale, ed è stato già individuato in Cilĭces) non possono trovar posto in questa frase. Il lemma da considerare è
il 3, e l’accezione adatta a questo contesto è la prima (“invero”), perché segue la congiunzione avversativa sed: l’autore
presenta la situazione difficile che “allora, a quel tempo” (non “poi”) Cicerone trovò nella sua provincia, e che seppe
affrontare e risolvere.
Cilĭces: nom. plur. dell’agg. etnico sostantivato Cilix, Cilĭcis; è intuitivo che è il nome della popolazione della
Cilicia, ed è, come si è detto, il soggetto di habebant
ob Romanorum cladem et victoriam Parthorum: compl. di causa (v. pp. 159-160); la preposizione ob regge
entrambi gli accusativi. Non dovrebbero esserci problemi per individuare il nominativo di Romanorum,di victoriam e di
Parthorum; anche i significati di queste parole sono trasparenti. Forse solo cladem (termine peraltro molto comune, di
significato probabilmente già noto) richiede più impegno: la des. –em indica che può trattarsi di un sostantivo della III o
della V decl.; facciamo l’ipotesi che sia della III (molto più ricca di sostantivi). Il tema sarà in vocale 1 : il nom. sing. sarà
dunque cladis (attestato ma meno frequente) o clades, “sconfitta, disfatta”. Insieme al gen. Romanorum significa “la
sconfitta subita dai Romani”; così victoriam Parthorum sarà “la vittoria conseguita dai Parti”
magnam spem rerum novarum habebant: il predicato habebant (sogg. Cilices) è imperfetto indicativo di habeo,
verbo molto comune, di significato certo noto. Dall’imperfetto, che si forma dal tema del presente, posso comunque
1 In realtà potrebbe anche essere in consonante dentale, con nominativo sigmatico, come laus, laudis, ma dal momento
che un sostantivo *clas, cladis non esiste, l’altra ipotesi (tema in vocale) è quella corretta.
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risalire senza difficoltà al pres. habeo sostituendo alla terminazione – bant quella della prima persona dell’indicativo
presente –o; magnam spem: compl. oggetto, costituito da un sostantivo della V decl. (spes, spei, f. “speranza”) con il suo
attributo (magnam, acc. f. sing. dell’agg. della I classe magnus, a,um, anche questo di significato certo conosciuto)
rerum novarum: gen. retto da spem, costituito da un sostantivo (gen. pl. di res, rei, f. V decl.) con il suo
attributo (novarum gen. pl. f. di novus, a,um agg. della I classe)
La trad. della prima frase sarà dunque: “A quel tempo invero, a causa della sconfitta subita dai Romani e della
vittoria conseguita dai Parti, i Cilici avevano una grande speranza di un rivolgimento”: vale a dire, speravano che si
presentasse l’occasione, se i Parti avessero attaccato la provincia romana, di riconquistare la propria libertà.
Cicero, (Ciceronis): soggetto della seconda proposizione
iustitiā et moderatione suā: compl. di mezzo (abl. strumentale, v. p. 89); ovvio il significato di iustitia, sost.
femm. della prima declinazione; e cosi quello di moderatio, sost. femminile della III declinazione con tema in
consonante nasale, che mantiene per tutta la flessione la vocale lunga – o-: moderatio, moderatiōnis. L’aggettivo
possessivo riflessivo suā va riferito ad entrambi i sostantivi, e ripetuto nella trad.: “con la sua giustizia e la sua
moderazione”
reduxit: predicato verbale, perfetto di reduco (composto di duco ,is, duxi, ductum, ducĕre). Come per missus est
il tempo da scegliere per la trad. italiana è il passato remoto. Le accezioni fondamentali del verbo sono due: “tirare
indietro, ritirare” e “ricondurre, richiamare”. Ha come complemento oggetto provinciam, di significato evidente 2 . La
scelta sarà orientata dal complemento che segue.
ad fidem benevolentiamque populi Romani: moto a luogo figurato; per fidem la des. è quella di un accusativo
singolare della III o della V decl.: si può facilmente risalire ad un nominativo fides. Il dizionario presente due lemmi: 1.
fides, fidei. (dunque della V decl.), f. e 2. fides, fidis, (dunque della III decl.), f.. Il significato di questo secondo
vocabolo (“corda” di uno strumento musicale, usato per lo più al plurale) induce subito a scartare questo lemma e a
concentrarsi su fides, fidei che ha questi significati fondamentali: “fiducia”, “fedeltà”, “attendibilità”; poiché è unito
strettamente a benevolentiam, e tenendo conto dell’aiuto fornito dalla nota (populi Romani = “nei confronti del popolo
romano”), è probabile che il significato più appropriato sia “fedeltà”; ne consegue che per reduxit andrà scelto il
significato “ricondurre”.
La seconda frase si può tradurre: “ma Cicerone, con la sua giustizia e la sua moderazione, ricondusse la
provincia alla fedeltà e alla benevolenza nei confronti del popolo romano”.
In proconsulatu suo civitates pauperes gravibus tributis liberavit, omnia bona fraude intercepta restituit, multis beneficia
tribuit, furta rapinasque acriter repressit, dies noctesque domi accipiebat provinciales, qui auxilium petebant, numquam
donis et honoribus corruptus es.
Il periodo è costituito da una serie di sei proposizioni principali coordinate per asindeto (che elencano le azioni
meritorie con cui il proconsole rinsaldò la fedeltà a Roma della sua provincia): in cinque il verbo è al perfetto (liberavit,
restituit, tribuit, repressit, corruptus est: quattro attivi e uno passivo), in una all’imperfetto (accipiebat), che indica
processo verbale abituale o ripetuto nel passato. Tutte hanno il medesimo soggetto sottinteso (Cicerone, che si può
sottintendere anche nella traduzione). Da accipiebat dipende una subordinata di primo grado relativa, anch’essa con il
verbo all’imperfetto, qui...petebant.
Analizziamo ad una ad una le proposizioni.
in proconsulatu suo: la desinenza del sostantivo indica che si tratta dell’abl. sing. di un vocabolo della IV decl.
proconsulatus, -ūs, m.; lo accompagna, con funzione di attributo, l’aggettivo possessivo riflessivo suo. Il nesso non
richiede alcuna consultazione del dizionario. “durante il suo proconsolato”.
liberavit: la terminazione –avit indica che si tratta dell’indicativo pf. di un verbo della prima declinazione, da cui si
risale facilmente al lemma libero, -as, -āvi, -ātum, -āre, di significato trasparente “liberare”
civitates pauperes: sostantivo (civitas, civitatis) e aggettivo (pauper, pauperis: agg. della seconda classe, ad una
terminazione, usato spesso come sostantivo, con un solo significato “povero”) con terminazione del nom.-acc.-voc.
della terza declinazione. Si tratta evidentemente del compl. oggetto di liberavit. Per il sost. civitas le accezioni
fondamentali sono tre 1. “cittadinanza” 2 “popolazione” 3. “città” (v. scheda a p. 292). La scelta qui sarà per “città”, o
anche “popolazione”.
gravibus tributis: aggettivo in funzione attributiva, gravibus (da gravis, grave agg. della seconda classe a due uscite) +
sostantivo tributis (da tributum,-i, n., part. pf. di tribuo usato come sost. e come tale registrato sui dizionari, di
significato evidente), compl. di separazione (v. nota). L’agg. gravis presenta numerose accezioni (pesante, importante,
solenne, opprimente, molesto, funesto, ecc.), riconducibili però quasi tutte al valore fondamentale di “grave, pesante”,
connotato in modo positivo o negativo. Per il nostro testo andrà scelto evidentemente un significato connotato
negativamente: “gravoso, pesante”. Tradurremo “liberò città povere da tributi gravosi”
omnia bona fraude intercepta (part. pf. di intercipio, composto di capio, la trad. “sottratti” è già fornita) restituit: il
predicato deriva dal verbo restituo, -is, restitui, restitūtum, restituĕre: può trattarsi dunque sia di un presente sia di un
perfetto, ma in serie con altri perfetti va interpretato certamente come perfetto. Il significato è evidente, “restituire”.
omnia: n. plur. nom.-voc. –acc. dell’aggettivo della seconda classe a due uscite omnis, omne, “ogni, tutto”
2 Si ricordi tuttavia che il vocabolo provincia significa propriamente “compito, incarico”; quindi “sfera d’azione” di un
magistrato; e quindi ancora, in particolare, il “governo” di un territorio sottoposto al dominio di Roma; e infine, per
metonimia, il territorio stesso, la “provincia”
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bona: in assenza di indicazione della quantità della vocale finale si possono fare due ipotesi, neutro plurale (nom.-voc.
acc.) o ablativo singolare femminile dell’aggettivo della prima classe bonus, - a-, -um (va subito esclusa l’ipotesi di
nominativo o vocativo sing. femminile)
fraude: abl. singolare del sostantivo in consonante occlusiva dentale fraus, fraudis, “frode, inganno”.
Se bona è attributo di fraude, omnia andrà inteso come neutro pl. sostantivato: “restituì ogni cosa sottratta con buon
inganno”, frase evidentemente insensata, interpretazione da scartare (forse non verrebbe in mente a nessuno...). Dunque
non resta che intendere bona come neutro pl. sostantivato e omnia come suo attributo: “restituì tutti i beni (che erano
stati) sottratti con l’inganno”
multis beneficia tribuit: anche per tribuit (da tribuo, -is, tribui, tribūtum, tribuĕre) si presenta in teoria la scelta fra
presente e perfetto, ma poiché è coordinato ad altri perfetti va certo interpretato come perfetto; multis (dat. o abl.
dell’aggettivo della prima classe sostantivato multus,-a,-um) è il complemento indiretto di tribuit (dunque certo dativo);
beneficia (n. pl. di beneficium, -i) compl. oggetto: “a molti dispensò benefici”
furta rapinasque acriter repressit: frase semplicissima, che non dovrebbe richiedere nessuna consultazione del
dizionario, “represse (da reprĭmo, -is, repressi, repressum, -ĕre) con durezza (acriter, avv. di modo) furti e ruberie
(compl. oggetti)”
dies noctesque domi accipiebat provinciales: il verbo all’imperfetto (accipio, accĭpis, accēpi, acceptum, accipĕre,
“accogliere, ricevere”, composto di capio) indica un processo verbale che dura nel tempo. Per questo probabilmente
l’autore ha scelto un compl. di tempo continuato (v. p. 222), dies noctesque, che va trad. “di giorno e di notte”, domi è il
locativo (compl. di stato in luogo) di domus, us (significati 1. casa 2. patria); provinciales compl. oggetto, da
provincialis,- e, agg. (qui sostantivato) della seconda classe a due uscite. “riceveva in casa di giorno e di notte i
provinciali”
qui auxilium petebant: subordinata relativa; il pronome relativo qui concorda in genere e numero con l’antecedente
provinciales; il caso (nominativo) è quello richiesto dalla funzione del pronome nella frase, soggetto di petebant. Il
verbo peto, is, petīvi o petĭi, petītum, petĕre ha questi significati fondamentali: 1. “dirigersi verso” (con l’acc.) 2)
“aggredire, assalire” 3) “chiedere, pretendere”. L’oggetto auxilium orienta senza incertezze al significato 3: “riceveva in
casa di giorno e di notte i provinciali che chiedevano aiuto”
numquam donis et honoribus corruptus est: il verbo è la terza persona singolare del perfetto indicativo passivo di
corrumpo, -is, corrūpi, corruptum, corrumpĕre; il soggetto è il medesimo di tutte le altre principali coordinate; il
significato è identico a quello del verbo italiano che ne deriva, “corrompere”; donis e honoribus sono compl. di causa
efficiente (in abl. semplice, strumentale), da donum,-i, n. e da honos o honor, honōris, m., rispettivamente della II e della
III decl. Nessun problema per l’accezione di donum, “dono”; honos può significare o, genericamente, “onore,
onorificenza” o, specificamente, “carica, magistratura” (si ricordi che il cursus honorum è la carriera politica, lett. il
“corso delle cariche”, v. scheda a p. 309). In questa frase è preferibile l’accezione generica, dal momento che il termine
è accoppiato mediante la congiunzione copulativa et ad un termine altrettanto generico, donis. Infine numquam è un
avv. di tempo negativo “non mai”: “non fu mai corrotto (non si lasciò mai corrompere) da doni e onorificenze”.
Si lascia al lavoro individuale la restante parte del brano, con alcuni (ovvii) consigli riassuntivi:
1. non sarà necessario cercare sul dizionario ogni parola: per quelle già note, perché incontrate più volte (o
studiate), ci si fidi della propria memoria, concentrando l’attenzione sulla desinenza (caso, genere, numero; persona,
tempo ecc.) e sulla funzione nella frase; inoltre molte parole hanno in italiano la stessa forma e lo stesso significato
(attenzione, naturalmente, ai c.d. “falsi amici”; ce ne sono però anche di veri, forse in maggior numero)
2. per le parole di significato non trasparente, occorre con pazienza e tenacia ricostruire la forma del lemma.
Per i verbi, come già si è accennato, è sufficiente saper riconoscere se la forma da analizzare deriva dal tema del
presente, del perfetto o del supino: la prima persona sing. del presente indicativo attivo (= lemma del dizionario)
dovrebbe essere ricostruibile immediatamente per le forme derivate dal tema del presente; per le altre (che sarà bene,
naturalmente, imparare a poco a poco a riconoscere, arricchendo il proprio lessico) viene in aiuto il dizionario, che
registra quasi tutti i perfetti e i supini, rinviando al lemma che occorre consultare.
3. una traduzione che non ha un senso accettabile è certamente sbagliata: occorre ripercorrere con pazienza e
attenzione il lavoro fatto, chiedendosi se l’interpretazione grammaticale scelta sia la sola possibile (v. l’es. di omnia
bona fraude intercepta).
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