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Musica et Terapia n° 19 - Associazione Professionale Italiana ...

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4<br />

musica & terapia<br />

non sono dei dati sempre e comunque uguali a se<br />

stessi, ma sono un po’ come degli organismi viventi<br />

che mutano e sono estremamente flessibili<br />

in rapporto ai contesti e agli ambienti a cui si riferiscono.<br />

Negli studi di psicologia della musica,<br />

come ha ben evidenziato Sloboda (2004), prima o<br />

poi bisogna confrontarsi con alcuni “territori insicuri”<br />

in cui le certezze pregresse sono messe a<br />

dura prova. Questi “territori insicuri” sono costituiti<br />

soprattutto dalle ricerche sul rapporto che<br />

esiste tra musica ed emozioni o musica e vita<br />

quotidiana o ancora da alcuni studi relativi allo<br />

sviluppo e all’educazione musicale, insicuri perché<br />

rinviano a conc<strong>et</strong>ti non sempre definiti in<br />

maniera univoca, come le emozioni o in cui il rapporto<br />

tra strutture musicali e risposte individuali<br />

è mediato da una serie di altri fattori non sempre<br />

valutabili con certezza. Queste ricerche, molto di<br />

più di quelle classiche sulla percezione, l’attenzione<br />

e la memoria musicale, evidenziano come la<br />

musica non sia solo un sistema di regole chiuso in<br />

se stesso, ma anche e soprattutto uno strumento<br />

di comunicazione che può trovare diversi contesti<br />

interpr<strong>et</strong>ativi che spesso impongono la formulazione<br />

di un sistema di regole nel momento stesso<br />

dell’atto comunicativo. L’interesse relativamente<br />

recente da parte degli psicologi della musica verso<br />

questi “territori insicuri” può essere un primo<br />

passo per la costruzione di un dialogo produttivo<br />

tra psicologia della musica e musicoterapia.<br />

<strong>Musica</strong> ed emozioni<br />

Spesso lo studio del rapporto tra musica ed emozioni<br />

si è soffermato su un’analisi comparata tra<br />

alcune componenti musicali e specifiche espressioni<br />

emotive. La recente rassegna di Gabrielson e<br />

Lindstrom (2001) testimonia come questo modo<br />

di procedere si espone a dei limiti severi, al di là<br />

del valore che singole ricerche possano avere, a<br />

partire dai lavori quasi pionieristici della Hevner<br />

(<strong>19</strong>35, <strong>19</strong>36, <strong>19</strong>37), e al di là di alcuni risultati che<br />

hanno avuto un buon riscontro empirico (ancor-<br />

ché non in termini assoluti), come ad esempio il<br />

rapporto tra il modo minore e la tristezza o la<br />

connessione tra la velocità elevata ed alcune<br />

emozioni positive. I limiti di questa impostazione<br />

nascono dal fatto che in un brano musicale molteplici<br />

componenti interagiscono tra loro e, spesso,<br />

gli eff<strong>et</strong>ti di queste interazioni non possono<br />

essere previsti dall’analisi delle singole componenti<br />

che, quindi, hanno il più delle volte un valore<br />

relativo e non assoluto. C’è poi da considerare –<br />

e questo forse è un limite ancor più severo – che<br />

tale impostazione di ricerca spesso trascura quegli<br />

asp<strong>et</strong>ti legati al costituirsi dell’esperienza<br />

emotiva, agli eff<strong>et</strong>ti che produce in chi la vive, alle<br />

strategie che sono messe in atto per controllarla<br />

e modularla. In altre parole per cogliere delle<br />

puntuali connessioni tra strutture musicali e<br />

asp<strong>et</strong>ti emotivi spesso si trascura il fatto che il<br />

processo di ascolto è sempre un processo dinamico<br />

che implica istanze comunicative, così come lo<br />

è l’espressione musicale e l’esperienza emotiva (su<br />

questo asp<strong>et</strong>to “comunicativo” delle emozioni in<br />

musica e sul suo valore didattico si veda il recentissimo<br />

studio di Juslin, Evans e McPherson,<br />

2007). Partendo dalla musica, dalla struttura musicale<br />

quindi, già Meyer (<strong>19</strong>56, 2001) aveva delineato<br />

alcune caratteristiche, per così dire,<br />

narrative del discorso musicale nella creazione di<br />

asp<strong>et</strong>tative nell’ascoltatore nate dal rapporto tra<br />

tensione e distensione e proprio in queste caratteristiche<br />

aveva colto il carattere “emotivo” che<br />

un d<strong>et</strong>erminato brano poteva avere: le emozioni<br />

nascono, soprattutto, nella violazione di quelle<br />

asp<strong>et</strong>tative. Il modello di Meyer presenta degli<br />

asp<strong>et</strong>ti di sicuro interesse sia per un musicologo,<br />

sia per uno psicologo: la sua idea di “emozione”<br />

che ritrova nelle strutture musicali è in linea con<br />

i modelli cognitivisti più recenti come quello di<br />

Frijda (<strong>19</strong>86) con cui sembra condividere il conc<strong>et</strong>to<br />

che le emozioni non siano tanto delle azioni,<br />

ma delle “tendenze all’azione” o quello di<br />

Scherer (<strong>19</strong>87) i cui studi evidenziano come le

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