il partito - Studium
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FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE<br />
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’AMMINISTRAZIONE<br />
A.A. 2011-2012<br />
SCIENZA DELLA POLITICA<br />
(Prof. P. Spanò)<br />
SLIDES SUL MODULO 2
2.1 COS’È LA DEMOCRAZIA?
MODALITA’ DI REGOLAZIONE DEI CONFLITTI NEI REGIMI DEMOCRATICI<br />
Nel primo modulo si è messo in evidenza la centralità della categoria del conflitto<br />
per la definizione stessa del concetto di politica. Pur non trattandosi di una<br />
categoria esauriente, dato <strong>il</strong> carattere ambivalente della politica (che comprende<br />
anche l’accordo e <strong>il</strong> consenso) appare infatti evidente come non sia possib<strong>il</strong>e<br />
espellere totalmente <strong>il</strong> conflitto dai rapporti politici. Un assunto che appare<br />
abbondantemente confermato sul piano storico dal fatto che tutte le dottrine che<br />
hanno ipotizzato la fine di ogni conflitto (come la teoria marxista) si sono tradotte,<br />
sul piano della loro applicazione pratica, in un’accentuazione della logica<br />
conflittuale (come è accaduto nelle “democrazie popolari” dei regimi comunisti:<br />
basti ricordare le deportazioni di massa nei Gulag sovietici, le epurazioni<br />
ideologiche del regime maoista in Cina, e così via).<br />
Il problema di come affrontare e regolare i conflitti è dunque IL PROBLEMA DI<br />
FONDO DELLA POLITICA, e i diversi REGIMI POLITICI possono essere differenziati<br />
tra di loro proprio in base alle diverse modalità di risoluzione dei conflitti da essi<br />
adottate.<br />
Come mostra lo schema sottostante, la soluzione adottata dai REGIMI<br />
DEMOCRATICI, di cui adesso ci occuperemo, risiede nell’adozione del principio<br />
maggioritario, temperato da adeguate garanzia per le minoranze.
PROBLEMA<br />
DI FONDO<br />
DELLA<br />
POLITICA<br />
REGIMI<br />
POLITICI<br />
COME AFFRONTARE E<br />
REGOLARE I CONFLITTI<br />
Differenti<br />
modalità di<br />
regolazione dei<br />
conflitti<br />
ARISTOCRATICI –<br />
MONARCHICI<br />
(differenze di ceto e<br />
princìpio ereditario)<br />
AUTOCRATICI (volontà<br />
di un capo)<br />
DEMOCRATICI (criterio<br />
maggioritario e<br />
garanzie per le<br />
minoranze)
DEMOCRAZIA DEGLI ANTICHI E DEMOCRAZIA MODERNA<br />
Se nel mondo odierno esiste un largo consenso sull’importanza e la centralità<br />
della democrazia, non bisogna dimenticare che questo termine ha acquisito una<br />
connotazione altamente positiva soltanto di recente, nella seconda metà del xx<br />
secolo. In precedenza, per più di due m<strong>il</strong>lenni, <strong>il</strong> giudizio espresso sulla democrazia<br />
era stato ampiamente negativo. Come scrive Macpherson, “democrazia era<br />
considerata una brutta parola. Non c’era chi non sapesse che la democrazia, nel<br />
senso originario edi governo del popolo o in accordo con <strong>il</strong> volere delle masse,<br />
sarebbe stato una brutta cosa, fatale per la libertà dell’individuo e per <strong>il</strong> buon vivere<br />
civ<strong>il</strong>e. Questa era la posizioni di quasi tutti gli uomini d’intelletto dagli albori della<br />
storia fino a circa un secolo fa. Poi, nel giro di cinquant’anni, la democrazia divenne<br />
una cosa buona”.<br />
La prima riflessione organica sulle forme di governo (e quindi anche sulla<br />
democrazia) risale ai f<strong>il</strong>osofi della Grecia classica. PLATONE pensava che la<br />
democrazia non fosse <strong>il</strong> governo del popolo ma “<strong>il</strong> governo della plebe”, cioè dei<br />
poveri e ignoranti contro i ricchi e istruiti. Egli sosteneva che <strong>il</strong> processo decisionale<br />
politico dovesse essere basato sulle competenze, e che quindi solo saggi statisti<br />
fossero in grado di guidare la nave del governo. In un regime democratico la massa<br />
ignorante sarebbe stata fac<strong>il</strong>mente vittima della demagogia, finendo così per<br />
cedere rapidamente <strong>il</strong> potere ad un tiranno. ARISTOTELE, pur essendo in disaccordo<br />
con Platone e credendo che, a certe condizioni, anche la volontà dei molti potesse
agire con saggezza, non dava un’accezione positiva al termine democrazia. Non a<br />
caso, nella sua tipologia delle forme di governo, <strong>il</strong> termine democrazia viene usato<br />
per designare una forma corrotta di governo (<strong>il</strong> cattivo governo dei molti), mentre<br />
per indicare la forma benefica del governo dei molti egli usava <strong>il</strong> termine politeia. La<br />
sua TIPOLOGIA DELLE FORME DI GOVERNO era dunque basata sull’incrocio tra un<br />
criterio descrittivo (<strong>il</strong> numero dei governanti: uno, pochi, molti) ed un criterio<br />
valoriale e prescrittivo che distingueva <strong>il</strong> governo buono (dove i governanti agivano<br />
per <strong>il</strong> bene collettivo) dal governo cattivo (dove i governanti perseguivano <strong>il</strong> proprio<br />
interesse personale):<br />
TIPOLOGIA ARISTOTELICA DELLE FORME DI GOVERNO<br />
Numero dei governanti<br />
Forma di governo<br />
benefica<br />
Forma di governo<br />
corrotta<br />
Uno MONARCHIA TIRANNIA<br />
Pochi ARISTOCRAZIA OLIGARCHIA<br />
Molti POLITEIA DEMOCRAZIA
Aristotele sosteneva che si dovesse scegliere <strong>il</strong> tipo di governo a cui corrispondeva<br />
la forma di corruzione meno pericolosa (cioè l’aristocrazia), mentre la democrazia<br />
costituiva la più pericolosa delle forme corrotte.<br />
Certo la democrazia, ai tempi di Platone ed Aristotele, appariva molto diversa da<br />
come la intendiamo oggi. Nell’Atene classica si instaurò (cosa possib<strong>il</strong>e solo<br />
all’interno di una comunità ristretta) una forma di democrazia diretta, basata però<br />
su una forte diseguaglianza sociale. Dallo status di “cittadino”, che consentiva di<br />
partecipare all’Assemblea e di decidere degli affari comuni, era infatti esclusa la<br />
maggior parte della popolazione (gli schiavi, le donne, gli stranieri). In una forma<br />
siffatta di democrazia non era l’elezione <strong>il</strong> metodo per la designazione delle<br />
cariche pubbliche, bensì <strong>il</strong> sorteggio (all’interno della ristretta schiera dei<br />
cittadini).<br />
L’opinione che la democrazia fosse un sistema in cui le cariche politiche erano<br />
determinate a sorte resistette fino al XVIII secolo, ed è per questo che i più grandi<br />
pensatori politici (come Bodin, Hobbes, Locke, Kant, Hegel, Montesquieu) pur<br />
perorando la causa di un governo rappresentativo, non si consideravano<br />
sostenitori della democrazia, bensì del governo monarchico. Fino a quel momento,<br />
era <strong>il</strong> desiderio di sbarazzarsi di governanti ingiusti, piuttosto che quello di affidare<br />
<strong>il</strong> potere nelle mani del popolo, che motivava le prese di distanza dall’assolutismo.<br />
Solo con <strong>il</strong> delinearsi di una netta linea di frattura fra democrazia e aristocrazia,<br />
nell’epoca delle rivoluzioni francese ed americana, governo rappresentativo e
democrazia finirono per diventare sinonimi. E’ da quel momento in poi che la<br />
nozione di democrazia assunse molte delle caratteristiche che oggi la<br />
contraddistinguono.<br />
Confrontando pertanto la DEMOCRAZIA DEGLI ANTICHI e la DEMOCRAZIA DEI<br />
MODERNI emerge la contrapposizione tra la democrazia diretta (possib<strong>il</strong>e solo<br />
all’interno di comunità ristrette) e la democrazia rappresentativa (che diventa<br />
l’unica forma di democrazia possib<strong>il</strong>e in Stati di grandi dimensioni, popolati da<br />
m<strong>il</strong>ioni di sudditi e poi di cittadini.<br />
DEMOCRAZIA DIRETTA E DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA<br />
DEMOCRAZIA DIRETTA<br />
• “Democrazia degli antichi”. Un<br />
piccolo numero di cittadini si riunisce<br />
e decide direttamente, ma dalla<br />
cittadinanza è esclusa la maggior<br />
parte della popolazione (schiavi,<br />
donne, stranieri). Oggi sopravvive in<br />
istituti come <strong>il</strong> referendum. La forma<br />
di designazione delle cariche<br />
pubbliche è <strong>il</strong> sorteggio.<br />
DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA<br />
• “Democrazia dei moderni”. Basata su<br />
regole e istituzioni della rappresentanza:<br />
elezioni libere e competitive e strutture<br />
rappresentative e decisionali. La<br />
partecipazione diretta della maggioranza<br />
dei cittadini si limita al voto (spesso non<br />
obbligatorio), mentre è una ristretta élite<br />
di “professionisti della politica” a<br />
prendere le decisioni.
DEFINIZIONI DI DEMOCRAZIA<br />
L’idea centrale che sta alla base del concetto contemporaneo di democrazia è che<br />
sia “<strong>il</strong> popolo” a governare. Del resto, <strong>il</strong> significato etimologico del termine è<br />
proprio quello di “potere del popolo”, meglio reso oggi dall’espressione “potere<br />
dal popolo, del popolo e per <strong>il</strong> popolo”. In particolare, si può dire che <strong>il</strong> termine<br />
“democrazia” designa oggi quel tipo di regime in cui ai diritti della tradizione<br />
liberale si sono aggiunte le concezioni democratiche della sovranità popolare ed<br />
essi sono stati estesi al numero più ampio di cittadini. Se ancora qualche decennio<br />
fa si potevano attribuire al termine significati ben diversi (vedi le “democrazie<br />
popolari socialiste”), oggi, quando si parla di democrazie, ci si riferisce cioè alle<br />
liberal-democrazie di massa:
LIBERAL-<br />
DEMOCRAZIE<br />
DI MASSA<br />
• Garanzia reale di partecipazione politica della<br />
popolazione adulta (M/F);<br />
• Possib<strong>il</strong>ità di dissenso, opposizione e competizione<br />
politica.<br />
DIRITTI (civ<strong>il</strong>i) DELLA<br />
TRADIZIONE LIBERALE<br />
DIRITTI (politici) INSITI NELLE<br />
CONCEZIONI DEMOCRATICHE<br />
DELLA SOVRANITA’ POPOLARE<br />
ESTENSIONE AL<br />
NUMERO PIU’<br />
AMPIO DI<br />
CITTADINI
In tema di DEFINIZIONI DELLA DEMOCRAZIA, una distinzione di fondo è quella tra<br />
definizioni SOSTANZIALI e definizioni PROCEDURALI.<br />
Il primo tipo di definizione ha carattere normativo o valoriale, perché tende a<br />
specificare, attraverso l’individuazione di quali risultati sostanziali un regime<br />
democratico debba tendere a realizzare, come la democrazia dovrebbe essere. Le<br />
definizioni del secondo tipo sono invece a carattere minimalista, nel senso che<br />
tendono a classificare le democrazie secondo le loro istituzioni e procedure<br />
formali, cioè in base alle loro regole di funzionamento.<br />
Una visione sostanziale della democrazia era certamente quella di ARISTOTELE<br />
che, come si è visto, distingue tra regimi buoni e cattivi basandosi sul grado in cui<br />
essi servono <strong>il</strong> bene pubblico. Ovviamente definizioni di tal genere, tese a<br />
delineare la democrazia “ideale”, presentano molte difficoltà dal punto di vista<br />
della loro verificab<strong>il</strong>ità empirica. Se, per esempio, si indica come uno degli obiettivi<br />
fondamentali della democrazia la realizzazione della giustizia economica, risulta<br />
improbo trovare esempi di sim<strong>il</strong>i regimi nel mondo reale.<br />
Le definizioni minime, invece, incentrate sulla descrizione degli aspetti formali del<br />
funzionamento delle democrazie (cioè delle procedure che contraddistinguono<br />
questo tipo di regime), appaiono indubbiamente più ancorate alla realtà. In questo<br />
campo, tra le definizioni più significative vanno citate quella di SCHUMPETER e<br />
quella di SARTORI. La prima pone l’accento sulla competizione, la seconda sul
apporto maggioranza- minoranza:<br />
• SCHUMPETER: accento sulla competizione. “Il metodo<br />
democratico è lo strumento istituzionale per giungere a<br />
decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono <strong>il</strong><br />
potere di decidere attraverso una competizione che ha per<br />
oggetto <strong>il</strong> voto popolare”.<br />
• SARTORI: accento sui valori e sul rapporto fra maggioranza e<br />
minoranza. “Il regime democratico è un sistema etico-politico<br />
nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere di<br />
minoranze concorrenti che l’assicurano” (attraverso <strong>il</strong><br />
meccanismo elettorale).
DEFINIZIONE<br />
MINIMA<br />
DEMOCRAZIA<br />
PROCEDURALE<br />
Elementi indispensab<strong>il</strong>i perché un regime sia democratico:<br />
• suffragio universale (M/F);<br />
• elezioni libere, competitive, ricorrenti, corrette;<br />
• più di un <strong>partito</strong>;<br />
• diverse e alternative fonti di informazione.<br />
I diritti e le libertà democratiche possono essere ricondotti<br />
ad una serie di regole formalizzate di tipo procedurale: si<br />
tratta di “forme” che garantiscono che certe “sostanze”,<br />
cioè le decisioni, siano prese seguendo le modalità previste<br />
da quelle stesse forme.<br />
Ci riferiamo alle regole formali che disciplinano <strong>il</strong> voto a<br />
suffragio universale ed <strong>il</strong> libero svolgimento delle elezioni;<br />
alla presenza di strutture partitiche di organizzazione e<br />
intermediazione (due o più di due); all’esistenza di una<br />
struttura decisionale e di controllo eletta con le norme<br />
suddette (<strong>il</strong> parlamento); all’esistenza di un primo ministro<br />
e di un governo responsab<strong>il</strong>i verso <strong>il</strong> parlamento o risultato<br />
di una elezione diretta da parte del corpo elettorale.<br />
Queste norme e istituzioni presuppongono l’esistenza di<br />
altre norme che garantiscano i diritti politici e di libertà.
ASPETTI<br />
“CHIAVE” DELLA<br />
DEMOCRAZIA<br />
PROCEDURALE<br />
• Accordo compromesso tra gli attori in gioco<br />
(politicamente r<strong>il</strong>evanti), che riconosce le regole di<br />
risoluzione pacifica dei conflitti tra le parti sociali;<br />
•Alto livello di incertezza decisionale (sui contenuti<br />
delle decisioni) consentito dal regime<br />
democratico;<br />
• Limiti all’incertezza decisionale: escluse le<br />
decisioni che vanificherebbero una o più regole del<br />
gioco democratico; limite posto dalla salvaguardia<br />
del mercato e della proprietà privata.<br />
• Definizione empirica di MORLINO: accento sul compromesso<br />
procedurale: “la democrazia è quell’insieme di norme e procedure<br />
che risultano da un accordo-compromesso per la risoluzione<br />
pacifica dei conflitti tra gli attori sociali, politicamente r<strong>il</strong>evanti, e<br />
gli altri attori istituzionali presenti nell’arena politica” .
Queste definizioni consentono di mettere in evidenza come la democrazia sia<br />
un regime politico caratterizzato dal BILANCIAMENTO DI PRINCÌPI DIVERSI:<br />
• ACCORDO SULLE REGOLE;<br />
• DISSENSO E CONFLITTO SUGLI INTERESSI;<br />
• ALTO GRADO DI INCERTEZZA SUI RISULTATI<br />
DECISIONALI;<br />
• LIMITAZIONE DELL’INCERTEZZA (ad es:<br />
inviolab<strong>il</strong>ità del mercato e della proprietà<br />
privata);<br />
• REGOLA DI MAGGIORANZA;<br />
• PROTEZIONE DIRITTI DELLE MINORANZE<br />
(Ricorso, in certi casi, a maggioranze<br />
qualificate o all’unanimità);<br />
• AMPIA RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI<br />
E DELLE IDENTITA’ NELLE SEDI DECISIONALI.<br />
• SALVAGUARDIA DELL’EFFICACIA<br />
DECISIONALE E DELLA FUNZIONALITA’<br />
DEGLI ORGANI DI GOVERNO.
Dal contrasto tra questi princìpi emerge chiaro <strong>il</strong> paradosso della democrazia:<br />
PARADOSSO<br />
DEMOCRATICO<br />
Una democrazia può sopportare tanto più conflitto quanto<br />
più forte è <strong>il</strong> consenso di fondo su di essa.
TIPI E MODELLI DI DEMOCRAZIE<br />
A parte la tradizionale differenziazione tra democrazia degli antichi e democrazia<br />
moderna, esistono numerose CLASSIFICAZIONI, TIPOLOGIE E MODELLI DI<br />
DEMOCRAZIA. Questi ultimi hanno l’indubbio vantaggio di prendere in<br />
considerazione un maggior numero di dimensioni r<strong>il</strong>evanti.<br />
SE SI PRESTA ATTENZIONE AD UN SOLO FATTORE, si possono classificare le<br />
democrazie in base ai rapporti tra legislativo ed esecutivo, oppure in relazione ai<br />
sistemi partitici che le caratterizzano:<br />
• nel primo caso, la distinzione classica è quella che distingue <strong>il</strong> regime<br />
presidenziale, con elezione diretta del capo dello Stato che è anche capo<br />
dell’esecutivo e non dipende dal parlamento (come negli Stati Uniti), dal regime<br />
parlamentare, dove <strong>il</strong> capo dello Stato è una figura prevalentemente<br />
rappresentativa e l’esecutivo dipende dalla fiducia del parlamento (come in<br />
Ingh<strong>il</strong>terra, Germania o Italia), o dal regime semipresidenziale, dove <strong>il</strong> presidente<br />
è eletto direttamente, come <strong>il</strong> parlamento, a suffragio universale, ma <strong>il</strong> governo<br />
dipende dalla fiducia del parlamento (come in Francia, Finlandia o Portogallo);<br />
• nel secondo caso, la distinzione principale sarà tra sistemi bipartitici e<br />
multipartitici.<br />
CLASSIFICARE LE DEMOCRAZIE IN BASE AD UN SOLO CRITERIO NON CONSENTE<br />
PERÒ DI COMPRENDERNE IL FUNZIONAMENTO REALE: ad esempio, perché due<br />
democrazie parlamentari come quella inglese e quella italiana funzionino in modo
così diverso, o quali siano le sostanziali differenze all’interno di una categoria<br />
troppo ampia come quella dei sistemi multipartitici. Più soddisfacente appare <strong>il</strong><br />
ricorso a TIPOLOGIE, come fa LIJPHART quando, considerata la stab<strong>il</strong>ità/instab<strong>il</strong>ità<br />
delle democrazie come variab<strong>il</strong>e dipendente (da spiegare), incrocia due variab<strong>il</strong>i<br />
indipendenti: la cultura politica e <strong>il</strong> comportamento delle élite politiche:<br />
TIPOLOGIA DI LIJPHART<br />
Propensione<br />
delle élites<br />
all’accordo<br />
Propensione<br />
delle élites al<br />
conflitto<br />
Cultura politica<br />
omogenea<br />
Democrazie<br />
depoliticizzate<br />
(USA)<br />
Democrazie<br />
centripete<br />
(Regno Unito, paesi<br />
scandinavi)<br />
Cultura politica<br />
eterogenea<br />
Democrazie<br />
consensuali<br />
(Paesi Bassi, Svizzera)<br />
Democrazie<br />
centrifughe<br />
(Italia, Francia, Germania<br />
di Weimar)
Lijphart iniziò da uno studio di un caso singolo, ma con importanti potenzialità<br />
euristiche (quello olandese). Ciò gli permise di mettere in evidenza, nella sua<br />
TIPOLOGIA DEI REGIMI DEMOCRATICI, che vi possono essere democrazie stab<strong>il</strong>i<br />
anche in società profondamente divise, e ciò perché a profonde differenze sia<br />
sociali che religiose, nel caso olandese si contrapponevano élites propense<br />
all’accordo e al compromesso. Nasce da questo studio e dalla tipologia che lo<br />
caratterizza la categoria delle “democrazie consensuali” (che in seguito definirà<br />
anche “consociative”) che contribuirà poi a spiegare la stab<strong>il</strong>ità politica di società<br />
divise su piani diversi rispetto a quella olandese, come quello etnico e/o linguistico.<br />
Il tipo opposto è quello delle “democrazie centripete” (come quella inglese o<br />
quelle scandinave), dove ad una cultura omogenea si contrappongono delle elites<br />
conflittuali (perché tese a conquistare, per vincere, lo stesso elettorato<br />
“fluttuante” di centro); vi sono poi le “democrazie depoliticizzate” (come gli Stati<br />
Uniti), le cui elites tendono, invece, all’accordo pragmatico e in cui la cultura<br />
politica è omogenea; infine le “democrazie centrifughe” (come l’Italia e la<br />
Francia), con una cultura politica frammentata sul piano ideologico ed elites<br />
conflittuali.<br />
Successivamente Lijphart portò avanti uno studio comparato sempre più ampio<br />
(prendendo in considerazione inizialmente 21 democrazie e raggiungendo alla fine<br />
<strong>il</strong> numero di 36 casi considerati), costruendo DUE MODELLI POLARI DI<br />
DEMOCRAZIA, dove al princìpio maggioritario (fondato sulla regola della
maggioranza) si contrappone <strong>il</strong> princìpio consensuale (fondato sulla pratica<br />
dell’accordo e del compromesso). Emergono così due modelli istituzionali,<br />
internamente coerenti, le cui DIMENSIONI EMPIRICAMENTE RILEVANTI (ognuna<br />
caratterizzata da cinque diverse variab<strong>il</strong>i) sono due: la dimensione PARTITI -<br />
GOVERNI e la dimensione FEDERALE - UNITARIA. Per ognuna di queste variab<strong>il</strong>i<br />
sono individuab<strong>il</strong>i degli indici numerici: ad esempio, per quanto riguarda <strong>il</strong> sistema<br />
partitico, l’indice di concentrazione dei seggi parlamentari tra i partiti; per quanto<br />
riguarda <strong>il</strong> sistema elettorale, l’indice di distorsione fra la percentuale dei voti e la<br />
percentuale dei seggi ottenuta da ciascun <strong>partito</strong>; e così via.<br />
MODELLO<br />
MAGGIORITARIO<br />
MODELLO<br />
CONSENSUALE<br />
appare più adatto a paesi con società relativamente<br />
omogenee e con partiti politicamente non troppo<br />
distanti e in competizione tra loro per la conquista del<br />
centro dell’elettorato.<br />
Si adatta a società plurali (divise da fratture a carattere<br />
ideologico, linguistico, culturale, etnico o razziale) dove<br />
manca la flessib<strong>il</strong>ità necessaria perché una democrazia<br />
maggioritaria possa funzionare e dove quindi prevale<br />
un’ampia diffusione e condivisione del potere.
IL RICORSO A MODELLI MULTIDIMENSIONALI consente di perdere molte meno<br />
informazioni rispetto all’uso di tipologie. Così all’interno di ciascuna dimensione<br />
si può individuare come si caratterizza ciascun paese, giungendo a<br />
configurazioni multidimensionali specifiche per ciascuna democrazia e<br />
all’individuazione di modelli misti:<br />
STRATEGIA POLARE (LUNGO LE DIVERSE DIMENSIONI)<br />
I------X---------------------------------------------------I<br />
I--------------X-------------------------------------------I<br />
I--------------------------------------------X-------------I<br />
I--------X-------------------------------------------------I<br />
I-------------------------------X--------------------------I<br />
I----------------------------------------------------X-----I
MODELLI POLARI DI DEMOCRAZIA<br />
CARATTERISTICHE<br />
STRUTTURALI<br />
(LIJPHART)<br />
MODELLO<br />
MAGGIORITARIO<br />
MODELLO<br />
CONSENSUALE<br />
Caratteristiche del governo Monocolore Ampia coalizione<br />
Relazioni governo/parlamento Il primo domina <strong>il</strong> secondo Equ<strong>il</strong>ibrio<br />
Sistema partitico Bipartitico Pluripartitico<br />
Sistema elettorale Maggioritario Proporzionale<br />
Sistema di interessi Pluralistico e competitivo Neo-corporativo<br />
Assetto statale e governativo Centralizzato Decentrato<br />
Parlamento Bicameralismo asimmetrico Bicameralismo forte<br />
Costituzione Flessib<strong>il</strong>e Rigida<br />
Valutazione della<br />
costituzionalità<br />
Parlamento<br />
Corte Costituzionale<br />
Banca centrale Dipendente dall’esecutivo Indipendente
DEMOCRAZIE IDEALI E QUALITA’ DEMOCRATICA<br />
Il numero dei paesi democratici, individuab<strong>il</strong>i attraverso gli elementi empirici fin<br />
qui descritti, è notevolmente cresciuto negli ultimi decenni. A questo punto sorge<br />
però <strong>il</strong> problema di confrontare la “QUALITÀ DEMOCRATICA” di questi paesi, <strong>il</strong> che<br />
significa chiedersi come si possa realizzare una “migliore” democrazia. Appare<br />
necessario allora fare riferimento a delle definizioni normative in merito a quale<br />
possa essere una “democrazia ideale”. Particolarmente r<strong>il</strong>evanti, a tal proposito,<br />
appaiono le definizioni date rispettivamente da MAY e da DAHL:<br />
DEFINIZIONE<br />
DI MAY<br />
“necessaria corrispondenza tra gli atti del governo e i<br />
desideri di coloro che ne sono toccati”<br />
DEFINIZIONE<br />
DI DAHL<br />
“continua capacità di risposta (responsivness) del<br />
governo alle preferenze dei suoi cittadini, considerati<br />
politicamente uguali”
Le definizioni normative presentano ovviamente grandi difficoltà se devono<br />
essere tradotte sul piano empirico. Come individuare i “desideri” dei cittadini?<br />
Valgono solo le preferenze della maggioranza o devono essere considerate anche<br />
quelle delle minoranze? Come misurare la capacità di risposta dei governi?<br />
Pur non allontanandosi dal piano normativo, DAHL formula DUE POSTULATI che<br />
appaiono incentrati sul nesso tra responsab<strong>il</strong>ità, rappresentanza ed elezione,<br />
mettendo così in evidenza <strong>il</strong> rapporto tra DEMOCRAZIA “IN USCITA” (quando<br />
vengono prese ed eseguite le decisioni) e DEMOCRAZIA “IN ENTRATA” (che<br />
riguarda la formulazione e la presa in considerazione delle preferenze individuali):<br />
PRIMO POSTULATO DI DAHL : «PARI OPPORTUNITA’»<br />
Affinché un regime sia capace di risposta (responsive) tutti i<br />
cittadini devono avere la possib<strong>il</strong>ità di:<br />
• Formulare le loro preferenze;<br />
• Esprimere tali preferenze in forma individuale o collettiva;<br />
• Ottenere che le proprie preferenze siano pesate ugualmente,<br />
senza discriminazioni.
SECONDO POSTULATO DI DAHL : «GARANZIE ISTITUZIONALI»<br />
Affinché esistano le tre opportunità appena citate sono<br />
necessarie otto garanzie istituzionali:<br />
• Libertà di associazione e organizzazione;<br />
• Libertà di pensiero ed espressione;<br />
• Diritto di voto (elettorato attivo);<br />
• Diritto dei leader di competere per <strong>il</strong> sostegno elettorale;<br />
• Fonti alternative di informazione;<br />
• Possib<strong>il</strong>ità di essere eletti a pubblici uffici (elettorato passivo);<br />
• Elezioni libere e corrette;<br />
• Istituzioni che rendono le politiche governative dipendenti dal<br />
voto.<br />
La responsab<strong>il</strong>ità dei governanti deve dunque essere fatta valere attraverso la<br />
capacità di sanzione dell’elettore, <strong>il</strong> quale valuta, secondo <strong>il</strong> metro delle<br />
soddisfazione delle proprie domande, <strong>il</strong> grado di responsivness di un determinato<br />
governo democratico.
Le ricerche sulla qualità democratica degli ultimi anni hanno cercato di realizzare<br />
un controllo empirico di questi assunti normativi, lungo tre linee direttrici:<br />
1<br />
QUALITA’ COME<br />
INSIEME DI<br />
PROCEDURE<br />
Riguarda <strong>il</strong> rispetto della DEMOCRAZIA<br />
PROCEDURALE (istituzioni e regole) e le sue<br />
dimensioni principali sono:<br />
• applicazione della legge (rule of law);<br />
• responsab<strong>il</strong>ità degli eletti verso gli elettori<br />
(accountab<strong>il</strong>ity elettorale);<br />
• responsab<strong>il</strong>ità reciproca degli organi istituzionali<br />
(accountab<strong>il</strong>ity interistituzionale);<br />
• alta partecipazione;<br />
• aperta competizione.<br />
2<br />
QUALITA’ COME<br />
CONTENUTO<br />
Analisi dei contenuti in termini di LIBERTA’ E<br />
EGUAGLIANZA:<br />
• concrete garanzie dei diritti;<br />
• diffusione di istituti di welfare.
3<br />
QUALITA’ COME<br />
RISULTATO<br />
Si incentra soprattutto sull’analisi della<br />
SODDISFAZIONE DEI CITTADINI, in relazione alla:<br />
• capacità di risposta dei governanti ai bisogni e alle<br />
domande dei governati (responsivness).<br />
L’analisi dei diversi aspetti della qualità democratica consente di passare da una<br />
definizione minima ad una DEFINIZIONE MASSIMA (ideale) di democrazia,<br />
che può essere quella indicata da MORLINO: “regime che crea le opportunità<br />
istituzionali migliori per realizzare libertà ed eguaglianza”.<br />
In questa definizione la presenza dei valori di libertà e democrazia indicano la<br />
qualità come contenuto; <strong>il</strong> riferimento alle istituzioni indica la qualità procedurale;<br />
<strong>il</strong> riferimento alle opportunità da realizzare indica la qualità come risultato.<br />
Le dimensioni sopra elencate per specificare i tre differenti aspetti della qualità<br />
democratica non possono però essere poste tutte sullo stesso piano: sia la rule of<br />
law (cioè l’ordine e la sicurezza per i cittadini garantito dal monopolio pubblico<br />
della capacità coercitiva e della risoluzione dei conflitti), sia l’esistenza di<br />
partecipazione e competizione (che indicano una certa strutturazione della<br />
società civ<strong>il</strong>e e della società politica), costituiscono dei prerequisiti della qualità
democratica, cioè delle altre dimensioni. Bisogna infine r<strong>il</strong>evare l’importanza, per<br />
poter conseguire un buon livello di qualità democratica, di un contesto<br />
internazionale favorevole (ad esempio, la minore propensione degli Stati Uniti,<br />
dalla fine degli anni ’80, a sostenere per motivi geopolitici regimi autoritari è<br />
stata una importante opportunità sfruttata nella democraticizzazione di molti<br />
paesi latino-americani, così come fondamentale è stato <strong>il</strong> ruolo giocato<br />
dall’Unione europea nel favorire i processi di democraticizzazione dei paesi<br />
dell’est Europa).
LE CONDIZIONI NON POLITICHE FAVOREVOLI<br />
E’ possib<strong>il</strong>e individuare quali CONDIZIONI NON DIRETTAMENTE POLITICHE<br />
abbiano favorito in passato o in tempi più recenti la formazione di regimi<br />
democratici?<br />
Per molti autori la risposta è negativa, perché le condizioni cambiano da paese a<br />
paese e da un periodo storico all’altro. Alcuni autori ritengono che in proposito si<br />
possa arrivare a qualche forma di generalizzazione, altri, invece, ritengono che<br />
esistano dei percorsi storici specifici che riguardano determinati gruppi di paesi.<br />
CULTURA POLITICA E DEMOCRAZIA<br />
Molti studi hanno cercato in passato di individuare quali valori rendano la cultura<br />
politica di un paese più adatta per le istituzioni politiche democratiche,<br />
soffermandosi sull’influsso della religione ebraico-cristiana o di valori quali la<br />
libertà, la disponib<strong>il</strong>ità a partecipare, la disposizione alla tolleranza e al<br />
compromesso, <strong>il</strong> rispetto delle leggi. Altri autori hanno messo in r<strong>il</strong>ievo<br />
l’importanza dei valori di chi fa direttamente politica, quali la fiducia reciproca<br />
fra gli attori di un sistema politico, la credenza nella capacità del regime di<br />
risolvere i problemi, la disponib<strong>il</strong>ità alla cooperazione, all’accordo e al<br />
compromesso.
Se la ricerca pioneristica di ALMOND e VERBA, nei primi anni ‘60, mise in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong><br />
primo aspetto, elaborando <strong>il</strong> concetto di “CULTURA CIVICA”, diverse ricerche degli<br />
anni ‘70, e in particolare quella di LIJPHART, si soffermarono sull’importanza del<br />
secondo aspetto, dimostrando come una cultura politica caratterizzata da<br />
elementi oggettivamente sfavorevoli alla democrazia possa essere superata da<br />
altri fattori (non necessariamente a carattere culturale) che permettono di<br />
realizzare una democrazia stab<strong>il</strong>e: si tratta degli studi sulla cosiddetta<br />
“DEMOCRAZIA CONSOCIATIVA”:<br />
CULTURA<br />
CIVICA<br />
Sulla base di una ricerca comparata su cinque diversi paesi<br />
(Stati Uniti, Gran Bretagna, Messico, Germania e Italia)<br />
Almond e Verba giunsero alla conclusione che la base più<br />
favorevole ai regimi democratici fosse la presenza di una<br />
cultura civica, caratterizzata da una partecipazione anche<br />
vivace, ma che non mette in dubbio l’autorità politica,<br />
impegno civ<strong>il</strong>e moderato, assenza di dissensi profondi,<br />
fiducia nel proprio ambiente sociale, rispetto dell’autorità,<br />
ma anche senso di indipendenza, e atteggiamenti<br />
favorevoli verso le strutture politiche.
DEMOCRAZIA<br />
CONSOCIATIVA<br />
Come già si è spiegato prima, in determinate<br />
società plurali, con profonde divisioni<br />
religiose, etniche, linguistiche o ideologiche,<br />
la stab<strong>il</strong>ità democratica viene conseguita<br />
grazie all’atteggiamento favorevole alla<br />
cooperazione e all’accordo di élite politiche<br />
che rappresentano i diversi sottosistemi<br />
culturali in governi di larghe coalizioni, basati<br />
su meccanismi di veto e volti a garantire ogni<br />
minoranza a livello decisionale, in presenza<br />
dell’applicazione del principio di<br />
proporzionalità in tutte le sedi r<strong>il</strong>evanti e di<br />
un’alto decentramento amministrativo.<br />
Questi atteggiamenti delle élite sono a loro<br />
volta influenzati favorevolmente da elementi:<br />
• geopolitici (paesi di piccole dimensioni);<br />
• politico-strutturali (equ<strong>il</strong>ibrio tra le<br />
espressioni politiche dei diversi segmenti<br />
culturali);<br />
• tradizioni di accordo tra le élite.
CONDIZIONI ECONOMICO-SOCIALI<br />
Se <strong>il</strong> PLURALISMO CULTURALE (o sub-culturale) prefigura condizioni<br />
potenzialmente sfavorevoli a un regime democratico (nonostante l’importante<br />
eccezione dei regimi consociativi), non altrettanto si può dire del PLURALISMO<br />
SOCIALE, che riguarda la differenziazione della società in un gran numero di<br />
gruppi sociali nei quali sono distribuite le risorse economiche in maniera diffusa.<br />
L’esistenza di queste condizioni, infatti, rende più probab<strong>il</strong>e l’instaurazione ed <strong>il</strong><br />
mantenimento di una democrazia. I DUE TIPI DI PLURALISMO NON SONO<br />
COINCIDENTI: mentre non vi può essere pluralismo culturale senza pluralismo<br />
sociale, non è vero l’inverso, nel senso che <strong>il</strong> pluralismo sociale si può sv<strong>il</strong>uppare<br />
anche in una società culturalmente omogenea. Il pluralismo sociale può favorire<br />
lo sv<strong>il</strong>uppo del PLURALISMO POLITICO, può cioè portare ad un pluralismo<br />
nelle organizzazioni politiche intermedie (partiti, sindacati, gruppi di pressione)<br />
capaci di reciproca indipendenza e di autonomia nei confronti delle istituzioni del<br />
regime democratico.<br />
Altre condizioni che influenzano positivamente la democrazia sono un ALTO<br />
LIVELLO DI ALFABETIZZAZIONE (ISTRUZIONE) e lo sv<strong>il</strong>uppo della comunicazione<br />
attraverso la DIFFUSIONE DEI MASS MEDIA.<br />
L’estrema concentrazione di risorse economiche non favorisce la democrazia,
perchè determina un’analoga concentrazione di risorse politiche e, inoltre, genera<br />
atteggiamenti di disaffezione e protesta nei gruppi più svantaggiati. Si può dunque<br />
presupporre che, al contrario, L’ASSENZA DI DISEGUAGLIANZE ECONOMICHE<br />
ESTREME favorisca l’instaurazione ed <strong>il</strong> consolidamento delle democrazie.<br />
Una ulteriore considerazione riguarda L’ESISTENZA DI UNA ECONOMIA<br />
INDUSTRIALIZZATA, che appare importante ma non indispensab<strong>il</strong>e per lo sv<strong>il</strong>uppo<br />
democratico: l’effetto dell’industrializzazione può essere diverso se si parte da<br />
società tradizionali più egualitarie (in questo caso l’industrializzazione accentua le<br />
diseguaglianze economiche) o da società contraddistinte da grandi disparità<br />
economiche (nelle quali l’industrializzazione può ridurre queste disparità).<br />
Ma QUALE CORRELAZIONE ESISTE TRA SVILUPPO ECONOMICO E<br />
DEMOCRAZIA? Se esiste una correlazione, come sembrerebbe affermare LIPSET, si<br />
tratta di una correlazione spuria, piena di casi devianti e in cui non è chiara<br />
nemmeno la direzione della correlazione: se sia cioè lo sv<strong>il</strong>uppo economico a<br />
indurre la democrazia, o viceversa. Quel che ha più importanza è <strong>il</strong> modo in cui lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo economico è stato conseguito: lo sv<strong>il</strong>uppo economico accellerato, ad<br />
esempio, deve necessariamente far leva su metodi autoritari e provoca effetti<br />
tanto destab<strong>il</strong>izzanti sul sistema politico da non poter condurre a un regime<br />
democratico. Semmai lo sv<strong>il</strong>uppo economico aiuta a mantenere le democrazie,<br />
nel senso che quel che destab<strong>il</strong>izza i regimi sono le crisi economiche, e le<br />
democrazie sono particolarmente esposte alle ripercussioni negative delle cattive
prestazioni economiche.<br />
IMPORTANZA DELLA LEADERSHIP<br />
Non è fac<strong>il</strong>e definire la soglia al di là della quale l’alfabetizzazione, lo sv<strong>il</strong>uppo dei<br />
mass media, <strong>il</strong> pluralismo o le minori diseguaglianze economiche costituiscano<br />
delle condizioni favorevoli per la democrazia. Si tratta, comunque, di condizioni<br />
necessarie, ma non sufficienti. Del resto è possib<strong>il</strong>e dimostrare che in società<br />
diverse che si assomigliano per alcune di queste condizioni, vi sono stati esiti<br />
politici diversi (favorevoli o sfavorevoli) per la democrazia. Emerge allora<br />
l’importanza di una variab<strong>il</strong>e interveniente relativa alle CARATTERISTICHE DELLA<br />
LEADERSHIP DEL PAESE: la democrazia, infatti, è anche una scelta che una élite<br />
politica può fare superando certe condizioni socioeconomiche meno vantaggiose,<br />
o anche indipendentemente da esse.<br />
PERCORSI STORICI SPECIFICI<br />
Per alcuni autori le condizioni non direttamente politiche favorevoli allo sv<strong>il</strong>uppo<br />
della democrazia possono essere individuate, ma solo per gruppi di paesi in un<br />
determinato periodo storico, nell’ambito dello stesso assetto internazionale e di<br />
sim<strong>il</strong>i condizioni economiche. E’ <strong>il</strong> caso dell’importante studio di BARRINGTON<br />
MOORE sulle origini dei regimi democratici in Ingh<strong>il</strong>terra, Francia e Stati Uniti.
CONDIZIONI PER LO SVILUPPO DELLA DEMOCRAZIA<br />
(BARRINGTON MOORE)<br />
1. Equ<strong>il</strong>ibrio fra monarchia e aristocrazia terriera. (E’ <strong>il</strong> caso<br />
inglese, mentre <strong>il</strong> prevalere della monarchia assoluta impone, per lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo della democrazia, una rottura rivoluzionaria).<br />
2. Svolta verso una forma di agricoltura mercant<strong>il</strong>e. (E’ un<br />
requisito necessario: l’industrializzazione sarà una conseguenza<br />
successiva degli sv<strong>il</strong>uppi mercant<strong>il</strong>i).<br />
3. Indebolimento dell’aristocrazia terriera. (L’egemonia politica di<br />
questa classe dev’essere spezzata, per arrivare ad approdi democratici).<br />
4. Assenza di una coalizione fra industriali e proprietari terrieri<br />
contro contadini e lavoratori. (E presenza di una borghesia urbana<br />
numerosa e vigorosa).<br />
5. Rottura rivoluzionaria con <strong>il</strong> passato. (La rivoluzione inglese<br />
limitò l’assolutismo regio, quella francese ed americana spezzarono <strong>il</strong><br />
potere di un’aristocrazia agraria che sarebbe stata di ostacolo alla<br />
trasformazione democratica).
L’analisi di BARRINGTON MOORE è particolarmente r<strong>il</strong>evante, anche se alcune<br />
conclusioni appaiono condizionate dall’aver considerato tre soli casi, tutti relativi a<br />
grandi paesi. Se si allarga l’analisi storica alle piccole e medie democrazie europee<br />
appare infatti evidente che in molti casi la rottura rivoluzionaria non ebbe luogo.<br />
Questo aspetto può essere riformulato nei termini del RUOLO ESERCITATO DALLA<br />
VIOLENZA NEI MUTAMENTI POLITICI: in questo caso è possib<strong>il</strong>e evidenziare come<br />
le due guerre mondiali (soprattutto la prima) hanno costituito un fattore decisivo<br />
per <strong>il</strong> passaggio alle democrazie di massa, come mostra <strong>il</strong> fatto che le date degli<br />
eventi bellici sono vicine a quelle dell’espansione del suffragio.<br />
Se ci si chiede, come fa RUSTOW, PERCHÉ LE ÉLITE POLITICHE ACCETTARONO<br />
L’ALLARGAMENTO DELLA CITTADINANZA E L’INGRESSO DELLE CLASSI INFERIORI<br />
NELL’ARENA POLITICA NAZIONALE, l’aspetto più importante da sottolineare, a<br />
partire dall’assenza di una coalizione aristocratico-borghese giustamente<br />
sottolineata da Barrington Moore, è, da una parte, la competizione instauratasi<br />
tra le espressioni politiche dell’aristocrazia e della borghesia urbana per<br />
l’appoggio di aree sempre maggiori della popolazione e, dall’altra, la pressione<br />
delle classi inferiori (ormai organizzate in partiti e/o sindacati) che ingenerava <strong>il</strong><br />
timore della radicalizzazione della mob<strong>il</strong>itazione di tali classi. In questo senso,<br />
l’estensione del suffragio ha rappresentato per molti leader conservatori europei<br />
un mezzo per integrare le classi sociali inferiori, operaie e non, oltre che per<br />
rafforzare <strong>il</strong> potere parlamentare degli stessi partiti conservatori.
LA PRIMA DEMOCRATIZZAZIONE<br />
L’analisi della prima democratizzazione individua DUE PROCESSI<br />
FONDAMENTALI AL CENTRO DEL CAMBIAMENTO: <strong>il</strong> primo legato<br />
all’affermazione dei diritti civ<strong>il</strong>i, <strong>il</strong> secondo all’affermazione dei diritti politici. Si<br />
tratta da un lato dell’ammissione del dissenso, dell’opposizione, della<br />
competizione fra le diverse forze politiche, cioè della LIBERALIZZAZIONE della<br />
società politica, dall’altro della crescita dell’INCLUSIVITÀ, cioè del numero di coloro<br />
che hanno titolo a partecipare, a controllare e opporsi alla condotta governativa.<br />
Per MARSHALL la democratizzazione consiste in un PROCESSO DI<br />
STRUTTURAZIONE ED ESPANSIONE DELLA CITTADINANZA, attraverso lo sv<strong>il</strong>uppo,<br />
lungo l’arco di tre secoli, dei suoi tre elementi principali: i diritti civ<strong>il</strong>i, politici e<br />
sociali, a cui si collegano rispettivamente le strutture giudiziarie, quelle<br />
rappresentative e quelle del welfare state.
I DIRITTI CONNESSI ALLA CITTADINANZA<br />
(MARSHALL)<br />
• CIVILI (libertà personali, di parola, di pensiero, di fede,<br />
di proprietà, di stipulare contratti e di ottenere giustizia).<br />
Istituzioni connesse: strutture giudiziarie (civ<strong>il</strong>i, penali e<br />
amministrative) a difesa dei diritti del cittadino.<br />
• POLITICI (elettorato attivo e passivo). Istituzioni<br />
connesse: istituzioni rappresentative locali e nazionali.<br />
• SOCIALI (minimo di benessere e sicurezza economici,<br />
diritto a una vita civ<strong>il</strong>e e a partecipare pienamente al<br />
retaggio sociale). Istituzioni connesse: servizi sociali,<br />
sistema scolastico e tutte le altre istituzioni del welfare<br />
state.
La democrazia, con l’affermazione dei diritti politici e poi dei diritti sociali, è un<br />
regime che accetta e presuppone la mob<strong>il</strong>itazione delle classi inferiori e <strong>il</strong> loro<br />
ingresso nell’arena politica nazionale. Ma alle tre classi di diritti individuali di cui<br />
parla Marshall bisogna aggiungere, tenendo presente lo sv<strong>il</strong>uppo dei sindacati,<br />
un ulteriore diritto: <strong>il</strong> diritto di unione. Si tratta di un diritto che non coincide con<br />
<strong>il</strong> diritto di associazione (che rende possib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> sorgere dei partiti), anche se questa<br />
distinzione tra associazione ed unione non è presente in tutti gli ordinamenti<br />
giuridici europei, ma solo in alcuni di essi. Come sottolinea BENDIX, <strong>il</strong> diritto di<br />
unione non si inserisce nel medesimo contesto dei diritti individuali della<br />
tradizione liberale, ma rappresenta una importante evoluzione: “lo sv<strong>il</strong>uppo dei<br />
sindacati costituisce un esempio del modo in cui i diritti civ<strong>il</strong>i sono passati dalla<br />
rappresentanza degli individui a quella delle comunità”, passando così dal piano<br />
dell’eguaglianza formale al piano del perseguimento di un’eguaglianza sostanziale.<br />
Le dimensioni della liberalizzazione e dell’inclusività, collegate all’affermazione dei<br />
diversi tipi di diritti, sono al centro dell’analisi di DAHL sulla prima<br />
democratizzazione. Egli individua TRE PERCORSI PRINCIPALI VERSO LA<br />
DEMOCRAZIA, lungo le suddette dimensioni:<br />
‣ LA POSSIBILITÀ DI DISSENSO E DI COMPETIZIONE PRECEDONO L’INCLUSIVITÀ<br />
= dall’egemonia chiusa (caratterizzata dall’assenza di competizione e<br />
partecipazione e dalla presenza del potere assoluto di un capo), all’oligarchia
competitiva (dove vi è competizione tra élite ristrette) alla liberal-democrazia<br />
o poliarchia (contraddistinta da un alto grado di competizione e di<br />
partecipazione);<br />
‣ L’INCLUSIVITÀ PRECEDE LA POSSIBILITÀ DI DISSENSO E COMPETIZIONE = da<br />
un’egemonia chiusa a un’egemonia includente fino alla liberal-democrazia;<br />
‣ CRESCITA CONTEMPORANEA DELLE DUE DIMENSIONI = dall’egemonia chiusa si<br />
passa direttamente alla poliarchia, in una sorta di «scorciatoia» della<br />
democrazia.<br />
E’ la prima sequenza che caratterizza <strong>il</strong> percorso della prima democratizzazione e<br />
che (tipica di diversi paesi europei come, ad esempio, Gran Bretagna, Svezia e<br />
Norvegia) pone le premesse per le democrazie meglio consolidate che non crollano<br />
negli anni venti e trenta soppiantate da regimi totalitari (fascismo e nazismo).
DAHL: I PERCORSI DELLA PRIMA<br />
DEMOCRATIZZAZIONE<br />
1<br />
Oligarchie<br />
Poliarchie<br />
competitive<br />
1<br />
3<br />
2<br />
Egemonie<br />
chiuse<br />
Inclusività<br />
Egemonie<br />
includenti<br />
2
LE QUATTRO SOGLIE DEL PROCESSO DI DEMOCRATIZZAZIONE<br />
La democratizzazione è avvenuta in tutti i paesi europei, ma con tempi e modalità<br />
spesso differenti. Per inquadrare queste diversità ROKKAN ha individuato<br />
QUATTRO DIFFERENTI SOGLIE di enucleazione di tale processo:<br />
SOGLIA DI<br />
LEGITTIMAZIONE<br />
SOGLIA DI<br />
INCORPORAZIONE<br />
SOGLIA DI<br />
RAPPRESENTANZA<br />
SOGLIA DEL POTERE<br />
ESECUTIVO<br />
E’ quella che segna <strong>il</strong> riconoscimento effettivo dei<br />
diritti civ<strong>il</strong>i.<br />
E’ quella che segna la piena realizzazione della<br />
cittadinanza politica attraverso l’estensione del<br />
suffragio elettorale a tutti i cittadini.<br />
E’ quella che segna <strong>il</strong> superamento degli ostacoli<br />
frapposti alla costituzione di nuovi partiti<br />
(attraverso <strong>il</strong> passaggio da sistemi elettorali<br />
maggioritari a sistemi proporzionali).<br />
E’ quella che segna <strong>il</strong> passaggio al controllo<br />
parlamentare del governo attraverso <strong>il</strong><br />
riconoscimento della sua responsab<strong>il</strong>ità politica nei<br />
confronti dei rappresentanti del popolo.
Per quanto riguarda LE PRIME DUE SOGLIE, esse appaiono connesse alle<br />
condizioni storiche di partenza di ciascun paese. In particolare gioca un ruolo<br />
positivo nel rapido superamento di queste soglie:<br />
<strong>il</strong> livello di consolidamento territoriale realizzato nel Medioevo dalle prime<br />
dinastie nazionali ha fac<strong>il</strong>itato successivamente l’affermazione della cittadinanza<br />
democratica;<br />
la continuità nell’attività degli organi medioevali di rappresentanza, nel senso<br />
che, nei paesi in cui questa continuità non è stata spezzata dall’avvento di regimi<br />
assolutistici, si sono affermate più rapidamente le condizioni per una<br />
legittimazione delle forze di opposizione e <strong>il</strong> processo di affrancamento e di<br />
egualitarizzazione, una volta affermatosi, è risultato meno fac<strong>il</strong>e da invertire;<br />
una più antica formazione di certi paesi, rispetto a paesi che raggiunsero<br />
l’indipendenza solo successivamente alla rivoluzione francese;<br />
la dimensione e la forza del sistema politico dominante prima della<br />
secessione, nel senso che a uno status internazionale r<strong>il</strong>evante del paese<br />
dominante ha corrisposto una maggiore difficoltà di riuscita di processi di<br />
secessione e l’intensità dell’uso della violenza all’interno dello stato secessionista<br />
e che, di conseguenza, in presenza di maggiori minacce alle aspirazioni di<br />
indipendenza nazionale, minori sono risultati gli avanzamenti nel processo di<br />
democratizzazione.
Per quanto riguarda LE ALTRE DUE SOGLIE:<br />
vi sono state maggiori difficoltà nel passaggio da sistemi maggioritari a sistemi<br />
proporzionali (o, in alcuni casi, tale passaggio non è avvenuto) nei sistemi politici<br />
più grandi e con strutture governative più forti, mentre la soglia della<br />
rappresentanza è risultata più fac<strong>il</strong>e da superare in democrazie articolate e con<br />
scarse risorse governative, in presenza di una maggiore eterogeneità etica e/o<br />
religiosa dei cittadini, o in presenza di una maggiore differenziazione economica<br />
causata dall’urbanizzazione e dalla monetarizzazione delle transazioni;<br />
in merito alla soglia del controllo parlamentare dell’esecutivo, al modello<br />
inglese (a cui si avvicinano Belgio, Paesi Bassi e Norvegia) in cui <strong>il</strong> principio della<br />
responsab<strong>il</strong>ità parlamentare del governo fu introdotto prima dell’estensione del<br />
suffragio, si contrappone <strong>il</strong> modello tedesco (replicato in Danimarca, Svezia e<br />
Austria) questo principio, al contrario, si affermò solo successivamente<br />
all’estensione del suffragio.
2.2 PARTITI POLITICI E SISTEMI DI<br />
PARTITO
DEFINIZIONI DEI PARTITI<br />
I partiti politici sono stati a lungo gli attori fondamentali delle democrazie<br />
rappresentative ed ancora oggi, pur avendo mutato nel tempo diverse delle loro<br />
caratteristiche, rimangono un attore centrale nelle liberal-democrazie di massa.<br />
Nel distinguerli da classi e ceti sociali, WEBER ne sottolinea <strong>il</strong> carattere di<br />
ASSOCIAZIONI FORMALMENTE ORGANIZZATE. Infatti:<br />
CLASSI<br />
CETI<br />
ORDINAMENTO<br />
ECONOMICO<br />
ORDINAMENTO<br />
SOCIALE<br />
Esistono anche senza alcuna<br />
associazione formale<br />
PARTITI<br />
SFERA DELLA<br />
“POTENZA”<br />
Associazioni formali<br />
organizzate, orientate ad<br />
uno scopo
Dunque i partiti sono associazioni formali (organizzazioni) <strong>il</strong> cui SCOPO è quello di<br />
“influenzare l’ordinamento e l’apparato di persone che guidano un qualsiasi tipo<br />
di comunità sociale” e <strong>il</strong> cui MEZZO SPECIFICO (anche se possono ut<strong>il</strong>izzarne<br />
anche altri) ut<strong>il</strong>izzato per raggiungere i propri obiettivi è la conquista di cariche<br />
elettive.<br />
Tra le più significative DEFINIZIONI DEI PARTITI vanno ricordate quella<br />
classica di WEBER e quelle di DOWNS e di SARTORI:<br />
• WEBER [1922]: “…associazioni fondate su una adesione libera, costituite<br />
al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un<br />
gruppo sociale e ai propri m<strong>il</strong>itanti attivi le possib<strong>il</strong>ità per <strong>il</strong> perseguimento<br />
di fini oggettivi o per <strong>il</strong> perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e<br />
due gli scopi”.<br />
• DOWNS [1957] “… una compagine di persone che cercano di ottenere <strong>il</strong><br />
controllo dell’apparato governativo a seguito di regolari elezioni”<br />
• SARTORI [1976] “…qualsiasi gruppo politico, identificato da un’etichetta<br />
ufficiale, che si presenta alle elezioni e attraverso di esse è capace di<br />
collocare candidati alle cariche pubbliche”.
FUNZIONI DEI PARTITI<br />
I partiti politici, in quanto espressione di una “parte” sociale, organizzano le<br />
divisioni presenti nella società civ<strong>il</strong>e e agiscono da mediatori tra le istituzioni<br />
pubbliche e la stessa società civ<strong>il</strong>e. Essi svolgono SEI PRINCIPALI FUNZIONI:<br />
• Strutturazione delle domande: semplificando la complessità degli interessi<br />
individuali ( e aggregandoli ) contribuiscono a formare l’interesse collettivo.<br />
• Strutturazione del voto: cercando <strong>il</strong> sostegno popolare, in concorrenza con<br />
altri partiti con opinioni diverse, “creano l’ordine dal caos di una<br />
moltitudine di elettori”.<br />
• Socializzazione politica: anche organizzando altre forme di partecipazione<br />
politica (oltre al voto) mirano a trasformare gli individui in cittadini integrati<br />
in una comunità.<br />
• Reclutamento dei governanti: le liste elettorali sono prevalentemente<br />
presentate dai partiti; i governi sono in massima parte formati da membri di<br />
<strong>partito</strong>.<br />
• Controllo sul governo: strumenti di collegamento tra governo e cittadini,<br />
che permettono ai governati di controllare i governanti.<br />
• Partecipazione alla formazione delle politiche pubbliche: elaborano<br />
programmi, li presentano agli elettori e, se vanno al governo, dovrebbero<br />
metterli in pratica.
Esistono DUE DIFFERENTI APPROCCI ALL’ANALISI DELLE FUNZIONI DEI PARTITI:<br />
l’approccio razionale e l’approccio identitario. Il primo coglie una sostanziale<br />
analogia tra i rapporti che legano elettori e partiti nel “mercato politico” e i<br />
rapporti tra consumatori e produttori nel “mercato economico”; <strong>il</strong> secondo<br />
approccio, invece, sottolinea <strong>il</strong> ruolo dei partiti nella costruzione di identità<br />
collettive.<br />
ALL’INTERNO DELL’APPROCCIO RAZIONALE VI SONO PERÒ POSIZIONI<br />
DIFFERENTI:<br />
• c’è chi, come DOWNS, ritiene che l’analogia valga fino in fondo e che alla<br />
sovranità del consumatore nel mercato economico corrisponda la sovranità<br />
dell’elettore nel mercato politico: se è vero - come Downs non manca di r<strong>il</strong>evare -<br />
che “i partiti formulano proposte politiche per vincere le elezioni; non cercano di<br />
vincere le elezioni per formulare proposte politiche”, è anche vero che, una volta al<br />
governo, realizzare le politiche promesse è nel loro interesse, se vogliono<br />
riaffermarsi alle successive elezioni. In questo modo in politica, come in economia,<br />
la funzione sociale sarebbe assolta incidentalmente, nel senso che partendo da<br />
comportamenti volti al conseguimento dei propri vantaggi individuali ne<br />
deriverebbe <strong>il</strong> controllo democratico degli elettori sugli eletti.<br />
• Di diverso avviso è BUCHANAN (e tutta la scuola della PUBLIC CHOICE) secondo <strong>il</strong><br />
quale la dipendenza dei politici dal sostegno degli elettori finisce per produrre
l’effetto negativo della crescita del debito pubblico e dell’inflazione. Un ulteriore<br />
effetto negativo è determinato dall’interesse dei politici a introdurre vincoli<br />
all’attività privata (sotto forma di concessioni, autorizzazioni, ecc.) che<br />
costituiscono per loro una vera e propria rendita politica, ma sono per la società<br />
delle attività parassitarie, perché non<br />
aumentano la produttività.<br />
Se per l’approccio razionale la politica gestisce preferenze ad essa esogene,<br />
formatesi altrove, l’APPROCCIO IDENTITARIO ritiene invece che l’essenza<br />
della politica risieda proprio nella formazione delle preferenze, attraverso<br />
l’elaborazione di identità collettive. Per PIZZORNO <strong>il</strong> <strong>partito</strong> politico è una<br />
collettività identificante da cui gli individui ricevono i criteri che danno significato<br />
all’azione, rendendo possib<strong>il</strong>e la definizione degli interessi. Per far questo <strong>il</strong> <strong>partito</strong><br />
si serve dell’ideologia come strumento per definire interessi collettivi di lungo<br />
periodo ed esercita (<strong>il</strong> riferimento è soprattutto ai partiti socialisti) una funzione<br />
socializzante, volta a fornire risorse di identità agli “esclusi”. Queste considerazioni<br />
si riflettono sulla concezione della rappresentanza, che per Pizzorno è sia<br />
un’attività identificante, attraverso la quale i politici costituiscono e rafforzano le<br />
identità politiche, sia un’attività efficiente, che consiste nel prendere decisioni (in<br />
parlamento o nel governo) “intese a migliorare, o non lasciare peggiorare, la<br />
posizione relativa dell’entità collettiva che essi rappresentano”.
I PARTITI NELL’APPROCCIO RAZIONALE E IN QUELLO<br />
IDENTITARIO<br />
• RAZIONALE:<br />
1) Le preferenze sono<br />
socialmente date.<br />
2a) I partiti perseguono la<br />
rielezione e a tal fine<br />
rispondono alle preferenze<br />
degli elettori intesi come<br />
attori coerenti. (DOWNS)<br />
• IDENTITARIO:<br />
1) Le preferenze non sono<br />
definite a priori.<br />
2) I partiti contribuiscono<br />
attraverso l’ideologia alla<br />
costituzione di identità<br />
collettive e alla formazione<br />
delle preferenze.<br />
2b) Effetti negativi prodotti dal<br />
ciclo economico-politico<br />
(BUCHANAN)
EVOLUZIONE STORICA DEI PARTITI<br />
Con <strong>il</strong> termine <strong>partito</strong> politico si designa un concetto i cui referenti empirici sono<br />
notevolmente mutati nel tempo.<br />
DUVERGER spiega la nascita dei partiti politici mettendo in relazione l’esistenza di<br />
organizzazioni “protopartitiche” con <strong>il</strong> parlamento e l’estensione del suffragio<br />
elettorale. FIN QUANDO IL SUFFRAGIO ELETTORALE RESTA LIMITATO, i partiti<br />
nascono in parlamento: si tratta di connessioni fra gli stessi parlamentari, con<br />
limitata proiezione esterna nella società. CON L’AMPLIARSI DEL SUFFRAGIO,<br />
invece, nascono strutture extraparlamentari che fanno leva su organizzazioni<br />
esterne al parlamento per acquisirvi rappresentanza. Si tratta soprattutto di<br />
PARTITI CONFESSIONALI e di PARTITI SOCIALISTI, che sfruttano <strong>il</strong> vantaggio delle<br />
preesistenti reti associative che, rispettivamente, la Chiesa e i sindacati mettono<br />
loro a disposizione. I partiti cattolici e socialisti, pur nascendo fuori dal<br />
parlamento, trovano ben presto al suo interno una collocazione adeguata alla loro<br />
forza elettorale, e contribuiscono a cambiare <strong>il</strong> funzionamento del parlamento<br />
stesso, ampliandone la rappresentatività e la responsab<strong>il</strong>izzazione. Diverso <strong>il</strong><br />
percorso seguito più tardi, negli anni venti, dai PARTITI FASCISTI e PARTITI<br />
COMUNISTI, che sfruttarono la loro critica antiparlamentare per acquisire<br />
consenso elettorale e, quando entrarono in parlamento, lo fecero mantenendo<br />
una mentalità antidemocratica.
La trasformazione strutturale più significativa, che si verifica all’inizio del XX<br />
secolo, è quella messa in luce da WEBER, che vede, in conseguenza<br />
dell’estensione del suffragio elettorale, <strong>il</strong> passaggio DAI PARTITI DI NOTABILI<br />
AI PARTITI DI MASSA. Se <strong>il</strong> primo tipo di <strong>partito</strong> era un <strong>partito</strong> di<br />
rappresentanza individuale, costituito da strutture embrionali che si attivavano<br />
solo nelle occasioni elettorali per definire le liste dei candidati, ed era guidato da<br />
figure di notab<strong>il</strong>i locali che, per condizioni economiche e status sociale, avevano i<br />
mezzi per fare politica e godevano della deferenza degli elettori, l’avvento dei<br />
partiti di massa comporta la presenza di strutture permanenti in costante attività<br />
in cui si realizza la professionalizzazione della politica, si forma cioè una classe di<br />
individui che “vivono di politica” e nei confronti dei quali al rapporto di<br />
deferenza si sostituisce un esplicito rapporto di delega da parte dell’elettore:
TIPOLOGIA DI WEBER<br />
PARTITO DI NOTABILI<br />
• Notab<strong>il</strong>i, dotati di risorse<br />
autonome<br />
• Attività saltuaria<br />
• Deferenza verso i politici<br />
• Competizione elettorale<br />
ristretta<br />
PARTITO DI MASSA<br />
• Politici di professione, che<br />
vivono di politica<br />
• Attività permanente<br />
• Delega ai politici<br />
• Suffragio elettorale allargato<br />
FATTORE DI MUTAMENTO: allargamento del suffragio<br />
Da un punto di vista organizzativo <strong>il</strong> passaggio è dunque, come nota DUVERGER,<br />
da un PARTITO DI QUADRI, in cui i notab<strong>il</strong>i si riunivano periodicamente in<br />
comitati per preparare le elezioni, dirigerle e guadagnare voti per i candidati, a<br />
PARTITI CHE FANNO AFFIDAMENTO SUGLI ISCRITTI per <strong>il</strong> loro radicamento<br />
sociale, la conduzione delle campagne elettorali e <strong>il</strong> loro stesso finanziamento. Si<br />
passa così, come r<strong>il</strong>eva NEUMANN, dal PARTITO DI RAPPRESENTANZA
INDIVIDUALE, che spesso non è diverso da un semplice comitato elettorale, al<br />
PARTITO DI INTEGRAZIONE SOCIALE, dotato di organizzazione estesa, influente,<br />
aperto alla partecipazione degli iscritti e capace (<strong>il</strong> discorso vale soprattutto per i<br />
partiti socialisti europei) di esercitare una notevole influenza nelle diverse sfere<br />
della vita quotidiana dei propri aderenti, inquadrandoli in una vasta rete di<br />
associazioni che non si limitavano ad orientare <strong>il</strong> solo comportamento elettorale.<br />
Per conquistare le masse, dopo l’estensione del suffragio, diventa così necessaria<br />
la creazione di un ampio apparato di funzionari pagati, radicato nel territorio e/o<br />
nei luoghi di lavoro, mentre <strong>il</strong> controllo della struttura organizzativa del <strong>partito</strong><br />
diventa una delle risorse fondamentali del politico di professione.<br />
LA TIPOLOGIA PROPOSTA DA DUVERGER permette non solo di<br />
evidenziare la differenza sul piano organizzativo fra partiti di notab<strong>il</strong>i e partiti di<br />
massa, ma anche di mettere in luce le differenze, sempre sul piano organizzativo,<br />
tra i partiti socialisti (basati sulla sezione territoriale), i partiti comunisti (che alla<br />
dimensione territoriale aggiungevano l’organizzazione in cellule all’interno delle<br />
fabbriche) e i partiti fascisti (che puntavano invece su un’organizzazione<br />
param<strong>il</strong>itare basata sulla m<strong>il</strong>izia).
ORGANIZZAZIONE PARTITICA :TIPOLOGIA DI<br />
DUVERGER
MICHELS E LA “LEGGE FERREA DELL’OLIGARCHIA”<br />
Nonostante i partiti siano strutture portanti della democrazia rappresentativa,<br />
già agli inizi del novecento MICHELS vede nella loro trasformazione in<br />
un’organizzazione complessa l’affermarsi di UN’INELUTTABILE TENDENZA<br />
OLIGARCHICA. Secondo Michels, infatti, la “legge ferrea dell’oligarchia”, propria<br />
di tutte le grandi organizzazioni, determina la divisione di ogni <strong>partito</strong> in una<br />
MINORANZA DIRIGENTE e in una MAGGIORANZA DIRETTA.<br />
E’ un’evoluzione determinata dalla crescita delle esigenze organizzative, per cui<br />
tanto più grande è <strong>il</strong> numero dei membri, tanto maggiore <strong>il</strong> bisogno di<br />
competenze specialistiche, e quindi di una struttura complessa. Così <strong>il</strong> <strong>partito</strong><br />
crescendo di dimensioni produce necessariamente diseguaglianze, facendo<br />
aumentare <strong>il</strong> potere di chi gestisce le risorse necessarie alla vita<br />
dell’organizzazione. Queste considerazioni, applicate a partiti della classe<br />
operaia come I PARTITI SOCIALISTI (oggetto dello studio di Michels) consentono<br />
di mettere in evidenza <strong>il</strong> fatto che l’inserimento nell’oligarchia tende a<br />
trasformare lo stesso modo di pensare dei dirigenti, per cui chi occupa cariche di<br />
r<strong>il</strong>ievo si “imborghesisce”, allontanandosi dalla massa dei lavoratori. Il fatto è<br />
che <strong>il</strong> perseguimento dei fini originari di questo tipo di partiti potrebbe portare<br />
alla messa fuori legge dei partiti stessi, mettendo così in pericolo le condizioni<br />
di vita di chi dall’attività di <strong>partito</strong> trae <strong>il</strong> proprio reddito. Ciò porta ad una
moderazione dei fini iniziali determinando un processo di “SOSTITUZIONE DEI<br />
FINI”, per cui l’organizzazione, da mezzo per realizzare determinati fini, si<br />
trasforma nel fine stesso dell’azione dei funzionari di <strong>partito</strong>.<br />
LA LEGGE FERREA DELL’OLIGARCHIA<br />
(MICHELS)<br />
“..quanto più si estende e si ramifica l’apparato ufficiale del<br />
<strong>partito</strong>, cioè quanto maggiore è <strong>il</strong> numero dei membri, quanto più<br />
si riempiono le sue casse, quanto più aumenta la stampa di<br />
<strong>partito</strong>, tanto più si riduce <strong>il</strong> potere popolare sostituito<br />
dall’onnipotenza dei comitati e delle commissioni (..) Gli ex<br />
lavoratori si appropriano di una routine che li fa ascendere<br />
sempre più al di sopra dei loro mandanti, così che infine perdono <strong>il</strong><br />
senso di comunità con la classe che li ha espressi; ne deriva una<br />
vera differenza di classe tra i capi ex proletari e i gregari proletari<br />
(..) Con una sostituzione dei fini originari l’organizzazione diventa<br />
da mezzo scopo e infine scopo assoluto”
La teoria di Michels, presentata come una “legge”, è stata in seguito<br />
parzialmente ridimensionata. In particolare, PANEBIANCO ha r<strong>il</strong>evato che, SE I<br />
DIRIGENTI CONTROLLANO I MILITANTI, QUESTI ULTIMI NON SONO PRIVI DI<br />
RISORSE NEI LORO CONFRONTI: gli uni hanno bisogno degli altri (e viceversa).<br />
Inoltre LE IDEOLOGIE NON SONO DEL TUTTO MANIPOLABILI: i fini<br />
dell’organizzazione costituiscono un fondamentale punto di riferimento e uno<br />
strumento di continuità per l’organizzazione: ad essi è collegata l’identità<br />
collettiva del <strong>partito</strong> e anche la legittimità della leadership per cui, PIÙ CHE DI<br />
SOSTITUZIONE DEI FINI, SI PUÒ PARLARE AL MASSIMO DI UNA LORO<br />
ARTICOLAZIONE.<br />
Si pensi, ad esempio, alla lentissima evoluzione della classe dirigente del Partito<br />
comunista italiano, durante la Prima Repubblica, verso una revisione<br />
dell’ideologia e un affrancamento dal legame con <strong>il</strong> <strong>partito</strong> “fratello” dell’Unione<br />
Sovietica, proprio per non provocare pesanti riflessi (anche elettorali) in una base<br />
di m<strong>il</strong>itanti fortemente ideologizzata. Solo le profonde modificazioni del contesto<br />
internazionale (con la fine dell’equ<strong>il</strong>ibrio “bipolare” e la scomparsa della stessa<br />
Unione Sovietica) crearono i presupposti per un mutamento identitario di fondo,<br />
tradottosi simbolicamente in successivi mutamenti della stessa denominazione del<br />
<strong>partito</strong>: un mutamento che non appare ancora oggi delineato con sufficiente<br />
chiarezza.
DAL PARTITO PIGLIATUTTO AL PARTITO<br />
PROFESSIONALE -ELETTORALE<br />
Una ulteriore trasformazione dei partiti politici iniziò a delinearsi ne secondo<br />
dopoguerra e vide <strong>il</strong> progressivo affermarsi di quello che KIRKHEIMER definì <strong>il</strong><br />
“PARTITO PIGLIATUTTO” (Catch All Party).<br />
A seguito di un progressivo indebolimento dei sentimenti di appartenenza di<br />
classe nonché delle credenze religiose, in un contesto in cui l’estensione dei diritti<br />
sociali con la crescita del welfare state ha ridotto l’asprezza dei conflitti sociali e lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo dei mass media trasforma le campagne elettorali permettendo di<br />
raggiungere in modo cap<strong>il</strong>lare le grandi masse degli elettori, i partiti tendono ad<br />
abbandonare i tentativi di formazione morale e intellettuale delle masse,<br />
concentrando le proprie energie sulla competizione elettorale. Ciò porta al<br />
progressivo indebolimento del rapporto priv<strong>il</strong>egiato con determinati gruppi o<br />
classi sociali, rinunciando ad agire in profondità e cercando invece di reclutare i<br />
propri elettori tra tutta la popolazione. Si afferma così la volontà dei dirigenti di<br />
<strong>partito</strong> di ricercare, a scapito della sua identità, tutti i sostenitori e tutti gli elettori<br />
possib<strong>il</strong>i, ad espandere cioè al massimo <strong>il</strong> proprio seguito elettorale. E’ così che nel<br />
<strong>partito</strong> pigliatutto SI INDEBOLISCE IL RAPPORTO CON UN “ELETTORATO DI<br />
APPARTENENZA” che si identifica nel <strong>partito</strong>, mentre l’adesione al <strong>partito</strong> è
sempre meno basata su idee e valori e sempre più su interessi e carriera. CRESCE<br />
INOLTRE IL RUOLO DEI LEADER PARTITICI ELETTI NELLE ISTITUZIONI<br />
RAPPRESENTATIVE, che tendono a personalizzare i loro appelli. IL<br />
FINANZIAMENTO DEL PARTITO è sempre più basato sui contributi provenienti da<br />
gruppi di interesse e sul finanziamento pubblico.<br />
IL PARTITO PIGLIATUTTO (CATCH ALL PARTY)<br />
[KIRCHHEMEIR]<br />
• Ridimensionamento del bagaglio ideologico<br />
• Rafforzamento della leadership<br />
• Ridimensionamento dell’attivismo partitico<br />
• Minore accentuazione del ruolo di una singola classe<br />
sociale, o di gruppi confessionali e messaggi rivolti a<br />
un pubblico più ampio<br />
• Apertura a diversi gruppi di interesse<br />
61
Una variante più recente del <strong>partito</strong> pigliatutto è <strong>il</strong> “PARTITO<br />
PROFESSIONALE-ELETTORALE”, di cui parla PANEBIANCO. Si tratta di un<br />
<strong>partito</strong> che alle caratteristiche del <strong>partito</strong> pigliatutto (che mantiene interamente)<br />
aggiunge un altro importante elemento: la PROFESSIONALIZZAZIONE DELLE<br />
ORGANIZZAZIONI DI PARTITO, come risposta ai mutamenti socioeconomici e<br />
tecnologici.<br />
In presenza di una struttura sociale più complessa, è lo sv<strong>il</strong>uppo di nuove<br />
tecnologie di comunicazione a influenzare le tecniche organizzative: “i mass<br />
media spingono i partiti a campagne personalizzate, centrate sui candidati, e<br />
issue-oriented, centrate su temi specifici, ad alto contenuto tecnico, che<br />
richiedono di essere confezionate dagli esperti dei vari settori. La televisione,<br />
insieme ai gruppi di interesse, diventa una cinghia di trasmissione fra partiti e<br />
elettori più importante delle organizzazioni colletarali tradizionali, dei funzionari<br />
e degli iscritti”.<br />
Questo nuovo tipo di partiti è, ancor più del precedente, ORGANIZZATIVAMENTE<br />
DEBOLE, tanto che <strong>il</strong> rischio più forte è proprio quello della dissoluzione dei<br />
partiti come organizzazione: “i partiti perdono totalmente la propria identità<br />
organizzativa e si trasformano in bandiere di comodo con le cui insegne corrono<br />
imprenditori politici indipendenti”.
IL PARTITO PROFESSIONALE-ELETTORALE<br />
[PANEBIANCO]<br />
PARTITO BUROCRATICO DI<br />
MASSA<br />
• Centralità della burocrazia<br />
• Partito di membership<br />
• Preminenza dei dirigenti<br />
interni<br />
• Finanziamento tramite<br />
tesseramento ed attività<br />
collaterali<br />
• Accento sull’ideologia<br />
PARTITO PROFESSIONALE-<br />
ELETTORALE<br />
• Centralità dei professionisti<br />
• Partito elettorale<br />
• Preminenza dei<br />
rappresentanti pubblici<br />
• Finanziamento tramite gruppi<br />
di interesse e fondi pubblici<br />
• Accento su issues e<br />
leadership<br />
63
IL PARTITO “CARTELLIZZATO” ( CARTEL PARTY)<br />
Una serie di recenti ricerche empiriche sulle democrazie contemporanee hanno<br />
messo in evidenza <strong>il</strong> sensib<strong>il</strong>e allentamento nel rapporto tra i partiti e la loro<br />
base sociale, misurato in base alla riduzione del numero degli iscritti,<br />
all’indebolimento del sentimento di identificazione partitica e al considerevole<br />
aumento del tasso di astensionismo elettorale. La riduzione dei contributi dei<br />
m<strong>il</strong>itanti, in termini sia di risorse materiali che di lavoro volontario, ha poi<br />
determinato l’aumento del bisogno di finanziamenti pubblici. In particolare, <strong>il</strong><br />
finanziamento pubblico ai partiti avrebbe accresciuto la reciproca penetrazione<br />
tra Stato e partiti, riducendo <strong>il</strong> bisogno di risorse offerte dai m<strong>il</strong>itanti.<br />
IL RAPPORTO TRA I PARTITI si sarebbe così andato trasformando DA UN GIOCO<br />
“A SOMMA ZERO” (PER APPROPRIARSI DI RISORSE) AD UN GIOCO “A SOMMA<br />
POSITIVA”, caratterizzato dalla crescente collusione tra partiti che formano<br />
“cartelli” (cioè alleanze) per ottenere risorse pubbliche. Collusione del resto<br />
fac<strong>il</strong>itata da una crescente riduzione della distanza ideologica fra i partiti (nella<br />
logica del “<strong>partito</strong> pigliatutto”) evidenziata da una sempre maggiore convergenza<br />
nei programmi delle diverse coalizioni di governo.<br />
Nasce così un modello di <strong>partito</strong> definito “CARTEL PARTY” (o <strong>partito</strong><br />
“cartellizzato”), come lo chiamano KATZ e MAIR, che rappresenterebbe l’ultimo
stadio di un tragitto che ha portato <strong>il</strong> <strong>partito</strong> politico a trasformarsi da<br />
organismo interno alla società civ<strong>il</strong>e a struttura sempre più interna allo Stato.<br />
DA UNA PARTE I PARTITI SEMBRANO MENO POTENTI DI PRIMA, visto <strong>il</strong><br />
decrescere delle lealtà partigiane e la crescente apatia dell’elettorato,<br />
DALL’ALTRA PERÒ APPAIONO RAFFORZATI dalla crescita del finanziamento<br />
pubblico e dall’uso di canali di comunicazione esterni ai partiti stessi e (come nel<br />
caso della televisione) soggetti a regolamentazione statale; senza contare che <strong>il</strong><br />
forte radicamento nello Stato mette loro a disposizione più risorse (posti di<br />
lavoro pubblici, ecc.) da distribuire in modo clientelare.<br />
L’atomizzazione della base dei partiti rende inoltre SUPERFLUA LA PRESENZA DI<br />
QUADRI INTERMEDI, mentre AUMENTA LA CENTRALIZZAZIONE DELLE<br />
DECISIONI E LA PERSONALIZZAZIONE DELLA LEADERSHIP, aiutata dalla centralità<br />
assunta dai mass media (e in particolare dalla televisione) che fac<strong>il</strong>ita una<br />
identificazione diretta fra elettori e leader. Alla diminuita identificazione<br />
partitica si contrappone così la “personalizzazione della politica” come strategia<br />
per conquistare consenso da parte di leader politici che in alcuni casi<br />
(soprattutto, ma non solo nei partiti di centro-destra) usano un linguaggio<br />
“antipolitico” (sottolineano cioè una loro pretesa estraneità alla politica)<br />
servendosi di appelli “populistici” (al popolo contro le élite) che mirano a<br />
sfruttare la bassa identificazione partitica e la sfiducia nella politica
istituzionale per incrementare <strong>il</strong> proprio seguito elettorale. A questo processo di<br />
personalizzazione della leadership sembrano contribuire anche i tentativi portati<br />
avanti da alcuni partiti di combattere l’atomizzazione della base attraverso<br />
PROCEDURE DIRETTE NELLA SELEZIONE DEI CANDIDATI (LE “PRIMARIE”) e<br />
l’apertura alla partecipazione dei non iscritti: si tratta infatti di trasformazioni<br />
organizzative che non portano certo ad un aumento della reale influenza degli<br />
iscritti ma, rendendo ancora più superflua la presenza di quadri intermedi,<br />
accentuano ulteriormente <strong>il</strong> potere della leadership.
IL CARTEL PARTY [KATZ e MAIR]<br />
• Sistema caratterizzato da una collusione fra i partiti per<br />
ottenere risorse pubbliche<br />
• Partiti come strutture sempre più interne allo stato<br />
• Organizzazione partitica sempre più leggera<br />
• Allentamento del rapporto con la base, che si atomizza<br />
• Concentrazione del lavoro sul prof<strong>il</strong>o elettorale<br />
• Finanziamento pubblico come risorsa principale<br />
• Diminuzione ulteriore degli assetti ideologici<br />
• Predominio del messaggio sul programma<br />
• Pieno controllo sui mezzi della comunicazione politica<br />
L’EVOLUZIONE DELLA “FORMA PARTITO” (dal <strong>partito</strong> di notab<strong>il</strong>i al <strong>partito</strong><br />
cartellizzato) rispetto alla sua presenza nella società civ<strong>il</strong>e e alla sua presenza<br />
nello Stato, può essere visualizzata dal seguente grafico:
+<br />
Presenza nello Stato<br />
_<br />
CARTEL PARTY<br />
PARTITO PIGLIATUTTO<br />
PARTITO DI MASSA<br />
PARTITO DI NOTABILI<br />
_ Presenza nella società civ<strong>il</strong>e +
FRATTURE SOCIALI E PARTITI POLITICI<br />
Se finora ci si è occupati di seguire l’evoluzione dei partiti politici esaminando i<br />
loro mutamenti sul piano strutturale, diversa appare LA PROSPETTIVA<br />
GENETICA, così come emerge dagli studi di ROKKAN.<br />
Nell’ambito di una analisi macrosociologica della formazione degli Stati-nazione e<br />
del processo di democratizzazione in Europa occidentale, questo autore ha<br />
individuato QUATTRO DIVERSE FRATTURE (cleavages) a cui può essere<br />
ricondotta l’origine dei diversi tipi di formazioni politiche.<br />
Le prime due fratture sono collegate al PROCESSO DI COSTRUZIONE<br />
DELLO STATO NAZIONALE. La prima è la frattura CENTRO/PERIFERIA, che<br />
vede la contrapposizione tra <strong>il</strong> centro politico, culturale ed economico di un paese<br />
e le periferie che vengono a poco a poco incorporate nel governo centrale. Il<br />
conflitto contro l’assim<strong>il</strong>azione delle periferie (simboleggiato dall’adozione di<br />
un’unica lingua ufficiale) è quello che da origine a partiti etnici, linguistici e di<br />
protesta religiosa. La seconda è la frattura STATO/CHIESA: qui <strong>il</strong> processo di<br />
integrazione dello Stato-nazione si scontrò con le richieste corporative della<br />
Chiesa, soprattutto in materia di controllo della morale e dell’istruzione. Ne<br />
derivò la nascita di partiti confessionali, in contrapposizione ai partiti liberali.
In seguito sarà invece la RIVOLUZIONE INDUSTRIALE a creare le premesse<br />
per altre due fratture: quella tra CITTÀ E CAMPAGNA, che contrapponeva i<br />
mercanti e gli imprenditori delle città e gli interessi agrari, e quella che generò un<br />
conflitto all’interno dello stesso settore industriale tra CAPITALISTI E CLASSE<br />
OPERAIA. La terza frattura vide spesso nascere specifici partiti a difesa degli<br />
interessi delle campagne e trovò espressione parlamentare nei conflitti tra partiti<br />
conservatori-agrari e partiti liberali-radicali. Alla quarta frattura, incentrata sullo<br />
scontro capitale-lavoro, si deve invece la nascita dei partiti socialisti e, più tardi,<br />
dei partiti comunisti.<br />
Se le prime tre fratture ebbero, sul piano della nascita dei partiti, riflessi non<br />
identici nei vari paesi europei, più sim<strong>il</strong>i furono gli effetti della quarta frattura,<br />
perché dovunque nacquero partiti a difesa degli interessi delle classi salariate.<br />
Si può dire che L’EVOLUZIONE DI QUESTO TIPO DI PARTITI FU NOTEVOLMENTE<br />
INFLUENZATA DALL’ATTEGGIAMENTO DELLE ÉLITE VERSO LE RIVENDICAZIONI<br />
OPERAIE, per cui la tendenza delle classi dirigenti a integrare le domande della<br />
classe operaia portò a partiti di sinistra più pragmatici e moderati (partiti laburisti<br />
e socialdemocratici), mentre un atteggiamento repressivo portò ad una sinistra<br />
più radicale (partiti comunisti) dall’altra). Il conflitto tra i partiti si espresse<br />
tipicamente lungo L’ASSE DESTRA-SINISTRA, in particolare per quanto riguardava <strong>il</strong><br />
tema dell’intervento dello Stato. LA DESTRA si batteva per un minor intervento
statale e una minore tassazione, LA SINISTRA per un intervento maggiore,<br />
soprattutto in materia di servizi sociali e di miglioramento delle condizioni di<br />
lavoro.<br />
CLEAVAGES (FRATTURE SOCIALI) E TIPI DI<br />
PARTITI [ROKKAN]<br />
CAUSE CLEAVAGES TIPI DI PARTITI<br />
Processo di<br />
costruzione<br />
dello stato<br />
nazionale<br />
Rivoluzione<br />
industriale<br />
Centro/periferia<br />
Stato/Chiesa<br />
Città/campagna<br />
Capitale/lavoro<br />
Etnici, linguistici, di<br />
protesta religiosa<br />
Liberali e religiosi<br />
Borghesi, agrari e<br />
conservatori<br />
Socialisti e socialdemocratici<br />
(più tardi<br />
anche comunisti)
I partiti che affondano le proprie radici nel processo di costruzione dello Stato<br />
nazionale e nella rivoluzione industriale (lungo le quattro fratture sopra<br />
elencate) si sono dimostrati particolarmente stab<strong>il</strong>i nel tempo, anche in relazione<br />
ai loro rapporti di forza. Almeno fino agli anni settanta molto alta era, infatti, la<br />
stab<strong>il</strong>ità elettorale dei diversi partiti e anche più tardi, se è vero che è aumentata<br />
la volat<strong>il</strong>ità elettorale, è anche vero che tale volat<strong>il</strong>ità appare alta all’interno della<br />
destra e della sinistra, mentre essa rimane contenuta per quanto riguarda <strong>il</strong><br />
passaggio di voti da destra a sinistra (o viceversa), almeno fino agli anni novanta.<br />
A tal proposito LIPSET e ROKKAN hanno formulato l’ipotesi del<br />
CONGELAMENTO DELLA STRUTTURA DEL CONFLITTO, nel senso che “i<br />
sistemi partitici degli anni sessanta riflettono, con poche ma significative eccezioni,<br />
le strutture delle fratture degli anni venti”. In sostanza, i partiti, nati da fratture<br />
sociali, hanno continuato a lungo ad agire sulla stessa struttura del conflitto,<br />
riproducendo le stesse fratture e offrendo loro simboli e rappresentanza.<br />
Secondo recenti ricerche, oggi si assisterebbe invece ad uno<br />
SCONGELAMENTO DEL CONFLITTO, in conseguenza di un CAMBIAMENTO<br />
DEL PESO RELATIVO DELLE DIVERSE “FAMIGLIE POLITICHE” e alla NASCITA DI<br />
NUOVI PARTITI. Si pensi al declino dei partiti religiosi e dei partiti comunisti, o al<br />
nascere di nuovi partiti su tematiche non più legate alle fratture tradizionali: è <strong>il</strong><br />
caso dei partiti ecologisti (i “verdi”), o di quelli legati a tematiche di politica
estera, o ai partiti euroscettici, contrari all’integrazione europea. Quel che in<br />
generale emerge negli ultimi anni è IL DECLINO DELL’IDENTIFICAZIONE PARTITICA,<br />
evidenziato dalla crescente volat<strong>il</strong>ità elettorale (stavolta anche fra destra e<br />
sinistra) e dal fenomeno della riduzione degli iscritti. Tutti fenomeni divenuti<br />
particolarmente visib<strong>il</strong>i negli anni novanta, in seguito al crollo dei vecchi regimi<br />
dell’Europa dell’est, da una parte, e all’ondata di scandali politici che ha investito<br />
l’Europa occidentale, dall’altra.<br />
Sugli EFFETTI DI QUESTO SCONGELAMENTO sono stati espressi GIUDIZI<br />
SIA NEGATIVI CHE POSITIVI. C’è infatti chi parla di perdita di fiducia dei partiti che<br />
porta verso derive populistiche incentivate dalla personalizzazione del voto a<br />
favore di determinati leader; altri, invece, lo vedono come l’effetto di una<br />
crescente maturità dell’elettorato, ormai sempre meno inquadrato dal punto di<br />
vista ideologico e capace pertanto di giudicare i partiti in base a ciò che<br />
effettivamente fanno o non fanno.
SISTEMI PARTITICI<br />
Oggetto di particolare attenzione per la Scienza politica è lo studio dei sistemi<br />
partitici, cioè del tipo di interazioni (cooperative e competitive) tra i partiti.<br />
Come è noto, in un’ottica sistemica “<strong>il</strong> tutto è superiore alle parti che lo<br />
compongono”: ogni sistema politico, quindi, possiede una sua logica di<br />
funzionamento che bisogna ricostruire.<br />
UNA CLASSIFICAZIONE CLASSICA DEI SISTEMI PARTITICI è quella<br />
adottata da DUVERGER, in base al CRITERIO NUMERICO. In tal senso si può<br />
distinguere tra sistemi monopartitici, che, non consentendo la competizione<br />
partitica, caratterizzano i regimi autoritari, sistemi bipartitici, collegati ad un<br />
sistema elettorale maggioritario a turno unico, e sistemi multipartitici, collegati<br />
ad un sistema elettorale proporzionale. Duverger sottolinea l’efficienza dei sistemi<br />
bipartitici (con alternanza di potere tra due partiti), dove l’elettorato elegge<br />
direttamente un governo stab<strong>il</strong>e e responsab<strong>il</strong>e, mentre l’opposizione appare<br />
moderata e anch’essa responsab<strong>il</strong>e in virtù della prospettiva di una futura<br />
alternanza al governo; <strong>il</strong> sistema multipartitico, invece, è generalmente<br />
caratterizzato da coalizioni eterogenee e instab<strong>il</strong>i, radicalismo ideologico e<br />
difficoltà per l’elettore di giudicare i partiti.
I SISTEMI DI PARTITO SECONDO DUVERGER<br />
• Monopartitici (regimi non democratici)<br />
• Bipartitici (Stati Uniti e Gran Bretagna)<br />
• Multipartitici (Italia, Francia, Australia,<br />
Austria, Canada, Belgio, Germania, Olanda,<br />
etc.)<br />
Come nota SARTORI, la classificazione di Duverger appare eccessivamente<br />
semplificatoria. Innanzitutto perché lo stesso criterio numerico va specificato,<br />
identificando i partiti che contano realmente. Questo lo si può fare se si procede<br />
ad un CONTEGGIO “INTELLIGENTE” DEI PARTITI, che mette in evidenza<br />
non tanto la dimensione del <strong>partito</strong>, quanto <strong>il</strong> suo “PESO STRATEGICO”,<br />
determinato dal suo potenziale di coalizione, cioè dal fatto che anche un <strong>partito</strong>
minore può essere determinante per formare una coalizione di governo, o dal suo<br />
potenziale di ricatto, che sussiste quando l’esistenza di un <strong>partito</strong> influisce sulle<br />
tattiche adottate dagli altri partiti. Sartori non si limita però soltanto a specificare<br />
come debba essere ut<strong>il</strong>izzato correttamente <strong>il</strong> criterio numerico, ma introduce<br />
anche un ulteriore criterio che misura la DISTANZA IDEOLOGICA FRA I<br />
PARTITI, cioè la collocazione degli elettori lungo l’asse destra-sinistra.<br />
CRITERI CLASSIFICATORI DI SARTORI<br />
• Numero di partiti: conteggio “intelligente”, che<br />
include:<br />
- Potenziale di coalizione<br />
- Potenziale di ricatto<br />
• Livello di polarizzazione ideologica:<br />
- distanza fra i partiti lungo l’asse destra-sinistra
Incrociando questi due criteri, Sartori costruisce così una TIPOLOGIA DEI<br />
SISTEMI PARTITICI che non si limita a prendere in considerazione <strong>il</strong> FORMATO<br />
dei sistemi di <strong>partito</strong> (attraverso <strong>il</strong> criterio numerico), ma ne individua anche la<br />
MECCANICA (cioè la logica di funzionamento). Si potranno allora individuare:<br />
SISTEMI MONOPARTITICI<br />
‣ All’interno di questa categoria si possono distinguere DUE TIPI DI SISTEMI NON<br />
COMPETITIVI: i SISTEMI A PARTITO SINGOLO, dove esiste un solo <strong>partito</strong><br />
legalmente riconosciuto ed è quindi impedita, de iure o de facto, ogni<br />
manifestazione di pluralismo politico; i SISTEMI EGEMONICI, dove esistono<br />
formalmente altri partiti, ma in realtà si tratta di partiti satellite, che non sono<br />
messi in condizione di competere con <strong>il</strong> <strong>partito</strong> egemone. Nella Polonia pre-1989,<br />
ad esempio, esistevano altri partiti oltre al <strong>partito</strong> comunista (in particolare partiti<br />
contadini o di ispirazione cattolica) i cui rappresentanti occupavano anche alcuni<br />
posti governativi e amministrativi a vari livelli, senza però intaccare <strong>il</strong> predominio<br />
del <strong>partito</strong> egemone, che rimaneva comunque al potere, a prescindere dagli esisti<br />
soddisfacenti o meno delle sue politiche (era quindi politicamente irresponsab<strong>il</strong>e).<br />
‣ UN SISTEMA COMPETITIVO deve invece essere considerato <strong>il</strong> SISTEMA A<br />
PARTITO PREDOMINANTE: si tratta infatti di un sistema partitico in cui
esiste pluralismo politico, anche se di fatto non si verificano avvicendamenti al<br />
governo. Il fatto che <strong>il</strong> medesimo <strong>partito</strong> rimane al governo da solo, elezione dopo<br />
elezione, per un lungo periodo di tempo non è dovuto in alcun modo ad<br />
impedimenti costituzionali o a brogli elettorali, per cui in ogni momento un<br />
sistema a <strong>partito</strong> predominante può cessare di esserlo.<br />
SISTEMI BIPARTITICI<br />
Sono tali quei sistemi in cui sul piano numerico possono esistere anche terzi<br />
partiti, che non hanno però alcun potenziale di coalizione (o di ricatto). Esistono<br />
TRE CONDIZIONI PERCHÉ SI REALIZZI UNA MECCANICA BIPARTITICA:<br />
1. i due partiti sono in grado di competere per la maggioranza assoluta dei<br />
seggi;<br />
2. uno dei due è in grado di governare da solo;<br />
3. esiste una possib<strong>il</strong>ità concreta (credib<strong>il</strong>e), anche se magari non si realizza per<br />
periodi abbastanza lunghi, di alternanza fra i due partiti.<br />
Questo tipo di sistemi sono caratterizzati da una MECCANICA CENTRIPETA: i due<br />
partiti competono infatti per conquistare gli elettori del centro, che sono i più<br />
“fluttuanti” e appaiono determinanti per vincere le elezioni.
SISTEMI MULTIPARTITICI<br />
I due criteri di classificazione ut<strong>il</strong>izzati da Sartori consentono, all’interno di questa<br />
categoria (che restava indistinta per Duverger) di individuare diverse meccaniche<br />
di funzionamento.<br />
‣ Il primo caso è quello del MULTIPARTITISMO MODERATO, caratterizzato da un<br />
numero di partiti “che contano” non superiore a cinque e da un bassa<br />
polarizzazione ideologica, con governi di coalizione (da cui nessun <strong>partito</strong> appare<br />
escluso a priori). LA MECCANICA DI FUNZIONAMENTO È DI TIPO BIPOLARE E<br />
CENTRIPETA, con due coalizioni di governo che competono tra di loro per<br />
conquistare l’elettorato fluttuante del centro.<br />
‣ Il secondo caso è quello del PLURALISMO POLARIZZATO, con un numero di<br />
partiti superiore a cinque e due poli, lungo l’asse destra-sinistra, caratterizzati da<br />
posizioni ideologicamente estreme. LA LOGICA DI FUNZIONAMENTO È DI TIPO<br />
CENTRIFUGO (nel senso che se i partiti di destra e sinistra si spostassero al centro,<br />
rischierebbero di perdere elettori alle ali estreme senza guadagnare <strong>il</strong> sostegno<br />
dei moderati). Più dettagliatamente, si verificheranno le seguenti caratteristiche:<br />
• Presenza di partiti antisistema, cioè di partiti che cambierebbero, se<br />
potessero, non <strong>il</strong> governo ma lo stesso sistema di governo.<br />
• Presenza di due opposizioni b<strong>il</strong>aterali, reciprocamente esclusive (non<br />
possono allearsi fra di loro).
Il centro è stab<strong>il</strong>mente occupato da un <strong>partito</strong> che costituisce l’asse del<br />
sistema e si realizza un sistema politico bloccato, caratterizzato dalla non<br />
associab<strong>il</strong>ità al governo dei ali estreme dello schieramento politico, e da una<br />
rotazione semi-periferica delle coalizioni di governo (governi di centrosinistra<br />
o di centro-destra).<br />
• Sostanziale irresponsab<strong>il</strong>ità politica sia delle opposizioni che del <strong>partito</strong> di<br />
centro al governo. Infatti, le opposizioni estreme, non potendo mai andare al<br />
governo, sanno che non saranno mai chiamate a mettere in pratica i loro<br />
programmi; <strong>il</strong> <strong>partito</strong> di centro, non potendo essere escluso dal governo, non<br />
si preoccuperà troppo delle preferenze degli elettori nell’esercizio della sua<br />
attività di governo. La competizione politica sarà quindi caratterizzata dalla<br />
tendenza a fare promesse che si sa di non poter mantenere.<br />
‣ Il terzo caso è quello del MULTIPOLARISMO ATOMIZZATO (O<br />
SEGMENTATO), caratterizzato anch’esso da un numero alto di partiti, ma con<br />
bassa polarizzazione ideologica. Emerge in questo caso <strong>il</strong> carattere non<br />
stab<strong>il</strong>izzato del sistema partitico che resta allo stato fluido, in quanto nessun<br />
<strong>partito</strong> è in grado di conquistare percentuali consistenti di voti e nessun <strong>partito</strong><br />
mostra di poter durare e crescere nel tempo.
TIPOLOGIA DEI SISTEMI PARTITICI SECONDO SARTORI<br />
SISTEMI NON<br />
COMPETITIVI<br />
CRITERIO<br />
NUMERICO<br />
Monopartitici<br />
Egemonici<br />
LOGICA DI<br />
FUNZIONAMENTO<br />
Totalitaria<br />
Pragmatica o egemonica<br />
SISTEMI<br />
COMPETITIVI<br />
A <strong>partito</strong><br />
predominante<br />
Bipartitici<br />
Multipartitici limitati<br />
Multipartitici<br />
estremi<br />
Atomizzati (o<br />
segmentati)<br />
Non alternanza di fatto<br />
Alternanza<br />
Pluralismo moderato<br />
Pluralismo polarizzato<br />
Sistema fluido, non<br />
stab<strong>il</strong>izzato
FRAMMENTAZIONE PARTITICA<br />
ALTA BASSA<br />
MODALITA’ DI FUNZIOMENTO DEI SISTEMI PARTITICI<br />
(SARTORI)<br />
DISTANZA IDEOLOGICA<br />
PICCOLA<br />
GRANDE<br />
COMPETIZIONE<br />
CENTRIPETA<br />
Bipartitismo<br />
Multipartitismo<br />
moderato<br />
COMPETIZIONE<br />
CENTRIFUGA<br />
Multipartitismo<br />
segmentato<br />
Multipartitismo<br />
polarizzato
Se Sartori, quando parla di pluralismo polarizzato, si riferisce soprattutto al<br />
SISTEMA POLITICO ITALIANO DELLA PRIMA REPUBBLICA, molti hanno<br />
obiettato che NELLA REALTÀ IL PCI NON POTEVA ESSERE DEFINITO UN PARTITO<br />
ANTISISTEMA, né dal punto di vista ideologico, visto che tale <strong>partito</strong> non<br />
contestava <strong>il</strong> sistema repubblicano che aveva contribuito a costruire nella fase<br />
costituente, né dal punto di vista pratico, visto che a diversi livelli non governativi<br />
(nella politica parlamentare o nella politica locale) questo <strong>partito</strong> tendeva a<br />
sv<strong>il</strong>uppare degli accordi di tipo “consociativo”.<br />
A questo proposito UN’INTERPRETAZIONE ALTERNATIVA DEL CASO<br />
ITALIANO è quella di FARNETI, che vedeva la politica italiana, a partire dagli anni<br />
sessanta, caratterizzata da un sostanziale PLURALISMO CENTRIPETO: <strong>il</strong><br />
centro infatti andava sempre rafforzandosi grazie alle continue scissioni di partiti<br />
alla sua destra e alla sua sinistra, poi assorbiti nelle coalizioni di governo. In<br />
questo senso, anche le significative mutazioni, a partire dagli anni novanta, dei<br />
due ex partiti estremi (PCI e MSI) possono essere lette come <strong>il</strong> compimento di un<br />
processo di avvicinamento al centro delle ali estreme dello schieramento partitico.<br />
Del resto AI NOSTRI GIORNI, a prescindere dal caso italiano, i partiti<br />
antisistema sono praticamente scomparsi, o hanno moderato i loro programmi,<br />
per cui la categoria del pluralismo polarizzato appare ormai svuotata di casi<br />
empirici, che affollano invece la categoria del pluralismo moderato.
2.3 ELEZIONI E PROCESSO ELETTORALE
LE ELEZIONI COME SISTEMA DI INVESTITURA<br />
Le elezioni sono un meccanismo di selezione dei componenti di organi<br />
monocratici o collegiali, in particolare di chi deve occupare posizioni di<br />
rappresentanza e di governo ai diversi livelli di un sistema politico. Storicamente<br />
si tratta di uno dei possib<strong>il</strong>i metodi, all’interno di una variegata famiglia di SISTEMI<br />
DI INVESTITURA che possono essere così suddivisi:<br />
RUOLO DOMINANTE<br />
DI CHI OTTERRA’ LA<br />
CARICA<br />
ACQUISTO VENALE<br />
ACQUISTO CON LA FORZA<br />
(Conquista)<br />
SISTEMI DI<br />
INVESTITURA<br />
DECISIONE AFFIDATA<br />
AD UN AGENTE<br />
IMPERSONALE<br />
SCELTA OPERATA DA<br />
SOGGETTI DIVERSI<br />
DA COLORO CHE<br />
SONO DESIGNATI<br />
SORTEGGIO<br />
TRASMISSIONE EREDITARIA<br />
NOMINA<br />
COOPTAZIONE<br />
SELEZIONE MERITOCRATICA<br />
ELEZIONE
Si noti, in particolare, che se la COOPTAZIONE è la scelta operata da qualcuno che<br />
fa già parte dell’organismo al quale apparterrà <strong>il</strong> selezionato (per cui spesso,<br />
anche quando sono previsti dei criteri meritocratici come la selezione per<br />
concorso, essi rimangono “di facciata”, vengono cioè posti in secondo piano<br />
rispetto ai criteri di “appartenenza”), CIÒ CHE DISTINGUE L’ELEZIONE DALLA<br />
NOMINA è la differente ampiezza dell’organo che opera la scelta, per cui si<br />
parlerà di nomina del presidente del Consiglio da parte del Presidente della<br />
Repubblica, o di nomina del Consiglio di amministrazione della RAI da parte dei<br />
presidenti di Camera e Senato, ma di elezione del Presidente della Repubblica da<br />
parte dei due rami del Parlamento a Camere riunite (integrato dai rappresentanti<br />
delle Regioni) o, a maggior ragione, di elezione delle Assemblee parlamentari o di<br />
un Capo dello Stato scelto direttamente dai cittadini.<br />
Proprio per la complessità determinata dal coinvolgimento di un numeroso corpo<br />
elettorale, per le elezioni sono previste in modo particolare norme dettagliate che<br />
regolano l’intero processo.<br />
LA DISTINZIONE TRA I DIVERSI METODI DI INVESTITURA, ALL’APPARENZA COSÌ<br />
NETTA, NON LO È POI IN MOLTI CASI ALLO STATO PRATICO. Si è già detto quale sia<br />
la differenza tra elezione e nomina, che pure hanno diversi tratti in comune, ma, in<br />
certi casi, si possono trovare degli elementi in comune anche fra l’elezione ed altre<br />
forme di investitura, apparentemente molto differenti:
ELEZIONE E<br />
COOPTAZIONE<br />
ELEZIONE E<br />
TRASMISSIONE<br />
EREDITARIA<br />
ELEZIONE E<br />
ACQUISTO<br />
VENALE<br />
ELEZIONE E<br />
USO DELLA<br />
FORZA<br />
I nuovi candidati sono spesso selezionati e presentati<br />
all’elettorato dal ceto politico già in carica. Quando<br />
l’elettorato è poco mob<strong>il</strong>e, l’elezione finisce così per sancire<br />
un processo di scelta già avvenuto. Il meccanismo<br />
cooptatorio appare poi più che evidente quando, come oggi<br />
in Italia, le liste sono “bloccate”.<br />
In alcuni casi i voti possono essere “ereditati” di fatto per<br />
via fam<strong>il</strong>iare, con figli e parenti che subentrano nel collegio<br />
elettorale dei congiunti. (E’ stato <strong>il</strong> caso di certe “dinastie”,<br />
come i Kennedy o i Bush negli Stati Uniti).<br />
Casi in cui i voti per ottenere una determinata carica elettiva<br />
vengono materialmente “acquistati” con elargizioni di<br />
denaro o altri benefici materiali agli elettori.<br />
Quando nel gioco elettorale prevalgono forme di<br />
intimidazione sino a determinare <strong>il</strong> risultato elettorale (ma<br />
qui siamo al di fuori del contesto democratico).
Oltre a rappresentare un fondamentale strumento per la selezione dei titolari di<br />
cariche pubbliche, NEI SISTEMI DEMOCRATICI LE ELEZIONI ASSOLVONO AD ALTRI<br />
IMPORTANTI COMPITI:<br />
COMPITI<br />
DIRETTI<br />
FUNZIONE DI<br />
RAPPRESENTANZA<br />
FUNZIONE DI<br />
CONTROLLO<br />
Le elezioni consentono la regolare e<br />
pacifica successione nelle cariche<br />
pubbliche attraverso un meccanismo di<br />
delega per <strong>il</strong> quale gli eletti diventano i<br />
rappresentanti degli elettori.<br />
La regolare reiterazione delle elezioni<br />
consente un controllo degli elettori sugli<br />
eletti attraverso la possib<strong>il</strong>ità di<br />
rieleggerli o meno.<br />
COMPITO<br />
INDIRETTO<br />
FUNZIONE DI<br />
LEGITTIMAZIONE<br />
Le elezioni, generando <strong>il</strong> consenso<br />
verso <strong>il</strong> regime democratico, svolgono<br />
indirettamente un’importante funzione<br />
di ritualizzazione e addomesticamento<br />
del conflitto politico (“contare le teste,<br />
invece di tagliarle”).
LE FASI DEL PROCESSO ELETTORALE DEMOCRATICO<br />
Nelle democrazie contemporanee una gran quantità di cariche pubbliche può<br />
essere assegnata attraverso lo strumento elettorale, ma certamente <strong>il</strong> ruolo<br />
centrale lo svolgono le elezioni dei parlamenti nazionali (le cosiddette “elezioni<br />
politiche”, così chiamate per distinguerle dalle elezioni a livello locale che hanno<br />
un significato più direttamente amministrativo). Occorre innanzitutto ribadire LE<br />
TRE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DELLE ELEZIONI DEMOCRATICHE, per<br />
distinguerle dalle elezioni che si svolgono in regimi non democratici:<br />
1 COMPETIZIONE<br />
2 LIBERTA’<br />
3 RILEVANZA<br />
Carattere plurale dell’offerta politica. NEI REGIMI NON<br />
DEMOCRATICI, invece, la competizione è annullata<br />
oppure depotenziata.<br />
Al riparo da minacce e con garanzia di un sufficiente<br />
grado di informazione degli elettori. NEI REGIMI NON<br />
DEMOCRATICI, invece, intimidazioni (psicologiche e<br />
fisiche) e non segretezza del voto.<br />
Peso significativo sui processi politici del paese<br />
(processo legislativo e formazione dei governi). NEI<br />
REGIMI NON DEMOCRATICI, invece, depotenziamento<br />
delle istituzioni elette (come i Soviet nell’ex URSS).
Le elezioni sono UN PROCESSO COMPLESSO che ingloba diversi aspetti ed appare<br />
altamente regolamentato da norme atte a regolarizzarne lo svolgimento e<br />
salvaguardarne le funzioni fondamentali per un sistema politico democratico. Tali<br />
norme possono essere a volte di rango costituzionale (e quindi più diffic<strong>il</strong>i da<br />
cambiare), ma più spesso sono frutto della legislazione ordinaria o hanno<br />
carattere inferiore di tipo regolamentare.<br />
Se le funzioni delle elezioni sono le stesse (nei sistemi democratici), le realtà sociali<br />
e politiche in cui si svolgono cambiano da paese a paese ed anche nello stesso<br />
paese nel corso del tempo. Di conseguenza, gli aspetti della regolamentazione<br />
elettorale sono spesso differenti tra un paese e l’altro ed inoltre, tanto meno esse<br />
sono regolamentate da norme costituzionali (che, per loro natura, rendono<br />
inevitab<strong>il</strong>mente troppo rigide le regole elettorali), tanto più frequentemente<br />
vengono introdotte varianti nella loro regolamentazione secondo determinate<br />
contingenze politiche.<br />
LE NORME IN MATERIA ELETTORALE REGOLAMENTANO TUTTI I MOLTEPLICI<br />
ASPETTI DEL PROCESSO ELETTORALE, dalla frequenza con cui si svolgono alle<br />
modalità della loro convocazione, dal modo in cui sono disciplinati l’elettorato<br />
attivo e quello passivo (modalità di scelta delle candidature), alle modalità di<br />
svolgimento della campagna elettorale, al modo in cui viene tutelata la regolarità<br />
delle operazioni di voto, fino al “cuore” del procedimento elettorale, cioè ai diversi<br />
sistemi elettorali adottati e, di conseguenza, ai differenti modi che ne derivano di
traduzione dei voti in seggi.<br />
Vediamo adesso di riassumere in uno schema<br />
sintetico LE DIVERSE FASI DEL PROCESSO ELETTORALE:<br />
TEMPI E<br />
CONVOCAZIONE<br />
DELLE ELEZIONI<br />
ELETTORATO<br />
ATTIVO<br />
• RICORRENTI: spaziano da due a sette anni, a seconda<br />
del paese e del tipo di carica. Effetti per gli elettori:<br />
giudizio retrospettivo sugli eletti; per gli eletti: premessa<br />
della responsivness.<br />
• CONVOCAZIONE: atto formale, discrezionalità limitata.<br />
• POSSIBILI ANTICIPAZIONI: fa differenza se <strong>il</strong> potere di<br />
scioglimento del parlamento spetti al governo o al capo<br />
dello Stato.<br />
• Storicamente, dalla iniziale esclusione di buona parte<br />
della popolazione dal diritto di voto si è passati alla<br />
ESTENSIONE DEL SUFFRAGIO, con l’eliminazione<br />
progressiva dei criteri di esclusione per censo, istruzione,<br />
sesso o appartenenza razziale.<br />
• Tra i FATTORI CHE SPINSERO ALL’ALLARGAMENTO DEL<br />
SUFFRAGIO, oltre alla forza espansiva del principio di<br />
eguaglianza, giocò un ruolo importante anche la<br />
competizione fra le élite politiche.
ELETTORATO<br />
PASSIVO<br />
CAMPAGNA<br />
ELETTORALE<br />
L’aspetto principale riguarda le MODALITÀ DI PRESENTAZIONE<br />
DELLE CANDIDATURE, funzione oggi svolta prevalentemente<br />
da organi di <strong>partito</strong>, locali o nazionali. Nel caso di adozione di<br />
elezioni primarie, la scelta viene trasferita agli stessi elettori<br />
(e può essere riservata ai solo iscritti oppure estesa a tutti gli<br />
elettori).<br />
• LA DURATA DELLA CAMPAGNA è regolamentata sul piano<br />
formale, anche se una campagna informale può iniziare<br />
molto prima, con l’apertura del ciclo politico-elettorale di<br />
cui parlano gli autori della Public choice.<br />
• Per quanto riguarda LE MODALITA’ DI SVOLGIMENTO, le<br />
forme tradizionali di contatto con gli elettori (comizi,<br />
riunioni, contatti porta a porta) sono oggi in declino, in<br />
seguito alle minori capacità di mob<strong>il</strong>itazione dei partiti e<br />
allo sv<strong>il</strong>uppo della televisione, che ha accentuato <strong>il</strong><br />
carattere centralizzato e mediatico delle campagne<br />
elettorali. (I social network su internet non sono ancora<br />
molto ut<strong>il</strong>izzati, almeno in Italia, ma potrebbero<br />
rappresentare uno strumento che ripristina un contatto<br />
diretto con l’elettore, sia pure sul piano virtuale).
STRUTTURAZIONE<br />
DELLA SCELTA<br />
ELETTORALE<br />
Scheda elettorale<br />
categorica<br />
Scheda elettorale ordinale<br />
SISTEMI<br />
ELETTORALI<br />
CARATTERISTICHE DEL<br />
COLLEGIO ELETTORALE<br />
(Rapporto fra elettori,<br />
eletti e territorio)<br />
SOGLIE DI<br />
RAPPRESENTANZA<br />
Circoscrizione uninominale<br />
o plurinominale<br />
Conformazione geografica<br />
del collegio<br />
Implicite<br />
Esplicite<br />
FORMULA ELETTORALE<br />
(Per la traduzione dei<br />
voti in seggi)<br />
Maggioritaria<br />
Proporzionale<br />
Mista
I SISTEMI ELETTORALI<br />
Per quanto riguarda la STRUTTURAZIONE DELLA SCELTA ELETTORALE,<br />
essa dipende dal tipo di scheda elettorale che viene sottoposta all’elettore (che<br />
può essere di tipo categorico, oppure di tipo ordinale) e dal destinatario del voto<br />
(che può essere un candidato individuale o invece una lista di <strong>partito</strong>).<br />
Il VOTO CATEGORICO obbliga ad esprimere una preferenza secca, nel VOTO<br />
ORDINALE l’elettore ha invece la possib<strong>il</strong>ità di esprimere un ordine di preferenza<br />
tra i candidati, cosa che, in certi casi (come nel voto singolo trasferib<strong>il</strong>e) può anche<br />
essere trasversale ai partiti.<br />
Nei primi sistemi elettorali <strong>il</strong> voto veniva dato AL CANDIDATO, senza che sulla<br />
scheda comparisse <strong>il</strong> simbolo di un <strong>partito</strong>. Oggi <strong>il</strong> simbolo del <strong>partito</strong> può anche<br />
essere assente nei sistemi maggioritari, ma non lo è certamente nei sistemi<br />
proporzionali, dove è in virtù del voto dato AD UNA LISTA DI PARTITO che i<br />
candidati vengono eletti. La lista presentata dai partiti può essere “bloccata” (per<br />
cui, in base ai seggi conquistati dal <strong>partito</strong>, vengono eletti i candidati ai primi posti<br />
della lista) oppure può consentire di esprimere delle preferenze (in questo caso,<br />
oltre alla competizione tra i partiti, si sv<strong>il</strong>uppa una competizione tra i candidati<br />
dello stesso <strong>partito</strong> per la conquista delle preferenze).<br />
Per quanto riguarda LE CARATTERISTICHE DEL COLLEGIO<br />
ELETTORALE, diversi possono essere i modi di regolare i rapporti tra elettori,
eletti e territorio.<br />
Innanzitutto un elemento r<strong>il</strong>evante riguarda IL MODO DI DISEGNARE I COLLEGI,<br />
che può avere sia effetti “partigiani” (è <strong>il</strong> caso del cosiddetto “Gerrymandering”)<br />
che “virtuosi” (quando <strong>il</strong> modo di disegnare un collegio consente ad una<br />
determinata minoranza di essere rappresentata). In ogni caso i collegi devono<br />
periodicamente essere ridisegnati per mantenere costante <strong>il</strong> rapporto numerico<br />
tra eletti e popolazione del collegio. Quest’opera di redistricting appare<br />
politicamente r<strong>il</strong>evante: per questo si tende ad affidarla ad autorità non partigiane<br />
e a sottoporla a regole particolari.<br />
La discriminante più importante è costituita dall’AMPIEZZA DELLE<br />
CIRCOSCRIZIONI (misurata in termini di numero di seggi assegnati all’interno di<br />
ciascuna di essa). A parte l’esistenza in alcuni piccoli paesi di un’unica<br />
circoscrizione nazionale, le circoscrizione sono più di una e variano in dimensione<br />
dai collegi uninominali<br />
(in cui viene eletto un solo candidato) a collegi<br />
plurinominali più o meno ampi (in cui <strong>il</strong> numero degli eletti varia, a partire da un<br />
minimo di due).<br />
L’AMPIEZZA DEI COLLEGI ELETTORALI costituisce un’implicita soglia di<br />
rappresentanza, perchè ha importanti conseguenze sul rapporto voti/seggi, nel<br />
senso che più piccolo è <strong>il</strong> collegio, più alta sarà la soglia di rappresentanza (e<br />
quindi minore risulterà la proporzionalità). Otre alla dimensione del collegio,<br />
un’altra soglia di rappresentanza di tipo implicito è costituita dal NUMERO DEI
SOGGETTI DA ELEGGERE: infatti, più alto sarà questo numero, minore la<br />
soglia di voti da raggiungere per ottenere un seggio. Ovviamente questo aspetto<br />
è direttamente collegato all’organo da eleggere: in un parlamento di 600 o più<br />
seggi possono teoricamente essere rappresentati anche partiti con cifre elettorali<br />
ben inferiori a quelle necessarie per un consigli regionale di 50 membri. Questo<br />
naturalmente se, oltre alle soglie implicite, non siano presenti anche delle<br />
SOGLIE ESPLICITE DI RAPPRESENTANZA, per cui solo i partiti che superano<br />
queste soglie sono ammessi al riparto dei seggi. L’entità di queste soglie, là dove<br />
sono previste, varia da paese a paese; inoltre esse possono essere calcolate a<br />
livello circoscrizionale, al livello regionale o a livello nazionale (in Germania e in<br />
Italia la soglia è calcolata a livello nazionale ed è rispettivamente del 5% e del 4%;<br />
in Spagna esiste una soglia del 3% a livello circoscrizionale).<br />
Per quanto riguarda LE FORMULE ELETTORALI adottate per trasformare i<br />
voti in seggi, si possono distinguere sistemi elettorali maggioritari, proporzionali<br />
e misti: all’interno di queste tre categorie emergono poi delle differenze<br />
significative, che passiamo ad analizzare più dettagliatamente.
SISTEMI ELETTORALI MAGGIORITARI<br />
1<br />
2<br />
A<br />
MAGGIORANZA<br />
ASSOLUTA<br />
A<br />
MAGGIORANZA<br />
RELATIVA<br />
E’ <strong>il</strong> caso dei VOTO ALTERNATIVO adottato in<br />
Australia. Si tratta di un sistema che, all’interno di<br />
collegi uninominali, adotta una scheda ordinale,<br />
che consente all’elettore di attribuire un ordine di<br />
preferenza ai candidati. Se nessun candidato<br />
viene eletto con la maggioranza assoluta, si<br />
redistribuiscono le seconde preferenze dei<br />
candidati con <strong>il</strong> minor numero di preferenze, che<br />
vengono progressivamente eliminati. Alla fine si<br />
giunge ad identificare <strong>il</strong> candidato vincente (che<br />
avrà la maggioranza assoluta).<br />
E’ <strong>il</strong> caso del PLURALITY SYSTEM inglese, dove, in<br />
collegi uninominali, viene eletto <strong>il</strong> candidato che<br />
ha ottenuto <strong>il</strong> maggior numero di voti, cioè la<br />
maggiore minoranza. Se si presentano più di due<br />
candidati, gli elettori esclusi dalla rappresentanza<br />
(nel collegio) possono così anche essere la<br />
maggioranza.
3<br />
A DOPPIO<br />
TURNO<br />
E’ <strong>il</strong> caso del MAJORITY SYSTEM adottato in Francia.<br />
Il collegio è uninominale (*) e vince <strong>il</strong> che ottiene la<br />
maggioranza assoluta al primo turno. Se ciò non<br />
avviene, a distanza di due settimane si svolge un<br />
secondo turno che può essere aperto (in questo<br />
caso è previsto un quorum di partecipazione di<br />
almeno un quarto degli elettori, ed una soglia di voti<br />
da raggiungere al primo turno per i candidati che si<br />
confronteranno al secondo turno), oppure chiuso<br />
(con ballottaggio tra i due candidati che hanno avuto<br />
più voti al primo turno).<br />
(*) Nel caso di collegio plurinominale, <strong>il</strong> sistema è<br />
proporzionale, ma fortemente disrappresentativo.<br />
Infatti <strong>il</strong> collegio è piccolo, i candidati sono pochi e <strong>il</strong><br />
meccanismo del secondo turno li seleziona<br />
ulteriormente.
SISTEMI ELETTORALI PROPORZIONALI<br />
1<br />
2<br />
VOTO<br />
SINGOLO<br />
TRASFERIBILE<br />
METODO DEL<br />
QUOZIENTE<br />
Adottato in Irlanda, in Australia (al Senato) e a Malta è <strong>il</strong><br />
sistema più proporzionale. All’interno dei collegi<br />
plurinominali, permette l’indicazione di un ordine di<br />
preferenza dei candidati, senza riferimento ai simboli<br />
di <strong>partito</strong> e una redistribuzione progressiva delle<br />
seconde preferenze dei candidati eliminati, fino alla<br />
completa assegnazione dei seggi.<br />
E’ la FORMULA DI HARE, che stab<strong>il</strong>isce un quoziente<br />
da raggiungere per ottenere un seggio, dato dal<br />
numero dei voti totali espressi in un collegio diviso <strong>il</strong><br />
numero dei seggi da assegnare (V/S), e prevede<br />
l’ut<strong>il</strong>izzazione dei resti più alti per distribuire i seggi<br />
che restano dopo l’assegnazione dei seggi a quoziente<br />
intero.<br />
In certi casi i resti, invece che essere ut<strong>il</strong>izzati<br />
all’interno del collegio, vengono convogliati, insieme a<br />
quelli degli altri collegi, in un unico collegio nazionale<br />
dei resti.
3<br />
METODO DEL<br />
DIVISORE<br />
Sono le diverse FORMULE DELLE MEDIE PIÙ ALTE, in<br />
cui <strong>il</strong> numero dei votanti è diviso per dei numeri<br />
progressivi, con dei risultati (secondo la formula<br />
adottata) più o meno proporzionali. Sono la formula<br />
D’Hondt (V/1;2;3), la formula Sainte-Lague (V/1; 3;<br />
5) o la formula Sainte-Lague modificata (V/1,4; 3; 5).<br />
4<br />
SISTEMI<br />
PROPORZIONALI<br />
CON PREMIO DI<br />
MAGGIORANZA<br />
Qui fa grande differenza se IL PREMIO RAFFORZA<br />
LA MAGGIORANZA (come nel caso della<br />
cosiddetta “legge truffa” approvata in Italia nel<br />
1953), OPPURE LA CREA ARTIFICIALMENTE (come<br />
nel caso dell’attuale legge elettorale nel nostro<br />
paese).
SISTEMI ELETTORALI MISTI<br />
Sono sistemi che accoppiano (in misure diverse) una rappresentanza<br />
maggioritaria ed una proporzionale. Alcuni, come la PROPORZIONALE<br />
PERSONALIZZATA in Germania, sono maggioritari solo in entrata, ma non<br />
in uscita, nel senso che i seggi sono per metà su base maggioritaria e per<br />
metà su base proporzionale, ma la cifra elettorale del <strong>partito</strong> viene<br />
individuata sulla base del voto proporzionale (e a questo si aggiunge una<br />
clausola di sbarramento del 5%). Pur essendo la distribuzione finale dei<br />
seggi determinata dal voto proporzionale, resta <strong>il</strong> fatto che una parte dei<br />
deputati mantiene un rapporto priv<strong>il</strong>egiato con <strong>il</strong> collegio in cui è eletto<br />
con <strong>il</strong> sistema maggioritario).<br />
Nel caso del SISTEMA ELETTORALE ITALIANO DEL 1993, invece, <strong>il</strong> sistema<br />
prevedeva che tre quarti dei seggi venissero assegnati in collegi<br />
uninominali con un sistema maggioritario ad un turno, mentre i seggi<br />
restanti era assegnato con <strong>il</strong> sistema proporzionale.
EFFETTI DEI SISTEMI ELETTORALI<br />
IL TEMA DEGLI EFFETTI PRODOTTI DAI SISTEMI ELETTORALI risulta di particolare<br />
interesse, perché collegato alla possib<strong>il</strong>ità di progettare dei mutamenti del<br />
sistema elettorale come strumento di “ingegneria politica”, atto cioè a produrre<br />
determinate conseguenze sul funzionamento del sistema politico (ad esempio,<br />
renderlo più “governab<strong>il</strong>e” attraverso la riduzione del numero dei partiti presenti<br />
in parlamento). In realtà le relazioni che si possono ipotizzare sono di tipo<br />
probab<strong>il</strong>istico: non esiste cioè un legame deterministico fra una variazione del<br />
sistema elettorale e gli effetti prodotti, visto l’alto numero di variab<strong>il</strong>i<br />
intervenienti che può condizionare la relazione stessa. E’ quanto successe in Italia<br />
dopo l’introduzione della nuova legge elettorale del 1993 (<strong>il</strong> cosiddetto<br />
“Mattarellum”) che riduceva l’ambito di applicazione del sistema proporzionale ad<br />
un quarto dei seggi parlamentari (introducendo inoltre alla Camera una soglia del<br />
4%): molti si aspettavano, vista la drastica riduzione della proporzionalità del<br />
sistema elettorale, un’altrettanto drastica riduzione della frammentazione<br />
partitica, con l’esclusione dalla rappresentanza di molti piccoli partiti. Ciò invece<br />
non avvenne, per l’influenza di una variab<strong>il</strong>e esterna al sistema elettorale: <strong>il</strong><br />
collasso della Democrazia cristiana dopo Tangentopoli aveva infatti determinato la<br />
nascita dalle sue ceneri di diversi piccoli partiti centristi che fecero valere la<br />
propria capacità di imporre diversi loro candidati ai partiti maggiori (che, nella
maggior parte dei casi, non erano in grado di imporsi da soli nel 75% di seggi<br />
uninominali). In conclusione, <strong>il</strong> numero dei partiti in grado di ottenere seggi in<br />
parlamento crebbe, invece di diminuire.<br />
GLI EFFETTI DEI SISTEMI ELETTORALI POSSONO RIPERCUOTERSI A DIVERSI LIVELLI.<br />
Innanzitutto sul sistema partitico (possib<strong>il</strong>e aumento o diminuzione del numero<br />
dei partiti, vantaggio per i partiti maggiori o tutela dei partiti minori, incremento<br />
delle spinte centrifughe o di quelle centripete all’interno del sistema partitico,<br />
coalizioni più stab<strong>il</strong>i o più instab<strong>il</strong>i), ma anche sui candidati e sugli eletti, sullo st<strong>il</strong>e<br />
delle campagne elettorali o sul modo stesso di votare degli elettori.<br />
Ciò premesso, si possono analizzare gli effetti dei sistemi elettorali a partire dalle<br />
distinzioni fra effetti diretti e indiretti, da un lato, ed effetti locali e nazionali<br />
dall’altro. Mentre gli EFFETTI DIRETTI si manifestano dopo <strong>il</strong> voto ed hanno<br />
carattere meccanico (riguardando l’influenza della presenza di un determinato<br />
sistema elettorale sulla distribuzione dei seggi), gli EFFETTI INDIRETTI agiscono<br />
invece prima del voto e sono prevalentemente di tipo psicologico (riguardando<br />
l’influenza del sistema elettorale sui comportamenti di elettori, candidati e partiti).<br />
La seconda distinzione riguarda invece la differenza fra EFFETTI LOCALI, che si<br />
manifestano cioè a livello delle singole circoscrizioni, ed EFFETTI NAZIONALI, che<br />
riguardano invece l’impatto globale dei risultati elettorali.<br />
Vediamo adesso di riassumere in un unico schema sintetico i diversi effetti sopra<br />
menzionati:
EFFETTI DIRETTI<br />
A LIVELLO<br />
CIRCOSCRIZIONALE<br />
A LIVELLO<br />
NAZIONALE<br />
UNINOMINALE A<br />
UN TURNO<br />
DOPPIO TURNO<br />
PROPORZIONALE<br />
PARTITI<br />
MAGGIORI<br />
PARTITI<br />
MINORI<br />
Tutte le minoranze sono tagliate fuori<br />
dalla rappresentanza (vince la maggiore<br />
minoranza).<br />
Se c’è <strong>il</strong> ballottaggio, o una soglia per <strong>il</strong><br />
passaggio al secondo turno, cresce la<br />
maggioranza richiesta per vincere.<br />
Favoriti i partiti nell’area centrale dello<br />
spazio politico, sfavoriti i partiti estremi.<br />
Se è allo stato “puro”, appare privo di<br />
effetti diretti (“fotografa“ la realtà<br />
politica). Può avere effetti variamente<br />
riduttivi in relazione alla formula<br />
adottata, e/o all’esistenza di soglie di<br />
rappresentanza (esplicite ed implicite) e<br />
premi di maggioranza.<br />
Avvantaggiati da una loro distribuzione<br />
omogenea sul territorio, svantaggiati se<br />
concentrati territorialmente.<br />
Penalizzati dalla dispersione dei loro voti sul<br />
territorio nazionale, risultano più avvantaggiati<br />
se concentrati territorialmente.
EFFETTI INDIRETTI<br />
SUGLI<br />
ELETTORI<br />
La differenza di fondo è quella fra VOTO UTILE (O STRATEGICO),<br />
che è quello che converge su un candidato che ha buone<br />
probab<strong>il</strong>ita’ di essere eletto, e VOTO SINCERO (O ESPRESSIVO),<br />
indirizzato al candidato in cui maggiormente ci si identifica. NEI<br />
SISTEMI MAGGIORITARI risulta ut<strong>il</strong>e solo <strong>il</strong> voto espresso per <strong>il</strong><br />
candidato che ottiene la maggioranza relativa nel collegio<br />
uninominale, tutti gli altri voti saranno “persi”. NEI SISTEMI<br />
PROPORZIONALI è ut<strong>il</strong>e <strong>il</strong> voto a ciascun candidato in grado di<br />
superare la soglia di rappresentanza all’interno del collegio<br />
plurinominale. Qui voto ut<strong>il</strong>e e espressivo tendono a coincidere in<br />
maniera decrescente quanto più attenuato risulta <strong>il</strong> grado di<br />
proporzionalità, in conseguenza dell’adozione di soglie di<br />
sbarramento o di un’ampiezza ridotta delle circoscrizioni.<br />
Naturalmente perché l’elettore si orienti verso un voto strategico è<br />
necessario che esistano candidati (partiti) non troppo distanti dalle<br />
posizioni del candidato (<strong>partito</strong>) preferito, sui quali indirizzare <strong>il</strong><br />
proprio voto: ne consegue che i candidati e i partiti su posizioni<br />
estreme risulteranno quelli più penalizzati rispetto alla possib<strong>il</strong>ità<br />
di beneficiare di un voto strategico.
SU<br />
CANDIDATI<br />
E PARTITI<br />
NEI SISTEMI ALTAMENTE PROPORZIONALI, dove voto ut<strong>il</strong>e e voto<br />
sincero tendono a coincidere, la strategia di <strong>partito</strong> più efficace è<br />
quella di massimizzare i propri voti: coalizioni elettorali o<br />
addirittura fusioni tra partiti appaiono penalizzanti, perché<br />
“annacquano” l’identità del <strong>partito</strong>, rischiando così di fargli<br />
perdere voti (e seggi). NEI SISTEMI MAGGIORITARI (O IN QUELLI<br />
CON UN GRADO DI PROPORZIONALITÀ RIDOTTO) cresce invece<br />
l’importanza del voto strategico così come l’incentivo per i partiti a<br />
coalizzarsi per riuscire a superare soglie molto più alte di<br />
rappresentanza. Queste coalizioni potranno essere delle alleanze<br />
elettorali o portare ad una vera e propria fusione di partiti. In<br />
particolare, un alto rischio di sconfitta elettorale, una limitata<br />
distanza ideologica fra i partiti e una ragionevole sicurezza di non<br />
perdere i propri elettori accrescerà la disponib<strong>il</strong>ità dei partiti a<br />
coalizzarsi. I SISTEMI A DOPPIO TURNO consentendo agli elettori<br />
di optare per un voto espressivo al primo turno e per un voto<br />
strategico al secondo, garantiscono a tutti i partiti di correre da<br />
soli al primo turno, salvo poi coalizzarsi al secondo turno nei<br />
collegi in cui i propri candidati non sono più presenti (facendo però<br />
valere <strong>il</strong> “peso elettorale” conquistato al primo turno). Anche in<br />
questi sistemi risultano penalizzati i partiti estremi, che per la loro<br />
collocazione sull’asse destra-sinistra appaiono meno capaci di<br />
beneficiare del voto ut<strong>il</strong>e al secondo turno.
SISTEMI ELETTORALI E LOGICHE DI PARTITO<br />
In realtà i sistemi elettorali influenzano nel loro complesso le logiche di <strong>partito</strong>,<br />
sia sul VERSANTE ESTERNO, per quanto riguarda cioè la misura in cui i partiti, al<br />
momento della scelta dei candidati, tengono conto del tipo di elettorato<br />
presente nel collegio (manifestando, in tal senso, una logica “estroversa” oppure<br />
“introversa”), sia per quanto riguarda <strong>il</strong> VERSANTE INTERNO, cioè le modalità in<br />
cui si esprime <strong>il</strong> confronto all’interno del <strong>partito</strong>.<br />
In merito alla SCELTA DEI CANDIDATI, nei SISTEMI PROPORZIONALI essa<br />
appare guidata da una LOGICA INTERNA al <strong>partito</strong> stesso, indipendentemente<br />
dalle caratteristiche del collegio. Nei sistemi MAGGIORITARI, invece, dove<br />
all’interno di piccoli collegi uninominali la personalità dei candidati e <strong>il</strong> loro<br />
gradimento da parte degli elettori appaiono decisivi, prevarrà una LOGICA<br />
ESTERNA, per cui i partiti risulteranno più dipendenti nella scelta dei candidati<br />
dalle preferenze degli elettori (tranne che un <strong>partito</strong> ritenga “sicura” la vittoria<br />
nel collegio, tanto da poter imporre <strong>il</strong> proprio candidato).<br />
Per quanto riguarda poi l’ORGANIZZAZIONE INTERNA DEI PARTITI, <strong>il</strong><br />
PROPORZIONALE tende a favorire lo sv<strong>il</strong>uppo di partiti rigidi, caratterizzati dalla<br />
riproduzione nel tempo (per cooptazione) della stessa classe politica; <strong>il</strong><br />
MAGGIORITARIO tende invece a rendere i partiti più elastici, cioè dotati di una<br />
maggiore dialettica interna, ma anche più disciplinati rispetto alla volontà della
maggioranza del <strong>partito</strong>: dividersi, infatti, significherebbe perdere le elezioni. Nel<br />
primo caso saranno dunque penalizzate le fusioni (che fanno perdere identità al<br />
<strong>partito</strong> di fronte agli elettori), nel secondo le scissioni (che rendono più debole la<br />
sua posizione elettorale).<br />
SISTEMA ELETTORALE E LOGICHE DI PARTITO
SISTEMI ELETTORALI E SISTEMI PARTITICI<br />
Se DUVERGER collegava rigidamente <strong>il</strong> sistema maggioritario al bipartitismo,<br />
mentre riteneva che <strong>il</strong> sistema proporzionale e quello a doppio turno<br />
producessero <strong>il</strong> multipartitismo, le successive considerazioni di SARTORI e di<br />
LIJPHART hanno individuato delle relazioni molto più articolate.<br />
Il primo, in particolare, ha messo in evidenza come non ci sia un rapporto<br />
diretto di causa ed effetto fra <strong>il</strong> sistema elettorale e <strong>il</strong> sistema partitico, ma tutto<br />
dipenda da come sono strutturati i partiti sul territorio nazionale. Se quindi<br />
esiste, in presenza del MAGGIORITARIO AD UN TURNO, la tendenza a<br />
ridurre a due i partiti nel singolo collegio, non vuol dire che questa tendenza si<br />
riprodurrà a livello nazionale: ciò avverrà quanto più <strong>il</strong> bipartitismo è già<br />
strutturato a livello nazionale, fermo restando che se vi sono piccoli partiti, ma<br />
concentrati territorialmente, essi riusciranno ad avere una rappresentanza. Se <strong>il</strong><br />
sistema elettorale non provoca la genesi del sistema partitico, influisce però al<br />
suo mantenimento: infatti, in presenza di un sistema elettorale maggioritario,<br />
l’eventuale crescita di un terzo <strong>partito</strong> si realizzerà scalzando uno dei primi due.<br />
Per quanto riguarda <strong>il</strong> SISTEMA A DOPPIO TURNO, esso non altera (al<br />
primo turno) <strong>il</strong> numero dei partiti, ma tenderà al secondo turno a favorire un<br />
pluralismo moderato di tipo bipolare.
Il PROPORZIONALE, infine, può influire sul numero dei partiti in relazione<br />
alle formule adottate, alla dimensione delle circoscrizioni e alla eventuale<br />
introduzione di soglie di sbarramento. Esso non impedisce però a priori che si<br />
sv<strong>il</strong>uppi una meccanica di tipo bipolare.
2.4 PARLAMENTI E RAPPRESENTANZA
CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI PARLAMENTI DEMOCRATICI<br />
Il parlamento è un’istituzione presente in gran parte degli stati contemporanei<br />
(anche se può assumere denominazioni diverse (come, ad esempio, <strong>il</strong> Congresso<br />
degli Stati Uniti o l’Assemblea nazionale francese). Esso assume un ruolo<br />
fondamentale ed insostituib<strong>il</strong>e all’interno delle odierne liberal-democrazie,<br />
tuttavia anche nel passato (soprattutto in Europa) vi sono presenze significative di<br />
istituzioni parlamentari, così come accade anche nei regimi non democratici.<br />
Data l’estensione del fenomeno nello spazio e nel tempo ed in regimi politici assai<br />
diversi, appare necessario r<strong>il</strong>evare innanzitutto I CARATTERI ESSENZIALI DEL<br />
PARLAMENTARISMO DEMOCRATICO, per poterne metterne a confronto le<br />
caratteristiche con quelle dei suoi antecedenti storici, nonché per sottolinearne le<br />
differenze rispetto alle forme di parlamentarismo non democratico. A tal<br />
proposito, una DEFINIZIONE MINIMA DELLE CARATTERISTICHE STRUTTURALI DEI<br />
PARLAMENTI DEMOCRATICI è la seguente: <strong>il</strong> parlamento è un’assemblea<br />
rappresentativa a competenza generale, pluralistica e permanente ma rinnovata<br />
nella sua composizione tramite elezioni a scadenze regolari.<br />
Vediamo i singoli aspetti di questa definizione:
1<br />
NATURA<br />
ASSEMBLEARE<br />
Istituzione collegiale tendenzialmente paritaria,<br />
caratterizzata da un numero ampio di membri<br />
(rispetto ad altri organi collegiali, come <strong>il</strong> governo)<br />
che, in sede di voto, hanno tutti lo stesso peso. Le<br />
posizioni gerarchiche al suo interno esistono<br />
(connesse soprattutto alle prerogative dei<br />
presidenti dei rami del parlamento), ma sono<br />
inferiori a quelle di altre istituzioni.<br />
2<br />
CARATTERE<br />
PERMANENTE E<br />
TEMPORALMENTE<br />
DEFINITO<br />
Non sono organismi creati ad hoc per assolvere<br />
un compito specifico (come un’assemblea<br />
costituente), ma hanno una competenza<br />
generale e sono in grado di produrre un flusso<br />
continuo di decisioni. Hanno un notevole grado<br />
di autonomia, perché non dipendono per la loro<br />
convocazione da altri organismi istituzionali, ma<br />
i suoi membri hanno un mandato<br />
temporalmente definito, soggetto al rinnovo per<br />
via elettorale.
3<br />
4<br />
PLURALISMO<br />
INTERNO<br />
COLLEGAMENTO<br />
ORGANICO CON<br />
LA CITTADINANZA<br />
POLITICA<br />
Istituzione organizzata al suo interno (attraverso i<br />
regolamenti parlamentari) in modo tale da<br />
consentire l’espressione di tutti gli orientamenti<br />
politici in essa rappresentati, a tutela, in<br />
particolare, di uno spazio istituzionale garantito<br />
per dar voce all’opposizione.<br />
L’istituzione parlamentare è parte integrante del<br />
processo rappresentativo, in quanto le assemblee<br />
parlamentari si fondano su un legame<br />
istituzionalizzato con la cittadinanza politica,<br />
attraverso lo svolgimento di libere elezioni. La<br />
presenza di forme di rappresentanza non<br />
elettorale per un ramo del parlamento (è <strong>il</strong> caso<br />
della Camera dei Lords inglese) costituisce un<br />
retaggio (ininfluente) del passato.<br />
L’ASSENZA ANCHE DI UNO SOLO DEGLI ELEMENTI DI QUESTA DEFINIZIONE<br />
MINIMA determina un mutamento sostanziale della natura dell’istituzione, dove<br />
difetta, in tutto o in parte, <strong>il</strong> carattere del pluralismo, o quello della<br />
rappresentatività o della permanenza. In tal caso si tratterà di parlamenti predemocratici,<br />
o non democratici o autoritari.
LA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA<br />
L’attributo “rappresentativo” non qualifica soltanto un’istituzione politica quale<br />
<strong>il</strong> parlamento, ma anche lo stesso regime democratico. Il concetto di<br />
rappresentanza è quindi l’elemento più importante della definizione dei<br />
parlamenti democratici, anche se <strong>il</strong> suo uso non è delimitato solo all’ambito<br />
democratico: esistevano infatti forme di rappresentanza nei regimi predemocratici,<br />
così come c’è rappresentanza anche nei regimi non democratici.<br />
Premesso che <strong>il</strong> concetto di rappresentanza fa sempre riferimento ad una<br />
relazione duale incentrata sul rapporto fra rappresentato e rappresentante, che,<br />
nel caso della rappresentanza politica, è un rapporto fra governati e governanti,<br />
seguendo le indicazioni di PITKIN si possono individuare CINQUE DIVERSI<br />
MODI DI INTENDERE IL RAPPORTO DI RAPPRESENTANZA che ricorrono<br />
nell’esperienza politica, combinandosi variamente tra di loro. A loro volta queste<br />
cinque modalità possono essere ricondotte a due diverse categorie: la<br />
rappresentanza come MODO DI AGIRE (a cui appartengono i primi tre aspetti della<br />
rappresentanza) e la rappresentanza come MODO DI ESSERE (a cui appartengono<br />
le ultime due). Lo schema che segue riassume le diverse accezioni della<br />
rappresentanza:
MODO DI AGIRE<br />
TIPO DI CONFERIMENTO DI<br />
AUTORITA’ DA PARTE DEL<br />
RAPPRESENTATO<br />
CONTENUTO DELL’AGIRE DEL<br />
RAPPRESENTANTE<br />
RESPONSABILITA’ DEL<br />
RAPPRESENTANTE<br />
RAPPRESENTANZA<br />
MODO DI ESSERE<br />
ELEMENTI SIMBOLICI DELLA<br />
RAPPRESENTANZA<br />
RAPPRESENTANZA COME<br />
“SPECCHIO”
1<br />
RAPPRESENTANZA COME CONFERIMENTO DI AUTORITA’<br />
E’ dal rapporto con <strong>il</strong> rappresentato che <strong>il</strong> rappresentante trae <strong>il</strong> TITOLO DI<br />
LEGITTIMITÀ della propria azione, nel senso che le azioni del rappresentante<br />
valgono per <strong>il</strong> rappresentato e lo impegnano. Naturalmente fa differenza se<br />
questo conferimento di autorità sia assoluto e definitivo, come lo immagina<br />
Hobbes nel suo modo di concepire <strong>il</strong> contratto sociale, o se si tratti di un<br />
conferimento di tipo temporaneo e limitato.<br />
2<br />
RAPPRESENTANZA COME CONTENUTO DELL’AGIRE DEL<br />
RAPPRESENTANTE<br />
La rappresentanza è definita in base agli interessi del rappresentato, che vanno<br />
rispettati dal rappresentante. Mentre nei REGIMI AUTORITARI prevale<br />
l’interpretazione del rappresentante come unico interprete dei reali interessi del<br />
rappresentato, la CONCEZIONE LIBERAL-DEMOCRATICA riconosce al<br />
rappresentato un ruolo più attivo rispetto alla possib<strong>il</strong>ità di esprimere i propri<br />
interessi e di controllare che essi siano rispettati dal rappresentante.
3<br />
RAPPRESENTANZA COME RESPONSABILITA’ DEL<br />
RAPPRESENTANTE<br />
In merito agli ASPETTI PROCEDURALI DEL CONTROLLO DEL RAPPRESENTANTE DA<br />
PARTE DEL RAPPRESENTATO, essi riguardano la possib<strong>il</strong>ità di quest’ultimo di<br />
sanzionare <strong>il</strong> rappresentante (attraverso la rescissione del rapporto) ut<strong>il</strong>izzando<br />
<strong>il</strong> meccanismo delle elezioni.<br />
4<br />
ELEMENTI SIMBOLICI DELLA RAPPRENTANZA<br />
Nella rappresentanza può intercorrere un RAPPORTO FORTEMENTE<br />
EMOZIONALE TRA RAPPRESENTANTE E RAPPRESENTATO, ESPRESSO SUL PIANO<br />
SIMBOLICO quando su una persona che ricopre una determinata carica si<br />
condensano determinati significati della realtà politica rappresentata (es: <strong>il</strong> capo<br />
dello Stato come rappresentante dell’unità nazionale). Questa accezione della<br />
rappresentanza risulta centrale per la definizione di organi monocratici (sia<br />
monarchici che repubblicani), mentre non appare una prerogativa delle<br />
istituzioni parlamentari.
5<br />
RAPPRESENTANZA COME “SPECCHIO”<br />
In questa accezione LA RAPPRESENTANZA È INTESA COME “RAPPRESENTATIVITÀ”,<br />
cioè come riproduzione delle caratteristiche dei soggetti rappresentati. Nel caso<br />
delle assemblee parlamentari, come riproduzione, ovviamente su scala ridotta<br />
(trattandosi di m<strong>il</strong>ioni di elettori), delle caratteristiche del corpo politico. Esistono<br />
DUE DIVERSE ESPRESSIONI DI QUESTA FORMA DI RAPPRESENTANZA:<br />
la RAPPRESENTATIVITÀ DI TIPO SOCIOLOGICO, che consiste nella riproduzione<br />
all’interno dell’organo rappresentativo di determinati caratteri della<br />
popolazione, quali genere, status, condizione professionale, appartenenza<br />
confessionale, ecc. ;<br />
la RAPPRESENTATIVITÀ DELLE OPINIONI, relativa alla riproduzione della<br />
distribuzione degli orientamenti politici presenti nella popolazione.<br />
Mentre per realizzare la rappresentatività come specchio degli orientamenti<br />
politici è disponib<strong>il</strong>e uno strumento istituzionale ad hoc (l’adozione di sistemi<br />
elettorali proporzionalistici), per la rappresentatività sociologica non esistono<br />
strumenti istituzionali analoghi, né tanto meno essa è garantita automaticamente<br />
dai meccanismi elettorali. Al contrario, nei parlamenti democratici certe posizioni<br />
(rispetto ad esempio, al genere o al tipo di occupazione) appaiono sensib<strong>il</strong>mente<br />
sovrarappresentate. Del resto, la rappresentatività sociologica non costituisce un<br />
presupposto necessario delle istituzioni elettive rappresentative. Così, nei
parlamenti di alcuni regimi non democratici del recente passato, essa veniva<br />
realizzata dall’alto, come sostituto, con funzione legittimante, degli altri contenuti<br />
della rappresentanza, che risultavano invece carenti (era questo <strong>il</strong> caso dei<br />
parlamenti degli ex regimi comunisti dell’est europeo, a partire dal Soviet supremo<br />
sovietico).<br />
Considerando indiscriminatamente tutte e cinque le accezioni del concetto di<br />
rappresentanza politica, ogni regime politico può in qualche misura essere<br />
considerato rappresentativo. In realtà l’affermarsi dell’idea di rappresentanza<br />
politica democratica, prima come rivendicazione e poi come elemento centrale<br />
dei regimi democratici, avviene in concomitanza del precisarsi di un nucleo<br />
abbastanza delimitato del concetto di rappresentanza: segnatamente, le prime<br />
tre accezioni considerate, combinate tra di loro, a cui bisogna aggiungere la<br />
presenza di un preciso contesto istituzionalizzato. Si giunge così ad una<br />
DEFINIZIONE DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA DEMOCRATICA, nei<br />
termini di “una relazione di carattere stab<strong>il</strong>e tra cittadini e governanti (entrambi<br />
intesi come soggetti pluralistici), per effetto della quale i secondi sono autorizzati<br />
a governare in nome e nell’interesse dei primi e sono soggetti ad una<br />
responsab<strong>il</strong>ità politica per i propri comportamenti di fronte ai cittadini stessi;<br />
autorità e responsab<strong>il</strong>ità politica sono realizzate attraverso meccanismi<br />
istituzionali elettorali”.
In questa definizione la rappresentanza appare contemporaneamente principio di<br />
legittimazione politica, struttura istituzionale e modalità di comportamento. In<br />
particolare, è proprio IL CARATTERE ISTITUZIONALIZZATO (identificab<strong>il</strong>e nel<br />
binomio competitivo elezioni - parlamento) che permette alla rappresentanza di<br />
essere elemento stab<strong>il</strong>e e duraturo di un sistema politico.<br />
ANTECEDENTI STORICI DELLA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA<br />
Se la rappresentanza politica democratica si è sv<strong>il</strong>uppata inizialmente IN EUROPA,<br />
a partire dalla fine del settecento, ciò è dovuto anche al fatto che si tratta di<br />
un’area territoriale che aveva conosciuto UNA CONSISTENTE TRADIZIONE DI<br />
FORME PARLAMENTARI DI TIPO MEDIOEVALE. Che l’istituto della rappresentanza<br />
politica fosse già radicato nel mondo medioevale non significa, però, che si possa<br />
riscontrare un’ininterrotta continuità istituzionale tra i due tipi di esperienze<br />
politiche. Anzi, gli elementi di differenziazione tra parlamentarismo medioevale e<br />
parlamentarismo moderno sono certamente superiori a quelli di somiglianza,<br />
per cui si può dire che, fra le due esperienze, la discontinuità prevale sulla<br />
continuità.<br />
LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEI PARLAMENTI PREMODERNI<br />
possono essere così riassunte:
STRUTTURE<br />
ISTITUZIONALI<br />
COMPLESSE E<br />
RAPPRESENTATIVITA’ DI<br />
TIPO SOCIOLOGICO<br />
CARATTERE<br />
FORTEMENTE<br />
DECENTRATO<br />
VARIABILE GRADO DI<br />
ISTITUZIONALIZZAZIONE<br />
Riflettono la struttura della società, articolata in ceti<br />
legalmente differenziati (alta e bassa nob<strong>il</strong>tà, alto e<br />
basso clero, borghesia cittadina e rurale).<br />
RAPPRESENTATIVITÀ SOCIOLOGICA che offre<br />
un’immagine a scala ridotta di una realtà pluralistica<br />
legata a caratteri ascritti. Se l’alta nob<strong>il</strong>tà e l’alto<br />
clero si rappresentano intervenendo di persona, gli<br />
altri ceti sociali inviano invece dei rappresentanti.<br />
Presenza di una pluralità di sedi e livelli di autorità nel<br />
sistema politico medioevale. All’interno di una stessa<br />
monarchia potevano esistere un gran numero di<br />
PARLAMENTI PROVINCIALI, mentre non sempre<br />
esisteva un parlamento centrale.<br />
MUTA DA PAESE A PAESE. Vi sono parlamenti<br />
convocati nel tempo con una certa frequenza, ed altri<br />
che si riuniscono solo molto saltuariamente (Gli “Stati<br />
generali” francesi, che <strong>il</strong> sovrano è costretto a<br />
convocare alla vig<strong>il</strong>ia della rivoluzione, non erano stati<br />
convocati da cento anni).
MECCANISMI POLITICI<br />
DI FORMAZIONE E<br />
CONVOCAZIONE<br />
Riflettono <strong>il</strong> sostanziale DUALISMO DEL SISTEMA POLITICO A<br />
CUI APPARTENGONO, che vede, da una parte, l’autotutela<br />
dei poteri periferici contro i tentativi di prevaricazione del<br />
potere regio; dall’altra, la centralità dell’iniziativa regia per<br />
la convocazione di questi parlamenti, per cui questi ultimi<br />
sarebbero degli strumenti attraverso cui <strong>il</strong> monarca costruisce<br />
<strong>il</strong> consenso in una società frammentata.<br />
Esistono certamente delle SOMIGLIANZE TRA PARLAMENTI MODERNI<br />
E PREMODERNI: esiste in entrambi una LOGICA DI RAPPRESENTANZA, sottesa<br />
ad una concezione del corpo politico come dotato di soggettività e non come puro<br />
oggetto di dominio; questo corpo politico esprime a sua volta una REALTÀ<br />
PLURALE E COMPOSITA, in grado di esprimere, attraverso i parlamenti,<br />
orientamenti politici diversi e interessi autonomi.<br />
Più importanti di queste somiglianze appaiono però le differenze, che possono<br />
essere ricondotte ad ALCUNI FONDAMENTALI ELEMENTI DI<br />
DISCONTINUITÀ DEL PARLAMENTI MODERNI RISPETTO A QUELLI<br />
PREMODERNI:
PARLAMENTARISMO MODERNO E PREMODERNO: ELEMENTI DI DISCONTINUITA’<br />
TIPO DI<br />
PLURALISMO<br />
TIPO DI<br />
RAPPRESENTANZA<br />
PROCESSI<br />
FORMATIVI<br />
COLLOCAZIONE<br />
SISTEMICA<br />
PARLAMENTARISMO<br />
PREMODERNO<br />
Espressione della pluralità<br />
di condizioni giuridiche<br />
(diseguali) nella società<br />
Corporativa<br />
Marginalità del metodo di<br />
selezione dei fiduciari dei<br />
diversi ceti sociali<br />
(l’elezione non è<br />
indispensab<strong>il</strong>e)<br />
Ruolo di “antagonista” del<br />
potere monarchico (in un<br />
sistema dualista)<br />
PARLAMENTARISMO<br />
MODERNO<br />
Espressione della pluralità<br />
di opinioni e interessi fra<br />
individui e gruppi<br />
formalmente uguali<br />
Individualistica<br />
Centralità delle elezioni<br />
competitive come metodo<br />
di selezione dei<br />
rappresentanti<br />
Ruolo di “protagonista” del<br />
sistema politico<br />
(fondamentale per la<br />
composizione dei conflitti)
VARIANTI STRUTTURALI DEI PARLAMENTI CONTEMPORANEI<br />
Le assemblee parlamentari non sono l’unica espressione strutturale della<br />
rappresentanza (nei sistemi presidenziali, infatti, <strong>il</strong> vertice dell’esecutivo, in quanto<br />
eletto direttamente, assume una valenza rappresentativa indipendente); hanno<br />
tuttavia un RUOLO CENTRALE NEL DISEGNO ISTITUZIONALE DELLE ODIERNE<br />
LIBERALDEMOCRAZIE: infatti, non esistono democrazie “solo presidenziali”,<br />
mentre esistono democrazie “solo parlamentari” (nel senso che soltanto <strong>il</strong><br />
parlamento è eletto direttamente).<br />
Ma la centralità del parlamento nei sistemi politici democratici è dovuta anche al<br />
CARATTERISTICO RUOLO BIFRONTE di questa istituzione, che appare essenziale<br />
sia sul versante degli input che su quello degli output del sistema politico: se da<br />
un lato, infatti, <strong>il</strong> parlamento è espressione della società e delle sue domande, che<br />
nelle aule parlamentari vengono rappresentate, dall’altro è profondamente<br />
coinvolto sul versante delle decisione politiche, che nelle aule parlamentari<br />
trovano <strong>il</strong> loro sbocco attraverso <strong>il</strong> voto.<br />
LE VARIANTI STRUTTURALI DEI PARLAMENTI CONTEMPORANEI riguardano la<br />
presenza di una o due Camere, l’articolazione interna in un sistema di<br />
commissioni, l’articolazione lungo linee di divisione partitiche e, infine,<br />
l’articolazione del rapporto fra governo e parlamento. Tutti questi aspetti non
vanno considerati soltanto da un punto di vista formale, cioè in riferimento ad un<br />
ampio corpo di norme giuridiche di varia natura (costituzionale, legislative,<br />
regolamentari e consuetudinarie) da cui questi aspetti sono definiti, ma<br />
soprattutto da un punto di vista sostanziale, relativo alla natura dei soggetti<br />
politici, individuali e collettivi, in essi coinvolti.<br />
1<br />
MONOCAMERALISMO E TIPI DI BICAMERALISMO<br />
La differenza fra modelli monocamerali e bicamerali riguarda la contrapposizione<br />
fra l’ut<strong>il</strong>izzazione di un criterio unico di rappresentanza e l’ut<strong>il</strong>izzazione di criteri<br />
diversi. In particolare, L’ADOZIONE DI UN SISTEMA BICAMERALE PUÒ DIPENDERE<br />
DA:<br />
Esigenze di conservazione di forme di parlamentarismo pre-democratico. E’<br />
una forma di parlamentarismo tipico della prima fase della democratizzazione,<br />
oggi estinto (salve l’eccezione britannica della Camera dei Lords).<br />
Forma di compromesso rappresentativo tra concezione unitaria e policentrica<br />
della rappresentanza (di tipo federale o regionalistica), in cui alla rappresentanza<br />
individuale si aggiunge una forma di rappresentanza di unità sub-nazionali. (E’ <strong>il</strong><br />
caso degli Stati Uniti, della Germania o della Svizzera).<br />
Caso atipico del bicameralismo paritario italiano, dove attualmente l’unica<br />
variazione riguarda i diversi meccanismi elettorali previsti per le due camere.
I sistemi bicamerali si differenziano anche in base ai diversi poteri attribuiti ai due<br />
rami del parlamento, che possono essere simmetrici o asimmetrici.<br />
Combinando queste due dimensioni, si possono così individuare QUATTRO<br />
DIVERSI TIPI DI PARLAMENTO:<br />
MODELLI DI BICAMERALISMO<br />
DIVERSA BASE<br />
RAPPRESENTATIVA<br />
UGUALE BASE<br />
RAPPRESENTATIVA<br />
POTERI SIMMETRICI<br />
BICAMERALISMO<br />
FORTE O BILANCIANTE<br />
(Stati Uniti)<br />
BICAMERALISMO<br />
RIDONDANTE<br />
(Italia)<br />
POTERI ASIMMETRICI<br />
BICAMERALISMO DEBOLE<br />
(Gran Bretagna)<br />
BICAMERALISMO A BASE<br />
FUNZIONALE<br />
(Progetto italiano di<br />
Senato delle regioni)
2<br />
IL SISTEMA DELLE COMMISSIONI<br />
Una forma particolarmente importante di decentramento dei lavori parlamentari,<br />
assolutamente necessaria data la mole e la tecnicità del lavoro parlamentare, è<br />
costituita dall’ARTICOLAZIONE IN COMMISSIONI. I modi di realizzare questa<br />
articolazione differiscono però sensib<strong>il</strong>mente nei diversi parlamenti, soprattutto<br />
rispetto alla diversa importanza assegnata alle commissioni rispetto al lavoro in<br />
aula. Le commissioni legislative (che differiscono da altri tipi di commissione,<br />
come le commissioni di inchiesta), oltre alle funzioni di istruttoria ed<br />
emendamento della legislazione, possono avere anche funzioni di controllo sui<br />
governi, attraverso poteri di interpellanza dei ministri e di altri soggetti r<strong>il</strong>evanti.<br />
IL PESO DEL SISTEMA DELLE COMMISSIONI dipende dalla maggiore o minore<br />
SPECIALIZZAZIONE FUNZIONALE e dal GRADO DI STABILITÀ dei loro componenti.<br />
Per quanto riguarda la LEADERSHIP DELLE COMMISSIONI, fa differenza se le<br />
presidenze di questi organi sono affidate solo a esponenti della maggioranza di<br />
governo, oppure se anche altri partiti possono accedervi. In questo secondo caso,<br />
la presidenza si collega maggiormente alla logica interna delle commissioni. Anche<br />
<strong>il</strong> ruolo affidato ai presidenti può essere differente, variando da un ruolo di<br />
garanzia procedurale ad un ruolo più politico di controllo dell’agenda dei lavori.<br />
In generale, quanto più alta è la specializzazione funzionale e la stab<strong>il</strong>ità dei
componenti della commissione e quanto più la leadership sarà di origine interna,<br />
tanto più forte sarà <strong>il</strong> peso del sistema delle commissioni sui lavori parlamentari:<br />
commissioni di questo genere, grazie ai rispettivi rapporti da un lato con gli<br />
interessi, dall’altro con i rispettivi ministri e le burocrazie governative, possono così<br />
giocare un ruolo molto importante nel processo di policy making.<br />
I due casi estremi in cui si condensano un alto o basso grado di presenza delle<br />
caratteristiche sopra elencate sono le Commissioni della Camera dei<br />
rappresentanti degli Stati Uniti, da una parte, e le cosiddette Standing<br />
Commettees inglesi (prive di specializzazione funzionale e con una composizione<br />
interna che cambia ad ogni legge a loro affidata), dall’altra.<br />
3<br />
L’ARTICOLAZIONE DEI PARLAMENTI LUNGO LINEE PARTITICHE<br />
I partiti sono i principali intermediari della rappresentanza. Di conseguenza, i<br />
diversi modelli organizzativi dei partiti che si sono succeduti nel tempo hanno<br />
dato vita a classi parlamentari profondamente diverse. Oggi i principali soggetti<br />
della vita parlamentare sono i GRUPPI PARLAMENTARI, soggetti collettivi<br />
generalmente legati da un vincolo di lealtà e dipendenza a un <strong>partito</strong> con una<br />
propria identità organizzativa esterna al parlamento. Ciò consente di ridurre<br />
drasticamente la complessità dei parlamenti e aumenta contemporaneamente la<br />
prevedib<strong>il</strong>ità dell’azione parlamentare, legate alle decisioni dei gruppi più
importanti. A parte gli Stati Uniti, in cui <strong>il</strong> basso grado di strutturazione dei partiti<br />
consente una caratterizzazione fortemente individualistica del Congresso, <strong>il</strong><br />
RAPPORTO TRA LIVELLO INDIVIDUALE E LIVELLO PARTITICO DI ARTICOLAZIONE<br />
DEI PARLAMENTI può essere ricondotto a due diversi modelli che vedono<br />
rispettivamente la preminenza del gruppo parlamentare sul <strong>partito</strong> (come nel<br />
caso dei Conservatori inglesi) o la preminenza dell’apparato organizzativo<br />
extraparlamentare sul gruppo parlamentare (come nel caso del PCI, almeno fino<br />
agli anni ottanta). Nella realtà, però, è più fac<strong>il</strong>e che si affermi un modello ibrido,<br />
in cui all’autorità preminente del <strong>partito</strong> esterno si contrappone una classe<br />
parlamentare non certo priva di risorse autonome, quali <strong>il</strong> seguito elettorale dei<br />
singoli parlamentari, la capacità acquisita da questi ultimi di padroneggiare le<br />
tecniche parlamentari e <strong>il</strong> controllo dello posizioni di autorità all’interno della<br />
stessa istituzione parlamentare.<br />
4<br />
L’ARTICOLAZIONE GOVERNO - OPPOSIZIONE<br />
Poiché nelle FORME DI GOVERNO PARLAMENTARI <strong>il</strong> parlamento ha <strong>il</strong><br />
compito di “produrre” e legittimare l’esecutivo (attraverso un voto di fiducia<br />
esplicito o implicito), esso tende ad articolarsi lungo la linea di divisione fra le<br />
forze che sostengono <strong>il</strong> governo e quelle che vi si oppongono, per cui si verrà a
determinare una sostanziale identificazione fra maggioranza parlamentare e<br />
governo, da una parte, e fra minoranza parlamentare e opposizione, dall’altra. In<br />
questo caso <strong>il</strong> governo diventa, in quanto fiduciario e guida della maggioranza<br />
parlamentare, uno dei soggetti più r<strong>il</strong>evanti all’interno del parlamento stesso.<br />
In realtà, però, l’identificazione governo-maggioranza parlamentare non sempre<br />
è così netta, se non altro perché l’azione del governo non fa riferimento solo al<br />
parlamento e perché non tutta la maggioranza parlamentare può stare nel<br />
governo. In particolare, SUL DUALISMO, PIÙ O MENO ACCENTUATO, FRA<br />
GOVERNO E MAGGIORANZA PARLAMENTARE GIOCA UNA IMPORTANTE<br />
INFLUENZA IL TIPO DI SISTEMA PARTITICO:<br />
SISTEMI<br />
BIPARTITICI<br />
Essendo caratterizzati da GOVERNI A MAGGIORANZA<br />
PARLAMENTARE MONOPARTITICA, in essi si realizza la<br />
piena coincidenza fra governo e maggioranza<br />
parlamentare, almeno fino a quando sarà alta la coesione<br />
all’interno del <strong>partito</strong> di governo. Questa coesione è a sua<br />
volta influenzata dal rischio che dissidi nella maggioranza<br />
portino a nuove elezioni e al conseguente rischio di<br />
perdere <strong>il</strong> controllo del parlamento.
SISTEMI<br />
PLURIPARTITICI<br />
A parte alcuni sistemi a pluripartitismo moderato in cui c’è<br />
un governo monopartitico (e in cui , quindi, varranno le<br />
stesse condizioni del bipartitismo), questi sistemi<br />
comportano dei GOVERNI DI COALIZIONE, caratterizzati da<br />
inevitab<strong>il</strong>i processi di accomodamento tra differenti<br />
identità e programmi politici dei diversi partiti di governo.<br />
La variab<strong>il</strong>e fondamentale sarà allora l’estensione dello<br />
spettro politico della coalizione: infatti, quanto più esso<br />
sarà elevato, tanto più una parte dei gruppi parlamentari<br />
si identificherà solo parzialmente nel governo e tenderà a<br />
fornire al governo stesso un sostegno solo provvisorio, in<br />
attesa di poter trasferire <strong>il</strong> proprio sostegno ad un governo<br />
più vicino sul piano ideologico-programmatico.<br />
In presenza poi di GRANDI COALIZIONI (governi<br />
sovrabbondanti), la mancanza di un’opposizione<br />
significativa in parlamento (e quindi di una possib<strong>il</strong>e<br />
alternativa di governo) accentuerà la tendenza a<br />
comportamenti centrifughi; in presenza, invece, di<br />
GOVERNI DI MINORANZA, <strong>il</strong> governo sarà sostenuto<br />
stab<strong>il</strong>mente da alcuni gruppi parlamentari, mentre dovrà<br />
negoziare volta per volte <strong>il</strong> sostegno di altri gruppi.
Se si ut<strong>il</strong>izzano congiuntamente le quattro dimensioni strutturali dei parlamenti, si<br />
delineano DUE MODELLI OPPOSTI DI PARLAMENTO: nel PARLAMENTO<br />
POLICENTRICO si concentreranno le variab<strong>il</strong>i più centrifughe delle diverse<br />
dimensioni, nel PARLAMENTO AVVERSARIALE le variab<strong>il</strong>i più centripete. Questi<br />
due modelli rappresentano i poli di un continuum lungo <strong>il</strong> quale si possono<br />
identificare delle posizioni intermedie, nelle quali si collocano la maggior parte<br />
dei parlamenti:<br />
PARLAMENTO POLICENTRICO<br />
• BICAMERALISMO REALE<br />
• SISTEMA DI COMMISSIONI<br />
FORTE<br />
• PARTITI POCO COESI E/O IN<br />
NUMERO ELEVATO<br />
• LIMITATA SALIENZA DELLA<br />
COPPIA GOVERNO/OPPOSIZIONE<br />
PARLAMENTO AVVERSARIALE<br />
• MONOCAMERALISMO, O<br />
BICAMERALISMO FORMALE<br />
• SISTEMA DI COMMISSIONI<br />
DEBOLE<br />
• SISTEMA BIPARTITICO CON<br />
PARTITI COESI<br />
• STRETTA IDENTIFICAZIONE FRA<br />
GOVERNO E MAGGIORANZA<br />
PARLAMENTARE
Del tutto differente appare <strong>il</strong> discorso se si considerano i SISTEMI<br />
PRESIDENZIALI. Qui i rapporti maggioranza/minoranza e governo/opposizione<br />
saranno fra di loro molto più indipendenti perché <strong>il</strong> Presidente (che è anche <strong>il</strong><br />
capo dell’esecutivo), essendo eletto direttamente, appare sganciato dalla<br />
maggioranza parlamentare (non esiste l’istituto della fiducia parlamentare al<br />
governo). Così la posizione del governo può anche coincidere con quella della<br />
minoranza in parlamento e, di conseguenza, la maggioranza parlamentare può<br />
assumere <strong>il</strong> ruolo di opposizione al governo. In realtà, soprattutto negli Stati Uniti<br />
(visto la natura dei partiti di quel paese) un presidente che non può disporre della<br />
maggioranza parlamentare tenderà ad ut<strong>il</strong>izzare tecniche negoziali (<strong>il</strong> lobbying)<br />
per mob<strong>il</strong>itare, su singoli provvedimenti politici, <strong>il</strong> sostegno di un certo numero di<br />
parlamentari del <strong>partito</strong> avverso.<br />
FUNZIONI DELLE ISTITUZIONI PARLAMENTARI<br />
In tema di funzioni dei parlamenti sorge <strong>il</strong> problema di mettere a confronto una<br />
serie di schemi molto radicati che definiscono tali funzioni dal PUNTO DI VISTA<br />
NORMATIVO, desumendole dalle attribuzioni di poteri prescritte dalle carte<br />
costituzionali, con un’ANALISI EMPIRICA del reale funzionamento dei parlamenti.<br />
Punto di partenza dell’analisi possono essere le sei classiche funzioni parlamentari
che BAGEHOT, in riferimento al contesto inglese, elencava già a metà<br />
dell’ottocento, in una riformulazione sintetica che le accorpa in TRE GRUPPI DI<br />
FUNZIONI: rappresentative, di controllo e di policy making.<br />
FUNZIONI DI<br />
RAPPRESENTANZA<br />
ESPRESSIVA<br />
EDUCATIVA<br />
INFORMATIVA<br />
Trasmissione degli orientamenti<br />
popolari<br />
Elevazione delle opinioni<br />
popolari<br />
Comunicazione degli interessi<br />
delle minoranze<br />
FUNZIONE DI<br />
CONTROLLO<br />
SUL GOVERNO<br />
FUNZIONE DI<br />
POLICY<br />
MAKING<br />
ELETTIVA<br />
FINANZIARIA<br />
LEGISLATIVA<br />
FINANZIARIA<br />
Designazione dell’esecutivo<br />
Mozioni di censura su imposte e<br />
b<strong>il</strong>anci<br />
Elaborazione e approvazione<br />
delle leggi<br />
Approvazione di imposte e<br />
b<strong>il</strong>anci
1<br />
FUNZIONI DI RAPPRESENTANZA<br />
Se IL MODELLO NORMATIVO della rappresentanza contenuto in tutte le<br />
costituzioni, secondo <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> parlamento rappresenta <strong>il</strong> popolo, è molto<br />
semplice, è anche formulato ad un livello di astrazione tale da renderlo di scarsa<br />
ut<strong>il</strong>ità empirica. Sorgono infatti una serie di domande, a cui la definizione<br />
normativa non può dare risposta: chi è in realtà <strong>il</strong> soggetto dell’azione<br />
rappresentativa? Qual è l’oggetto della rappresentanza? Qual è la natura del<br />
rapporto tra rappresentante e rappresentato? L’ESAME DELLA REALTÀ EMPIRICA<br />
CONSENTE DI DARE UNA RISPOSTA A QUESTE DOMANDE.<br />
In primo luogo, <strong>il</strong> soggetto dell’azione rappresentativa sono sia i singoli<br />
parlamentari che una pluralità di raggruppamenti più o meno formalizzati<br />
presenti in parlamento, quali commissioni, gruppi parlamentari e aggregazioni di<br />
parlamentari che si formano intorno a specifici interessi.<br />
In merito all’oggetto della rappresentanza, l’osservazione empirica consente di<br />
scomporre gli astratti concetti di “popolo” o “nazione” in una molteplicità di<br />
entità distinte, spesso in competizione fra di loro (interessi di gruppi territoriali,<br />
categorie funzionali, schieramenti partitici, movimenti di opinione, ecc.) che<br />
determinano <strong>il</strong> carattere pluralistico delle società democratiche. Esiste dunque<br />
una pluralità di domande, spesso particolaristiche, che <strong>il</strong> parlamento è chiamato a
prendere in considerazione e allo stesso tempo a ridurre entro limiti definiti (di<br />
vario genere, ma soprattutto in relazione con le risorse a disposizione per<br />
soddisfarle).<br />
Per quanto riguarda infine <strong>il</strong> rapporto tra rappresentante e rappresentato, <strong>il</strong><br />
problema appare quello di verificare quali siano i margini di indipendenza del<br />
primo rispetto al controllo esercitato dal secondo: qui la contrapposizione classica<br />
appare quella tra la figura di un delegato vincolato da un mandato e quella di un<br />
fiduciario con ampia libertà di azione.<br />
SE IL PARLAMENTO NON È LA SEDE ESCLUSIVA DELLA RAPPRESENTANZA, ESSO<br />
APPARE PERÒ CENTRALE E INSOSTITUIBILE NEI SISTEMI DEMOCRATICI,<br />
SVOLGENDO UN RUOLO STRATEGICO DI GARANZIA DI ALCUNI ASPETTI<br />
FONDAMENTALI DI TALE FUNZIONE. Il parlamento, infatti:<br />
rappresenta <strong>il</strong> contesto istituzionalizzato più articolato e sistematico di<br />
raccordo tra i cittadini e la classe politica;<br />
appare <strong>il</strong> contesto istituzionalizzato più adatto a rappresentare <strong>il</strong> pluralismo<br />
del corpo sociale, ovviamente interagendo con la presenza di altri importanti<br />
elementi (quali <strong>il</strong> sistema elettorale ed <strong>il</strong> sistema partitico) capaci di influire sulla<br />
qualità della rappresentanza pluralista: in tal senso, la pluralità di queste posizioni<br />
sarà compresa fra due modelli polari, che vedono ad un estremo <strong>il</strong> confronto tra<br />
due posizioni coese in contrapposizione tra di loro e dall’altro una atomizzazione<br />
delle posizioni.
Il parlamento realizza però al suo interno anche importanti meccanismi, formali<br />
e informali, di riduzione dello stesso pluralismo, consentendo una sostanziale<br />
moderazione della competizione pluralistica ed evitando che essa degeneri in<br />
forme più radicali (e violente) di antagonismo. Questo avviene sia attraverso la<br />
ritualizzazione del conflitto, regolato dalla comune accettazione di procedure e<br />
“regole del gioco” interne alle aule parlamentari, sia attraverso l’incentivazione<br />
della collaborazione fra le parti. Quest’ultimo aspetto è evidenziato dal fatto che<br />
spesso sia la maggioranza che l’opposizione trovano maggior convenienza a<br />
collaborare fra di loro, come dimostra la r<strong>il</strong>evazione empirica della presenza in<br />
tutti i parlamenti (sia pure in grado variab<strong>il</strong>e) di leggi approvate a maggioranze<br />
molto ampie (che coinvolgono quindi nella decisione anche le opposizioni). Ciò<br />
accade perché da un lato la maggioranza, anche quando avrebbe gli strumenti per<br />
prevalere, ha interesse ad evitare un prolungato ed esasperato ostruzionismo<br />
dell’opposizione che metterebbe in pericolo la realizzazione del proprio<br />
programma; dall’altro, l’opposizione intravede, attraverso una sua disponib<strong>il</strong>ità<br />
alla collaborazione, la possib<strong>il</strong>ità di realizzare almeno parzialmente alcuni dei<br />
propri obiettivi. Del resto, sul piano storico, un esempio particolarmente<br />
significativo di moderazione della competizione pluralistica è costituito dalla<br />
progressiva parlamentarizzazione della classe politica di molti partiti socialisti<br />
europei, a cavallo fra <strong>il</strong> XIX e <strong>il</strong> XX secolo, che produsse un’attenuazione del loro
originario, fino ad una loro piena accettazione della logica democratica,<br />
fenomeno che in una certa misura ha interessato anche alcuni partiti della nuova<br />
sinistra, alla fine del XX secolo.<br />
2<br />
FUNZIONE DI CONTROLLO SUL GOVERNO<br />
La funzione di controllo parlamentare dell’esecutivo è stata formulata in un<br />
contesto storico in cui i governi erano ancora espressione del potere monarchico,<br />
e, quindi, basati su una diversa legittimazione rispetto al parlamento. Ma la<br />
realizzazione della piena democratizzazione ha cambiato non poco le cose: la<br />
monarchia, anche dove è rimasta, è divenuta anch’essa “parlamentare”, perdendo<br />
così la maggior parte delle proprie prerogative e mantenendo delle funzioni poco<br />
più che simboliche. Di conseguenza, gli esecutivi sono stati ricondotti all’interno<br />
del circuito rappresentativo per cui governo e parlamento non sono più due<br />
entità distinte ma, al contrario, profondamente connesse.<br />
Almeno ALL’INTERNO DEI SISTEMI PARLAMENTARI, molto stretto appare così <strong>il</strong><br />
nesso fra governo e maggioranza parlamentare: da un lato <strong>il</strong> governo può essere<br />
visto come espressione della maggioranza parlamentare, dall’altro tende a dirigere<br />
politicamente <strong>il</strong> parlamento, attraverso la leadership che esercita sulla
maggioranza. Anche <strong>il</strong> personale politico delle due istituzioni tende a<br />
sovrapporsi, nel senso che le compagini ministeriali appaiono generalmente<br />
composte da parlamentari in carica. Se di controllo del governo bisogna parlare,<br />
esso non riguarda tanto <strong>il</strong> parlamento nel suo complesso, quanto le forze di<br />
opposizione. Tuttavia, non essendo possib<strong>il</strong>e “travasare” tutta la maggioranza<br />
parlamentare nel governo, vi saranno sempre dei settori marginali della<br />
maggioranza parlamentare (i cosiddetti backbencher) che, in materia di controllo<br />
del governo, tenderanno a comportarsi in modo sim<strong>il</strong>e alle opposizioni,<br />
ostacolando e ritardando l’attuazione dei programmi di governo.<br />
De tutto diverso appare <strong>il</strong> discorso per I SISTEMI PRESIDENZIALI, dove è la stessa<br />
forma di governo a determinare la separazione fra le due istituzioni, entrambe<br />
legittimate direttamente dal voto popolare: <strong>il</strong> problema del controllo appare<br />
quindi centrale in questi sistemi, soprattutto quando maggioranza parlamentare e<br />
maggioranza presidenziale non coincidono (quello che viene definito “governo<br />
diviso”). In questo caso <strong>il</strong> controllo sarà esercitab<strong>il</strong>e nelle due direzioni: <strong>il</strong><br />
parlamento eserciterà un controllo sul presidente ut<strong>il</strong>izzando i suoi poteri<br />
legislativi e di inchiesta; <strong>il</strong> presidente controllerà <strong>il</strong> parlamento ricorrendo ai suoi<br />
poteri di veto e di influenza politica.
3<br />
FUNZIONE LEGISLATIVA<br />
Quella legislativa è una funzione preminente delle assemblee parlamentari, nel<br />
senso che in tutte le costituzioni dei paesi democratici la forma di produzione<br />
legislativa di rango più elevata è attribuita al parlamento.<br />
SUL PIANO PROCEDURALE ciò significa che i provvedimenti normativi, per<br />
acquisire <strong>il</strong> rango di legge, devono seguire un iter decisionale prefissato che si<br />
svolge all’interno del parlamento. Naturalmente all’interno dei sistemi<br />
parlamentari <strong>il</strong> governo è anch’esso un soggetto parlamentare, che ha un ruolo<br />
preminente in campo legislativo. Oltre al predominio dell’iniziativa governativa<br />
rispetto a quella parlamentare nella presentazione di testi di legge da approvare in<br />
parlamento, emerge infatti un maggior tasso di successo dei disegni di legge<br />
governativi, rispetto alle proposte di legge presentate dai parlamentari.<br />
Naturalmente vi sono variazioni tra i vari paesi, per, mentre in alcuni paesi<br />
l’iniziativa parlamentare e assai bassa, in altri (come l’Italia e gli Stati Uniti) essa<br />
appare molto più r<strong>il</strong>evante (fermo restando che <strong>il</strong> tasso di successo resta inferiore a<br />
quello dell’iniziativa governativa). Un ulteriore elemento da valutare per misurare<br />
l’influenza dei parlamentari (sia dell’opposizione, che appartenenti alla stessa<br />
maggioranza governativa) è poi quello della presentazione di emendamenti alla
legislazione di iniziativa governativa.<br />
A prescindere dagli aspetti procedurali, bisogna infine notare che, SUL PIANO<br />
SOSTANZIALE, come vengono approvate le leggi non coincide necessariamente<br />
con chi effettivamente le scriva e ne determini i contenuti; anzi, i veri promotori<br />
dell’iniziativa legislativa (governativa o parlamentare) sono spesso i portavoce di<br />
un gran numero di soggetti “esterni” al parlamento, quali partiti, sindacati,<br />
gruppi di interesse e governi locali, oltre naturalmente a settori<br />
dell’amministrazione burocratica, centrale e periferica.<br />
Il forte controllo dell’esecutivo sullo svolgimento dell’attività parlamentare, e in<br />
particolare <strong>il</strong> suo protagonismo in materia legislativa, da una parte, e <strong>il</strong> peso<br />
r<strong>il</strong>evante assunto dai partiti nella gestione dei parlamenti dall’altra, è stato<br />
descritto da molti commentatori in chiave di “DECLINO DEI PARLAMENTI”. E’ una<br />
tesi che fa riferimento ad un modello ideale e dottrinario di parlamento, senza<br />
tenere in considerazione le variazioni che sul piano empirico ha subito nel tempo<br />
lo stesso rapporto fra governo, parlamento e partiti. Oggi infatti sia i partiti che <strong>il</strong><br />
governo appaiono “interni” al parlamento: gran parte della classe politica<br />
partitica è ormai parlamentarizzata, mentre l’esecutivo non è più, come alle<br />
origini, “esterno” al parlamento, ma tra da esso la propria stessa legittimazione.
3.5 GOVERNI E FORME DI GOVERNO
ISTITUZIONE GOVERNO E FUNZIONE DI GOVERNO<br />
La presenza del governo è un ELEMENTO COSTANTE DELLA POLITICA. Altre<br />
strutture come partiti, parlamenti, elezioni, apparati burocratici possono mancare,<br />
ma la presenza di uno o più luoghi dai quali si esercita l’autorità appare inerente<br />
all’esistenza stessa della politica, comunque la si definisca.<br />
Nonostante nel linguaggio comune si usi lo stesso termine, è bene distinguere <strong>il</strong><br />
GOVERNO COME ESERCIZIO DI UN’ATTIVITÀ, cioè come espletamento di una<br />
specifica FUNZIONE, dal GOVERNO COME SOGGETTO POLITICO, cioè come<br />
ISTITUZIONE. Queste due dimensioni sono strettamente connesse, ma non del<br />
tutto sovrapponib<strong>il</strong>i. Se in sistemi poco differenziati funzione e istituzione<br />
tendono a coincidere (ad esempio, nella persona del sovrano assoluto che detiene<br />
<strong>il</strong> monopolio della funzione di governo), nei sistemi più differenziati come quelli<br />
contemporanei l’istituzione governativa può condividere, sia giuridicamente che<br />
sul piano pratico, la funzione di governo anche con altre istituzioni (parlamenti,<br />
autorità indipendenti, istituzioni giudiziarie, ecc.).<br />
LA FUNZIONE DI GOVERNO<br />
Il termine “governo” deriva dal greco kubernao, che significa “dirigere con <strong>il</strong><br />
timone”. La metafora del timoniere (evocando l’immagine di chi guida la nave,<br />
assumendosi nei confronti dei propri compagni la responsab<strong>il</strong>ità di mantenere la
otta e di proteggerli dagli imprevisti della navigazione) così come altre metafore<br />
dello stesso tipo (<strong>il</strong> pastore del gregge, <strong>il</strong> padre di famiglia, <strong>il</strong> condottiero di un<br />
esercito), tutte di ORIGINE PRE-DEMOCRATICA, sottolineano la convergenza in<br />
uno stesso individuo dell’esercizio di un’autorità suprema nonché della<br />
responsab<strong>il</strong>ità, nei confronti dei sottoposti, per <strong>il</strong> modo in cui tale autorità viene<br />
gestita.<br />
L’EPOCA LIBERALDEMOCRATICA, dove la legittimazione all’esercizio della<br />
sovranità deriva dal popolo, ha sv<strong>il</strong>uppato un linguaggio costituzionale in cui <strong>il</strong><br />
governo viene definito come “potere esecutivo”, per sottolineare la<br />
subordinazione del governo alla legge in uno stato di diritto. Ne deriva la<br />
designazione delle due principali istituzioni politiche (parlamento e governo) come<br />
“LEGISLATIVO” e “ESECUTIVO”. Questa netta separazione presente nel<br />
linguaggio costituzionale non appare però realistica. Infatti:<br />
• alcune attività dei governi (come la politica estera o la politica monetaria) non<br />
possono essere considerate come immediatamente discendenti dalla<br />
legislazione;<br />
• La funzione di iniziativa legislativa è svolta in gran parte dai governi (nel nostro<br />
paese i disegni di legge, di origine governativa, che si contrappongono alle<br />
proposte di legge, di origine parlamentare; per non parlare dei decreti-legge,<br />
immediatamente operativi, sempre più massicciamente usati dal governo al di là<br />
delle previste condizioni di necessità ed urgenza); inoltre <strong>il</strong> governo, esercitando <strong>il</strong>
suo ruolo di guida all’interno delle stesse assemblee legislative, finisce per essere<br />
l’artefice della stessa attività legislativa.<br />
Quindi, nei regimi liberaldemocratici, piuttosto che mera esecuzione di<br />
un’attività legislativa (nella quale, invece, appare direttamente coinvolto), la<br />
funzione del governo può essere semmai considerata come “delimitata e<br />
regolamentata dalla legge”.<br />
Per quanto riguarda I CONTENUTI CONCRETI DELLA FUNZIONE DI GOVERNO,<br />
appare molto diffic<strong>il</strong>e definirli una volta per tutte, vista l’estrema variab<strong>il</strong>ità delle<br />
attività che a tale funzione possono essere ricondotte. A periodi in cui l’attività di<br />
governo si espande a dismisura nei campi più diversi, si contrappongono infatti<br />
periodi (come quello attuale) in cui <strong>il</strong> governo tende a diminuire i propri interventi,<br />
restituendo molte attività alla libera azione del mercato e di enti privati. Restano<br />
tuttavia due attività fondamentali che in qualsiasi epoca <strong>il</strong> governo deve<br />
esercitare perché possa esistere la politica stessa: la TUTELA DELLA COMUNITÀ<br />
POLITICA DALLE MINACCE ESTERNE e <strong>il</strong> MANTENIMENTO DELL’UNITÀ INTERNA<br />
DELLA STESSA COMUNITÀ POLITICA. Non a caso queste due funzioni sono<br />
direttamente collegate con l’uso della forza, sia contro i nemici esterni, che per<br />
mantenere l’ordine interno.<br />
La garanzia armata (basata sull’esercito e sulla polizia) posta a tutela di queste<br />
due funzioni “minime” del governo non deve però far ritenere che tali funzioni<br />
possano svolgersi solamente attraverso modalità di tipo coercitivo. Esistono
anche modi, altrettanto importanti, di assolvere queste funzioni che hanno invece a<br />
che fare con modalità pacifiche:<br />
ELEMENTI<br />
COSTANTI<br />
DELLA<br />
FUNZIONE<br />
DI<br />
GOVERNO<br />
PROBLEMA DELLA GUERRA E DELLA PACE<br />
(Mantenimento dell’unità della comunità politica<br />
verso l’esterno)<br />
• IN NEGATIVO: uso della forza m<strong>il</strong>itare degli<br />
eserciti.<br />
• IN POSITIVO: attività diplomatiche, economiche e<br />
commerciali nei confronti degli altri stati (Si veda,<br />
ad esempio, la crescita del processo di integrazione<br />
europeo e la connessa rinuncia alla guerra come<br />
mezzo di risoluzione dei conflitti tra stati).<br />
PROBLEMA DELL’ORDINE, DELL’INTEGRAZIONE E<br />
DELLA PACE INTERNA<br />
(Tutela dell’unità interna della comunità politica)<br />
• IN NEGATIVO: azioni di polizia.<br />
• IN POSITIVO: prestazioni del moderno welfare<br />
state (e connessa integrazione delle classi<br />
subalterne con conseguente moderazione del<br />
conflitto sociale).
Tenute ferme queste due costanti della funzione di governo, i contenuti di tale<br />
funzione variano notevolmente, sia nel tempo che dal paese a paese, sia sul<br />
piano quantitativo che sul piano qualitativo.<br />
SUL PIANO QUANTITATIVO, <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio statale mostra l’entità dell’azione del<br />
governo in termini di ut<strong>il</strong>izzo di risorse finanziarie. La misurazione più tradizionale a<br />
cui si ricorre è <strong>il</strong> rapporto tra b<strong>il</strong>ancio statale e PIL (prodotto interno lordo), che<br />
rappresenta <strong>il</strong> rapporto tra le risorse del governo e le risorse della società nel suo<br />
complesso. In questi termini è r<strong>il</strong>evab<strong>il</strong>e una forte crescita dell’intervento statale<br />
che, nell’area occidentale, ha fatto crescere i b<strong>il</strong>anci pubblici nel corso del secolo<br />
passato dal 10-15% al 35-50% del reddito nazionale. Questa forte crescita ha subito<br />
un rallentamento o addirittura una inversione negli ultimi anni. Ma l’azione del<br />
governo non è riducib<strong>il</strong>e alla sua dimensione monetaria. Vi sono altre attività<br />
altrettanto importanti (comando, regolazione, ecc.) che hanno solo una indiretta<br />
ripercussione sul b<strong>il</strong>ancio dello stato, quando comportano anche una mob<strong>il</strong>itazione<br />
di risorse finanziarie.<br />
SUL PIANO QUALITATIVO è poi possib<strong>il</strong>e esaminare come è cambiata la<br />
composizione della spesa pubblica nel passaggio, nel corso degli ultimi due secoli,<br />
dallo stato minimo, allo stato produttore, allo stato sociale, caratterizzati<br />
rispettivamente dalla prevalenza delle attività tradizionali di governo (difesa e<br />
ordine interno), dalla crescita dell’intervento nell’economia e delle prestazioni<br />
sociali dello Stato e, infine, dalla crescita ulteriore dei servizi sociali che ha portato
la spesa pubblica per questo solo settore a sopravanzare quella per tutti gli altri<br />
settori di intervento. Riflettendo su questi dati, ci si è interrogati sulle ragioni della<br />
crescita della funzione di governo, nonché sulla crisi a cui è andata incontro la<br />
“crescita del governo” negli ultimi decenni:<br />
RAGIONI DELLA<br />
CRESCITA DELLA<br />
FUNZIONE DI<br />
GOVERNO<br />
MODELLI<br />
ECONOMICI<br />
MODELLI<br />
POLITICO -<br />
ISTITUZIONALI<br />
COSTRUZIONE<br />
DELLO STATO<br />
COSTRUZIONE<br />
DELLA NAZIONE<br />
Crescenti esigenze di “governo pubblico”<br />
determinate dal processo di<br />
industrializzazione e dal decollo<br />
dell’economia moderna.<br />
Competizione fra Stati e<br />
conseguenti esigenze di<br />
organizzazione m<strong>il</strong>itare e di<br />
estrazione delle necessarie<br />
risorse economiche per poter<br />
sostenere gli sforzi bellici.<br />
Sv<strong>il</strong>uppo del welfare state in<br />
stretta connessione con le<br />
esigenze di legittimazione delle<br />
classi politiche di governo e con<br />
la crescente pressione<br />
derivante dalla partecipazione<br />
democratica.
CRISI DI<br />
“GOVERNABILITA’”<br />
I crescenti problemi posti ai governi dall’enorme<br />
sv<strong>il</strong>uppo delle responsab<strong>il</strong>ità pubbliche nei sistemi<br />
politici democratici ha sv<strong>il</strong>uppato, a partire da un<br />
famoso studi della metà degli anni settanta, sulla<br />
cosiddetta “CRISI DI GOVERNABILITÀ”, un vasto<br />
dibattito che mette in evidenza la difficoltà dei governi<br />
a reggere al crescente sovraccarico di domande della<br />
società al sistema politico. La risposta in chiave<br />
neoliberista a questo squ<strong>il</strong>ibrio tra aspettative della<br />
società è capacità dei governi di farvi fronte è stata<br />
quella della “riscoperta del mercato”, e quindi di una<br />
soluzione di tale crisi operando sul versante degli input,<br />
attraverso una diminuzione del flusso delle domande e<br />
lasciando ad altri meccanismi sociali <strong>il</strong> compito di<br />
risolvere una parte dei probemi umani (in questo senso<br />
può essere letta, tra l’altro, l’evoluzione del cosiddetto<br />
“terzo settore” im questi ultimi anni). Altri ritengono,<br />
invece, che bisogna agire sul versante degli output,<br />
razionalizzando e qualificando la spesa pubblica,<br />
senza per questo diminuire in maniera drastica gli<br />
interventi sociali dei governi.
ANTECEDENTI DELLE ISTITUZIONI DI GOVERNO CONTEMPORANEE<br />
Nei regimi liberaldemocratici LA STRUTTURA DEL GOVERNO è quella che<br />
comprende <strong>il</strong> capo del governo e i suoi ministri (questi ultimi preposti alla guida<br />
politica di diversi ampi ambiti dell’amministrazione pubblica). Oltre al cerchio<br />
definito dal Consiglio dei ministri, la struttura governativa si estende poi, in cerchi<br />
concentrici, ad una fascia di governanti di secondo livello: dai sottosegretari, ai<br />
consiglieri politici a gli alti burocrati di designazione politica. Questa struttura delle<br />
istituzioni di governo affonda le proprie radici in DUE GRANDI PROCESSI STORICI<br />
CHE HANNO ACCOMPAGNATO IL PASSAGGIO, LUNGO L’ARCO DI DIVERSI SECOLI,<br />
DAI REGIMI MONARCHICI TRADIZIONALI AI REGIMI LIBERALDEMOCRATICI: <strong>il</strong><br />
processo di accentramento politico ed <strong>il</strong> mutamento delle basi di legittimità delle<br />
istituzioni di governo. Bisogna inoltre sottolineare che la pluralità di opzioni<br />
istituzionali riscontrab<strong>il</strong>e nelle attuali forme di governo democratiche non sorge dal<br />
nulla ma, al contrario, trova un forte ancoraggio nel passato nei precedenti regimi<br />
monarchici: pur con r<strong>il</strong>evanti modificazioni e re-interpretazioni, infatti, LE ATTUALI<br />
ISTITUZIONI DI GOVERNO APPAIONO UN ADATTAMENTO ALLA REALTÀ<br />
DEMOCRATICA DELLE PRECEDENTI ISTITUZIONI MONARCHICHE: in questo senso si<br />
può individuare una significativa derivazione della forma di governo parlamentare<br />
dalla monarchia parlamentare, del presidenzialismo dalla monarchia<br />
costituzionale e del semi-presidenzialismo dalla cosiddetta monarchia orleanista.
PROCESSO DI ACCENTRAMENTO POLITICO<br />
MONARCHIA<br />
PREMODERNA<br />
Natura essenzialmente pluralistica della monarchia feudale<br />
e dello Stato per ceti: struttura di co-governo sotto forma<br />
di organi collegiali nei quali erano rappresentati i poteri<br />
fortemente autonomi della società medioevale.<br />
MONARCHIA<br />
MODERNA<br />
Strutture di governo che si configurano sempre più come<br />
<strong>il</strong> braccio esecutivo di un potere accentrato nella persona<br />
del sovrano. Questa trasformazione è collegata allo<br />
sv<strong>il</strong>uppo dei grandi apparati burocratici dello stato<br />
moderno, di cui <strong>il</strong> governo diventa lo strumento politico –<br />
organizzativo di coordinamento.
TRASFORMAZIONE DELLE BASI DI LEGITTIMITA’ DEI<br />
REGIMI POLITICI<br />
MONARCHIA<br />
MEDIOEVALE<br />
MONARCHIA<br />
ASSOLUTA<br />
Base dualistica di legittimità delle istituzioni di governo:<br />
relativa autonomia di feudatari e ceti rispetto alla<br />
monarchia.<br />
Base monistica di legittimità del governo, in conseguenza<br />
del monopolio monarchico del potere politico. Nessuna<br />
struttura collegiale del governo, ma relazioni b<strong>il</strong>aterali fra<br />
sovrano e singoli ministri, con <strong>il</strong> ruolo di consiglieri del<br />
sovrano ed esecutori dei suoi ordini nei rispettivi campi<br />
funzionali.<br />
Stretta relazione fra monarchia e apparato<br />
amministrativo burocratico, che fornisce al sovrano le<br />
risorse indispensab<strong>il</strong>i per affermare <strong>il</strong> proprio ruolo<br />
unificante e standardizzante sopra grandi unità territoriali.<br />
La struttura di governo diventa strumento essenziale per <strong>il</strong><br />
funzionamento dell’apparato burocratico, attraverso una<br />
progressiva specializzazione funzionale del governo in<br />
dicasteri, preposti ai vari rami dell’amministrazione.
MONARCHIA<br />
COSTITUZIONALE<br />
Fase dualistica, nella quale si contrappongono due<br />
centri di legittimazione: <strong>il</strong> sovrano e <strong>il</strong> parlamento.<br />
CAMBIA LA COLLOCAZIONE SISTEMICA DEL<br />
GOVERNO, che appare soggetto ad una duplice<br />
responsab<strong>il</strong>ità politica:<br />
• verso <strong>il</strong> sovrano, che mantiene <strong>il</strong> potere di nomina<br />
dei ministri;<br />
• verso <strong>il</strong> parlamento, che assume <strong>il</strong> controllo delle<br />
risorse finanziarie e della legislazione, e dalla cui<br />
fiducia politica <strong>il</strong> governo dipende sempre più.<br />
CAMBIA ANCHE LA FORMA DEL GOVERNO:<br />
l’esigenza di far fronte comune di fronte al<br />
parlamento porta allo sv<strong>il</strong>uppo in senso collegiale<br />
dell’istituzione e all’affermarsi della figura del primo<br />
ministro, come elemento dirigente e unificante<br />
dell’azione di governo.
FORME DI<br />
TRANSIZIONE<br />
La fase di transizione allo stadio successivo ha<br />
vissuto in alcuni paesi diverse crisi (soprattutto in<br />
Francia, nelle vicende della “monarchia orleanista”),<br />
dovute alle contrapposizioni fra monarchia e<br />
parlamento. Il controllo sul governo, conteso fra le<br />
due istituzioni, è così all’origine di GRAVI CONFLITTI<br />
COSTITUZIONALI:<br />
• scioglimenti anticipati del parlamento da parte del<br />
sovrano;<br />
• rifiuto del sovrano di accettare le dimissioni di un<br />
governo sfiduciato alle camere;<br />
• dimissionamento di un governo che godeva della<br />
fiducia parlamentare;<br />
• completa rottura fra monarchia e parlamento, che<br />
porta in alcuni paesi all’abolizione della stessa<br />
monarchia.
MONARCHIA<br />
PARLAMENTARE<br />
EVOLUZIONI<br />
SUCCESSIVE<br />
Superamento del dualismo delle fonti di legittimazione<br />
del governo, con la PIENA AFFERMAZIONE DELLA<br />
LEGITTIMAZIONE ELETTORALE - PARLAMENTARE.<br />
Laddove l’istituto stesso della monarchia non viene<br />
abolito, <strong>il</strong> ruolo del sovrano viene drasticamente<br />
depotenziato, fino ad assumere caratteri meramente<br />
simbolici. Il governo viene così pienamente<br />
“risucchiato” in parlamento, fino ad identificarsi con la<br />
maggioranza parlamentare.<br />
Una volta risolto <strong>il</strong> problema del rapporto con <strong>il</strong> potere<br />
monarchico, l’evoluzione delle istituzioni di governo<br />
appare connessa a DUE PRINCIPALI FATTORI:<br />
• <strong>il</strong> rapporto con i partiti, che emergono come attori<br />
fondamentali della competizione politica,<br />
“colonizzando” le istituzioni di governo sul piano<br />
politico-rappresentativo;<br />
• la crescita del governo come istituzione, che vede <strong>il</strong><br />
passaggio dallo stato minimo ottocentesco (con pochi<br />
ministri) ai grandi apparati ministeriali e alla crescita<br />
delle “burocrazie parallele” nel welfare state.
ANALOGIE FRA LE FORME DI GOVERNO DEMOCRATICHE E QUELLE<br />
MONARCHICHE<br />
1) DERIVAZIONE DEL PARLAMENTARISMO DALLA MONARCHIA PARLAMENTARE<br />
MONARCHIA PARLAMENTARE<br />
PARLAMENTARISMO<br />
SOVRANO<br />
PRESIDENTE<br />
Legame di<br />
fiducia<br />
GOVERNO<br />
Passaggio della<br />
titolarità del<br />
potere di<br />
scioglimento dal<br />
re al governo<br />
Elezione<br />
parlamentare<br />
del Presidente<br />
GOVERNO<br />
Legame di<br />
fiducia<br />
Titolare del<br />
potere di<br />
scioglimento:<br />
<strong>il</strong> Presidente<br />
o <strong>il</strong> Primo<br />
ministro<br />
PARLAMENTO<br />
PARLAMENTO<br />
CORPO ELETTORALE<br />
CORPO ELETTORALE
2) DERIVAZIONE DEL PRESIDENZIALISMO DALLA MONARCHIA COSTITUZIONALE<br />
MONARCHIA COSTITUZIONALE<br />
PRESIDENZIALISMO<br />
SOVRANO<br />
Potere di nomina<br />
dei ministri<br />
Controllo del<br />
Parlamento sulle risorse<br />
finanziarie e sulla<br />
produzione legislativa<br />
GOVERNO<br />
PARLAMENTO<br />
Potere di<br />
scioglimento e<br />
“sanzione regia”<br />
PRESIDENTE<br />
(Capo dello Stato<br />
e dell’esecutivo)<br />
Il Presidente non può sciogliere <strong>il</strong><br />
Parlamento e <strong>il</strong> Parlamento non<br />
può sfiduciare <strong>il</strong> Presidente<br />
PARLAMENTO<br />
Potere legislativo e di inchiesta<br />
parlamentare / influenza politica<br />
e potere di veto presidenziale<br />
CORPO ELETTORALE<br />
CORPO ELETTORALE
3) DERIVAZIONE DEL SEMIPRESIDENZIALISMO DALLA MONARCHIA ORLEANISTA<br />
MONARCHIA ORLEANISTA<br />
SEMIPRESIDENZIALISMO<br />
SOVRANO<br />
PRESIDENTE<br />
Potere di<br />
nomina<br />
Legame di<br />
fiducia<br />
GOVERNO<br />
Potere regio<br />
di<br />
scioglimento<br />
Potere di<br />
nomina<br />
Legame di<br />
fiducia<br />
GOVERNO<br />
Potere<br />
presidenziale<br />
di<br />
scioglimento<br />
PARLAMENTO<br />
PARLAMENTO<br />
CORPO ELETTORALE<br />
CORPO ELETTORALE
LE FORME DI GOVERNO NELLA MODELLISTICA COSTITUZIONALE<br />
Se nel passato (a partire dalla classica tripartizione aristotelica delle forme<br />
“buone” e “cattive” del governo di uno, di pochi, o di molti individui) con “FORME<br />
DI GOVERNO” si intendevano i diversi regimi politici (monarchia, aristocrazia,<br />
democrazia), oggi la Scienza politica quando usa questa espressione si riferisce ai<br />
diversi modi di organizzare i rapporti tra le principali istituzioni politiche<br />
nell’ambito di un unico tipo di regime, quello democratico.<br />
L’emancipazione del governo dal potere monarchico e <strong>il</strong> suo inserimento nella<br />
sfera della rappresentanza politica (nel lungo tragitto che dalla monarchia<br />
assoluta ha portato alla monarchia parlamentare o, nella maggior parte dei casi, a<br />
regimi democratici repubblicani) non hanno però prodotto una soluzione<br />
istituzionale univoca. Nei sistemi politici liberaldemocratici è infatti possib<strong>il</strong>e<br />
individuare una pluralità di forme di governo che, partendo dalla distinzione di<br />
fondo tra governo parlamentare e governo presidenziale, consente poi di<br />
esaminare delle ulteriori varianti, rispetto all’iniziale bipartizione.<br />
Due sono le dimensioni incrociando le quali si può costruire (sul piano del loro<br />
assetto costituzionale) UNA TIPOLOGIA DELLE FORME DI GOVERNO<br />
DEMOCRATICHE:<br />
<strong>il</strong> tipo di LEGITTIMAZIONE DEL GOVERNO (DIRETTA O INDIRETTA);<br />
<strong>il</strong> tipo di STRUTTURA DELL’ESECUTIVO (MONOCRATICA O COLLEGIALE).
Se la distinzione di fondo è quella fra <strong>il</strong> PARLAMENTARISMO (con governo a<br />
legittimazione parlamentare e struttura collegiale) e <strong>il</strong> PRESIDENZIALISMO (con<br />
un governo a struttura monocratica e legittimazione direttamente popolare), la<br />
tipologia consente altre due possib<strong>il</strong>ità: una forma di governo collegiale a<br />
legittimazione diretta e una forma di governo monocratico a legittimazione<br />
indiretta. Mentre la prima variante ha scarsi riscontri empirici (limitati a lontane e<br />
brevi esperienze in Uruguay e a Cipro, o riferib<strong>il</strong>i al fatto che in alcuni<br />
presidenzialismo latino-americani viene eletto direttamente anche <strong>il</strong> vicepresidente),<br />
la seconda variante è ben più r<strong>il</strong>evante empiricamente,<br />
comprendendo <strong>il</strong> caso del GOVERNO DEL PREMIER e del CANCELLIERATO, che, pur<br />
essendo normalmente assim<strong>il</strong>ati al parlamentarismo, praticano in effetti<br />
significative forme di rafforzamento del Capo del governo rispetto agli altri<br />
ministri.<br />
PRESIDENZIALISMO<br />
• La formula di legittimazione diretta del capo dell’esecutivo attraverso l’elezione<br />
popolare espressa dal PRESIDENZIALISMO appare praticamente confinata al<br />
continente americano, e trova la sua massima espressione negli Stati Uniti. Ragioni<br />
storiche (le precedenti esperienze dell’assolutismo monarchico) e legate alle
caratteristiche dei partiti politici hanno reso infatti questa forma di governo non<br />
adatta al continente europeo. Negli Stati Uniti l’elezione del Presidente è<br />
apparentemente indiretta, perché passa attraverso <strong>il</strong> f<strong>il</strong>tro di un collegio elettorale<br />
composto dai cosiddetti “grandi elettori” per ogni singolo stato (ogni stato ne<br />
detiene un numero pari ai suoi rappresentanti nei due rami del Congresso): di<br />
fatto, però, la funzione di questi ultimi è oggi puramente formale e la mediazione<br />
del collegio elettorale può essere considerata un puro metodo di computo dei<br />
voti popolari. Ciò che caratterizza maggiormente <strong>il</strong> Presidenzialismo è che, in virtù<br />
della forte legittimazione (legata al voto popolare) sia del Parlamento che del<br />
Presidente (che è anche <strong>il</strong> capo dell’esecutivo) esso costituisce un sistema<br />
dualistico, basato sulla “separazione dei poteri” fra i due principali organi<br />
istituzionali. Ciò significa che <strong>il</strong> mandato del Presidente e quello dei componenti<br />
del Congresso sono indipendenti l’uno dall’altro: <strong>il</strong> Congresso non può sfiduciare <strong>il</strong><br />
Presidente, così come <strong>il</strong> presidente non può sciogliere <strong>il</strong> Congresso. Un sistema di<br />
questo genere, se da un lato si caratterizza per una stab<strong>il</strong>ità dell’esecutivo<br />
istituzionalmente predeterminata, dall’altro determina una maggiore rigidità<br />
istituzionale, non esistendo meccanismi procedurali (come accade invece nella<br />
forma di governo parlamentare) per risolvere conflitti non mediab<strong>il</strong>i tra capo<br />
dell’esecutivo e forze politiche parlamentari.<br />
• Per quanto riguarda poi la struttura dell’esecutivo, in conseguenza della sua<br />
elezione diretta <strong>il</strong> Presidente appare chiaramente sovraordinato rispetto ai suoi
ministri: <strong>il</strong> Presidente è costituzionalmente <strong>il</strong> potere esecutivo, tanto che la<br />
presidenza, in quanto organismo istituzionale distinto dal presidente, non è<br />
neppure menzionata dalla costituzione. In conseguenza del carattere monocratico<br />
della carica presidenziale, la struttura del governo assume così una forma<br />
tipicamente “stratarchica”, esprimendo diversi livelli di governo che<br />
comprendono, oltre ai diretti responsab<strong>il</strong>i politici dei diversi rami<br />
dell’amministrazione (la “presidenza dipartimentale”) e alla possib<strong>il</strong>ità di mettere<br />
propri uomini a capo delle numerose agenzie di regolamentazione amministrativa<br />
attraverso <strong>il</strong> cosiddetto spo<strong>il</strong>s system (la “presidenza amministrativa”), anche una<br />
serie di consiglieri personali del presidente (che, a loro volta, costituiscono <strong>il</strong> livello<br />
della “presidenza personale”).<br />
PARLAMENTARISMO<br />
• Al contrario del presidenzialismo, <strong>il</strong> PARLAMENTARISMO è caratterizzato dalla<br />
legittimazione indiretta dell’esecutivo, essendo <strong>il</strong> nesso tra governo ed elettorato<br />
mediato dal parlamento. Qui i mandati del legislativo e dell’esecutivo appaiono<br />
caratterizzati da un sistema monistico di fusione dei poteri: da un lato, infatti, la<br />
sopravvivenza dei governi dipende da un legame di fiducia (o perlomeno di non
sfiducia) con la maggioranza parlamentare, dall’altro anche <strong>il</strong> parlamento in carica<br />
può durare fino alla scadenza naturale del suo mandato solo se è in grado di<br />
esprimere una maggioranza di governo, in caso contrario è prevista la possib<strong>il</strong>ità di<br />
scioglimento anticipato del parlamento e di ricorso ad elezioni anticipate.<br />
Nelle forme di governo parlamentari la selezione di chi governa (potere di<br />
nomina) e <strong>il</strong> conferimento della legittimazione a governare non sono<br />
necessariamente momenti coincidenti sul piano istituzionale. Per quanto<br />
riguarda <strong>il</strong> POTERE DI NOMINA, esso spetta in molti casi ad un organo esterno al<br />
parlamento (<strong>il</strong> sovrano nelle monarchie parlamentari, <strong>il</strong> presidente della<br />
repubblica negli stati repubblicani): ciò è dovuto all’esigenza di disporre di un<br />
organo capace, per <strong>il</strong> suo basso grado di politicità, di svolgere un’opera di<br />
consultazione e di raccordo fra gli attori politici partigiani, tutelando <strong>il</strong> rispetto<br />
delle regole procedurali poste a garanzia della stessa competizione partitica. In<br />
presenza di un chiaro quadro politico che esprime una netta maggioranza<br />
parlamentare, i margini di manovra di questo potere di nomina appaiono ristretti;<br />
nel caso invece di un quadro politico fortemente frammentato e della necessità di<br />
formare dei governi di coalizione, <strong>il</strong> potere di nomina può invece acquisire margini<br />
di manovra ben più ampi. Per quanto riguarda <strong>il</strong> POTERE DI SCIOGLIMENTO<br />
ANTICIPATO DEL PARLAMENTO, fa differenza se tale potere (che spetta<br />
formalmente al sovrano o al presidente della repubblica) cade sotto l’influenza
politica del governo, come accade oggi in Ingh<strong>il</strong>terra: in questo caso esso diventa<br />
un significativo strumento per esercitare un’influenza sulle forze parlamentari).<br />
Il conferimento della LEGITTIMITÀ POLITICA A GOVERNARE dipende invece dal<br />
parlamento attraverso l’espressione del legame di fiducia, in forma esplicita o in<br />
forma implicita: nel primo caso è previsto sia un atto positivo di conferimento<br />
della legittimazione (voto di fiducia), sia un atto negativo di sottrazione della<br />
stessa (voto di sfiducia); nel secondo caso è prevista solo questa seconda<br />
procedura.<br />
• Per quanto riguarda la struttura interna del governo, <strong>il</strong> parlamentarismo è<br />
caratterizzato da un GOVERNO DI TIPO COLLEGIALE AD UN SOLO LIVELLO, dove<br />
tutti i componenti del “gabinetto governativo”, i ministri e <strong>il</strong> capo del governo, si<br />
collocano sostanzialmente sullo stesso piano rispetto alla fonte di legittimazione<br />
parlamentare, ferma restando la funzione di coordinamento, dettata dalle<br />
esigenze di funzionalità di un organo collegiale, esercitata dal capo del governo. E’<br />
proprio su quest’ultimo punto, però, che alcune forme di governo formalmente<br />
parlamentari si differenziano per un significativo rafforzamento (di fatto, o frutto<br />
di apposite correzioni istituzionali) apportato alla posizione del capo del governo,<br />
tanto da farle considerare come delle forme di governo a parte, rispetto sia al<br />
presidenzialismo che al parlamentarismo.
GOVERNO DEL PREMIER E CANCELLIERATO<br />
Pur essendo formalmente delle forme di governo parlamentari, <strong>il</strong> GOVERNO DEL<br />
PREMIER in Ingh<strong>il</strong>terra e <strong>il</strong> CANCELLIERATO tedesco presentano delle significative<br />
differenze rispetto alla struttura del governo, che appare sostanzialmente<br />
monocratica.<br />
‣ NEL CASO INGLESE, IL POTERE DEL CAPO DEL GOVERNO È RAFFORZATO DI<br />
FATTO: <strong>il</strong> premier è a capo contemporaneamente di un governo monopartitico e<br />
della relativa maggioranza parlamentare (che appare rafforzata, in termini di<br />
seggi, in virtù del sistema elettorale uninominale, in presenza di un sistema<br />
bipartitico): così la sua autorità sia sul parlamento che sul governo appare molto<br />
elevata (almeno fin quando egli mantiene <strong>il</strong> controllo del proprio <strong>partito</strong>). Sul<br />
piano psicologico, inoltre, anche se non eletto direttamente è come se lo fosse, e<br />
<strong>il</strong> suo potere di governo ne risulta ulteriormente rafforzato. In più, anche <strong>il</strong> potere<br />
di scioglimento anticipato del parlamento è sostanzialmente nelle sue mani.<br />
‣ NEL CASO TEDESCO, è stata realizzata una RAZIONALIZZAZIONE DEL<br />
PARLAMENTARISMO, da un canto attraverso delle correzioni istituzionali al<br />
modello collegiale di governo parlamentare che prevedono una esplicita<br />
investitura parlamentare del solo cancelliere (attribuendogli così una preminenza<br />
rispetto ai suoi ministri); dall’altro attraverso l’introduzione dell’istituto della
sfiducia costruttiva, che rende più diffic<strong>il</strong>e “dimissionare” un cancelliere in assenza<br />
di una chiara maggioranza alternativa in parlamento.<br />
FORME IBRIDE DI GOVERNO: SEMI-PRESIDENZIALISMO<br />
E PREMIERATO<br />
Oltre ai due modelli classici del presidenzialismo e del parlamentarismo (e alle<br />
significative variazioni del parlamentarismo costituite dal governo del premier e<br />
dal cancellierato) vanno prese in considerazione due ulteriori forme di governo<br />
definite “ibride”, perché, in base al verificarsi di differenti condizioni politiche,<br />
tendono a spostarsi verso l’una o l’altra delle due forme originarie.<br />
Il SEMI-PRESIDENZIALISMO è una forma di governo che è presente (in modo<br />
più o meno efficace) in alcuni paesi europei, ma che trova in Francia la sua<br />
espressione paradigmatica. Se da un canto esso presenta alcune caratteristiche del<br />
presidenzialismo, quale l’elezione diretta del capo dello Stato (con un ruolo non<br />
solo rappresentativo, ma anche di governo), dall’altro prevede anche la figura di<br />
un capo del governo che dipende, come nel parlamentarismo, dalla fiducia del<br />
parlamento. Si tratta dunque di una forma di governo dualista che, come nella<br />
monarchia costituzionale (soprattutto nella sua versione orleanista) vede <strong>il</strong><br />
governo sospeso tra due diverse fonti di legittimazione: quella derivante dalla<br />
nomina presidenziale (che assume un carattere pienamente politico, e non
notar<strong>il</strong>e, vista la forte legittimazione popolare del presidente della repubblica,<br />
derivante dalla sua elezione diretta) e quella che dipende dalla fiducia<br />
parlamentare. La presenza di un ESECUTIVO “BICEFALO” non ha però di fatto<br />
impedito di funzionare al semipresidenzialismo francese: esso appare anzi più<br />
flessib<strong>il</strong>e dello stesso sistema presidenziale statunitense (nel caso del “governo<br />
diviso”, cioè quando esiste una maggioranza parlamentare diversa da quella<br />
presidenziale). Mentre infatti <strong>il</strong> sistema presidenziale rischia di rimanere bloccato<br />
da maggioranze “divise” (e se ciò non accade negli Stati uniti è in virtù di<br />
particolari condizioni politiche di quel paese, dovute soprattutto alle<br />
caratteristiche dei partiti politici), <strong>il</strong> sistema semi-presidenziale prevede a livello<br />
costituzionale due possib<strong>il</strong>i soluzioni a questa situazione: una forzatura<br />
presidenziale realizzata grazie al potere di scioglimento del parlamento e tesa a<br />
riportare <strong>il</strong> parlamento, attraverso nuove elezioni, in linea con la maggioranza<br />
presidenziale; una coabitazione tra la presidenza ed un governo a base<br />
parlamentare divergente, che prevede <strong>il</strong> ripiegamento del presidente in un ruolo<br />
meno politico. Insomma, in base al mutare delle condizioni politiche di fondo, <strong>il</strong><br />
semi-presidenzialismo tenderà ad osc<strong>il</strong>lare verso la forma presidenziale di<br />
governo o, al contrario, verso la forma parlamentare. La variab<strong>il</strong>e di fondo che<br />
consente, dal punto di vista costituzionale, di definire un sistema<br />
semipresidenziale sono i notevoli poteri attribuiti al capo dello stato, soprattutto<br />
in tema di politica estera.
Nel caso in cui questi poteri non siano previsti, la mera elezione diretta del<br />
presidente della repubblica darà luogo ad un un sistema che resta sostanzialmente<br />
parlamentare: è questa la situazione di molti paesi come l’Austria, la Bulgaria, la<br />
Finlandia (dopo <strong>il</strong> 1994) o la Polonia (dopo <strong>il</strong> 1997). Se invece questi poteri sono<br />
r<strong>il</strong>evanti, si potrà parlare allora di un sistema realmente semipresidenzialistico: è <strong>il</strong><br />
caso, oltre della Francia, della Finlandia (fino al 1994), del Portogallo (fino al 1982),<br />
della Polonia (fino al 1997) e dell’Ucraina.<br />
Dell’altra forma ibrida di governo, <strong>il</strong> PREMIERATO, è esistito un solo caso, quello<br />
di Israele: un’esperienza poco soddisfacente la cui applicazione è durata solo otto<br />
anni (1996-2003). Questa forma prevedeva la legittimazione diretta, attraverso<br />
l’elezione popolare, di un capo del governo (che non coincide però con <strong>il</strong> capo<br />
dello Stato). Il governo deve però sottoporsi alla fiducia parlamentare, per cui,<br />
nonostante l’investitura popolare del premier, <strong>il</strong> sistema continua ad essere<br />
assemlea-dipendente: la solidità del governo continua cioè a dipendere dalla<br />
solidità della maggioranza parlamentare. Anche se a b<strong>il</strong>anciare <strong>il</strong> potere di sfiducia<br />
del parlamento al capo del governo viene attribuito <strong>il</strong> potere di scioglimento<br />
dell’assemblea parlamentare, in caso ut<strong>il</strong>izzi tale potere anch’egli deve sottoporsi ad<br />
una nuova verifica elettorale. Nei fatti questo sistema si è tradotto in un’alta<br />
instab<strong>il</strong>ità governativa, visto che nel volgere di pochi anni è andato incontro a ben<br />
due elezioni anticipate: nel 1999 (elezioni doppie, sia del parlamento che del capo<br />
del governo, e nel 2001 (elezione del solo capo del governo). Alla fine è stato<br />
abbandonato.
Collegiale<br />
Struttura<br />
Monocratica<br />
FORME DI GOVERNO SEMPLICI E IBRIDE<br />
Legittimazione<br />
Popolare (diretta)<br />
Parlamentare (indiretta)<br />
•<br />
•<br />
•<br />
•<br />
•<br />
•<br />
•
ASSETTI CONCRETI DELLE FORME DI GOVERNO NELLA REALTA’<br />
POLITICA<br />
Se ci si arresta al piano meramente costituzionale dei rapporti tra le principali<br />
istituzioni politiche, la descrizione delle forme di governo delle odierne<br />
liberaldemocrazie appare inadeguata a cogliere gli aspetti sostanziali dei governi<br />
democratici. Questo perché:<br />
la RAPPRESENTAZIONE DI GOVERNO E PARLAMENTO COME SOGGETTI<br />
DISTINTI E CONTRAPPOSTI, risalente all’epoca monarchica in cui esisteva una<br />
legittimazione dualistica (dall’alto e dal basso) di questi due organi, non appare<br />
oggi rispondente alla realtà, tranne in parte nei sistemi presidenziali, che<br />
mantengono una forte distinzione fra i circuiti di legittimazione delle due<br />
istituzioni.<br />
<strong>il</strong> RIFERIMENTO AI PARLAMENTARI COME INDIVIDUI risale ad un panorama<br />
ottocentesco degli attori politici, prima che nelle arene politiche acquistassero<br />
centralità i partiti politici come attori collettivi, capaci di generare identità e<br />
vincoli di solidarietà sovraindividuali. Tanto più se si considera che i partiti sono<br />
diventati col tempo attori che trascendono le diverse arene istituzionali<br />
(elettorale, parlamentare, governativa) e sono in grado di creare (al di là della<br />
modellistica costituzionale) significativi raccordi tra i soggetti individuali presenti<br />
nelle diverse istituzioni, realizzando così quello che è stato definito <strong>il</strong> “governo di
<strong>partito</strong>” (party government).<br />
SOLO PRENDENDO IN CONSIDERAZIONE QUESTI ASPETTI PIÙ DIRETTAMENTE<br />
“POLITICI” SARÀ POSSIBILE COSÌ SPIEGARE LA GRANDE DIVERSITÀ DI<br />
FUNZIONAMENTO, SUL PIANO CONCRETO, DI SISTEMI POLITICI CHE<br />
CONDIVIDONO FORMALMENTE LA STESSA FORMA DI GOVERNO: è <strong>il</strong> caso delle<br />
sostanziali differenze di funzionamento fra <strong>il</strong> parlamentarismo inglese e quello<br />
italiano, o tra <strong>il</strong> semi-presidenzialismo francese e quello austriaco, o ancora fra <strong>il</strong><br />
presidenzialismo statunitense e quello di molti paesi dell’America latina. E’<br />
possib<strong>il</strong>e allora costruire una TIPOLOGIA EMPIRICA DELLE FORME DI<br />
GOVERNO che mette in gioco altre variab<strong>il</strong>i oltre quelle istituzionali. Infatti, ad<br />
esempio, la legittimazione diretta del capo del governo oltre che di diritto può<br />
essere anche di fatto, come nel caso inglese, dove <strong>il</strong> r<strong>il</strong>evante potere del premier<br />
all’interno del governo ed <strong>il</strong> suo controllo sul parlamento è da mettere in relazione<br />
con <strong>il</strong> sistema bipartitico e con <strong>il</strong> sistema elettorale maggioritario. Da questa<br />
tipologia, che incrocia <strong>il</strong> tipo di legittimazione (di diritto, o di fatto) del governo<br />
ed <strong>il</strong> tipo di controllo del governo sul parlamento, emergono quattro diverse<br />
possib<strong>il</strong>ità concrete:<br />
‣ Il caso del GOVERNO UNITO, in cui si determina una fusione fra governo e<br />
parlamento nella quale è <strong>il</strong> governo a prevalere sul parlamento: è quanto
avviene nel presidenzialismo statunitense, quando maggioranza congressuale<br />
e presidenziale coincidono, ma anche nel parlamentarismo inglese,<br />
nell’ipotesi che <strong>il</strong> premier mantenga <strong>il</strong> controllo del proprio <strong>partito</strong> e quindi<br />
anche della maggioranza parlamentare;<br />
‣ Il caso del GOVERNO PARLAMENTARE A BASE PARTITOCRATICA, in cui un<br />
governo legittimato indirettamente poggia però su un forte ancoraggio nei<br />
partiti di maggioranza, per cui sono questi ultimi a controllare sia <strong>il</strong> governo<br />
che <strong>il</strong> parlamento. In particolare, in presenza di uno stadio intermedio<br />
costituito dalla contrattazione fra i partiti per costituire una coalizione di<br />
governo, i risultati di questa contrattazione tenderanno a essere direttamente<br />
determinati dalla volontà dei leader partitici, piuttosto che dai risultati<br />
elettorali. E’ quanto avviene in sistemi a <strong>partito</strong> predominante (come Svezia o<br />
Norvegia) o nelle democrazie consociative (come Olanda o Belgio.<br />
‣ Il caso del GOVERNO DIVISO, in cui ad una legittimazione diretta del capo del<br />
governo corrisponde uno scarso controllo sul parlamento: è quanto si<br />
verifica nel presidenzialismo statunitense, quando maggioranza presidenziale<br />
e congressuale non coincidono, e che non determina un sistema “bloccato”<br />
solo grazie al carattere poco coeso dei partiti americani ed alla scarsa distanza<br />
ideologica che intercorre tra di essi; è quanto avviene anche nel
semipresidenzialismo francese in una situazione di “coabitazione” tra<br />
presidente e capo del governo (che fanno riferimento a maggioranze diverse),<br />
o (fino al 2003) <strong>il</strong> premierato israeliano, quando <strong>il</strong> capo del governo , eletto<br />
direttamente, non era sostenuto dalla maggioranza parlamentare.<br />
‣ Il caso del GOVERNO POLICENTRICO, in cui ad un governo a legittimazione<br />
indiretta e con debole controllo sul parlamento corrisponde una<br />
maggioranza parlamentare frammentata e volat<strong>il</strong>e che si tradurrà in una<br />
pluralità di centri potestativi all’interno del governo stesso, ma anche in<br />
parlamento. Si parlerà allora di forme di “governo assembleare”, nel senso<br />
che (come accadeva nell’Italia della Prima repubblica o nella Francia della<br />
Quarta repubblica) si formavano spesso in parlamento, su singoli<br />
provvedimenti, delle convergenze coalizionali temporaneamente diverse da<br />
quelle su cui si basava <strong>il</strong> governo.<br />
Se applichiamo alle quattro forme di governo costituzionali prima descritte i<br />
risultati di questa tipologia empirica, avremo allora le seguenti possib<strong>il</strong>ità<br />
concrete:<br />
FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE = tra A, B e D.<br />
FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE = tra A e C.<br />
FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE E PREMIERATO = possono spostarsi<br />
fra tutti e quattro i vertici (A, B, C e D).
Controllo del governo sul parlamento<br />
TIPOLOGIA EMPIRICA DELLE FORME DI GOVERNO<br />
Legittimazione del governo<br />
Diretta (di diritto o di fatto)<br />
Indiretta<br />
A<br />
B<br />
Debole Forte<br />
Governo<br />
Parlamento<br />
Partiti di maggior.<br />
Parlamento<br />
Governo<br />
C<br />
D<br />
Governo Parlamento Parlamento Governo
FUNZIONAMENTO E RENDIMENTO DEI GOVERNI<br />
Il tema del “RENDIMENTO” DEI GOVERNI, cioè della loro capacità di svolgere<br />
efficacemente le proprie funzioni, è stato oggetto di diverse ricerche empiriche che<br />
si sono confrontate con tematiche diverse a seconda della forma di governo<br />
considerata.<br />
REGIMI PARLAMENTARI<br />
Molti studi sui governi parlamentari hanno affrontato soprattutto le tematiche<br />
della stab<strong>il</strong>ità dei governi e dei rapporti tra stab<strong>il</strong>ità e sistema partitico, altri<br />
hanno approfondito <strong>il</strong> tema della formazione e composizione delle maggioranze<br />
di governo.<br />
‣ PER QUANTO RIGUARDA IL PRIMO ASPETTO, c’è chi ha messo in relazione la<br />
frequenza delle crisi di governo con l’instab<strong>il</strong>ità del sistema politico nel suo<br />
complesso, nel senso che l’eccessiva instab<strong>il</strong>ità di governo causerebbe la crisi<br />
dello stesso regime democratico. Esempi paradigmatici appaiono i casi della<br />
Repubblica di Weimar, le cui endemiche crisi di governo favorirono l’avvento della<br />
dittatura nazista, dell’Italia liberale del periodo pre-fascista, o della Spagna della<br />
Seconda Repubblica, che precedette l’avvento del regime franchista. La presenza<br />
però di numerose eccezioni r<strong>il</strong>evanti in materia, come i casi dell’Italia della
Prima Repubblica, della Francia della Terza Repubblica o della Finlandia, tutti<br />
paesi in cui ad un alto grado di instab<strong>il</strong>ità governativa non corrispose un tracollo<br />
del regime democratico, ha condotto molti autori ha ipotizzare una correlazione<br />
più circoscritta, secondo la quale l’instab<strong>il</strong>ità dei governi produrrebbe piuttosto<br />
una scarsa capacità di controllo dei governi sui soggetti partitici e parlamentari<br />
che li sostengono. In tal senso appare importante la differenziazione fra<br />
“MUTAMENTI DI GOVERNO” e “MUTAMENTI NEL GOVERNO”: nel primo caso è la<br />
compagine complessiva del governo che cambia, <strong>il</strong> secondo vede invece degli<br />
avvicendamenti frequenti del personale di governo senza toccare la struttura<br />
complessiva del governo. Si tratta di due situazioni profondamente diverse:<br />
STABILITA’ DI<br />
GOVERNO /<br />
INSTABILITA’<br />
NEL GOVERNO<br />
Elevata stab<strong>il</strong>ità del capo del governo e della formula politica;<br />
forte controllo del capo del governo sulla compagine<br />
ministeriale (cambiando spesso ministri).<br />
INSTABILITA’ DI<br />
GOVERNO /<br />
STABILITA’ NEL<br />
GOVERNO<br />
Frequenti crisi di governo e mutamenti di capi del governo,<br />
che rivelano <strong>il</strong> carattere aleatorio delle basi politiche del<br />
governo, ma marcata continuità del personale di governo<br />
(anche da un governo all’altro), che rivelano la dipendenza<br />
delle scelte del capo del governo da equ<strong>il</strong>ibri esterni (fra i<br />
partiti della maggioranza in parlamento)..
Per quanto riguarda <strong>il</strong> rapporto fra governo e sistema partitico, l’associazione<br />
proposta da DUVERGER fra bipartitismo e stab<strong>il</strong>ità governativa e fra<br />
pluripartitismo e instab<strong>il</strong>ità governativa è stata opportunamente corretta da<br />
SARTORI che, introducendo opportunamente le variab<strong>il</strong>i della distanza ideologica<br />
fra i partiti e del grado di compatib<strong>il</strong>ità delle loro preferenze politiche, ha<br />
dimostrato che i governi di coalizione in sistemi pluripartitici non sempre sono<br />
caratterizzati da alti livelli di instab<strong>il</strong>ità governativa.<br />
‣ IN RIFERIMENTO AL SECONDO ASPETTO, diverse appaiono le logiche perseguita<br />
dai partiti nella formazione dei governi di coalizione: ad una logica tutta ispirata<br />
ad una teoria razionale del comportamento politico si contrappone infatti una<br />
logica maggiormente attenta a specifici obiettivi politici perseguiti dai partiti.<br />
LOGICA<br />
OFFICE - SEEKING<br />
E’ quella che teorizza la formazione di COALIZIONI MINIME<br />
VINCENTI: i partiti tenderebbero a MASSIMIZZARE IL<br />
PROPRIO POTERE DI GOVERNO (in termini di cariche<br />
ministeriali e di incarichi di sottogoverno), formando<br />
coalizioni composte dal minor numero possib<strong>il</strong>e di partiti <strong>il</strong><br />
cui appoggio sia sufficiente per controllare la maggioranza<br />
assoluta dei seggi in parlamento.
LOGICA<br />
POLICE - SEEKING<br />
Possono esistere per i partiti una serie di COSTI DELLA<br />
PARTECIPAZIONE AL GOVERNO, o da evitare del tutto, o<br />
da minimizzare allargando la coalizione di governo: i<br />
partiti infatti possono preferire non entrare nel governo<br />
per mantenere la propria coesione interna (evitando<br />
strappi che verrebbero pagati sul terreno elettorale);<br />
possono preferire appoggiare <strong>il</strong> governo dall’esterno in<br />
cambio di politiche ad essi gradite; possono perseguire<br />
un accrescimento futuro dei propri voti rinunciando a<br />
cariche di governo, per evitare di essere coinvolti nella<br />
responsab<strong>il</strong>ità di scelte impopolari. Queste “ragioni<br />
politiche” dei partiti possono portare alla formazione di<br />
GOVERNI MINORITARI (come a lungo avvenne in<br />
Norvegia e in Svezia, ma ance nel caso di monocolori<br />
democristiani in Italia durante la Prima Repubblica),<br />
oppure alla formazione di COALIZIONI DI GOVERNO<br />
SOVRADIMENSIONATE, come nel caso dei governi<br />
consociativi olandesi, ma anche in quello della<br />
formazione di grandi coalizioni fra i due maggiori<br />
partiti in Austria e in Germania.
REGIMI PRESIDENZIALI E SEMI-PRESIDENZIALI<br />
Gli studi sul rendimento dei governi nei REGIMI PRESIDENZIALI e in quelli SEMI-<br />
PRESIDENZIALI (che riguardano in massima parte gli Stati Uniti e la Francia) si sono<br />
concentrati in gran parte sulla PERSONALITÀ DEL PRESIDENTE e sulle RISORSE A<br />
SUA DISPOSIZIONE.<br />
Per quanto riguarda in particolare questo secondo aspetto, è stata messa in<br />
evidenza l’importanza della variab<strong>il</strong>e internazionale (maggiore è l’impegno del<br />
paese nella politica mondiale più r<strong>il</strong>ievo avrà la figura del Presidente,<br />
determinante in materia di politica estera), mentre negli altri settori di policy<br />
l’influenza del Presidente appare variab<strong>il</strong>e. E’ stato poi sottolineato <strong>il</strong> ruolo<br />
centrale dello staff di consiglieri personali, così come della capacità presidenziale<br />
di far uso dei mass media. Particolare importanza rivestono poi i RAPPORTI<br />
PRESIDENZIALI CON IL PARLAMENTO che, come si è visto, cambiano<br />
notevolmente a seconda che sussista nel presidenzialismo una situazione di<br />
governo unito o diviso, o nel semi-presidenzialismo una situazione di consonanza<br />
fra le due maggioranze (presidenziale e parlamentare) o di dissonanza, che porta<br />
ad un regime di “coabitazione” fra Presidente e Capo del governo.
FORZA E LIMITI DEL PARTY GOVERNMENT<br />
A lungo si è sottolineato come la prepotente ascesa dei partiti politici abbia<br />
portato ad una crescente dipendenza dei governi da questi ultimi, sia in termini di<br />
partitizzazione del personale ministeriale, che sul piano delle politiche pubbliche,<br />
nel senso che gli indirizzi programmatici dei partiti, ma anche i loro veti incrociati,<br />
influenzavano in maniera determinante l’azione di governo. Questa situazione,<br />
definita come PARTY GOVERNMENT, non deve essere però eccessivamente<br />
enfatizzata. Il governo infatti non può oggi essere considerato come una mera<br />
emanazione dei partiti. Emergono in tal senso una serie di LIMITI DEL PARTY<br />
GOVERNMENT:<br />
SUL<br />
VERSANTE<br />
DEI PARTITI<br />
Da una canto è stato sottolineato <strong>il</strong> CARATTERE SELETTIVO<br />
DELL’INTERESSE DEI PARTITI, dall’altro LE RISORSE LIMITATE DI<br />
CUI ESSI DISPONGONO PER L’ELABORAZIONE DELLE<br />
POLITICHE, rispetto alle risorse dei governi (che controllano<br />
imponenti apparati burocratici) o dei gruppi di interesse.
SUL<br />
VERSANTE DEI<br />
GOVERNI<br />
Vi sono RESPONSABILITÀ TIPICAMENTE GOVERNATIVE,<br />
come quelle che riguardano la politica internazionale, la<br />
politica di b<strong>il</strong>ancio (contenimento del deficit attraverso <strong>il</strong><br />
controllo della spesa pubblica), la gestione dell’economia<br />
nazionale (contenimento dell’inflazione, stimolo alla<br />
produzione e alla crescita dell’occupazione).<br />
Appare centrale poi <strong>il</strong> RUOLO DEGLI APPARATI<br />
AMMINISTRATIVI, sia come fonte di risorse tecnicoconoscitive<br />
per i governi, sia perché portatori di interessi<br />
specifici, legati al personale che li compone e alle clientele<br />
di riferimento.<br />
Da r<strong>il</strong>evare, infine, la CRESCENTE AUTONOMIA DEI SUB-<br />
GOVERNMENT (autorità indipendenti, banche centrali,<br />
istituzioni sovranazionali).
BUROCRAZIE PUBBLICHE
POTERE LEGALE-RAZIONALE E AMMINISTRAZIONE BUROCRATICA<br />
Come ampiamente r<strong>il</strong>evato nel corso del primo modulo, la burocrazia sorge<br />
insieme allo Stato moderno, costituendone la forma peculiare di<br />
amministrazione. Questo termine compare, infatti, nel Settecento per designare <strong>il</strong><br />
potere di un corpo di funzionari e impiegati dell’amministrazione statale con<br />
compiti specializzati alle dipendenze del sovrano assoluto.<br />
Oggi si parla di “burocrazia pubblica” per indicare, sul piano strutturale, l’insieme<br />
degli apparati di cui <strong>il</strong> governo si avvale per esercitare la funzione amministrativa;<br />
cioè, in termini funzionali, l’insieme dei procedimenti attraverso i quali le norme<br />
che regolano un determinato Stato sono tradotte in decisioni specifiche per i casi<br />
singoli. Ma vi sono anche “burocrazie private”, poiché <strong>il</strong> termine, seguendo la<br />
DEFINIZIONE WEBERIANA, si riferisce al tipo di organizzazione che caratterizza le<br />
organizzazioni complesse, che funzionano secondo <strong>il</strong> principio delle competenze<br />
di autorità attribuite ad uffici e specificate attraverso regole impersonali e<br />
universali.<br />
Alla base della concezione weberiana della burocrazia è IL COLLEGAMENTO DEI<br />
DIFFERENTI TIPI DI AMMINISTRAZIONE ALLA TIPOLOGIA DELLE FORME “PURE”<br />
DI POTERE LEGITTIMO. Potere e amministrazione - sottolinea <strong>il</strong> sociologo tedesco<br />
- sono strettamente collegati. Infatti,“ogni potere si manifesta e funziona come<br />
amministrazione; e ogni amministrazione, in quanto per la sua direzione devono
pur sempre essere posti nelle mani di qualcuno dei poteri di comando, richiede in<br />
qualche modo <strong>il</strong> potere”.<br />
Per WEBER, dunque, al POTERE TRADIZIONALE fa riscontro o l’assenza di<br />
un vero e proprio apparato amministrativo specializzato attraverso <strong>il</strong> quale i<br />
detentori del potere possono far valere la propria autorità (è <strong>il</strong> caso, nelle società<br />
più antiche, della gerontocrazia e del patriarcalismo), oppure, se un tale apparato<br />
riesce a formarsi, come avviene con l’affermarsi del patrimonialismo, esso viene<br />
costituito in base a legami di fedeltà personale con <strong>il</strong> signore, del quale si<br />
amministra tutto ciò che ricade sotto <strong>il</strong> suo dominio - si tratti di risorse umane o di<br />
beni naturali - alla stregua di un patrimonio personale, “privato”.<br />
Diverso è invece <strong>il</strong> discorso per <strong>il</strong> POTERE CARISMATICO, a cui non<br />
corrisponde alcun sistema amministrativo stab<strong>il</strong>e, dato <strong>il</strong> carattere “straordinario”<br />
di questo tipo di potere: quando un tipo di amministrazione stab<strong>il</strong>e riesce ad<br />
affermarsi, ciò costituirà anzi un sicuro indicatore del fatto che <strong>il</strong> potere<br />
carismatico, attraverso un processo di trasformazione del carisma in pratica<br />
quotidiana, ha finito con <strong>il</strong> cedere <strong>il</strong> passo agli altri due tipi di potere, quello<br />
tradizionale o quello razionale - legale.<br />
E’ infine a quest’ultimo tipo di potere, <strong>il</strong> POTERE RAZIONALE - LEGALE,<br />
che corrispondono le moderne forme di amministrazione burocratica.<br />
‣ POSSIAMO COSI’ SCHEMATIZZARE IL RAPPORTO ESISTENTE PER WEBER FRA LE<br />
FORME DI POTERE LEGITTIMO E LE FORME DI AMMINISTRAZIONE:
POTERE TRADIZIONALE<br />
Basato sulla “credenza quotidiana nel<br />
carattere sacro delle tradizioni valide da<br />
sempre e della legittimità di coloro che sono<br />
chiamati a rivestire un’autorità”.<br />
POTERE LEGALE - RAZIONALE<br />
Fondato sulla “credenza nella legalità di<br />
ordinamenti statuiti e nel diritto di comando<br />
di coloro che sono chiamati ad esercitare <strong>il</strong><br />
potere in base ad essi”.<br />
POTERE CARISMATICO<br />
Legato ad una “dedizione straordinaria al<br />
carattere sacro o alla forza eroica, o al valore<br />
esemplare di una persona”.<br />
FORME<br />
PATRIMONIALISTICHE<br />
DI<br />
AMMINISTRAZIONE<br />
FORMA<br />
BUROCRATICA DI<br />
AMMINISTRAZIONE<br />
CARATTERE<br />
INSTABILE DI QUESTA<br />
FORMA DI POTERE,<br />
NON LEGATO AD<br />
UNA FORMA<br />
SPECIFICA DI<br />
AMMINISTRAZIONE
Per quanto riguarda in particolare la forma di amministrazione burocratica, si è già<br />
visto come la burocrazia pubblica nasca (come risultato delle “lotte per<br />
l’eliminazione” tra i diversi signori feudali) in conseguenza del generale processo<br />
di accorpamento territoriale e di accentramento del potere nelle mani del<br />
sovrano che caratterizza lo sv<strong>il</strong>uppo della monarchia assoluta.<br />
Questa forma di organizzazione amministrativa rappresenta infatti LO SPECIFICO<br />
STRUMENTO DI POTERE ATTRAVERSO CUI SI STABILIZZA IL CENTRALISMO DEI<br />
SOVRANI ASSOLUTI, consentendo, in particolare, di costruire un sistema fiscale<br />
centralizzato in grado di fornire le risorse necessarie per mantenere un esercito<br />
stanziale, atto a tutelare l’ordine interno (tenendo a bada sia i vecchi ceti nob<strong>il</strong>iari<br />
in decadenza, che la borghesia mercant<strong>il</strong>e in ascesa) e sempre pronto a difendere i<br />
vasti territori dello Stato da pericoli esterni e a rendere possib<strong>il</strong>e la politica di<br />
potenza dei sovrani.<br />
Ma perché gli Stati riuscissero a procurarsi, attraverso la tassazione, le risorse<br />
necessarie per pagare la burocrazia pubblica, un’IMPORTANTE PRECONDIZIONE fu<br />
l’AFFERMARSI DI UN’ECONOMIA MONETARIA: solo in un’economia monetaria,<br />
infatti, i funzionari dello Stato poterono essere remunerati attraverso uno<br />
stipendio, invece che con pagamenti più o meno “in natura” da parte dei clienti, o<br />
attraverso la concessione di sinecure e prebende (come la gestione della raccolta<br />
delle imposte), come avveniva da parte del signore territoriale nella precedente<br />
forma di amministrazione patrimoniale.
Il sistema degli stati assolutisti si formò dunque attraverso le guerre e la creazione<br />
degli imperi d’oltremare, per cui l’espansione delle funzioni dello Stato procedette<br />
in parallelo alle esigenze della guerra. Da allora in poi la burocrazia pubblica<br />
rappresenterà <strong>il</strong> telaio dello Stato moderno, anche quando, nei suoi successivi<br />
sv<strong>il</strong>uppi, essa si affrancherà dal potere del sovrano per assoggettarsi, invece, al<br />
parlamento ed alla legge.<br />
LA “SOCIOLOGIA COMPRENDENTE” WEBERIANA E IL PRIMATO<br />
DELLA RAZIONALITA’ FORMALE<br />
Il potere razionale - legale è alla base del modo di amministrare le moderne<br />
organizzazioni complesse come la pubblica amministrazione, ma anche come la<br />
grande impresa. Esso è infatti parte di un più ampio PROCESSO DI<br />
RAZIONALIZZAZIONE che caratterizza la storia occidentale. Tutte le<br />
caratteristiche della nuova forma di amministrazione esprimono la tendenza alla<br />
razionalizzazione della vita di comunità propria del potere legale: la legittimità di<br />
tale tipo di potere, infatti, è basata su norme impersonali che non trovano più<br />
fondamento nella tradizione, ma che sono stab<strong>il</strong>ite razionalmente rispetto agli
scopi dell’azione.<br />
A tal proposito appare ut<strong>il</strong>e una digressione sulla sociologia della conoscenza di<br />
WEBER, quella che egli chiama “SOCIOLOGIA COMPRENDENTE”.<br />
Per questo autore esiste una netta contrapposizione fra la “razionalità formale”, a<br />
cui deve essere ricondotto <strong>il</strong> metodo della scienza sociale, e la sostanziale<br />
irrazionalità del suo oggetto di indagine, cioè la concreta realtà storica in cui si<br />
esplica<br />
la “razionalità materiale” dell’agire umano. Egli infatti, dopo aver<br />
delineato I QUATTRO POSSIBILI TIPI IDEALI NEI QUALI PUÒ ESSERE<br />
FATTA RIENTRARE L’AZIONE UMANA DOTATA DI SENSO, considera poi<br />
questi tipi di azione secondo una SCALA DECRESCENTE DI INTELLEGIBILITÀ:<br />
Il massimo grado di intellegib<strong>il</strong>ità è proprio di quei comportamenti umani in cui<br />
l’agente faccia uso di ragionamenti di tipo matematico o logico: è <strong>il</strong> caso<br />
dell’AGIRE “ORIENTATO RAZIONALMENTE RISPETTO ALLO SCOPO”, in cui si<br />
esplica <strong>il</strong> calcolo razionale degli esiti probab<strong>il</strong>i di una data azione ut<strong>il</strong>izzando <strong>il</strong><br />
nesso mezzi - fini, scegliendo cioè razionalmente <strong>il</strong> mezzo che si ritiene più idoneo<br />
per <strong>il</strong> conseguimento di un determinato scopo.<br />
Un grado inferiore di intellegib<strong>il</strong>ità caratterizza l’altro tipo possib<strong>il</strong>e di azione<br />
razionale, cioè l’AZIONE “ORIENTATA RAZIONALMENTE RISPETTO AL VALORE”. In<br />
questo caso, infatti, <strong>il</strong> senso dell’azione non risiede più nell’adeguatezza del<br />
mezzo rispetto ai fini, ma nell’esecuzione dell’azione come fine in sé.
Ancora meno intellegib<strong>il</strong>i, quasi ai margini dell’azione dotata di senso, risultano<br />
infine gli altri due tipi ideali di azione: l’AZIONE ORIENTATA “AFFETTIVAMENTE” e<br />
l’AZIONE ORIENTATA “TRADIZIONALMENTE”.<br />
L’azione razionale, nel senso forte del termine, è dunque per Weber soltanto la<br />
prima, perché è l’unica che può essere definita univocamente. E spiega: “ad<br />
esempio, noi intendiamo in maniera del tutto univoca che cosa voglia significare<br />
chi fa ricorso, con <strong>il</strong> pensiero e nell’argomentazione, alla proposizione 2 X 2 = 4,<br />
oppure al teorema di Pitagora (....). Parimenti comprendiamo che cosa voglia<br />
significare chi da ‘fatti di esperienza’ che a noi siano ‘noti’ e da determinati scopi<br />
deriva nel suo agire le conseguenze che risultano (secondo le nostre esperienze) più<br />
coerenti in merito ai ‘mezzi’ da applicare. Ogni interpretazione di un agire siffatto,<br />
orientato razionalmente in vista di uno scopo, possiede – per la comprensione dei<br />
mezzi impiegati – <strong>il</strong> grado più elevato di evidenza”.<br />
‣ Il “CALCOLO DEL CAPITALE”, su cui si fonda l’economia capitalista, è, secondo<br />
Weber, un esempio di azione razionale nel suo significato più puro: esso<br />
prescinde, infatti, da qualsiasi orientamento rispetto al valore e, a maggior<br />
ragione, da qualsiasi considerazione di tipo tradizionale o affettivo, occupandosi<br />
semplicemente di trovare la soluzione ottimale, date determinate condizioni, per<br />
conseguire un determinato fine (<strong>il</strong> profitto). E’ nel calcolo del capitale che si<br />
realizza dunque al massimo grado la razionalità formale dell’agire economico.<br />
‣ L’essenza della MODERNA AMMINISTRAZIONE BUROCRATICA, così come per <strong>il</strong>
“calcolo del capitale”, è anch’essa improntata alla concezione weberiana della<br />
razionalità: la struttura burocratica è infatti per Weber “al servizio del<br />
razionalismo nella condotta di vita”; e ancora, “<strong>il</strong> fondamento decisivo per <strong>il</strong><br />
procedere dell’amministrazione burocratica è sempre stato la sua superiorità<br />
puramente tecnica su ogni altra forma”.<br />
Il legame tra capitalismo e burocrazia non potrebbe dunque essere più stretto,<br />
dato che si tratta di due facce di un medesimo processo, identificab<strong>il</strong>e<br />
nell’estendersi della “razionalità formale” ad un settore sempre più vasto<br />
dell’agire sociale. Lo stesso presupposto “tecnico” della razionalità del calcolo<br />
del capitale – la separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione – è necessario<br />
per lo sv<strong>il</strong>uppo della burocrazia, sia essa privata o pubblica: “la struttura<br />
burocratica procede di pari passo con la concentrazione dei mezzi oggettivi di<br />
impresa nelle mani del detentore del potere. Così avviene in modo tipico nello<br />
sv<strong>il</strong>uppo delle grandi imprese capitalistiche private, che trovano in questo la loro<br />
caratteristica essenziale. Così ha però luogo in modo corrispondente anche nelle<br />
comunità pubbliche”.
IL MODELLO WEBERIANO DI BUROCRAZIA<br />
Una volta ricondotto l’affermarsi dell’amministrazione burocratica<br />
(così come lo<br />
sv<strong>il</strong>uppo di forme di economia capitalista) al prevalere della “razionalità formale”<br />
dell’azione orientata allo scopo, è possib<strong>il</strong>e ricostruire I TRATTI SALIENTI DEL<br />
MODELLO WEBERIANO DI BUROCRAZIA, in cui si sostanzia <strong>il</strong> passaggio da<br />
forme di amministrazione patrimonialistica al modello burocratico di<br />
amministrazione:<br />
ESPROPRIAZIONE DI CHI ESERCITA FUNZIONI AMMINISTRATIVE DAL POSSESSO<br />
DEI MEZZI DI AMMINISTRAZIONE: parallelamente alla separazione del lavoratore<br />
dai mezzi di produzione, che caratterizza l’economia capitalista, si realizza la<br />
separazione del burocrate dai mezzi di amministrazione: <strong>il</strong> burocrate gestisce<br />
risorse che non sono sue, ma dello Stato. E’ <strong>il</strong> sistema degli uffici, a cui sono<br />
demandate le principali funzioni statuali, a possedere le risorse materiali e<br />
istituzionali relative all’esercizio delle funzioni amministrative, non gli individui<br />
che, di volta in volta, occupano quegli uffici esercitando ruoli amministrativi.<br />
PASSAGGIO DAL PRIVILEGIO ALL’UFFICIO: al potere patrimonialistico, basato<br />
sul possesso, si sostituisce <strong>il</strong> potere amministrativo, derivante dall’applicazione
impersonale della legge. Dal punto di vista comportamentale, <strong>il</strong> funzionario<br />
pubblico agisce cioè in base a criteri puramente oggettivi, senza riguardo alle<br />
persone, escludendo, nell’espletamento del proprio ruolo, ogni considerazione<br />
affettiva o di tipo personale: come dice Weber, <strong>il</strong> suo comportamento è “sine ira<br />
ac studio”. Inoltre, se l’esecuzione concreta di attività amministrative era, prima<br />
della razionalizzazione, diritto di determinati corpi sociali; nel modello burocratico<br />
i funzionari dello Stato hanno <strong>il</strong> dovere di portare avanti quelle attività.<br />
STRUTTURA DEL SISTEMA BUROCRATICO BASATA SULLA SPECIALIZZAZIONE E<br />
SULLA GERARCHIA: le facoltà decisionali più alte sono assegnate ad un organo<br />
decisionale non a carattere burocratico, ma di natura politica: prima <strong>il</strong> sovrano, più<br />
tardi <strong>il</strong> parlamento e <strong>il</strong> governo. Tutti gli altri organi ed uffici sono strutturati<br />
secondo <strong>il</strong> modello organizzativo burocratico, informato a due bas<strong>il</strong>ari princìpi. Si<br />
tratta infatti di un sistema basato sulla competenza specialistica, da una parte, e<br />
su una strutturazione verticale di tipo gerarchico, dall’altra. Il primo aspetto può<br />
essere visto come l’applicazione alla sfera politica della divisione del lavoro che nel<br />
frattempo andava affermandosi in altri campi, come quello della produzione<br />
economica e della scienza; con <strong>il</strong> secondo aspetto <strong>il</strong> comportamento dei funzionari<br />
ed <strong>il</strong> loro rendimento veniva a dipendere da una gerarchia di facoltà di comando e<br />
di controllo, di riconoscimento sociale e di trattamento economico in cui si<br />
articolava <strong>il</strong> sistema delle carriere.
MODALITÀ E CRITERI DECISIONALI MULTIFUNZIONALI E UTILIZZABILI DA UNA<br />
MOLTEPLICITÀ DI ATTORI: è <strong>il</strong> sistema delle direttive alle quali i funzionari<br />
burocratici devono uniformare i loro atti, che sono formulate in termini generali,<br />
in modo da essere eseguib<strong>il</strong>i in maniera mutevole adattandosi alle situazioni<br />
concrete, e hanno natura procedurale, sono volte cioè a standardizzare <strong>il</strong> modo di<br />
prendere le decisioni, piuttosto che <strong>il</strong> loro contenuto specifico.<br />
RAZIONALITÀ FORMALE DEL COMPORTAMENTO AMMINISTRATIVO E<br />
FORMAZIONE GIURIDICA DEI FUNZIONARI PUBBLICI: la razionalità del burocrate è<br />
di tipo formale, consiste cioè nell’adeguatezza dei propri comportamenti<br />
amministrativi a direttive di ordine superiore e, in ultima istanza, alla legge. Le<br />
conoscenze giuridiche diventano quindi la base della sua formazione.<br />
‣ In conclusione, possiamo sintetizzare così <strong>il</strong> MODELLO WEBERIANO DI<br />
BUROCRAZIA:
IL MODELLO WEBERIANO<br />
POTERE LEGALE-<br />
RAZIONALE<br />
NEUTRALITA’ DEL<br />
POTERE<br />
IMPERSONALE DEL<br />
BUROCRATE<br />
SISTEMA ORDINATO<br />
GERARCHICAMENTE<br />
COMPETENZE<br />
BASATE SU UN<br />
SAPERE<br />
SPECIALISTICO<br />
Modello di razionalità dell’agire burocratico improntato<br />
all’azione orientata razionalmente rispetto allo scopo<br />
(nesso mezzi – fini).<br />
Comportamento burocratico “sine ira ac studio”,<br />
basato sull’applicazione neutrale di regole astratte di<br />
natura giuridica.<br />
Complessa divisione del lavoro in precise sfere di<br />
competenza, con relazioni di autorità rigidamente<br />
ordinate verticalmente.<br />
La legittimazione dell’autorità del burocrate è basata<br />
sull’esercizio di una serie di funzioni a sua volta<br />
fondato sul “monopolio” di un sapere specialistico,<br />
accertato già nella fase di reclutamento attraverso un<br />
sistema di concorsi meritocratici
LA CRESCITA DELLE BUROCRAZIE PUBBLICHE<br />
Accanto all’accentramento del comando, <strong>il</strong> consolidamento dello Stato moderno<br />
comportò un elemento culturale, la progressiva affermazione dell’idea di nazione,<br />
e un elemento politico, lo sv<strong>il</strong>uppo dei processi di democratizzazione.<br />
Il PROCESSO DI SECOLARIZZAZIONE DEL POTERE POLITICO dopo <strong>il</strong> periodo delle<br />
“guerre di religione”, con <strong>il</strong> suo definitivo distacco da una legittimazione di tipo<br />
religioso, accrescevano infatti <strong>il</strong> bisogno di legittimazione di un potere centrale<br />
sempre più esteso: ciò portò, da una parte, allo sv<strong>il</strong>uppo di un sentimento di<br />
identificazione (politica ma anche culturale) con una entità territoriale di ampie<br />
proporzioni (lo stato-nazione), e, dall’altra (dopo la rivoluzione francese),<br />
all’estendersi dell’idea democratica, con la graduale trasformazione dei sudditi in<br />
cittadini. Tutto ciò determinò IL PROGRESSIVO AMPLIAMENTO DEI COMPITI<br />
DELLO STATO, teso ad offrire servizi ai cittadini per migliorarne le condizioni di<br />
vita, regolarne le condizioni di lavoro e operare una redistribuzione a favore dei<br />
ceti meno abbienti (Stato sociale), oltre a intervenire attivamente nell’economia<br />
(Stato programmatore). Ma la costante espansione dei compiti dello Stato<br />
significa anche una crescita correlata della burocrazia pubblica.<br />
La democrazia determina l’apertura del sistema politico sul versante degli input:<br />
così SONO LE PRESSIONI SUL POTERE POLITICO ESERCITATE DAI DIVERSI GRUPPI<br />
SOCIALI A DETERMINARE LA CRESCITA DELLA BUROCRAZIA, che possiamo
iassumere nel seguente schema:<br />
PRESSIONI DEI<br />
GRUPPI<br />
ECONOMICAMENTE<br />
PIU’ DEBOLI<br />
CRESCITA<br />
DELLA<br />
BUROCRAZIA<br />
PUBBLICA<br />
PRESSIONI DEI<br />
GRUPPI<br />
ECONOMICAMENTE<br />
PIU’ FORTI<br />
Sfruttano <strong>il</strong> loro peso<br />
elettorale per<br />
ottenere<br />
provvedimenti tesi a<br />
migliorarne la<br />
condizione<br />
economico-sociale<br />
SPINTE PROVENIENTI<br />
DALL’INTERNO<br />
STESSO DELLO STATO<br />
Spinte corporative dei<br />
dirigenti delle agenzie<br />
pubbliche ad accrescere<br />
<strong>il</strong> peso del settore di<br />
appartenenza, in termini<br />
di budget e di potere.<br />
Fanno valere <strong>il</strong> loro peso<br />
economico per ottenere<br />
dallo Stato una serie di<br />
interventi infrastrutturali<br />
(scuole, trasporti,<br />
elettricità, acquedotti,<br />
ecc.
I LIMITI DEL MODELLO WEBERIANO<br />
Alla luce di questi cambiamenti determinati dalla crescita delle amministrazioni<br />
burocratiche, emerge la crescente incapacità del modello weberiano di<br />
burocrazia di descrivere fedelmente la realtà contemporanea di<br />
un’amministrazione pubblica sempre più frammentata e complessa. Questi limiti<br />
investono indiscriminatamente tutte le componenti del modello: dal tipo di<br />
razionalità, alla neutralità del comportamento burocratico; dal ruolo della<br />
struttura gerarchica, al sistema delle competenze.<br />
A<br />
I LIMITI ALLA RAZIONALITA’<br />
Come si è detto, <strong>il</strong> modello weberiano di burocrazia afferma in primo luogo <strong>il</strong><br />
principio della razionalità dell’azione come fondamento dell’agire burocratico.<br />
Una serie di studi, a partire dagli anni sessanta, hanno però fortemente<br />
ridimensionato la validità del modello “sinottico” di stampo weberiano, mettendo<br />
in evidenza che l’azione amministrativa riflette piuttosto delle RAZIONALITA’<br />
PLURIME che, collegate alle diverse situazioni decisionali, danno vita a DIVERSI<br />
MODELLI DECISIONALI:
PROSPETTIVE<br />
DI ANALISI DEL<br />
DECISION-<br />
MAKING<br />
RAPPORTO<br />
CON LA<br />
RAZIONALITA’<br />
’<br />
RAPPORTO<br />
CON IL<br />
POTERE<br />
Ruolo delle informazioni.<br />
Ruolo degli interessi.<br />
DUE DIVERSI<br />
PIANI<br />
DELL’AZIONE<br />
RAZIONALE<br />
ACQUISIZIONE ED<br />
ELABORAZIONE<br />
DELLE<br />
INFORMAZIONI<br />
REGOLAZIONE<br />
DEL CONFLITTO E<br />
FORMAZIONE<br />
DEL CONSENSO<br />
Riguarda la conoscenza (<strong>il</strong> controllo)<br />
dei mezzi e delle loro conseguenze.<br />
•Informazione(completa/incompleta);<br />
•Conseguenze (certe/incerte);<br />
• Alternative di azione (accessib<strong>il</strong>i/non<br />
accessib<strong>il</strong>i).<br />
Accordo/conflitto sui fini = decisione<br />
parametrica/strategica.
ACCORDO SUGLI OBIETTIVI (FINI)<br />
ELEVATO<br />
(Situazione parametrica)<br />
BASSO<br />
(Situazione strategica)<br />
ELEVATA<br />
(Informazione<br />
completa)<br />
CONOSCENZA<br />
MEZZI ALTERNATIVI<br />
E CONSEGUENZE<br />
•PROCESSO: programmato;<br />
•DECISIONE: ottimizzante;<br />
• STILE: calcolo razionale;<br />
• SITUAZIONE: parametrica.<br />
•PROCESSO: negoziato;<br />
•DECISIONE: accettab<strong>il</strong>e;<br />
• STILE: cooperazione;<br />
• SITUAZIONE:<br />
interdipendenza<br />
BASSA<br />
(Informazione<br />
incompleta)<br />
•PROCESSO: pragmatico;<br />
• DECISIONE: soddisfacente;<br />
• STILE: giudizio;<br />
• SITUAZIONE: incertezza.<br />
• PROCESSO: caotico;<br />
• DECISIONE: casuale;<br />
• STILE: improvvisazione;<br />
• SITUAZIONE: ambiguità.
1<br />
MODELLO RAZIONALE - SINOTTICO<br />
Questo modello di razionalità parte dal presupposto della piena applicab<strong>il</strong>ità della<br />
logica dell’azione economica ai comportamenti politico - amministrativi. Può<br />
funzionare solo nel caso in cui si verifichi una informazione sinottica, cioè un<br />
elevato grado di certezza su mezzi, informazioni ed esiti, ed una piena coincidenza<br />
tra le preferenze dei partecipanti alle decisioni. In questo caso si potrà realizzare<br />
un PROCESSO DECISIONALE STRUTTURATO E SEQUENZIALE DI TIPO RAZIONALE:<br />
• Scala di priorità dei valori (obiettivi) del decisore;<br />
• Conoscenza di tutti i mezzi ut<strong>il</strong>izzab<strong>il</strong>i per raggiungere l’obiettivo;<br />
• Valutazione di tutte le conseguenze dell’uso di un mezzo rispetto all’obiettivo da<br />
perseguire;<br />
• Scelta del mezzo che massimizza i benefici e minimizza i costi.<br />
Va subito notato che questo modello (che ricalca <strong>il</strong> tipo ideale della weberiana<br />
azione legale-razionale), definendo come razionale quel comportamento che è<br />
appropriato per <strong>il</strong> conseguimento di fini specifici nel contesto di una situazione<br />
data, tiene conto dei VINCOLI POSTI DALLA SITUAZIONE ESTERNA, mentre si<br />
disinteressa del tutto degli attori che prendono le decisioni (di cui si da per<br />
presupposto un “comportamento razionale”). In realtà esistono vari tipi di<br />
limitazioni che caratterizzano, sotto diversi aspetti, gli attori decidenti e
iguardano le loro conoscenze, le loro capacità di calcolo, i condizionamenti<br />
culturali e ambientali e così via. Bisogna dunque approdare ad una concezione<br />
della razionalità che tenga conto di comportamenti che si adeguano non solo ai<br />
vincoli imposti dalla situazione esterna, ma anche ai VINCOLI INTERNI, insiti nelle<br />
caratteristiche dei decisori e delle loro capacità e potenzialità.<br />
Nella maggior parte dei casi, <strong>il</strong> quadro appare ben diverso da quello prefigurato<br />
dal modello della razionalità sinottica:<br />
• Gli obiettivi dei programmi di intervento pubblico sono vaghi e generici, se non<br />
a volte meramente simbolici;<br />
• Le informazioni sono incomplete e frammentarie, sia sui mezzi alternativi, che<br />
sulle possib<strong>il</strong>i conseguenze del loro uso;<br />
• i soggetti coinvolti nel processo decisionale sono portatori di interessi e<br />
preferenze spesso contrapposti;<br />
• Questo approccio non tiene conto del carattere multidimensionale delle<br />
motivazioni umane, né delle dimensioni a-razionali (intuizioni, emozioni).<br />
2<br />
MODELLO DELLA RAZIONALITA’ LIMITATA<br />
Molte delle critiche all’applicab<strong>il</strong>ità della razionalità sinottica al processo<br />
decisionale pubblico sono state formulate da HERBERT SIMON che, alle pretese
“globali” del primo modello, contrappone una visione alternativa basata su quella<br />
che egli definisce una “RAZIONALITÀ LIMITATA”. Pur restando all’interno di una<br />
situazione parametrica (in cui i fini non rappresentano un problema), Simon<br />
ricava una immagine ben diversa dell’attività decisionale, secondo cui l’uomo,<br />
più che “animale ottimizzante” (optimizing) è un “animale che si accontenta”<br />
(satisficing).<br />
Per decidere bisogna ridurre la complessità e l’uomo amministrativo, dice Simon,<br />
sa bene che le sue scelte poggiano su un’immagine semplificata della situazione,<br />
comprensiva solo di alcuni dei fattori che egli ritiene più r<strong>il</strong>evanti ed essenziali.<br />
Nelle grandi organizzazioni come quella amministrativa esiste poi una particolare<br />
“RAZIONALITÀ PROCEDURALE” derivata dall’organizzazione stessa che, attraverso<br />
la diffusione di prassi costanti, di routine e di procedure standardizzate, oltre che<br />
attraverso la specializzazione dei compiti e la divisione del lavoro, fornisce ai<br />
propri membri le premesse di fatto e di valore per le loro decisioni.<br />
Così, nel modello di Simon, un’immagine semplificata della situazione (necessaria,<br />
però, per ridurre la complessità del reale), in cui appare limitata la conoscenza dei<br />
mezzi e la prevedib<strong>il</strong>ità delle conseguenze, consente una SCELTA SODDISFACENTE,<br />
ma lontana da qualsiasi comportamento ottimizzante.
3<br />
MODELLO INCREMENTALE<br />
L’emergere di forme di razionalità differenti da quella del modello razionalsinottico<br />
è collegato alla EVOLUZIONE DELLE FUNZIONI DELLO STATO, nel<br />
passaggio dal modello classico liberale di uno Stato limitato e garantista, ispirato<br />
ad una razionalità legale di stampo weberiano volta a produrre decisioni<br />
autoritative basate su ordine, regolamento e controllo, ad uno Stato in cui cresce<br />
sempre più l’intervento pubblico nell’economia e nella società. Le nuove<br />
fattispecie di policy making appaiono infatti sempre più incongruenti con la<br />
razionalità legale e con le strutture politico-amministrative che quella razionalità<br />
incorporano. In base a queste considerazioni, si possono distinguere TRE<br />
DIFFERENTI TIPI DI RAZIONALITÀ:<br />
LEGALE -<br />
RAZIONALE<br />
Appare legata alle limitate funzioni dello Stato liberale “classico”,<br />
in cui l’autorità di chi prende le decisioni appare rapportata a<br />
principi di certezza e prevedib<strong>il</strong>ità. Qui gli obiettivi appaiono<br />
inequivocab<strong>il</strong>mente definiti e la disponib<strong>il</strong>ità di conoscenze e di<br />
mezzi organizzativi adeguati appare sufficiente a realizzare tali<br />
obiettivi.
SPERIMENTALE<br />
CONFLITTUALE<br />
In questo tipo di razionalità ricadono le funzioni<br />
pubbliche, di recente emersione, che vedono gli apparati<br />
amministrativi interagire nell’economia e nella società. A<br />
fronte di obiettivi definiti si riscontrano, in questo caso,<br />
conoscenze e mezzi organizzativi spesso inadeguati a<br />
realizzare tali obiettivi. In questo caso <strong>il</strong> decisore sarà<br />
costretto ad aggiustare <strong>il</strong> tiro sperimentando sempre<br />
nuove soluzioni (modificando e adeguando i mezzi<br />
organizzativi e procurandosi le opportune conoscenze)<br />
fino a conseguire dei risultati efficaci.<br />
Oggi sempre più la pubblica amministrazione tende a<br />
farsi mediatrice di interessi articolati, in maniera<br />
competitiva o complementare, dei gruppi organizzati<br />
operanti nella società civ<strong>il</strong>e. In questo caso ciò che più<br />
conta è <strong>il</strong> grado di ricettività e di accettab<strong>il</strong>ità delle<br />
decisioni prodotte. Ciò significa che chi decide appare<br />
impegnato soprattutto in attività di negoziazione,<br />
arbitrato, trattativa, scambio, tutte intese a pervenire ad<br />
una definizione accettab<strong>il</strong>e degli obiettivi, per loro<br />
natura ambigui ed equivoci all’inizio del processo<br />
decisionale.
IL MODELLO DELLA RAZIONALITÀ INCREMENTALE proposto da CHARLES<br />
LINDBLOM appare quello maggiormente in grado di tener conto delle forme di<br />
razionalità differenti da quella legale-razionale, perchè accanto alla COMPLESSITÀ<br />
TECNICA, inerente ai limiti cognitivi delle decisioni, considera anche la<br />
COMPLESSITÀ POLITICA del processo decisionale, che comporta una serie di limiti<br />
strategici all’azione del decisore.<br />
Per quanto riguarda <strong>il</strong> primo aspetto, Lindblom continua sulla strada di Simon,<br />
notando in particolare come spesso sia impossib<strong>il</strong>e separare gli obiettivi dai mezzi<br />
(tanto che, in molti casi, gli obiettivi vengono scelti in base all’esistenza di mezzi<br />
per realizzarli), e anche <strong>il</strong> numero di conseguenze prese in considerazione è molto<br />
limitato. Considerata poi la presenza di procedure standardizzate (che è costoso<br />
innovare), egli può così spiegare perchè la maggior parte delle decisioni della<br />
pubblica amministrazione sono di TIPO INCREMENTALE, nel senso che partono da<br />
una comparazione con le decisioni precedentemente prese, dalle quali tendono a<br />
discostarsi di poco, attraverso aggiustamenti successivi.<br />
L’innovazione del modello di Lindblom riguarda però soprattutto <strong>il</strong> secondo<br />
aspetto. Qui l’accordo sui fini non è più dato per scontato; al contrario, le decisioni<br />
vengono prese in un contesto di interdipendenza tra attori multipli, con<br />
preferenze ed identità distinte. Nel modello incrementale, infatti, la formulazione<br />
delle politiche diviene anche un processo di composizione del conflitto, per cui la
scelta razionale diviene quella che garantisce l’accordo tra gli interessi coinvolti.<br />
Attraverso la discussione, la negoziazione, lo scambio, o anche a volte decisioni<br />
un<strong>il</strong>aterali, si cerca di provocare delle risposte negli altri attori/decisori, in un<br />
modello di “reciproco aggiustamento partigiano”. Ne deriva un modello di<br />
razionalità quasi “sperimentale”, in cui si va avanti per piccoli passi con<br />
approssimazioni successive che producono scelte incrementali che si scostano<br />
poco rispetto a quelle fatte in precedenza, pronti poi ad “aggiustare <strong>il</strong> tiro”, se le<br />
decisioni prese provocano eccessive reazioni e conflitti.<br />
In fondo <strong>il</strong> modello di Lindblom finisce per descrivere la logica di funzionamento<br />
delle democrazie pluraliste dove, come scrive Luigi Bobbio, “non esiste una mente<br />
centrale in grado di vedere tutto” e dove “la razionalità non è garantita a priori<br />
dal calcolo, ma scaturisce piuttosto a posteriori dall’interazione sociale”.<br />
Questo preteso accostamento alla logica democratica solleva però delle CRITICHE.<br />
AMITAI ETZIONI, ad esempio, r<strong>il</strong>eva non solo <strong>il</strong> conservatorismo di questa forma<br />
di processo decisionale, che si riferisce alle decisioni ordinarie (le microdecisioni),<br />
trascurando così completamente le decisioni strategiche su problemi<br />
fondamentali, ma anche la sua anti-democraticità, perché “l’aggiustamento<br />
reciproco favorisce i gruppi ben organizzati e agisce contro le categorie<br />
sottopriv<strong>il</strong>egiate”. Questo autore propone piuttosto <strong>il</strong> metodo del MIXED<br />
SCANNING, che opera una distinzione tra le decisioni fondamentali, dove è<br />
necessario valutare numerose decisioni alternative, e decisioni di portata limitata,
che possono essere prese in modo incrementale.<br />
4<br />
MODELLO DEL “BIDONE DELLA SPAZZATURA”<br />
Questo ulteriore modello, che rappresenta una reazione radicale ai modelli che<br />
vedono le organizzazioni come soggetti dotati di fini precisi ed espliciti, sottolinea<br />
anch’esso come la vita delle organizzazioni sia dominata dalla lotta fra diversi<br />
attori, ciascuno dotato di propri obbiettivi e strategie, spesso incompatib<strong>il</strong>i.<br />
Questa visione porta a negare ogni scopo organizzativo: piuttosto, le condizioni di<br />
contingenza e imprevedib<strong>il</strong>ità del processo decisionale ne mettono in evidenza la<br />
sostanziale casualità, rendendolo un processo di “anarchia organizzata”. La<br />
decisione nasce infatti dall’incontro e dal gioco di interdipendenza fra una serie<br />
di fattori eterogenei:<br />
• I PROBLEMI (P) sono distinti dalle scelte, e possono rimanere insoluti anche<br />
dopo le scelte.<br />
• LE SOLUZIONI (S) non sempre vengono create appositamente per risolvere un<br />
determinato problema. Spesso preesistono al problema (soluzioni in cerca di<br />
problemi).<br />
• GLI ATTORI PARTECIPANTI (A) vanno e vengono, hanno finalità diverse e sono<br />
condizionati da limiti di tempo e di attenzione.
• LE OPPORTUNITA’ DI SCELTA (O) si addensano in luoghi decisionali ad hoc e sedi<br />
istituzionali.<br />
Una situazione decisionale caratterizzata in questo modo appare pertanto per<br />
questi autori come “<strong>il</strong> luogo di incontro tra problemi che cercano trattamento,<br />
soluzioni che cercano problemi e partecipanti che cercano problemi da risolvere,<br />
soddisfazioni per interessi, o alleanze da stipulare”, come in un BIDONE DELLA<br />
SPAZZATURA in cui i vari elementi del processo decisionali sono mischiati e<br />
vengono pescati a caso.<br />
Se dunque la logica del processo decisionale dovrebbe rispettare una sequenza<br />
che parte dai problemi, considera le diverse opportunità di scelta, tiene conto dei<br />
diversi attori partecipanti ed arriva a delle soluzioni (quindi: P - O - A - S ), nelle<br />
situazioni decisionali ambigue le sequenze possono essere le più diverse (S - O - P<br />
- A; oppure: O - A - S - P; o ancora: A - S - P - O).<br />
Questo modello decisionale, nonostante si proponga di <strong>il</strong>lustrare gli aspetti non<br />
razionali del processo decisionale pubblico, rappresenta tuttavia anch’esso una<br />
forma, sia pur d<strong>il</strong>uita, di razionalità: infatti, si può anche affermare che “quel che<br />
appare caotico e casuale possiede una nascosta struttura logica e risponde ad<br />
una esigenza funzionale”.<br />
La principale CRITICA che si può rivolgere a questo modello è che esso non è<br />
certamente generalizzab<strong>il</strong>e: in particolare, esso non appare adatto a interpretare<br />
<strong>il</strong> funzionamento di interi settori politico-istituzionali. A tal proposito, si può
osservare che l’ambiguità e l’incertezza dei processi decisionali possono trovare un<br />
significativo argine nella capacità delle istituzioni di creare delle cornici di senso in<br />
cui inquadrare l’azione sociale, come dimostra un approccio differente, quello<br />
neo-istituzionale, che, pur non rientrando nei quattro tipi di razionalità fin qui<br />
presentati, risulta ad essi complementare.<br />
5<br />
MODELLO NEO - ISTITUZIONALE<br />
In una prospettiva diversa, L’APPROCCIO NEO - ISTITUZIONALE cerca di combinare<br />
la critica ad una visione della organizzazione come un organismo unico, con<br />
l’osservazione che, pur con contraddizioni e conflitti, le organizzazioni hanno<br />
tuttavia una loro esistenza autonoma rispetto alla somma degli individui che le<br />
compongono. Questo approccio appare complementare rispetto ai quattro<br />
modelli di razionalità decisionale. In esso alla logica della consequenzialità (dove<br />
<strong>il</strong> processo decisionale viene presentato come <strong>il</strong> risultato di un calcolo razionale,<br />
anche se la razionalità può essere “pura” o “limitata”, e la situazione parametrica<br />
si può trasformare in una situazione strategica in cui appare centrale <strong>il</strong> grado più o<br />
meno alto di disaccordo sui fini e la conseguente conflittualità fra gli attori, o,<br />
infine, la razionalità si stempera ulteriormente, senza però scomparire del tutto,
nella contingenza e imprevedib<strong>il</strong>ità dello stesso processo decisionale) si<br />
contrappone infatti la logica dell’appropriatezza, in base alla quale la razionalità<br />
consiste nella conformità a regole, norme e valori e si traduce in azioni basate sul<br />
riconoscimento di identità collettive. Ciò significa che, in contesti altamente<br />
istituzionalizzati, i comportamenti degli individui appaiono fortemente vincolati,<br />
per cui l’azione decisionale risulta improntata alla conformità a regole, piuttosto<br />
che azione weberianamente orientata allo scopo. Emerge allora che:<br />
VINCOLI<br />
ISTITUZIONALI<br />
ALL’AZIONE<br />
SOCIALE<br />
ASPETTO<br />
NORMATIVO<br />
ASPETTO<br />
REGOLATIVO<br />
ASPETTO<br />
COGNITIVO<br />
Insieme di norme e valori<br />
diffusi.<br />
Tessuto di regole<br />
comportamentali e di<br />
procedure.<br />
Fascio di significati condivisi,<br />
di mappe cognitive e di<br />
schemi regolativi di<br />
appropriatezza delle azioni<br />
che forniscono senso<br />
all’interazione quotidiana.
I comportamenti nelle organizzazioni non sarebbero dunque dettati dal mero<br />
interesse individuale, ma piuttosto da obbligazioni culturali e norme sociali, cioè –<br />
come affermano MARCH e OLSEN - “l’azione umana non sarebbe tanto motivata<br />
dall’anticipazione delle sue incerte conseguenze e dalle preferenze individuali,<br />
quanto piuttosto da una logica di comportamento ispirata a criteri di<br />
appropriatezza nel contesto di determinate regole e concezioni di identità”. Così <strong>il</strong><br />
rispetto delle regole deriva da processi di routinizzazione che rendono prevedib<strong>il</strong>i i<br />
comportamenti, sia dei burocrati che degli utenti, per cui “semplici stimoli<br />
innescano modelli di azione complessi, standardizzati, senza richiedere una<br />
approfondita analisi, la soluzione di problemi o <strong>il</strong> ricorso al potere discrezionale”.
B<br />
I LIMITI ALLA NEUTRALITA’<br />
Il mito della “neutralità” del burocrate, visto come mero esecutore della legge<br />
prodotta dagli organismi politico-rappresentativi, non regge certamente alla<br />
odierna complessità assunta dagli organismi burocratici.<br />
Certo NON C’È CONTRADDIZIONE TRA DEMOCRAZIA E BUROCRAZIA. Non solo<br />
perché è la democrazia con <strong>il</strong> suo sv<strong>il</strong>uppo a provocare la crescita della<br />
democrazia (dove c’è più Stato c’è più amministrazione) ma anche perché <strong>il</strong><br />
principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e <strong>il</strong> reclutamento sulla<br />
base delle competenze sono coerenti con gli ideali della democrazia. Come<br />
infatti osserva lo stesso Weber, “l’eguaglianza giuridica e la pretesa di garanzie<br />
giuridiche contro l’arbitrio esigono l’oggettività razionale formale<br />
dell’amministrazione, in antitesi al libero volere personale, nonché alla grazia,<br />
propria dell’antico potere patrimoniale”.<br />
Per un altro verso però, LA BUROCRAZIA SI DISCOSTA DALLA DEMOCRAZIA<br />
PER L’ASSENZA DI UNA LEGITTIMAZIONE RAPPRESENTATIVA. A tal riguardo, data<br />
la mancanza di una responsab<strong>il</strong>ità diretta verso l’elettorato, secondo la dottrina<br />
democratica la burocrazia deve essere subordinata al potere politico: ai politici<br />
spetterebbe dunque <strong>il</strong> compito di definire l’indirizzo generale delle politiche<br />
pubbliche, ai burocrati quello di attuare le direttive dei politici, rendendole così
operative.<br />
In realtà, <strong>il</strong> principio di neutralità appare solo parzialmente rispecchiato dalle<br />
esperienze concrete. Politici e burocrati appaiono piuttosto fare riferimento a<br />
differenti tipi di risorse a cui attingere per esercitare delle CONTINUE FORME<br />
DI RECIPROCO CONTROLLO.<br />
‣ LE RISORSE DELLA CLASSE POLITICA, oltre alla LEGITTIMAZIONE<br />
derivante dal voto dei cittadini, dipendono innanzitutto dal CONTROLLO DEL<br />
PROCESSO DI BILANCIO, che si traduce in un controllo dei fondi assegnati ai vari<br />
settori burocratici. Data la tendenza delle organizzazioni burocratiche ad<br />
accrescere <strong>il</strong> proprio budget di spesa nonché <strong>il</strong> grado della propria autonomia di<br />
spesa, è questa certamente l’”arma” più importante nelle mani dei governi.<br />
Anche la capacità, più o meno r<strong>il</strong>evante, delle autorità di governo di impostare una<br />
PROGRAMMAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE rappresenta certamente un<br />
vincolo significativo per le attività burocratiche. Oltre a questo, i governi possono<br />
ovviare parzialmente a uno dei principali handicap nei confronti delle strutture<br />
burocratiche, quello di dover dipendere da queste ultime per la raccolta e la<br />
messa a punto delle informazioni necessarie per decidere, dotandosi di PROPRI<br />
STAFF TECNICI, capaci di funzionare come fonti “autonome” di informazioni,<br />
composti da consulenti esterni oppure direttamente alle dipendenze dei governi.
‣ LE RISORSE DELLA BUROCRAZIA PUBBLICA appaiono però più<br />
importanti, tanto che <strong>il</strong> rapporto politico - burocrate appare di tipo asimmetrico, a<br />
tutto vantaggio del secondo.<br />
A tal proposito la risorsa più efficace appare indubbiamente quella costituita dal<br />
quasi-monopolio dei dati informativi da parte degli uffici burocratici, legato<br />
all’ALTO GRADO DI COMPETENZE SPECIALISTICHE sv<strong>il</strong>uppato dai diversi settori<br />
della burocrazia. Come ha r<strong>il</strong>evato DENTE, “mentre l’amministrazione è, o<br />
potrebbe essere, all’interno della sua sfera di competenza, pienamente sovrana e<br />
autosufficiente, in grado, cioè, di di trasformare pienamente gli input in risultati<br />
effettivi, lo stesso non può dirsi per gli eletti ed i politici, che, in ogni singola<br />
attività, avranno sempre bisogno di una collaborazione da parte degli uffici,<br />
mancando la quale non saranno assolutamente in grado di raggiungere i<br />
risultati”.<br />
Un’altra fondamentale risorsa risiede nella PIÙ LUNGA “DURATA IN CARICA” dei<br />
funzionari burocratici rispetto ai politici. Poiché i ministri vanno e vengono, mentre<br />
i vertici burocratici restano in carica, la permanenza e stab<strong>il</strong>ità nel posto consente<br />
a tali vertici, quando non concordano con determinate linee politiche, di adottare<br />
strategie volte a scegliere opzioni i cui risultati potranno vedersi nel lungo<br />
periodo (sfuggendo così, nella maggior parte dei casi, al controllo dei vertici<br />
politici, la cui durata è molto più breve).<br />
La crescente autonomizzazione della burocrazia rispetto al controllo dei politici
dipende inoltre dal PROCESSO DI PROGRESSIVA TRASFORMAZIONE DEI FINI<br />
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, che ha visto <strong>il</strong> burocrate passare dalla mera<br />
applicazione delle istanze legislative ad un crescente coinvolgimento in attività di<br />
programmazione orientate alla selezione dei mezzi più adatti ad alcuni risultati,<br />
piuttosto che alla conformità alle leggi.<br />
La TENDENZA A RINVIARE SCELTE IMPORTANTI ALLA FASE DI<br />
IMPLEMENTAZIONE DELLE POLITICHE ha poi ulteriormente accresciuto<br />
l’autonomia della burocrazia pubblica, a cui la fase di implementazione è<br />
demandata.<br />
Anche <strong>il</strong> CARATTERE “STRATEGICO” ASSUNTO DAL PROCESSO DECISIONALE,<br />
volto a trovare soluzioni di compromesso tra le esigenze spesso in conflitto dei vari<br />
attori sociali, ha accresciuto l’autonomia della burocrazia, che ha acquistato un<br />
ruolo sempre più r<strong>il</strong>evante nel continuo negoziato tra lo stato e i diversi gruppi<br />
sociali. In questo senso si parla oggi di “democrazie post-parlamentari”, dove le<br />
politiche sono sv<strong>il</strong>uppate attraverso la negoziazione tra le agenzie<br />
amministrative e i gruppi di pressione.<br />
In conclusione, più che mera esecutrice delle leggi, la burocrazia pubblica ha<br />
acquistato oggi una crescente autonomia sfuggendo spesso al controllo delle<br />
istanze politico-rappresentative, dimostrando una crescente capacità di intervento<br />
non solo nella miriade di micro-decisioni quotidiane, ma anche in decisioni di più<br />
ampia portata che richiedono l’intervento dell’autorità elettiva.
C<br />
I LIMITI ALLA GERARCHIA<br />
Il modello weberiano mette in primo piano la struttura fortemente gerarchica<br />
della burocrazia pubblica. Tre elementi consentono però di mettere in discussione<br />
questo aspetto. Essi riguardano innanzitutto <strong>il</strong> SISTEMA DEGLI INCENTIVI che<br />
spingono <strong>il</strong> burocrate all’azione, che possono avere natura diversa. In secondo<br />
luogo, <strong>il</strong> carattere “a cascata” del potere burocratico, dall’alto verso <strong>il</strong> basso,<br />
descritto dal classico modello top-down, è stato messo in dubbio da molti autori,<br />
che sottolineano invece un movimento in direzione opposta, dal basso verso l’alto<br />
(bottom-up) che rivaluta l’IMPORTANZA DEGLI STRATI PIÙ BASSI DELLA<br />
BUROCRAZIA, quelli direttamente a contatto con gli utenti dei servizi pubblici.<br />
Infine, la CRESCENTE FRAMMENTAZIONE della struttura dell’amministrazione<br />
pubblica, dovuta alla crescita, in parallelo con le strutture pubbliche tradizionali, di<br />
un gran numero di enti pubblici.<br />
1 NATURA DEGLI INCENTIVI E SISTEMI DI CONFORMITA’<br />
Le burocrazie non sono tutte uguali. Organizzazioni diverse possono ut<strong>il</strong>izzare<br />
incentivi diversi che, in certi casi, possono indebolire <strong>il</strong> principio della gerarchia.<br />
In particolare, un ruolo strategico centrale nell’attuazione delle politiche assume<br />
la disponib<strong>il</strong>ità stessa dimostrata dai responsab<strong>il</strong>i amministrativi del programma
di attuazione. Il carattere e l’intensità<br />
della loro “risposta” (ACCETTAZIONE,<br />
DISINTERESSE, RIFIUTO) costituisce un presupposto fondamentale per <strong>il</strong> successo<br />
dell’implementazione. Secondo ETZIONI, esistono tre differenti tipi di disposizioni<br />
all’obbedienza (SISTEMI DI CONFORMITÀ) da parte di chi deve attuare un<br />
determinato obiettivo:<br />
SISTEMI DI<br />
CONFORMITA’<br />
COERCITIVO<br />
REMUNERATIVO<br />
NORMATIVO<br />
Obbedienza imposta con la forza<br />
(timore di sanzioni) = RISPOSTA<br />
ALIENATA.<br />
Aspettativa di un guadagno<br />
materiale = RISPOSTA<br />
OPPORTUNISTA.<br />
Interiorizzazione dei motivi<br />
dell’obbedienza (consenso) =<br />
ALLINEAMENTO TRA OBIETTIVI DI<br />
CHI DECIDE E RISPOSTE DI CHI<br />
AGISCE.
Un esempio certamente significativo di due sistemi di conformità molto diversi è<br />
dato dal confronto tra la BUROCRAZIA FRANCESE (discendente dal modello<br />
napoleonico), caratterizzata dal sistema delle Grand-Ecoles (istituzioni<br />
prestigiose, specializzate nella formazione dell’amministratore pubblico nei diversi<br />
campi funzionali), dal conseguente alto spirito di corpo e da una conformità di<br />
tipo normativo, e la BUROCRAZIA ITALIANA, dove invece lo spirito di corpo è<br />
molto scarso, la conformità è di tipo remunerativo (impiego vissuto come “posto<br />
sicuro”) e prevale di conseguenza un atteggiamento opportunistico.<br />
In ogni organizzazione burocratica sono presenti tutti e tre i tipi di incentivi. Ciò<br />
che varia è <strong>il</strong> peso relativo che essi hanno all’interno delle varie organizzazioni.<br />
La prevalenza di uno dei tre tipi di conformità avrà però effetti significativi<br />
sull’efficacia delle organizzazioni stesse rispetto ad alcuni scopi. Ad esempio,<br />
l’ut<strong>il</strong>izzo della coercizione, provocando forme di alienazione, appare poco adatta<br />
a produrre un impegno morale; anche gli incentivi remunerativi mettono in<br />
secondo piano le motivazioni ideali; gli incentivi normativi, a loro volta, se da un<br />
lato aumentano l’efficienza del comportamento amministrativo e <strong>il</strong> risparmio di<br />
risorse, dall’altro, per la loro stessa natura, appaiono meno “elastici”, rendendo<br />
più diffic<strong>il</strong>e trasformare i propri obiettivi.<br />
Oggi LE RIFORME IN ATTO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE hanno<br />
accentuato l’ut<strong>il</strong>izzazione sia di incentivi remunerativi (attraverso premi di<br />
produttività e contratti privatistici), che di incentivi simbolici (volti a valorizzare
soprattutto la professionalità). Ne è derivata una tensione crescente tra disciplina<br />
e competenza, nel senso che <strong>il</strong> principio gerarchico appare in crescente contrasto<br />
con <strong>il</strong> sapere tecnico (conflitto tra autorità basata sulla competenza e autorità<br />
basata sulla gerarchia).<br />
2 DAL MODELLO “TOP-DOWN” AL MODELLO “BOTTOM-UP”<br />
IL MODELLO TOP-DOWN abbraccia una visione razionalistica del policymaking<br />
di derivazione weberiana, in cui le politiche pubbliche appaiono come <strong>il</strong><br />
prodotto finale del processo legislativo, in un tipico comportamento “a cascata”,<br />
dall’alto verso <strong>il</strong> basso:<br />
DEFINIZIONE DEI PROGRAMMI<br />
COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO<br />
RISULTATI<br />
Primato dell’autorità gerarchica e<br />
netta distinzione tra politica e<br />
amministrazione.<br />
Grado di sfasatura tra programma e<br />
risultati, misurato in termini di<br />
efficienza.
La rappresentazione delle burocrazia pubblica come una piramide alla cui base<br />
stanno i dipendenti a contatto con <strong>il</strong> pubblico, i quali recepiscono in modo passivo<br />
e realizzano i programmi e le politiche definite dai loro vertici, appare però troppo<br />
semplicistica. In realtà, le decisioni prese dai vertici gerarchici sono spesso<br />
ambivalenti, compromissorie, imprecise, e lasciano ai livelli più bassi della<br />
gerarchia scelte di notevole r<strong>il</strong>evanza.<br />
Il ruolo dei “burocrati di base”, a diretto contatto con <strong>il</strong> pubblico, emerge con<br />
particolare r<strong>il</strong>evanza in alcuni settori (come, ad esempio, i servizi sociali o la<br />
polizia) in cui l’impiegato deve sv<strong>il</strong>uppare una serie di regole informali che gli<br />
permettano di definire un caso concreto come appartenente ad una certa casistica<br />
e, soprattutto, a scegliere criteri di selezione tra potenziali utenti. Il medico che<br />
deve decidere quale paziente priv<strong>il</strong>egiare per un trapianto, <strong>il</strong> vig<strong>il</strong>e urbano che<br />
deve scegliere quale infrazione tollerare e quale punire, l’assistente sociale che ha<br />
a disposizione solo un numero ristretto di posti per un programma di<br />
disintossicazione dall’alcool o dalla droga: in tutti questi casi, scelte importanti, da<br />
cui dipende la reale operatività di una politica, vengono compiute da chi sta alla<br />
base della piramide gerarchica.<br />
Partendo da questo tipo di considerazioni, alla logica lineare e sequenziale del<br />
modello top-down si contrappone la logica interattiva e retroattiva del<br />
MODELLO BOTTOM-UP, in cui l’accento viene posto sui meccanismi di
apprendimento.<br />
ALL’OTTICA DEL LEGISLATORE SI CONTRAPPONE COSÌ L’OTTICA DEI DESTINATARI<br />
DELLA POLITICA, per cui l’attuazione delle politiche viene ricostruita dal basso,<br />
partendo dall’impatto per risalire al processo di policy.<br />
La performance di una politica non dipende dalla conformità agli obiettivi, ma<br />
dalla capacità dei vari attori coinvolti di muoversi all’interno delle contrattazioni<br />
che caratterizzano <strong>il</strong> processo di messa in opera. Questo approccio prende in<br />
considerazione tutti gli attori pubblici e privati coinvolti nell’attuazione dei<br />
programmi, esaminandone gli obiettivi personali e organizzativi, le strategie e la<br />
rete di contatti che hanno costruito. Successivamente procede verso l’alto, per<br />
scoprire obiettivi, strategie e contatti di coloro che definiscono, finanziano ed<br />
eseguono i programmi.<br />
Concentrandosi sull’outcome (impatto) dell’attuazione delle politiche, questo<br />
approccio mette in evidenza i limiti della visione opposta che, concentrandosi sul<br />
ruolo dei vertici burocratici, non considerava che spesso essi hanno un ruolo<br />
marginale nell’attuazione, rispetto a funzionari di livello più basso. Viene così<br />
messo in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> ruolo della cosiddetta STREET LEVEL BUROCRACY , cioè dei<br />
funzionari a livello più basso ma che costituiscono la burocrazia operativa, a<br />
diretto contatto con <strong>il</strong> pubblico (operatori dei servizi socio-sanitari, delle politiche<br />
scolastiche, ecc.).<br />
Come si è detto, Il vantaggio di questo approccio consiste nell’attenzione rivolta
alle relazioni formali e informali che si instaurano tra gli attori coinvolti nella<br />
attuazione delle politiche pubbliche, e dunque nel particolare r<strong>il</strong>ievo attribuito al<br />
PESO DELLA COMPONENTE RELAZIONALE, che pone al centro dell’analisi <strong>il</strong><br />
continuo Interscambio tra utenti e burocrazia e la percezione della qualità dei<br />
servizi da parte dei beneficiari.<br />
Questo approccio consente anche di evidenziare l’esistenza di forme di<br />
intermediazione fra interessi e istituzioni pubbliche anche in fase di<br />
implementazione, e di come la crescente frammentazione delle burocrazie<br />
pubbliche porti a interazioni fra gruppi di interesse e settori burocratici che<br />
possono essere legittime, ma anche a-leggittime o <strong>il</strong>legittime.<br />
Dall’esame di entrambi i modelli emerge la necessità di tenere distinti, a livello<br />
analitico, <strong>il</strong> PIANO DEL PROCESSO-NORMAZIONE , cioè <strong>il</strong> modo in cui l’autorità<br />
pubblica incaricata percepisce, definisce e stab<strong>il</strong>isce la messa in opera, dal PIANO<br />
DELLA STRUTTURA-EFFETTUAZIONE, che concerne la realtà dei fenomeni, così<br />
come la si può cogliere dalla verifica sul campo della messa in opera. Emerge così<br />
l’importanza di un’ANALISI DEL SISTEMA CONCRETO DI AZIONE che, pur dando<br />
r<strong>il</strong>ievo al ruolo di istituzioni, regole decisionali e procedure (secondo una logica<br />
top-down), metta però in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> ruolo dei molteplici attori (pubblici e privati,<br />
politici o burocratici) che si muovono dentro quelle strutture e, perseguendo i<br />
propri scopi più o meno legittimi, a volte le trasformano.
3 LA FRAMMENTAZIONE DEI SISTEMI AMMINISTRATIVI<br />
Un ulteriore elemento che indebolisce <strong>il</strong> principio gerarchico è dovuto ai<br />
mutamenti col tempo intercorsi nella struttura della pubblica amministrazione,<br />
con la NASCITA DI UN GRAN NUMERO DI ENTI PUBBLICI “paralleli”<br />
all’amministrazione tradizionale per ministeri, spesso tra loro eterogenei e in<br />
reciproca competizione.<br />
L’intreccio tra strutture piramidali gerarchiche e strutture di coordinamento<br />
orizzontali che ne è derivato, ha determinato un’accresciuta FRAMMENTAZIONE<br />
DEI SISTEMI AMMINISTRATIVI, che perdono quel carattere di macrosistemi<br />
organizzativi relativamente compatti che possedevano in passato. Questa<br />
complessa articolazione organizzativa ha determinato di conseguenza<br />
l’AUMENTO DELL’AUTONOMIA DELLA BUROCRAZIA, sottraendo molti organi al<br />
controllo centralizzato tipico del passato. Così oggi la pubblica amministrazione<br />
– come ha osservato Luigi Bobbio – “si presenta come una costellazione di<br />
apparati semiautonomi, debolmente connessi, dotati di forme giuridiche,<br />
logiche d’azione e finalità profondamente differenziate”.
D<br />
I LIMITI ALLA COMPETENZA<br />
Se nel modello weberiano di burocrazia <strong>il</strong> reclutamento dei funzionari pubblici è<br />
basato sulle competenze, e l’accesso all’organizzazione è regolato da un sistema<br />
di pubblici concorsi, in realtà i diversi percorsi di sv<strong>il</strong>uppo dello stato-nazione<br />
hanno determinato conseguenze diverse nei vari paesi sul modello di<br />
amministrazione pubblica. A tal proposito emergono DUE MODELLI<br />
ALTERNATIVI: quello sv<strong>il</strong>uppatosi in Europa sulla falsariga del modello francese, e<br />
quello affermatosi negli Stati Uniti.<br />
1 IL MODELLO FRANCESE<br />
Si è già detto di come in Francia <strong>il</strong> processo di formazione di una amministrazione<br />
pubblica, con la creazione di un esercito permanente e di un sistema centralizzato<br />
di tassazione, abbia costituito un fattore determinante per l’affermazione, a<br />
partire dal XVI secolo, della monarchia assoluta, determinando così la nascita<br />
dello Stato moderno. Se successivamente la rivoluzione francese indebolì <strong>il</strong><br />
modello accentrato di burocrazia controllata dal potere esecutivo, tale modello fu<br />
pienamente ristab<strong>il</strong>ito da Napoleone, che anzi ne rafforzò ulteriormente la<br />
struttura gerarchica.
Nel sistema francese <strong>il</strong> reclutamento e la carriera dei funzionari sono legati al<br />
merito e alla competenza, certificati da una formazione dei futuri funzionari<br />
attraverso un sistema formativo imperniato su scuole specializzate: le Grandes<br />
Ecoles. Altra caratteristica del sistema, poi affermatosi in tutto <strong>il</strong> continente<br />
europeo, è <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o generalista degli impiegati pubblici, secondo <strong>il</strong> quale ciascun<br />
dirigente deve essere tendenzialmente in grado di ricoprire tutte le funzioni del<br />
suo grado in qualsiasi settore della pubblica amministrazione. Il sistema<br />
decisionale è basato sull’autorità gerarchica e le carriere avvengono tutte<br />
all’interno della pubblica amministrazione, essendo interdetti i contatti con<br />
l’esterno (cioè con <strong>il</strong> settore privato). Ciò a garanzia di una burocrazia permeata di<br />
una cultura organizzativa che enfatizza norme impersonali e universali e guidata<br />
dall’ideale del perseguimento del “bene comune”.<br />
2 IL MODELLO STATUNITENSE<br />
Il modello degli Stati Uniti vede invece affermarsi IL PRINCIPIO DELLO SPOIL<br />
SYSTEM, che consente al Presidente (eletto direttamente e Capo del Governo) di<br />
nominare un numero considerevole di alti dirigenti della pubblica<br />
amministrazione. Questo sistema crea dunque un forte raccordo tra vertice<br />
politico e pubblica amministrazione e determina una minore inamovib<strong>il</strong>ità dei<br />
vertici dell’amministrazione, che in gran parte vengono rinnovati dal nuovo
Presidente. Esso determina, inoltre, un’alta mob<strong>il</strong>ità tra settore pubblico e<br />
settore privato, con una possib<strong>il</strong>ità di ingresso ai diversi livelli della carriera. In un<br />
modello di questo tipo, fortemente aperto all’esterno, assume particolare<br />
r<strong>il</strong>evanza <strong>il</strong> possesso di competenze specifiche rispetto alle prestazioni richieste al<br />
pubblico funzionario. Prevalgono inoltre le funzioni di negoziato e di<br />
negoziazione con i gruppi di volta in volta interessati ai singoli provvedimenti. Si<br />
afferma, infine, una cultura amministrativa di tipo pragmatico, costruita su una<br />
serie di decisioni su casi singoli.<br />
3 DEVIAZIONI DAL MODELLO EUROPEO: IL CASO ITALIANO<br />
Se <strong>il</strong> modello di derivazione francese, generalmente adottato nel continente<br />
europeo, è imperniato sulla centralità delle competenze tecniche e<br />
dell’autonomia della burocrazia, in realtà in più di un paese <strong>il</strong> potere politico è<br />
riuscito ad esercitare un forte controllo sulla burocrazia.<br />
E’, in particolare, quanto è accaduto IN ITALIA, dove l’affermazione di un sistema<br />
fortemente “<strong>partito</strong>cratico” ha fatto sì che anche nel settore burocratico<br />
l’aff<strong>il</strong>iazione partitica diventasse <strong>il</strong> principale presupposto per godere di una<br />
serie di priv<strong>il</strong>egi. Così, a una debole capacità di iniziativa della burocrazia si è<br />
accompagnata la diffusione di un sistema di “scambio clientelare” fra burocrati
e politici, i cui contatti – come nota GUARNIERI – “<strong>il</strong> più delle volte non hanno<br />
come oggetto l’elaborazione di politiche e le relative decisioni, ma piuttosto<br />
provvedimenti amministrativi di portata limitata, patrocinati per motivi<br />
clientelari o, comunque, particolaristici da esponenti politici”.<br />
Questo sistema distorto è, in particolare, caratterizzato da un serie lunga e<br />
contorta di controlli formali che consentono ad alcuni burocrati la possib<strong>il</strong>ità di<br />
bloccare arbitrariamente l’iter amministrativo di qualsiasi pratica quando manca<br />
l’avallo del politico a cui si fa riferimento.<br />
Per completare <strong>il</strong> quadro, la burocrazia italiana è caratterizzata da una formazione<br />
prevalentemente giuridica (in ossequio all’impostazione di tipo generalistica), da<br />
una bassissima mob<strong>il</strong>ità tra settore pubblico e privato e da scarsi contatti con<br />
l’esterno. Inoltre, <strong>il</strong> sistema degli incentivi è prevalentemente di tipo<br />
remunerativo, dove <strong>il</strong> raggiungimento per raccomandazione politica di un “posto<br />
sicuro” nella pubblica amministrazione ha rappresentato a lungo l’obiettivo di<br />
un’ampia parte dei ceti medi delle regioni meridionali, in presenza di un mercato<br />
del lavoro che offriva poche prospettive alternative. Il sistema delle promozioni,<br />
infine, basato su scatti automatici di carriera secondo <strong>il</strong> criterio dell’anzianità, ha<br />
prevalso largamente sull’uso di criteri meritocratici, per cui la sostanziale assenza<br />
di incentivi normativi si è tradotta nella scarsa presenza di uno spirito di corpo.<br />
‣Lo schema sottostante riassume sinteticamente i LIMITI DEL MODELLO<br />
WEBERIANO:
LIMITI DEL MODELLO WEBERIANO<br />
LIMITI ALLA<br />
RAZIONALITA’<br />
LIMITI ALLA<br />
NEUTRALITA’<br />
L’azione amministrativa riflette, ben al di là del modello<br />
sinottico di derivazione weberiana, una serie di<br />
RAZIONALITÀ PLURIME a cui possono essere collegati<br />
differenti modelli decisionali, improntati non solo<br />
all’acquisizione ed elaborazione delle informazioni e alla<br />
previsione delle conseguenze dell’azione, ma anche alla<br />
regolazione del conflitto tra attori che perseguono fini<br />
diversi; giocano inoltre un ruolo r<strong>il</strong>evante anche le<br />
caratteristiche del contesto istituzionale di riferimento.<br />
Al “mito” del comportamento neutrale del burocrate e<br />
della sua subordinazione al potere politico –<br />
rappresentativo (nelle odierne società democratiche) fa<br />
riscontro la presenza di di continue forme di RECIPROCHE<br />
INFLUENZE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE PUBBLICA,<br />
basate sull’ut<strong>il</strong>izzo di differenti tipi di risorse.
LIMITI ALLA<br />
GERARCHIA<br />
La struttura fortemente gerarchica del modello<br />
weberiano di burocrazia è messa in discussione su tre<br />
differenti piani:<br />
un sistema diversificato di incentivi (di tipo coercitivo,<br />
remunerativo e normativo) che da luogo a DIVERSI<br />
SISTEMI DI CONFORMITÀ;<br />
la visione razionalistica di derivazione weberiana, che<br />
si incarna nel tradizionale MODELLO TOP-DOWN, è<br />
messa in discussione dalla r<strong>il</strong>evanza del ruolo del<br />
“burocrate di base” e dal passaggio dall’ottica del<br />
legislatore all’ottica dei destinatari delle politiche che<br />
caratterizza <strong>il</strong> MODELLO BOTTOM-UP.<br />
la crescita di un gran numero di enti pubblici,<br />
“paralleli” alla tradizionale burocrazia ministeriale, ha<br />
accresciuto la FRAMMENTAZIONE DEI SISTEMI<br />
AMMINISTRATIVI, affiancando alle strutture gerarchiche<br />
forme di coordinamento di tipo orizzontale.
LIMITI ALLA<br />
COMPETENZA<br />
Le esperienze concrete dello sv<strong>il</strong>uppo delle burocrazie<br />
pubbliche in contesti diversi consentono di enucleare<br />
due differenti modelli:<br />
I l primo, quello di derivazione francese affermatosi<br />
NEL CONTINENTE EUROPEO, ricalca i principali tratti del<br />
modello weberiano, presentando un prof<strong>il</strong>o generalista<br />
dell’impiegato pubblico e una cultura amministrativa<br />
che enfatizza norme impersonali ed universali;<br />
<strong>il</strong> secondo, affermatosi NEGLI STATI UNITI e<br />
imperniato sul sistema dello SPOIL SYSTEM, presenta<br />
caratteristiche diverse, quali <strong>il</strong> ricambio periodico dei<br />
principali vertici burocratici, una sostanziale apertura<br />
del sistema burocratico verso l’esterno (che produce<br />
un’alta mob<strong>il</strong>ità tra settore pubblico e settore privato) e<br />
una cultura amministrativa di tipo pragmatico,<br />
piuttosto che di tipo giuridico.
TENDENZE DI RIFORMA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE<br />
LA CRISI DEL WELFARE STATE che ha investito <strong>il</strong> mondo occidentale negli ultimi<br />
decenni, evidenziata dai crescenti problemi di b<strong>il</strong>ancio di Stati oberati da debiti<br />
pubblici ormai insostenib<strong>il</strong>i, ha portato non solo alla revisione (al ribasso) delle<br />
politiche sociali e a forme di deregolamentazione (cioè di riduzione delle<br />
formalità amministrative), ma anche ad una contrazione degli interventi dello<br />
Stato sul mercato, con forme crescenti di privatizzazione del settore pubblico.<br />
Su questi mutamenti nell’intervento dello Stato e nel modo di gestire la pubblica<br />
amministrazione hanno inoltre influito non poco <strong>il</strong><br />
MUTAMENTO DELLE<br />
DOMANDE DEI CITTADINI (con una crescente attenzione all’efficacia dell’azione<br />
burocratica) e la DISPONIBILITÀ DI NUOVE TECNOLOGIE (come quella<br />
informatica) capaci di trasformare radicalmente <strong>il</strong> lavoro d’ufficio.<br />
Questi diversi fattori hanno determinato <strong>il</strong> crescere in molti paesi di un<br />
movimento di riforma della pubblica amministrazione (<strong>il</strong> cosiddetto “NEW<br />
PUBLIC MANAGEMENT”) volto a introdurre in questo settore le tecniche di<br />
gestione manageriale tipiche delle organizzazioni private (quali <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio in<br />
pareggio e l’adozione di criteri meritocratici nella retribuzione del personale). Più<br />
in generale, quello che tende a realizzarsi è <strong>il</strong> passaggio da una<br />
“AMMINISTRAZIONE ORIENTATA ALLE NORME” ad una “AMMINISTRAZIONE
ORIENTATA AI RISULTATI”, con una conseguente crescita del grado di<br />
responsab<strong>il</strong>ità degli amministratori pubblici nei confronti dei cittadini.<br />
In particolare, <strong>il</strong> perseguimento di quella che è stata definita una “democrazia dei<br />
risultati” ha portato all’attenzione posta dalle leggi di riforma della pubblica<br />
amministrazione, succedutesi nel nostro paese a partire dagli anni novanta, al<br />
principio della trasparenza dell’azione dei pubblici amministratori di fronte ai<br />
cittadini: ciò si è tradotto in una maggiore visib<strong>il</strong>ità delle proposte della pubblica<br />
amministrazione e in un miglioramento dell’accesso dei cittadini alla<br />
documentazione amministrativa. Cittadini ai quali, oltre al diritto di essere<br />
informati, si tende a garantire anche <strong>il</strong> diritto a partecipare ad una serie di<br />
decisioni pubbliche, attraverso procedure di consultazione e di concertazione (in<br />
particolare nel campo delle politiche ambientali e territoriali).<br />
‣ Riassumiamo in quest’ultimo schema queste TENDENZE DI RIFORMA<br />
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
CRISI FISCALE<br />
DELLO STATO<br />
SOCIALE<br />
DEREGOLAMENTAZIONI E<br />
PRIVATIZZAZIONI<br />
MUTAMENTO<br />
NELLE<br />
DOMANDE DEI<br />
CITTADINI<br />
DISPONIBILITA’<br />
DI NUOVE<br />
TECNOLOGIE<br />
TENDENZE<br />
DI<br />
RIFORMA<br />
DELLA P. A.<br />
LOGICA DEL “NEW PUBLIC<br />
MANAGEMENT”<br />
(dalla “amministrazione<br />
orientata alla norma” alla<br />
“amministrazione orientata<br />
ai risultati”)<br />
TRASPARENZA DELLA<br />
AMMINISTRAZIONE E<br />
PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI<br />
(visib<strong>il</strong>ità e accesso alla<br />
documentazione amministrativa;<br />
procedure di consultazione e<br />
concertazione)