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il partito - Studium

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FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE<br />

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’AMMINISTRAZIONE<br />

A.A. 2011-2012<br />

SCIENZA DELLA POLITICA<br />

(Prof. P. Spanò)<br />

SLIDES SUL MODULO 2


2.1 COS’È LA DEMOCRAZIA?


MODALITA’ DI REGOLAZIONE DEI CONFLITTI NEI REGIMI DEMOCRATICI<br />

Nel primo modulo si è messo in evidenza la centralità della categoria del conflitto<br />

per la definizione stessa del concetto di politica. Pur non trattandosi di una<br />

categoria esauriente, dato <strong>il</strong> carattere ambivalente della politica (che comprende<br />

anche l’accordo e <strong>il</strong> consenso) appare infatti evidente come non sia possib<strong>il</strong>e<br />

espellere totalmente <strong>il</strong> conflitto dai rapporti politici. Un assunto che appare<br />

abbondantemente confermato sul piano storico dal fatto che tutte le dottrine che<br />

hanno ipotizzato la fine di ogni conflitto (come la teoria marxista) si sono tradotte,<br />

sul piano della loro applicazione pratica, in un’accentuazione della logica<br />

conflittuale (come è accaduto nelle “democrazie popolari” dei regimi comunisti:<br />

basti ricordare le deportazioni di massa nei Gulag sovietici, le epurazioni<br />

ideologiche del regime maoista in Cina, e così via).<br />

Il problema di come affrontare e regolare i conflitti è dunque IL PROBLEMA DI<br />

FONDO DELLA POLITICA, e i diversi REGIMI POLITICI possono essere differenziati<br />

tra di loro proprio in base alle diverse modalità di risoluzione dei conflitti da essi<br />

adottate.<br />

Come mostra lo schema sottostante, la soluzione adottata dai REGIMI<br />

DEMOCRATICI, di cui adesso ci occuperemo, risiede nell’adozione del principio<br />

maggioritario, temperato da adeguate garanzia per le minoranze.


PROBLEMA<br />

DI FONDO<br />

DELLA<br />

POLITICA<br />

REGIMI<br />

POLITICI<br />

COME AFFRONTARE E<br />

REGOLARE I CONFLITTI<br />

Differenti<br />

modalità di<br />

regolazione dei<br />

conflitti<br />

ARISTOCRATICI –<br />

MONARCHICI<br />

(differenze di ceto e<br />

princìpio ereditario)<br />

AUTOCRATICI (volontà<br />

di un capo)<br />

DEMOCRATICI (criterio<br />

maggioritario e<br />

garanzie per le<br />

minoranze)


DEMOCRAZIA DEGLI ANTICHI E DEMOCRAZIA MODERNA<br />

Se nel mondo odierno esiste un largo consenso sull’importanza e la centralità<br />

della democrazia, non bisogna dimenticare che questo termine ha acquisito una<br />

connotazione altamente positiva soltanto di recente, nella seconda metà del xx<br />

secolo. In precedenza, per più di due m<strong>il</strong>lenni, <strong>il</strong> giudizio espresso sulla democrazia<br />

era stato ampiamente negativo. Come scrive Macpherson, “democrazia era<br />

considerata una brutta parola. Non c’era chi non sapesse che la democrazia, nel<br />

senso originario edi governo del popolo o in accordo con <strong>il</strong> volere delle masse,<br />

sarebbe stato una brutta cosa, fatale per la libertà dell’individuo e per <strong>il</strong> buon vivere<br />

civ<strong>il</strong>e. Questa era la posizioni di quasi tutti gli uomini d’intelletto dagli albori della<br />

storia fino a circa un secolo fa. Poi, nel giro di cinquant’anni, la democrazia divenne<br />

una cosa buona”.<br />

La prima riflessione organica sulle forme di governo (e quindi anche sulla<br />

democrazia) risale ai f<strong>il</strong>osofi della Grecia classica. PLATONE pensava che la<br />

democrazia non fosse <strong>il</strong> governo del popolo ma “<strong>il</strong> governo della plebe”, cioè dei<br />

poveri e ignoranti contro i ricchi e istruiti. Egli sosteneva che <strong>il</strong> processo decisionale<br />

politico dovesse essere basato sulle competenze, e che quindi solo saggi statisti<br />

fossero in grado di guidare la nave del governo. In un regime democratico la massa<br />

ignorante sarebbe stata fac<strong>il</strong>mente vittima della demagogia, finendo così per<br />

cedere rapidamente <strong>il</strong> potere ad un tiranno. ARISTOTELE, pur essendo in disaccordo<br />

con Platone e credendo che, a certe condizioni, anche la volontà dei molti potesse


agire con saggezza, non dava un’accezione positiva al termine democrazia. Non a<br />

caso, nella sua tipologia delle forme di governo, <strong>il</strong> termine democrazia viene usato<br />

per designare una forma corrotta di governo (<strong>il</strong> cattivo governo dei molti), mentre<br />

per indicare la forma benefica del governo dei molti egli usava <strong>il</strong> termine politeia. La<br />

sua TIPOLOGIA DELLE FORME DI GOVERNO era dunque basata sull’incrocio tra un<br />

criterio descrittivo (<strong>il</strong> numero dei governanti: uno, pochi, molti) ed un criterio<br />

valoriale e prescrittivo che distingueva <strong>il</strong> governo buono (dove i governanti agivano<br />

per <strong>il</strong> bene collettivo) dal governo cattivo (dove i governanti perseguivano <strong>il</strong> proprio<br />

interesse personale):<br />

TIPOLOGIA ARISTOTELICA DELLE FORME DI GOVERNO<br />

Numero dei governanti<br />

Forma di governo<br />

benefica<br />

Forma di governo<br />

corrotta<br />

Uno MONARCHIA TIRANNIA<br />

Pochi ARISTOCRAZIA OLIGARCHIA<br />

Molti POLITEIA DEMOCRAZIA


Aristotele sosteneva che si dovesse scegliere <strong>il</strong> tipo di governo a cui corrispondeva<br />

la forma di corruzione meno pericolosa (cioè l’aristocrazia), mentre la democrazia<br />

costituiva la più pericolosa delle forme corrotte.<br />

Certo la democrazia, ai tempi di Platone ed Aristotele, appariva molto diversa da<br />

come la intendiamo oggi. Nell’Atene classica si instaurò (cosa possib<strong>il</strong>e solo<br />

all’interno di una comunità ristretta) una forma di democrazia diretta, basata però<br />

su una forte diseguaglianza sociale. Dallo status di “cittadino”, che consentiva di<br />

partecipare all’Assemblea e di decidere degli affari comuni, era infatti esclusa la<br />

maggior parte della popolazione (gli schiavi, le donne, gli stranieri). In una forma<br />

siffatta di democrazia non era l’elezione <strong>il</strong> metodo per la designazione delle<br />

cariche pubbliche, bensì <strong>il</strong> sorteggio (all’interno della ristretta schiera dei<br />

cittadini).<br />

L’opinione che la democrazia fosse un sistema in cui le cariche politiche erano<br />

determinate a sorte resistette fino al XVIII secolo, ed è per questo che i più grandi<br />

pensatori politici (come Bodin, Hobbes, Locke, Kant, Hegel, Montesquieu) pur<br />

perorando la causa di un governo rappresentativo, non si consideravano<br />

sostenitori della democrazia, bensì del governo monarchico. Fino a quel momento,<br />

era <strong>il</strong> desiderio di sbarazzarsi di governanti ingiusti, piuttosto che quello di affidare<br />

<strong>il</strong> potere nelle mani del popolo, che motivava le prese di distanza dall’assolutismo.<br />

Solo con <strong>il</strong> delinearsi di una netta linea di frattura fra democrazia e aristocrazia,<br />

nell’epoca delle rivoluzioni francese ed americana, governo rappresentativo e


democrazia finirono per diventare sinonimi. E’ da quel momento in poi che la<br />

nozione di democrazia assunse molte delle caratteristiche che oggi la<br />

contraddistinguono.<br />

Confrontando pertanto la DEMOCRAZIA DEGLI ANTICHI e la DEMOCRAZIA DEI<br />

MODERNI emerge la contrapposizione tra la democrazia diretta (possib<strong>il</strong>e solo<br />

all’interno di comunità ristrette) e la democrazia rappresentativa (che diventa<br />

l’unica forma di democrazia possib<strong>il</strong>e in Stati di grandi dimensioni, popolati da<br />

m<strong>il</strong>ioni di sudditi e poi di cittadini.<br />

DEMOCRAZIA DIRETTA E DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA<br />

DEMOCRAZIA DIRETTA<br />

• “Democrazia degli antichi”. Un<br />

piccolo numero di cittadini si riunisce<br />

e decide direttamente, ma dalla<br />

cittadinanza è esclusa la maggior<br />

parte della popolazione (schiavi,<br />

donne, stranieri). Oggi sopravvive in<br />

istituti come <strong>il</strong> referendum. La forma<br />

di designazione delle cariche<br />

pubbliche è <strong>il</strong> sorteggio.<br />

DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA<br />

• “Democrazia dei moderni”. Basata su<br />

regole e istituzioni della rappresentanza:<br />

elezioni libere e competitive e strutture<br />

rappresentative e decisionali. La<br />

partecipazione diretta della maggioranza<br />

dei cittadini si limita al voto (spesso non<br />

obbligatorio), mentre è una ristretta élite<br />

di “professionisti della politica” a<br />

prendere le decisioni.


DEFINIZIONI DI DEMOCRAZIA<br />

L’idea centrale che sta alla base del concetto contemporaneo di democrazia è che<br />

sia “<strong>il</strong> popolo” a governare. Del resto, <strong>il</strong> significato etimologico del termine è<br />

proprio quello di “potere del popolo”, meglio reso oggi dall’espressione “potere<br />

dal popolo, del popolo e per <strong>il</strong> popolo”. In particolare, si può dire che <strong>il</strong> termine<br />

“democrazia” designa oggi quel tipo di regime in cui ai diritti della tradizione<br />

liberale si sono aggiunte le concezioni democratiche della sovranità popolare ed<br />

essi sono stati estesi al numero più ampio di cittadini. Se ancora qualche decennio<br />

fa si potevano attribuire al termine significati ben diversi (vedi le “democrazie<br />

popolari socialiste”), oggi, quando si parla di democrazie, ci si riferisce cioè alle<br />

liberal-democrazie di massa:


LIBERAL-<br />

DEMOCRAZIE<br />

DI MASSA<br />

• Garanzia reale di partecipazione politica della<br />

popolazione adulta (M/F);<br />

• Possib<strong>il</strong>ità di dissenso, opposizione e competizione<br />

politica.<br />

DIRITTI (civ<strong>il</strong>i) DELLA<br />

TRADIZIONE LIBERALE<br />

DIRITTI (politici) INSITI NELLE<br />

CONCEZIONI DEMOCRATICHE<br />

DELLA SOVRANITA’ POPOLARE<br />

ESTENSIONE AL<br />

NUMERO PIU’<br />

AMPIO DI<br />

CITTADINI


In tema di DEFINIZIONI DELLA DEMOCRAZIA, una distinzione di fondo è quella tra<br />

definizioni SOSTANZIALI e definizioni PROCEDURALI.<br />

Il primo tipo di definizione ha carattere normativo o valoriale, perché tende a<br />

specificare, attraverso l’individuazione di quali risultati sostanziali un regime<br />

democratico debba tendere a realizzare, come la democrazia dovrebbe essere. Le<br />

definizioni del secondo tipo sono invece a carattere minimalista, nel senso che<br />

tendono a classificare le democrazie secondo le loro istituzioni e procedure<br />

formali, cioè in base alle loro regole di funzionamento.<br />

Una visione sostanziale della democrazia era certamente quella di ARISTOTELE<br />

che, come si è visto, distingue tra regimi buoni e cattivi basandosi sul grado in cui<br />

essi servono <strong>il</strong> bene pubblico. Ovviamente definizioni di tal genere, tese a<br />

delineare la democrazia “ideale”, presentano molte difficoltà dal punto di vista<br />

della loro verificab<strong>il</strong>ità empirica. Se, per esempio, si indica come uno degli obiettivi<br />

fondamentali della democrazia la realizzazione della giustizia economica, risulta<br />

improbo trovare esempi di sim<strong>il</strong>i regimi nel mondo reale.<br />

Le definizioni minime, invece, incentrate sulla descrizione degli aspetti formali del<br />

funzionamento delle democrazie (cioè delle procedure che contraddistinguono<br />

questo tipo di regime), appaiono indubbiamente più ancorate alla realtà. In questo<br />

campo, tra le definizioni più significative vanno citate quella di SCHUMPETER e<br />

quella di SARTORI. La prima pone l’accento sulla competizione, la seconda sul


apporto maggioranza- minoranza:<br />

• SCHUMPETER: accento sulla competizione. “Il metodo<br />

democratico è lo strumento istituzionale per giungere a<br />

decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono <strong>il</strong><br />

potere di decidere attraverso una competizione che ha per<br />

oggetto <strong>il</strong> voto popolare”.<br />

• SARTORI: accento sui valori e sul rapporto fra maggioranza e<br />

minoranza. “Il regime democratico è un sistema etico-politico<br />

nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere di<br />

minoranze concorrenti che l’assicurano” (attraverso <strong>il</strong><br />

meccanismo elettorale).


DEFINIZIONE<br />

MINIMA<br />

DEMOCRAZIA<br />

PROCEDURALE<br />

Elementi indispensab<strong>il</strong>i perché un regime sia democratico:<br />

• suffragio universale (M/F);<br />

• elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette;<br />

• più di un <strong>partito</strong>;<br />

• diverse e alternative fonti di informazione.<br />

I diritti e le libertà democratiche possono essere ricondotti<br />

ad una serie di regole formalizzate di tipo procedurale: si<br />

tratta di “forme” che garantiscono che certe “sostanze”,<br />

cioè le decisioni, siano prese seguendo le modalità previste<br />

da quelle stesse forme.<br />

Ci riferiamo alle regole formali che disciplinano <strong>il</strong> voto a<br />

suffragio universale ed <strong>il</strong> libero svolgimento delle elezioni;<br />

alla presenza di strutture partitiche di organizzazione e<br />

intermediazione (due o più di due); all’esistenza di una<br />

struttura decisionale e di controllo eletta con le norme<br />

suddette (<strong>il</strong> parlamento); all’esistenza di un primo ministro<br />

e di un governo responsab<strong>il</strong>i verso <strong>il</strong> parlamento o risultato<br />

di una elezione diretta da parte del corpo elettorale.<br />

Queste norme e istituzioni presuppongono l’esistenza di<br />

altre norme che garantiscano i diritti politici e di libertà.


ASPETTI<br />

“CHIAVE” DELLA<br />

DEMOCRAZIA<br />

PROCEDURALE<br />

• Accordo compromesso tra gli attori in gioco<br />

(politicamente r<strong>il</strong>evanti), che riconosce le regole di<br />

risoluzione pacifica dei conflitti tra le parti sociali;<br />

•Alto livello di incertezza decisionale (sui contenuti<br />

delle decisioni) consentito dal regime<br />

democratico;<br />

• Limiti all’incertezza decisionale: escluse le<br />

decisioni che vanificherebbero una o più regole del<br />

gioco democratico; limite posto dalla salvaguardia<br />

del mercato e della proprietà privata.<br />

• Definizione empirica di MORLINO: accento sul compromesso<br />

procedurale: “la democrazia è quell’insieme di norme e procedure<br />

che risultano da un accordo-compromesso per la risoluzione<br />

pacifica dei conflitti tra gli attori sociali, politicamente r<strong>il</strong>evanti, e<br />

gli altri attori istituzionali presenti nell’arena politica” .


Queste definizioni consentono di mettere in evidenza come la democrazia sia<br />

un regime politico caratterizzato dal BILANCIAMENTO DI PRINCÌPI DIVERSI:<br />

• ACCORDO SULLE REGOLE;<br />

• DISSENSO E CONFLITTO SUGLI INTERESSI;<br />

• ALTO GRADO DI INCERTEZZA SUI RISULTATI<br />

DECISIONALI;<br />

• LIMITAZIONE DELL’INCERTEZZA (ad es:<br />

inviolab<strong>il</strong>ità del mercato e della proprietà<br />

privata);<br />

• REGOLA DI MAGGIORANZA;<br />

• PROTEZIONE DIRITTI DELLE MINORANZE<br />

(Ricorso, in certi casi, a maggioranze<br />

qualificate o all’unanimità);<br />

• AMPIA RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI<br />

E DELLE IDENTITA’ NELLE SEDI DECISIONALI.<br />

• SALVAGUARDIA DELL’EFFICACIA<br />

DECISIONALE E DELLA FUNZIONALITA’<br />

DEGLI ORGANI DI GOVERNO.


Dal contrasto tra questi princìpi emerge chiaro <strong>il</strong> paradosso della democrazia:<br />

PARADOSSO<br />

DEMOCRATICO<br />

Una democrazia può sopportare tanto più conflitto quanto<br />

più forte è <strong>il</strong> consenso di fondo su di essa.


TIPI E MODELLI DI DEMOCRAZIE<br />

A parte la tradizionale differenziazione tra democrazia degli antichi e democrazia<br />

moderna, esistono numerose CLASSIFICAZIONI, TIPOLOGIE E MODELLI DI<br />

DEMOCRAZIA. Questi ultimi hanno l’indubbio vantaggio di prendere in<br />

considerazione un maggior numero di dimensioni r<strong>il</strong>evanti.<br />

SE SI PRESTA ATTENZIONE AD UN SOLO FATTORE, si possono classificare le<br />

democrazie in base ai rapporti tra legislativo ed esecutivo, oppure in relazione ai<br />

sistemi partitici che le caratterizzano:<br />

• nel primo caso, la distinzione classica è quella che distingue <strong>il</strong> regime<br />

presidenziale, con elezione diretta del capo dello Stato che è anche capo<br />

dell’esecutivo e non dipende dal parlamento (come negli Stati Uniti), dal regime<br />

parlamentare, dove <strong>il</strong> capo dello Stato è una figura prevalentemente<br />

rappresentativa e l’esecutivo dipende dalla fiducia del parlamento (come in<br />

Ingh<strong>il</strong>terra, Germania o Italia), o dal regime semipresidenziale, dove <strong>il</strong> presidente<br />

è eletto direttamente, come <strong>il</strong> parlamento, a suffragio universale, ma <strong>il</strong> governo<br />

dipende dalla fiducia del parlamento (come in Francia, Finlandia o Portogallo);<br />

• nel secondo caso, la distinzione principale sarà tra sistemi bipartitici e<br />

multipartitici.<br />

CLASSIFICARE LE DEMOCRAZIE IN BASE AD UN SOLO CRITERIO NON CONSENTE<br />

PERÒ DI COMPRENDERNE IL FUNZIONAMENTO REALE: ad esempio, perché due<br />

democrazie parlamentari come quella inglese e quella italiana funzionino in modo


così diverso, o quali siano le sostanziali differenze all’interno di una categoria<br />

troppo ampia come quella dei sistemi multipartitici. Più soddisfacente appare <strong>il</strong><br />

ricorso a TIPOLOGIE, come fa LIJPHART quando, considerata la stab<strong>il</strong>ità/instab<strong>il</strong>ità<br />

delle democrazie come variab<strong>il</strong>e dipendente (da spiegare), incrocia due variab<strong>il</strong>i<br />

indipendenti: la cultura politica e <strong>il</strong> comportamento delle élite politiche:<br />

TIPOLOGIA DI LIJPHART<br />

Propensione<br />

delle élites<br />

all’accordo<br />

Propensione<br />

delle élites al<br />

conflitto<br />

Cultura politica<br />

omogenea<br />

Democrazie<br />

depoliticizzate<br />

(USA)<br />

Democrazie<br />

centripete<br />

(Regno Unito, paesi<br />

scandinavi)<br />

Cultura politica<br />

eterogenea<br />

Democrazie<br />

consensuali<br />

(Paesi Bassi, Svizzera)<br />

Democrazie<br />

centrifughe<br />

(Italia, Francia, Germania<br />

di Weimar)


Lijphart iniziò da uno studio di un caso singolo, ma con importanti potenzialità<br />

euristiche (quello olandese). Ciò gli permise di mettere in evidenza, nella sua<br />

TIPOLOGIA DEI REGIMI DEMOCRATICI, che vi possono essere democrazie stab<strong>il</strong>i<br />

anche in società profondamente divise, e ciò perché a profonde differenze sia<br />

sociali che religiose, nel caso olandese si contrapponevano élites propense<br />

all’accordo e al compromesso. Nasce da questo studio e dalla tipologia che lo<br />

caratterizza la categoria delle “democrazie consensuali” (che in seguito definirà<br />

anche “consociative”) che contribuirà poi a spiegare la stab<strong>il</strong>ità politica di società<br />

divise su piani diversi rispetto a quella olandese, come quello etnico e/o linguistico.<br />

Il tipo opposto è quello delle “democrazie centripete” (come quella inglese o<br />

quelle scandinave), dove ad una cultura omogenea si contrappongono delle elites<br />

conflittuali (perché tese a conquistare, per vincere, lo stesso elettorato<br />

“fluttuante” di centro); vi sono poi le “democrazie depoliticizzate” (come gli Stati<br />

Uniti), le cui elites tendono, invece, all’accordo pragmatico e in cui la cultura<br />

politica è omogenea; infine le “democrazie centrifughe” (come l’Italia e la<br />

Francia), con una cultura politica frammentata sul piano ideologico ed elites<br />

conflittuali.<br />

Successivamente Lijphart portò avanti uno studio comparato sempre più ampio<br />

(prendendo in considerazione inizialmente 21 democrazie e raggiungendo alla fine<br />

<strong>il</strong> numero di 36 casi considerati), costruendo DUE MODELLI POLARI DI<br />

DEMOCRAZIA, dove al princìpio maggioritario (fondato sulla regola della


maggioranza) si contrappone <strong>il</strong> princìpio consensuale (fondato sulla pratica<br />

dell’accordo e del compromesso). Emergono così due modelli istituzionali,<br />

internamente coerenti, le cui DIMENSIONI EMPIRICAMENTE RILEVANTI (ognuna<br />

caratterizzata da cinque diverse variab<strong>il</strong>i) sono due: la dimensione PARTITI -<br />

GOVERNI e la dimensione FEDERALE - UNITARIA. Per ognuna di queste variab<strong>il</strong>i<br />

sono individuab<strong>il</strong>i degli indici numerici: ad esempio, per quanto riguarda <strong>il</strong> sistema<br />

partitico, l’indice di concentrazione dei seggi parlamentari tra i partiti; per quanto<br />

riguarda <strong>il</strong> sistema elettorale, l’indice di distorsione fra la percentuale dei voti e la<br />

percentuale dei seggi ottenuta da ciascun <strong>partito</strong>; e così via.<br />

MODELLO<br />

MAGGIORITARIO<br />

MODELLO<br />

CONSENSUALE<br />

appare più adatto a paesi con società relativamente<br />

omogenee e con partiti politicamente non troppo<br />

distanti e in competizione tra loro per la conquista del<br />

centro dell’elettorato.<br />

Si adatta a società plurali (divise da fratture a carattere<br />

ideologico, linguistico, culturale, etnico o razziale) dove<br />

manca la flessib<strong>il</strong>ità necessaria perché una democrazia<br />

maggioritaria possa funzionare e dove quindi prevale<br />

un’ampia diffusione e condivisione del potere.


IL RICORSO A MODELLI MULTIDIMENSIONALI consente di perdere molte meno<br />

informazioni rispetto all’uso di tipologie. Così all’interno di ciascuna dimensione<br />

si può individuare come si caratterizza ciascun paese, giungendo a<br />

configurazioni multidimensionali specifiche per ciascuna democrazia e<br />

all’individuazione di modelli misti:<br />

STRATEGIA POLARE (LUNGO LE DIVERSE DIMENSIONI)<br />

I------X---------------------------------------------------I<br />

I--------------X-------------------------------------------I<br />

I--------------------------------------------X-------------I<br />

I--------X-------------------------------------------------I<br />

I-------------------------------X--------------------------I<br />

I----------------------------------------------------X-----I


MODELLI POLARI DI DEMOCRAZIA<br />

CARATTERISTICHE<br />

STRUTTURALI<br />

(LIJPHART)<br />

MODELLO<br />

MAGGIORITARIO<br />

MODELLO<br />

CONSENSUALE<br />

Caratteristiche del governo Monocolore Ampia coalizione<br />

Relazioni governo/parlamento Il primo domina <strong>il</strong> secondo Equ<strong>il</strong>ibrio<br />

Sistema partitico Bipartitico Pluripartitico<br />

Sistema elettorale Maggioritario Proporzionale<br />

Sistema di interessi Pluralistico e competitivo Neo-corporativo<br />

Assetto statale e governativo Centralizzato Decentrato<br />

Parlamento Bicameralismo asimmetrico Bicameralismo forte<br />

Costituzione Flessib<strong>il</strong>e Rigida<br />

Valutazione della<br />

costituzionalità<br />

Parlamento<br />

Corte Costituzionale<br />

Banca centrale Dipendente dall’esecutivo Indipendente


DEMOCRAZIE IDEALI E QUALITA’ DEMOCRATICA<br />

Il numero dei paesi democratici, individuab<strong>il</strong>i attraverso gli elementi empirici fin<br />

qui descritti, è notevolmente cresciuto negli ultimi decenni. A questo punto sorge<br />

però <strong>il</strong> problema di confrontare la “QUALITÀ DEMOCRATICA” di questi paesi, <strong>il</strong> che<br />

significa chiedersi come si possa realizzare una “migliore” democrazia. Appare<br />

necessario allora fare riferimento a delle definizioni normative in merito a quale<br />

possa essere una “democrazia ideale”. Particolarmente r<strong>il</strong>evanti, a tal proposito,<br />

appaiono le definizioni date rispettivamente da MAY e da DAHL:<br />

DEFINIZIONE<br />

DI MAY<br />

“necessaria corrispondenza tra gli atti del governo e i<br />

desideri di coloro che ne sono toccati”<br />

DEFINIZIONE<br />

DI DAHL<br />

“continua capacità di risposta (responsivness) del<br />

governo alle preferenze dei suoi cittadini, considerati<br />

politicamente uguali”


Le definizioni normative presentano ovviamente grandi difficoltà se devono<br />

essere tradotte sul piano empirico. Come individuare i “desideri” dei cittadini?<br />

Valgono solo le preferenze della maggioranza o devono essere considerate anche<br />

quelle delle minoranze? Come misurare la capacità di risposta dei governi?<br />

Pur non allontanandosi dal piano normativo, DAHL formula DUE POSTULATI che<br />

appaiono incentrati sul nesso tra responsab<strong>il</strong>ità, rappresentanza ed elezione,<br />

mettendo così in evidenza <strong>il</strong> rapporto tra DEMOCRAZIA “IN USCITA” (quando<br />

vengono prese ed eseguite le decisioni) e DEMOCRAZIA “IN ENTRATA” (che<br />

riguarda la formulazione e la presa in considerazione delle preferenze individuali):<br />

PRIMO POSTULATO DI DAHL : «PARI OPPORTUNITA’»<br />

Affinché un regime sia capace di risposta (responsive) tutti i<br />

cittadini devono avere la possib<strong>il</strong>ità di:<br />

• Formulare le loro preferenze;<br />

• Esprimere tali preferenze in forma individuale o collettiva;<br />

• Ottenere che le proprie preferenze siano pesate ugualmente,<br />

senza discriminazioni.


SECONDO POSTULATO DI DAHL : «GARANZIE ISTITUZIONALI»<br />

Affinché esistano le tre opportunità appena citate sono<br />

necessarie otto garanzie istituzionali:<br />

• Libertà di associazione e organizzazione;<br />

• Libertà di pensiero ed espressione;<br />

• Diritto di voto (elettorato attivo);<br />

• Diritto dei leader di competere per <strong>il</strong> sostegno elettorale;<br />

• Fonti alternative di informazione;<br />

• Possib<strong>il</strong>ità di essere eletti a pubblici uffici (elettorato passivo);<br />

• Elezioni libere e corrette;<br />

• Istituzioni che rendono le politiche governative dipendenti dal<br />

voto.<br />

La responsab<strong>il</strong>ità dei governanti deve dunque essere fatta valere attraverso la<br />

capacità di sanzione dell’elettore, <strong>il</strong> quale valuta, secondo <strong>il</strong> metro delle<br />

soddisfazione delle proprie domande, <strong>il</strong> grado di responsivness di un determinato<br />

governo democratico.


Le ricerche sulla qualità democratica degli ultimi anni hanno cercato di realizzare<br />

un controllo empirico di questi assunti normativi, lungo tre linee direttrici:<br />

1<br />

QUALITA’ COME<br />

INSIEME DI<br />

PROCEDURE<br />

Riguarda <strong>il</strong> rispetto della DEMOCRAZIA<br />

PROCEDURALE (istituzioni e regole) e le sue<br />

dimensioni principali sono:<br />

• applicazione della legge (rule of law);<br />

• responsab<strong>il</strong>ità degli eletti verso gli elettori<br />

(accountab<strong>il</strong>ity elettorale);<br />

• responsab<strong>il</strong>ità reciproca degli organi istituzionali<br />

(accountab<strong>il</strong>ity interistituzionale);<br />

• alta partecipazione;<br />

• aperta competizione.<br />

2<br />

QUALITA’ COME<br />

CONTENUTO<br />

Analisi dei contenuti in termini di LIBERTA’ E<br />

EGUAGLIANZA:<br />

• concrete garanzie dei diritti;<br />

• diffusione di istituti di welfare.


3<br />

QUALITA’ COME<br />

RISULTATO<br />

Si incentra soprattutto sull’analisi della<br />

SODDISFAZIONE DEI CITTADINI, in relazione alla:<br />

• capacità di risposta dei governanti ai bisogni e alle<br />

domande dei governati (responsivness).<br />

L’analisi dei diversi aspetti della qualità democratica consente di passare da una<br />

definizione minima ad una DEFINIZIONE MASSIMA (ideale) di democrazia,<br />

che può essere quella indicata da MORLINO: “regime che crea le opportunità<br />

istituzionali migliori per realizzare libertà ed eguaglianza”.<br />

In questa definizione la presenza dei valori di libertà e democrazia indicano la<br />

qualità come contenuto; <strong>il</strong> riferimento alle istituzioni indica la qualità procedurale;<br />

<strong>il</strong> riferimento alle opportunità da realizzare indica la qualità come risultato.<br />

Le dimensioni sopra elencate per specificare i tre differenti aspetti della qualità<br />

democratica non possono però essere poste tutte sullo stesso piano: sia la rule of<br />

law (cioè l’ordine e la sicurezza per i cittadini garantito dal monopolio pubblico<br />

della capacità coercitiva e della risoluzione dei conflitti), sia l’esistenza di<br />

partecipazione e competizione (che indicano una certa strutturazione della<br />

società civ<strong>il</strong>e e della società politica), costituiscono dei prerequisiti della qualità


democratica, cioè delle altre dimensioni. Bisogna infine r<strong>il</strong>evare l’importanza, per<br />

poter conseguire un buon livello di qualità democratica, di un contesto<br />

internazionale favorevole (ad esempio, la minore propensione degli Stati Uniti,<br />

dalla fine degli anni ’80, a sostenere per motivi geopolitici regimi autoritari è<br />

stata una importante opportunità sfruttata nella democraticizzazione di molti<br />

paesi latino-americani, così come fondamentale è stato <strong>il</strong> ruolo giocato<br />

dall’Unione europea nel favorire i processi di democraticizzazione dei paesi<br />

dell’est Europa).


LE CONDIZIONI NON POLITICHE FAVOREVOLI<br />

E’ possib<strong>il</strong>e individuare quali CONDIZIONI NON DIRETTAMENTE POLITICHE<br />

abbiano favorito in passato o in tempi più recenti la formazione di regimi<br />

democratici?<br />

Per molti autori la risposta è negativa, perché le condizioni cambiano da paese a<br />

paese e da un periodo storico all’altro. Alcuni autori ritengono che in proposito si<br />

possa arrivare a qualche forma di generalizzazione, altri, invece, ritengono che<br />

esistano dei percorsi storici specifici che riguardano determinati gruppi di paesi.<br />

CULTURA POLITICA E DEMOCRAZIA<br />

Molti studi hanno cercato in passato di individuare quali valori rendano la cultura<br />

politica di un paese più adatta per le istituzioni politiche democratiche,<br />

soffermandosi sull’influsso della religione ebraico-cristiana o di valori quali la<br />

libertà, la disponib<strong>il</strong>ità a partecipare, la disposizione alla tolleranza e al<br />

compromesso, <strong>il</strong> rispetto delle leggi. Altri autori hanno messo in r<strong>il</strong>ievo<br />

l’importanza dei valori di chi fa direttamente politica, quali la fiducia reciproca<br />

fra gli attori di un sistema politico, la credenza nella capacità del regime di<br />

risolvere i problemi, la disponib<strong>il</strong>ità alla cooperazione, all’accordo e al<br />

compromesso.


Se la ricerca pioneristica di ALMOND e VERBA, nei primi anni ‘60, mise in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong><br />

primo aspetto, elaborando <strong>il</strong> concetto di “CULTURA CIVICA”, diverse ricerche degli<br />

anni ‘70, e in particolare quella di LIJPHART, si soffermarono sull’importanza del<br />

secondo aspetto, dimostrando come una cultura politica caratterizzata da<br />

elementi oggettivamente sfavorevoli alla democrazia possa essere superata da<br />

altri fattori (non necessariamente a carattere culturale) che permettono di<br />

realizzare una democrazia stab<strong>il</strong>e: si tratta degli studi sulla cosiddetta<br />

“DEMOCRAZIA CONSOCIATIVA”:<br />

CULTURA<br />

CIVICA<br />

Sulla base di una ricerca comparata su cinque diversi paesi<br />

(Stati Uniti, Gran Bretagna, Messico, Germania e Italia)<br />

Almond e Verba giunsero alla conclusione che la base più<br />

favorevole ai regimi democratici fosse la presenza di una<br />

cultura civica, caratterizzata da una partecipazione anche<br />

vivace, ma che non mette in dubbio l’autorità politica,<br />

impegno civ<strong>il</strong>e moderato, assenza di dissensi profondi,<br />

fiducia nel proprio ambiente sociale, rispetto dell’autorità,<br />

ma anche senso di indipendenza, e atteggiamenti<br />

favorevoli verso le strutture politiche.


DEMOCRAZIA<br />

CONSOCIATIVA<br />

Come già si è spiegato prima, in determinate<br />

società plurali, con profonde divisioni<br />

religiose, etniche, linguistiche o ideologiche,<br />

la stab<strong>il</strong>ità democratica viene conseguita<br />

grazie all’atteggiamento favorevole alla<br />

cooperazione e all’accordo di élite politiche<br />

che rappresentano i diversi sottosistemi<br />

culturali in governi di larghe coalizioni, basati<br />

su meccanismi di veto e volti a garantire ogni<br />

minoranza a livello decisionale, in presenza<br />

dell’applicazione del principio di<br />

proporzionalità in tutte le sedi r<strong>il</strong>evanti e di<br />

un’alto decentramento amministrativo.<br />

Questi atteggiamenti delle élite sono a loro<br />

volta influenzati favorevolmente da elementi:<br />

• geopolitici (paesi di piccole dimensioni);<br />

• politico-strutturali (equ<strong>il</strong>ibrio tra le<br />

espressioni politiche dei diversi segmenti<br />

culturali);<br />

• tradizioni di accordo tra le élite.


CONDIZIONI ECONOMICO-SOCIALI<br />

Se <strong>il</strong> PLURALISMO CULTURALE (o sub-culturale) prefigura condizioni<br />

potenzialmente sfavorevoli a un regime democratico (nonostante l’importante<br />

eccezione dei regimi consociativi), non altrettanto si può dire del PLURALISMO<br />

SOCIALE, che riguarda la differenziazione della società in un gran numero di<br />

gruppi sociali nei quali sono distribuite le risorse economiche in maniera diffusa.<br />

L’esistenza di queste condizioni, infatti, rende più probab<strong>il</strong>e l’instaurazione ed <strong>il</strong><br />

mantenimento di una democrazia. I DUE TIPI DI PLURALISMO NON SONO<br />

COINCIDENTI: mentre non vi può essere pluralismo culturale senza pluralismo<br />

sociale, non è vero l’inverso, nel senso che <strong>il</strong> pluralismo sociale si può sv<strong>il</strong>uppare<br />

anche in una società culturalmente omogenea. Il pluralismo sociale può favorire<br />

lo sv<strong>il</strong>uppo del PLURALISMO POLITICO, può cioè portare ad un pluralismo<br />

nelle organizzazioni politiche intermedie (partiti, sindacati, gruppi di pressione)<br />

capaci di reciproca indipendenza e di autonomia nei confronti delle istituzioni del<br />

regime democratico.<br />

Altre condizioni che influenzano positivamente la democrazia sono un ALTO<br />

LIVELLO DI ALFABETIZZAZIONE (ISTRUZIONE) e lo sv<strong>il</strong>uppo della comunicazione<br />

attraverso la DIFFUSIONE DEI MASS MEDIA.<br />

L’estrema concentrazione di risorse economiche non favorisce la democrazia,


perchè determina un’analoga concentrazione di risorse politiche e, inoltre, genera<br />

atteggiamenti di disaffezione e protesta nei gruppi più svantaggiati. Si può dunque<br />

presupporre che, al contrario, L’ASSENZA DI DISEGUAGLIANZE ECONOMICHE<br />

ESTREME favorisca l’instaurazione ed <strong>il</strong> consolidamento delle democrazie.<br />

Una ulteriore considerazione riguarda L’ESISTENZA DI UNA ECONOMIA<br />

INDUSTRIALIZZATA, che appare importante ma non indispensab<strong>il</strong>e per lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

democratico: l’effetto dell’industrializzazione può essere diverso se si parte da<br />

società tradizionali più egualitarie (in questo caso l’industrializzazione accentua le<br />

diseguaglianze economiche) o da società contraddistinte da grandi disparità<br />

economiche (nelle quali l’industrializzazione può ridurre queste disparità).<br />

Ma QUALE CORRELAZIONE ESISTE TRA SVILUPPO ECONOMICO E<br />

DEMOCRAZIA? Se esiste una correlazione, come sembrerebbe affermare LIPSET, si<br />

tratta di una correlazione spuria, piena di casi devianti e in cui non è chiara<br />

nemmeno la direzione della correlazione: se sia cioè lo sv<strong>il</strong>uppo economico a<br />

indurre la democrazia, o viceversa. Quel che ha più importanza è <strong>il</strong> modo in cui lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo economico è stato conseguito: lo sv<strong>il</strong>uppo economico accellerato, ad<br />

esempio, deve necessariamente far leva su metodi autoritari e provoca effetti<br />

tanto destab<strong>il</strong>izzanti sul sistema politico da non poter condurre a un regime<br />

democratico. Semmai lo sv<strong>il</strong>uppo economico aiuta a mantenere le democrazie,<br />

nel senso che quel che destab<strong>il</strong>izza i regimi sono le crisi economiche, e le<br />

democrazie sono particolarmente esposte alle ripercussioni negative delle cattive


prestazioni economiche.<br />

IMPORTANZA DELLA LEADERSHIP<br />

Non è fac<strong>il</strong>e definire la soglia al di là della quale l’alfabetizzazione, lo sv<strong>il</strong>uppo dei<br />

mass media, <strong>il</strong> pluralismo o le minori diseguaglianze economiche costituiscano<br />

delle condizioni favorevoli per la democrazia. Si tratta, comunque, di condizioni<br />

necessarie, ma non sufficienti. Del resto è possib<strong>il</strong>e dimostrare che in società<br />

diverse che si assomigliano per alcune di queste condizioni, vi sono stati esiti<br />

politici diversi (favorevoli o sfavorevoli) per la democrazia. Emerge allora<br />

l’importanza di una variab<strong>il</strong>e interveniente relativa alle CARATTERISTICHE DELLA<br />

LEADERSHIP DEL PAESE: la democrazia, infatti, è anche una scelta che una élite<br />

politica può fare superando certe condizioni socioeconomiche meno vantaggiose,<br />

o anche indipendentemente da esse.<br />

PERCORSI STORICI SPECIFICI<br />

Per alcuni autori le condizioni non direttamente politiche favorevoli allo sv<strong>il</strong>uppo<br />

della democrazia possono essere individuate, ma solo per gruppi di paesi in un<br />

determinato periodo storico, nell’ambito dello stesso assetto internazionale e di<br />

sim<strong>il</strong>i condizioni economiche. E’ <strong>il</strong> caso dell’importante studio di BARRINGTON<br />

MOORE sulle origini dei regimi democratici in Ingh<strong>il</strong>terra, Francia e Stati Uniti.


CONDIZIONI PER LO SVILUPPO DELLA DEMOCRAZIA<br />

(BARRINGTON MOORE)<br />

1. Equ<strong>il</strong>ibrio fra monarchia e aristocrazia terriera. (E’ <strong>il</strong> caso<br />

inglese, mentre <strong>il</strong> prevalere della monarchia assoluta impone, per lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo della democrazia, una rottura rivoluzionaria).<br />

2. Svolta verso una forma di agricoltura mercant<strong>il</strong>e. (E’ un<br />

requisito necessario: l’industrializzazione sarà una conseguenza<br />

successiva degli sv<strong>il</strong>uppi mercant<strong>il</strong>i).<br />

3. Indebolimento dell’aristocrazia terriera. (L’egemonia politica di<br />

questa classe dev’essere spezzata, per arrivare ad approdi democratici).<br />

4. Assenza di una coalizione fra industriali e proprietari terrieri<br />

contro contadini e lavoratori. (E presenza di una borghesia urbana<br />

numerosa e vigorosa).<br />

5. Rottura rivoluzionaria con <strong>il</strong> passato. (La rivoluzione inglese<br />

limitò l’assolutismo regio, quella francese ed americana spezzarono <strong>il</strong><br />

potere di un’aristocrazia agraria che sarebbe stata di ostacolo alla<br />

trasformazione democratica).


L’analisi di BARRINGTON MOORE è particolarmente r<strong>il</strong>evante, anche se alcune<br />

conclusioni appaiono condizionate dall’aver considerato tre soli casi, tutti relativi a<br />

grandi paesi. Se si allarga l’analisi storica alle piccole e medie democrazie europee<br />

appare infatti evidente che in molti casi la rottura rivoluzionaria non ebbe luogo.<br />

Questo aspetto può essere riformulato nei termini del RUOLO ESERCITATO DALLA<br />

VIOLENZA NEI MUTAMENTI POLITICI: in questo caso è possib<strong>il</strong>e evidenziare come<br />

le due guerre mondiali (soprattutto la prima) hanno costituito un fattore decisivo<br />

per <strong>il</strong> passaggio alle democrazie di massa, come mostra <strong>il</strong> fatto che le date degli<br />

eventi bellici sono vicine a quelle dell’espansione del suffragio.<br />

Se ci si chiede, come fa RUSTOW, PERCHÉ LE ÉLITE POLITICHE ACCETTARONO<br />

L’ALLARGAMENTO DELLA CITTADINANZA E L’INGRESSO DELLE CLASSI INFERIORI<br />

NELL’ARENA POLITICA NAZIONALE, l’aspetto più importante da sottolineare, a<br />

partire dall’assenza di una coalizione aristocratico-borghese giustamente<br />

sottolineata da Barrington Moore, è, da una parte, la competizione instauratasi<br />

tra le espressioni politiche dell’aristocrazia e della borghesia urbana per<br />

l’appoggio di aree sempre maggiori della popolazione e, dall’altra, la pressione<br />

delle classi inferiori (ormai organizzate in partiti e/o sindacati) che ingenerava <strong>il</strong><br />

timore della radicalizzazione della mob<strong>il</strong>itazione di tali classi. In questo senso,<br />

l’estensione del suffragio ha rappresentato per molti leader conservatori europei<br />

un mezzo per integrare le classi sociali inferiori, operaie e non, oltre che per<br />

rafforzare <strong>il</strong> potere parlamentare degli stessi partiti conservatori.


LA PRIMA DEMOCRATIZZAZIONE<br />

L’analisi della prima democratizzazione individua DUE PROCESSI<br />

FONDAMENTALI AL CENTRO DEL CAMBIAMENTO: <strong>il</strong> primo legato<br />

all’affermazione dei diritti civ<strong>il</strong>i, <strong>il</strong> secondo all’affermazione dei diritti politici. Si<br />

tratta da un lato dell’ammissione del dissenso, dell’opposizione, della<br />

competizione fra le diverse forze politiche, cioè della LIBERALIZZAZIONE della<br />

società politica, dall’altro della crescita dell’INCLUSIVITÀ, cioè del numero di coloro<br />

che hanno titolo a partecipare, a controllare e opporsi alla condotta governativa.<br />

Per MARSHALL la democratizzazione consiste in un PROCESSO DI<br />

STRUTTURAZIONE ED ESPANSIONE DELLA CITTADINANZA, attraverso lo sv<strong>il</strong>uppo,<br />

lungo l’arco di tre secoli, dei suoi tre elementi principali: i diritti civ<strong>il</strong>i, politici e<br />

sociali, a cui si collegano rispettivamente le strutture giudiziarie, quelle<br />

rappresentative e quelle del welfare state.


I DIRITTI CONNESSI ALLA CITTADINANZA<br />

(MARSHALL)<br />

• CIVILI (libertà personali, di parola, di pensiero, di fede,<br />

di proprietà, di stipulare contratti e di ottenere giustizia).<br />

Istituzioni connesse: strutture giudiziarie (civ<strong>il</strong>i, penali e<br />

amministrative) a difesa dei diritti del cittadino.<br />

• POLITICI (elettorato attivo e passivo). Istituzioni<br />

connesse: istituzioni rappresentative locali e nazionali.<br />

• SOCIALI (minimo di benessere e sicurezza economici,<br />

diritto a una vita civ<strong>il</strong>e e a partecipare pienamente al<br />

retaggio sociale). Istituzioni connesse: servizi sociali,<br />

sistema scolastico e tutte le altre istituzioni del welfare<br />

state.


La democrazia, con l’affermazione dei diritti politici e poi dei diritti sociali, è un<br />

regime che accetta e presuppone la mob<strong>il</strong>itazione delle classi inferiori e <strong>il</strong> loro<br />

ingresso nell’arena politica nazionale. Ma alle tre classi di diritti individuali di cui<br />

parla Marshall bisogna aggiungere, tenendo presente lo sv<strong>il</strong>uppo dei sindacati,<br />

un ulteriore diritto: <strong>il</strong> diritto di unione. Si tratta di un diritto che non coincide con<br />

<strong>il</strong> diritto di associazione (che rende possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> sorgere dei partiti), anche se questa<br />

distinzione tra associazione ed unione non è presente in tutti gli ordinamenti<br />

giuridici europei, ma solo in alcuni di essi. Come sottolinea BENDIX, <strong>il</strong> diritto di<br />

unione non si inserisce nel medesimo contesto dei diritti individuali della<br />

tradizione liberale, ma rappresenta una importante evoluzione: “lo sv<strong>il</strong>uppo dei<br />

sindacati costituisce un esempio del modo in cui i diritti civ<strong>il</strong>i sono passati dalla<br />

rappresentanza degli individui a quella delle comunità”, passando così dal piano<br />

dell’eguaglianza formale al piano del perseguimento di un’eguaglianza sostanziale.<br />

Le dimensioni della liberalizzazione e dell’inclusività, collegate all’affermazione dei<br />

diversi tipi di diritti, sono al centro dell’analisi di DAHL sulla prima<br />

democratizzazione. Egli individua TRE PERCORSI PRINCIPALI VERSO LA<br />

DEMOCRAZIA, lungo le suddette dimensioni:<br />

‣ LA POSSIBILITÀ DI DISSENSO E DI COMPETIZIONE PRECEDONO L’INCLUSIVITÀ<br />

= dall’egemonia chiusa (caratterizzata dall’assenza di competizione e<br />

partecipazione e dalla presenza del potere assoluto di un capo), all’oligarchia


competitiva (dove vi è competizione tra élite ristrette) alla liberal-democrazia<br />

o poliarchia (contraddistinta da un alto grado di competizione e di<br />

partecipazione);<br />

‣ L’INCLUSIVITÀ PRECEDE LA POSSIBILITÀ DI DISSENSO E COMPETIZIONE = da<br />

un’egemonia chiusa a un’egemonia includente fino alla liberal-democrazia;<br />

‣ CRESCITA CONTEMPORANEA DELLE DUE DIMENSIONI = dall’egemonia chiusa si<br />

passa direttamente alla poliarchia, in una sorta di «scorciatoia» della<br />

democrazia.<br />

E’ la prima sequenza che caratterizza <strong>il</strong> percorso della prima democratizzazione e<br />

che (tipica di diversi paesi europei come, ad esempio, Gran Bretagna, Svezia e<br />

Norvegia) pone le premesse per le democrazie meglio consolidate che non crollano<br />

negli anni venti e trenta soppiantate da regimi totalitari (fascismo e nazismo).


DAHL: I PERCORSI DELLA PRIMA<br />

DEMOCRATIZZAZIONE<br />

1<br />

Oligarchie<br />

Poliarchie<br />

competitive<br />

1<br />

3<br />

2<br />

Egemonie<br />

chiuse<br />

Inclusività<br />

Egemonie<br />

includenti<br />

2


LE QUATTRO SOGLIE DEL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE<br />

La democratizzazione è avvenuta in tutti i paesi europei, ma con tempi e modalità<br />

spesso differenti. Per inquadrare queste diversità ROKKAN ha individuato<br />

QUATTRO DIFFERENTI SOGLIE di enucleazione di tale processo:<br />

SOGLIA DI<br />

LEGITTIMAZIONE<br />

SOGLIA DI<br />

INCORPORAZIONE<br />

SOGLIA DI<br />

RAPPRESENTANZA<br />

SOGLIA DEL POTERE<br />

ESECUTIVO<br />

E’ quella che segna <strong>il</strong> riconoscimento effettivo dei<br />

diritti civ<strong>il</strong>i.<br />

E’ quella che segna la piena realizzazione della<br />

cittadinanza politica attraverso l’estensione del<br />

suffragio elettorale a tutti i cittadini.<br />

E’ quella che segna <strong>il</strong> superamento degli ostacoli<br />

frapposti alla costituzione di nuovi partiti<br />

(attraverso <strong>il</strong> passaggio da sistemi elettorali<br />

maggioritari a sistemi proporzionali).<br />

E’ quella che segna <strong>il</strong> passaggio al controllo<br />

parlamentare del governo attraverso <strong>il</strong><br />

riconoscimento della sua responsab<strong>il</strong>ità politica nei<br />

confronti dei rappresentanti del popolo.


Per quanto riguarda LE PRIME DUE SOGLIE, esse appaiono connesse alle<br />

condizioni storiche di partenza di ciascun paese. In particolare gioca un ruolo<br />

positivo nel rapido superamento di queste soglie:<br />

<strong>il</strong> livello di consolidamento territoriale realizzato nel Medioevo dalle prime<br />

dinastie nazionali ha fac<strong>il</strong>itato successivamente l’affermazione della cittadinanza<br />

democratica;<br />

la continuità nell’attività degli organi medioevali di rappresentanza, nel senso<br />

che, nei paesi in cui questa continuità non è stata spezzata dall’avvento di regimi<br />

assolutistici, si sono affermate più rapidamente le condizioni per una<br />

legittimazione delle forze di opposizione e <strong>il</strong> processo di affrancamento e di<br />

egualitarizzazione, una volta affermatosi, è risultato meno fac<strong>il</strong>e da invertire;<br />

una più antica formazione di certi paesi, rispetto a paesi che raggiunsero<br />

l’indipendenza solo successivamente alla rivoluzione francese;<br />

la dimensione e la forza del sistema politico dominante prima della<br />

secessione, nel senso che a uno status internazionale r<strong>il</strong>evante del paese<br />

dominante ha corrisposto una maggiore difficoltà di riuscita di processi di<br />

secessione e l’intensità dell’uso della violenza all’interno dello stato secessionista<br />

e che, di conseguenza, in presenza di maggiori minacce alle aspirazioni di<br />

indipendenza nazionale, minori sono risultati gli avanzamenti nel processo di<br />

democratizzazione.


Per quanto riguarda LE ALTRE DUE SOGLIE:<br />

vi sono state maggiori difficoltà nel passaggio da sistemi maggioritari a sistemi<br />

proporzionali (o, in alcuni casi, tale passaggio non è avvenuto) nei sistemi politici<br />

più grandi e con strutture governative più forti, mentre la soglia della<br />

rappresentanza è risultata più fac<strong>il</strong>e da superare in democrazie articolate e con<br />

scarse risorse governative, in presenza di una maggiore eterogeneità etica e/o<br />

religiosa dei cittadini, o in presenza di una maggiore differenziazione economica<br />

causata dall’urbanizzazione e dalla monetarizzazione delle transazioni;<br />

in merito alla soglia del controllo parlamentare dell’esecutivo, al modello<br />

inglese (a cui si avvicinano Belgio, Paesi Bassi e Norvegia) in cui <strong>il</strong> principio della<br />

responsab<strong>il</strong>ità parlamentare del governo fu introdotto prima dell’estensione del<br />

suffragio, si contrappone <strong>il</strong> modello tedesco (replicato in Danimarca, Svezia e<br />

Austria) questo principio, al contrario, si affermò solo successivamente<br />

all’estensione del suffragio.


2.2 PARTITI POLITICI E SISTEMI DI<br />

PARTITO


DEFINIZIONI DEI PARTITI<br />

I partiti politici sono stati a lungo gli attori fondamentali delle democrazie<br />

rappresentative ed ancora oggi, pur avendo mutato nel tempo diverse delle loro<br />

caratteristiche, rimangono un attore centrale nelle liberal-democrazie di massa.<br />

Nel distinguerli da classi e ceti sociali, WEBER ne sottolinea <strong>il</strong> carattere di<br />

ASSOCIAZIONI FORMALMENTE ORGANIZZATE. Infatti:<br />

CLASSI<br />

CETI<br />

ORDINAMENTO<br />

ECONOMICO<br />

ORDINAMENTO<br />

SOCIALE<br />

Esistono anche senza alcuna<br />

associazione formale<br />

PARTITI<br />

SFERA DELLA<br />

“POTENZA”<br />

Associazioni formali<br />

organizzate, orientate ad<br />

uno scopo


Dunque i partiti sono associazioni formali (organizzazioni) <strong>il</strong> cui SCOPO è quello di<br />

“influenzare l’ordinamento e l’apparato di persone che guidano un qualsiasi tipo<br />

di comunità sociale” e <strong>il</strong> cui MEZZO SPECIFICO (anche se possono ut<strong>il</strong>izzarne<br />

anche altri) ut<strong>il</strong>izzato per raggiungere i propri obiettivi è la conquista di cariche<br />

elettive.<br />

Tra le più significative DEFINIZIONI DEI PARTITI vanno ricordate quella<br />

classica di WEBER e quelle di DOWNS e di SARTORI:<br />

• WEBER [1922]: “…associazioni fondate su una adesione libera, costituite<br />

al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un<br />

gruppo sociale e ai propri m<strong>il</strong>itanti attivi le possib<strong>il</strong>ità per <strong>il</strong> perseguimento<br />

di fini oggettivi o per <strong>il</strong> perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e<br />

due gli scopi”.<br />

• DOWNS [1957] “… una compagine di persone che cercano di ottenere <strong>il</strong><br />

controllo dell’apparato governativo a seguito di regolari elezioni”<br />

• SARTORI [1976] “…qualsiasi gruppo politico, identificato da un’etichetta<br />

ufficiale, che si presenta alle elezioni e attraverso di esse è capace di<br />

collocare candidati alle cariche pubbliche”.


FUNZIONI DEI PARTITI<br />

I partiti politici, in quanto espressione di una “parte” sociale, organizzano le<br />

divisioni presenti nella società civ<strong>il</strong>e e agiscono da mediatori tra le istituzioni<br />

pubbliche e la stessa società civ<strong>il</strong>e. Essi svolgono SEI PRINCIPALI FUNZIONI:<br />

• Strutturazione delle domande: semplificando la complessità degli interessi<br />

individuali ( e aggregandoli ) contribuiscono a formare l’interesse collettivo.<br />

• Strutturazione del voto: cercando <strong>il</strong> sostegno popolare, in concorrenza con<br />

altri partiti con opinioni diverse, “creano l’ordine dal caos di una<br />

moltitudine di elettori”.<br />

• Socializzazione politica: anche organizzando altre forme di partecipazione<br />

politica (oltre al voto) mirano a trasformare gli individui in cittadini integrati<br />

in una comunità.<br />

• Reclutamento dei governanti: le liste elettorali sono prevalentemente<br />

presentate dai partiti; i governi sono in massima parte formati da membri di<br />

<strong>partito</strong>.<br />

• Controllo sul governo: strumenti di collegamento tra governo e cittadini,<br />

che permettono ai governati di controllare i governanti.<br />

• Partecipazione alla formazione delle politiche pubbliche: elaborano<br />

programmi, li presentano agli elettori e, se vanno al governo, dovrebbero<br />

metterli in pratica.


Esistono DUE DIFFERENTI APPROCCI ALL’ANALISI DELLE FUNZIONI DEI PARTITI:<br />

l’approccio razionale e l’approccio identitario. Il primo coglie una sostanziale<br />

analogia tra i rapporti che legano elettori e partiti nel “mercato politico” e i<br />

rapporti tra consumatori e produttori nel “mercato economico”; <strong>il</strong> secondo<br />

approccio, invece, sottolinea <strong>il</strong> ruolo dei partiti nella costruzione di identità<br />

collettive.<br />

ALL’INTERNO DELL’APPROCCIO RAZIONALE VI SONO PERÒ POSIZIONI<br />

DIFFERENTI:<br />

• c’è chi, come DOWNS, ritiene che l’analogia valga fino in fondo e che alla<br />

sovranità del consumatore nel mercato economico corrisponda la sovranità<br />

dell’elettore nel mercato politico: se è vero - come Downs non manca di r<strong>il</strong>evare -<br />

che “i partiti formulano proposte politiche per vincere le elezioni; non cercano di<br />

vincere le elezioni per formulare proposte politiche”, è anche vero che, una volta al<br />

governo, realizzare le politiche promesse è nel loro interesse, se vogliono<br />

riaffermarsi alle successive elezioni. In questo modo in politica, come in economia,<br />

la funzione sociale sarebbe assolta incidentalmente, nel senso che partendo da<br />

comportamenti volti al conseguimento dei propri vantaggi individuali ne<br />

deriverebbe <strong>il</strong> controllo democratico degli elettori sugli eletti.<br />

• Di diverso avviso è BUCHANAN (e tutta la scuola della PUBLIC CHOICE) secondo <strong>il</strong><br />

quale la dipendenza dei politici dal sostegno degli elettori finisce per produrre


l’effetto negativo della crescita del debito pubblico e dell’inflazione. Un ulteriore<br />

effetto negativo è determinato dall’interesse dei politici a introdurre vincoli<br />

all’attività privata (sotto forma di concessioni, autorizzazioni, ecc.) che<br />

costituiscono per loro una vera e propria rendita politica, ma sono per la società<br />

delle attività parassitarie, perché non<br />

aumentano la produttività.<br />

Se per l’approccio razionale la politica gestisce preferenze ad essa esogene,<br />

formatesi altrove, l’APPROCCIO IDENTITARIO ritiene invece che l’essenza<br />

della politica risieda proprio nella formazione delle preferenze, attraverso<br />

l’elaborazione di identità collettive. Per PIZZORNO <strong>il</strong> <strong>partito</strong> politico è una<br />

collettività identificante da cui gli individui ricevono i criteri che danno significato<br />

all’azione, rendendo possib<strong>il</strong>e la definizione degli interessi. Per far questo <strong>il</strong> <strong>partito</strong><br />

si serve dell’ideologia come strumento per definire interessi collettivi di lungo<br />

periodo ed esercita (<strong>il</strong> riferimento è soprattutto ai partiti socialisti) una funzione<br />

socializzante, volta a fornire risorse di identità agli “esclusi”. Queste considerazioni<br />

si riflettono sulla concezione della rappresentanza, che per Pizzorno è sia<br />

un’attività identificante, attraverso la quale i politici costituiscono e rafforzano le<br />

identità politiche, sia un’attività efficiente, che consiste nel prendere decisioni (in<br />

parlamento o nel governo) “intese a migliorare, o non lasciare peggiorare, la<br />

posizione relativa dell’entità collettiva che essi rappresentano”.


I PARTITI NELL’APPROCCIO RAZIONALE E IN QUELLO<br />

IDENTITARIO<br />

• RAZIONALE:<br />

1) Le preferenze sono<br />

socialmente date.<br />

2a) I partiti perseguono la<br />

rielezione e a tal fine<br />

rispondono alle preferenze<br />

degli elettori intesi come<br />

attori coerenti. (DOWNS)<br />

• IDENTITARIO:<br />

1) Le preferenze non sono<br />

definite a priori.<br />

2) I partiti contribuiscono<br />

attraverso l’ideologia alla<br />

costituzione di identità<br />

collettive e alla formazione<br />

delle preferenze.<br />

2b) Effetti negativi prodotti dal<br />

ciclo economico-politico<br />

(BUCHANAN)


EVOLUZIONE STORICA DEI PARTITI<br />

Con <strong>il</strong> termine <strong>partito</strong> politico si designa un concetto i cui referenti empirici sono<br />

notevolmente mutati nel tempo.<br />

DUVERGER spiega la nascita dei partiti politici mettendo in relazione l’esistenza di<br />

organizzazioni “protopartitiche” con <strong>il</strong> parlamento e l’estensione del suffragio<br />

elettorale. FIN QUANDO IL SUFFRAGIO ELETTORALE RESTA LIMITATO, i partiti<br />

nascono in parlamento: si tratta di connessioni fra gli stessi parlamentari, con<br />

limitata proiezione esterna nella società. CON L’AMPLIARSI DEL SUFFRAGIO,<br />

invece, nascono strutture extraparlamentari che fanno leva su organizzazioni<br />

esterne al parlamento per acquisirvi rappresentanza. Si tratta soprattutto di<br />

PARTITI CONFESSIONALI e di PARTITI SOCIALISTI, che sfruttano <strong>il</strong> vantaggio delle<br />

preesistenti reti associative che, rispettivamente, la Chiesa e i sindacati mettono<br />

loro a disposizione. I partiti cattolici e socialisti, pur nascendo fuori dal<br />

parlamento, trovano ben presto al suo interno una collocazione adeguata alla loro<br />

forza elettorale, e contribuiscono a cambiare <strong>il</strong> funzionamento del parlamento<br />

stesso, ampliandone la rappresentatività e la responsab<strong>il</strong>izzazione. Diverso <strong>il</strong><br />

percorso seguito più tardi, negli anni venti, dai PARTITI FASCISTI e PARTITI<br />

COMUNISTI, che sfruttarono la loro critica antiparlamentare per acquisire<br />

consenso elettorale e, quando entrarono in parlamento, lo fecero mantenendo<br />

una mentalità antidemocratica.


La trasformazione strutturale più significativa, che si verifica all’inizio del XX<br />

secolo, è quella messa in luce da WEBER, che vede, in conseguenza<br />

dell’estensione del suffragio elettorale, <strong>il</strong> passaggio DAI PARTITI DI NOTABILI<br />

AI PARTITI DI MASSA. Se <strong>il</strong> primo tipo di <strong>partito</strong> era un <strong>partito</strong> di<br />

rappresentanza individuale, costituito da strutture embrionali che si attivavano<br />

solo nelle occasioni elettorali per definire le liste dei candidati, ed era guidato da<br />

figure di notab<strong>il</strong>i locali che, per condizioni economiche e status sociale, avevano i<br />

mezzi per fare politica e godevano della deferenza degli elettori, l’avvento dei<br />

partiti di massa comporta la presenza di strutture permanenti in costante attività<br />

in cui si realizza la professionalizzazione della politica, si forma cioè una classe di<br />

individui che “vivono di politica” e nei confronti dei quali al rapporto di<br />

deferenza si sostituisce un esplicito rapporto di delega da parte dell’elettore:


TIPOLOGIA DI WEBER<br />

PARTITO DI NOTABILI<br />

• Notab<strong>il</strong>i, dotati di risorse<br />

autonome<br />

• Attività saltuaria<br />

• Deferenza verso i politici<br />

• Competizione elettorale<br />

ristretta<br />

PARTITO DI MASSA<br />

• Politici di professione, che<br />

vivono di politica<br />

• Attività permanente<br />

• Delega ai politici<br />

• Suffragio elettorale allargato<br />

FATTORE DI MUTAMENTO: allargamento del suffragio<br />

Da un punto di vista organizzativo <strong>il</strong> passaggio è dunque, come nota DUVERGER,<br />

da un PARTITO DI QUADRI, in cui i notab<strong>il</strong>i si riunivano periodicamente in<br />

comitati per preparare le elezioni, dirigerle e guadagnare voti per i candidati, a<br />

PARTITI CHE FANNO AFFIDAMENTO SUGLI ISCRITTI per <strong>il</strong> loro radicamento<br />

sociale, la conduzione delle campagne elettorali e <strong>il</strong> loro stesso finanziamento. Si<br />

passa così, come r<strong>il</strong>eva NEUMANN, dal PARTITO DI RAPPRESENTANZA


INDIVIDUALE, che spesso non è diverso da un semplice comitato elettorale, al<br />

PARTITO DI INTEGRAZIONE SOCIALE, dotato di organizzazione estesa, influente,<br />

aperto alla partecipazione degli iscritti e capace (<strong>il</strong> discorso vale soprattutto per i<br />

partiti socialisti europei) di esercitare una notevole influenza nelle diverse sfere<br />

della vita quotidiana dei propri aderenti, inquadrandoli in una vasta rete di<br />

associazioni che non si limitavano ad orientare <strong>il</strong> solo comportamento elettorale.<br />

Per conquistare le masse, dopo l’estensione del suffragio, diventa così necessaria<br />

la creazione di un ampio apparato di funzionari pagati, radicato nel territorio e/o<br />

nei luoghi di lavoro, mentre <strong>il</strong> controllo della struttura organizzativa del <strong>partito</strong><br />

diventa una delle risorse fondamentali del politico di professione.<br />

LA TIPOLOGIA PROPOSTA DA DUVERGER permette non solo di<br />

evidenziare la differenza sul piano organizzativo fra partiti di notab<strong>il</strong>i e partiti di<br />

massa, ma anche di mettere in luce le differenze, sempre sul piano organizzativo,<br />

tra i partiti socialisti (basati sulla sezione territoriale), i partiti comunisti (che alla<br />

dimensione territoriale aggiungevano l’organizzazione in cellule all’interno delle<br />

fabbriche) e i partiti fascisti (che puntavano invece su un’organizzazione<br />

param<strong>il</strong>itare basata sulla m<strong>il</strong>izia).


ORGANIZZAZIONE PARTITICA :TIPOLOGIA DI<br />

DUVERGER


MICHELS E LA “LEGGE FERREA DELL’OLIGARCHIA”<br />

Nonostante i partiti siano strutture portanti della democrazia rappresentativa,<br />

già agli inizi del novecento MICHELS vede nella loro trasformazione in<br />

un’organizzazione complessa l’affermarsi di UN’INELUTTABILE TENDENZA<br />

OLIGARCHICA. Secondo Michels, infatti, la “legge ferrea dell’oligarchia”, propria<br />

di tutte le grandi organizzazioni, determina la divisione di ogni <strong>partito</strong> in una<br />

MINORANZA DIRIGENTE e in una MAGGIORANZA DIRETTA.<br />

E’ un’evoluzione determinata dalla crescita delle esigenze organizzative, per cui<br />

tanto più grande è <strong>il</strong> numero dei membri, tanto maggiore <strong>il</strong> bisogno di<br />

competenze specialistiche, e quindi di una struttura complessa. Così <strong>il</strong> <strong>partito</strong><br />

crescendo di dimensioni produce necessariamente diseguaglianze, facendo<br />

aumentare <strong>il</strong> potere di chi gestisce le risorse necessarie alla vita<br />

dell’organizzazione. Queste considerazioni, applicate a partiti della classe<br />

operaia come I PARTITI SOCIALISTI (oggetto dello studio di Michels) consentono<br />

di mettere in evidenza <strong>il</strong> fatto che l’inserimento nell’oligarchia tende a<br />

trasformare lo stesso modo di pensare dei dirigenti, per cui chi occupa cariche di<br />

r<strong>il</strong>ievo si “imborghesisce”, allontanandosi dalla massa dei lavoratori. Il fatto è<br />

che <strong>il</strong> perseguimento dei fini originari di questo tipo di partiti potrebbe portare<br />

alla messa fuori legge dei partiti stessi, mettendo così in pericolo le condizioni<br />

di vita di chi dall’attività di <strong>partito</strong> trae <strong>il</strong> proprio reddito. Ciò porta ad una


moderazione dei fini iniziali determinando un processo di “SOSTITUZIONE DEI<br />

FINI”, per cui l’organizzazione, da mezzo per realizzare determinati fini, si<br />

trasforma nel fine stesso dell’azione dei funzionari di <strong>partito</strong>.<br />

LA LEGGE FERREA DELL’OLIGARCHIA<br />

(MICHELS)<br />

“..quanto più si estende e si ramifica l’apparato ufficiale del<br />

<strong>partito</strong>, cioè quanto maggiore è <strong>il</strong> numero dei membri, quanto più<br />

si riempiono le sue casse, quanto più aumenta la stampa di<br />

<strong>partito</strong>, tanto più si riduce <strong>il</strong> potere popolare sostituito<br />

dall’onnipotenza dei comitati e delle commissioni (..) Gli ex<br />

lavoratori si appropriano di una routine che li fa ascendere<br />

sempre più al di sopra dei loro mandanti, così che infine perdono <strong>il</strong><br />

senso di comunità con la classe che li ha espressi; ne deriva una<br />

vera differenza di classe tra i capi ex proletari e i gregari proletari<br />

(..) Con una sostituzione dei fini originari l’organizzazione diventa<br />

da mezzo scopo e infine scopo assoluto”


La teoria di Michels, presentata come una “legge”, è stata in seguito<br />

parzialmente ridimensionata. In particolare, PANEBIANCO ha r<strong>il</strong>evato che, SE I<br />

DIRIGENTI CONTROLLANO I MILITANTI, QUESTI ULTIMI NON SONO PRIVI DI<br />

RISORSE NEI LORO CONFRONTI: gli uni hanno bisogno degli altri (e viceversa).<br />

Inoltre LE IDEOLOGIE NON SONO DEL TUTTO MANIPOLABILI: i fini<br />

dell’organizzazione costituiscono un fondamentale punto di riferimento e uno<br />

strumento di continuità per l’organizzazione: ad essi è collegata l’identità<br />

collettiva del <strong>partito</strong> e anche la legittimità della leadership per cui, PIÙ CHE DI<br />

SOSTITUZIONE DEI FINI, SI PUÒ PARLARE AL MASSIMO DI UNA LORO<br />

ARTICOLAZIONE.<br />

Si pensi, ad esempio, alla lentissima evoluzione della classe dirigente del Partito<br />

comunista italiano, durante la Prima Repubblica, verso una revisione<br />

dell’ideologia e un affrancamento dal legame con <strong>il</strong> <strong>partito</strong> “fratello” dell’Unione<br />

Sovietica, proprio per non provocare pesanti riflessi (anche elettorali) in una base<br />

di m<strong>il</strong>itanti fortemente ideologizzata. Solo le profonde modificazioni del contesto<br />

internazionale (con la fine dell’equ<strong>il</strong>ibrio “bipolare” e la scomparsa della stessa<br />

Unione Sovietica) crearono i presupposti per un mutamento identitario di fondo,<br />

tradottosi simbolicamente in successivi mutamenti della stessa denominazione del<br />

<strong>partito</strong>: un mutamento che non appare ancora oggi delineato con sufficiente<br />

chiarezza.


DAL PARTITO PIGLIATUTTO AL PARTITO<br />

PROFESSIONALE -ELETTORALE<br />

Una ulteriore trasformazione dei partiti politici iniziò a delinearsi ne secondo<br />

dopoguerra e vide <strong>il</strong> progressivo affermarsi di quello che KIRKHEIMER definì <strong>il</strong><br />

“PARTITO PIGLIATUTTO” (Catch All Party).<br />

A seguito di un progressivo indebolimento dei sentimenti di appartenenza di<br />

classe nonché delle credenze religiose, in un contesto in cui l’estensione dei diritti<br />

sociali con la crescita del welfare state ha ridotto l’asprezza dei conflitti sociali e lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo dei mass media trasforma le campagne elettorali permettendo di<br />

raggiungere in modo cap<strong>il</strong>lare le grandi masse degli elettori, i partiti tendono ad<br />

abbandonare i tentativi di formazione morale e intellettuale delle masse,<br />

concentrando le proprie energie sulla competizione elettorale. Ciò porta al<br />

progressivo indebolimento del rapporto priv<strong>il</strong>egiato con determinati gruppi o<br />

classi sociali, rinunciando ad agire in profondità e cercando invece di reclutare i<br />

propri elettori tra tutta la popolazione. Si afferma così la volontà dei dirigenti di<br />

<strong>partito</strong> di ricercare, a scapito della sua identità, tutti i sostenitori e tutti gli elettori<br />

possib<strong>il</strong>i, ad espandere cioè al massimo <strong>il</strong> proprio seguito elettorale. E’ così che nel<br />

<strong>partito</strong> pigliatutto SI INDEBOLISCE IL RAPPORTO CON UN “ELETTORATO DI<br />

APPARTENENZA” che si identifica nel <strong>partito</strong>, mentre l’adesione al <strong>partito</strong> è


sempre meno basata su idee e valori e sempre più su interessi e carriera. CRESCE<br />

INOLTRE IL RUOLO DEI LEADER PARTITICI ELETTI NELLE ISTITUZIONI<br />

RAPPRESENTATIVE, che tendono a personalizzare i loro appelli. IL<br />

FINANZIAMENTO DEL PARTITO è sempre più basato sui contributi provenienti da<br />

gruppi di interesse e sul finanziamento pubblico.<br />

IL PARTITO PIGLIATUTTO (CATCH ALL PARTY)<br />

[KIRCHHEMEIR]<br />

• Ridimensionamento del bagaglio ideologico<br />

• Rafforzamento della leadership<br />

• Ridimensionamento dell’attivismo partitico<br />

• Minore accentuazione del ruolo di una singola classe<br />

sociale, o di gruppi confessionali e messaggi rivolti a<br />

un pubblico più ampio<br />

• Apertura a diversi gruppi di interesse<br />

61


Una variante più recente del <strong>partito</strong> pigliatutto è <strong>il</strong> “PARTITO<br />

PROFESSIONALE-ELETTORALE”, di cui parla PANEBIANCO. Si tratta di un<br />

<strong>partito</strong> che alle caratteristiche del <strong>partito</strong> pigliatutto (che mantiene interamente)<br />

aggiunge un altro importante elemento: la PROFESSIONALIZZAZIONE DELLE<br />

ORGANIZZAZIONI DI PARTITO, come risposta ai mutamenti socioeconomici e<br />

tecnologici.<br />

In presenza di una struttura sociale più complessa, è lo sv<strong>il</strong>uppo di nuove<br />

tecnologie di comunicazione a influenzare le tecniche organizzative: “i mass<br />

media spingono i partiti a campagne personalizzate, centrate sui candidati, e<br />

issue-oriented, centrate su temi specifici, ad alto contenuto tecnico, che<br />

richiedono di essere confezionate dagli esperti dei vari settori. La televisione,<br />

insieme ai gruppi di interesse, diventa una cinghia di trasmissione fra partiti e<br />

elettori più importante delle organizzazioni colletarali tradizionali, dei funzionari<br />

e degli iscritti”.<br />

Questo nuovo tipo di partiti è, ancor più del precedente, ORGANIZZATIVAMENTE<br />

DEBOLE, tanto che <strong>il</strong> rischio più forte è proprio quello della dissoluzione dei<br />

partiti come organizzazione: “i partiti perdono totalmente la propria identità<br />

organizzativa e si trasformano in bandiere di comodo con le cui insegne corrono<br />

imprenditori politici indipendenti”.


IL PARTITO PROFESSIONALE-ELETTORALE<br />

[PANEBIANCO]<br />

PARTITO BUROCRATICO DI<br />

MASSA<br />

• Centralità della burocrazia<br />

• Partito di membership<br />

• Preminenza dei dirigenti<br />

interni<br />

• Finanziamento tramite<br />

tesseramento ed attività<br />

collaterali<br />

• Accento sull’ideologia<br />

PARTITO PROFESSIONALE-<br />

ELETTORALE<br />

• Centralità dei professionisti<br />

• Partito elettorale<br />

• Preminenza dei<br />

rappresentanti pubblici<br />

• Finanziamento tramite gruppi<br />

di interesse e fondi pubblici<br />

• Accento su issues e<br />

leadership<br />

63


IL PARTITO “CARTELLIZZATO” ( CARTEL PARTY)<br />

Una serie di recenti ricerche empiriche sulle democrazie contemporanee hanno<br />

messo in evidenza <strong>il</strong> sensib<strong>il</strong>e allentamento nel rapporto tra i partiti e la loro<br />

base sociale, misurato in base alla riduzione del numero degli iscritti,<br />

all’indebolimento del sentimento di identificazione partitica e al considerevole<br />

aumento del tasso di astensionismo elettorale. La riduzione dei contributi dei<br />

m<strong>il</strong>itanti, in termini sia di risorse materiali che di lavoro volontario, ha poi<br />

determinato l’aumento del bisogno di finanziamenti pubblici. In particolare, <strong>il</strong><br />

finanziamento pubblico ai partiti avrebbe accresciuto la reciproca penetrazione<br />

tra Stato e partiti, riducendo <strong>il</strong> bisogno di risorse offerte dai m<strong>il</strong>itanti.<br />

IL RAPPORTO TRA I PARTITI si sarebbe così andato trasformando DA UN GIOCO<br />

“A SOMMA ZERO” (PER APPROPRIARSI DI RISORSE) AD UN GIOCO “A SOMMA<br />

POSITIVA”, caratterizzato dalla crescente collusione tra partiti che formano<br />

“cartelli” (cioè alleanze) per ottenere risorse pubbliche. Collusione del resto<br />

fac<strong>il</strong>itata da una crescente riduzione della distanza ideologica fra i partiti (nella<br />

logica del “<strong>partito</strong> pigliatutto”) evidenziata da una sempre maggiore convergenza<br />

nei programmi delle diverse coalizioni di governo.<br />

Nasce così un modello di <strong>partito</strong> definito “CARTEL PARTY” (o <strong>partito</strong><br />

“cartellizzato”), come lo chiamano KATZ e MAIR, che rappresenterebbe l’ultimo


stadio di un tragitto che ha portato <strong>il</strong> <strong>partito</strong> politico a trasformarsi da<br />

organismo interno alla società civ<strong>il</strong>e a struttura sempre più interna allo Stato.<br />

DA UNA PARTE I PARTITI SEMBRANO MENO POTENTI DI PRIMA, visto <strong>il</strong><br />

decrescere delle lealtà partigiane e la crescente apatia dell’elettorato,<br />

DALL’ALTRA PERÒ APPAIONO RAFFORZATI dalla crescita del finanziamento<br />

pubblico e dall’uso di canali di comunicazione esterni ai partiti stessi e (come nel<br />

caso della televisione) soggetti a regolamentazione statale; senza contare che <strong>il</strong><br />

forte radicamento nello Stato mette loro a disposizione più risorse (posti di<br />

lavoro pubblici, ecc.) da distribuire in modo clientelare.<br />

L’atomizzazione della base dei partiti rende inoltre SUPERFLUA LA PRESENZA DI<br />

QUADRI INTERMEDI, mentre AUMENTA LA CENTRALIZZAZIONE DELLE<br />

DECISIONI E LA PERSONALIZZAZIONE DELLA LEADERSHIP, aiutata dalla centralità<br />

assunta dai mass media (e in particolare dalla televisione) che fac<strong>il</strong>ita una<br />

identificazione diretta fra elettori e leader. Alla diminuita identificazione<br />

partitica si contrappone così la “personalizzazione della politica” come strategia<br />

per conquistare consenso da parte di leader politici che in alcuni casi<br />

(soprattutto, ma non solo nei partiti di centro-destra) usano un linguaggio<br />

“antipolitico” (sottolineano cioè una loro pretesa estraneità alla politica)<br />

servendosi di appelli “populistici” (al popolo contro le élite) che mirano a<br />

sfruttare la bassa identificazione partitica e la sfiducia nella politica


istituzionale per incrementare <strong>il</strong> proprio seguito elettorale. A questo processo di<br />

personalizzazione della leadership sembrano contribuire anche i tentativi portati<br />

avanti da alcuni partiti di combattere l’atomizzazione della base attraverso<br />

PROCEDURE DIRETTE NELLA SELEZIONE DEI CANDIDATI (LE “PRIMARIE”) e<br />

l’apertura alla partecipazione dei non iscritti: si tratta infatti di trasformazioni<br />

organizzative che non portano certo ad un aumento della reale influenza degli<br />

iscritti ma, rendendo ancora più superflua la presenza di quadri intermedi,<br />

accentuano ulteriormente <strong>il</strong> potere della leadership.


IL CARTEL PARTY [KATZ e MAIR]<br />

• Sistema caratterizzato da una collusione fra i partiti per<br />

ottenere risorse pubbliche<br />

• Partiti come strutture sempre più interne allo stato<br />

• Organizzazione partitica sempre più leggera<br />

• Allentamento del rapporto con la base, che si atomizza<br />

• Concentrazione del lavoro sul prof<strong>il</strong>o elettorale<br />

• Finanziamento pubblico come risorsa principale<br />

• Diminuzione ulteriore degli assetti ideologici<br />

• Predominio del messaggio sul programma<br />

• Pieno controllo sui mezzi della comunicazione politica<br />

L’EVOLUZIONE DELLA “FORMA PARTITO” (dal <strong>partito</strong> di notab<strong>il</strong>i al <strong>partito</strong><br />

cartellizzato) rispetto alla sua presenza nella società civ<strong>il</strong>e e alla sua presenza<br />

nello Stato, può essere visualizzata dal seguente grafico:


+<br />

Presenza nello Stato<br />

_<br />

CARTEL PARTY<br />

PARTITO PIGLIATUTTO<br />

PARTITO DI MASSA<br />

PARTITO DI NOTABILI<br />

_ Presenza nella società civ<strong>il</strong>e +


FRATTURE SOCIALI E PARTITI POLITICI<br />

Se finora ci si è occupati di seguire l’evoluzione dei partiti politici esaminando i<br />

loro mutamenti sul piano strutturale, diversa appare LA PROSPETTIVA<br />

GENETICA, così come emerge dagli studi di ROKKAN.<br />

Nell’ambito di una analisi macrosociologica della formazione degli Stati-nazione e<br />

del processo di democratizzazione in Europa occidentale, questo autore ha<br />

individuato QUATTRO DIVERSE FRATTURE (cleavages) a cui può essere<br />

ricondotta l’origine dei diversi tipi di formazioni politiche.<br />

Le prime due fratture sono collegate al PROCESSO DI COSTRUZIONE<br />

DELLO STATO NAZIONALE. La prima è la frattura CENTRO/PERIFERIA, che<br />

vede la contrapposizione tra <strong>il</strong> centro politico, culturale ed economico di un paese<br />

e le periferie che vengono a poco a poco incorporate nel governo centrale. Il<br />

conflitto contro l’assim<strong>il</strong>azione delle periferie (simboleggiato dall’adozione di<br />

un’unica lingua ufficiale) è quello che da origine a partiti etnici, linguistici e di<br />

protesta religiosa. La seconda è la frattura STATO/CHIESA: qui <strong>il</strong> processo di<br />

integrazione dello Stato-nazione si scontrò con le richieste corporative della<br />

Chiesa, soprattutto in materia di controllo della morale e dell’istruzione. Ne<br />

derivò la nascita di partiti confessionali, in contrapposizione ai partiti liberali.


In seguito sarà invece la RIVOLUZIONE INDUSTRIALE a creare le premesse<br />

per altre due fratture: quella tra CITTÀ E CAMPAGNA, che contrapponeva i<br />

mercanti e gli imprenditori delle città e gli interessi agrari, e quella che generò un<br />

conflitto all’interno dello stesso settore industriale tra CAPITALISTI E CLASSE<br />

OPERAIA. La terza frattura vide spesso nascere specifici partiti a difesa degli<br />

interessi delle campagne e trovò espressione parlamentare nei conflitti tra partiti<br />

conservatori-agrari e partiti liberali-radicali. Alla quarta frattura, incentrata sullo<br />

scontro capitale-lavoro, si deve invece la nascita dei partiti socialisti e, più tardi,<br />

dei partiti comunisti.<br />

Se le prime tre fratture ebbero, sul piano della nascita dei partiti, riflessi non<br />

identici nei vari paesi europei, più sim<strong>il</strong>i furono gli effetti della quarta frattura,<br />

perché dovunque nacquero partiti a difesa degli interessi delle classi salariate.<br />

Si può dire che L’EVOLUZIONE DI QUESTO TIPO DI PARTITI FU NOTEVOLMENTE<br />

INFLUENZATA DALL’ATTEGGIAMENTO DELLE ÉLITE VERSO LE RIVENDICAZIONI<br />

OPERAIE, per cui la tendenza delle classi dirigenti a integrare le domande della<br />

classe operaia portò a partiti di sinistra più pragmatici e moderati (partiti laburisti<br />

e socialdemocratici), mentre un atteggiamento repressivo portò ad una sinistra<br />

più radicale (partiti comunisti) dall’altra). Il conflitto tra i partiti si espresse<br />

tipicamente lungo L’ASSE DESTRA-SINISTRA, in particolare per quanto riguardava <strong>il</strong><br />

tema dell’intervento dello Stato. LA DESTRA si batteva per un minor intervento


statale e una minore tassazione, LA SINISTRA per un intervento maggiore,<br />

soprattutto in materia di servizi sociali e di miglioramento delle condizioni di<br />

lavoro.<br />

CLEAVAGES (FRATTURE SOCIALI) E TIPI DI<br />

PARTITI [ROKKAN]<br />

CAUSE CLEAVAGES TIPI DI PARTITI<br />

Processo di<br />

costruzione<br />

dello stato<br />

nazionale<br />

Rivoluzione<br />

industriale<br />

Centro/periferia<br />

Stato/Chiesa<br />

Città/campagna<br />

Capitale/lavoro<br />

Etnici, linguistici, di<br />

protesta religiosa<br />

Liberali e religiosi<br />

Borghesi, agrari e<br />

conservatori<br />

Socialisti e socialdemocratici<br />

(più tardi<br />

anche comunisti)


I partiti che affondano le proprie radici nel processo di costruzione dello Stato<br />

nazionale e nella rivoluzione industriale (lungo le quattro fratture sopra<br />

elencate) si sono dimostrati particolarmente stab<strong>il</strong>i nel tempo, anche in relazione<br />

ai loro rapporti di forza. Almeno fino agli anni settanta molto alta era, infatti, la<br />

stab<strong>il</strong>ità elettorale dei diversi partiti e anche più tardi, se è vero che è aumentata<br />

la volat<strong>il</strong>ità elettorale, è anche vero che tale volat<strong>il</strong>ità appare alta all’interno della<br />

destra e della sinistra, mentre essa rimane contenuta per quanto riguarda <strong>il</strong><br />

passaggio di voti da destra a sinistra (o viceversa), almeno fino agli anni novanta.<br />

A tal proposito LIPSET e ROKKAN hanno formulato l’ipotesi del<br />

CONGELAMENTO DELLA STRUTTURA DEL CONFLITTO, nel senso che “i<br />

sistemi partitici degli anni sessanta riflettono, con poche ma significative eccezioni,<br />

le strutture delle fratture degli anni venti”. In sostanza, i partiti, nati da fratture<br />

sociali, hanno continuato a lungo ad agire sulla stessa struttura del conflitto,<br />

riproducendo le stesse fratture e offrendo loro simboli e rappresentanza.<br />

Secondo recenti ricerche, oggi si assisterebbe invece ad uno<br />

SCONGELAMENTO DEL CONFLITTO, in conseguenza di un CAMBIAMENTO<br />

DEL PESO RELATIVO DELLE DIVERSE “FAMIGLIE POLITICHE” e alla NASCITA DI<br />

NUOVI PARTITI. Si pensi al declino dei partiti religiosi e dei partiti comunisti, o al<br />

nascere di nuovi partiti su tematiche non più legate alle fratture tradizionali: è <strong>il</strong><br />

caso dei partiti ecologisti (i “verdi”), o di quelli legati a tematiche di politica


estera, o ai partiti euroscettici, contrari all’integrazione europea. Quel che in<br />

generale emerge negli ultimi anni è IL DECLINO DELL’IDENTIFICAZIONE PARTITICA,<br />

evidenziato dalla crescente volat<strong>il</strong>ità elettorale (stavolta anche fra destra e<br />

sinistra) e dal fenomeno della riduzione degli iscritti. Tutti fenomeni divenuti<br />

particolarmente visib<strong>il</strong>i negli anni novanta, in seguito al crollo dei vecchi regimi<br />

dell’Europa dell’est, da una parte, e all’ondata di scandali politici che ha investito<br />

l’Europa occidentale, dall’altra.<br />

Sugli EFFETTI DI QUESTO SCONGELAMENTO sono stati espressi GIUDIZI<br />

SIA NEGATIVI CHE POSITIVI. C’è infatti chi parla di perdita di fiducia dei partiti che<br />

porta verso derive populistiche incentivate dalla personalizzazione del voto a<br />

favore di determinati leader; altri, invece, lo vedono come l’effetto di una<br />

crescente maturità dell’elettorato, ormai sempre meno inquadrato dal punto di<br />

vista ideologico e capace pertanto di giudicare i partiti in base a ciò che<br />

effettivamente fanno o non fanno.


SISTEMI PARTITICI<br />

Oggetto di particolare attenzione per la Scienza politica è lo studio dei sistemi<br />

partitici, cioè del tipo di interazioni (cooperative e competitive) tra i partiti.<br />

Come è noto, in un’ottica sistemica “<strong>il</strong> tutto è superiore alle parti che lo<br />

compongono”: ogni sistema politico, quindi, possiede una sua logica di<br />

funzionamento che bisogna ricostruire.<br />

UNA CLASSIFICAZIONE CLASSICA DEI SISTEMI PARTITICI è quella<br />

adottata da DUVERGER, in base al CRITERIO NUMERICO. In tal senso si può<br />

distinguere tra sistemi monopartitici, che, non consentendo la competizione<br />

partitica, caratterizzano i regimi autoritari, sistemi bipartitici, collegati ad un<br />

sistema elettorale maggioritario a turno unico, e sistemi multipartitici, collegati<br />

ad un sistema elettorale proporzionale. Duverger sottolinea l’efficienza dei sistemi<br />

bipartitici (con alternanza di potere tra due partiti), dove l’elettorato elegge<br />

direttamente un governo stab<strong>il</strong>e e responsab<strong>il</strong>e, mentre l’opposizione appare<br />

moderata e anch’essa responsab<strong>il</strong>e in virtù della prospettiva di una futura<br />

alternanza al governo; <strong>il</strong> sistema multipartitico, invece, è generalmente<br />

caratterizzato da coalizioni eterogenee e instab<strong>il</strong>i, radicalismo ideologico e<br />

difficoltà per l’elettore di giudicare i partiti.


I SISTEMI DI PARTITO SECONDO DUVERGER<br />

• Monopartitici (regimi non democratici)<br />

• Bipartitici (Stati Uniti e Gran Bretagna)<br />

• Multipartitici (Italia, Francia, Australia,<br />

Austria, Canada, Belgio, Germania, Olanda,<br />

etc.)<br />

Come nota SARTORI, la classificazione di Duverger appare eccessivamente<br />

semplificatoria. Innanzitutto perché lo stesso criterio numerico va specificato,<br />

identificando i partiti che contano realmente. Questo lo si può fare se si procede<br />

ad un CONTEGGIO “INTELLIGENTE” DEI PARTITI, che mette in evidenza<br />

non tanto la dimensione del <strong>partito</strong>, quanto <strong>il</strong> suo “PESO STRATEGICO”,<br />

determinato dal suo potenziale di coalizione, cioè dal fatto che anche un <strong>partito</strong>


minore può essere determinante per formare una coalizione di governo, o dal suo<br />

potenziale di ricatto, che sussiste quando l’esistenza di un <strong>partito</strong> influisce sulle<br />

tattiche adottate dagli altri partiti. Sartori non si limita però soltanto a specificare<br />

come debba essere ut<strong>il</strong>izzato correttamente <strong>il</strong> criterio numerico, ma introduce<br />

anche un ulteriore criterio che misura la DISTANZA IDEOLOGICA FRA I<br />

PARTITI, cioè la collocazione degli elettori lungo l’asse destra-sinistra.<br />

CRITERI CLASSIFICATORI DI SARTORI<br />

• Numero di partiti: conteggio “intelligente”, che<br />

include:<br />

- Potenziale di coalizione<br />

- Potenziale di ricatto<br />

• Livello di polarizzazione ideologica:<br />

- distanza fra i partiti lungo l’asse destra-sinistra


Incrociando questi due criteri, Sartori costruisce così una TIPOLOGIA DEI<br />

SISTEMI PARTITICI che non si limita a prendere in considerazione <strong>il</strong> FORMATO<br />

dei sistemi di <strong>partito</strong> (attraverso <strong>il</strong> criterio numerico), ma ne individua anche la<br />

MECCANICA (cioè la logica di funzionamento). Si potranno allora individuare:<br />

SISTEMI MONOPARTITICI<br />

‣ All’interno di questa categoria si possono distinguere DUE TIPI DI SISTEMI NON<br />

COMPETITIVI: i SISTEMI A PARTITO SINGOLO, dove esiste un solo <strong>partito</strong><br />

legalmente riconosciuto ed è quindi impedita, de iure o de facto, ogni<br />

manifestazione di pluralismo politico; i SISTEMI EGEMONICI, dove esistono<br />

formalmente altri partiti, ma in realtà si tratta di partiti satellite, che non sono<br />

messi in condizione di competere con <strong>il</strong> <strong>partito</strong> egemone. Nella Polonia pre-1989,<br />

ad esempio, esistevano altri partiti oltre al <strong>partito</strong> comunista (in particolare partiti<br />

contadini o di ispirazione cattolica) i cui rappresentanti occupavano anche alcuni<br />

posti governativi e amministrativi a vari livelli, senza però intaccare <strong>il</strong> predominio<br />

del <strong>partito</strong> egemone, che rimaneva comunque al potere, a prescindere dagli esisti<br />

soddisfacenti o meno delle sue politiche (era quindi politicamente irresponsab<strong>il</strong>e).<br />

‣ UN SISTEMA COMPETITIVO deve invece essere considerato <strong>il</strong> SISTEMA A<br />

PARTITO PREDOMINANTE: si tratta infatti di un sistema partitico in cui


esiste pluralismo politico, anche se di fatto non si verificano avvicendamenti al<br />

governo. Il fatto che <strong>il</strong> medesimo <strong>partito</strong> rimane al governo da solo, elezione dopo<br />

elezione, per un lungo periodo di tempo non è dovuto in alcun modo ad<br />

impedimenti costituzionali o a brogli elettorali, per cui in ogni momento un<br />

sistema a <strong>partito</strong> predominante può cessare di esserlo.<br />

SISTEMI BIPARTITICI<br />

Sono tali quei sistemi in cui sul piano numerico possono esistere anche terzi<br />

partiti, che non hanno però alcun potenziale di coalizione (o di ricatto). Esistono<br />

TRE CONDIZIONI PERCHÉ SI REALIZZI UNA MECCANICA BIPARTITICA:<br />

1. i due partiti sono in grado di competere per la maggioranza assoluta dei<br />

seggi;<br />

2. uno dei due è in grado di governare da solo;<br />

3. esiste una possib<strong>il</strong>ità concreta (credib<strong>il</strong>e), anche se magari non si realizza per<br />

periodi abbastanza lunghi, di alternanza fra i due partiti.<br />

Questo tipo di sistemi sono caratterizzati da una MECCANICA CENTRIPETA: i due<br />

partiti competono infatti per conquistare gli elettori del centro, che sono i più<br />

“fluttuanti” e appaiono determinanti per vincere le elezioni.


SISTEMI MULTIPARTITICI<br />

I due criteri di classificazione ut<strong>il</strong>izzati da Sartori consentono, all’interno di questa<br />

categoria (che restava indistinta per Duverger) di individuare diverse meccaniche<br />

di funzionamento.<br />

‣ Il primo caso è quello del MULTIPARTITISMO MODERATO, caratterizzato da un<br />

numero di partiti “che contano” non superiore a cinque e da un bassa<br />

polarizzazione ideologica, con governi di coalizione (da cui nessun <strong>partito</strong> appare<br />

escluso a priori). LA MECCANICA DI FUNZIONAMENTO È DI TIPO BIPOLARE E<br />

CENTRIPETA, con due coalizioni di governo che competono tra di loro per<br />

conquistare l’elettorato fluttuante del centro.<br />

‣ Il secondo caso è quello del PLURALISMO POLARIZZATO, con un numero di<br />

partiti superiore a cinque e due poli, lungo l’asse destra-sinistra, caratterizzati da<br />

posizioni ideologicamente estreme. LA LOGICA DI FUNZIONAMENTO È DI TIPO<br />

CENTRIFUGO (nel senso che se i partiti di destra e sinistra si spostassero al centro,<br />

rischierebbero di perdere elettori alle ali estreme senza guadagnare <strong>il</strong> sostegno<br />

dei moderati). Più dettagliatamente, si verificheranno le seguenti caratteristiche:<br />

• Presenza di partiti antisistema, cioè di partiti che cambierebbero, se<br />

potessero, non <strong>il</strong> governo ma lo stesso sistema di governo.<br />

• Presenza di due opposizioni b<strong>il</strong>aterali, reciprocamente esclusive (non<br />

possono allearsi fra di loro).


Il centro è stab<strong>il</strong>mente occupato da un <strong>partito</strong> che costituisce l’asse del<br />

sistema e si realizza un sistema politico bloccato, caratterizzato dalla non<br />

associab<strong>il</strong>ità al governo dei ali estreme dello schieramento politico, e da una<br />

rotazione semi-periferica delle coalizioni di governo (governi di centrosinistra<br />

o di centro-destra).<br />

• Sostanziale irresponsab<strong>il</strong>ità politica sia delle opposizioni che del <strong>partito</strong> di<br />

centro al governo. Infatti, le opposizioni estreme, non potendo mai andare al<br />

governo, sanno che non saranno mai chiamate a mettere in pratica i loro<br />

programmi; <strong>il</strong> <strong>partito</strong> di centro, non potendo essere escluso dal governo, non<br />

si preoccuperà troppo delle preferenze degli elettori nell’esercizio della sua<br />

attività di governo. La competizione politica sarà quindi caratterizzata dalla<br />

tendenza a fare promesse che si sa di non poter mantenere.<br />

‣ Il terzo caso è quello del MULTIPOLARISMO ATOMIZZATO (O<br />

SEGMENTATO), caratterizzato anch’esso da un numero alto di partiti, ma con<br />

bassa polarizzazione ideologica. Emerge in questo caso <strong>il</strong> carattere non<br />

stab<strong>il</strong>izzato del sistema partitico che resta allo stato fluido, in quanto nessun<br />

<strong>partito</strong> è in grado di conquistare percentuali consistenti di voti e nessun <strong>partito</strong><br />

mostra di poter durare e crescere nel tempo.


TIPOLOGIA DEI SISTEMI PARTITICI SECONDO SARTORI<br />

SISTEMI NON<br />

COMPETITIVI<br />

CRITERIO<br />

NUMERICO<br />

Monopartitici<br />

Egemonici<br />

LOGICA DI<br />

FUNZIONAMENTO<br />

Totalitaria<br />

Pragmatica o egemonica<br />

SISTEMI<br />

COMPETITIVI<br />

A <strong>partito</strong><br />

predominante<br />

Bipartitici<br />

Multipartitici limitati<br />

Multipartitici<br />

estremi<br />

Atomizzati (o<br />

segmentati)<br />

Non alternanza di fatto<br />

Alternanza<br />

Pluralismo moderato<br />

Pluralismo polarizzato<br />

Sistema fluido, non<br />

stab<strong>il</strong>izzato


FRAMMENTAZIONE PARTITICA<br />

ALTA BASSA<br />

MODALITA’ DI FUNZIOMENTO DEI SISTEMI PARTITICI<br />

(SARTORI)<br />

DISTANZA IDEOLOGICA<br />

PICCOLA<br />

GRANDE<br />

COMPETIZIONE<br />

CENTRIPETA<br />

Bipartitismo<br />

Multipartitismo<br />

moderato<br />

COMPETIZIONE<br />

CENTRIFUGA<br />

Multipartitismo<br />

segmentato<br />

Multipartitismo<br />

polarizzato


Se Sartori, quando parla di pluralismo polarizzato, si riferisce soprattutto al<br />

SISTEMA POLITICO ITALIANO DELLA PRIMA REPUBBLICA, molti hanno<br />

obiettato che NELLA REALTÀ IL PCI NON POTEVA ESSERE DEFINITO UN PARTITO<br />

ANTISISTEMA, né dal punto di vista ideologico, visto che tale <strong>partito</strong> non<br />

contestava <strong>il</strong> sistema repubblicano che aveva contribuito a costruire nella fase<br />

costituente, né dal punto di vista pratico, visto che a diversi livelli non governativi<br />

(nella politica parlamentare o nella politica locale) questo <strong>partito</strong> tendeva a<br />

sv<strong>il</strong>uppare degli accordi di tipo “consociativo”.<br />

A questo proposito UN’INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA DEL CASO<br />

ITALIANO è quella di FARNETI, che vedeva la politica italiana, a partire dagli anni<br />

sessanta, caratterizzata da un sostanziale PLURALISMO CENTRIPETO: <strong>il</strong><br />

centro infatti andava sempre rafforzandosi grazie alle continue scissioni di partiti<br />

alla sua destra e alla sua sinistra, poi assorbiti nelle coalizioni di governo. In<br />

questo senso, anche le significative mutazioni, a partire dagli anni novanta, dei<br />

due ex partiti estremi (PCI e MSI) possono essere lette come <strong>il</strong> compimento di un<br />

processo di avvicinamento al centro delle ali estreme dello schieramento partitico.<br />

Del resto AI NOSTRI GIORNI, a prescindere dal caso italiano, i partiti<br />

antisistema sono praticamente scomparsi, o hanno moderato i loro programmi,<br />

per cui la categoria del pluralismo polarizzato appare ormai svuotata di casi<br />

empirici, che affollano invece la categoria del pluralismo moderato.


2.3 ELEZIONI E PROCESSO ELETTORALE


LE ELEZIONI COME SISTEMA DI INVESTITURA<br />

Le elezioni sono un meccanismo di selezione dei componenti di organi<br />

monocratici o collegiali, in particolare di chi deve occupare posizioni di<br />

rappresentanza e di governo ai diversi livelli di un sistema politico. Storicamente<br />

si tratta di uno dei possib<strong>il</strong>i metodi, all’interno di una variegata famiglia di SISTEMI<br />

DI INVESTITURA che possono essere così suddivisi:<br />

RUOLO DOMINANTE<br />

DI CHI OTTERRA’ LA<br />

CARICA<br />

ACQUISTO VENALE<br />

ACQUISTO CON LA FORZA<br />

(Conquista)<br />

SISTEMI DI<br />

INVESTITURA<br />

DECISIONE AFFIDATA<br />

AD UN AGENTE<br />

IMPERSONALE<br />

SCELTA OPERATA DA<br />

SOGGETTI DIVERSI<br />

DA COLORO CHE<br />

SONO DESIGNATI<br />

SORTEGGIO<br />

TRASMISSIONE EREDITARIA<br />

NOMINA<br />

COOPTAZIONE<br />

SELEZIONE MERITOCRATICA<br />

ELEZIONE


Si noti, in particolare, che se la COOPTAZIONE è la scelta operata da qualcuno che<br />

fa già parte dell’organismo al quale apparterrà <strong>il</strong> selezionato (per cui spesso,<br />

anche quando sono previsti dei criteri meritocratici come la selezione per<br />

concorso, essi rimangono “di facciata”, vengono cioè posti in secondo piano<br />

rispetto ai criteri di “appartenenza”), CIÒ CHE DISTINGUE L’ELEZIONE DALLA<br />

NOMINA è la differente ampiezza dell’organo che opera la scelta, per cui si<br />

parlerà di nomina del presidente del Consiglio da parte del Presidente della<br />

Repubblica, o di nomina del Consiglio di amministrazione della RAI da parte dei<br />

presidenti di Camera e Senato, ma di elezione del Presidente della Repubblica da<br />

parte dei due rami del Parlamento a Camere riunite (integrato dai rappresentanti<br />

delle Regioni) o, a maggior ragione, di elezione delle Assemblee parlamentari o di<br />

un Capo dello Stato scelto direttamente dai cittadini.<br />

Proprio per la complessità determinata dal coinvolgimento di un numeroso corpo<br />

elettorale, per le elezioni sono previste in modo particolare norme dettagliate che<br />

regolano l’intero processo.<br />

LA DISTINZIONE TRA I DIVERSI METODI DI INVESTITURA, ALL’APPARENZA COSÌ<br />

NETTA, NON LO È POI IN MOLTI CASI ALLO STATO PRATICO. Si è già detto quale sia<br />

la differenza tra elezione e nomina, che pure hanno diversi tratti in comune, ma, in<br />

certi casi, si possono trovare degli elementi in comune anche fra l’elezione ed altre<br />

forme di investitura, apparentemente molto differenti:


ELEZIONE E<br />

COOPTAZIONE<br />

ELEZIONE E<br />

TRASMISSIONE<br />

EREDITARIA<br />

ELEZIONE E<br />

ACQUISTO<br />

VENALE<br />

ELEZIONE E<br />

USO DELLA<br />

FORZA<br />

I nuovi candidati sono spesso selezionati e presentati<br />

all’elettorato dal ceto politico già in carica. Quando<br />

l’elettorato è poco mob<strong>il</strong>e, l’elezione finisce così per sancire<br />

un processo di scelta già avvenuto. Il meccanismo<br />

cooptatorio appare poi più che evidente quando, come oggi<br />

in Italia, le liste sono “bloccate”.<br />

In alcuni casi i voti possono essere “ereditati” di fatto per<br />

via fam<strong>il</strong>iare, con figli e parenti che subentrano nel collegio<br />

elettorale dei congiunti. (E’ stato <strong>il</strong> caso di certe “dinastie”,<br />

come i Kennedy o i Bush negli Stati Uniti).<br />

Casi in cui i voti per ottenere una determinata carica elettiva<br />

vengono materialmente “acquistati” con elargizioni di<br />

denaro o altri benefici materiali agli elettori.<br />

Quando nel gioco elettorale prevalgono forme di<br />

intimidazione sino a determinare <strong>il</strong> risultato elettorale (ma<br />

qui siamo al di fuori del contesto democratico).


Oltre a rappresentare un fondamentale strumento per la selezione dei titolari di<br />

cariche pubbliche, NEI SISTEMI DEMOCRATICI LE ELEZIONI ASSOLVONO AD ALTRI<br />

IMPORTANTI COMPITI:<br />

COMPITI<br />

DIRETTI<br />

FUNZIONE DI<br />

RAPPRESENTANZA<br />

FUNZIONE DI<br />

CONTROLLO<br />

Le elezioni consentono la regolare e<br />

pacifica successione nelle cariche<br />

pubbliche attraverso un meccanismo di<br />

delega per <strong>il</strong> quale gli eletti diventano i<br />

rappresentanti degli elettori.<br />

La regolare reiterazione delle elezioni<br />

consente un controllo degli elettori sugli<br />

eletti attraverso la possib<strong>il</strong>ità di<br />

rieleggerli o meno.<br />

COMPITO<br />

INDIRETTO<br />

FUNZIONE DI<br />

LEGITTIMAZIONE<br />

Le elezioni, generando <strong>il</strong> consenso<br />

verso <strong>il</strong> regime democratico, svolgono<br />

indirettamente un’importante funzione<br />

di ritualizzazione e addomesticamento<br />

del conflitto politico (“contare le teste,<br />

invece di tagliarle”).


LE FASI DEL PROCESSO ELETTORALE DEMOCRATICO<br />

Nelle democrazie contemporanee una gran quantità di cariche pubbliche può<br />

essere assegnata attraverso lo strumento elettorale, ma certamente <strong>il</strong> ruolo<br />

centrale lo svolgono le elezioni dei parlamenti nazionali (le cosiddette “elezioni<br />

politiche”, così chiamate per distinguerle dalle elezioni a livello locale che hanno<br />

un significato più direttamente amministrativo). Occorre innanzitutto ribadire LE<br />

TRE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DELLE ELEZIONI DEMOCRATICHE, per<br />

distinguerle dalle elezioni che si svolgono in regimi non democratici:<br />

1 COMPETIZIONE<br />

2 LIBERTA’<br />

3 RILEVANZA<br />

Carattere plurale dell’offerta politica. NEI REGIMI NON<br />

DEMOCRATICI, invece, la competizione è annullata<br />

oppure depotenziata.<br />

Al riparo da minacce e con garanzia di un sufficiente<br />

grado di informazione degli elettori. NEI REGIMI NON<br />

DEMOCRATICI, invece, intimidazioni (psicologiche e<br />

fisiche) e non segretezza del voto.<br />

Peso significativo sui processi politici del paese<br />

(processo legislativo e formazione dei governi). NEI<br />

REGIMI NON DEMOCRATICI, invece, depotenziamento<br />

delle istituzioni elette (come i Soviet nell’ex URSS).


Le elezioni sono UN PROCESSO COMPLESSO che ingloba diversi aspetti ed appare<br />

altamente regolamentato da norme atte a regolarizzarne lo svolgimento e<br />

salvaguardarne le funzioni fondamentali per un sistema politico democratico. Tali<br />

norme possono essere a volte di rango costituzionale (e quindi più diffic<strong>il</strong>i da<br />

cambiare), ma più spesso sono frutto della legislazione ordinaria o hanno<br />

carattere inferiore di tipo regolamentare.<br />

Se le funzioni delle elezioni sono le stesse (nei sistemi democratici), le realtà sociali<br />

e politiche in cui si svolgono cambiano da paese a paese ed anche nello stesso<br />

paese nel corso del tempo. Di conseguenza, gli aspetti della regolamentazione<br />

elettorale sono spesso differenti tra un paese e l’altro ed inoltre, tanto meno esse<br />

sono regolamentate da norme costituzionali (che, per loro natura, rendono<br />

inevitab<strong>il</strong>mente troppo rigide le regole elettorali), tanto più frequentemente<br />

vengono introdotte varianti nella loro regolamentazione secondo determinate<br />

contingenze politiche.<br />

LE NORME IN MATERIA ELETTORALE REGOLAMENTANO TUTTI I MOLTEPLICI<br />

ASPETTI DEL PROCESSO ELETTORALE, dalla frequenza con cui si svolgono alle<br />

modalità della loro convocazione, dal modo in cui sono disciplinati l’elettorato<br />

attivo e quello passivo (modalità di scelta delle candidature), alle modalità di<br />

svolgimento della campagna elettorale, al modo in cui viene tutelata la regolarità<br />

delle operazioni di voto, fino al “cuore” del procedimento elettorale, cioè ai diversi<br />

sistemi elettorali adottati e, di conseguenza, ai differenti modi che ne derivano di


traduzione dei voti in seggi.<br />

Vediamo adesso di riassumere in uno schema<br />

sintetico LE DIVERSE FASI DEL PROCESSO ELETTORALE:<br />

TEMPI E<br />

CONVOCAZIONE<br />

DELLE ELEZIONI<br />

ELETTORATO<br />

ATTIVO<br />

• RICORRENTI: spaziano da due a sette anni, a seconda<br />

del paese e del tipo di carica. Effetti per gli elettori:<br />

giudizio retrospettivo sugli eletti; per gli eletti: premessa<br />

della responsivness.<br />

• CONVOCAZIONE: atto formale, discrezionalità limitata.<br />

• POSSIBILI ANTICIPAZIONI: fa differenza se <strong>il</strong> potere di<br />

scioglimento del parlamento spetti al governo o al capo<br />

dello Stato.<br />

• Storicamente, dalla iniziale esclusione di buona parte<br />

della popolazione dal diritto di voto si è passati alla<br />

ESTENSIONE DEL SUFFRAGIO, con l’eliminazione<br />

progressiva dei criteri di esclusione per censo, istruzione,<br />

sesso o appartenenza razziale.<br />

• Tra i FATTORI CHE SPINSERO ALL’ALLARGAMENTO DEL<br />

SUFFRAGIO, oltre alla forza espansiva del principio di<br />

eguaglianza, giocò un ruolo importante anche la<br />

competizione fra le élite politiche.


ELETTORATO<br />

PASSIVO<br />

CAMPAGNA<br />

ELETTORALE<br />

L’aspetto principale riguarda le MODALITÀ DI PRESENTAZIONE<br />

DELLE CANDIDATURE, funzione oggi svolta prevalentemente<br />

da organi di <strong>partito</strong>, locali o nazionali. Nel caso di adozione di<br />

elezioni primarie, la scelta viene trasferita agli stessi elettori<br />

(e può essere riservata ai solo iscritti oppure estesa a tutti gli<br />

elettori).<br />

• LA DURATA DELLA CAMPAGNA è regolamentata sul piano<br />

formale, anche se una campagna informale può iniziare<br />

molto prima, con l’apertura del ciclo politico-elettorale di<br />

cui parlano gli autori della Public choice.<br />

• Per quanto riguarda LE MODALITA’ DI SVOLGIMENTO, le<br />

forme tradizionali di contatto con gli elettori (comizi,<br />

riunioni, contatti porta a porta) sono oggi in declino, in<br />

seguito alle minori capacità di mob<strong>il</strong>itazione dei partiti e<br />

allo sv<strong>il</strong>uppo della televisione, che ha accentuato <strong>il</strong><br />

carattere centralizzato e mediatico delle campagne<br />

elettorali. (I social network su internet non sono ancora<br />

molto ut<strong>il</strong>izzati, almeno in Italia, ma potrebbero<br />

rappresentare uno strumento che ripristina un contatto<br />

diretto con l’elettore, sia pure sul piano virtuale).


STRUTTURAZIONE<br />

DELLA SCELTA<br />

ELETTORALE<br />

Scheda elettorale<br />

categorica<br />

Scheda elettorale ordinale<br />

SISTEMI<br />

ELETTORALI<br />

CARATTERISTICHE DEL<br />

COLLEGIO ELETTORALE<br />

(Rapporto fra elettori,<br />

eletti e territorio)<br />

SOGLIE DI<br />

RAPPRESENTANZA<br />

Circoscrizione uninominale<br />

o plurinominale<br />

Conformazione geografica<br />

del collegio<br />

Implicite<br />

Esplicite<br />

FORMULA ELETTORALE<br />

(Per la traduzione dei<br />

voti in seggi)<br />

Maggioritaria<br />

Proporzionale<br />

Mista


I SISTEMI ELETTORALI<br />

Per quanto riguarda la STRUTTURAZIONE DELLA SCELTA ELETTORALE,<br />

essa dipende dal tipo di scheda elettorale che viene sottoposta all’elettore (che<br />

può essere di tipo categorico, oppure di tipo ordinale) e dal destinatario del voto<br />

(che può essere un candidato individuale o invece una lista di <strong>partito</strong>).<br />

Il VOTO CATEGORICO obbliga ad esprimere una preferenza secca, nel VOTO<br />

ORDINALE l’elettore ha invece la possib<strong>il</strong>ità di esprimere un ordine di preferenza<br />

tra i candidati, cosa che, in certi casi (come nel voto singolo trasferib<strong>il</strong>e) può anche<br />

essere trasversale ai partiti.<br />

Nei primi sistemi elettorali <strong>il</strong> voto veniva dato AL CANDIDATO, senza che sulla<br />

scheda comparisse <strong>il</strong> simbolo di un <strong>partito</strong>. Oggi <strong>il</strong> simbolo del <strong>partito</strong> può anche<br />

essere assente nei sistemi maggioritari, ma non lo è certamente nei sistemi<br />

proporzionali, dove è in virtù del voto dato AD UNA LISTA DI PARTITO che i<br />

candidati vengono eletti. La lista presentata dai partiti può essere “bloccata” (per<br />

cui, in base ai seggi conquistati dal <strong>partito</strong>, vengono eletti i candidati ai primi posti<br />

della lista) oppure può consentire di esprimere delle preferenze (in questo caso,<br />

oltre alla competizione tra i partiti, si sv<strong>il</strong>uppa una competizione tra i candidati<br />

dello stesso <strong>partito</strong> per la conquista delle preferenze).<br />

Per quanto riguarda LE CARATTERISTICHE DEL COLLEGIO<br />

ELETTORALE, diversi possono essere i modi di regolare i rapporti tra elettori,


eletti e territorio.<br />

Innanzitutto un elemento r<strong>il</strong>evante riguarda IL MODO DI DISEGNARE I COLLEGI,<br />

che può avere sia effetti “partigiani” (è <strong>il</strong> caso del cosiddetto “Gerrymandering”)<br />

che “virtuosi” (quando <strong>il</strong> modo di disegnare un collegio consente ad una<br />

determinata minoranza di essere rappresentata). In ogni caso i collegi devono<br />

periodicamente essere ridisegnati per mantenere costante <strong>il</strong> rapporto numerico<br />

tra eletti e popolazione del collegio. Quest’opera di redistricting appare<br />

politicamente r<strong>il</strong>evante: per questo si tende ad affidarla ad autorità non partigiane<br />

e a sottoporla a regole particolari.<br />

La discriminante più importante è costituita dall’AMPIEZZA DELLE<br />

CIRCOSCRIZIONI (misurata in termini di numero di seggi assegnati all’interno di<br />

ciascuna di essa). A parte l’esistenza in alcuni piccoli paesi di un’unica<br />

circoscrizione nazionale, le circoscrizione sono più di una e variano in dimensione<br />

dai collegi uninominali<br />

(in cui viene eletto un solo candidato) a collegi<br />

plurinominali più o meno ampi (in cui <strong>il</strong> numero degli eletti varia, a partire da un<br />

minimo di due).<br />

L’AMPIEZZA DEI COLLEGI ELETTORALI costituisce un’implicita soglia di<br />

rappresentanza, perchè ha importanti conseguenze sul rapporto voti/seggi, nel<br />

senso che più piccolo è <strong>il</strong> collegio, più alta sarà la soglia di rappresentanza (e<br />

quindi minore risulterà la proporzionalità). Otre alla dimensione del collegio,<br />

un’altra soglia di rappresentanza di tipo implicito è costituita dal NUMERO DEI


SOGGETTI DA ELEGGERE: infatti, più alto sarà questo numero, minore la<br />

soglia di voti da raggiungere per ottenere un seggio. Ovviamente questo aspetto<br />

è direttamente collegato all’organo da eleggere: in un parlamento di 600 o più<br />

seggi possono teoricamente essere rappresentati anche partiti con cifre elettorali<br />

ben inferiori a quelle necessarie per un consigli regionale di 50 membri. Questo<br />

naturalmente se, oltre alle soglie implicite, non siano presenti anche delle<br />

SOGLIE ESPLICITE DI RAPPRESENTANZA, per cui solo i partiti che superano<br />

queste soglie sono ammessi al riparto dei seggi. L’entità di queste soglie, là dove<br />

sono previste, varia da paese a paese; inoltre esse possono essere calcolate a<br />

livello circoscrizionale, al livello regionale o a livello nazionale (in Germania e in<br />

Italia la soglia è calcolata a livello nazionale ed è rispettivamente del 5% e del 4%;<br />

in Spagna esiste una soglia del 3% a livello circoscrizionale).<br />

Per quanto riguarda LE FORMULE ELETTORALI adottate per trasformare i<br />

voti in seggi, si possono distinguere sistemi elettorali maggioritari, proporzionali<br />

e misti: all’interno di queste tre categorie emergono poi delle differenze<br />

significative, che passiamo ad analizzare più dettagliatamente.


SISTEMI ELETTORALI MAGGIORITARI<br />

1<br />

2<br />

A<br />

MAGGIORANZA<br />

ASSOLUTA<br />

A<br />

MAGGIORANZA<br />

RELATIVA<br />

E’ <strong>il</strong> caso dei VOTO ALTERNATIVO adottato in<br />

Australia. Si tratta di un sistema che, all’interno di<br />

collegi uninominali, adotta una scheda ordinale,<br />

che consente all’elettore di attribuire un ordine di<br />

preferenza ai candidati. Se nessun candidato<br />

viene eletto con la maggioranza assoluta, si<br />

redistribuiscono le seconde preferenze dei<br />

candidati con <strong>il</strong> minor numero di preferenze, che<br />

vengono progressivamente eliminati. Alla fine si<br />

giunge ad identificare <strong>il</strong> candidato vincente (che<br />

avrà la maggioranza assoluta).<br />

E’ <strong>il</strong> caso del PLURALITY SYSTEM inglese, dove, in<br />

collegi uninominali, viene eletto <strong>il</strong> candidato che<br />

ha ottenuto <strong>il</strong> maggior numero di voti, cioè la<br />

maggiore minoranza. Se si presentano più di due<br />

candidati, gli elettori esclusi dalla rappresentanza<br />

(nel collegio) possono così anche essere la<br />

maggioranza.


3<br />

A DOPPIO<br />

TURNO<br />

E’ <strong>il</strong> caso del MAJORITY SYSTEM adottato in Francia.<br />

Il collegio è uninominale (*) e vince <strong>il</strong> che ottiene la<br />

maggioranza assoluta al primo turno. Se ciò non<br />

avviene, a distanza di due settimane si svolge un<br />

secondo turno che può essere aperto (in questo<br />

caso è previsto un quorum di partecipazione di<br />

almeno un quarto degli elettori, ed una soglia di voti<br />

da raggiungere al primo turno per i candidati che si<br />

confronteranno al secondo turno), oppure chiuso<br />

(con ballottaggio tra i due candidati che hanno avuto<br />

più voti al primo turno).<br />

(*) Nel caso di collegio plurinominale, <strong>il</strong> sistema è<br />

proporzionale, ma fortemente disrappresentativo.<br />

Infatti <strong>il</strong> collegio è piccolo, i candidati sono pochi e <strong>il</strong><br />

meccanismo del secondo turno li seleziona<br />

ulteriormente.


SISTEMI ELETTORALI PROPORZIONALI<br />

1<br />

2<br />

VOTO<br />

SINGOLO<br />

TRASFERIBILE<br />

METODO DEL<br />

QUOZIENTE<br />

Adottato in Irlanda, in Australia (al Senato) e a Malta è <strong>il</strong><br />

sistema più proporzionale. All’interno dei collegi<br />

plurinominali, permette l’indicazione di un ordine di<br />

preferenza dei candidati, senza riferimento ai simboli<br />

di <strong>partito</strong> e una redistribuzione progressiva delle<br />

seconde preferenze dei candidati eliminati, fino alla<br />

completa assegnazione dei seggi.<br />

E’ la FORMULA DI HARE, che stab<strong>il</strong>isce un quoziente<br />

da raggiungere per ottenere un seggio, dato dal<br />

numero dei voti totali espressi in un collegio diviso <strong>il</strong><br />

numero dei seggi da assegnare (V/S), e prevede<br />

l’ut<strong>il</strong>izzazione dei resti più alti per distribuire i seggi<br />

che restano dopo l’assegnazione dei seggi a quoziente<br />

intero.<br />

In certi casi i resti, invece che essere ut<strong>il</strong>izzati<br />

all’interno del collegio, vengono convogliati, insieme a<br />

quelli degli altri collegi, in un unico collegio nazionale<br />

dei resti.


3<br />

METODO DEL<br />

DIVISORE<br />

Sono le diverse FORMULE DELLE MEDIE PIÙ ALTE, in<br />

cui <strong>il</strong> numero dei votanti è diviso per dei numeri<br />

progressivi, con dei risultati (secondo la formula<br />

adottata) più o meno proporzionali. Sono la formula<br />

D’Hondt (V/1;2;3), la formula Sainte-Lague (V/1; 3;<br />

5) o la formula Sainte-Lague modificata (V/1,4; 3; 5).<br />

4<br />

SISTEMI<br />

PROPORZIONALI<br />

CON PREMIO DI<br />

MAGGIORANZA<br />

Qui fa grande differenza se IL PREMIO RAFFORZA<br />

LA MAGGIORANZA (come nel caso della<br />

cosiddetta “legge truffa” approvata in Italia nel<br />

1953), OPPURE LA CREA ARTIFICIALMENTE (come<br />

nel caso dell’attuale legge elettorale nel nostro<br />

paese).


SISTEMI ELETTORALI MISTI<br />

Sono sistemi che accoppiano (in misure diverse) una rappresentanza<br />

maggioritaria ed una proporzionale. Alcuni, come la PROPORZIONALE<br />

PERSONALIZZATA in Germania, sono maggioritari solo in entrata, ma non<br />

in uscita, nel senso che i seggi sono per metà su base maggioritaria e per<br />

metà su base proporzionale, ma la cifra elettorale del <strong>partito</strong> viene<br />

individuata sulla base del voto proporzionale (e a questo si aggiunge una<br />

clausola di sbarramento del 5%). Pur essendo la distribuzione finale dei<br />

seggi determinata dal voto proporzionale, resta <strong>il</strong> fatto che una parte dei<br />

deputati mantiene un rapporto priv<strong>il</strong>egiato con <strong>il</strong> collegio in cui è eletto<br />

con <strong>il</strong> sistema maggioritario).<br />

Nel caso del SISTEMA ELETTORALE ITALIANO DEL 1993, invece, <strong>il</strong> sistema<br />

prevedeva che tre quarti dei seggi venissero assegnati in collegi<br />

uninominali con un sistema maggioritario ad un turno, mentre i seggi<br />

restanti era assegnato con <strong>il</strong> sistema proporzionale.


EFFETTI DEI SISTEMI ELETTORALI<br />

IL TEMA DEGLI EFFETTI PRODOTTI DAI SISTEMI ELETTORALI risulta di particolare<br />

interesse, perché collegato alla possib<strong>il</strong>ità di progettare dei mutamenti del<br />

sistema elettorale come strumento di “ingegneria politica”, atto cioè a produrre<br />

determinate conseguenze sul funzionamento del sistema politico (ad esempio,<br />

renderlo più “governab<strong>il</strong>e” attraverso la riduzione del numero dei partiti presenti<br />

in parlamento). In realtà le relazioni che si possono ipotizzare sono di tipo<br />

probab<strong>il</strong>istico: non esiste cioè un legame deterministico fra una variazione del<br />

sistema elettorale e gli effetti prodotti, visto l’alto numero di variab<strong>il</strong>i<br />

intervenienti che può condizionare la relazione stessa. E’ quanto successe in Italia<br />

dopo l’introduzione della nuova legge elettorale del 1993 (<strong>il</strong> cosiddetto<br />

“Mattarellum”) che riduceva l’ambito di applicazione del sistema proporzionale ad<br />

un quarto dei seggi parlamentari (introducendo inoltre alla Camera una soglia del<br />

4%): molti si aspettavano, vista la drastica riduzione della proporzionalità del<br />

sistema elettorale, un’altrettanto drastica riduzione della frammentazione<br />

partitica, con l’esclusione dalla rappresentanza di molti piccoli partiti. Ciò invece<br />

non avvenne, per l’influenza di una variab<strong>il</strong>e esterna al sistema elettorale: <strong>il</strong><br />

collasso della Democrazia cristiana dopo Tangentopoli aveva infatti determinato la<br />

nascita dalle sue ceneri di diversi piccoli partiti centristi che fecero valere la<br />

propria capacità di imporre diversi loro candidati ai partiti maggiori (che, nella


maggior parte dei casi, non erano in grado di imporsi da soli nel 75% di seggi<br />

uninominali). In conclusione, <strong>il</strong> numero dei partiti in grado di ottenere seggi in<br />

parlamento crebbe, invece di diminuire.<br />

GLI EFFETTI DEI SISTEMI ELETTORALI POSSONO RIPERCUOTERSI A DIVERSI LIVELLI.<br />

Innanzitutto sul sistema partitico (possib<strong>il</strong>e aumento o diminuzione del numero<br />

dei partiti, vantaggio per i partiti maggiori o tutela dei partiti minori, incremento<br />

delle spinte centrifughe o di quelle centripete all’interno del sistema partitico,<br />

coalizioni più stab<strong>il</strong>i o più instab<strong>il</strong>i), ma anche sui candidati e sugli eletti, sullo st<strong>il</strong>e<br />

delle campagne elettorali o sul modo stesso di votare degli elettori.<br />

Ciò premesso, si possono analizzare gli effetti dei sistemi elettorali a partire dalle<br />

distinzioni fra effetti diretti e indiretti, da un lato, ed effetti locali e nazionali<br />

dall’altro. Mentre gli EFFETTI DIRETTI si manifestano dopo <strong>il</strong> voto ed hanno<br />

carattere meccanico (riguardando l’influenza della presenza di un determinato<br />

sistema elettorale sulla distribuzione dei seggi), gli EFFETTI INDIRETTI agiscono<br />

invece prima del voto e sono prevalentemente di tipo psicologico (riguardando<br />

l’influenza del sistema elettorale sui comportamenti di elettori, candidati e partiti).<br />

La seconda distinzione riguarda invece la differenza fra EFFETTI LOCALI, che si<br />

manifestano cioè a livello delle singole circoscrizioni, ed EFFETTI NAZIONALI, che<br />

riguardano invece l’impatto globale dei risultati elettorali.<br />

Vediamo adesso di riassumere in un unico schema sintetico i diversi effetti sopra<br />

menzionati:


EFFETTI DIRETTI<br />

A LIVELLO<br />

CIRCOSCRIZIONALE<br />

A LIVELLO<br />

NAZIONALE<br />

UNINOMINALE A<br />

UN TURNO<br />

DOPPIO TURNO<br />

PROPORZIONALE<br />

PARTITI<br />

MAGGIORI<br />

PARTITI<br />

MINORI<br />

Tutte le minoranze sono tagliate fuori<br />

dalla rappresentanza (vince la maggiore<br />

minoranza).<br />

Se c’è <strong>il</strong> ballottaggio, o una soglia per <strong>il</strong><br />

passaggio al secondo turno, cresce la<br />

maggioranza richiesta per vincere.<br />

Favoriti i partiti nell’area centrale dello<br />

spazio politico, sfavoriti i partiti estremi.<br />

Se è allo stato “puro”, appare privo di<br />

effetti diretti (“fotografa“ la realtà<br />

politica). Può avere effetti variamente<br />

riduttivi in relazione alla formula<br />

adottata, e/o all’esistenza di soglie di<br />

rappresentanza (esplicite ed implicite) e<br />

premi di maggioranza.<br />

Avvantaggiati da una loro distribuzione<br />

omogenea sul territorio, svantaggiati se<br />

concentrati territorialmente.<br />

Penalizzati dalla dispersione dei loro voti sul<br />

territorio nazionale, risultano più avvantaggiati<br />

se concentrati territorialmente.


EFFETTI INDIRETTI<br />

SUGLI<br />

ELETTORI<br />

La differenza di fondo è quella fra VOTO UTILE (O STRATEGICO),<br />

che è quello che converge su un candidato che ha buone<br />

probab<strong>il</strong>ita’ di essere eletto, e VOTO SINCERO (O ESPRESSIVO),<br />

indirizzato al candidato in cui maggiormente ci si identifica. NEI<br />

SISTEMI MAGGIORITARI risulta ut<strong>il</strong>e solo <strong>il</strong> voto espresso per <strong>il</strong><br />

candidato che ottiene la maggioranza relativa nel collegio<br />

uninominale, tutti gli altri voti saranno “persi”. NEI SISTEMI<br />

PROPORZIONALI è ut<strong>il</strong>e <strong>il</strong> voto a ciascun candidato in grado di<br />

superare la soglia di rappresentanza all’interno del collegio<br />

plurinominale. Qui voto ut<strong>il</strong>e e espressivo tendono a coincidere in<br />

maniera decrescente quanto più attenuato risulta <strong>il</strong> grado di<br />

proporzionalità, in conseguenza dell’adozione di soglie di<br />

sbarramento o di un’ampiezza ridotta delle circoscrizioni.<br />

Naturalmente perché l’elettore si orienti verso un voto strategico è<br />

necessario che esistano candidati (partiti) non troppo distanti dalle<br />

posizioni del candidato (<strong>partito</strong>) preferito, sui quali indirizzare <strong>il</strong><br />

proprio voto: ne consegue che i candidati e i partiti su posizioni<br />

estreme risulteranno quelli più penalizzati rispetto alla possib<strong>il</strong>ità<br />

di beneficiare di un voto strategico.


SU<br />

CANDIDATI<br />

E PARTITI<br />

NEI SISTEMI ALTAMENTE PROPORZIONALI, dove voto ut<strong>il</strong>e e voto<br />

sincero tendono a coincidere, la strategia di <strong>partito</strong> più efficace è<br />

quella di massimizzare i propri voti: coalizioni elettorali o<br />

addirittura fusioni tra partiti appaiono penalizzanti, perché<br />

“annacquano” l’identità del <strong>partito</strong>, rischiando così di fargli<br />

perdere voti (e seggi). NEI SISTEMI MAGGIORITARI (O IN QUELLI<br />

CON UN GRADO DI PROPORZIONALITÀ RIDOTTO) cresce invece<br />

l’importanza del voto strategico così come l’incentivo per i partiti a<br />

coalizzarsi per riuscire a superare soglie molto più alte di<br />

rappresentanza. Queste coalizioni potranno essere delle alleanze<br />

elettorali o portare ad una vera e propria fusione di partiti. In<br />

particolare, un alto rischio di sconfitta elettorale, una limitata<br />

distanza ideologica fra i partiti e una ragionevole sicurezza di non<br />

perdere i propri elettori accrescerà la disponib<strong>il</strong>ità dei partiti a<br />

coalizzarsi. I SISTEMI A DOPPIO TURNO consentendo agli elettori<br />

di optare per un voto espressivo al primo turno e per un voto<br />

strategico al secondo, garantiscono a tutti i partiti di correre da<br />

soli al primo turno, salvo poi coalizzarsi al secondo turno nei<br />

collegi in cui i propri candidati non sono più presenti (facendo però<br />

valere <strong>il</strong> “peso elettorale” conquistato al primo turno). Anche in<br />

questi sistemi risultano penalizzati i partiti estremi, che per la loro<br />

collocazione sull’asse destra-sinistra appaiono meno capaci di<br />

beneficiare del voto ut<strong>il</strong>e al secondo turno.


SISTEMI ELETTORALI E LOGICHE DI PARTITO<br />

In realtà i sistemi elettorali influenzano nel loro complesso le logiche di <strong>partito</strong>,<br />

sia sul VERSANTE ESTERNO, per quanto riguarda cioè la misura in cui i partiti, al<br />

momento della scelta dei candidati, tengono conto del tipo di elettorato<br />

presente nel collegio (manifestando, in tal senso, una logica “estroversa” oppure<br />

“introversa”), sia per quanto riguarda <strong>il</strong> VERSANTE INTERNO, cioè le modalità in<br />

cui si esprime <strong>il</strong> confronto all’interno del <strong>partito</strong>.<br />

In merito alla SCELTA DEI CANDIDATI, nei SISTEMI PROPORZIONALI essa<br />

appare guidata da una LOGICA INTERNA al <strong>partito</strong> stesso, indipendentemente<br />

dalle caratteristiche del collegio. Nei sistemi MAGGIORITARI, invece, dove<br />

all’interno di piccoli collegi uninominali la personalità dei candidati e <strong>il</strong> loro<br />

gradimento da parte degli elettori appaiono decisivi, prevarrà una LOGICA<br />

ESTERNA, per cui i partiti risulteranno più dipendenti nella scelta dei candidati<br />

dalle preferenze degli elettori (tranne che un <strong>partito</strong> ritenga “sicura” la vittoria<br />

nel collegio, tanto da poter imporre <strong>il</strong> proprio candidato).<br />

Per quanto riguarda poi l’ORGANIZZAZIONE INTERNA DEI PARTITI, <strong>il</strong><br />

PROPORZIONALE tende a favorire lo sv<strong>il</strong>uppo di partiti rigidi, caratterizzati dalla<br />

riproduzione nel tempo (per cooptazione) della stessa classe politica; <strong>il</strong><br />

MAGGIORITARIO tende invece a rendere i partiti più elastici, cioè dotati di una<br />

maggiore dialettica interna, ma anche più disciplinati rispetto alla volontà della


maggioranza del <strong>partito</strong>: dividersi, infatti, significherebbe perdere le elezioni. Nel<br />

primo caso saranno dunque penalizzate le fusioni (che fanno perdere identità al<br />

<strong>partito</strong> di fronte agli elettori), nel secondo le scissioni (che rendono più debole la<br />

sua posizione elettorale).<br />

SISTEMA ELETTORALE E LOGICHE DI PARTITO


SISTEMI ELETTORALI E SISTEMI PARTITICI<br />

Se DUVERGER collegava rigidamente <strong>il</strong> sistema maggioritario al bipartitismo,<br />

mentre riteneva che <strong>il</strong> sistema proporzionale e quello a doppio turno<br />

producessero <strong>il</strong> multipartitismo, le successive considerazioni di SARTORI e di<br />

LIJPHART hanno individuato delle relazioni molto più articolate.<br />

Il primo, in particolare, ha messo in evidenza come non ci sia un rapporto<br />

diretto di causa ed effetto fra <strong>il</strong> sistema elettorale e <strong>il</strong> sistema partitico, ma tutto<br />

dipenda da come sono strutturati i partiti sul territorio nazionale. Se quindi<br />

esiste, in presenza del MAGGIORITARIO AD UN TURNO, la tendenza a<br />

ridurre a due i partiti nel singolo collegio, non vuol dire che questa tendenza si<br />

riprodurrà a livello nazionale: ciò avverrà quanto più <strong>il</strong> bipartitismo è già<br />

strutturato a livello nazionale, fermo restando che se vi sono piccoli partiti, ma<br />

concentrati territorialmente, essi riusciranno ad avere una rappresentanza. Se <strong>il</strong><br />

sistema elettorale non provoca la genesi del sistema partitico, influisce però al<br />

suo mantenimento: infatti, in presenza di un sistema elettorale maggioritario,<br />

l’eventuale crescita di un terzo <strong>partito</strong> si realizzerà scalzando uno dei primi due.<br />

Per quanto riguarda <strong>il</strong> SISTEMA A DOPPIO TURNO, esso non altera (al<br />

primo turno) <strong>il</strong> numero dei partiti, ma tenderà al secondo turno a favorire un<br />

pluralismo moderato di tipo bipolare.


Il PROPORZIONALE, infine, può influire sul numero dei partiti in relazione<br />

alle formule adottate, alla dimensione delle circoscrizioni e alla eventuale<br />

introduzione di soglie di sbarramento. Esso non impedisce però a priori che si<br />

sv<strong>il</strong>uppi una meccanica di tipo bipolare.


2.4 PARLAMENTI E RAPPRESENTANZA


CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI PARLAMENTI DEMOCRATICI<br />

Il parlamento è un’istituzione presente in gran parte degli stati contemporanei<br />

(anche se può assumere denominazioni diverse (come, ad esempio, <strong>il</strong> Congresso<br />

degli Stati Uniti o l’Assemblea nazionale francese). Esso assume un ruolo<br />

fondamentale ed insostituib<strong>il</strong>e all’interno delle odierne liberal-democrazie,<br />

tuttavia anche nel passato (soprattutto in Europa) vi sono presenze significative di<br />

istituzioni parlamentari, così come accade anche nei regimi non democratici.<br />

Data l’estensione del fenomeno nello spazio e nel tempo ed in regimi politici assai<br />

diversi, appare necessario r<strong>il</strong>evare innanzitutto I CARATTERI ESSENZIALI DEL<br />

PARLAMENTARISMO DEMOCRATICO, per poterne metterne a confronto le<br />

caratteristiche con quelle dei suoi antecedenti storici, nonché per sottolinearne le<br />

differenze rispetto alle forme di parlamentarismo non democratico. A tal<br />

proposito, una DEFINIZIONE MINIMA DELLE CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI<br />

PARLAMENTI DEMOCRATICI è la seguente: <strong>il</strong> parlamento è un’assemblea<br />

rappresentativa a competenza generale, pluralistica e permanente ma rinnovata<br />

nella sua composizione tramite elezioni a scadenze regolari.<br />

Vediamo i singoli aspetti di questa definizione:


1<br />

NATURA<br />

ASSEMBLEARE<br />

Istituzione collegiale tendenzialmente paritaria,<br />

caratterizzata da un numero ampio di membri<br />

(rispetto ad altri organi collegiali, come <strong>il</strong> governo)<br />

che, in sede di voto, hanno tutti lo stesso peso. Le<br />

posizioni gerarchiche al suo interno esistono<br />

(connesse soprattutto alle prerogative dei<br />

presidenti dei rami del parlamento), ma sono<br />

inferiori a quelle di altre istituzioni.<br />

2<br />

CARATTERE<br />

PERMANENTE E<br />

TEMPORALMENTE<br />

DEFINITO<br />

Non sono organismi creati ad hoc per assolvere<br />

un compito specifico (come un’assemblea<br />

costituente), ma hanno una competenza<br />

generale e sono in grado di produrre un flusso<br />

continuo di decisioni. Hanno un notevole grado<br />

di autonomia, perché non dipendono per la loro<br />

convocazione da altri organismi istituzionali, ma<br />

i suoi membri hanno un mandato<br />

temporalmente definito, soggetto al rinnovo per<br />

via elettorale.


3<br />

4<br />

PLURALISMO<br />

INTERNO<br />

COLLEGAMENTO<br />

ORGANICO CON<br />

LA CITTADINANZA<br />

POLITICA<br />

Istituzione organizzata al suo interno (attraverso i<br />

regolamenti parlamentari) in modo tale da<br />

consentire l’espressione di tutti gli orientamenti<br />

politici in essa rappresentati, a tutela, in<br />

particolare, di uno spazio istituzionale garantito<br />

per dar voce all’opposizione.<br />

L’istituzione parlamentare è parte integrante del<br />

processo rappresentativo, in quanto le assemblee<br />

parlamentari si fondano su un legame<br />

istituzionalizzato con la cittadinanza politica,<br />

attraverso lo svolgimento di libere elezioni. La<br />

presenza di forme di rappresentanza non<br />

elettorale per un ramo del parlamento (è <strong>il</strong> caso<br />

della Camera dei Lords inglese) costituisce un<br />

retaggio (ininfluente) del passato.<br />

L’ASSENZA ANCHE DI UNO SOLO DEGLI ELEMENTI DI QUESTA DEFINIZIONE<br />

MINIMA determina un mutamento sostanziale della natura dell’istituzione, dove<br />

difetta, in tutto o in parte, <strong>il</strong> carattere del pluralismo, o quello della<br />

rappresentatività o della permanenza. In tal caso si tratterà di parlamenti predemocratici,<br />

o non democratici o autoritari.


LA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA<br />

L’attributo “rappresentativo” non qualifica soltanto un’istituzione politica quale<br />

<strong>il</strong> parlamento, ma anche lo stesso regime democratico. Il concetto di<br />

rappresentanza è quindi l’elemento più importante della definizione dei<br />

parlamenti democratici, anche se <strong>il</strong> suo uso non è delimitato solo all’ambito<br />

democratico: esistevano infatti forme di rappresentanza nei regimi predemocratici,<br />

così come c’è rappresentanza anche nei regimi non democratici.<br />

Premesso che <strong>il</strong> concetto di rappresentanza fa sempre riferimento ad una<br />

relazione duale incentrata sul rapporto fra rappresentato e rappresentante, che,<br />

nel caso della rappresentanza politica, è un rapporto fra governati e governanti,<br />

seguendo le indicazioni di PITKIN si possono individuare CINQUE DIVERSI<br />

MODI DI INTENDERE IL RAPPORTO DI RAPPRESENTANZA che ricorrono<br />

nell’esperienza politica, combinandosi variamente tra di loro. A loro volta queste<br />

cinque modalità possono essere ricondotte a due diverse categorie: la<br />

rappresentanza come MODO DI AGIRE (a cui appartengono i primi tre aspetti della<br />

rappresentanza) e la rappresentanza come MODO DI ESSERE (a cui appartengono<br />

le ultime due). Lo schema che segue riassume le diverse accezioni della<br />

rappresentanza:


MODO DI AGIRE<br />

TIPO DI CONFERIMENTO DI<br />

AUTORITA’ DA PARTE DEL<br />

RAPPRESENTATO<br />

CONTENUTO DELL’AGIRE DEL<br />

RAPPRESENTANTE<br />

RESPONSABILITA’ DEL<br />

RAPPRESENTANTE<br />

RAPPRESENTANZA<br />

MODO DI ESSERE<br />

ELEMENTI SIMBOLICI DELLA<br />

RAPPRESENTANZA<br />

RAPPRESENTANZA COME<br />

“SPECCHIO”


1<br />

RAPPRESENTANZA COME CONFERIMENTO DI AUTORITA’<br />

E’ dal rapporto con <strong>il</strong> rappresentato che <strong>il</strong> rappresentante trae <strong>il</strong> TITOLO DI<br />

LEGITTIMITÀ della propria azione, nel senso che le azioni del rappresentante<br />

valgono per <strong>il</strong> rappresentato e lo impegnano. Naturalmente fa differenza se<br />

questo conferimento di autorità sia assoluto e definitivo, come lo immagina<br />

Hobbes nel suo modo di concepire <strong>il</strong> contratto sociale, o se si tratti di un<br />

conferimento di tipo temporaneo e limitato.<br />

2<br />

RAPPRESENTANZA COME CONTENUTO DELL’AGIRE DEL<br />

RAPPRESENTANTE<br />

La rappresentanza è definita in base agli interessi del rappresentato, che vanno<br />

rispettati dal rappresentante. Mentre nei REGIMI AUTORITARI prevale<br />

l’interpretazione del rappresentante come unico interprete dei reali interessi del<br />

rappresentato, la CONCEZIONE LIBERAL-DEMOCRATICA riconosce al<br />

rappresentato un ruolo più attivo rispetto alla possib<strong>il</strong>ità di esprimere i propri<br />

interessi e di controllare che essi siano rispettati dal rappresentante.


3<br />

RAPPRESENTANZA COME RESPONSABILITA’ DEL<br />

RAPPRESENTANTE<br />

In merito agli ASPETTI PROCEDURALI DEL CONTROLLO DEL RAPPRESENTANTE DA<br />

PARTE DEL RAPPRESENTATO, essi riguardano la possib<strong>il</strong>ità di quest’ultimo di<br />

sanzionare <strong>il</strong> rappresentante (attraverso la rescissione del rapporto) ut<strong>il</strong>izzando<br />

<strong>il</strong> meccanismo delle elezioni.<br />

4<br />

ELEMENTI SIMBOLICI DELLA RAPPRENTANZA<br />

Nella rappresentanza può intercorrere un RAPPORTO FORTEMENTE<br />

EMOZIONALE TRA RAPPRESENTANTE E RAPPRESENTATO, ESPRESSO SUL PIANO<br />

SIMBOLICO quando su una persona che ricopre una determinata carica si<br />

condensano determinati significati della realtà politica rappresentata (es: <strong>il</strong> capo<br />

dello Stato come rappresentante dell’unità nazionale). Questa accezione della<br />

rappresentanza risulta centrale per la definizione di organi monocratici (sia<br />

monarchici che repubblicani), mentre non appare una prerogativa delle<br />

istituzioni parlamentari.


5<br />

RAPPRESENTANZA COME “SPECCHIO”<br />

In questa accezione LA RAPPRESENTANZA È INTESA COME “RAPPRESENTATIVITÀ”,<br />

cioè come riproduzione delle caratteristiche dei soggetti rappresentati. Nel caso<br />

delle assemblee parlamentari, come riproduzione, ovviamente su scala ridotta<br />

(trattandosi di m<strong>il</strong>ioni di elettori), delle caratteristiche del corpo politico. Esistono<br />

DUE DIVERSE ESPRESSIONI DI QUESTA FORMA DI RAPPRESENTANZA:<br />

la RAPPRESENTATIVITÀ DI TIPO SOCIOLOGICO, che consiste nella riproduzione<br />

all’interno dell’organo rappresentativo di determinati caratteri della<br />

popolazione, quali genere, status, condizione professionale, appartenenza<br />

confessionale, ecc. ;<br />

la RAPPRESENTATIVITÀ DELLE OPINIONI, relativa alla riproduzione della<br />

distribuzione degli orientamenti politici presenti nella popolazione.<br />

Mentre per realizzare la rappresentatività come specchio degli orientamenti<br />

politici è disponib<strong>il</strong>e uno strumento istituzionale ad hoc (l’adozione di sistemi<br />

elettorali proporzionalistici), per la rappresentatività sociologica non esistono<br />

strumenti istituzionali analoghi, né tanto meno essa è garantita automaticamente<br />

dai meccanismi elettorali. Al contrario, nei parlamenti democratici certe posizioni<br />

(rispetto ad esempio, al genere o al tipo di occupazione) appaiono sensib<strong>il</strong>mente<br />

sovrarappresentate. Del resto, la rappresentatività sociologica non costituisce un<br />

presupposto necessario delle istituzioni elettive rappresentative. Così, nei


parlamenti di alcuni regimi non democratici del recente passato, essa veniva<br />

realizzata dall’alto, come sostituto, con funzione legittimante, degli altri contenuti<br />

della rappresentanza, che risultavano invece carenti (era questo <strong>il</strong> caso dei<br />

parlamenti degli ex regimi comunisti dell’est europeo, a partire dal Soviet supremo<br />

sovietico).<br />

Considerando indiscriminatamente tutte e cinque le accezioni del concetto di<br />

rappresentanza politica, ogni regime politico può in qualche misura essere<br />

considerato rappresentativo. In realtà l’affermarsi dell’idea di rappresentanza<br />

politica democratica, prima come rivendicazione e poi come elemento centrale<br />

dei regimi democratici, avviene in concomitanza del precisarsi di un nucleo<br />

abbastanza delimitato del concetto di rappresentanza: segnatamente, le prime<br />

tre accezioni considerate, combinate tra di loro, a cui bisogna aggiungere la<br />

presenza di un preciso contesto istituzionalizzato. Si giunge così ad una<br />

DEFINIZIONE DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA DEMOCRATICA, nei<br />

termini di “una relazione di carattere stab<strong>il</strong>e tra cittadini e governanti (entrambi<br />

intesi come soggetti pluralistici), per effetto della quale i secondi sono autorizzati<br />

a governare in nome e nell’interesse dei primi e sono soggetti ad una<br />

responsab<strong>il</strong>ità politica per i propri comportamenti di fronte ai cittadini stessi;<br />

autorità e responsab<strong>il</strong>ità politica sono realizzate attraverso meccanismi<br />

istituzionali elettorali”.


In questa definizione la rappresentanza appare contemporaneamente principio di<br />

legittimazione politica, struttura istituzionale e modalità di comportamento. In<br />

particolare, è proprio IL CARATTERE ISTITUZIONALIZZATO (identificab<strong>il</strong>e nel<br />

binomio competitivo elezioni - parlamento) che permette alla rappresentanza di<br />

essere elemento stab<strong>il</strong>e e duraturo di un sistema politico.<br />

ANTECEDENTI STORICI DELLA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA<br />

Se la rappresentanza politica democratica si è sv<strong>il</strong>uppata inizialmente IN EUROPA,<br />

a partire dalla fine del settecento, ciò è dovuto anche al fatto che si tratta di<br />

un’area territoriale che aveva conosciuto UNA CONSISTENTE TRADIZIONE DI<br />

FORME PARLAMENTARI DI TIPO MEDIOEVALE. Che l’istituto della rappresentanza<br />

politica fosse già radicato nel mondo medioevale non significa, però, che si possa<br />

riscontrare un’ininterrotta continuità istituzionale tra i due tipi di esperienze<br />

politiche. Anzi, gli elementi di differenziazione tra parlamentarismo medioevale e<br />

parlamentarismo moderno sono certamente superiori a quelli di somiglianza,<br />

per cui si può dire che, fra le due esperienze, la discontinuità prevale sulla<br />

continuità.<br />

LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI PARLAMENTI PREMODERNI<br />

possono essere così riassunte:


STRUTTURE<br />

ISTITUZIONALI<br />

COMPLESSE E<br />

RAPPRESENTATIVITA’ DI<br />

TIPO SOCIOLOGICO<br />

CARATTERE<br />

FORTEMENTE<br />

DECENTRATO<br />

VARIABILE GRADO DI<br />

ISTITUZIONALIZZAZIONE<br />

Riflettono la struttura della società, articolata in ceti<br />

legalmente differenziati (alta e bassa nob<strong>il</strong>tà, alto e<br />

basso clero, borghesia cittadina e rurale).<br />

RAPPRESENTATIVITÀ SOCIOLOGICA che offre<br />

un’immagine a scala ridotta di una realtà pluralistica<br />

legata a caratteri ascritti. Se l’alta nob<strong>il</strong>tà e l’alto<br />

clero si rappresentano intervenendo di persona, gli<br />

altri ceti sociali inviano invece dei rappresentanti.<br />

Presenza di una pluralità di sedi e livelli di autorità nel<br />

sistema politico medioevale. All’interno di una stessa<br />

monarchia potevano esistere un gran numero di<br />

PARLAMENTI PROVINCIALI, mentre non sempre<br />

esisteva un parlamento centrale.<br />

MUTA DA PAESE A PAESE. Vi sono parlamenti<br />

convocati nel tempo con una certa frequenza, ed altri<br />

che si riuniscono solo molto saltuariamente (Gli “Stati<br />

generali” francesi, che <strong>il</strong> sovrano è costretto a<br />

convocare alla vig<strong>il</strong>ia della rivoluzione, non erano stati<br />

convocati da cento anni).


MECCANISMI POLITICI<br />

DI FORMAZIONE E<br />

CONVOCAZIONE<br />

Riflettono <strong>il</strong> sostanziale DUALISMO DEL SISTEMA POLITICO A<br />

CUI APPARTENGONO, che vede, da una parte, l’autotutela<br />

dei poteri periferici contro i tentativi di prevaricazione del<br />

potere regio; dall’altra, la centralità dell’iniziativa regia per<br />

la convocazione di questi parlamenti, per cui questi ultimi<br />

sarebbero degli strumenti attraverso cui <strong>il</strong> monarca costruisce<br />

<strong>il</strong> consenso in una società frammentata.<br />

Esistono certamente delle SOMIGLIANZE TRA PARLAMENTI MODERNI<br />

E PREMODERNI: esiste in entrambi una LOGICA DI RAPPRESENTANZA, sottesa<br />

ad una concezione del corpo politico come dotato di soggettività e non come puro<br />

oggetto di dominio; questo corpo politico esprime a sua volta una REALTÀ<br />

PLURALE E COMPOSITA, in grado di esprimere, attraverso i parlamenti,<br />

orientamenti politici diversi e interessi autonomi.<br />

Più importanti di queste somiglianze appaiono però le differenze, che possono<br />

essere ricondotte ad ALCUNI FONDAMENTALI ELEMENTI DI<br />

DISCONTINUITÀ DEL PARLAMENTI MODERNI RISPETTO A QUELLI<br />

PREMODERNI:


PARLAMENTARISMO MODERNO E PREMODERNO: ELEMENTI DI DISCONTINUITA’<br />

TIPO DI<br />

PLURALISMO<br />

TIPO DI<br />

RAPPRESENTANZA<br />

PROCESSI<br />

FORMATIVI<br />

COLLOCAZIONE<br />

SISTEMICA<br />

PARLAMENTARISMO<br />

PREMODERNO<br />

Espressione della pluralità<br />

di condizioni giuridiche<br />

(diseguali) nella società<br />

Corporativa<br />

Marginalità del metodo di<br />

selezione dei fiduciari dei<br />

diversi ceti sociali<br />

(l’elezione non è<br />

indispensab<strong>il</strong>e)<br />

Ruolo di “antagonista” del<br />

potere monarchico (in un<br />

sistema dualista)<br />

PARLAMENTARISMO<br />

MODERNO<br />

Espressione della pluralità<br />

di opinioni e interessi fra<br />

individui e gruppi<br />

formalmente uguali<br />

Individualistica<br />

Centralità delle elezioni<br />

competitive come metodo<br />

di selezione dei<br />

rappresentanti<br />

Ruolo di “protagonista” del<br />

sistema politico<br />

(fondamentale per la<br />

composizione dei conflitti)


VARIANTI STRUTTURALI DEI PARLAMENTI CONTEMPORANEI<br />

Le assemblee parlamentari non sono l’unica espressione strutturale della<br />

rappresentanza (nei sistemi presidenziali, infatti, <strong>il</strong> vertice dell’esecutivo, in quanto<br />

eletto direttamente, assume una valenza rappresentativa indipendente); hanno<br />

tuttavia un RUOLO CENTRALE NEL DISEGNO ISTITUZIONALE DELLE ODIERNE<br />

LIBERALDEMOCRAZIE: infatti, non esistono democrazie “solo presidenziali”,<br />

mentre esistono democrazie “solo parlamentari” (nel senso che soltanto <strong>il</strong><br />

parlamento è eletto direttamente).<br />

Ma la centralità del parlamento nei sistemi politici democratici è dovuta anche al<br />

CARATTERISTICO RUOLO BIFRONTE di questa istituzione, che appare essenziale<br />

sia sul versante degli input che su quello degli output del sistema politico: se da<br />

un lato, infatti, <strong>il</strong> parlamento è espressione della società e delle sue domande, che<br />

nelle aule parlamentari vengono rappresentate, dall’altro è profondamente<br />

coinvolto sul versante delle decisione politiche, che nelle aule parlamentari<br />

trovano <strong>il</strong> loro sbocco attraverso <strong>il</strong> voto.<br />

LE VARIANTI STRUTTURALI DEI PARLAMENTI CONTEMPORANEI riguardano la<br />

presenza di una o due Camere, l’articolazione interna in un sistema di<br />

commissioni, l’articolazione lungo linee di divisione partitiche e, infine,<br />

l’articolazione del rapporto fra governo e parlamento. Tutti questi aspetti non


vanno considerati soltanto da un punto di vista formale, cioè in riferimento ad un<br />

ampio corpo di norme giuridiche di varia natura (costituzionale, legislative,<br />

regolamentari e consuetudinarie) da cui questi aspetti sono definiti, ma<br />

soprattutto da un punto di vista sostanziale, relativo alla natura dei soggetti<br />

politici, individuali e collettivi, in essi coinvolti.<br />

1<br />

MONOCAMERALISMO E TIPI DI BICAMERALISMO<br />

La differenza fra modelli monocamerali e bicamerali riguarda la contrapposizione<br />

fra l’ut<strong>il</strong>izzazione di un criterio unico di rappresentanza e l’ut<strong>il</strong>izzazione di criteri<br />

diversi. In particolare, L’ADOZIONE DI UN SISTEMA BICAMERALE PUÒ DIPENDERE<br />

DA:<br />

Esigenze di conservazione di forme di parlamentarismo pre-democratico. E’<br />

una forma di parlamentarismo tipico della prima fase della democratizzazione,<br />

oggi estinto (salve l’eccezione britannica della Camera dei Lords).<br />

Forma di compromesso rappresentativo tra concezione unitaria e policentrica<br />

della rappresentanza (di tipo federale o regionalistica), in cui alla rappresentanza<br />

individuale si aggiunge una forma di rappresentanza di unità sub-nazionali. (E’ <strong>il</strong><br />

caso degli Stati Uniti, della Germania o della Svizzera).<br />

Caso atipico del bicameralismo paritario italiano, dove attualmente l’unica<br />

variazione riguarda i diversi meccanismi elettorali previsti per le due camere.


I sistemi bicamerali si differenziano anche in base ai diversi poteri attribuiti ai due<br />

rami del parlamento, che possono essere simmetrici o asimmetrici.<br />

Combinando queste due dimensioni, si possono così individuare QUATTRO<br />

DIVERSI TIPI DI PARLAMENTO:<br />

MODELLI DI BICAMERALISMO<br />

DIVERSA BASE<br />

RAPPRESENTATIVA<br />

UGUALE BASE<br />

RAPPRESENTATIVA<br />

POTERI SIMMETRICI<br />

BICAMERALISMO<br />

FORTE O BILANCIANTE<br />

(Stati Uniti)<br />

BICAMERALISMO<br />

RIDONDANTE<br />

(Italia)<br />

POTERI ASIMMETRICI<br />

BICAMERALISMO DEBOLE<br />

(Gran Bretagna)<br />

BICAMERALISMO A BASE<br />

FUNZIONALE<br />

(Progetto italiano di<br />

Senato delle regioni)


2<br />

IL SISTEMA DELLE COMMISSIONI<br />

Una forma particolarmente importante di decentramento dei lavori parlamentari,<br />

assolutamente necessaria data la mole e la tecnicità del lavoro parlamentare, è<br />

costituita dall’ARTICOLAZIONE IN COMMISSIONI. I modi di realizzare questa<br />

articolazione differiscono però sensib<strong>il</strong>mente nei diversi parlamenti, soprattutto<br />

rispetto alla diversa importanza assegnata alle commissioni rispetto al lavoro in<br />

aula. Le commissioni legislative (che differiscono da altri tipi di commissione,<br />

come le commissioni di inchiesta), oltre alle funzioni di istruttoria ed<br />

emendamento della legislazione, possono avere anche funzioni di controllo sui<br />

governi, attraverso poteri di interpellanza dei ministri e di altri soggetti r<strong>il</strong>evanti.<br />

IL PESO DEL SISTEMA DELLE COMMISSIONI dipende dalla maggiore o minore<br />

SPECIALIZZAZIONE FUNZIONALE e dal GRADO DI STABILITÀ dei loro componenti.<br />

Per quanto riguarda la LEADERSHIP DELLE COMMISSIONI, fa differenza se le<br />

presidenze di questi organi sono affidate solo a esponenti della maggioranza di<br />

governo, oppure se anche altri partiti possono accedervi. In questo secondo caso,<br />

la presidenza si collega maggiormente alla logica interna delle commissioni. Anche<br />

<strong>il</strong> ruolo affidato ai presidenti può essere differente, variando da un ruolo di<br />

garanzia procedurale ad un ruolo più politico di controllo dell’agenda dei lavori.<br />

In generale, quanto più alta è la specializzazione funzionale e la stab<strong>il</strong>ità dei


componenti della commissione e quanto più la leadership sarà di origine interna,<br />

tanto più forte sarà <strong>il</strong> peso del sistema delle commissioni sui lavori parlamentari:<br />

commissioni di questo genere, grazie ai rispettivi rapporti da un lato con gli<br />

interessi, dall’altro con i rispettivi ministri e le burocrazie governative, possono così<br />

giocare un ruolo molto importante nel processo di policy making.<br />

I due casi estremi in cui si condensano un alto o basso grado di presenza delle<br />

caratteristiche sopra elencate sono le Commissioni della Camera dei<br />

rappresentanti degli Stati Uniti, da una parte, e le cosiddette Standing<br />

Commettees inglesi (prive di specializzazione funzionale e con una composizione<br />

interna che cambia ad ogni legge a loro affidata), dall’altra.<br />

3<br />

L’ARTICOLAZIONE DEI PARLAMENTI LUNGO LINEE PARTITICHE<br />

I partiti sono i principali intermediari della rappresentanza. Di conseguenza, i<br />

diversi modelli organizzativi dei partiti che si sono succeduti nel tempo hanno<br />

dato vita a classi parlamentari profondamente diverse. Oggi i principali soggetti<br />

della vita parlamentare sono i GRUPPI PARLAMENTARI, soggetti collettivi<br />

generalmente legati da un vincolo di lealtà e dipendenza a un <strong>partito</strong> con una<br />

propria identità organizzativa esterna al parlamento. Ciò consente di ridurre<br />

drasticamente la complessità dei parlamenti e aumenta contemporaneamente la<br />

prevedib<strong>il</strong>ità dell’azione parlamentare, legate alle decisioni dei gruppi più


importanti. A parte gli Stati Uniti, in cui <strong>il</strong> basso grado di strutturazione dei partiti<br />

consente una caratterizzazione fortemente individualistica del Congresso, <strong>il</strong><br />

RAPPORTO TRA LIVELLO INDIVIDUALE E LIVELLO PARTITICO DI ARTICOLAZIONE<br />

DEI PARLAMENTI può essere ricondotto a due diversi modelli che vedono<br />

rispettivamente la preminenza del gruppo parlamentare sul <strong>partito</strong> (come nel<br />

caso dei Conservatori inglesi) o la preminenza dell’apparato organizzativo<br />

extraparlamentare sul gruppo parlamentare (come nel caso del PCI, almeno fino<br />

agli anni ottanta). Nella realtà, però, è più fac<strong>il</strong>e che si affermi un modello ibrido,<br />

in cui all’autorità preminente del <strong>partito</strong> esterno si contrappone una classe<br />

parlamentare non certo priva di risorse autonome, quali <strong>il</strong> seguito elettorale dei<br />

singoli parlamentari, la capacità acquisita da questi ultimi di padroneggiare le<br />

tecniche parlamentari e <strong>il</strong> controllo dello posizioni di autorità all’interno della<br />

stessa istituzione parlamentare.<br />

4<br />

L’ARTICOLAZIONE GOVERNO - OPPOSIZIONE<br />

Poiché nelle FORME DI GOVERNO PARLAMENTARI <strong>il</strong> parlamento ha <strong>il</strong><br />

compito di “produrre” e legittimare l’esecutivo (attraverso un voto di fiducia<br />

esplicito o implicito), esso tende ad articolarsi lungo la linea di divisione fra le<br />

forze che sostengono <strong>il</strong> governo e quelle che vi si oppongono, per cui si verrà a


determinare una sostanziale identificazione fra maggioranza parlamentare e<br />

governo, da una parte, e fra minoranza parlamentare e opposizione, dall’altra. In<br />

questo caso <strong>il</strong> governo diventa, in quanto fiduciario e guida della maggioranza<br />

parlamentare, uno dei soggetti più r<strong>il</strong>evanti all’interno del parlamento stesso.<br />

In realtà, però, l’identificazione governo-maggioranza parlamentare non sempre<br />

è così netta, se non altro perché l’azione del governo non fa riferimento solo al<br />

parlamento e perché non tutta la maggioranza parlamentare può stare nel<br />

governo. In particolare, SUL DUALISMO, PIÙ O MENO ACCENTUATO, FRA<br />

GOVERNO E MAGGIORANZA PARLAMENTARE GIOCA UNA IMPORTANTE<br />

INFLUENZA IL TIPO DI SISTEMA PARTITICO:<br />

SISTEMI<br />

BIPARTITICI<br />

Essendo caratterizzati da GOVERNI A MAGGIORANZA<br />

PARLAMENTARE MONOPARTITICA, in essi si realizza la<br />

piena coincidenza fra governo e maggioranza<br />

parlamentare, almeno fino a quando sarà alta la coesione<br />

all’interno del <strong>partito</strong> di governo. Questa coesione è a sua<br />

volta influenzata dal rischio che dissidi nella maggioranza<br />

portino a nuove elezioni e al conseguente rischio di<br />

perdere <strong>il</strong> controllo del parlamento.


SISTEMI<br />

PLURIPARTITICI<br />

A parte alcuni sistemi a pluripartitismo moderato in cui c’è<br />

un governo monopartitico (e in cui , quindi, varranno le<br />

stesse condizioni del bipartitismo), questi sistemi<br />

comportano dei GOVERNI DI COALIZIONE, caratterizzati da<br />

inevitab<strong>il</strong>i processi di accomodamento tra differenti<br />

identità e programmi politici dei diversi partiti di governo.<br />

La variab<strong>il</strong>e fondamentale sarà allora l’estensione dello<br />

spettro politico della coalizione: infatti, quanto più esso<br />

sarà elevato, tanto più una parte dei gruppi parlamentari<br />

si identificherà solo parzialmente nel governo e tenderà a<br />

fornire al governo stesso un sostegno solo provvisorio, in<br />

attesa di poter trasferire <strong>il</strong> proprio sostegno ad un governo<br />

più vicino sul piano ideologico-programmatico.<br />

In presenza poi di GRANDI COALIZIONI (governi<br />

sovrabbondanti), la mancanza di un’opposizione<br />

significativa in parlamento (e quindi di una possib<strong>il</strong>e<br />

alternativa di governo) accentuerà la tendenza a<br />

comportamenti centrifughi; in presenza, invece, di<br />

GOVERNI DI MINORANZA, <strong>il</strong> governo sarà sostenuto<br />

stab<strong>il</strong>mente da alcuni gruppi parlamentari, mentre dovrà<br />

negoziare volta per volte <strong>il</strong> sostegno di altri gruppi.


Se si ut<strong>il</strong>izzano congiuntamente le quattro dimensioni strutturali dei parlamenti, si<br />

delineano DUE MODELLI OPPOSTI DI PARLAMENTO: nel PARLAMENTO<br />

POLICENTRICO si concentreranno le variab<strong>il</strong>i più centrifughe delle diverse<br />

dimensioni, nel PARLAMENTO AVVERSARIALE le variab<strong>il</strong>i più centripete. Questi<br />

due modelli rappresentano i poli di un continuum lungo <strong>il</strong> quale si possono<br />

identificare delle posizioni intermedie, nelle quali si collocano la maggior parte<br />

dei parlamenti:<br />

PARLAMENTO POLICENTRICO<br />

• BICAMERALISMO REALE<br />

• SISTEMA DI COMMISSIONI<br />

FORTE<br />

• PARTITI POCO COESI E/O IN<br />

NUMERO ELEVATO<br />

• LIMITATA SALIENZA DELLA<br />

COPPIA GOVERNO/OPPOSIZIONE<br />

PARLAMENTO AVVERSARIALE<br />

• MONOCAMERALISMO, O<br />

BICAMERALISMO FORMALE<br />

• SISTEMA DI COMMISSIONI<br />

DEBOLE<br />

• SISTEMA BIPARTITICO CON<br />

PARTITI COESI<br />

• STRETTA IDENTIFICAZIONE FRA<br />

GOVERNO E MAGGIORANZA<br />

PARLAMENTARE


Del tutto differente appare <strong>il</strong> discorso se si considerano i SISTEMI<br />

PRESIDENZIALI. Qui i rapporti maggioranza/minoranza e governo/opposizione<br />

saranno fra di loro molto più indipendenti perché <strong>il</strong> Presidente (che è anche <strong>il</strong><br />

capo dell’esecutivo), essendo eletto direttamente, appare sganciato dalla<br />

maggioranza parlamentare (non esiste l’istituto della fiducia parlamentare al<br />

governo). Così la posizione del governo può anche coincidere con quella della<br />

minoranza in parlamento e, di conseguenza, la maggioranza parlamentare può<br />

assumere <strong>il</strong> ruolo di opposizione al governo. In realtà, soprattutto negli Stati Uniti<br />

(visto la natura dei partiti di quel paese) un presidente che non può disporre della<br />

maggioranza parlamentare tenderà ad ut<strong>il</strong>izzare tecniche negoziali (<strong>il</strong> lobbying)<br />

per mob<strong>il</strong>itare, su singoli provvedimenti politici, <strong>il</strong> sostegno di un certo numero di<br />

parlamentari del <strong>partito</strong> avverso.<br />

FUNZIONI DELLE ISTITUZIONI PARLAMENTARI<br />

In tema di funzioni dei parlamenti sorge <strong>il</strong> problema di mettere a confronto una<br />

serie di schemi molto radicati che definiscono tali funzioni dal PUNTO DI VISTA<br />

NORMATIVO, desumendole dalle attribuzioni di poteri prescritte dalle carte<br />

costituzionali, con un’ANALISI EMPIRICA del reale funzionamento dei parlamenti.<br />

Punto di partenza dell’analisi possono essere le sei classiche funzioni parlamentari


che BAGEHOT, in riferimento al contesto inglese, elencava già a metà<br />

dell’ottocento, in una riformulazione sintetica che le accorpa in TRE GRUPPI DI<br />

FUNZIONI: rappresentative, di controllo e di policy making.<br />

FUNZIONI DI<br />

RAPPRESENTANZA<br />

ESPRESSIVA<br />

EDUCATIVA<br />

INFORMATIVA<br />

Trasmissione degli orientamenti<br />

popolari<br />

Elevazione delle opinioni<br />

popolari<br />

Comunicazione degli interessi<br />

delle minoranze<br />

FUNZIONE DI<br />

CONTROLLO<br />

SUL GOVERNO<br />

FUNZIONE DI<br />

POLICY<br />

MAKING<br />

ELETTIVA<br />

FINANZIARIA<br />

LEGISLATIVA<br />

FINANZIARIA<br />

Designazione dell’esecutivo<br />

Mozioni di censura su imposte e<br />

b<strong>il</strong>anci<br />

Elaborazione e approvazione<br />

delle leggi<br />

Approvazione di imposte e<br />

b<strong>il</strong>anci


1<br />

FUNZIONI DI RAPPRESENTANZA<br />

Se IL MODELLO NORMATIVO della rappresentanza contenuto in tutte le<br />

costituzioni, secondo <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> parlamento rappresenta <strong>il</strong> popolo, è molto<br />

semplice, è anche formulato ad un livello di astrazione tale da renderlo di scarsa<br />

ut<strong>il</strong>ità empirica. Sorgono infatti una serie di domande, a cui la definizione<br />

normativa non può dare risposta: chi è in realtà <strong>il</strong> soggetto dell’azione<br />

rappresentativa? Qual è l’oggetto della rappresentanza? Qual è la natura del<br />

rapporto tra rappresentante e rappresentato? L’ESAME DELLA REALTÀ EMPIRICA<br />

CONSENTE DI DARE UNA RISPOSTA A QUESTE DOMANDE.<br />

In primo luogo, <strong>il</strong> soggetto dell’azione rappresentativa sono sia i singoli<br />

parlamentari che una pluralità di raggruppamenti più o meno formalizzati<br />

presenti in parlamento, quali commissioni, gruppi parlamentari e aggregazioni di<br />

parlamentari che si formano intorno a specifici interessi.<br />

In merito all’oggetto della rappresentanza, l’osservazione empirica consente di<br />

scomporre gli astratti concetti di “popolo” o “nazione” in una molteplicità di<br />

entità distinte, spesso in competizione fra di loro (interessi di gruppi territoriali,<br />

categorie funzionali, schieramenti partitici, movimenti di opinione, ecc.) che<br />

determinano <strong>il</strong> carattere pluralistico delle società democratiche. Esiste dunque<br />

una pluralità di domande, spesso particolaristiche, che <strong>il</strong> parlamento è chiamato a


prendere in considerazione e allo stesso tempo a ridurre entro limiti definiti (di<br />

vario genere, ma soprattutto in relazione con le risorse a disposizione per<br />

soddisfarle).<br />

Per quanto riguarda infine <strong>il</strong> rapporto tra rappresentante e rappresentato, <strong>il</strong><br />

problema appare quello di verificare quali siano i margini di indipendenza del<br />

primo rispetto al controllo esercitato dal secondo: qui la contrapposizione classica<br />

appare quella tra la figura di un delegato vincolato da un mandato e quella di un<br />

fiduciario con ampia libertà di azione.<br />

SE IL PARLAMENTO NON È LA SEDE ESCLUSIVA DELLA RAPPRESENTANZA, ESSO<br />

APPARE PERÒ CENTRALE E INSOSTITUIBILE NEI SISTEMI DEMOCRATICI,<br />

SVOLGENDO UN RUOLO STRATEGICO DI GARANZIA DI ALCUNI ASPETTI<br />

FONDAMENTALI DI TALE FUNZIONE. Il parlamento, infatti:<br />

rappresenta <strong>il</strong> contesto istituzionalizzato più articolato e sistematico di<br />

raccordo tra i cittadini e la classe politica;<br />

appare <strong>il</strong> contesto istituzionalizzato più adatto a rappresentare <strong>il</strong> pluralismo<br />

del corpo sociale, ovviamente interagendo con la presenza di altri importanti<br />

elementi (quali <strong>il</strong> sistema elettorale ed <strong>il</strong> sistema partitico) capaci di influire sulla<br />

qualità della rappresentanza pluralista: in tal senso, la pluralità di queste posizioni<br />

sarà compresa fra due modelli polari, che vedono ad un estremo <strong>il</strong> confronto tra<br />

due posizioni coese in contrapposizione tra di loro e dall’altro una atomizzazione<br />

delle posizioni.


Il parlamento realizza però al suo interno anche importanti meccanismi, formali<br />

e informali, di riduzione dello stesso pluralismo, consentendo una sostanziale<br />

moderazione della competizione pluralistica ed evitando che essa degeneri in<br />

forme più radicali (e violente) di antagonismo. Questo avviene sia attraverso la<br />

ritualizzazione del conflitto, regolato dalla comune accettazione di procedure e<br />

“regole del gioco” interne alle aule parlamentari, sia attraverso l’incentivazione<br />

della collaborazione fra le parti. Quest’ultimo aspetto è evidenziato dal fatto che<br />

spesso sia la maggioranza che l’opposizione trovano maggior convenienza a<br />

collaborare fra di loro, come dimostra la r<strong>il</strong>evazione empirica della presenza in<br />

tutti i parlamenti (sia pure in grado variab<strong>il</strong>e) di leggi approvate a maggioranze<br />

molto ampie (che coinvolgono quindi nella decisione anche le opposizioni). Ciò<br />

accade perché da un lato la maggioranza, anche quando avrebbe gli strumenti per<br />

prevalere, ha interesse ad evitare un prolungato ed esasperato ostruzionismo<br />

dell’opposizione che metterebbe in pericolo la realizzazione del proprio<br />

programma; dall’altro, l’opposizione intravede, attraverso una sua disponib<strong>il</strong>ità<br />

alla collaborazione, la possib<strong>il</strong>ità di realizzare almeno parzialmente alcuni dei<br />

propri obiettivi. Del resto, sul piano storico, un esempio particolarmente<br />

significativo di moderazione della competizione pluralistica è costituito dalla<br />

progressiva parlamentarizzazione della classe politica di molti partiti socialisti<br />

europei, a cavallo fra <strong>il</strong> XIX e <strong>il</strong> XX secolo, che produsse un’attenuazione del loro


originario, fino ad una loro piena accettazione della logica democratica,<br />

fenomeno che in una certa misura ha interessato anche alcuni partiti della nuova<br />

sinistra, alla fine del XX secolo.<br />

2<br />

FUNZIONE DI CONTROLLO SUL GOVERNO<br />

La funzione di controllo parlamentare dell’esecutivo è stata formulata in un<br />

contesto storico in cui i governi erano ancora espressione del potere monarchico,<br />

e, quindi, basati su una diversa legittimazione rispetto al parlamento. Ma la<br />

realizzazione della piena democratizzazione ha cambiato non poco le cose: la<br />

monarchia, anche dove è rimasta, è divenuta anch’essa “parlamentare”, perdendo<br />

così la maggior parte delle proprie prerogative e mantenendo delle funzioni poco<br />

più che simboliche. Di conseguenza, gli esecutivi sono stati ricondotti all’interno<br />

del circuito rappresentativo per cui governo e parlamento non sono più due<br />

entità distinte ma, al contrario, profondamente connesse.<br />

Almeno ALL’INTERNO DEI SISTEMI PARLAMENTARI, molto stretto appare così <strong>il</strong><br />

nesso fra governo e maggioranza parlamentare: da un lato <strong>il</strong> governo può essere<br />

visto come espressione della maggioranza parlamentare, dall’altro tende a dirigere<br />

politicamente <strong>il</strong> parlamento, attraverso la leadership che esercita sulla


maggioranza. Anche <strong>il</strong> personale politico delle due istituzioni tende a<br />

sovrapporsi, nel senso che le compagini ministeriali appaiono generalmente<br />

composte da parlamentari in carica. Se di controllo del governo bisogna parlare,<br />

esso non riguarda tanto <strong>il</strong> parlamento nel suo complesso, quanto le forze di<br />

opposizione. Tuttavia, non essendo possib<strong>il</strong>e “travasare” tutta la maggioranza<br />

parlamentare nel governo, vi saranno sempre dei settori marginali della<br />

maggioranza parlamentare (i cosiddetti backbencher) che, in materia di controllo<br />

del governo, tenderanno a comportarsi in modo sim<strong>il</strong>e alle opposizioni,<br />

ostacolando e ritardando l’attuazione dei programmi di governo.<br />

De tutto diverso appare <strong>il</strong> discorso per I SISTEMI PRESIDENZIALI, dove è la stessa<br />

forma di governo a determinare la separazione fra le due istituzioni, entrambe<br />

legittimate direttamente dal voto popolare: <strong>il</strong> problema del controllo appare<br />

quindi centrale in questi sistemi, soprattutto quando maggioranza parlamentare e<br />

maggioranza presidenziale non coincidono (quello che viene definito “governo<br />

diviso”). In questo caso <strong>il</strong> controllo sarà esercitab<strong>il</strong>e nelle due direzioni: <strong>il</strong><br />

parlamento eserciterà un controllo sul presidente ut<strong>il</strong>izzando i suoi poteri<br />

legislativi e di inchiesta; <strong>il</strong> presidente controllerà <strong>il</strong> parlamento ricorrendo ai suoi<br />

poteri di veto e di influenza politica.


3<br />

FUNZIONE LEGISLATIVA<br />

Quella legislativa è una funzione preminente delle assemblee parlamentari, nel<br />

senso che in tutte le costituzioni dei paesi democratici la forma di produzione<br />

legislativa di rango più elevata è attribuita al parlamento.<br />

SUL PIANO PROCEDURALE ciò significa che i provvedimenti normativi, per<br />

acquisire <strong>il</strong> rango di legge, devono seguire un iter decisionale prefissato che si<br />

svolge all’interno del parlamento. Naturalmente all’interno dei sistemi<br />

parlamentari <strong>il</strong> governo è anch’esso un soggetto parlamentare, che ha un ruolo<br />

preminente in campo legislativo. Oltre al predominio dell’iniziativa governativa<br />

rispetto a quella parlamentare nella presentazione di testi di legge da approvare in<br />

parlamento, emerge infatti un maggior tasso di successo dei disegni di legge<br />

governativi, rispetto alle proposte di legge presentate dai parlamentari.<br />

Naturalmente vi sono variazioni tra i vari paesi, per, mentre in alcuni paesi<br />

l’iniziativa parlamentare e assai bassa, in altri (come l’Italia e gli Stati Uniti) essa<br />

appare molto più r<strong>il</strong>evante (fermo restando che <strong>il</strong> tasso di successo resta inferiore a<br />

quello dell’iniziativa governativa). Un ulteriore elemento da valutare per misurare<br />

l’influenza dei parlamentari (sia dell’opposizione, che appartenenti alla stessa<br />

maggioranza governativa) è poi quello della presentazione di emendamenti alla


legislazione di iniziativa governativa.<br />

A prescindere dagli aspetti procedurali, bisogna infine notare che, SUL PIANO<br />

SOSTANZIALE, come vengono approvate le leggi non coincide necessariamente<br />

con chi effettivamente le scriva e ne determini i contenuti; anzi, i veri promotori<br />

dell’iniziativa legislativa (governativa o parlamentare) sono spesso i portavoce di<br />

un gran numero di soggetti “esterni” al parlamento, quali partiti, sindacati,<br />

gruppi di interesse e governi locali, oltre naturalmente a settori<br />

dell’amministrazione burocratica, centrale e periferica.<br />

Il forte controllo dell’esecutivo sullo svolgimento dell’attività parlamentare, e in<br />

particolare <strong>il</strong> suo protagonismo in materia legislativa, da una parte, e <strong>il</strong> peso<br />

r<strong>il</strong>evante assunto dai partiti nella gestione dei parlamenti dall’altra, è stato<br />

descritto da molti commentatori in chiave di “DECLINO DEI PARLAMENTI”. E’ una<br />

tesi che fa riferimento ad un modello ideale e dottrinario di parlamento, senza<br />

tenere in considerazione le variazioni che sul piano empirico ha subito nel tempo<br />

lo stesso rapporto fra governo, parlamento e partiti. Oggi infatti sia i partiti che <strong>il</strong><br />

governo appaiono “interni” al parlamento: gran parte della classe politica<br />

partitica è ormai parlamentarizzata, mentre l’esecutivo non è più, come alle<br />

origini, “esterno” al parlamento, ma tra da esso la propria stessa legittimazione.


3.5 GOVERNI E FORME DI GOVERNO


ISTITUZIONE GOVERNO E FUNZIONE DI GOVERNO<br />

La presenza del governo è un ELEMENTO COSTANTE DELLA POLITICA. Altre<br />

strutture come partiti, parlamenti, elezioni, apparati burocratici possono mancare,<br />

ma la presenza di uno o più luoghi dai quali si esercita l’autorità appare inerente<br />

all’esistenza stessa della politica, comunque la si definisca.<br />

Nonostante nel linguaggio comune si usi lo stesso termine, è bene distinguere <strong>il</strong><br />

GOVERNO COME ESERCIZIO DI UN’ATTIVITÀ, cioè come espletamento di una<br />

specifica FUNZIONE, dal GOVERNO COME SOGGETTO POLITICO, cioè come<br />

ISTITUZIONE. Queste due dimensioni sono strettamente connesse, ma non del<br />

tutto sovrapponib<strong>il</strong>i. Se in sistemi poco differenziati funzione e istituzione<br />

tendono a coincidere (ad esempio, nella persona del sovrano assoluto che detiene<br />

<strong>il</strong> monopolio della funzione di governo), nei sistemi più differenziati come quelli<br />

contemporanei l’istituzione governativa può condividere, sia giuridicamente che<br />

sul piano pratico, la funzione di governo anche con altre istituzioni (parlamenti,<br />

autorità indipendenti, istituzioni giudiziarie, ecc.).<br />

LA FUNZIONE DI GOVERNO<br />

Il termine “governo” deriva dal greco kubernao, che significa “dirigere con <strong>il</strong><br />

timone”. La metafora del timoniere (evocando l’immagine di chi guida la nave,<br />

assumendosi nei confronti dei propri compagni la responsab<strong>il</strong>ità di mantenere la


otta e di proteggerli dagli imprevisti della navigazione) così come altre metafore<br />

dello stesso tipo (<strong>il</strong> pastore del gregge, <strong>il</strong> padre di famiglia, <strong>il</strong> condottiero di un<br />

esercito), tutte di ORIGINE PRE-DEMOCRATICA, sottolineano la convergenza in<br />

uno stesso individuo dell’esercizio di un’autorità suprema nonché della<br />

responsab<strong>il</strong>ità, nei confronti dei sottoposti, per <strong>il</strong> modo in cui tale autorità viene<br />

gestita.<br />

L’EPOCA LIBERALDEMOCRATICA, dove la legittimazione all’esercizio della<br />

sovranità deriva dal popolo, ha sv<strong>il</strong>uppato un linguaggio costituzionale in cui <strong>il</strong><br />

governo viene definito come “potere esecutivo”, per sottolineare la<br />

subordinazione del governo alla legge in uno stato di diritto. Ne deriva la<br />

designazione delle due principali istituzioni politiche (parlamento e governo) come<br />

“LEGISLATIVO” e “ESECUTIVO”. Questa netta separazione presente nel<br />

linguaggio costituzionale non appare però realistica. Infatti:<br />

• alcune attività dei governi (come la politica estera o la politica monetaria) non<br />

possono essere considerate come immediatamente discendenti dalla<br />

legislazione;<br />

• La funzione di iniziativa legislativa è svolta in gran parte dai governi (nel nostro<br />

paese i disegni di legge, di origine governativa, che si contrappongono alle<br />

proposte di legge, di origine parlamentare; per non parlare dei decreti-legge,<br />

immediatamente operativi, sempre più massicciamente usati dal governo al di là<br />

delle previste condizioni di necessità ed urgenza); inoltre <strong>il</strong> governo, esercitando <strong>il</strong>


suo ruolo di guida all’interno delle stesse assemblee legislative, finisce per essere<br />

l’artefice della stessa attività legislativa.<br />

Quindi, nei regimi liberaldemocratici, piuttosto che mera esecuzione di<br />

un’attività legislativa (nella quale, invece, appare direttamente coinvolto), la<br />

funzione del governo può essere semmai considerata come “delimitata e<br />

regolamentata dalla legge”.<br />

Per quanto riguarda I CONTENUTI CONCRETI DELLA FUNZIONE DI GOVERNO,<br />

appare molto diffic<strong>il</strong>e definirli una volta per tutte, vista l’estrema variab<strong>il</strong>ità delle<br />

attività che a tale funzione possono essere ricondotte. A periodi in cui l’attività di<br />

governo si espande a dismisura nei campi più diversi, si contrappongono infatti<br />

periodi (come quello attuale) in cui <strong>il</strong> governo tende a diminuire i propri interventi,<br />

restituendo molte attività alla libera azione del mercato e di enti privati. Restano<br />

tuttavia due attività fondamentali che in qualsiasi epoca <strong>il</strong> governo deve<br />

esercitare perché possa esistere la politica stessa: la TUTELA DELLA COMUNITÀ<br />

POLITICA DALLE MINACCE ESTERNE e <strong>il</strong> MANTENIMENTO DELL’UNITÀ INTERNA<br />

DELLA STESSA COMUNITÀ POLITICA. Non a caso queste due funzioni sono<br />

direttamente collegate con l’uso della forza, sia contro i nemici esterni, che per<br />

mantenere l’ordine interno.<br />

La garanzia armata (basata sull’esercito e sulla polizia) posta a tutela di queste<br />

due funzioni “minime” del governo non deve però far ritenere che tali funzioni<br />

possano svolgersi solamente attraverso modalità di tipo coercitivo. Esistono


anche modi, altrettanto importanti, di assolvere queste funzioni che hanno invece a<br />

che fare con modalità pacifiche:<br />

ELEMENTI<br />

COSTANTI<br />

DELLA<br />

FUNZIONE<br />

DI<br />

GOVERNO<br />

PROBLEMA DELLA GUERRA E DELLA PACE<br />

(Mantenimento dell’unità della comunità politica<br />

verso l’esterno)<br />

• IN NEGATIVO: uso della forza m<strong>il</strong>itare degli<br />

eserciti.<br />

• IN POSITIVO: attività diplomatiche, economiche e<br />

commerciali nei confronti degli altri stati (Si veda,<br />

ad esempio, la crescita del processo di integrazione<br />

europeo e la connessa rinuncia alla guerra come<br />

mezzo di risoluzione dei conflitti tra stati).<br />

PROBLEMA DELL’ORDINE, DELL’INTEGRAZIONE E<br />

DELLA PACE INTERNA<br />

(Tutela dell’unità interna della comunità politica)<br />

• IN NEGATIVO: azioni di polizia.<br />

• IN POSITIVO: prestazioni del moderno welfare<br />

state (e connessa integrazione delle classi<br />

subalterne con conseguente moderazione del<br />

conflitto sociale).


Tenute ferme queste due costanti della funzione di governo, i contenuti di tale<br />

funzione variano notevolmente, sia nel tempo che dal paese a paese, sia sul<br />

piano quantitativo che sul piano qualitativo.<br />

SUL PIANO QUANTITATIVO, <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio statale mostra l’entità dell’azione del<br />

governo in termini di ut<strong>il</strong>izzo di risorse finanziarie. La misurazione più tradizionale a<br />

cui si ricorre è <strong>il</strong> rapporto tra b<strong>il</strong>ancio statale e PIL (prodotto interno lordo), che<br />

rappresenta <strong>il</strong> rapporto tra le risorse del governo e le risorse della società nel suo<br />

complesso. In questi termini è r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e una forte crescita dell’intervento statale<br />

che, nell’area occidentale, ha fatto crescere i b<strong>il</strong>anci pubblici nel corso del secolo<br />

passato dal 10-15% al 35-50% del reddito nazionale. Questa forte crescita ha subito<br />

un rallentamento o addirittura una inversione negli ultimi anni. Ma l’azione del<br />

governo non è riducib<strong>il</strong>e alla sua dimensione monetaria. Vi sono altre attività<br />

altrettanto importanti (comando, regolazione, ecc.) che hanno solo una indiretta<br />

ripercussione sul b<strong>il</strong>ancio dello stato, quando comportano anche una mob<strong>il</strong>itazione<br />

di risorse finanziarie.<br />

SUL PIANO QUALITATIVO è poi possib<strong>il</strong>e esaminare come è cambiata la<br />

composizione della spesa pubblica nel passaggio, nel corso degli ultimi due secoli,<br />

dallo stato minimo, allo stato produttore, allo stato sociale, caratterizzati<br />

rispettivamente dalla prevalenza delle attività tradizionali di governo (difesa e<br />

ordine interno), dalla crescita dell’intervento nell’economia e delle prestazioni<br />

sociali dello Stato e, infine, dalla crescita ulteriore dei servizi sociali che ha portato


la spesa pubblica per questo solo settore a sopravanzare quella per tutti gli altri<br />

settori di intervento. Riflettendo su questi dati, ci si è interrogati sulle ragioni della<br />

crescita della funzione di governo, nonché sulla crisi a cui è andata incontro la<br />

“crescita del governo” negli ultimi decenni:<br />

RAGIONI DELLA<br />

CRESCITA DELLA<br />

FUNZIONE DI<br />

GOVERNO<br />

MODELLI<br />

ECONOMICI<br />

MODELLI<br />

POLITICO -<br />

ISTITUZIONALI<br />

COSTRUZIONE<br />

DELLO STATO<br />

COSTRUZIONE<br />

DELLA NAZIONE<br />

Crescenti esigenze di “governo pubblico”<br />

determinate dal processo di<br />

industrializzazione e dal decollo<br />

dell’economia moderna.<br />

Competizione fra Stati e<br />

conseguenti esigenze di<br />

organizzazione m<strong>il</strong>itare e di<br />

estrazione delle necessarie<br />

risorse economiche per poter<br />

sostenere gli sforzi bellici.<br />

Sv<strong>il</strong>uppo del welfare state in<br />

stretta connessione con le<br />

esigenze di legittimazione delle<br />

classi politiche di governo e con<br />

la crescente pressione<br />

derivante dalla partecipazione<br />

democratica.


CRISI DI<br />

“GOVERNABILITA’”<br />

I crescenti problemi posti ai governi dall’enorme<br />

sv<strong>il</strong>uppo delle responsab<strong>il</strong>ità pubbliche nei sistemi<br />

politici democratici ha sv<strong>il</strong>uppato, a partire da un<br />

famoso studi della metà degli anni settanta, sulla<br />

cosiddetta “CRISI DI GOVERNABILITÀ”, un vasto<br />

dibattito che mette in evidenza la difficoltà dei governi<br />

a reggere al crescente sovraccarico di domande della<br />

società al sistema politico. La risposta in chiave<br />

neoliberista a questo squ<strong>il</strong>ibrio tra aspettative della<br />

società è capacità dei governi di farvi fronte è stata<br />

quella della “riscoperta del mercato”, e quindi di una<br />

soluzione di tale crisi operando sul versante degli input,<br />

attraverso una diminuzione del flusso delle domande e<br />

lasciando ad altri meccanismi sociali <strong>il</strong> compito di<br />

risolvere una parte dei probemi umani (in questo senso<br />

può essere letta, tra l’altro, l’evoluzione del cosiddetto<br />

“terzo settore” im questi ultimi anni). Altri ritengono,<br />

invece, che bisogna agire sul versante degli output,<br />

razionalizzando e qualificando la spesa pubblica,<br />

senza per questo diminuire in maniera drastica gli<br />

interventi sociali dei governi.


ANTECEDENTI DELLE ISTITUZIONI DI GOVERNO CONTEMPORANEE<br />

Nei regimi liberaldemocratici LA STRUTTURA DEL GOVERNO è quella che<br />

comprende <strong>il</strong> capo del governo e i suoi ministri (questi ultimi preposti alla guida<br />

politica di diversi ampi ambiti dell’amministrazione pubblica). Oltre al cerchio<br />

definito dal Consiglio dei ministri, la struttura governativa si estende poi, in cerchi<br />

concentrici, ad una fascia di governanti di secondo livello: dai sottosegretari, ai<br />

consiglieri politici a gli alti burocrati di designazione politica. Questa struttura delle<br />

istituzioni di governo affonda le proprie radici in DUE GRANDI PROCESSI STORICI<br />

CHE HANNO ACCOMPAGNATO IL PASSAGGIO, LUNGO L’ARCO DI DIVERSI SECOLI,<br />

DAI REGIMI MONARCHICI TRADIZIONALI AI REGIMI LIBERALDEMOCRATICI: <strong>il</strong><br />

processo di accentramento politico ed <strong>il</strong> mutamento delle basi di legittimità delle<br />

istituzioni di governo. Bisogna inoltre sottolineare che la pluralità di opzioni<br />

istituzionali riscontrab<strong>il</strong>e nelle attuali forme di governo democratiche non sorge dal<br />

nulla ma, al contrario, trova un forte ancoraggio nel passato nei precedenti regimi<br />

monarchici: pur con r<strong>il</strong>evanti modificazioni e re-interpretazioni, infatti, LE ATTUALI<br />

ISTITUZIONI DI GOVERNO APPAIONO UN ADATTAMENTO ALLA REALTÀ<br />

DEMOCRATICA DELLE PRECEDENTI ISTITUZIONI MONARCHICHE: in questo senso si<br />

può individuare una significativa derivazione della forma di governo parlamentare<br />

dalla monarchia parlamentare, del presidenzialismo dalla monarchia<br />

costituzionale e del semi-presidenzialismo dalla cosiddetta monarchia orleanista.


PROCESSO DI ACCENTRAMENTO POLITICO<br />

MONARCHIA<br />

PREMODERNA<br />

Natura essenzialmente pluralistica della monarchia feudale<br />

e dello Stato per ceti: struttura di co-governo sotto forma<br />

di organi collegiali nei quali erano rappresentati i poteri<br />

fortemente autonomi della società medioevale.<br />

MONARCHIA<br />

MODERNA<br />

Strutture di governo che si configurano sempre più come<br />

<strong>il</strong> braccio esecutivo di un potere accentrato nella persona<br />

del sovrano. Questa trasformazione è collegata allo<br />

sv<strong>il</strong>uppo dei grandi apparati burocratici dello stato<br />

moderno, di cui <strong>il</strong> governo diventa lo strumento politico –<br />

organizzativo di coordinamento.


TRASFORMAZIONE DELLE BASI DI LEGITTIMITA’ DEI<br />

REGIMI POLITICI<br />

MONARCHIA<br />

MEDIOEVALE<br />

MONARCHIA<br />

ASSOLUTA<br />

Base dualistica di legittimità delle istituzioni di governo:<br />

relativa autonomia di feudatari e ceti rispetto alla<br />

monarchia.<br />

Base monistica di legittimità del governo, in conseguenza<br />

del monopolio monarchico del potere politico. Nessuna<br />

struttura collegiale del governo, ma relazioni b<strong>il</strong>aterali fra<br />

sovrano e singoli ministri, con <strong>il</strong> ruolo di consiglieri del<br />

sovrano ed esecutori dei suoi ordini nei rispettivi campi<br />

funzionali.<br />

Stretta relazione fra monarchia e apparato<br />

amministrativo burocratico, che fornisce al sovrano le<br />

risorse indispensab<strong>il</strong>i per affermare <strong>il</strong> proprio ruolo<br />

unificante e standardizzante sopra grandi unità territoriali.<br />

La struttura di governo diventa strumento essenziale per <strong>il</strong><br />

funzionamento dell’apparato burocratico, attraverso una<br />

progressiva specializzazione funzionale del governo in<br />

dicasteri, preposti ai vari rami dell’amministrazione.


MONARCHIA<br />

COSTITUZIONALE<br />

Fase dualistica, nella quale si contrappongono due<br />

centri di legittimazione: <strong>il</strong> sovrano e <strong>il</strong> parlamento.<br />

CAMBIA LA COLLOCAZIONE SISTEMICA DEL<br />

GOVERNO, che appare soggetto ad una duplice<br />

responsab<strong>il</strong>ità politica:<br />

• verso <strong>il</strong> sovrano, che mantiene <strong>il</strong> potere di nomina<br />

dei ministri;<br />

• verso <strong>il</strong> parlamento, che assume <strong>il</strong> controllo delle<br />

risorse finanziarie e della legislazione, e dalla cui<br />

fiducia politica <strong>il</strong> governo dipende sempre più.<br />

CAMBIA ANCHE LA FORMA DEL GOVERNO:<br />

l’esigenza di far fronte comune di fronte al<br />

parlamento porta allo sv<strong>il</strong>uppo in senso collegiale<br />

dell’istituzione e all’affermarsi della figura del primo<br />

ministro, come elemento dirigente e unificante<br />

dell’azione di governo.


FORME DI<br />

TRANSIZIONE<br />

La fase di transizione allo stadio successivo ha<br />

vissuto in alcuni paesi diverse crisi (soprattutto in<br />

Francia, nelle vicende della “monarchia orleanista”),<br />

dovute alle contrapposizioni fra monarchia e<br />

parlamento. Il controllo sul governo, conteso fra le<br />

due istituzioni, è così all’origine di GRAVI CONFLITTI<br />

COSTITUZIONALI:<br />

• scioglimenti anticipati del parlamento da parte del<br />

sovrano;<br />

• rifiuto del sovrano di accettare le dimissioni di un<br />

governo sfiduciato alle camere;<br />

• dimissionamento di un governo che godeva della<br />

fiducia parlamentare;<br />

• completa rottura fra monarchia e parlamento, che<br />

porta in alcuni paesi all’abolizione della stessa<br />

monarchia.


MONARCHIA<br />

PARLAMENTARE<br />

EVOLUZIONI<br />

SUCCESSIVE<br />

Superamento del dualismo delle fonti di legittimazione<br />

del governo, con la PIENA AFFERMAZIONE DELLA<br />

LEGITTIMAZIONE ELETTORALE - PARLAMENTARE.<br />

Laddove l’istituto stesso della monarchia non viene<br />

abolito, <strong>il</strong> ruolo del sovrano viene drasticamente<br />

depotenziato, fino ad assumere caratteri meramente<br />

simbolici. Il governo viene così pienamente<br />

“risucchiato” in parlamento, fino ad identificarsi con la<br />

maggioranza parlamentare.<br />

Una volta risolto <strong>il</strong> problema del rapporto con <strong>il</strong> potere<br />

monarchico, l’evoluzione delle istituzioni di governo<br />

appare connessa a DUE PRINCIPALI FATTORI:<br />

• <strong>il</strong> rapporto con i partiti, che emergono come attori<br />

fondamentali della competizione politica,<br />

“colonizzando” le istituzioni di governo sul piano<br />

politico-rappresentativo;<br />

• la crescita del governo come istituzione, che vede <strong>il</strong><br />

passaggio dallo stato minimo ottocentesco (con pochi<br />

ministri) ai grandi apparati ministeriali e alla crescita<br />

delle “burocrazie parallele” nel welfare state.


ANALOGIE FRA LE FORME DI GOVERNO DEMOCRATICHE E QUELLE<br />

MONARCHICHE<br />

1) DERIVAZIONE DEL PARLAMENTARISMO DALLA MONARCHIA PARLAMENTARE<br />

MONARCHIA PARLAMENTARE<br />

PARLAMENTARISMO<br />

SOVRANO<br />

PRESIDENTE<br />

Legame di<br />

fiducia<br />

GOVERNO<br />

Passaggio della<br />

titolarità del<br />

potere di<br />

scioglimento dal<br />

re al governo<br />

Elezione<br />

parlamentare<br />

del Presidente<br />

GOVERNO<br />

Legame di<br />

fiducia<br />

Titolare del<br />

potere di<br />

scioglimento:<br />

<strong>il</strong> Presidente<br />

o <strong>il</strong> Primo<br />

ministro<br />

PARLAMENTO<br />

PARLAMENTO<br />

CORPO ELETTORALE<br />

CORPO ELETTORALE


2) DERIVAZIONE DEL PRESIDENZIALISMO DALLA MONARCHIA COSTITUZIONALE<br />

MONARCHIA COSTITUZIONALE<br />

PRESIDENZIALISMO<br />

SOVRANO<br />

Potere di nomina<br />

dei ministri<br />

Controllo del<br />

Parlamento sulle risorse<br />

finanziarie e sulla<br />

produzione legislativa<br />

GOVERNO<br />

PARLAMENTO<br />

Potere di<br />

scioglimento e<br />

“sanzione regia”<br />

PRESIDENTE<br />

(Capo dello Stato<br />

e dell’esecutivo)<br />

Il Presidente non può sciogliere <strong>il</strong><br />

Parlamento e <strong>il</strong> Parlamento non<br />

può sfiduciare <strong>il</strong> Presidente<br />

PARLAMENTO<br />

Potere legislativo e di inchiesta<br />

parlamentare / influenza politica<br />

e potere di veto presidenziale<br />

CORPO ELETTORALE<br />

CORPO ELETTORALE


3) DERIVAZIONE DEL SEMIPRESIDENZIALISMO DALLA MONARCHIA ORLEANISTA<br />

MONARCHIA ORLEANISTA<br />

SEMIPRESIDENZIALISMO<br />

SOVRANO<br />

PRESIDENTE<br />

Potere di<br />

nomina<br />

Legame di<br />

fiducia<br />

GOVERNO<br />

Potere regio<br />

di<br />

scioglimento<br />

Potere di<br />

nomina<br />

Legame di<br />

fiducia<br />

GOVERNO<br />

Potere<br />

presidenziale<br />

di<br />

scioglimento<br />

PARLAMENTO<br />

PARLAMENTO<br />

CORPO ELETTORALE<br />

CORPO ELETTORALE


LE FORME DI GOVERNO NELLA MODELLISTICA COSTITUZIONALE<br />

Se nel passato (a partire dalla classica tripartizione aristotelica delle forme<br />

“buone” e “cattive” del governo di uno, di pochi, o di molti individui) con “FORME<br />

DI GOVERNO” si intendevano i diversi regimi politici (monarchia, aristocrazia,<br />

democrazia), oggi la Scienza politica quando usa questa espressione si riferisce ai<br />

diversi modi di organizzare i rapporti tra le principali istituzioni politiche<br />

nell’ambito di un unico tipo di regime, quello democratico.<br />

L’emancipazione del governo dal potere monarchico e <strong>il</strong> suo inserimento nella<br />

sfera della rappresentanza politica (nel lungo tragitto che dalla monarchia<br />

assoluta ha portato alla monarchia parlamentare o, nella maggior parte dei casi, a<br />

regimi democratici repubblicani) non hanno però prodotto una soluzione<br />

istituzionale univoca. Nei sistemi politici liberaldemocratici è infatti possib<strong>il</strong>e<br />

individuare una pluralità di forme di governo che, partendo dalla distinzione di<br />

fondo tra governo parlamentare e governo presidenziale, consente poi di<br />

esaminare delle ulteriori varianti, rispetto all’iniziale bipartizione.<br />

Due sono le dimensioni incrociando le quali si può costruire (sul piano del loro<br />

assetto costituzionale) UNA TIPOLOGIA DELLE FORME DI GOVERNO<br />

DEMOCRATICHE:<br />

<strong>il</strong> tipo di LEGITTIMAZIONE DEL GOVERNO (DIRETTA O INDIRETTA);<br />

<strong>il</strong> tipo di STRUTTURA DELL’ESECUTIVO (MONOCRATICA O COLLEGIALE).


Se la distinzione di fondo è quella fra <strong>il</strong> PARLAMENTARISMO (con governo a<br />

legittimazione parlamentare e struttura collegiale) e <strong>il</strong> PRESIDENZIALISMO (con<br />

un governo a struttura monocratica e legittimazione direttamente popolare), la<br />

tipologia consente altre due possib<strong>il</strong>ità: una forma di governo collegiale a<br />

legittimazione diretta e una forma di governo monocratico a legittimazione<br />

indiretta. Mentre la prima variante ha scarsi riscontri empirici (limitati a lontane e<br />

brevi esperienze in Uruguay e a Cipro, o riferib<strong>il</strong>i al fatto che in alcuni<br />

presidenzialismo latino-americani viene eletto direttamente anche <strong>il</strong> vicepresidente),<br />

la seconda variante è ben più r<strong>il</strong>evante empiricamente,<br />

comprendendo <strong>il</strong> caso del GOVERNO DEL PREMIER e del CANCELLIERATO, che, pur<br />

essendo normalmente assim<strong>il</strong>ati al parlamentarismo, praticano in effetti<br />

significative forme di rafforzamento del Capo del governo rispetto agli altri<br />

ministri.<br />

PRESIDENZIALISMO<br />

• La formula di legittimazione diretta del capo dell’esecutivo attraverso l’elezione<br />

popolare espressa dal PRESIDENZIALISMO appare praticamente confinata al<br />

continente americano, e trova la sua massima espressione negli Stati Uniti. Ragioni<br />

storiche (le precedenti esperienze dell’assolutismo monarchico) e legate alle


caratteristiche dei partiti politici hanno reso infatti questa forma di governo non<br />

adatta al continente europeo. Negli Stati Uniti l’elezione del Presidente è<br />

apparentemente indiretta, perché passa attraverso <strong>il</strong> f<strong>il</strong>tro di un collegio elettorale<br />

composto dai cosiddetti “grandi elettori” per ogni singolo stato (ogni stato ne<br />

detiene un numero pari ai suoi rappresentanti nei due rami del Congresso): di<br />

fatto, però, la funzione di questi ultimi è oggi puramente formale e la mediazione<br />

del collegio elettorale può essere considerata un puro metodo di computo dei<br />

voti popolari. Ciò che caratterizza maggiormente <strong>il</strong> Presidenzialismo è che, in virtù<br />

della forte legittimazione (legata al voto popolare) sia del Parlamento che del<br />

Presidente (che è anche <strong>il</strong> capo dell’esecutivo) esso costituisce un sistema<br />

dualistico, basato sulla “separazione dei poteri” fra i due principali organi<br />

istituzionali. Ciò significa che <strong>il</strong> mandato del Presidente e quello dei componenti<br />

del Congresso sono indipendenti l’uno dall’altro: <strong>il</strong> Congresso non può sfiduciare <strong>il</strong><br />

Presidente, così come <strong>il</strong> presidente non può sciogliere <strong>il</strong> Congresso. Un sistema di<br />

questo genere, se da un lato si caratterizza per una stab<strong>il</strong>ità dell’esecutivo<br />

istituzionalmente predeterminata, dall’altro determina una maggiore rigidità<br />

istituzionale, non esistendo meccanismi procedurali (come accade invece nella<br />

forma di governo parlamentare) per risolvere conflitti non mediab<strong>il</strong>i tra capo<br />

dell’esecutivo e forze politiche parlamentari.<br />

• Per quanto riguarda poi la struttura dell’esecutivo, in conseguenza della sua<br />

elezione diretta <strong>il</strong> Presidente appare chiaramente sovraordinato rispetto ai suoi


ministri: <strong>il</strong> Presidente è costituzionalmente <strong>il</strong> potere esecutivo, tanto che la<br />

presidenza, in quanto organismo istituzionale distinto dal presidente, non è<br />

neppure menzionata dalla costituzione. In conseguenza del carattere monocratico<br />

della carica presidenziale, la struttura del governo assume così una forma<br />

tipicamente “stratarchica”, esprimendo diversi livelli di governo che<br />

comprendono, oltre ai diretti responsab<strong>il</strong>i politici dei diversi rami<br />

dell’amministrazione (la “presidenza dipartimentale”) e alla possib<strong>il</strong>ità di mettere<br />

propri uomini a capo delle numerose agenzie di regolamentazione amministrativa<br />

attraverso <strong>il</strong> cosiddetto spo<strong>il</strong>s system (la “presidenza amministrativa”), anche una<br />

serie di consiglieri personali del presidente (che, a loro volta, costituiscono <strong>il</strong> livello<br />

della “presidenza personale”).<br />

PARLAMENTARISMO<br />

• Al contrario del presidenzialismo, <strong>il</strong> PARLAMENTARISMO è caratterizzato dalla<br />

legittimazione indiretta dell’esecutivo, essendo <strong>il</strong> nesso tra governo ed elettorato<br />

mediato dal parlamento. Qui i mandati del legislativo e dell’esecutivo appaiono<br />

caratterizzati da un sistema monistico di fusione dei poteri: da un lato, infatti, la<br />

sopravvivenza dei governi dipende da un legame di fiducia (o perlomeno di non


sfiducia) con la maggioranza parlamentare, dall’altro anche <strong>il</strong> parlamento in carica<br />

può durare fino alla scadenza naturale del suo mandato solo se è in grado di<br />

esprimere una maggioranza di governo, in caso contrario è prevista la possib<strong>il</strong>ità di<br />

scioglimento anticipato del parlamento e di ricorso ad elezioni anticipate.<br />

Nelle forme di governo parlamentari la selezione di chi governa (potere di<br />

nomina) e <strong>il</strong> conferimento della legittimazione a governare non sono<br />

necessariamente momenti coincidenti sul piano istituzionale. Per quanto<br />

riguarda <strong>il</strong> POTERE DI NOMINA, esso spetta in molti casi ad un organo esterno al<br />

parlamento (<strong>il</strong> sovrano nelle monarchie parlamentari, <strong>il</strong> presidente della<br />

repubblica negli stati repubblicani): ciò è dovuto all’esigenza di disporre di un<br />

organo capace, per <strong>il</strong> suo basso grado di politicità, di svolgere un’opera di<br />

consultazione e di raccordo fra gli attori politici partigiani, tutelando <strong>il</strong> rispetto<br />

delle regole procedurali poste a garanzia della stessa competizione partitica. In<br />

presenza di un chiaro quadro politico che esprime una netta maggioranza<br />

parlamentare, i margini di manovra di questo potere di nomina appaiono ristretti;<br />

nel caso invece di un quadro politico fortemente frammentato e della necessità di<br />

formare dei governi di coalizione, <strong>il</strong> potere di nomina può invece acquisire margini<br />

di manovra ben più ampi. Per quanto riguarda <strong>il</strong> POTERE DI SCIOGLIMENTO<br />

ANTICIPATO DEL PARLAMENTO, fa differenza se tale potere (che spetta<br />

formalmente al sovrano o al presidente della repubblica) cade sotto l’influenza


politica del governo, come accade oggi in Ingh<strong>il</strong>terra: in questo caso esso diventa<br />

un significativo strumento per esercitare un’influenza sulle forze parlamentari).<br />

Il conferimento della LEGITTIMITÀ POLITICA A GOVERNARE dipende invece dal<br />

parlamento attraverso l’espressione del legame di fiducia, in forma esplicita o in<br />

forma implicita: nel primo caso è previsto sia un atto positivo di conferimento<br />

della legittimazione (voto di fiducia), sia un atto negativo di sottrazione della<br />

stessa (voto di sfiducia); nel secondo caso è prevista solo questa seconda<br />

procedura.<br />

• Per quanto riguarda la struttura interna del governo, <strong>il</strong> parlamentarismo è<br />

caratterizzato da un GOVERNO DI TIPO COLLEGIALE AD UN SOLO LIVELLO, dove<br />

tutti i componenti del “gabinetto governativo”, i ministri e <strong>il</strong> capo del governo, si<br />

collocano sostanzialmente sullo stesso piano rispetto alla fonte di legittimazione<br />

parlamentare, ferma restando la funzione di coordinamento, dettata dalle<br />

esigenze di funzionalità di un organo collegiale, esercitata dal capo del governo. E’<br />

proprio su quest’ultimo punto, però, che alcune forme di governo formalmente<br />

parlamentari si differenziano per un significativo rafforzamento (di fatto, o frutto<br />

di apposite correzioni istituzionali) apportato alla posizione del capo del governo,<br />

tanto da farle considerare come delle forme di governo a parte, rispetto sia al<br />

presidenzialismo che al parlamentarismo.


GOVERNO DEL PREMIER E CANCELLIERATO<br />

Pur essendo formalmente delle forme di governo parlamentari, <strong>il</strong> GOVERNO DEL<br />

PREMIER in Ingh<strong>il</strong>terra e <strong>il</strong> CANCELLIERATO tedesco presentano delle significative<br />

differenze rispetto alla struttura del governo, che appare sostanzialmente<br />

monocratica.<br />

‣ NEL CASO INGLESE, IL POTERE DEL CAPO DEL GOVERNO È RAFFORZATO DI<br />

FATTO: <strong>il</strong> premier è a capo contemporaneamente di un governo monopartitico e<br />

della relativa maggioranza parlamentare (che appare rafforzata, in termini di<br />

seggi, in virtù del sistema elettorale uninominale, in presenza di un sistema<br />

bipartitico): così la sua autorità sia sul parlamento che sul governo appare molto<br />

elevata (almeno fin quando egli mantiene <strong>il</strong> controllo del proprio <strong>partito</strong>). Sul<br />

piano psicologico, inoltre, anche se non eletto direttamente è come se lo fosse, e<br />

<strong>il</strong> suo potere di governo ne risulta ulteriormente rafforzato. In più, anche <strong>il</strong> potere<br />

di scioglimento anticipato del parlamento è sostanzialmente nelle sue mani.<br />

‣ NEL CASO TEDESCO, è stata realizzata una RAZIONALIZZAZIONE DEL<br />

PARLAMENTARISMO, da un canto attraverso delle correzioni istituzionali al<br />

modello collegiale di governo parlamentare che prevedono una esplicita<br />

investitura parlamentare del solo cancelliere (attribuendogli così una preminenza<br />

rispetto ai suoi ministri); dall’altro attraverso l’introduzione dell’istituto della


sfiducia costruttiva, che rende più diffic<strong>il</strong>e “dimissionare” un cancelliere in assenza<br />

di una chiara maggioranza alternativa in parlamento.<br />

FORME IBRIDE DI GOVERNO: SEMI-PRESIDENZIALISMO<br />

E PREMIERATO<br />

Oltre ai due modelli classici del presidenzialismo e del parlamentarismo (e alle<br />

significative variazioni del parlamentarismo costituite dal governo del premier e<br />

dal cancellierato) vanno prese in considerazione due ulteriori forme di governo<br />

definite “ibride”, perché, in base al verificarsi di differenti condizioni politiche,<br />

tendono a spostarsi verso l’una o l’altra delle due forme originarie.<br />

Il SEMI-PRESIDENZIALISMO è una forma di governo che è presente (in modo<br />

più o meno efficace) in alcuni paesi europei, ma che trova in Francia la sua<br />

espressione paradigmatica. Se da un canto esso presenta alcune caratteristiche del<br />

presidenzialismo, quale l’elezione diretta del capo dello Stato (con un ruolo non<br />

solo rappresentativo, ma anche di governo), dall’altro prevede anche la figura di<br />

un capo del governo che dipende, come nel parlamentarismo, dalla fiducia del<br />

parlamento. Si tratta dunque di una forma di governo dualista che, come nella<br />

monarchia costituzionale (soprattutto nella sua versione orleanista) vede <strong>il</strong><br />

governo sospeso tra due diverse fonti di legittimazione: quella derivante dalla<br />

nomina presidenziale (che assume un carattere pienamente politico, e non


notar<strong>il</strong>e, vista la forte legittimazione popolare del presidente della repubblica,<br />

derivante dalla sua elezione diretta) e quella che dipende dalla fiducia<br />

parlamentare. La presenza di un ESECUTIVO “BICEFALO” non ha però di fatto<br />

impedito di funzionare al semipresidenzialismo francese: esso appare anzi più<br />

flessib<strong>il</strong>e dello stesso sistema presidenziale statunitense (nel caso del “governo<br />

diviso”, cioè quando esiste una maggioranza parlamentare diversa da quella<br />

presidenziale). Mentre infatti <strong>il</strong> sistema presidenziale rischia di rimanere bloccato<br />

da maggioranze “divise” (e se ciò non accade negli Stati uniti è in virtù di<br />

particolari condizioni politiche di quel paese, dovute soprattutto alle<br />

caratteristiche dei partiti politici), <strong>il</strong> sistema semi-presidenziale prevede a livello<br />

costituzionale due possib<strong>il</strong>i soluzioni a questa situazione: una forzatura<br />

presidenziale realizzata grazie al potere di scioglimento del parlamento e tesa a<br />

riportare <strong>il</strong> parlamento, attraverso nuove elezioni, in linea con la maggioranza<br />

presidenziale; una coabitazione tra la presidenza ed un governo a base<br />

parlamentare divergente, che prevede <strong>il</strong> ripiegamento del presidente in un ruolo<br />

meno politico. Insomma, in base al mutare delle condizioni politiche di fondo, <strong>il</strong><br />

semi-presidenzialismo tenderà ad osc<strong>il</strong>lare verso la forma presidenziale di<br />

governo o, al contrario, verso la forma parlamentare. La variab<strong>il</strong>e di fondo che<br />

consente, dal punto di vista costituzionale, di definire un sistema<br />

semipresidenziale sono i notevoli poteri attribuiti al capo dello stato, soprattutto<br />

in tema di politica estera.


Nel caso in cui questi poteri non siano previsti, la mera elezione diretta del<br />

presidente della repubblica darà luogo ad un un sistema che resta sostanzialmente<br />

parlamentare: è questa la situazione di molti paesi come l’Austria, la Bulgaria, la<br />

Finlandia (dopo <strong>il</strong> 1994) o la Polonia (dopo <strong>il</strong> 1997). Se invece questi poteri sono<br />

r<strong>il</strong>evanti, si potrà parlare allora di un sistema realmente semipresidenzialistico: è <strong>il</strong><br />

caso, oltre della Francia, della Finlandia (fino al 1994), del Portogallo (fino al 1982),<br />

della Polonia (fino al 1997) e dell’Ucraina.<br />

Dell’altra forma ibrida di governo, <strong>il</strong> PREMIERATO, è esistito un solo caso, quello<br />

di Israele: un’esperienza poco soddisfacente la cui applicazione è durata solo otto<br />

anni (1996-2003). Questa forma prevedeva la legittimazione diretta, attraverso<br />

l’elezione popolare, di un capo del governo (che non coincide però con <strong>il</strong> capo<br />

dello Stato). Il governo deve però sottoporsi alla fiducia parlamentare, per cui,<br />

nonostante l’investitura popolare del premier, <strong>il</strong> sistema continua ad essere<br />

assemlea-dipendente: la solidità del governo continua cioè a dipendere dalla<br />

solidità della maggioranza parlamentare. Anche se a b<strong>il</strong>anciare <strong>il</strong> potere di sfiducia<br />

del parlamento al capo del governo viene attribuito <strong>il</strong> potere di scioglimento<br />

dell’assemblea parlamentare, in caso ut<strong>il</strong>izzi tale potere anch’egli deve sottoporsi ad<br />

una nuova verifica elettorale. Nei fatti questo sistema si è tradotto in un’alta<br />

instab<strong>il</strong>ità governativa, visto che nel volgere di pochi anni è andato incontro a ben<br />

due elezioni anticipate: nel 1999 (elezioni doppie, sia del parlamento che del capo<br />

del governo, e nel 2001 (elezione del solo capo del governo). Alla fine è stato<br />

abbandonato.


Collegiale<br />

Struttura<br />

Monocratica<br />

FORME DI GOVERNO SEMPLICI E IBRIDE<br />

Legittimazione<br />

Popolare (diretta)<br />

Parlamentare (indiretta)<br />

•<br />

•<br />

•<br />

•<br />

•<br />

•<br />


ASSETTI CONCRETI DELLE FORME DI GOVERNO NELLA REALTA’<br />

POLITICA<br />

Se ci si arresta al piano meramente costituzionale dei rapporti tra le principali<br />

istituzioni politiche, la descrizione delle forme di governo delle odierne<br />

liberaldemocrazie appare inadeguata a cogliere gli aspetti sostanziali dei governi<br />

democratici. Questo perché:<br />

la RAPPRESENTAZIONE DI GOVERNO E PARLAMENTO COME SOGGETTI<br />

DISTINTI E CONTRAPPOSTI, risalente all’epoca monarchica in cui esisteva una<br />

legittimazione dualistica (dall’alto e dal basso) di questi due organi, non appare<br />

oggi rispondente alla realtà, tranne in parte nei sistemi presidenziali, che<br />

mantengono una forte distinzione fra i circuiti di legittimazione delle due<br />

istituzioni.<br />

<strong>il</strong> RIFERIMENTO AI PARLAMENTARI COME INDIVIDUI risale ad un panorama<br />

ottocentesco degli attori politici, prima che nelle arene politiche acquistassero<br />

centralità i partiti politici come attori collettivi, capaci di generare identità e<br />

vincoli di solidarietà sovraindividuali. Tanto più se si considera che i partiti sono<br />

diventati col tempo attori che trascendono le diverse arene istituzionali<br />

(elettorale, parlamentare, governativa) e sono in grado di creare (al di là della<br />

modellistica costituzionale) significativi raccordi tra i soggetti individuali presenti<br />

nelle diverse istituzioni, realizzando così quello che è stato definito <strong>il</strong> “governo di


<strong>partito</strong>” (party government).<br />

SOLO PRENDENDO IN CONSIDERAZIONE QUESTI ASPETTI PIÙ DIRETTAMENTE<br />

“POLITICI” SARÀ POSSIBILE COSÌ SPIEGARE LA GRANDE DIVERSITÀ DI<br />

FUNZIONAMENTO, SUL PIANO CONCRETO, DI SISTEMI POLITICI CHE<br />

CONDIVIDONO FORMALMENTE LA STESSA FORMA DI GOVERNO: è <strong>il</strong> caso delle<br />

sostanziali differenze di funzionamento fra <strong>il</strong> parlamentarismo inglese e quello<br />

italiano, o tra <strong>il</strong> semi-presidenzialismo francese e quello austriaco, o ancora fra <strong>il</strong><br />

presidenzialismo statunitense e quello di molti paesi dell’America latina. E’<br />

possib<strong>il</strong>e allora costruire una TIPOLOGIA EMPIRICA DELLE FORME DI<br />

GOVERNO che mette in gioco altre variab<strong>il</strong>i oltre quelle istituzionali. Infatti, ad<br />

esempio, la legittimazione diretta del capo del governo oltre che di diritto può<br />

essere anche di fatto, come nel caso inglese, dove <strong>il</strong> r<strong>il</strong>evante potere del premier<br />

all’interno del governo ed <strong>il</strong> suo controllo sul parlamento è da mettere in relazione<br />

con <strong>il</strong> sistema bipartitico e con <strong>il</strong> sistema elettorale maggioritario. Da questa<br />

tipologia, che incrocia <strong>il</strong> tipo di legittimazione (di diritto, o di fatto) del governo<br />

ed <strong>il</strong> tipo di controllo del governo sul parlamento, emergono quattro diverse<br />

possib<strong>il</strong>ità concrete:<br />

‣ Il caso del GOVERNO UNITO, in cui si determina una fusione fra governo e<br />

parlamento nella quale è <strong>il</strong> governo a prevalere sul parlamento: è quanto


avviene nel presidenzialismo statunitense, quando maggioranza congressuale<br />

e presidenziale coincidono, ma anche nel parlamentarismo inglese,<br />

nell’ipotesi che <strong>il</strong> premier mantenga <strong>il</strong> controllo del proprio <strong>partito</strong> e quindi<br />

anche della maggioranza parlamentare;<br />

‣ Il caso del GOVERNO PARLAMENTARE A BASE PARTITOCRATICA, in cui un<br />

governo legittimato indirettamente poggia però su un forte ancoraggio nei<br />

partiti di maggioranza, per cui sono questi ultimi a controllare sia <strong>il</strong> governo<br />

che <strong>il</strong> parlamento. In particolare, in presenza di uno stadio intermedio<br />

costituito dalla contrattazione fra i partiti per costituire una coalizione di<br />

governo, i risultati di questa contrattazione tenderanno a essere direttamente<br />

determinati dalla volontà dei leader partitici, piuttosto che dai risultati<br />

elettorali. E’ quanto avviene in sistemi a <strong>partito</strong> predominante (come Svezia o<br />

Norvegia) o nelle democrazie consociative (come Olanda o Belgio.<br />

‣ Il caso del GOVERNO DIVISO, in cui ad una legittimazione diretta del capo del<br />

governo corrisponde uno scarso controllo sul parlamento: è quanto si<br />

verifica nel presidenzialismo statunitense, quando maggioranza presidenziale<br />

e congressuale non coincidono, e che non determina un sistema “bloccato”<br />

solo grazie al carattere poco coeso dei partiti americani ed alla scarsa distanza<br />

ideologica che intercorre tra di essi; è quanto avviene anche nel


semipresidenzialismo francese in una situazione di “coabitazione” tra<br />

presidente e capo del governo (che fanno riferimento a maggioranze diverse),<br />

o (fino al 2003) <strong>il</strong> premierato israeliano, quando <strong>il</strong> capo del governo , eletto<br />

direttamente, non era sostenuto dalla maggioranza parlamentare.<br />

‣ Il caso del GOVERNO POLICENTRICO, in cui ad un governo a legittimazione<br />

indiretta e con debole controllo sul parlamento corrisponde una<br />

maggioranza parlamentare frammentata e volat<strong>il</strong>e che si tradurrà in una<br />

pluralità di centri potestativi all’interno del governo stesso, ma anche in<br />

parlamento. Si parlerà allora di forme di “governo assembleare”, nel senso<br />

che (come accadeva nell’Italia della Prima repubblica o nella Francia della<br />

Quarta repubblica) si formavano spesso in parlamento, su singoli<br />

provvedimenti, delle convergenze coalizionali temporaneamente diverse da<br />

quelle su cui si basava <strong>il</strong> governo.<br />

Se applichiamo alle quattro forme di governo costituzionali prima descritte i<br />

risultati di questa tipologia empirica, avremo allora le seguenti possib<strong>il</strong>ità<br />

concrete:<br />

FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE = tra A, B e D.<br />

FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE = tra A e C.<br />

FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE E PREMIERATO = possono spostarsi<br />

fra tutti e quattro i vertici (A, B, C e D).


Controllo del governo sul parlamento<br />

TIPOLOGIA EMPIRICA DELLE FORME DI GOVERNO<br />

Legittimazione del governo<br />

Diretta (di diritto o di fatto)<br />

Indiretta<br />

A<br />

B<br />

Debole Forte<br />

Governo<br />

Parlamento<br />

Partiti di maggior.<br />

Parlamento<br />

Governo<br />

C<br />

D<br />

Governo Parlamento Parlamento Governo


FUNZIONAMENTO E RENDIMENTO DEI GOVERNI<br />

Il tema del “RENDIMENTO” DEI GOVERNI, cioè della loro capacità di svolgere<br />

efficacemente le proprie funzioni, è stato oggetto di diverse ricerche empiriche che<br />

si sono confrontate con tematiche diverse a seconda della forma di governo<br />

considerata.<br />

REGIMI PARLAMENTARI<br />

Molti studi sui governi parlamentari hanno affrontato soprattutto le tematiche<br />

della stab<strong>il</strong>ità dei governi e dei rapporti tra stab<strong>il</strong>ità e sistema partitico, altri<br />

hanno approfondito <strong>il</strong> tema della formazione e composizione delle maggioranze<br />

di governo.<br />

‣ PER QUANTO RIGUARDA IL PRIMO ASPETTO, c’è chi ha messo in relazione la<br />

frequenza delle crisi di governo con l’instab<strong>il</strong>ità del sistema politico nel suo<br />

complesso, nel senso che l’eccessiva instab<strong>il</strong>ità di governo causerebbe la crisi<br />

dello stesso regime democratico. Esempi paradigmatici appaiono i casi della<br />

Repubblica di Weimar, le cui endemiche crisi di governo favorirono l’avvento della<br />

dittatura nazista, dell’Italia liberale del periodo pre-fascista, o della Spagna della<br />

Seconda Repubblica, che precedette l’avvento del regime franchista. La presenza<br />

però di numerose eccezioni r<strong>il</strong>evanti in materia, come i casi dell’Italia della


Prima Repubblica, della Francia della Terza Repubblica o della Finlandia, tutti<br />

paesi in cui ad un alto grado di instab<strong>il</strong>ità governativa non corrispose un tracollo<br />

del regime democratico, ha condotto molti autori ha ipotizzare una correlazione<br />

più circoscritta, secondo la quale l’instab<strong>il</strong>ità dei governi produrrebbe piuttosto<br />

una scarsa capacità di controllo dei governi sui soggetti partitici e parlamentari<br />

che li sostengono. In tal senso appare importante la differenziazione fra<br />

“MUTAMENTI DI GOVERNO” e “MUTAMENTI NEL GOVERNO”: nel primo caso è la<br />

compagine complessiva del governo che cambia, <strong>il</strong> secondo vede invece degli<br />

avvicendamenti frequenti del personale di governo senza toccare la struttura<br />

complessiva del governo. Si tratta di due situazioni profondamente diverse:<br />

STABILITA’ DI<br />

GOVERNO /<br />

INSTABILITA’<br />

NEL GOVERNO<br />

Elevata stab<strong>il</strong>ità del capo del governo e della formula politica;<br />

forte controllo del capo del governo sulla compagine<br />

ministeriale (cambiando spesso ministri).<br />

INSTABILITA’ DI<br />

GOVERNO /<br />

STABILITA’ NEL<br />

GOVERNO<br />

Frequenti crisi di governo e mutamenti di capi del governo,<br />

che rivelano <strong>il</strong> carattere aleatorio delle basi politiche del<br />

governo, ma marcata continuità del personale di governo<br />

(anche da un governo all’altro), che rivelano la dipendenza<br />

delle scelte del capo del governo da equ<strong>il</strong>ibri esterni (fra i<br />

partiti della maggioranza in parlamento)..


Per quanto riguarda <strong>il</strong> rapporto fra governo e sistema partitico, l’associazione<br />

proposta da DUVERGER fra bipartitismo e stab<strong>il</strong>ità governativa e fra<br />

pluripartitismo e instab<strong>il</strong>ità governativa è stata opportunamente corretta da<br />

SARTORI che, introducendo opportunamente le variab<strong>il</strong>i della distanza ideologica<br />

fra i partiti e del grado di compatib<strong>il</strong>ità delle loro preferenze politiche, ha<br />

dimostrato che i governi di coalizione in sistemi pluripartitici non sempre sono<br />

caratterizzati da alti livelli di instab<strong>il</strong>ità governativa.<br />

‣ IN RIFERIMENTO AL SECONDO ASPETTO, diverse appaiono le logiche perseguita<br />

dai partiti nella formazione dei governi di coalizione: ad una logica tutta ispirata<br />

ad una teoria razionale del comportamento politico si contrappone infatti una<br />

logica maggiormente attenta a specifici obiettivi politici perseguiti dai partiti.<br />

LOGICA<br />

OFFICE - SEEKING<br />

E’ quella che teorizza la formazione di COALIZIONI MINIME<br />

VINCENTI: i partiti tenderebbero a MASSIMIZZARE IL<br />

PROPRIO POTERE DI GOVERNO (in termini di cariche<br />

ministeriali e di incarichi di sottogoverno), formando<br />

coalizioni composte dal minor numero possib<strong>il</strong>e di partiti <strong>il</strong><br />

cui appoggio sia sufficiente per controllare la maggioranza<br />

assoluta dei seggi in parlamento.


LOGICA<br />

POLICE - SEEKING<br />

Possono esistere per i partiti una serie di COSTI DELLA<br />

PARTECIPAZIONE AL GOVERNO, o da evitare del tutto, o<br />

da minimizzare allargando la coalizione di governo: i<br />

partiti infatti possono preferire non entrare nel governo<br />

per mantenere la propria coesione interna (evitando<br />

strappi che verrebbero pagati sul terreno elettorale);<br />

possono preferire appoggiare <strong>il</strong> governo dall’esterno in<br />

cambio di politiche ad essi gradite; possono perseguire<br />

un accrescimento futuro dei propri voti rinunciando a<br />

cariche di governo, per evitare di essere coinvolti nella<br />

responsab<strong>il</strong>ità di scelte impopolari. Queste “ragioni<br />

politiche” dei partiti possono portare alla formazione di<br />

GOVERNI MINORITARI (come a lungo avvenne in<br />

Norvegia e in Svezia, ma ance nel caso di monocolori<br />

democristiani in Italia durante la Prima Repubblica),<br />

oppure alla formazione di COALIZIONI DI GOVERNO<br />

SOVRADIMENSIONATE, come nel caso dei governi<br />

consociativi olandesi, ma anche in quello della<br />

formazione di grandi coalizioni fra i due maggiori<br />

partiti in Austria e in Germania.


REGIMI PRESIDENZIALI E SEMI-PRESIDENZIALI<br />

Gli studi sul rendimento dei governi nei REGIMI PRESIDENZIALI e in quelli SEMI-<br />

PRESIDENZIALI (che riguardano in massima parte gli Stati Uniti e la Francia) si sono<br />

concentrati in gran parte sulla PERSONALITÀ DEL PRESIDENTE e sulle RISORSE A<br />

SUA DISPOSIZIONE.<br />

Per quanto riguarda in particolare questo secondo aspetto, è stata messa in<br />

evidenza l’importanza della variab<strong>il</strong>e internazionale (maggiore è l’impegno del<br />

paese nella politica mondiale più r<strong>il</strong>ievo avrà la figura del Presidente,<br />

determinante in materia di politica estera), mentre negli altri settori di policy<br />

l’influenza del Presidente appare variab<strong>il</strong>e. E’ stato poi sottolineato <strong>il</strong> ruolo<br />

centrale dello staff di consiglieri personali, così come della capacità presidenziale<br />

di far uso dei mass media. Particolare importanza rivestono poi i RAPPORTI<br />

PRESIDENZIALI CON IL PARLAMENTO che, come si è visto, cambiano<br />

notevolmente a seconda che sussista nel presidenzialismo una situazione di<br />

governo unito o diviso, o nel semi-presidenzialismo una situazione di consonanza<br />

fra le due maggioranze (presidenziale e parlamentare) o di dissonanza, che porta<br />

ad un regime di “coabitazione” fra Presidente e Capo del governo.


FORZA E LIMITI DEL PARTY GOVERNMENT<br />

A lungo si è sottolineato come la prepotente ascesa dei partiti politici abbia<br />

portato ad una crescente dipendenza dei governi da questi ultimi, sia in termini di<br />

partitizzazione del personale ministeriale, che sul piano delle politiche pubbliche,<br />

nel senso che gli indirizzi programmatici dei partiti, ma anche i loro veti incrociati,<br />

influenzavano in maniera determinante l’azione di governo. Questa situazione,<br />

definita come PARTY GOVERNMENT, non deve essere però eccessivamente<br />

enfatizzata. Il governo infatti non può oggi essere considerato come una mera<br />

emanazione dei partiti. Emergono in tal senso una serie di LIMITI DEL PARTY<br />

GOVERNMENT:<br />

SUL<br />

VERSANTE<br />

DEI PARTITI<br />

Da una canto è stato sottolineato <strong>il</strong> CARATTERE SELETTIVO<br />

DELL’INTERESSE DEI PARTITI, dall’altro LE RISORSE LIMITATE DI<br />

CUI ESSI DISPONGONO PER L’ELABORAZIONE DELLE<br />

POLITICHE, rispetto alle risorse dei governi (che controllano<br />

imponenti apparati burocratici) o dei gruppi di interesse.


SUL<br />

VERSANTE DEI<br />

GOVERNI<br />

Vi sono RESPONSABILITÀ TIPICAMENTE GOVERNATIVE,<br />

come quelle che riguardano la politica internazionale, la<br />

politica di b<strong>il</strong>ancio (contenimento del deficit attraverso <strong>il</strong><br />

controllo della spesa pubblica), la gestione dell’economia<br />

nazionale (contenimento dell’inflazione, stimolo alla<br />

produzione e alla crescita dell’occupazione).<br />

Appare centrale poi <strong>il</strong> RUOLO DEGLI APPARATI<br />

AMMINISTRATIVI, sia come fonte di risorse tecnicoconoscitive<br />

per i governi, sia perché portatori di interessi<br />

specifici, legati al personale che li compone e alle clientele<br />

di riferimento.<br />

Da r<strong>il</strong>evare, infine, la CRESCENTE AUTONOMIA DEI SUB-<br />

GOVERNMENT (autorità indipendenti, banche centrali,<br />

istituzioni sovranazionali).


BUROCRAZIE PUBBLICHE


POTERE LEGALE-RAZIONALE E AMMINISTRAZIONE BUROCRATICA<br />

Come ampiamente r<strong>il</strong>evato nel corso del primo modulo, la burocrazia sorge<br />

insieme allo Stato moderno, costituendone la forma peculiare di<br />

amministrazione. Questo termine compare, infatti, nel Settecento per designare <strong>il</strong><br />

potere di un corpo di funzionari e impiegati dell’amministrazione statale con<br />

compiti specializzati alle dipendenze del sovrano assoluto.<br />

Oggi si parla di “burocrazia pubblica” per indicare, sul piano strutturale, l’insieme<br />

degli apparati di cui <strong>il</strong> governo si avvale per esercitare la funzione amministrativa;<br />

cioè, in termini funzionali, l’insieme dei procedimenti attraverso i quali le norme<br />

che regolano un determinato Stato sono tradotte in decisioni specifiche per i casi<br />

singoli. Ma vi sono anche “burocrazie private”, poiché <strong>il</strong> termine, seguendo la<br />

DEFINIZIONE WEBERIANA, si riferisce al tipo di organizzazione che caratterizza le<br />

organizzazioni complesse, che funzionano secondo <strong>il</strong> principio delle competenze<br />

di autorità attribuite ad uffici e specificate attraverso regole impersonali e<br />

universali.<br />

Alla base della concezione weberiana della burocrazia è IL COLLEGAMENTO DEI<br />

DIFFERENTI TIPI DI AMMINISTRAZIONE ALLA TIPOLOGIA DELLE FORME “PURE”<br />

DI POTERE LEGITTIMO. Potere e amministrazione - sottolinea <strong>il</strong> sociologo tedesco<br />

- sono strettamente collegati. Infatti,“ogni potere si manifesta e funziona come<br />

amministrazione; e ogni amministrazione, in quanto per la sua direzione devono


pur sempre essere posti nelle mani di qualcuno dei poteri di comando, richiede in<br />

qualche modo <strong>il</strong> potere”.<br />

Per WEBER, dunque, al POTERE TRADIZIONALE fa riscontro o l’assenza di<br />

un vero e proprio apparato amministrativo specializzato attraverso <strong>il</strong> quale i<br />

detentori del potere possono far valere la propria autorità (è <strong>il</strong> caso, nelle società<br />

più antiche, della gerontocrazia e del patriarcalismo), oppure, se un tale apparato<br />

riesce a formarsi, come avviene con l’affermarsi del patrimonialismo, esso viene<br />

costituito in base a legami di fedeltà personale con <strong>il</strong> signore, del quale si<br />

amministra tutto ciò che ricade sotto <strong>il</strong> suo dominio - si tratti di risorse umane o di<br />

beni naturali - alla stregua di un patrimonio personale, “privato”.<br />

Diverso è invece <strong>il</strong> discorso per <strong>il</strong> POTERE CARISMATICO, a cui non<br />

corrisponde alcun sistema amministrativo stab<strong>il</strong>e, dato <strong>il</strong> carattere “straordinario”<br />

di questo tipo di potere: quando un tipo di amministrazione stab<strong>il</strong>e riesce ad<br />

affermarsi, ciò costituirà anzi un sicuro indicatore del fatto che <strong>il</strong> potere<br />

carismatico, attraverso un processo di trasformazione del carisma in pratica<br />

quotidiana, ha finito con <strong>il</strong> cedere <strong>il</strong> passo agli altri due tipi di potere, quello<br />

tradizionale o quello razionale - legale.<br />

E’ infine a quest’ultimo tipo di potere, <strong>il</strong> POTERE RAZIONALE - LEGALE,<br />

che corrispondono le moderne forme di amministrazione burocratica.<br />

‣ POSSIAMO COSI’ SCHEMATIZZARE IL RAPPORTO ESISTENTE PER WEBER FRA LE<br />

FORME DI POTERE LEGITTIMO E LE FORME DI AMMINISTRAZIONE:


POTERE TRADIZIONALE<br />

Basato sulla “credenza quotidiana nel<br />

carattere sacro delle tradizioni valide da<br />

sempre e della legittimità di coloro che sono<br />

chiamati a rivestire un’autorità”.<br />

POTERE LEGALE - RAZIONALE<br />

Fondato sulla “credenza nella legalità di<br />

ordinamenti statuiti e nel diritto di comando<br />

di coloro che sono chiamati ad esercitare <strong>il</strong><br />

potere in base ad essi”.<br />

POTERE CARISMATICO<br />

Legato ad una “dedizione straordinaria al<br />

carattere sacro o alla forza eroica, o al valore<br />

esemplare di una persona”.<br />

FORME<br />

PATRIMONIALISTICHE<br />

DI<br />

AMMINISTRAZIONE<br />

FORMA<br />

BUROCRATICA DI<br />

AMMINISTRAZIONE<br />

CARATTERE<br />

INSTABILE DI QUESTA<br />

FORMA DI POTERE,<br />

NON LEGATO AD<br />

UNA FORMA<br />

SPECIFICA DI<br />

AMMINISTRAZIONE


Per quanto riguarda in particolare la forma di amministrazione burocratica, si è già<br />

visto come la burocrazia pubblica nasca (come risultato delle “lotte per<br />

l’eliminazione” tra i diversi signori feudali) in conseguenza del generale processo<br />

di accorpamento territoriale e di accentramento del potere nelle mani del<br />

sovrano che caratterizza lo sv<strong>il</strong>uppo della monarchia assoluta.<br />

Questa forma di organizzazione amministrativa rappresenta infatti LO SPECIFICO<br />

STRUMENTO DI POTERE ATTRAVERSO CUI SI STABILIZZA IL CENTRALISMO DEI<br />

SOVRANI ASSOLUTI, consentendo, in particolare, di costruire un sistema fiscale<br />

centralizzato in grado di fornire le risorse necessarie per mantenere un esercito<br />

stanziale, atto a tutelare l’ordine interno (tenendo a bada sia i vecchi ceti nob<strong>il</strong>iari<br />

in decadenza, che la borghesia mercant<strong>il</strong>e in ascesa) e sempre pronto a difendere i<br />

vasti territori dello Stato da pericoli esterni e a rendere possib<strong>il</strong>e la politica di<br />

potenza dei sovrani.<br />

Ma perché gli Stati riuscissero a procurarsi, attraverso la tassazione, le risorse<br />

necessarie per pagare la burocrazia pubblica, un’IMPORTANTE PRECONDIZIONE fu<br />

l’AFFERMARSI DI UN’ECONOMIA MONETARIA: solo in un’economia monetaria,<br />

infatti, i funzionari dello Stato poterono essere remunerati attraverso uno<br />

stipendio, invece che con pagamenti più o meno “in natura” da parte dei clienti, o<br />

attraverso la concessione di sinecure e prebende (come la gestione della raccolta<br />

delle imposte), come avveniva da parte del signore territoriale nella precedente<br />

forma di amministrazione patrimoniale.


Il sistema degli stati assolutisti si formò dunque attraverso le guerre e la creazione<br />

degli imperi d’oltremare, per cui l’espansione delle funzioni dello Stato procedette<br />

in parallelo alle esigenze della guerra. Da allora in poi la burocrazia pubblica<br />

rappresenterà <strong>il</strong> telaio dello Stato moderno, anche quando, nei suoi successivi<br />

sv<strong>il</strong>uppi, essa si affrancherà dal potere del sovrano per assoggettarsi, invece, al<br />

parlamento ed alla legge.<br />

LA “SOCIOLOGIA COMPRENDENTE” WEBERIANA E IL PRIMATO<br />

DELLA RAZIONALITA’ FORMALE<br />

Il potere razionale - legale è alla base del modo di amministrare le moderne<br />

organizzazioni complesse come la pubblica amministrazione, ma anche come la<br />

grande impresa. Esso è infatti parte di un più ampio PROCESSO DI<br />

RAZIONALIZZAZIONE che caratterizza la storia occidentale. Tutte le<br />

caratteristiche della nuova forma di amministrazione esprimono la tendenza alla<br />

razionalizzazione della vita di comunità propria del potere legale: la legittimità di<br />

tale tipo di potere, infatti, è basata su norme impersonali che non trovano più<br />

fondamento nella tradizione, ma che sono stab<strong>il</strong>ite razionalmente rispetto agli


scopi dell’azione.<br />

A tal proposito appare ut<strong>il</strong>e una digressione sulla sociologia della conoscenza di<br />

WEBER, quella che egli chiama “SOCIOLOGIA COMPRENDENTE”.<br />

Per questo autore esiste una netta contrapposizione fra la “razionalità formale”, a<br />

cui deve essere ricondotto <strong>il</strong> metodo della scienza sociale, e la sostanziale<br />

irrazionalità del suo oggetto di indagine, cioè la concreta realtà storica in cui si<br />

esplica<br />

la “razionalità materiale” dell’agire umano. Egli infatti, dopo aver<br />

delineato I QUATTRO POSSIBILI TIPI IDEALI NEI QUALI PUÒ ESSERE<br />

FATTA RIENTRARE L’AZIONE UMANA DOTATA DI SENSO, considera poi<br />

questi tipi di azione secondo una SCALA DECRESCENTE DI INTELLEGIBILITÀ:<br />

Il massimo grado di intellegib<strong>il</strong>ità è proprio di quei comportamenti umani in cui<br />

l’agente faccia uso di ragionamenti di tipo matematico o logico: è <strong>il</strong> caso<br />

dell’AGIRE “ORIENTATO RAZIONALMENTE RISPETTO ALLO SCOPO”, in cui si<br />

esplica <strong>il</strong> calcolo razionale degli esiti probab<strong>il</strong>i di una data azione ut<strong>il</strong>izzando <strong>il</strong><br />

nesso mezzi - fini, scegliendo cioè razionalmente <strong>il</strong> mezzo che si ritiene più idoneo<br />

per <strong>il</strong> conseguimento di un determinato scopo.<br />

Un grado inferiore di intellegib<strong>il</strong>ità caratterizza l’altro tipo possib<strong>il</strong>e di azione<br />

razionale, cioè l’AZIONE “ORIENTATA RAZIONALMENTE RISPETTO AL VALORE”. In<br />

questo caso, infatti, <strong>il</strong> senso dell’azione non risiede più nell’adeguatezza del<br />

mezzo rispetto ai fini, ma nell’esecuzione dell’azione come fine in sé.


Ancora meno intellegib<strong>il</strong>i, quasi ai margini dell’azione dotata di senso, risultano<br />

infine gli altri due tipi ideali di azione: l’AZIONE ORIENTATA “AFFETTIVAMENTE” e<br />

l’AZIONE ORIENTATA “TRADIZIONALMENTE”.<br />

L’azione razionale, nel senso forte del termine, è dunque per Weber soltanto la<br />

prima, perché è l’unica che può essere definita univocamente. E spiega: “ad<br />

esempio, noi intendiamo in maniera del tutto univoca che cosa voglia significare<br />

chi fa ricorso, con <strong>il</strong> pensiero e nell’argomentazione, alla proposizione 2 X 2 = 4,<br />

oppure al teorema di Pitagora (....). Parimenti comprendiamo che cosa voglia<br />

significare chi da ‘fatti di esperienza’ che a noi siano ‘noti’ e da determinati scopi<br />

deriva nel suo agire le conseguenze che risultano (secondo le nostre esperienze) più<br />

coerenti in merito ai ‘mezzi’ da applicare. Ogni interpretazione di un agire siffatto,<br />

orientato razionalmente in vista di uno scopo, possiede – per la comprensione dei<br />

mezzi impiegati – <strong>il</strong> grado più elevato di evidenza”.<br />

‣ Il “CALCOLO DEL CAPITALE”, su cui si fonda l’economia capitalista, è, secondo<br />

Weber, un esempio di azione razionale nel suo significato più puro: esso<br />

prescinde, infatti, da qualsiasi orientamento rispetto al valore e, a maggior<br />

ragione, da qualsiasi considerazione di tipo tradizionale o affettivo, occupandosi<br />

semplicemente di trovare la soluzione ottimale, date determinate condizioni, per<br />

conseguire un determinato fine (<strong>il</strong> profitto). E’ nel calcolo del capitale che si<br />

realizza dunque al massimo grado la razionalità formale dell’agire economico.<br />

‣ L’essenza della MODERNA AMMINISTRAZIONE BUROCRATICA, così come per <strong>il</strong>


“calcolo del capitale”, è anch’essa improntata alla concezione weberiana della<br />

razionalità: la struttura burocratica è infatti per Weber “al servizio del<br />

razionalismo nella condotta di vita”; e ancora, “<strong>il</strong> fondamento decisivo per <strong>il</strong><br />

procedere dell’amministrazione burocratica è sempre stato la sua superiorità<br />

puramente tecnica su ogni altra forma”.<br />

Il legame tra capitalismo e burocrazia non potrebbe dunque essere più stretto,<br />

dato che si tratta di due facce di un medesimo processo, identificab<strong>il</strong>e<br />

nell’estendersi della “razionalità formale” ad un settore sempre più vasto<br />

dell’agire sociale. Lo stesso presupposto “tecnico” della razionalità del calcolo<br />

del capitale – la separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione – è necessario<br />

per lo sv<strong>il</strong>uppo della burocrazia, sia essa privata o pubblica: “la struttura<br />

burocratica procede di pari passo con la concentrazione dei mezzi oggettivi di<br />

impresa nelle mani del detentore del potere. Così avviene in modo tipico nello<br />

sv<strong>il</strong>uppo delle grandi imprese capitalistiche private, che trovano in questo la loro<br />

caratteristica essenziale. Così ha però luogo in modo corrispondente anche nelle<br />

comunità pubbliche”.


IL MODELLO WEBERIANO DI BUROCRAZIA<br />

Una volta ricondotto l’affermarsi dell’amministrazione burocratica<br />

(così come lo<br />

sv<strong>il</strong>uppo di forme di economia capitalista) al prevalere della “razionalità formale”<br />

dell’azione orientata allo scopo, è possib<strong>il</strong>e ricostruire I TRATTI SALIENTI DEL<br />

MODELLO WEBERIANO DI BUROCRAZIA, in cui si sostanzia <strong>il</strong> passaggio da<br />

forme di amministrazione patrimonialistica al modello burocratico di<br />

amministrazione:<br />

ESPROPRIAZIONE DI CHI ESERCITA FUNZIONI AMMINISTRATIVE DAL POSSESSO<br />

DEI MEZZI DI AMMINISTRAZIONE: parallelamente alla separazione del lavoratore<br />

dai mezzi di produzione, che caratterizza l’economia capitalista, si realizza la<br />

separazione del burocrate dai mezzi di amministrazione: <strong>il</strong> burocrate gestisce<br />

risorse che non sono sue, ma dello Stato. E’ <strong>il</strong> sistema degli uffici, a cui sono<br />

demandate le principali funzioni statuali, a possedere le risorse materiali e<br />

istituzionali relative all’esercizio delle funzioni amministrative, non gli individui<br />

che, di volta in volta, occupano quegli uffici esercitando ruoli amministrativi.<br />

PASSAGGIO DAL PRIVILEGIO ALL’UFFICIO: al potere patrimonialistico, basato<br />

sul possesso, si sostituisce <strong>il</strong> potere amministrativo, derivante dall’applicazione


impersonale della legge. Dal punto di vista comportamentale, <strong>il</strong> funzionario<br />

pubblico agisce cioè in base a criteri puramente oggettivi, senza riguardo alle<br />

persone, escludendo, nell’espletamento del proprio ruolo, ogni considerazione<br />

affettiva o di tipo personale: come dice Weber, <strong>il</strong> suo comportamento è “sine ira<br />

ac studio”. Inoltre, se l’esecuzione concreta di attività amministrative era, prima<br />

della razionalizzazione, diritto di determinati corpi sociali; nel modello burocratico<br />

i funzionari dello Stato hanno <strong>il</strong> dovere di portare avanti quelle attività.<br />

STRUTTURA DEL SISTEMA BUROCRATICO BASATA SULLA SPECIALIZZAZIONE E<br />

SULLA GERARCHIA: le facoltà decisionali più alte sono assegnate ad un organo<br />

decisionale non a carattere burocratico, ma di natura politica: prima <strong>il</strong> sovrano, più<br />

tardi <strong>il</strong> parlamento e <strong>il</strong> governo. Tutti gli altri organi ed uffici sono strutturati<br />

secondo <strong>il</strong> modello organizzativo burocratico, informato a due bas<strong>il</strong>ari princìpi. Si<br />

tratta infatti di un sistema basato sulla competenza specialistica, da una parte, e<br />

su una strutturazione verticale di tipo gerarchico, dall’altra. Il primo aspetto può<br />

essere visto come l’applicazione alla sfera politica della divisione del lavoro che nel<br />

frattempo andava affermandosi in altri campi, come quello della produzione<br />

economica e della scienza; con <strong>il</strong> secondo aspetto <strong>il</strong> comportamento dei funzionari<br />

ed <strong>il</strong> loro rendimento veniva a dipendere da una gerarchia di facoltà di comando e<br />

di controllo, di riconoscimento sociale e di trattamento economico in cui si<br />

articolava <strong>il</strong> sistema delle carriere.


MODALITÀ E CRITERI DECISIONALI MULTIFUNZIONALI E UTILIZZABILI DA UNA<br />

MOLTEPLICITÀ DI ATTORI: è <strong>il</strong> sistema delle direttive alle quali i funzionari<br />

burocratici devono uniformare i loro atti, che sono formulate in termini generali,<br />

in modo da essere eseguib<strong>il</strong>i in maniera mutevole adattandosi alle situazioni<br />

concrete, e hanno natura procedurale, sono volte cioè a standardizzare <strong>il</strong> modo di<br />

prendere le decisioni, piuttosto che <strong>il</strong> loro contenuto specifico.<br />

RAZIONALITÀ FORMALE DEL COMPORTAMENTO AMMINISTRATIVO E<br />

FORMAZIONE GIURIDICA DEI FUNZIONARI PUBBLICI: la razionalità del burocrate è<br />

di tipo formale, consiste cioè nell’adeguatezza dei propri comportamenti<br />

amministrativi a direttive di ordine superiore e, in ultima istanza, alla legge. Le<br />

conoscenze giuridiche diventano quindi la base della sua formazione.<br />

‣ In conclusione, possiamo sintetizzare così <strong>il</strong> MODELLO WEBERIANO DI<br />

BUROCRAZIA:


IL MODELLO WEBERIANO<br />

POTERE LEGALE-<br />

RAZIONALE<br />

NEUTRALITA’ DEL<br />

POTERE<br />

IMPERSONALE DEL<br />

BUROCRATE<br />

SISTEMA ORDINATO<br />

GERARCHICAMENTE<br />

COMPETENZE<br />

BASATE SU UN<br />

SAPERE<br />

SPECIALISTICO<br />

Modello di razionalità dell’agire burocratico improntato<br />

all’azione orientata razionalmente rispetto allo scopo<br />

(nesso mezzi – fini).<br />

Comportamento burocratico “sine ira ac studio”,<br />

basato sull’applicazione neutrale di regole astratte di<br />

natura giuridica.<br />

Complessa divisione del lavoro in precise sfere di<br />

competenza, con relazioni di autorità rigidamente<br />

ordinate verticalmente.<br />

La legittimazione dell’autorità del burocrate è basata<br />

sull’esercizio di una serie di funzioni a sua volta<br />

fondato sul “monopolio” di un sapere specialistico,<br />

accertato già nella fase di reclutamento attraverso un<br />

sistema di concorsi meritocratici


LA CRESCITA DELLE BUROCRAZIE PUBBLICHE<br />

Accanto all’accentramento del comando, <strong>il</strong> consolidamento dello Stato moderno<br />

comportò un elemento culturale, la progressiva affermazione dell’idea di nazione,<br />

e un elemento politico, lo sv<strong>il</strong>uppo dei processi di democratizzazione.<br />

Il PROCESSO DI SECOLARIZZAZIONE DEL POTERE POLITICO dopo <strong>il</strong> periodo delle<br />

“guerre di religione”, con <strong>il</strong> suo definitivo distacco da una legittimazione di tipo<br />

religioso, accrescevano infatti <strong>il</strong> bisogno di legittimazione di un potere centrale<br />

sempre più esteso: ciò portò, da una parte, allo sv<strong>il</strong>uppo di un sentimento di<br />

identificazione (politica ma anche culturale) con una entità territoriale di ampie<br />

proporzioni (lo stato-nazione), e, dall’altra (dopo la rivoluzione francese),<br />

all’estendersi dell’idea democratica, con la graduale trasformazione dei sudditi in<br />

cittadini. Tutto ciò determinò IL PROGRESSIVO AMPLIAMENTO DEI COMPITI<br />

DELLO STATO, teso ad offrire servizi ai cittadini per migliorarne le condizioni di<br />

vita, regolarne le condizioni di lavoro e operare una redistribuzione a favore dei<br />

ceti meno abbienti (Stato sociale), oltre a intervenire attivamente nell’economia<br />

(Stato programmatore). Ma la costante espansione dei compiti dello Stato<br />

significa anche una crescita correlata della burocrazia pubblica.<br />

La democrazia determina l’apertura del sistema politico sul versante degli input:<br />

così SONO LE PRESSIONI SUL POTERE POLITICO ESERCITATE DAI DIVERSI GRUPPI<br />

SOCIALI A DETERMINARE LA CRESCITA DELLA BUROCRAZIA, che possiamo


iassumere nel seguente schema:<br />

PRESSIONI DEI<br />

GRUPPI<br />

ECONOMICAMENTE<br />

PIU’ DEBOLI<br />

CRESCITA<br />

DELLA<br />

BUROCRAZIA<br />

PUBBLICA<br />

PRESSIONI DEI<br />

GRUPPI<br />

ECONOMICAMENTE<br />

PIU’ FORTI<br />

Sfruttano <strong>il</strong> loro peso<br />

elettorale per<br />

ottenere<br />

provvedimenti tesi a<br />

migliorarne la<br />

condizione<br />

economico-sociale<br />

SPINTE PROVENIENTI<br />

DALL’INTERNO<br />

STESSO DELLO STATO<br />

Spinte corporative dei<br />

dirigenti delle agenzie<br />

pubbliche ad accrescere<br />

<strong>il</strong> peso del settore di<br />

appartenenza, in termini<br />

di budget e di potere.<br />

Fanno valere <strong>il</strong> loro peso<br />

economico per ottenere<br />

dallo Stato una serie di<br />

interventi infrastrutturali<br />

(scuole, trasporti,<br />

elettricità, acquedotti,<br />

ecc.


I LIMITI DEL MODELLO WEBERIANO<br />

Alla luce di questi cambiamenti determinati dalla crescita delle amministrazioni<br />

burocratiche, emerge la crescente incapacità del modello weberiano di<br />

burocrazia di descrivere fedelmente la realtà contemporanea di<br />

un’amministrazione pubblica sempre più frammentata e complessa. Questi limiti<br />

investono indiscriminatamente tutte le componenti del modello: dal tipo di<br />

razionalità, alla neutralità del comportamento burocratico; dal ruolo della<br />

struttura gerarchica, al sistema delle competenze.<br />

A<br />

I LIMITI ALLA RAZIONALITA’<br />

Come si è detto, <strong>il</strong> modello weberiano di burocrazia afferma in primo luogo <strong>il</strong><br />

principio della razionalità dell’azione come fondamento dell’agire burocratico.<br />

Una serie di studi, a partire dagli anni sessanta, hanno però fortemente<br />

ridimensionato la validità del modello “sinottico” di stampo weberiano, mettendo<br />

in evidenza che l’azione amministrativa riflette piuttosto delle RAZIONALITA’<br />

PLURIME che, collegate alle diverse situazioni decisionali, danno vita a DIVERSI<br />

MODELLI DECISIONALI:


PROSPETTIVE<br />

DI ANALISI DEL<br />

DECISION-<br />

MAKING<br />

RAPPORTO<br />

CON LA<br />

RAZIONALITA’<br />

’<br />

RAPPORTO<br />

CON IL<br />

POTERE<br />

Ruolo delle informazioni.<br />

Ruolo degli interessi.<br />

DUE DIVERSI<br />

PIANI<br />

DELL’AZIONE<br />

RAZIONALE<br />

ACQUISIZIONE ED<br />

ELABORAZIONE<br />

DELLE<br />

INFORMAZIONI<br />

REGOLAZIONE<br />

DEL CONFLITTO E<br />

FORMAZIONE<br />

DEL CONSENSO<br />

Riguarda la conoscenza (<strong>il</strong> controllo)<br />

dei mezzi e delle loro conseguenze.<br />

•Informazione(completa/incompleta);<br />

•Conseguenze (certe/incerte);<br />

• Alternative di azione (accessib<strong>il</strong>i/non<br />

accessib<strong>il</strong>i).<br />

Accordo/conflitto sui fini = decisione<br />

parametrica/strategica.


ACCORDO SUGLI OBIETTIVI (FINI)<br />

ELEVATO<br />

(Situazione parametrica)<br />

BASSO<br />

(Situazione strategica)<br />

ELEVATA<br />

(Informazione<br />

completa)<br />

CONOSCENZA<br />

MEZZI ALTERNATIVI<br />

E CONSEGUENZE<br />

•PROCESSO: programmato;<br />

•DECISIONE: ottimizzante;<br />

• STILE: calcolo razionale;<br />

• SITUAZIONE: parametrica.<br />

•PROCESSO: negoziato;<br />

•DECISIONE: accettab<strong>il</strong>e;<br />

• STILE: cooperazione;<br />

• SITUAZIONE:<br />

interdipendenza<br />

BASSA<br />

(Informazione<br />

incompleta)<br />

•PROCESSO: pragmatico;<br />

• DECISIONE: soddisfacente;<br />

• STILE: giudizio;<br />

• SITUAZIONE: incertezza.<br />

• PROCESSO: caotico;<br />

• DECISIONE: casuale;<br />

• STILE: improvvisazione;<br />

• SITUAZIONE: ambiguità.


1<br />

MODELLO RAZIONALE - SINOTTICO<br />

Questo modello di razionalità parte dal presupposto della piena applicab<strong>il</strong>ità della<br />

logica dell’azione economica ai comportamenti politico - amministrativi. Può<br />

funzionare solo nel caso in cui si verifichi una informazione sinottica, cioè un<br />

elevato grado di certezza su mezzi, informazioni ed esiti, ed una piena coincidenza<br />

tra le preferenze dei partecipanti alle decisioni. In questo caso si potrà realizzare<br />

un PROCESSO DECISIONALE STRUTTURATO E SEQUENZIALE DI TIPO RAZIONALE:<br />

• Scala di priorità dei valori (obiettivi) del decisore;<br />

• Conoscenza di tutti i mezzi ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i per raggiungere l’obiettivo;<br />

• Valutazione di tutte le conseguenze dell’uso di un mezzo rispetto all’obiettivo da<br />

perseguire;<br />

• Scelta del mezzo che massimizza i benefici e minimizza i costi.<br />

Va subito notato che questo modello (che ricalca <strong>il</strong> tipo ideale della weberiana<br />

azione legale-razionale), definendo come razionale quel comportamento che è<br />

appropriato per <strong>il</strong> conseguimento di fini specifici nel contesto di una situazione<br />

data, tiene conto dei VINCOLI POSTI DALLA SITUAZIONE ESTERNA, mentre si<br />

disinteressa del tutto degli attori che prendono le decisioni (di cui si da per<br />

presupposto un “comportamento razionale”). In realtà esistono vari tipi di<br />

limitazioni che caratterizzano, sotto diversi aspetti, gli attori decidenti e


iguardano le loro conoscenze, le loro capacità di calcolo, i condizionamenti<br />

culturali e ambientali e così via. Bisogna dunque approdare ad una concezione<br />

della razionalità che tenga conto di comportamenti che si adeguano non solo ai<br />

vincoli imposti dalla situazione esterna, ma anche ai VINCOLI INTERNI, insiti nelle<br />

caratteristiche dei decisori e delle loro capacità e potenzialità.<br />

Nella maggior parte dei casi, <strong>il</strong> quadro appare ben diverso da quello prefigurato<br />

dal modello della razionalità sinottica:<br />

• Gli obiettivi dei programmi di intervento pubblico sono vaghi e generici, se non<br />

a volte meramente simbolici;<br />

• Le informazioni sono incomplete e frammentarie, sia sui mezzi alternativi, che<br />

sulle possib<strong>il</strong>i conseguenze del loro uso;<br />

• i soggetti coinvolti nel processo decisionale sono portatori di interessi e<br />

preferenze spesso contrapposti;<br />

• Questo approccio non tiene conto del carattere multidimensionale delle<br />

motivazioni umane, né delle dimensioni a-razionali (intuizioni, emozioni).<br />

2<br />

MODELLO DELLA RAZIONALITA’ LIMITATA<br />

Molte delle critiche all’applicab<strong>il</strong>ità della razionalità sinottica al processo<br />

decisionale pubblico sono state formulate da HERBERT SIMON che, alle pretese


“globali” del primo modello, contrappone una visione alternativa basata su quella<br />

che egli definisce una “RAZIONALITÀ LIMITATA”. Pur restando all’interno di una<br />

situazione parametrica (in cui i fini non rappresentano un problema), Simon<br />

ricava una immagine ben diversa dell’attività decisionale, secondo cui l’uomo,<br />

più che “animale ottimizzante” (optimizing) è un “animale che si accontenta”<br />

(satisficing).<br />

Per decidere bisogna ridurre la complessità e l’uomo amministrativo, dice Simon,<br />

sa bene che le sue scelte poggiano su un’immagine semplificata della situazione,<br />

comprensiva solo di alcuni dei fattori che egli ritiene più r<strong>il</strong>evanti ed essenziali.<br />

Nelle grandi organizzazioni come quella amministrativa esiste poi una particolare<br />

“RAZIONALITÀ PROCEDURALE” derivata dall’organizzazione stessa che, attraverso<br />

la diffusione di prassi costanti, di routine e di procedure standardizzate, oltre che<br />

attraverso la specializzazione dei compiti e la divisione del lavoro, fornisce ai<br />

propri membri le premesse di fatto e di valore per le loro decisioni.<br />

Così, nel modello di Simon, un’immagine semplificata della situazione (necessaria,<br />

però, per ridurre la complessità del reale), in cui appare limitata la conoscenza dei<br />

mezzi e la prevedib<strong>il</strong>ità delle conseguenze, consente una SCELTA SODDISFACENTE,<br />

ma lontana da qualsiasi comportamento ottimizzante.


3<br />

MODELLO INCREMENTALE<br />

L’emergere di forme di razionalità differenti da quella del modello razionalsinottico<br />

è collegato alla EVOLUZIONE DELLE FUNZIONI DELLO STATO, nel<br />

passaggio dal modello classico liberale di uno Stato limitato e garantista, ispirato<br />

ad una razionalità legale di stampo weberiano volta a produrre decisioni<br />

autoritative basate su ordine, regolamento e controllo, ad uno Stato in cui cresce<br />

sempre più l’intervento pubblico nell’economia e nella società. Le nuove<br />

fattispecie di policy making appaiono infatti sempre più incongruenti con la<br />

razionalità legale e con le strutture politico-amministrative che quella razionalità<br />

incorporano. In base a queste considerazioni, si possono distinguere TRE<br />

DIFFERENTI TIPI DI RAZIONALITÀ:<br />

LEGALE -<br />

RAZIONALE<br />

Appare legata alle limitate funzioni dello Stato liberale “classico”,<br />

in cui l’autorità di chi prende le decisioni appare rapportata a<br />

principi di certezza e prevedib<strong>il</strong>ità. Qui gli obiettivi appaiono<br />

inequivocab<strong>il</strong>mente definiti e la disponib<strong>il</strong>ità di conoscenze e di<br />

mezzi organizzativi adeguati appare sufficiente a realizzare tali<br />

obiettivi.


SPERIMENTALE<br />

CONFLITTUALE<br />

In questo tipo di razionalità ricadono le funzioni<br />

pubbliche, di recente emersione, che vedono gli apparati<br />

amministrativi interagire nell’economia e nella società. A<br />

fronte di obiettivi definiti si riscontrano, in questo caso,<br />

conoscenze e mezzi organizzativi spesso inadeguati a<br />

realizzare tali obiettivi. In questo caso <strong>il</strong> decisore sarà<br />

costretto ad aggiustare <strong>il</strong> tiro sperimentando sempre<br />

nuove soluzioni (modificando e adeguando i mezzi<br />

organizzativi e procurandosi le opportune conoscenze)<br />

fino a conseguire dei risultati efficaci.<br />

Oggi sempre più la pubblica amministrazione tende a<br />

farsi mediatrice di interessi articolati, in maniera<br />

competitiva o complementare, dei gruppi organizzati<br />

operanti nella società civ<strong>il</strong>e. In questo caso ciò che più<br />

conta è <strong>il</strong> grado di ricettività e di accettab<strong>il</strong>ità delle<br />

decisioni prodotte. Ciò significa che chi decide appare<br />

impegnato soprattutto in attività di negoziazione,<br />

arbitrato, trattativa, scambio, tutte intese a pervenire ad<br />

una definizione accettab<strong>il</strong>e degli obiettivi, per loro<br />

natura ambigui ed equivoci all’inizio del processo<br />

decisionale.


IL MODELLO DELLA RAZIONALITÀ INCREMENTALE proposto da CHARLES<br />

LINDBLOM appare quello maggiormente in grado di tener conto delle forme di<br />

razionalità differenti da quella legale-razionale, perchè accanto alla COMPLESSITÀ<br />

TECNICA, inerente ai limiti cognitivi delle decisioni, considera anche la<br />

COMPLESSITÀ POLITICA del processo decisionale, che comporta una serie di limiti<br />

strategici all’azione del decisore.<br />

Per quanto riguarda <strong>il</strong> primo aspetto, Lindblom continua sulla strada di Simon,<br />

notando in particolare come spesso sia impossib<strong>il</strong>e separare gli obiettivi dai mezzi<br />

(tanto che, in molti casi, gli obiettivi vengono scelti in base all’esistenza di mezzi<br />

per realizzarli), e anche <strong>il</strong> numero di conseguenze prese in considerazione è molto<br />

limitato. Considerata poi la presenza di procedure standardizzate (che è costoso<br />

innovare), egli può così spiegare perchè la maggior parte delle decisioni della<br />

pubblica amministrazione sono di TIPO INCREMENTALE, nel senso che partono da<br />

una comparazione con le decisioni precedentemente prese, dalle quali tendono a<br />

discostarsi di poco, attraverso aggiustamenti successivi.<br />

L’innovazione del modello di Lindblom riguarda però soprattutto <strong>il</strong> secondo<br />

aspetto. Qui l’accordo sui fini non è più dato per scontato; al contrario, le decisioni<br />

vengono prese in un contesto di interdipendenza tra attori multipli, con<br />

preferenze ed identità distinte. Nel modello incrementale, infatti, la formulazione<br />

delle politiche diviene anche un processo di composizione del conflitto, per cui la


scelta razionale diviene quella che garantisce l’accordo tra gli interessi coinvolti.<br />

Attraverso la discussione, la negoziazione, lo scambio, o anche a volte decisioni<br />

un<strong>il</strong>aterali, si cerca di provocare delle risposte negli altri attori/decisori, in un<br />

modello di “reciproco aggiustamento partigiano”. Ne deriva un modello di<br />

razionalità quasi “sperimentale”, in cui si va avanti per piccoli passi con<br />

approssimazioni successive che producono scelte incrementali che si scostano<br />

poco rispetto a quelle fatte in precedenza, pronti poi ad “aggiustare <strong>il</strong> tiro”, se le<br />

decisioni prese provocano eccessive reazioni e conflitti.<br />

In fondo <strong>il</strong> modello di Lindblom finisce per descrivere la logica di funzionamento<br />

delle democrazie pluraliste dove, come scrive Luigi Bobbio, “non esiste una mente<br />

centrale in grado di vedere tutto” e dove “la razionalità non è garantita a priori<br />

dal calcolo, ma scaturisce piuttosto a posteriori dall’interazione sociale”.<br />

Questo preteso accostamento alla logica democratica solleva però delle CRITICHE.<br />

AMITAI ETZIONI, ad esempio, r<strong>il</strong>eva non solo <strong>il</strong> conservatorismo di questa forma<br />

di processo decisionale, che si riferisce alle decisioni ordinarie (le microdecisioni),<br />

trascurando così completamente le decisioni strategiche su problemi<br />

fondamentali, ma anche la sua anti-democraticità, perché “l’aggiustamento<br />

reciproco favorisce i gruppi ben organizzati e agisce contro le categorie<br />

sottopriv<strong>il</strong>egiate”. Questo autore propone piuttosto <strong>il</strong> metodo del MIXED<br />

SCANNING, che opera una distinzione tra le decisioni fondamentali, dove è<br />

necessario valutare numerose decisioni alternative, e decisioni di portata limitata,


che possono essere prese in modo incrementale.<br />

4<br />

MODELLO DEL “BIDONE DELLA SPAZZATURA”<br />

Questo ulteriore modello, che rappresenta una reazione radicale ai modelli che<br />

vedono le organizzazioni come soggetti dotati di fini precisi ed espliciti, sottolinea<br />

anch’esso come la vita delle organizzazioni sia dominata dalla lotta fra diversi<br />

attori, ciascuno dotato di propri obbiettivi e strategie, spesso incompatib<strong>il</strong>i.<br />

Questa visione porta a negare ogni scopo organizzativo: piuttosto, le condizioni di<br />

contingenza e imprevedib<strong>il</strong>ità del processo decisionale ne mettono in evidenza la<br />

sostanziale casualità, rendendolo un processo di “anarchia organizzata”. La<br />

decisione nasce infatti dall’incontro e dal gioco di interdipendenza fra una serie<br />

di fattori eterogenei:<br />

• I PROBLEMI (P) sono distinti dalle scelte, e possono rimanere insoluti anche<br />

dopo le scelte.<br />

• LE SOLUZIONI (S) non sempre vengono create appositamente per risolvere un<br />

determinato problema. Spesso preesistono al problema (soluzioni in cerca di<br />

problemi).<br />

• GLI ATTORI PARTECIPANTI (A) vanno e vengono, hanno finalità diverse e sono<br />

condizionati da limiti di tempo e di attenzione.


• LE OPPORTUNITA’ DI SCELTA (O) si addensano in luoghi decisionali ad hoc e sedi<br />

istituzionali.<br />

Una situazione decisionale caratterizzata in questo modo appare pertanto per<br />

questi autori come “<strong>il</strong> luogo di incontro tra problemi che cercano trattamento,<br />

soluzioni che cercano problemi e partecipanti che cercano problemi da risolvere,<br />

soddisfazioni per interessi, o alleanze da stipulare”, come in un BIDONE DELLA<br />

SPAZZATURA in cui i vari elementi del processo decisionali sono mischiati e<br />

vengono pescati a caso.<br />

Se dunque la logica del processo decisionale dovrebbe rispettare una sequenza<br />

che parte dai problemi, considera le diverse opportunità di scelta, tiene conto dei<br />

diversi attori partecipanti ed arriva a delle soluzioni (quindi: P - O - A - S ), nelle<br />

situazioni decisionali ambigue le sequenze possono essere le più diverse (S - O - P<br />

- A; oppure: O - A - S - P; o ancora: A - S - P - O).<br />

Questo modello decisionale, nonostante si proponga di <strong>il</strong>lustrare gli aspetti non<br />

razionali del processo decisionale pubblico, rappresenta tuttavia anch’esso una<br />

forma, sia pur d<strong>il</strong>uita, di razionalità: infatti, si può anche affermare che “quel che<br />

appare caotico e casuale possiede una nascosta struttura logica e risponde ad<br />

una esigenza funzionale”.<br />

La principale CRITICA che si può rivolgere a questo modello è che esso non è<br />

certamente generalizzab<strong>il</strong>e: in particolare, esso non appare adatto a interpretare<br />

<strong>il</strong> funzionamento di interi settori politico-istituzionali. A tal proposito, si può


osservare che l’ambiguità e l’incertezza dei processi decisionali possono trovare un<br />

significativo argine nella capacità delle istituzioni di creare delle cornici di senso in<br />

cui inquadrare l’azione sociale, come dimostra un approccio differente, quello<br />

neo-istituzionale, che, pur non rientrando nei quattro tipi di razionalità fin qui<br />

presentati, risulta ad essi complementare.<br />

5<br />

MODELLO NEO - ISTITUZIONALE<br />

In una prospettiva diversa, L’APPROCCIO NEO - ISTITUZIONALE cerca di combinare<br />

la critica ad una visione della organizzazione come un organismo unico, con<br />

l’osservazione che, pur con contraddizioni e conflitti, le organizzazioni hanno<br />

tuttavia una loro esistenza autonoma rispetto alla somma degli individui che le<br />

compongono. Questo approccio appare complementare rispetto ai quattro<br />

modelli di razionalità decisionale. In esso alla logica della consequenzialità (dove<br />

<strong>il</strong> processo decisionale viene presentato come <strong>il</strong> risultato di un calcolo razionale,<br />

anche se la razionalità può essere “pura” o “limitata”, e la situazione parametrica<br />

si può trasformare in una situazione strategica in cui appare centrale <strong>il</strong> grado più o<br />

meno alto di disaccordo sui fini e la conseguente conflittualità fra gli attori, o,<br />

infine, la razionalità si stempera ulteriormente, senza però scomparire del tutto,


nella contingenza e imprevedib<strong>il</strong>ità dello stesso processo decisionale) si<br />

contrappone infatti la logica dell’appropriatezza, in base alla quale la razionalità<br />

consiste nella conformità a regole, norme e valori e si traduce in azioni basate sul<br />

riconoscimento di identità collettive. Ciò significa che, in contesti altamente<br />

istituzionalizzati, i comportamenti degli individui appaiono fortemente vincolati,<br />

per cui l’azione decisionale risulta improntata alla conformità a regole, piuttosto<br />

che azione weberianamente orientata allo scopo. Emerge allora che:<br />

VINCOLI<br />

ISTITUZIONALI<br />

ALL’AZIONE<br />

SOCIALE<br />

ASPETTO<br />

NORMATIVO<br />

ASPETTO<br />

REGOLATIVO<br />

ASPETTO<br />

COGNITIVO<br />

Insieme di norme e valori<br />

diffusi.<br />

Tessuto di regole<br />

comportamentali e di<br />

procedure.<br />

Fascio di significati condivisi,<br />

di mappe cognitive e di<br />

schemi regolativi di<br />

appropriatezza delle azioni<br />

che forniscono senso<br />

all’interazione quotidiana.


I comportamenti nelle organizzazioni non sarebbero dunque dettati dal mero<br />

interesse individuale, ma piuttosto da obbligazioni culturali e norme sociali, cioè –<br />

come affermano MARCH e OLSEN - “l’azione umana non sarebbe tanto motivata<br />

dall’anticipazione delle sue incerte conseguenze e dalle preferenze individuali,<br />

quanto piuttosto da una logica di comportamento ispirata a criteri di<br />

appropriatezza nel contesto di determinate regole e concezioni di identità”. Così <strong>il</strong><br />

rispetto delle regole deriva da processi di routinizzazione che rendono prevedib<strong>il</strong>i i<br />

comportamenti, sia dei burocrati che degli utenti, per cui “semplici stimoli<br />

innescano modelli di azione complessi, standardizzati, senza richiedere una<br />

approfondita analisi, la soluzione di problemi o <strong>il</strong> ricorso al potere discrezionale”.


B<br />

I LIMITI ALLA NEUTRALITA’<br />

Il mito della “neutralità” del burocrate, visto come mero esecutore della legge<br />

prodotta dagli organismi politico-rappresentativi, non regge certamente alla<br />

odierna complessità assunta dagli organismi burocratici.<br />

Certo NON C’È CONTRADDIZIONE TRA DEMOCRAZIA E BUROCRAZIA. Non solo<br />

perché è la democrazia con <strong>il</strong> suo sv<strong>il</strong>uppo a provocare la crescita della<br />

democrazia (dove c’è più Stato c’è più amministrazione) ma anche perché <strong>il</strong><br />

principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e <strong>il</strong> reclutamento sulla<br />

base delle competenze sono coerenti con gli ideali della democrazia. Come<br />

infatti osserva lo stesso Weber, “l’eguaglianza giuridica e la pretesa di garanzie<br />

giuridiche contro l’arbitrio esigono l’oggettività razionale formale<br />

dell’amministrazione, in antitesi al libero volere personale, nonché alla grazia,<br />

propria dell’antico potere patrimoniale”.<br />

Per un altro verso però, LA BUROCRAZIA SI DISCOSTA DALLA DEMOCRAZIA<br />

PER L’ASSENZA DI UNA LEGITTIMAZIONE RAPPRESENTATIVA. A tal riguardo, data<br />

la mancanza di una responsab<strong>il</strong>ità diretta verso l’elettorato, secondo la dottrina<br />

democratica la burocrazia deve essere subordinata al potere politico: ai politici<br />

spetterebbe dunque <strong>il</strong> compito di definire l’indirizzo generale delle politiche<br />

pubbliche, ai burocrati quello di attuare le direttive dei politici, rendendole così


operative.<br />

In realtà, <strong>il</strong> principio di neutralità appare solo parzialmente rispecchiato dalle<br />

esperienze concrete. Politici e burocrati appaiono piuttosto fare riferimento a<br />

differenti tipi di risorse a cui attingere per esercitare delle CONTINUE FORME<br />

DI RECIPROCO CONTROLLO.<br />

‣ LE RISORSE DELLA CLASSE POLITICA, oltre alla LEGITTIMAZIONE<br />

derivante dal voto dei cittadini, dipendono innanzitutto dal CONTROLLO DEL<br />

PROCESSO DI BILANCIO, che si traduce in un controllo dei fondi assegnati ai vari<br />

settori burocratici. Data la tendenza delle organizzazioni burocratiche ad<br />

accrescere <strong>il</strong> proprio budget di spesa nonché <strong>il</strong> grado della propria autonomia di<br />

spesa, è questa certamente l’”arma” più importante nelle mani dei governi.<br />

Anche la capacità, più o meno r<strong>il</strong>evante, delle autorità di governo di impostare una<br />

PROGRAMMAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE rappresenta certamente un<br />

vincolo significativo per le attività burocratiche. Oltre a questo, i governi possono<br />

ovviare parzialmente a uno dei principali handicap nei confronti delle strutture<br />

burocratiche, quello di dover dipendere da queste ultime per la raccolta e la<br />

messa a punto delle informazioni necessarie per decidere, dotandosi di PROPRI<br />

STAFF TECNICI, capaci di funzionare come fonti “autonome” di informazioni,<br />

composti da consulenti esterni oppure direttamente alle dipendenze dei governi.


‣ LE RISORSE DELLA BUROCRAZIA PUBBLICA appaiono però più<br />

importanti, tanto che <strong>il</strong> rapporto politico - burocrate appare di tipo asimmetrico, a<br />

tutto vantaggio del secondo.<br />

A tal proposito la risorsa più efficace appare indubbiamente quella costituita dal<br />

quasi-monopolio dei dati informativi da parte degli uffici burocratici, legato<br />

all’ALTO GRADO DI COMPETENZE SPECIALISTICHE sv<strong>il</strong>uppato dai diversi settori<br />

della burocrazia. Come ha r<strong>il</strong>evato DENTE, “mentre l’amministrazione è, o<br />

potrebbe essere, all’interno della sua sfera di competenza, pienamente sovrana e<br />

autosufficiente, in grado, cioè, di di trasformare pienamente gli input in risultati<br />

effettivi, lo stesso non può dirsi per gli eletti ed i politici, che, in ogni singola<br />

attività, avranno sempre bisogno di una collaborazione da parte degli uffici,<br />

mancando la quale non saranno assolutamente in grado di raggiungere i<br />

risultati”.<br />

Un’altra fondamentale risorsa risiede nella PIÙ LUNGA “DURATA IN CARICA” dei<br />

funzionari burocratici rispetto ai politici. Poiché i ministri vanno e vengono, mentre<br />

i vertici burocratici restano in carica, la permanenza e stab<strong>il</strong>ità nel posto consente<br />

a tali vertici, quando non concordano con determinate linee politiche, di adottare<br />

strategie volte a scegliere opzioni i cui risultati potranno vedersi nel lungo<br />

periodo (sfuggendo così, nella maggior parte dei casi, al controllo dei vertici<br />

politici, la cui durata è molto più breve).<br />

La crescente autonomizzazione della burocrazia rispetto al controllo dei politici


dipende inoltre dal PROCESSO DI PROGRESSIVA TRASFORMAZIONE DEI FINI<br />

DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, che ha visto <strong>il</strong> burocrate passare dalla mera<br />

applicazione delle istanze legislative ad un crescente coinvolgimento in attività di<br />

programmazione orientate alla selezione dei mezzi più adatti ad alcuni risultati,<br />

piuttosto che alla conformità alle leggi.<br />

La TENDENZA A RINVIARE SCELTE IMPORTANTI ALLA FASE DI<br />

IMPLEMENTAZIONE DELLE POLITICHE ha poi ulteriormente accresciuto<br />

l’autonomia della burocrazia pubblica, a cui la fase di implementazione è<br />

demandata.<br />

Anche <strong>il</strong> CARATTERE “STRATEGICO” ASSUNTO DAL PROCESSO DECISIONALE,<br />

volto a trovare soluzioni di compromesso tra le esigenze spesso in conflitto dei vari<br />

attori sociali, ha accresciuto l’autonomia della burocrazia, che ha acquistato un<br />

ruolo sempre più r<strong>il</strong>evante nel continuo negoziato tra lo stato e i diversi gruppi<br />

sociali. In questo senso si parla oggi di “democrazie post-parlamentari”, dove le<br />

politiche sono sv<strong>il</strong>uppate attraverso la negoziazione tra le agenzie<br />

amministrative e i gruppi di pressione.<br />

In conclusione, più che mera esecutrice delle leggi, la burocrazia pubblica ha<br />

acquistato oggi una crescente autonomia sfuggendo spesso al controllo delle<br />

istanze politico-rappresentative, dimostrando una crescente capacità di intervento<br />

non solo nella miriade di micro-decisioni quotidiane, ma anche in decisioni di più<br />

ampia portata che richiedono l’intervento dell’autorità elettiva.


C<br />

I LIMITI ALLA GERARCHIA<br />

Il modello weberiano mette in primo piano la struttura fortemente gerarchica<br />

della burocrazia pubblica. Tre elementi consentono però di mettere in discussione<br />

questo aspetto. Essi riguardano innanzitutto <strong>il</strong> SISTEMA DEGLI INCENTIVI che<br />

spingono <strong>il</strong> burocrate all’azione, che possono avere natura diversa. In secondo<br />

luogo, <strong>il</strong> carattere “a cascata” del potere burocratico, dall’alto verso <strong>il</strong> basso,<br />

descritto dal classico modello top-down, è stato messo in dubbio da molti autori,<br />

che sottolineano invece un movimento in direzione opposta, dal basso verso l’alto<br />

(bottom-up) che rivaluta l’IMPORTANZA DEGLI STRATI PIÙ BASSI DELLA<br />

BUROCRAZIA, quelli direttamente a contatto con gli utenti dei servizi pubblici.<br />

Infine, la CRESCENTE FRAMMENTAZIONE della struttura dell’amministrazione<br />

pubblica, dovuta alla crescita, in parallelo con le strutture pubbliche tradizionali, di<br />

un gran numero di enti pubblici.<br />

1 NATURA DEGLI INCENTIVI E SISTEMI DI CONFORMITA’<br />

Le burocrazie non sono tutte uguali. Organizzazioni diverse possono ut<strong>il</strong>izzare<br />

incentivi diversi che, in certi casi, possono indebolire <strong>il</strong> principio della gerarchia.<br />

In particolare, un ruolo strategico centrale nell’attuazione delle politiche assume<br />

la disponib<strong>il</strong>ità stessa dimostrata dai responsab<strong>il</strong>i amministrativi del programma


di attuazione. Il carattere e l’intensità<br />

della loro “risposta” (ACCETTAZIONE,<br />

DISINTERESSE, RIFIUTO) costituisce un presupposto fondamentale per <strong>il</strong> successo<br />

dell’implementazione. Secondo ETZIONI, esistono tre differenti tipi di disposizioni<br />

all’obbedienza (SISTEMI DI CONFORMITÀ) da parte di chi deve attuare un<br />

determinato obiettivo:<br />

SISTEMI DI<br />

CONFORMITA’<br />

COERCITIVO<br />

REMUNERATIVO<br />

NORMATIVO<br />

Obbedienza imposta con la forza<br />

(timore di sanzioni) = RISPOSTA<br />

ALIENATA.<br />

Aspettativa di un guadagno<br />

materiale = RISPOSTA<br />

OPPORTUNISTA.<br />

Interiorizzazione dei motivi<br />

dell’obbedienza (consenso) =<br />

ALLINEAMENTO TRA OBIETTIVI DI<br />

CHI DECIDE E RISPOSTE DI CHI<br />

AGISCE.


Un esempio certamente significativo di due sistemi di conformità molto diversi è<br />

dato dal confronto tra la BUROCRAZIA FRANCESE (discendente dal modello<br />

napoleonico), caratterizzata dal sistema delle Grand-Ecoles (istituzioni<br />

prestigiose, specializzate nella formazione dell’amministratore pubblico nei diversi<br />

campi funzionali), dal conseguente alto spirito di corpo e da una conformità di<br />

tipo normativo, e la BUROCRAZIA ITALIANA, dove invece lo spirito di corpo è<br />

molto scarso, la conformità è di tipo remunerativo (impiego vissuto come “posto<br />

sicuro”) e prevale di conseguenza un atteggiamento opportunistico.<br />

In ogni organizzazione burocratica sono presenti tutti e tre i tipi di incentivi. Ciò<br />

che varia è <strong>il</strong> peso relativo che essi hanno all’interno delle varie organizzazioni.<br />

La prevalenza di uno dei tre tipi di conformità avrà però effetti significativi<br />

sull’efficacia delle organizzazioni stesse rispetto ad alcuni scopi. Ad esempio,<br />

l’ut<strong>il</strong>izzo della coercizione, provocando forme di alienazione, appare poco adatta<br />

a produrre un impegno morale; anche gli incentivi remunerativi mettono in<br />

secondo piano le motivazioni ideali; gli incentivi normativi, a loro volta, se da un<br />

lato aumentano l’efficienza del comportamento amministrativo e <strong>il</strong> risparmio di<br />

risorse, dall’altro, per la loro stessa natura, appaiono meno “elastici”, rendendo<br />

più diffic<strong>il</strong>e trasformare i propri obiettivi.<br />

Oggi LE RIFORME IN ATTO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE hanno<br />

accentuato l’ut<strong>il</strong>izzazione sia di incentivi remunerativi (attraverso premi di<br />

produttività e contratti privatistici), che di incentivi simbolici (volti a valorizzare


soprattutto la professionalità). Ne è derivata una tensione crescente tra disciplina<br />

e competenza, nel senso che <strong>il</strong> principio gerarchico appare in crescente contrasto<br />

con <strong>il</strong> sapere tecnico (conflitto tra autorità basata sulla competenza e autorità<br />

basata sulla gerarchia).<br />

2 DAL MODELLO “TOP-DOWN” AL MODELLO “BOTTOM-UP”<br />

IL MODELLO TOP-DOWN abbraccia una visione razionalistica del policymaking<br />

di derivazione weberiana, in cui le politiche pubbliche appaiono come <strong>il</strong><br />

prodotto finale del processo legislativo, in un tipico comportamento “a cascata”,<br />

dall’alto verso <strong>il</strong> basso:<br />

DEFINIZIONE DEI PROGRAMMI<br />

COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO<br />

RISULTATI<br />

Primato dell’autorità gerarchica e<br />

netta distinzione tra politica e<br />

amministrazione.<br />

Grado di sfasatura tra programma e<br />

risultati, misurato in termini di<br />

efficienza.


La rappresentazione delle burocrazia pubblica come una piramide alla cui base<br />

stanno i dipendenti a contatto con <strong>il</strong> pubblico, i quali recepiscono in modo passivo<br />

e realizzano i programmi e le politiche definite dai loro vertici, appare però troppo<br />

semplicistica. In realtà, le decisioni prese dai vertici gerarchici sono spesso<br />

ambivalenti, compromissorie, imprecise, e lasciano ai livelli più bassi della<br />

gerarchia scelte di notevole r<strong>il</strong>evanza.<br />

Il ruolo dei “burocrati di base”, a diretto contatto con <strong>il</strong> pubblico, emerge con<br />

particolare r<strong>il</strong>evanza in alcuni settori (come, ad esempio, i servizi sociali o la<br />

polizia) in cui l’impiegato deve sv<strong>il</strong>uppare una serie di regole informali che gli<br />

permettano di definire un caso concreto come appartenente ad una certa casistica<br />

e, soprattutto, a scegliere criteri di selezione tra potenziali utenti. Il medico che<br />

deve decidere quale paziente priv<strong>il</strong>egiare per un trapianto, <strong>il</strong> vig<strong>il</strong>e urbano che<br />

deve scegliere quale infrazione tollerare e quale punire, l’assistente sociale che ha<br />

a disposizione solo un numero ristretto di posti per un programma di<br />

disintossicazione dall’alcool o dalla droga: in tutti questi casi, scelte importanti, da<br />

cui dipende la reale operatività di una politica, vengono compiute da chi sta alla<br />

base della piramide gerarchica.<br />

Partendo da questo tipo di considerazioni, alla logica lineare e sequenziale del<br />

modello top-down si contrappone la logica interattiva e retroattiva del<br />

MODELLO BOTTOM-UP, in cui l’accento viene posto sui meccanismi di


apprendimento.<br />

ALL’OTTICA DEL LEGISLATORE SI CONTRAPPONE COSÌ L’OTTICA DEI DESTINATARI<br />

DELLA POLITICA, per cui l’attuazione delle politiche viene ricostruita dal basso,<br />

partendo dall’impatto per risalire al processo di policy.<br />

La performance di una politica non dipende dalla conformità agli obiettivi, ma<br />

dalla capacità dei vari attori coinvolti di muoversi all’interno delle contrattazioni<br />

che caratterizzano <strong>il</strong> processo di messa in opera. Questo approccio prende in<br />

considerazione tutti gli attori pubblici e privati coinvolti nell’attuazione dei<br />

programmi, esaminandone gli obiettivi personali e organizzativi, le strategie e la<br />

rete di contatti che hanno costruito. Successivamente procede verso l’alto, per<br />

scoprire obiettivi, strategie e contatti di coloro che definiscono, finanziano ed<br />

eseguono i programmi.<br />

Concentrandosi sull’outcome (impatto) dell’attuazione delle politiche, questo<br />

approccio mette in evidenza i limiti della visione opposta che, concentrandosi sul<br />

ruolo dei vertici burocratici, non considerava che spesso essi hanno un ruolo<br />

marginale nell’attuazione, rispetto a funzionari di livello più basso. Viene così<br />

messo in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> ruolo della cosiddetta STREET LEVEL BUROCRACY , cioè dei<br />

funzionari a livello più basso ma che costituiscono la burocrazia operativa, a<br />

diretto contatto con <strong>il</strong> pubblico (operatori dei servizi socio-sanitari, delle politiche<br />

scolastiche, ecc.).<br />

Come si è detto, Il vantaggio di questo approccio consiste nell’attenzione rivolta


alle relazioni formali e informali che si instaurano tra gli attori coinvolti nella<br />

attuazione delle politiche pubbliche, e dunque nel particolare r<strong>il</strong>ievo attribuito al<br />

PESO DELLA COMPONENTE RELAZIONALE, che pone al centro dell’analisi <strong>il</strong><br />

continuo Interscambio tra utenti e burocrazia e la percezione della qualità dei<br />

servizi da parte dei beneficiari.<br />

Questo approccio consente anche di evidenziare l’esistenza di forme di<br />

intermediazione fra interessi e istituzioni pubbliche anche in fase di<br />

implementazione, e di come la crescente frammentazione delle burocrazie<br />

pubbliche porti a interazioni fra gruppi di interesse e settori burocratici che<br />

possono essere legittime, ma anche a-leggittime o <strong>il</strong>legittime.<br />

Dall’esame di entrambi i modelli emerge la necessità di tenere distinti, a livello<br />

analitico, <strong>il</strong> PIANO DEL PROCESSO-NORMAZIONE , cioè <strong>il</strong> modo in cui l’autorità<br />

pubblica incaricata percepisce, definisce e stab<strong>il</strong>isce la messa in opera, dal PIANO<br />

DELLA STRUTTURA-EFFETTUAZIONE, che concerne la realtà dei fenomeni, così<br />

come la si può cogliere dalla verifica sul campo della messa in opera. Emerge così<br />

l’importanza di un’ANALISI DEL SISTEMA CONCRETO DI AZIONE che, pur dando<br />

r<strong>il</strong>ievo al ruolo di istituzioni, regole decisionali e procedure (secondo una logica<br />

top-down), metta però in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> ruolo dei molteplici attori (pubblici e privati,<br />

politici o burocratici) che si muovono dentro quelle strutture e, perseguendo i<br />

propri scopi più o meno legittimi, a volte le trasformano.


3 LA FRAMMENTAZIONE DEI SISTEMI AMMINISTRATIVI<br />

Un ulteriore elemento che indebolisce <strong>il</strong> principio gerarchico è dovuto ai<br />

mutamenti col tempo intercorsi nella struttura della pubblica amministrazione,<br />

con la NASCITA DI UN GRAN NUMERO DI ENTI PUBBLICI “paralleli”<br />

all’amministrazione tradizionale per ministeri, spesso tra loro eterogenei e in<br />

reciproca competizione.<br />

L’intreccio tra strutture piramidali gerarchiche e strutture di coordinamento<br />

orizzontali che ne è derivato, ha determinato un’accresciuta FRAMMENTAZIONE<br />

DEI SISTEMI AMMINISTRATIVI, che perdono quel carattere di macrosistemi<br />

organizzativi relativamente compatti che possedevano in passato. Questa<br />

complessa articolazione organizzativa ha determinato di conseguenza<br />

l’AUMENTO DELL’AUTONOMIA DELLA BUROCRAZIA, sottraendo molti organi al<br />

controllo centralizzato tipico del passato. Così oggi la pubblica amministrazione<br />

– come ha osservato Luigi Bobbio – “si presenta come una costellazione di<br />

apparati semiautonomi, debolmente connessi, dotati di forme giuridiche,<br />

logiche d’azione e finalità profondamente differenziate”.


D<br />

I LIMITI ALLA COMPETENZA<br />

Se nel modello weberiano di burocrazia <strong>il</strong> reclutamento dei funzionari pubblici è<br />

basato sulle competenze, e l’accesso all’organizzazione è regolato da un sistema<br />

di pubblici concorsi, in realtà i diversi percorsi di sv<strong>il</strong>uppo dello stato-nazione<br />

hanno determinato conseguenze diverse nei vari paesi sul modello di<br />

amministrazione pubblica. A tal proposito emergono DUE MODELLI<br />

ALTERNATIVI: quello sv<strong>il</strong>uppatosi in Europa sulla falsariga del modello francese, e<br />

quello affermatosi negli Stati Uniti.<br />

1 IL MODELLO FRANCESE<br />

Si è già detto di come in Francia <strong>il</strong> processo di formazione di una amministrazione<br />

pubblica, con la creazione di un esercito permanente e di un sistema centralizzato<br />

di tassazione, abbia costituito un fattore determinante per l’affermazione, a<br />

partire dal XVI secolo, della monarchia assoluta, determinando così la nascita<br />

dello Stato moderno. Se successivamente la rivoluzione francese indebolì <strong>il</strong><br />

modello accentrato di burocrazia controllata dal potere esecutivo, tale modello fu<br />

pienamente ristab<strong>il</strong>ito da Napoleone, che anzi ne rafforzò ulteriormente la<br />

struttura gerarchica.


Nel sistema francese <strong>il</strong> reclutamento e la carriera dei funzionari sono legati al<br />

merito e alla competenza, certificati da una formazione dei futuri funzionari<br />

attraverso un sistema formativo imperniato su scuole specializzate: le Grandes<br />

Ecoles. Altra caratteristica del sistema, poi affermatosi in tutto <strong>il</strong> continente<br />

europeo, è <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o generalista degli impiegati pubblici, secondo <strong>il</strong> quale ciascun<br />

dirigente deve essere tendenzialmente in grado di ricoprire tutte le funzioni del<br />

suo grado in qualsiasi settore della pubblica amministrazione. Il sistema<br />

decisionale è basato sull’autorità gerarchica e le carriere avvengono tutte<br />

all’interno della pubblica amministrazione, essendo interdetti i contatti con<br />

l’esterno (cioè con <strong>il</strong> settore privato). Ciò a garanzia di una burocrazia permeata di<br />

una cultura organizzativa che enfatizza norme impersonali e universali e guidata<br />

dall’ideale del perseguimento del “bene comune”.<br />

2 IL MODELLO STATUNITENSE<br />

Il modello degli Stati Uniti vede invece affermarsi IL PRINCIPIO DELLO SPOIL<br />

SYSTEM, che consente al Presidente (eletto direttamente e Capo del Governo) di<br />

nominare un numero considerevole di alti dirigenti della pubblica<br />

amministrazione. Questo sistema crea dunque un forte raccordo tra vertice<br />

politico e pubblica amministrazione e determina una minore inamovib<strong>il</strong>ità dei<br />

vertici dell’amministrazione, che in gran parte vengono rinnovati dal nuovo


Presidente. Esso determina, inoltre, un’alta mob<strong>il</strong>ità tra settore pubblico e<br />

settore privato, con una possib<strong>il</strong>ità di ingresso ai diversi livelli della carriera. In un<br />

modello di questo tipo, fortemente aperto all’esterno, assume particolare<br />

r<strong>il</strong>evanza <strong>il</strong> possesso di competenze specifiche rispetto alle prestazioni richieste al<br />

pubblico funzionario. Prevalgono inoltre le funzioni di negoziato e di<br />

negoziazione con i gruppi di volta in volta interessati ai singoli provvedimenti. Si<br />

afferma, infine, una cultura amministrativa di tipo pragmatico, costruita su una<br />

serie di decisioni su casi singoli.<br />

3 DEVIAZIONI DAL MODELLO EUROPEO: IL CASO ITALIANO<br />

Se <strong>il</strong> modello di derivazione francese, generalmente adottato nel continente<br />

europeo, è imperniato sulla centralità delle competenze tecniche e<br />

dell’autonomia della burocrazia, in realtà in più di un paese <strong>il</strong> potere politico è<br />

riuscito ad esercitare un forte controllo sulla burocrazia.<br />

E’, in particolare, quanto è accaduto IN ITALIA, dove l’affermazione di un sistema<br />

fortemente “<strong>partito</strong>cratico” ha fatto sì che anche nel settore burocratico<br />

l’aff<strong>il</strong>iazione partitica diventasse <strong>il</strong> principale presupposto per godere di una<br />

serie di priv<strong>il</strong>egi. Così, a una debole capacità di iniziativa della burocrazia si è<br />

accompagnata la diffusione di un sistema di “scambio clientelare” fra burocrati


e politici, i cui contatti – come nota GUARNIERI – “<strong>il</strong> più delle volte non hanno<br />

come oggetto l’elaborazione di politiche e le relative decisioni, ma piuttosto<br />

provvedimenti amministrativi di portata limitata, patrocinati per motivi<br />

clientelari o, comunque, particolaristici da esponenti politici”.<br />

Questo sistema distorto è, in particolare, caratterizzato da un serie lunga e<br />

contorta di controlli formali che consentono ad alcuni burocrati la possib<strong>il</strong>ità di<br />

bloccare arbitrariamente l’iter amministrativo di qualsiasi pratica quando manca<br />

l’avallo del politico a cui si fa riferimento.<br />

Per completare <strong>il</strong> quadro, la burocrazia italiana è caratterizzata da una formazione<br />

prevalentemente giuridica (in ossequio all’impostazione di tipo generalistica), da<br />

una bassissima mob<strong>il</strong>ità tra settore pubblico e privato e da scarsi contatti con<br />

l’esterno. Inoltre, <strong>il</strong> sistema degli incentivi è prevalentemente di tipo<br />

remunerativo, dove <strong>il</strong> raggiungimento per raccomandazione politica di un “posto<br />

sicuro” nella pubblica amministrazione ha rappresentato a lungo l’obiettivo di<br />

un’ampia parte dei ceti medi delle regioni meridionali, in presenza di un mercato<br />

del lavoro che offriva poche prospettive alternative. Il sistema delle promozioni,<br />

infine, basato su scatti automatici di carriera secondo <strong>il</strong> criterio dell’anzianità, ha<br />

prevalso largamente sull’uso di criteri meritocratici, per cui la sostanziale assenza<br />

di incentivi normativi si è tradotta nella scarsa presenza di uno spirito di corpo.<br />

‣Lo schema sottostante riassume sinteticamente i LIMITI DEL MODELLO<br />

WEBERIANO:


LIMITI DEL MODELLO WEBERIANO<br />

LIMITI ALLA<br />

RAZIONALITA’<br />

LIMITI ALLA<br />

NEUTRALITA’<br />

L’azione amministrativa riflette, ben al di là del modello<br />

sinottico di derivazione weberiana, una serie di<br />

RAZIONALITÀ PLURIME a cui possono essere collegati<br />

differenti modelli decisionali, improntati non solo<br />

all’acquisizione ed elaborazione delle informazioni e alla<br />

previsione delle conseguenze dell’azione, ma anche alla<br />

regolazione del conflitto tra attori che perseguono fini<br />

diversi; giocano inoltre un ruolo r<strong>il</strong>evante anche le<br />

caratteristiche del contesto istituzionale di riferimento.<br />

Al “mito” del comportamento neutrale del burocrate e<br />

della sua subordinazione al potere politico –<br />

rappresentativo (nelle odierne società democratiche) fa<br />

riscontro la presenza di di continue forme di RECIPROCHE<br />

INFLUENZE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE PUBBLICA,<br />

basate sull’ut<strong>il</strong>izzo di differenti tipi di risorse.


LIMITI ALLA<br />

GERARCHIA<br />

La struttura fortemente gerarchica del modello<br />

weberiano di burocrazia è messa in discussione su tre<br />

differenti piani:<br />

un sistema diversificato di incentivi (di tipo coercitivo,<br />

remunerativo e normativo) che da luogo a DIVERSI<br />

SISTEMI DI CONFORMITÀ;<br />

la visione razionalistica di derivazione weberiana, che<br />

si incarna nel tradizionale MODELLO TOP-DOWN, è<br />

messa in discussione dalla r<strong>il</strong>evanza del ruolo del<br />

“burocrate di base” e dal passaggio dall’ottica del<br />

legislatore all’ottica dei destinatari delle politiche che<br />

caratterizza <strong>il</strong> MODELLO BOTTOM-UP.<br />

la crescita di un gran numero di enti pubblici,<br />

“paralleli” alla tradizionale burocrazia ministeriale, ha<br />

accresciuto la FRAMMENTAZIONE DEI SISTEMI<br />

AMMINISTRATIVI, affiancando alle strutture gerarchiche<br />

forme di coordinamento di tipo orizzontale.


LIMITI ALLA<br />

COMPETENZA<br />

Le esperienze concrete dello sv<strong>il</strong>uppo delle burocrazie<br />

pubbliche in contesti diversi consentono di enucleare<br />

due differenti modelli:<br />

I l primo, quello di derivazione francese affermatosi<br />

NEL CONTINENTE EUROPEO, ricalca i principali tratti del<br />

modello weberiano, presentando un prof<strong>il</strong>o generalista<br />

dell’impiegato pubblico e una cultura amministrativa<br />

che enfatizza norme impersonali ed universali;<br />

<strong>il</strong> secondo, affermatosi NEGLI STATI UNITI e<br />

imperniato sul sistema dello SPOIL SYSTEM, presenta<br />

caratteristiche diverse, quali <strong>il</strong> ricambio periodico dei<br />

principali vertici burocratici, una sostanziale apertura<br />

del sistema burocratico verso l’esterno (che produce<br />

un’alta mob<strong>il</strong>ità tra settore pubblico e settore privato) e<br />

una cultura amministrativa di tipo pragmatico,<br />

piuttosto che di tipo giuridico.


TENDENZE DI RIFORMA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE<br />

LA CRISI DEL WELFARE STATE che ha investito <strong>il</strong> mondo occidentale negli ultimi<br />

decenni, evidenziata dai crescenti problemi di b<strong>il</strong>ancio di Stati oberati da debiti<br />

pubblici ormai insostenib<strong>il</strong>i, ha portato non solo alla revisione (al ribasso) delle<br />

politiche sociali e a forme di deregolamentazione (cioè di riduzione delle<br />

formalità amministrative), ma anche ad una contrazione degli interventi dello<br />

Stato sul mercato, con forme crescenti di privatizzazione del settore pubblico.<br />

Su questi mutamenti nell’intervento dello Stato e nel modo di gestire la pubblica<br />

amministrazione hanno inoltre influito non poco <strong>il</strong><br />

MUTAMENTO DELLE<br />

DOMANDE DEI CITTADINI (con una crescente attenzione all’efficacia dell’azione<br />

burocratica) e la DISPONIBILITÀ DI NUOVE TECNOLOGIE (come quella<br />

informatica) capaci di trasformare radicalmente <strong>il</strong> lavoro d’ufficio.<br />

Questi diversi fattori hanno determinato <strong>il</strong> crescere in molti paesi di un<br />

movimento di riforma della pubblica amministrazione (<strong>il</strong> cosiddetto “NEW<br />

PUBLIC MANAGEMENT”) volto a introdurre in questo settore le tecniche di<br />

gestione manageriale tipiche delle organizzazioni private (quali <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio in<br />

pareggio e l’adozione di criteri meritocratici nella retribuzione del personale). Più<br />

in generale, quello che tende a realizzarsi è <strong>il</strong> passaggio da una<br />

“AMMINISTRAZIONE ORIENTATA ALLE NORME” ad una “AMMINISTRAZIONE


ORIENTATA AI RISULTATI”, con una conseguente crescita del grado di<br />

responsab<strong>il</strong>ità degli amministratori pubblici nei confronti dei cittadini.<br />

In particolare, <strong>il</strong> perseguimento di quella che è stata definita una “democrazia dei<br />

risultati” ha portato all’attenzione posta dalle leggi di riforma della pubblica<br />

amministrazione, succedutesi nel nostro paese a partire dagli anni novanta, al<br />

principio della trasparenza dell’azione dei pubblici amministratori di fronte ai<br />

cittadini: ciò si è tradotto in una maggiore visib<strong>il</strong>ità delle proposte della pubblica<br />

amministrazione e in un miglioramento dell’accesso dei cittadini alla<br />

documentazione amministrativa. Cittadini ai quali, oltre al diritto di essere<br />

informati, si tende a garantire anche <strong>il</strong> diritto a partecipare ad una serie di<br />

decisioni pubbliche, attraverso procedure di consultazione e di concertazione (in<br />

particolare nel campo delle politiche ambientali e territoriali).<br />

‣ Riassumiamo in quest’ultimo schema queste TENDENZE DI RIFORMA<br />

DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:


CRISI FISCALE<br />

DELLO STATO<br />

SOCIALE<br />

DEREGOLAMENTAZIONI E<br />

PRIVATIZZAZIONI<br />

MUTAMENTO<br />

NELLE<br />

DOMANDE DEI<br />

CITTADINI<br />

DISPONIBILITA’<br />

DI NUOVE<br />

TECNOLOGIE<br />

TENDENZE<br />

DI<br />

RIFORMA<br />

DELLA P. A.<br />

LOGICA DEL “NEW PUBLIC<br />

MANAGEMENT”<br />

(dalla “amministrazione<br />

orientata alla norma” alla<br />

“amministrazione orientata<br />

ai risultati”)<br />

TRASPARENZA DELLA<br />

AMMINISTRAZIONE E<br />

PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI<br />

(visib<strong>il</strong>ità e accesso alla<br />

documentazione amministrativa;<br />

procedure di consultazione e<br />

concertazione)

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