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Toni e Peppe Servillo:<br />

“Fratelli di sangue e d’arte”<br />

Simonetta Robiony<br />

Difficile essere diretti da un fratello?<br />

«Mah. Più che un regista Toni è un capocomico, si mette a servizio<br />

del testo e noi con lui. Abbiamo fatto sessanta intensissimi<br />

giorni di prove e poi siamo partiti. Toni e io siamo cresciuti a Caserta<br />

frequentando lo stesso gruppo di artisti. Lui si esprime con<br />

la parola, ma una parola che è anche suono, io con le canzoni che<br />

sono anche parole. Non fatichiamo ad intenderci, pur se in scena<br />

siamo sempre in allarme per quel piccolo scarto di differenza dalla<br />

sera precedente che noi pratichiamo e che è necessario a rendere<br />

unica ogni rappresentazione».<br />

Per Le voci di dentro lei ha vinto il premio Ubu. L’avrebbe<br />

mai detto?<br />

«Non pensavo di poter debuttare in teatro alla mia età e vincere<br />

perfino un premio, anche se frequento il mondo dello spettacolo<br />

da oltre trent’anni e vengo da una famiglia di spettatori<br />

onnivori amanti dell’opera, del cinema, del teatro. Ma di quattro<br />

figli che siamo, solo Toni ed io abbiamo messo in pratica<br />

questa passione: il maggiore è medico, nostra sorella insegna».<br />

Toni e Peppe Servillo, i due fratelli più famosi del nostro spettacolo,<br />

a Torino al Carignano con Le voci di dentrodi<br />

Eduardo e poi di nuovo dal 27 maggio per la stagione del<br />

Teatro Stabile (in collaborazione con Cariparma Crédit Agricole);<br />

in mezzo il Barbican Centre di Londra, dal 26 al 29 marzo, per<br />

quattro date già esaurite, un evento molto atteso che consacra<br />

questo spettacolo già ricco di riconoscimenti e applausi. Dice Toni:<br />

«Con il teatro ho girato l’Europa, da Madrid a San Pietroburgo, ma<br />

a Londra non ero mai andato. Il Barbican è una istituzione, è un<br />

onore essere invitati, favorito, credo, dal successo dei film di Sorrentino».<br />

È la prima volta che i due fratelli Servillo, Toni, il maggiore attore<br />

italiano, e Peppe, compositore e voce degli Avion Travel,<br />

lavorano insieme a teatro su un testo classico come questo.<br />

La decisione, raccontano i due, è nata dal testo: i due Saporito,<br />

Alberto e Carlo, sono fratelli, quale migliore opportunità<br />

che a recitarlo fossero proprio loro, Toni e Peppe, per offrire<br />

al pubblico una seduzione in più nel gioco del teatro?<br />

«Toni è un appassionato di musica - dice Peppe - ha perfino<br />

messo in scena alcune opere e io amo il teatro. Un paio di anni fa<br />

avevamo fatto Sconcerto in cui lui recitava la parte di un direttore<br />

d’orchestra e io eseguivo la musica. Questa, però, è tutta un’altra<br />

cosa».<br />

Non l’è dispiaciuto lasciare la musica per tanto tempo?<br />

«Non l’ho lasciata. Qualche concerto l’ho fatto anche in questi<br />

giorni: a L’Aquila, a Pagani. Comunque, questa estate torno con<br />

gli Avion Travel con la formazione originaria».<br />

Lavorare insieme vi è venuto naturale?<br />

«C’è un codice familiare che ci lega - spiega Toni -. Un legame<br />

fraterno che si è consolidato con le nostre reciproche scelte.<br />

Quando ho deciso che, dopo Goldoni, sarei tornato a Eduardo<br />

ho subito pensato a Peppe. Ci somigliamo, ci capiamo, condividiamo<br />

la stessa antica cultura napoletana della commedia<br />

dell’arte, quando gli attori giravano liberamente per l’Europa<br />

senza badare alle frontiere. È a loro che mi rifaccio. A quei magnifici<br />

secoli passati, a quell’Europa unita da un comune sentire<br />

che mi permette di sentirsi a casa sul palcoscenico di ogni<br />

città».<br />

Come mai, tra le tante commedie di Eduardo, ha voluto<br />

proprio Le voci di dentro che è una delle più amare?<br />

«Per i tempi amari che stiamo attraversando, penso. Eduardo<br />

la scrisse in dieci giorni, alla fine della guerra, creando il ritratto<br />

di due moderni Caino e Abele: due fratelli senza più fede né<br />

speranza, l’immagine di una fraternità ferita. Eduardo era un<br />

grande moralista, additava al suo pubblico i pericoli e i danni<br />

che si possono procurare vivendo senza ascoltare la voce della<br />

nostra coscienza civile».<br />

Servillo, che effetto le fa essere considerato il più bravo<br />

dei nostri attori?<br />

«Certo non ci penso la mattina quando mi sveglio. So di essere<br />

stato fortunato perché ho incontrato grandi registi che mi hanno<br />

permesso di ottenere riconoscimenti internazionali. L’Oscar è<br />

uno di questi, mi pareva un sogno irrealizzabile. Lo ammetto. Il<br />

successo mi fa piacere, ma praticare la poetica quotidiana del<br />

teatro serve a darmi equilibrio, a fissare i limiti. Ho accompagnato<br />

Sorrentino a Los Angeles senza interrompere le mie repliche:<br />

finito lo spettacolo sono partito per Los Angeles e sono<br />

tornato per ricominciare».<br />

Lei fa sempre tournée di anni, andando dalle piccole città<br />

alle grandi capitali: cosa la spinge a questa fatica?<br />

«Recitare per mesi lo stesso testo è un magnifico percorso di<br />

conoscenza. Mi permette un mestiere senza ansia, mi consente<br />

di approfondire un personaggio e farlo mio. Capisco una commedia<br />

solo quando la interpreto. E la interpreto per tanto tempo.<br />

Eduardo è il nostro Molière, ultimo autore di un teatro nobilmente<br />

popolare. Adesso che sono arrivato a duecento repliche<br />

mi sembra di averlo compreso. Lo riprendo anche la prossima<br />

stagione a Milano, Roma, Napoli. Intanto avrò avuto modo di riflettere<br />

su cosa fare dopo».<br />

(La Stampa)<br />

38 24marzo2014 asud’europa

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