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Rina Scalise

«Favorite!». Se un ospite, parente, amico, conoscente o anche uno sconosciuto in cerca d’aiuto bussava alla porta, qualunque fossero l’ora e le possibilità della famiglia, una tovaglia si stendeva sulla tavola. Più che un’abitudine, era un consolidato slancio dell’anima. Faceva parte della migliore tradizione contadina calabrese onorare chi varcava la soglia della propria casa, condividendo con lui il pane caldo, l’olio più fino, le melanzane sottaceto, i pomodori seccati al sole, le olive ammaccate, i capicolli e i pecorini, mentre già si accendeva il fuoco per approntare “qualcosa di caldo”.

«Favorite!». Se un ospite, parente, amico, conoscente o anche uno
sconosciuto in cerca d’aiuto bussava alla porta, qualunque fossero l’ora e
le possibilità della famiglia, una tovaglia si stendeva sulla tavola.
Più che un’abitudine, era un consolidato slancio dell’anima. Faceva
parte della migliore tradizione contadina calabrese onorare chi varcava
la soglia della propria casa, condividendo con lui il pane caldo, l’olio più
fino, le melanzane sottaceto, i pomodori seccati al sole, le olive ammaccate,
i capicolli e i pecorini, mentre già si accendeva il fuoco per approntare
“qualcosa di caldo”.

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Prefazione<br />

«Favorite!». Se un ospite, parente, amico, conoscente o anche uno<br />

sconosciuto in cerca d’aiuto bussava alla porta, qualunque fossero l’ora e<br />

le possibilità della famiglia, una tovaglia si stendeva sulla tavola.<br />

Più che un’abitudine, era un consolidato slancio dell’anima. Faceva<br />

parte della migliore tradizione contadina calabrese onorare chi varcava<br />

la soglia della propria casa, condividendo con lui il pane caldo, l’olio più<br />

fino, le melanzane sottaceto, i pomodori seccati al sole, le olive ammaccate,<br />

i capicolli e i pecorini, mentre già si accendeva il fuoco per approntare<br />

“qualcosa di caldo”.<br />

Gli umili prodotti della terra e della quotidiana fatica, trasformati da<br />

una sapienza antica in prelibatezze degne di suggellare le amicizie, di<br />

consolare il dolore ed esaltare l’allegria, diventavano, in qualche modo,<br />

un banchetto sacro. Perché in quell’esposizione di tante bontà c’era, anche,<br />

l’offerta, semplice, all’ospite, di se stessi, della propria compagnia,<br />

del proprio conforto, del proprio appoggio.<br />

Un senso di ospitalità che – nonostante i cambiamenti sociali non siano<br />

stati tutti nel senso di un maggiore progresso generale e di migliori<br />

condizioni di vita – si conserva ampiamente. Così come, in molte case<br />

calabresi o di calabresi dovunque essi siano, si mantiene tuttora una parte<br />

almeno dell’antica tradizione culinaria.<br />

Non si tratta di un’abitudine trascinata per caso ma di una scelta.<br />

Una scelta di identità culturale, intorno a cui talvolta si riscoprono altri<br />

aspetti ancora attuali o nuovamente attualizzabili di antiche arti, ma anche<br />

un modo di esprimere l’esigenza di un’alimentazione meno inquinata<br />

da prodotti maturati più dalla chimica che dal sole, meno consumistica,<br />

più sana. E, anche – perché no? – un modo di rispondere in positivo<br />

alle sfide che la crisi economica impone alle famiglie.<br />

Amo la cucina calabrese è il personale «favorite!» di <strong>Rina</strong> <strong>Scalise</strong> a<br />

chi voglia entrare nella sua cucina e assaporare i piatti che lei ha cucinato<br />

centinaia e centinaia di volte, seguendo le ricette della madre e<br />

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