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Sommario<br />

SOMMARIO<br />

EDITORIALE<br />

La “dottrina” del notariato tra servizio e formazione di GIANCARLO LAURINI ....<br />

V<br />

SEZIONE “DOCUMENTI CNN”<br />

La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d.<br />

Manovra Economica). Prime note. (Circolare CNN del 28 giugno 2010)<br />

Estensori: MAURO LEO – ANNARITA LOMONACO – ANTONIO RUOTOLO ....... 3<br />

La legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del d.l. 30 maggio 2010 n.<br />

78 in materia di circolazione immobiliare – Novità e aspetti controversi.<br />

(Circolare CNN del 6 dicembre 2010) Estensori: MAURO LEO –<br />

ANNARITA LOMONACO – GIAMPIERO MONTELEONE – ANTONIO RUOTOLO.<br />

Presentazione di GIANCARLO LAURINI ....................................................... 17<br />

SEZIONE «STUDI»<br />

Studi Civilistici<br />

Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio (Studio n. 618-<br />

2010/C) di MAURO LEO............................................................................. 49<br />

Studi d’Impresa<br />

Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale (Studio n. 203-<br />

2009/I) di ALESSANDRA PAOLINI ................................................................ 77<br />

La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate: profili di interesse<br />

notarile (Studio n. 247-2010/I) di MARIO STELLA RICHTER JR................... 117<br />

Studi Tributari<br />

La base imponibile Iva per gli atti di assegnazione di immobili da parte di<br />

cooperative edilizie e loro consorzi (Studio n. 184-2009/T) di NICOLA<br />

FORTE....................................................................................................... 129<br />

SEZIONE «MATERIALI»<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L'attività negoziale dello<br />

straniero comunitario: casi e materiali”. Verona, 26 settembre 2009<br />

Introduzione di ANSELMO BARONE ................................................................... 141<br />

L’insolvenza transfrontaliera di DARIO LATELLA............................................... 143<br />

I trasferimenti di società di GIUSEPPE A. RESCIO............................................. 151<br />

L’abuso del diritto in materia tributaria THOMAS TASSANI ................................ 157<br />

La rappresentanza di società inglesi di ELIANA MORANDI................................ 163<br />

Studi e Materiali – 1/2011<br />

III


Sommario<br />

La legge applicabile ai patti successori di EMANUELE CALÒ............................ 173<br />

Caso tributario di GIOVANNI LIOTTA.................................................................. 177<br />

La certificazione energetica degli edifici di GIOVANNI RIZZI............................. 181<br />

RISPOSTE A QUESITI<br />

Commissione Studi Civilistici<br />

Effetti e pubblicità dell’ipoteca del bene presente nel contratto di permuta di<br />

bene presente con bene futuro (Quesito n. 462-2010/C) di NUNZIO-<br />

ATTILIO TOSCANO...................................................................................... 229<br />

Donazione con riserva di usufrutto successivo da parte del nudo proprietario<br />

(Quesito n. 539-2010/C) di DANIELA BOGGIALI ............................................ 233<br />

Vendita e atti di straordinaria amministrazione di beni ecclesiastici: due casi<br />

concreti (Quesito n. 643-2010/C) di NUNZIO-ATTILIO TOSCANO .................. 236<br />

Commercializzazione di immobile “ante 1967” trasferito a seguito di procedura<br />

esecutiva con varianti al progetto originario non autorizzate (Quesito<br />

n. 664-2010/C) di MARIA LAURA MATTIA....................................................... 243<br />

Costituzione di servitù, fondo intercluso e valenza del principio nemini res<br />

sua servit (Quesito n. 677-2010/C) di NUNZIO-ATTILIO TOSCANO............... 245<br />

Commissione Studi d’Impresa<br />

Trasformazione di comunione ereditaria in società – Ammissibilità della<br />

cessione di alcuni immobili aziendali prima del decorso dei 60 gg. dagli<br />

adempimenti pubblicitari – Regime fiscale (Quesito n. 146-2010/I e<br />

132-2010/T) di ANNARITA LOMONACO – ANTONIO RUOTOLO ...................... 249<br />

Perdita della qualità di imprenditore del socio di confidi e sorte delle garanzie<br />

(Quesito n. 175-2010/I) di DANIELA BOGGIALI – ALESSANDRA PAOLINI. 253<br />

Conferimento in s.r.l. di immobile sito negli USA (Quesito n. 178-2010/I) di<br />

ELIANA MORANDI – ALESSANDRA PAOLINI................................................... 257<br />

S.p.a. consortile: clausola di esclusione (Quesito n. 187-2010/I) di DANIELA<br />

BOGGIALI – ALESSANDRA PAOLINI .............................................................. 259<br />

Aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione in s.p.a. quotata<br />

(Quesito n. 189-2010/I) di ALESSANDRA PAOLINI ...................................... 263<br />

Trasformazione di consorzio con attività esterna in s.r.l. consortile, maggioranza<br />

richiesta, voto per teste o per quote e assegnazione delle partecipazioni<br />

(Quesito n. 192-2010/I) di ANTONIO RUOTOLO .......................... 267<br />

Oggetto sociale di s.r.l.: servizi di mediazione e conciliazione (Quesito n.<br />

193-2010/I) di ALESSANDRA PAOLINI......................................................... 271<br />

Dimissioni e “prorogatio” del collegio sindacale nella s.r.l. Essenzialità della<br />

relazione dell’organo di controllo nella riduzione di capitale ex art.<br />

2482-bis (Quesito n. 194-2010/I) di DANIELA BOGGIALI – ANTONIO<br />

RUOTOLO .................................................................................................. 273<br />

Divieto per i Comuni sotto i 30.000 abitanti di costituire o partecipare a società<br />

e farmacie comunali (Quesito n. 195-2010/I) di ANTONIO<br />

RUOTOLO .................................................................................................. 279<br />

IV<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Sommario<br />

Fallimento: procedure competitive e intervento del notaio (Quesito n. 197-<br />

2010/I) di DANIELA BOGGIALI..................................................................... 285<br />

Limiti statutari alla rieleggibilità degli amministratori nelle cooperative<br />

S.p.A. (Quesito n. 202-2010/I) di ANTONIO RUOTOLO............................... 289<br />

Recesso nella s.n.c. e “rinunciabilità” al termine di preavviso (Quesito n.<br />

206-2010/I) di ANTONIO RUOTOLO ............................................................ 293<br />

Oggetto sociale: mediazione creditizia dopo il D.Lgs. 141/2010 e novità<br />

nella disciplina transitoria (D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218) (Quesito<br />

n. 230-2010/I) di ALESSANDRA PAOLINI..................................................... 295<br />

Trasferimento di partecipazione di società consortile in dipendenza di cessione<br />

d’azienda (Quesito n. 244-2010/I) di CIRO CACCAVALE – ANTONIO<br />

RUOTOLO .................................................................................................. 297<br />

S.r.l. farmacia comunale e trasferimento di quote (Quesito n. 250-2010/I) di<br />

ANTONIO RUOTOLO ................................................................................... 302<br />

Consorzio tra comuni con attività esterna (Quesito n. 251-2010/I) di DANIE-<br />

LA BOGGIALI – ANTONIO RUOTOLO ............................................................. 306<br />

Commissione Studi Tributari<br />

Imposta di bollo applicabile a planimetrie e certificati energetici allegati ad<br />

atti notarili (Quesito n. 135-2010/T) di ANNARITA LOMONACO................... 307<br />

Trasferimento per causa di morte di azienda in affitto e regolarizzazione<br />

società di fatto (Quesito n. 172-2010/T) di ANNARITA LOMONACO............ 309<br />

In tema di “plusvalenze immobiliari – Cessione di parcheggi a raso” (Quesito<br />

n. 183-2010/T) di MARIA CONCETTA CIGNARELLA ................................. 312<br />

Iva – Assegnazione a socio di fabbricato strumentale acquistato da un privato<br />

(Quesito n. 210-2010/T) di ANNARITA LOMONACO ............................ 315<br />

Imposte ipotecaria e catastale applicabili in caso di regolarizzazione di società<br />

di fatto con conferimento di azienda comprendente beni immobili<br />

(Quesito n. 216-2010/T) di ANNARITA LOMONACO .................................... 317<br />

Commissione Informatica<br />

Copia cartacea di documento informatico (art. 57-bis, comma 2, l.n.) (Quesito<br />

n. 8-2010/IG) di MAURO LEO.............................................................. 320<br />

Indice analitico.............................................................................................. 329<br />

Studi e Materiali – 1/2011<br />

V


Editoriale<br />

LA “DOTTRINA” DEL NOTARIATO TRA SERVIZIO E FORMAZIONE<br />

La nuova Consiliatura ha preso avvio in un periodo nel quale il rafforzamento<br />

dell’identità del Notariato ed il rilancio della sua immagine dipenderanno in larga<br />

parte dalla sua capacità di rinnovarsi, di tornare a credere in se stesso, non facendosi<br />

superare da fenomeni “esterni”, ma governando il cambiamento.<br />

Sarà indispensabile saper trasmettere efficacemente, sia all’interno che all’esterno,<br />

il ruolo storico di mediazione tra lo Stato e il cittadino, proprio dell’esercizio<br />

di quella “pubblica funzione” che connota l’attività del Notaio; il messaggio che il<br />

servizio reso al cittadino dal notaio è rafforzato dalla sua terzietà e indipendenza.<br />

Le competenze che lo Stato ci assegna, ci vengono “riservate” in quanto, severamente<br />

per esse formati e selezionati, lo Stato confida molto sulla nostra professionalità,<br />

sul rigore morale, sull’efficiente organizzazione e sulla qualità della<br />

nostra prestazione. Il tutto senza alcun onere a carico dello Stato.<br />

A supporto di questa complessa attività professionale dei notai e dell’azione<br />

del Consiglio Nazionale, operano sempre più intensamente le nostre Commissioni<br />

competenti per materia e l’Ufficio Studi, i cui lavori vengono raccolti in questi<br />

Quaderni trimestrali, di recente rinnovati nella grafica e nella periodicità. Una pubblicazione<br />

che costituisce un’utile raccolta degli approfondimenti, delle interpretazioni<br />

operative e delle risposte ai quesiti elaborate periodicamente dall’Ufficio<br />

Studi che, dal 2008, sono disponibili anche in un CD Rom allegato al numero di<br />

fine anno. Una vera e propria banca-dati portatile della Rivista che, attraverso la<br />

sua diffusione all’esterno, è anche una concreta espressione di “impegno culturale”<br />

nei confronti del mondo Accademico, delle magistrature e delle altre Categorie<br />

professionali. E tra i destinatari della Rivista rientrano a pieno titolo i giovani praticanti<br />

e gli allievi delle Scuole di Notariato, che trovano in “Studi e Materiali” un ausilio<br />

alle loro esercitazioni in preparazione del concorso.<br />

Affiancandosi ai Quaderni della Fondazione – un altro dei nostri “fiori all’occhiello”<br />

– Studi e Materiali completa strategicamente l’integrazione tra l’attività<br />

formativa svolta attraverso i convegni tematici all’interno della Categoria e la<br />

proiezione esterna del Notariato, come testimonianza del nostro impegno nella<br />

società.<br />

Proprio perché diretta emanazione del Consiglio Nazionale – e la nuova sezione<br />

“Documenti del CNN” ne è concreta dimostrazione – sono certo che la Rivista<br />

diventerà sempre di più veicolo di quella “giurisprudenza notarile” nell’interpretazione<br />

delle norme di interesse generale, indispensabile per conseguire una<br />

Studi e Materiali – 1/2011<br />

VII


Editoriale<br />

maggiore omogeneità nello svolgimento della pubblica funzione. Essa infatti ha<br />

bisogno di regole certe per superare quella eterogeneità dei comportamenti e delle<br />

interpretazioni che è oggi una delle principali cause di sfiducia nei confronti delle<br />

professioni in genere, e che incide negativamente anche sull’affidabilità e la<br />

“certezza” della Funzione pubblica. Un’affidabilità che non è soltanto nazionale,<br />

ma che risente positivamente della proiezione internazionale del notariato, attraverso<br />

la sempre maggiore diffusione nei cinque continenti del modello latino, grazie<br />

alle nostre due grandi organizzazioni: il CNUE a livello europeo e l’UINL a livello<br />

mondiale. Una diffusione transnazionale di cui la Rivista non mancherà di<br />

dare costantemente conto.<br />

Un particolare ringraziamento ai Colleghi ed ai diversi collaboratori della Rivista<br />

per l’opera fin qui svolta, e per tutti a Giuliana Bartolini, che con grande impegno<br />

e professionalità l’ha diretta.<br />

Giancarlo Laurini<br />

Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato<br />

VIII<br />

Studi e Materiali – 1/2011


DOCUMENTI CNN


La circolazione immobiliare a seguito<br />

del d.l. 31 maggio 2010, n. 78<br />

(c.d. Manovra Economica). Prime note<br />

Circolare CNN del 28 giugno 2010<br />

Estensori: Mauro Leo – Annarita Lomonaco – Antonio Ruotolo<br />

Sommario: Premessa. – 1. Finalità della norma. – 2. Allineamento soggettivo; 2.1. Intestatario<br />

e intestatari catastali; 2.2. Il ruolo del notaio; 2.3. Obbligo di allineamento...;<br />

2.4. ...della posizione del disponente. – 3. Non allineamento fisiologico; 3.1.<br />

Fattispecie fisiologiche di non allineamento; 3.2. Dichiarazione del notaio; 3.3.<br />

Conformità come congruenza. Conclusioni. – 4. Allineamento oggettivo; 4.1. Ambito<br />

di applicazione. Tipologia di atti; 4.2. Atti autentici. – 5. Rilevanza della normativa<br />

catastale; 5.1. I beni oggetto della norma; 5.2. Unità immobiliari urbane;<br />

5.3. Fabbricato “esistente”; 5.4. Fabbricati al grezzo o in corso di costruzione; 5.5.<br />

Unità collabenti e ruderi; 5.6. Parti comuni condominiali; 5.7. Fabbricati rurali. – 6.<br />

Identificazione catastale e riferimento alle planimetrie; 6.1. Identificazione catastale;<br />

6.2. Riferimento alle planimetrie. – 7. Concetto di conformità; 7.1. Dichiarazione<br />

di conformità; 7.2. Compiti del notaio; 7.3. La nullità; 7.4. Mendacità della<br />

dichiarazione.<br />

PREMESSA<br />

“1. Negli atti con cui si concede l’ipoteca o di cui si chiede la trascrizione,<br />

l’immobile deve essere designato anche con l’indicazione di almeno tre dei suoi<br />

confini.<br />

1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto<br />

il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti<br />

reali su fabbricati già esistenti devono contenere, per le unità immobiliari urbane,<br />

a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie<br />

depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della<br />

conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. Prima della<br />

stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro<br />

conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 3


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

1. FINALITÀ DELLA NORMA<br />

La disposizione, che trova applicazione dal 1° luglio 2010 (art. 19, comma<br />

16 del d.l. n. 78/2010), si inquadra in un più complesso intervento finalizzato al<br />

“contrasto all’evasione fiscale e contributiva”, volto a far emergere ogni variazione<br />

dell’imponibile catastale dei fabbricati urbani, sia essa totale o parziale,<br />

che coincide con una profonda revisione del funzionamento del catasto e che si<br />

caratterizza, in particolare, per l’attivazione, a decorrere dal 1° gennaio 2011,<br />

dell’Anagrafe Immobiliare Integrata. Quest’ultima, costituita e gestita dall’Agenzia<br />

del Territorio, attesta, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati<br />

disponibili presso l’Agenzia stessa per ciascun immobile, individuandone il soggetto<br />

titolare di diritti reali.<br />

Viene, inoltre, previsto l’obbligo a carico dei privati di procedere, entro il 31<br />

dicembre 2010, alla dichiarazione di aggiornamento catastale relativa agli immobili<br />

che non risultano dichiarati in catasto (comma 8) e agli interventi edilizi<br />

che abbiano determinato una variazione di consistenza ovvero di destinazione<br />

non dichiarata (comma 9), nonché l’eventuale accertamento dell’Agenzia del<br />

Territorio in caso di mancato adempimento (commi 10 e 11).<br />

Nella stessa direzione si colloca anche il disposto del successivo comma 15<br />

il quale, sempre con applicazione dal 1° luglio 2010, stabilisce che la richiesta di<br />

registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni immobili<br />

esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche<br />

tacite, deve contenere anche l’indicazione dei dati catastali degli immobili.<br />

La mancata o errata indicazione dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai<br />

fini dell’applicazione dell’imposta di registro ed è punita con la sanzione prevista<br />

dall’art. 69 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (dal centoventi al duecentoquaranta<br />

per cento dell’imposta dovuta).<br />

In questa prospettiva è indubitabile come l’emersione della reale consistenza<br />

catastale dell’immobile in sede di atto notarile, prevista dalla prima parte del<br />

comma 14, costituisca un momento, per così dire, “complementare” rispetto alla<br />

disciplina sopra sommariamente richiamata, quale misura destinata ad operare<br />

“a regime”, per rintracciare quegli immobili o le loro variazioni che non risultino<br />

ancora dichiarati in catasto. Per certi versi, quindi, il compito affidato al notaio<br />

rogante o autenticante dal comma 14 tende ad affiancarsi all’attività di accertamento<br />

e monitoraggio che l’art. 19 riserva all’Agenzia del Territorio.<br />

Il comma 14 in esame deve essere letto ed interpretato, quindi, tenendo<br />

conto dell’intero complesso normativo contenuto nell’art. 19 e, più in generale,<br />

del sistema che presiede e disciplina il catasto 1 , apparendo quale ulteriore<br />

1<br />

D’altro canto l’esigenza di pervenire ad un censimento di tutti i fabbricati, rurali e non, in modo<br />

tale che essi divengano noti al Fisco, è stata da tempo avvertita dal legislatore, il quale con la legge<br />

26 febbraio 1994, n. 133, e l’istituzione del catasto dei fabbricati, aveva inteso realizzare un inventario<br />

completo ed uniforme del patrimonio edilizio. Inoltre emerge da numerose disposizioni legislative<br />

(segue)<br />

4<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

strumento diretto a realizzare l’aggiornamento di quest’ultimo. E tale disciplina<br />

può pertanto essere di ausilio per sciogliere alcuni dei dubbi interpretativi che il<br />

comma 14 suscita con riferimento al suo ambito applicativo.<br />

Occorre inoltre valutare la reale incidenza delle norme introdotte dal comma<br />

in esame rispetto alle regole civilistiche che presiedono le vicende circolatorie<br />

dei beni immobili ed i relativi meccanismi pubblicitari, coordinandole ed armonizzandole<br />

con esse.<br />

2. ALLINEAMENTO SOGGETTIVO<br />

Il comma 1-bis dell’art. 29 della legge n. 52/1985, introdotto dal comma 14,<br />

si compone di due parti, la prima diretta evidentemente ad incentivare – attraverso<br />

la sanzione della nullità – l’aggiornamento oggettivo del catasto, la seconda<br />

diretta a realizzarne l’aggiornamento soggettivo.<br />

2.1. Intestatario e intestatari catastali<br />

Se l’ambito applicativo oggettivo delle due parti normative del comma 1-bis è<br />

comune, atteso che nella seconda questo è definito mediante un rinvio agli atti<br />

di cui alla prima parte, più complessa appare l’individuazione dell’ambito applicativo<br />

soggettivo.<br />

È tuttavia ragionevole ritenere che anche quest’ultimo sia comune e che,<br />

quindi, il riferimento all’“intestatario” che deve rendere la dichiarazione di conrelative<br />

alla disciplina del catasto la necessità che lo stesso sia «[...] conservato e tenuto al corrente,<br />

in modo continuo ed anche con verificazioni periodiche, allo scopo di tenere in evidenza per ciascun<br />

Comune o porzione di Comune, le mutazioni che avvengono: rispetto alla persona del proprietario<br />

o del possessore dei beni, nonché rispetto alla persona che gode di diritti reali sui beni stessi;<br />

nello stato dei beni, per quanto riguarda la consistenza e l’attribuzione della categoria e della classe»<br />

(art. 17, r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652).<br />

Con riferimento all’aggiornamento soggettivo, ad esempio, spesso il legislatore si è preoccupato<br />

dell’eventualità in cui per gli immobili oggetto di un trasferimento, per il quale deve essere presentata<br />

una domanda di voltura, non vi sia «concordanza fra la ditta iscritta in catasto e quella dalla quale<br />

si fa luogo al trasferimento stesso», prevedendo l’indicazione nella domanda di voltura degli atti o<br />

documenti che hanno dato luogo ai passaggi intermedi (art. 4, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650). L’art.<br />

2, d.m. 19 aprile 1994, n. 701, recante norme per l’automazione delle procedure di aggiornamento<br />

degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari, per l’ipotesi di «non concordanza<br />

tra la situazione dei soggetti titolari del diritto di proprietà o di altri diritti reali e le corrispondenti scritture<br />

catastali» fa obbligo «al notaio ed agli altri pubblici ufficiali che ricevono atti o autenticano firme<br />

su atti civili, giudiziari e amministrativi, che danno origine a variazione di diritti censiti in catasto, di<br />

fare menzione, nell’atto medesimo e nella relativa nota di trascrizione, dei titoli che hanno dato luogo<br />

ai trasferimenti intermedi o delle discordanze» (art. 2, ma cfr. anche art. 4 relativo alla possibilità<br />

per i proprietari o i titolari di altro diritto reale di aggiornare la propria posizione catastale); il d.P.R.<br />

18 agosto 2000, n. 308, recante il r egolamento concernente l’utilizzazione di procedure telematiche<br />

per gli adempimenti tributari in materia di atti immobiliari, «nel caso in cui non vi sia concordanza fra<br />

i soggetti intestati in catasto e quelli risultanti dall’atto» dispone che «il pubblico ufficiale indica nel<br />

modello unico gli estremi degli atti e denunce che hanno dato luogo ai passaggi intermedi o alle discordanze<br />

fra le ditte» (art. 5).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 5


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

formità debba essere letto alla luce della finalità perseguita dalla seconda parte<br />

della norma, ossia la realizzazione “prima della stipula” di un allineamento soggettivo,<br />

nei limiti appresso precisati, fra il catasto e i registri immobiliari (dai quali<br />

deve risultare il proprietario o il titolare dei diritti reali sul bene immobile). Tale<br />

lettura consente di ritenere che l’“intestatario” che deve rendere la dichiarazione<br />

di conformità sia colui che può disporre del diritto sul bene 2 .<br />

A tal fine, però, è necessario intendere gli “intestatari” non solo come i soggetti<br />

che formalmente già risultino tali dai registri (catastali ed immobiliari) ma<br />

anche come coloro che tali dovrebbero risultare per effetto dell’allineamento<br />

soggettivo.<br />

2.2. Il ruolo del notaio<br />

La seconda parte del comma 1-bis stabilisce che il notaio dovrà, “prima della<br />

stipula”, individuare gli intestatari catastali e verificare la loro conformità con<br />

le risultanze dei registri immobiliari.<br />

2.3. Obbligo di allineamento...<br />

La norma fissa un obbligo di comportamento in capo al notaio, ma al precetto<br />

non è ricollegata la sanzione della nullità, come è invece per la prima parte 3 .<br />

Non è detto, inoltre, quale debba essere il comportamento del notaio nel caso in<br />

cui tale accertamento sulla conformità abbia esito negativo.<br />

2.4. ...della posizione del disponente<br />

Pur essendo ipotizzabili diverse possibili letture del disposto dell’ultima parte<br />

del comma 1-bis dell’art. 29, deve escludersi che la norma esaurisca la sua portata<br />

nel momento in cui il notaio completi l’accertamento e la verifica, restandone<br />

indifferente l’esito, perché così opinando, si svaluterebbe completamente la finalità<br />

della norma rendendola inutile: “l’individuazione degli intestatari catastali e la<br />

verifica della loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari” non può restare<br />

fine a se stessa, ma deve essere funzionale all’attuazione del tendenziale<br />

allineamento soggettivo tra catasto e conservatoria rispetto al dante causa.<br />

Partendo dalla concezione accolta e guardando alla seconda parte dell’art.<br />

1-bis come ad un precetto dal quale non possa che derivare l’aggiornamento<br />

2<br />

Che l’intestazione catastale “aggiornata” debba riferirsi al proprietario o al titolare dei diritti reali<br />

sull’immobile emerge non solo dall’intera disciplina catastale ma anche dall’art. 19 della manovra<br />

economica in esame, ove si precisa che «l’Anagrafe Immobiliare Integrata attesta, ai fini fiscali, lo<br />

stato di integrazione delle banche dati disponibili presso l’Agenzia del Territorio per ciascun immobile,<br />

individuandone il soggetto titolare di diritti reali».<br />

3<br />

Poiché la norma prevede espressamente un obbligo di riscontro di conformità, saranno verosimilmente<br />

notevoli i riflessi che la disposizione avrà sulla giurisprudenza fin qui formatasi in ordine<br />

all’obbligo di effettuazione delle visure ipocatastali e ai limiti della dispensa dalle stesse.<br />

6<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

del catasto e non come a una disposizione che imponga semplicemente al notaio<br />

di accertare e verificare “passivamente” i dati soggettivi, la conseguenza<br />

che se ne deve trarre è che chi deve rendere conformi questi ultimi non possa<br />

che essere il notaio, nei limiti appresso specificati.<br />

Nonostante il legislatore non glielo abbia espressamente affidato, infatti, il<br />

coinvolgimento del notaio nel disegno volto a rendere “congruenti” le intestazioni<br />

soggettive del catasto a quelle dei registri immobiliari tende ad affiancarsi all’attività<br />

di accertamento e monitoraggio che l’art. 19 del d.l. n. 78 cit. riserva all’Agenzia<br />

del Territorio.<br />

Sotto questo profilo, i registri immobiliari sono visti come una matrice affidabile<br />

e aggiornata dei soggetti titolari del potere di disporre, e questo spiega perché<br />

la disposizione in esame faccia riferimento ad una verifica di conformità degli<br />

intestatari del catasto a quelli che risultano dalla conservatoria.<br />

Laddove tale conformità non sussista a causa della mancata volturazione<br />

del titolo di acquisto del dante causa, il notaio è obbligato, prima della stipula, a<br />

procedere all’aggiornamento del catasto.<br />

3. NON ALLINEAMENTO FISIOLOGICO<br />

3.1. Fattispecie fisiologiche di non allineamento<br />

Vi sono, tuttavia, delle fattispecie in cui v’è una “non conformità” “fisiologica”<br />

tra i due registri.<br />

a) Vendite a catena e mutuo contestuale<br />

La mancata volturazione (e trascrizione) può dipendere dalla circostanza<br />

che si è nei termini per procedere ai relativi adempimenti (es., sequenza di contratti<br />

di compravendita, divisione seguita dalla vendita, vendita stipulata contestualmente<br />

al contratto di mutuo).<br />

b) Usucapione<br />

In altri casi, il mancato aggiornamento delle banche dati può derivare da ragioni<br />

di carattere sistematico come avviene per le ipotesi di acquisti per i quali è<br />

irrilevante la pubblicità immobiliare e che prescindono dalla precedente titolarità<br />

(es. acquisto per usucapione non accertato giudizialmente, fattispecie della<br />

quale molto si discute; o, ancora, il caso del titolo di provenienza del disponente<br />

irreperibile o di ardua reperibilità perché risalente nel tempo). Poiché per tali vicende,<br />

caratterizzate dal fatto che la titolarità del diritto e la legittimazione a disporre<br />

si collegano ad un acquisto a titolo originario o, comunque, ad un titolo di<br />

provenienza irreperibile o di difficile reperibilità, la pubblicità immobiliare – intesa<br />

come meccanismo destinato a risolvere i conflitti tra più aventi causa da un<br />

medesimo autore – non giocherà alcun ruolo e quindi la finalità dell’aggiorna-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 7


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

mento soggettivo non potrà essere realizzata nei termini previsti dalla norma rispetto<br />

al disponente.<br />

c) Vendita di cosa altrui. Comunione legale. Atti societari<br />

La “non conformità” dell’intestazione catastale rispetto a quella risultante dai<br />

registri immobiliari è irrilevante, agli effetti della norma in commento, qualora si<br />

ricolleghi al funzionamento stesso degli istituti codicistici (si pensi, ad esempio,<br />

alla vendita di cosa altrui prevista dall’art. 1478 c.c.; agli acquisti compiuti da<br />

uno solo dei coniugi in regime di comunione legale estesi per legge a favore<br />

dell’altro coniuge), ad ipotesi in cui la vicenda che ha determinato la variazione<br />

non doveva rendersi pubblica, derivando l’effetto da segnalare dalla legge e<br />

non da un negozio (si pensi, ad esempio, alle vicende legate alla soppressione<br />

di un ente e contestuale trasformazione in altro ente che diventi titolare per legge<br />

del patrimonio dell’ente soppresso), o ancora ad ipotesi in cui il mancato aggiornamento<br />

della conservatoria dipende dalla circostanza che l’atto stipulato<br />

non è stato, o non poteva essere, trascritto ma solo volturato in catasto (è il caso,<br />

ad esempio, di alcuni atti societari, quali la trasformazione, la fusione, la<br />

scissione o il mutamento della denominazione, che non possono essere trascritti,<br />

ex artt. 2643 o 2645 c.c., non comportando alcun trasferimento della titolarità<br />

dei beni 4 ; o di una scrittura privata non autenticata registrata).<br />

d) Errore nel nominativo<br />

Non è ravvisabile, infine, una “non conformità” rilevante agli effetti del comma<br />

1-bis qualora il nominativo dell’intestatario catastale non corrisponda esattamente<br />

al nominativo riportato nei registri immobiliari per un errore nell’indicazione<br />

dei dati, purché sia inequivocabile l’individuazione del soggetto.<br />

3.2. Dichiarazione del notaio<br />

Con riferimento a queste ipotesi di non conformità tra i due registri, il notaio<br />

non può evidentemente allineare l’intestazione catastale a quella risultante nei<br />

registri immobiliari, ma è opportuno che faccia risultare dall’atto le ragioni del<br />

mancato allineamento.<br />

Qualora peraltro la fattispecie acquisitiva non sia suscettibile di trascrizione<br />

ma solo di volturazione catastale, e quest’ultima risulti mancante, il notaio “prima<br />

della stipula dell’atto” dovrà egli stesso provvedervi sulla base del titolo di<br />

provenienza rinvenuto.<br />

4<br />

V. art. 1, comma 276, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per cui sono soggetti all’obbligo<br />

della voltura – ex art. 3 del d.P.R. n. 650/1972, quindi con obbligo a carico del notaio – gli atti soggetti<br />

ad iscrizione nel registro delle imprese che comportino qualsiasi mutamento nell’intestazione<br />

catastale dei beni immobili di cui siano titolari persone giuridiche, anche se non direttamente conseguenti<br />

a modifica, costituzione o trasferimento di diritti reali.<br />

8<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

3.3. Conformità come congruenza. Conclusioni<br />

In conclusione, dalla parziale rassegna di tali ipotesi sembra potersi ricavare<br />

che, per quanto il legislatore abbia fatto riferimento alla necessità di confrontare<br />

gli “intestatari” catastali con gli “intestatari” dei registri immobiliari, in realtà la<br />

conformità a cui si dovrebbe tendere non possa concepirsi esclusivamente come<br />

mera “corrispondenza” di intestatari ma anche come “congruenza” tra il<br />

soggetto intestatario in catasto e il soggetto titolare del potere di disporre gli<br />

immobili che si intendono alienare 5 .<br />

Tutto ciò consente di ritenere che il soggetto contemplato dalle due parti del<br />

comma 1-bis sia lo stesso (salve le eccezioni relative agli acquisti a titolo originario<br />

e alle ipotesi analoghe sopra richiamate) e quindi che l’“intestatario” (intendendosi<br />

per tale anche colui a favore del quale sia stata presentata la domanda<br />

di voltura o di cui siano pendenti i relativi i termini di presentazione), legittimato<br />

ed obbligato a rendere la dichiarazione di conformità a pena di nullità,<br />

coincida con il soggetto che può disporre del diritto sul bene.<br />

Più problematica è invece la questione relativa all’individuazione dell’“intestatario”<br />

che deve rendere la dichiarazione di conformità di cui alla prima parte<br />

della norma nelle ipotesi di usucapione non accertata giudizialmente, come pure<br />

nelle altre analoghe sopra individuate.<br />

Per tali vicende si dovrebbe superare il dato letterale della disposizione – dal<br />

momento che chi si dichiara proprietario del bene non potrebbe qualificarsi come<br />

“intestatario” (e neppure è destinato ad esserlo) – e ritenere che la dichiarazione<br />

possa essere resa da chi dispone del bene, per quanto non “intestatario”.<br />

4. ALLINEAMENTO OGGETTIVO<br />

4.1. Ambito di applicazione. Tipologia di atti<br />

La norma fa esplicito riferimento a “gli atti pubblici e le scritture private autenticate<br />

tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento<br />

della comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti”, con una formulazione<br />

analoga a quanto previsto dall’art. 46, comma 1, del T.U. edilizia (d.P.R.<br />

5<br />

In linea con il ragionamento esposto nel testo anche l’Agenzia del Territorio. Nell’audizione del<br />

9 giugno 2010 presso la VI Commissione Finanze e Tesoro del Senato, il Direttore dell’Agenzia del<br />

Territorio, illustrando il DDL n. 2228 di conversione in legge del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, ha affermato<br />

che l’applicazione dell’art. 19 comma 14 consentirà di “migliorare la qualità delle banche dati<br />

catastali e di pubblicità immobiliare in termini di coerenza sostanziale e non solo formale, con impatti<br />

positivi sulla affidabilità delle informazioni che potranno confluire nell’Anagrafe Immobiliare Integrata,<br />

per il rilascio dei servizi ad essa correlati”. È evidente che la “coerenza sostanziale” presuppone<br />

consapevolezza che – per varie ragioni – una banca dati possa non essere corrispondente all’altra,<br />

e quindi che la verifica in ordine a tale “coerenza”non possa che essere affidata ad un giudizio<br />

dell’operatore.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 9


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

6 giugno 2001, n. 380) la cui definizione dell’ambito applicativo 6 può essere<br />

d’ausilio per interpretare il comma 1-bis dell’art. 29 citato, fermo restando che si<br />

tratta di due discipline diverse, senza alcun collegamento fra loro.<br />

A differenza di quanto previsto nella disciplina del T.U. edilizia e del condono,<br />

tuttavia, il comma 1-bis non esclude dal suo ambito applicativo gli atti costitutivi<br />

dei diritti reali di garanzia e di servitù. Pur sussistendo argomenti che potrebbero<br />

indurre ad un’interpretazione restrittiva (irrilevanza per il catasto di dette<br />

vicende; totale asimmetria rispetto all’ipoteca ed alla servitù del novero degli<br />

atti contemplati, dato che esse sono suscettibili solo di costituzione ma non di<br />

trasferimento o di scioglimento della comunione; rilievo per cui l’atto con cui si<br />

concede ipoteca non ha di per sé efficacia costitutiva, dipendendo questa dall’iscrizione),<br />

il tenore della norma porta a ritenere tali fattispecie ricomprese nel<br />

suo ambito applicativo.<br />

4.2. Atti autentici<br />

Inoltre, a differenza di quanto previsto dalla disciplina del condono (laddove<br />

l’ambito applicativo ricomprende “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in<br />

forma privata”), la norma di cui al comma 1-bis fa riferimento alla forma dell’atto<br />

pubblico e alla scrittura privata con sottoscrizione autenticata, con esclusione<br />

quindi degli atti risultanti da scrittura privata tout court, di per sé idonei al trasferimento<br />

o alla costituzione del diritto reale ma non suscettibili di pubblicità.<br />

La disposizione in commento non trova altresì applicazione agli atti mortis<br />

causa ed ai trasferimenti derivanti da sentenza.<br />

5. RILEVANZA DELLA NORMATIVA CATASTALE<br />

5.1. I beni oggetto della norma<br />

Il comma 1-bis si riferisce ai fabbricati già esistenti e alle unità immobiliari<br />

urbane – con esclusione, quindi, dei terreni – la cui individuazione deve tener<br />

conto della finalità della norma e del contesto in cui la stessa si inquadra, dando<br />

quindi rilevanza alla normativa catastale.<br />

5.2. Unità immobiliari urbane<br />

Per unità immobiliari urbane devono, quindi, intendersi quelle che la normativa<br />

catastale considera rilevanti ai fini della produzione del reddito (v. art. 5<br />

6<br />

Per la tipologia degli atti compresi ed esclusi dalla disciplina sul condono, cfr. Consiglio nazionale<br />

del notariato, La legge 28 febbraio 1985, n. 47. Criteri applicativi, Circolare del marzo 1987, in<br />

Consiglio nazionale del notariato, Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, Milano,<br />

1998; Casu-Raiti, Condono edilizio ed attività negoziale, Milano, 1999.<br />

10<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

r.d.l. n. 652/1939 che definisce come «unità immobiliare urbana ogni parte di<br />

immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre<br />

un reddito proprio»; art. 40 d.P.R. n. 1142/1949 per il quale «si accerta come<br />

distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme<br />

di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in<br />

cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente»).<br />

5.3. Fabbricato “esistente”<br />

Allo stesso modo, per fabbricato “esistente” si deve intendere quello per il<br />

quale è previsto l’obbligo di dichiarazione ex art. 28 r.d.l. n. 652/1939 («i fabbricati<br />

nuovi ed ogni altra stabile costruzione nuova che debbono considerarsi<br />

immobili urbani, a norma dell’art. 4, devono essere dichiarati all’Ufficio tecnico<br />

erariale entro trenta giorni dal momento in cui sono divenuti abitabili o servibili<br />

all’uso cui sono destinati, ... »). Per considerare “esistente” ai fini della norma in<br />

esame il fabbricato è, quindi, necessario che lo stesso sia abitabile o servibile<br />

all’uso cui è destinato.<br />

Considerata la necessità, anche ai fini della dichiarazione di conformità dello<br />

stato di fatto, che per l’immobile esista una planimetria, si deve trattare di fabbricati<br />

per i quali sia depositata o dovrebbe esser depositata in catasto una planimetria<br />

dalla quale risulti la consistenza del bene stesso (v. art. 28 r.d.l. n.<br />

652/1939).<br />

5.4. Fabbricati al grezzo o in corso di costruzione<br />

Nell’ottica del legislatore, volta all’aggiornamento del catasto (anche al fine<br />

di contrastare l’evasione fiscale), non sembrerebbero quindi utilizzabili criteri<br />

ermeneutici desumibili da altre norme come l’art. 2645-bis c.c., perché dettati<br />

per altre finalità, con la conseguenza che non rientra nell’ambito applicativo della<br />

disposizione in esame il fabbricato a grezzo o in corso di costruzione.<br />

5.5. Unità collabenti e ruderi<br />

Per le medesime ragioni dovrebbero escludersi anche le c.d. unità collabenti,<br />

rientranti nella categoria catastale F2, trattandosi di fabbricati che non sono<br />

più idonei a produrre reddito perché non più abitabili o servibili all’uso cui sono<br />

destinati. Per i ruderi che non abbiano ancora acquisito la classificazione come<br />

unità collabenti la norma, invece, dovrebbe trovare applicazione.<br />

5.6. Parti comuni condominiali<br />

Con riferimento alle parti comuni condominiali, posto che queste si trasferiscono,<br />

pur nel silenzio del contratto, per quote millesimali unitamente al bene<br />

condominiale di proprietà esclusiva (cfr. art. 1117 c.c.) e non sono autonoma-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 11


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

mente cedibili, le stesse si devono ritenere escluse dal perimetro applicativo<br />

della norma.<br />

5.7. Fabbricati rurali<br />

Quanto ai fabbricati rurali, agli effetti della disciplina catastale essi non sono<br />

considerati “unità immobiliari urbane” (v. art. 4 r.d.l. n. 652/1939: «si considerano<br />

come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale<br />

costituite, diversi dai fabbricati rurali»), per cui, in linea di principio, la norma<br />

non dovrebbe trovare applicazione. Occorre però considerare che, a seguito<br />

dell’istituzione del catasto dei fabbricati (che comporta l’iscrizione ed il censimento<br />

in esso anche dei fabbricati cui sia riconosciuta la ruralità, a prescindere<br />

dalla loro attuale produttività di reddito fondiario), dalle risultanze catastali non è<br />

più possibile dedurre la ruralità fiscale del fabbricato, la quale dipende invece<br />

dall’esistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di cui all’art. 9, comma 3, d.l. n.<br />

557/1993, convertito dalla l. n. 133/1994, e successive modifiche.<br />

Ne deriva, pertanto, che vi possono essere fabbricati che hanno perso i requisiti<br />

di ruralità (e che sono o dovrebbero essere denunciati al catasto dei fabbricati),<br />

ai quali la normativa in commento si applica; e fabbricati (censiti al catasto<br />

fabbricati) che hanno invece i requisiti di ruralità e che quindi devono essere<br />

esclusi dall’ambito applicativo del comma 1-bis. In ragione di ciò, e della<br />

complessità e soggettività dei requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento<br />

della ruralità fiscale dei fabbricati, è spesso impossibile l’accertamento da parte<br />

del notaio della sussistenza o meno di detti requisiti, i quali debbono risultare da<br />

una dichiarazione di parte.<br />

6. IDENTIFICAZIONE CATASTALE E RIFERIMENTO ALLE PLANIMETRIE<br />

6.1. Identificazione catastale<br />

L’indicazione dell’identificazione catastale delle unità immobiliari urbane diviene<br />

requisito di validità dell’atto anche se la descrizione degli immobili con gli<br />

estremi con i quali essi sono individuati in catasto era già prevista (sebbene non<br />

a pena di nullità) dall’art. 4 del d.P.R. n. 650/1972: questi consistono nella sezione,<br />

foglio, particella ed eventuale subalterno – i c.d. dati minimi essenziali –<br />

se l’immobile ha un’identificazione catastale definitiva, come può desumersi dagli<br />

artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del d.m. 19 aprile 1994, n. 701.<br />

Trattandosi di una norma che impone un contenuto dell’atto, non può che<br />

trattarsi di una indicazione proveniente dal notaio, il quale dovrà verificare i dati<br />

esistenti in catasto.<br />

12<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

6.2. Riferimento alle planimetrie<br />

Allo stesso modo, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto è una<br />

indicazione proveniente dal notaio che dovrà verificarne l’esistenza nonché la riferibilità<br />

alla unità immobiliare così come individuata nell’atto. La mancanza delle<br />

planimetrie depositate impedisce la stipula dell’atto, sia in ragione del fatto<br />

che la norma impone la loro indicazione, sia perché ciò sarebbe ostativo alla dichiarazione<br />

della conformità fra la situazione di fatto e la rappresentazione planimetrica<br />

della unità immobiliare richiesta dalla stessa norma.<br />

La disposizione parla espressamente di riferimento alla planimetria, per cui il<br />

notaio dovrà verificare che la planimetria relativa all’unità immobiliare urbana<br />

sia depositata in catasto, ma non v’è alcun obbligo di allegazione.<br />

7. CONCETTO DI CONFORMITÀ<br />

7.1. Dichiarazione di conformità<br />

Il terzo elemento che deve risultare a pena di nullità è la dichiarazione dell’intestatario<br />

in ordine alla conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo<br />

stato di fatto. Il concetto di conformità deve essere interpretato alla luce della<br />

complessiva disciplina introdotta dall’art. 19 del d.l. n. 78, ed in particolare del<br />

disposto dei commi 8 e 9 che individuano l’oggetto dell’aggiornamento delle<br />

banche dati e contemporaneamente delineano l’ambito dell’emersione, che nell’ottica<br />

del contrasto all’evasione, deve riguardare quegli elementi che comportino<br />

una variazione dell’imponibile catastale dei fabbricati urbani, sia essa totale<br />

o parziale. Va ricordato come, entro il 31 dicembre 2010 i titolari di diritti reali<br />

sugli immobili che non risultano dichiarati in catasto individuati secondo le procedure<br />

previste dall’articolo 2, comma 36, del decreto-legge n. 262 del 2006<br />

(c.d. immobili fantasma), ovvero oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato<br />

una variazione di consistenza ovvero di classe o di categoria ex art. 17<br />

r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652 non dichiarata in catasto, sono tenuti a procedere<br />

alla presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento<br />

catastale.<br />

In tale prospettiva, risulta evidente che non ogni difformità dello stato di fatto<br />

dalle risultanze planimetriche e dai dati catastali risulta ostativa ad una dichiarazione<br />

di conformità, ma solo quelle riguardanti gli immobili non dichiarati e<br />

quelli oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato i suddetti mutamenti,<br />

che sono poi quelli determinanti la variazione delle relative rendite catastali (art.<br />

12 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652). La variazione di consistenza, peraltro, rileva<br />

Studi e Materiali – 1/2011 13


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

già di per sé ai fini del deposito di una nuova planimetria, ai sensi dell’art. 20 del<br />

r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652 7 .<br />

Ne deriva che, dal punto di vista degli interventi che possono essere ostativi<br />

alla dichiarazione di conformità 8 , si riscontra un ambito, come definito dal legislatore<br />

del 1939, che appare estremamente vasto 9 e che rende palese le difficoltà<br />

operative per l’applicazione della norma.<br />

Sotto tale profilo appare evidente come non sempre le parti siano in grado di<br />

orientarsi rispetto ad interventi edilizi “minimali”, e che lo stesso notaio, in funzione<br />

della sua attività di consulenza ed informazione, possa non avere quelle<br />

cognizioni tecniche necessarie per stabilire se la dichiarazione di conformità<br />

possa essere resa o meno: in tali casi, potrebbe essere opportuno l’ausilio di un<br />

tecnico.<br />

7.2. Compiti del notaio<br />

La funzione del notaio, rispetto al disposto della prima parte del comma 1-<br />

bis dell’art. 29 della legge n. 52, così come novellato dal d.l. n. 78 del 2010, può<br />

essere, pertanto, così sintetizzata: egli, a pena di nullità, dovrà:<br />

1) Indicare l’identificazione catastale e il riferimento alle planimetrie depositate<br />

in catasto, elementi, questi, della cui sussistenza si dovrà accertare.<br />

2) Far menzione della dichiarazione dell’intestatario della conformità allo stato<br />

di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. Trattasi di dichiarazione di parte,<br />

della cui veridicità il notaio non è chiamato a rispondere, né sul piano funzionale,<br />

né su quello professionale (salvo che non abbia assunto un esplicito incarico<br />

in tal senso) se non nei limiti di un palese contrasto fra la descrizione dell’unità<br />

immobiliare oggetto dell’atto e le risultanze della planimetria e dei dati catastali<br />

acquisiti.<br />

7<br />

Nei casi di mutazioni che implichino variazioni nella consistenza delle singole unità immobiliari,<br />

la relativa dichiarazione deve essere corredata da una planimetria delle unità variate. Per intendere<br />

il significato di variazione della consistenza, si consideri che la consistenza rappresenta la dimensione<br />

dell’unità immobiliare. Per le abitazioni e gli uffici (immobili della categoria A) è espressa in<br />

“vani”, per i negozi, i magazzini, le rimesse (immobili della categoria C) è espressa in metri quadrati.<br />

Per gli immobili a destinazione collettiva (ospedali, caserme, ecc.) è espressa in metri cubi. Per gli<br />

immobili appartenenti alle categorie dei gruppi D ed E non viene indicata la consistenza catastale.<br />

La classe identifica la tipologia delle unità immobiliari, presenti nella zona censuaria, differente per<br />

le caratteristiche intrinseche che ne determinano la destinazione d’uso ordinaria e permanente.<br />

8<br />

Va anche ricordato come, per interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, non costituiscono<br />

oggetto di denuncia in catasto tutte quelle modifiche interne all’unità immobiliare, comprese<br />

nell’art. 26 della legge n. 47/1985 (Ministero delle Finanze – Catasto e Servizi Tecnici Erariali – Lettera<br />

circolare del 14/10/1989 prot. 3405).<br />

9<br />

Si consideri, ad esempio, che la trasformazione di un servizio igienico con solo wc in un servizio<br />

completo di bagno o doccia nell’ambito di una unità immobiliare potrebbe comportare un diverso<br />

classamento della stessa e quindi l’obbligo di dichiarazione in catasto nel caso di unità non di pregio,<br />

mentre potrebbe essere irrilevante qualora si tratti di categorie più qualificate (sul punto, Florio,<br />

Il catasto dei fabbricati e il catasto dei terreni, Roma, 2009, 93).<br />

14<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

7.3. La nullità<br />

Occorre peraltro intendersi su quali siano le possibili conseguenze di una dichiarazione<br />

di conformità resa ancorché non ne sussistano i presupposti. In altri<br />

termini occorre stabilire se un’eventuale dichiarazione di conformità non veritiera<br />

determini l’invalidità dell’atto, al pari dell’assenza della dichiarazione stessa.<br />

Da un punto di vista letterale la disposizione normativa in esame richiede<br />

che l’atto notarile “contenga” dei riferimenti documentali (gli estremi catastali<br />

dell’immobile ed il riferimento alla planimetria depositata in catasto) e la dichiarazione<br />

di conformità resa dall’intestatario. La norma, in altri termini, vede come<br />

destinatario il notaio solo sul piano formale: sotto tale profilo l’atto è nullo se non<br />

contiene (oltre al riferimento alla planimetria e agli estremi catastali) la dichiarazione<br />

di conformità proveniente dall’intestatario, il cui contenuto non è certamente<br />

sindacabile e verificabile da parte del pubblico ufficiale, salvo il limite della<br />

palese non conformità della rappresentazione dell’immobile in planimetria rispetto<br />

alla descrizione dello stesso in atto, stante l’evidente contraddittorietà<br />

della dichiarazione di conformità resa in tale ipotesi.<br />

7.4. Mendacità della dichiarazione<br />

È bene evidenziare come ritenere – al di fuori dell’ipotesi da ultimo menzionata<br />

– la mendacità della dichiarazione sanzionabile con la nullità dell’atto comporterebbe,<br />

nella sostanza, la non commerciabilità delle unità immobiliari urbane,<br />

il cui stato di fatto sia difforme dai dati catastali e dalla planimetria depositata<br />

in catasto, conseguenza che non risulta dal sistema complessivo delle norme<br />

che disciplinano il catasto.<br />

Ne deriva che, qualora il legislatore avesse voluto, con la norma in commento,<br />

soddisfare l’interesse ad assicurare direttamente la conformità dello stato di fatto<br />

degli immobili alle risultanze catastali, avrebbe dovuto manifestarlo esplicitamente,<br />

non essendo lo stesso desumibile attraverso un’interpretazione sistematica.<br />

Sembra invece che la norma in esame abbia la funzione di porre a carico di<br />

chi intende disporre dell’immobile l’onere di rendere, sotto la propria responsabilità,<br />

una dichiarazione che, unitamente alle indicazioni relative alla planimetria<br />

depositata e ai dati catastali, consente il relativo controllo da parte di chi ne abbia<br />

l’interesse (la controparte e/o l’amministrazione finanziaria) 10 .<br />

10<br />

A riprova di tale assunto può essere utile ricordare come, con riferimento al disposto dell’abrogato<br />

art. 3, comma 13-ter della legge 26 giugno 1990, n. 165, si sia sempre sostenuta la tesi della<br />

responsabilità del dichiarante per la dichiarazione mendace (in quel caso con le ben note conseguenze<br />

penali delle false dichiarazioni, derivanti dall’espresso richiamo alla l. 4 gennaio 1968, n.<br />

15), senza che si potessero far ricadere sulla controparte le conseguenze di tale illecito comportamento<br />

(sul punto cfr. Metitieri, Sanabilità della nullità per mancata dichiarazione prevista dalla l. n.<br />

165/1990, in Consiglio nazionale del notariato, Studi e Materiali, 4, Milano, 1995, 443 ss.).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 15


La circolazione immobiliare a seguito del d.l. 78/2010 – Circ. CNN 28 giugno 2010<br />

Appare, peraltro, opportuno sottolineare anche alla controparte l’importanza<br />

di una verifica della conformità dello stato di fatto alle risultanze planimetriche,<br />

potendone derivare, in caso di difformità, conseguenze sia sul piano della determinazione<br />

della rendita catastale sia in relazione al successivo accertamento<br />

da parte dell’Amministrazione finanziaria. Appare a tal fine opportuna, all’esito<br />

di detta verifica, una conferma da parte dell’acquirente in termini di accettazione<br />

delle dichiarazioni rese dall’intestatario disponente.<br />

16<br />

Studi e Materiali – 1/2011


La legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione<br />

del d.l. 30 maggio 2010 n. 78 in materia<br />

di circolazione immobiliare –<br />

Novità e aspetti controversi<br />

Circolare CNN del 6 dicembre 2010<br />

Estensori: Mauro Leo – Annarita Lomonaco –<br />

Giampiero Monteleone – Antonio Ruotolo<br />

La circolare ha ad oggetto le novità introdotte in sede di conversione del decreto<br />

legge 78/2010 ed esamina, in primo luogo, il significato da attribuire alla<br />

precisazione per cui la dichiarazione di conformità deve essere resa “sulla base<br />

delle disposizioni vigenti in materia catastale”, ed in secondo luogo i riflessi operativi<br />

della possibilità del ricorso ad un’attestazione di conformità rilasciata da un<br />

tecnico abilitato. Si approfondiscono poi alcuni aspetti controversi della disciplina,<br />

con particolare riguardo alla delimitazione dei beni oggetto della norma, specificando<br />

quali immobili ne siano ricompresi e quali esclusi. Su tali aspetti v’è stato<br />

un confronto con l’Agenzia del territorio, anche in considerazione delle specificità<br />

tecniche della materia.<br />

Una seconda parte è poi dedicata al tema della nullità derivante dalla mancanza<br />

della dichiarazione di conformità oggettiva, da un lato sottolineandosene la<br />

natura formale, e dall’altro lato valutando le conseguenze di una dichiarazione<br />

non veritiera ed il ruolo del notaio.<br />

Si esaminano, conclusivamente, gli aspetti applicativi della norma riguardo agli<br />

atti costitutivi di servitù e i profili intertemporali concernenti gli atti costitutivi di ipoteca,<br />

espressamente esentati dalla legge di conversione.<br />

In questa seconda circolare non sono state volutamente trattate le questioni<br />

relative alla congruenza soggettiva che, al pari di ulteriori tematiche, costituiranno<br />

oggetto di separati e specifici approfondimenti.<br />

(Giancarlo Laurini)<br />

Sommario: Premessa. – Parte I. Le novità in sede di conversione. – 1. La dichiarazione<br />

di conformità resa “sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. – 2.<br />

L’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato. – Parte II. Aspetti<br />

controversi della disciplina contenuta nell’art. 29, comma 1-bis, della legge<br />

52/1985. – 1. I beni oggetto della norma; 1.1. Gli immobili esclusi dalla norma;<br />

1.2. I fabbricati rurali; 1.3. Il comma 1-bis e i posti auto. – 2. La nullità. – 3. Tipo-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 17


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

logie di atti: servitù e ipoteca: a) Servitù e dichiarazione di conformità; b) La costituzione<br />

per destinazione del padre di famiglia; c) Le servitù in ambito condominiale:<br />

tra destinazione del padre di famiglia e regolamento contrattuale; d) Atti costitutivi<br />

di diritti reali di garanzia stipulati nella vigenza del decreto legge.<br />

PREMESSA<br />

La legge 30 luglio 2010, n. 122, ha apportato alcune significative modificazioni<br />

al comma 14 dell’art. 19 del decreto legge 30 maggio 2010, n. 78, che risulta<br />

ora così formulato:<br />

«All’articolo 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, è aggiunto il seguente<br />

comma:<br />

1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto<br />

il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su<br />

fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere,<br />

per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale,<br />

il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in<br />

atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie,<br />

sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione<br />

può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un<br />

tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima<br />

della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la<br />

loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari».<br />

Le novità attengono, sinteticamente:<br />

a) alla precisazione che la dichiarazione di conformità da parte dell’intestatario<br />

in merito alla corrispondenza allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie<br />

deve essere resa sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale;<br />

b) alla possibilità di ricorrere all’attestazione di conformità rilasciata da un<br />

tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale in luogo<br />

della dichiarazione di parte;<br />

c) all’esclusione degli atti di costituzione dei diritti reali di garanzia dall’ambito<br />

applicativo della norma.<br />

Il presente studio ha ad oggetto le novità introdotte dalla legge di conversione<br />

ed alcuni profili controversi sui quali si ritiene opportuno un approfondimento, anche<br />

alla luce delle circolari 2/2010, del 9 luglio 2010 e 3/2010, del 10 agosto<br />

2010, emanate dall’Agenzia del territorio successivamente alla circolare del Consiglio<br />

Nazionale del Notariato del 28 giugno 2010, La circolazione immobiliare a<br />

seguito del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (c.d. Manovra Economica). Prime note.<br />

18<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

PARTE I – LE NOVITÀ IN SEDE DI CONVERSIONE<br />

1. LA DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ RESA “SULLA BASE<br />

DELLE DISPOSIZIONI VIGENTI IN MATERIA CATASTALE”<br />

Il legislatore ha introdotto, in sede di conversione, la precisazione per cui la<br />

dichiarazione da parte degli intestatari di conformità allo stato di fatto dei dati<br />

catastali e delle planimetrie, deve essere resa “sulla base delle disposizioni vigenti<br />

in materia catastale”.<br />

È da ritenere che l’inciso vada interpretato nel senso che la normativa catastale<br />

vigente, da considerare ai fini della dichiarazione in parola, sia quella che<br />

la normativa catastale e la prassi amministrativa pongono a base dei vari obblighi<br />

di denuncia di variazione in catasto 1 .<br />

Fondamentalmente si tratta di quegli obblighi di denuncia e variazione scaturenti<br />

da interventi edilizi che nel tempo hanno alterato lo stato di fatto del bene,<br />

e che obbligano a presentare la denuncia in base alla disciplina in vigore al<br />

momento del mutamento che ha inciso sullo stato, sulla consistenza nonché<br />

sull’attribuzione della categoria e della classe, come ad esempio previsto dagli<br />

artt. 17 del r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652 e 19, comma 9, del d.l. n. 78/2010 2 .<br />

Tale rilievo dovrebbe fugare il dubbio che per disposizioni vigenti in materia<br />

catastale debbano intendersi quelle relative al momento in cui si commercializza<br />

l’unità immobiliare urbana piuttosto che quelle vigenti al momento in cui è<br />

avvenuto l’ultimo aggiornamento in catasto: ciò, in altre parole, porta ad escludere<br />

che si debba ritenere insussistente la conformità laddove, successivamente<br />

alla presentazione della denuncia o della variazione, ed in assenza di mutamenti<br />

che obblighino a presentare ulteriore denuncia, sia nel frattempo mutata<br />

la normativa catastale.<br />

La conclusione appare coerente anche con la lettura della norma data dall’Agenzia<br />

del territorio (circ. n. 2/2010 e n. 3/2010, cit.), la quale, fra gli eventi<br />

sopravvenuti, attribuisce rilevanza, ai fini catastali, alle variazioni e agli interventi<br />

edilizi, e non alle modifiche concernenti la normativa catastale.<br />

In questa direzione le circolari citate dell’Agenzia del territorio precisano, infatti,<br />

che «assume rilievo ogni incoerenza che comporti una variazione della<br />

consistenza dell’immobile e quindi della rendita catastale»; più in generale, entrambe<br />

si riferiscono ad interventi come ampliamenti, modifiche interne, variazioni<br />

della consistenza dell’immobile, relativi ad unità immobiliari esistenti (successivi<br />

cioè alla originaria redazione della planimetria) ovvero a planimetrie non<br />

raffiguranti la situazione reale del fabbricato 3 .<br />

1<br />

In tal senso, la circolare dell’Agenzia del territorio n. 3/2010, del 10 agosto 2010, prot. 42436, 7.<br />

2<br />

V., al riguardo, la circolare dell’Agenzia del territorio 2/2010, del 9 luglio 2010, prot. 36607, 10.<br />

3<br />

La circolare n. 3/2010 precisa anche che non può considerarsi comunque coerente la planime-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 19


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

2. L’ATTESTAZIONE DI CONFORMITÀ RILASCIATA DA UN TECNICO<br />

ABILITATO<br />

La legge di conversione nulla ha detto, invece, circa i tipi di interventi edilizi<br />

che non determinano l’obbligo di variazione 4 ed ha ritenuto opportuno introdurre,<br />

nel comma 1-bis, la possibilità per la parte di avvalersi dell’attestazione di conformità<br />

di un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento<br />

catastale.<br />

Sotto tale profilo, occorre valutare l’idoneità, sul piano temporale, di detta attestazione:<br />

non sembrano rinvenibili specifiche disposizioni che dettino regole o<br />

forniscano criteri per stabilire se l’attestazione di conformità rilasciata dal tecnico<br />

abilitato in un momento non prossimo a quello della stipula sia di per sé inidonea<br />

ad essere utilizzata.<br />

Per se stessa l’attestazione di conformità è sempre valida, salvo che nel periodo<br />

intercorrente fra la data del suo rilascio e la stipula non siano stati posti in<br />

essere interventi o attività tali da comportare l’obbligo di presentazione di variazione<br />

e/o di deposito di una nuova planimetria, circostanza della quale è a conoscenza<br />

la parte che produce l’attestazione e sulla quale ricade la relativa responsabilità;<br />

pertanto, ancorché non imposto dalla legge, sarebbe opportuno<br />

che in atto risulti da dichiarazione di parte che non sono intervenute variazioni<br />

successivamente al rilascio dell’attestazione del tecnico.<br />

Trattandosi di una attestazione che va a sostituire la dichiarazione resa dalla<br />

parte in atto e per la quale non sono richiesti particolari requisiti di forma, le alternative<br />

possibili sono quella dell’intervento in atto del tecnico che attesta la<br />

conformità o, più ragionevolmente, quella dell’allegazione dell’attestazione.<br />

PARTE II – ASPETTI CONTROVERSI DELLA DISCIPLINA CONTENUTA<br />

NELL’ART. 29, COMMA 1-BIS, DELLA LEGGE 52/1985<br />

1. I BENI OGGETTO DELLA NORMA<br />

L’ambito oggettivo di applicazione del comma 1-bis è definito dal legislatore<br />

mediante il riferimento alle nozioni di “fabbricati già esistenti” e di “unità immobiliari<br />

urbane”, le quali dovrebbero pertanto essere contemporaneamente considerate<br />

al fine di individuare gli immobili ricompresi nel perimetro applicativo del<br />

comma 1-bis suddetto.<br />

tria sulla quale il funzionario dell’Ufficio provinciale, in fase di accertamento, abbia riportato attestazioni<br />

di cd. “non conformità”, anche mediante l’apposizione sulla planimetria stessa di annotazioni o<br />

di altre evidenze grafiche, che, come tali, possono costituire indizi di anomalie.<br />

4<br />

Per alcune indicazioni sulla questione si vedano le circolari 2/2010 e 3/2010 dell’Agenzia del<br />

territorio.<br />

20<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

Al riguardo l’Agenzia del territorio (circ. n. 2 del 9 luglio 2010) ha precisato<br />

che «l’ambito applicativo della previsione normativa è stato delineato dal legislatore<br />

attraverso l’utilizzo di due espressioni distinte, ma senza dubbio correlate<br />

tra loro: “fabbricati già esistenti” e “unità immobiliari urbane”. Il riferimento e-<br />

spresso a tali due categorie concettuali consente di ritenere che l’ambito di operatività<br />

della norma in parola riguardi gli immobili già iscritti al catasto edilizio<br />

urbano, nonché quelli per i quali sussiste l’obbligo di dichiarazione».<br />

Definita, quindi, secondo la normativa catastale, l’unità immobiliare urbana<br />

come «ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa<br />

utile ed atta a produrre un reddito proprio» (art. 5, r.d.l. n. 652/1939 5 ), e più precisamente<br />

come unità immobiliare costituita da «una porzione di fabbricato, o<br />

da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati ovvero da un’area, che, nello stato<br />

in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale<br />

e reddituale» (art. 2, comma 1, d.m. 2 gennaio 1998, n. 28), occorre coordinare<br />

tale concetto con l’altra tipologia – catastalmente rilevante – indicata<br />

dal comma 1-bis, quella dei fabbricati “già esistenti”.<br />

Per quest’ultima nozione è utile – come già indicato nelle “Prime Note” – fare<br />

riferimento all’art. 28, r.d.l. n. 652/1939, secondo cui «i fabbricati nuovi ed ogni<br />

altra stabile costruzione nuova che debbono considerarsi immobili urbani, a<br />

norma dell’art. 4, devono essere dichiarati all’Ufficio tecnico erariale entro trenta<br />

giorni dal momento in cui sono divenuti abitabili o servibili all’uso cui sono destinati»<br />

6 . Deve trattarsi, quindi, di una costruzione abitabile o servibile all’uso cui<br />

è destinata 7 .<br />

5<br />

Cfr. anche art. 40 d.P.R. n.1142/1949 per il quale «si accerta come distinta unità immobiliare<br />

urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso<br />

proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente».<br />

Sulla nozione di unità immobiliare urbana con riferimento alla formulazione delle varie norme<br />

catastali cfr. Agenzia del territorio, circ. n. 4/T del 16 maggio 2006.<br />

6<br />

Il termine di trenta giorni è stato introdotto dall’art. 34-quinquies, comma 2, lett. a), d.l. n.<br />

4/2006, conv. in l. n. 80/2006. La previsione di tale termine (rilevante ai fini dell’applicazione delle<br />

sanzioni previste per l’inadempimento degli obblighi di cui all’art. 31, r.d.l. n. 652/1939, cit.) non<br />

sembra essere in contrasto con la procedura prescritta dagli artt. 24 e 25, d.P.R. 6 giugno 2001, n.<br />

380 (testo unico dell’edilizia) per la presentazione della domanda di rilascio del certificato di agibilità<br />

(domanda da presentare entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento) la<br />

quale presuppone l’avvenuta (o quantomeno la contestuale) presentazione della domanda di accatastamento,<br />

perché la suddetta ultimazione dei lavori di finitura potrebbe avvenire successivamente<br />

al momento in cui, di fatto, il fabbricato è “divenuto abitabile o servibile all’uso cui è destinato”. Con<br />

riferimento al predetto termine di trenta giorni per l’accatastamento delle unità immobiliari di nuova<br />

costruzione, l’Agenzia del territorio, nella circ. n. 3/T dell’11 aprile 2006, si è limitata a precisare che<br />

esso «decorre dalla data in cui: – l’immobile è divenuto agibile o comunque utilizzato per l’uso per il<br />

quale è stato costruito».<br />

7<br />

Per il concetto di stabile costruzione cfr. Foglio, Il catasto dei fabbricati e il catasto dei terreni,<br />

Roma, 2009, 26 s. Si consideri inoltre l’art. 2, comma 3, d.m. n. 28/1998 secondo cui «sono considerate<br />

unità immobiliari anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di<br />

qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 21


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

In base alle definizioni normative indicate la nozione di unità immobiliare urbana<br />

appare più ampia rispetto a quella di fabbricato già esistente, comprendendo<br />

anche le aree 8 .<br />

Dall’interpretazione della norma accolta dall’Agenzia del territorio (circ. nn. 2<br />

e 3 citate) sembra emergere invece l’applicabilità della disposizione a tutte le<br />

unità immobiliari urbane, posto che gli immobili che l’Agenzia ritiene esclusi<br />

(come meglio specificato nei paragrafi successivi) non rappresentano catastalmente<br />

unità immobiliari urbane (si pensi ad esempio alle aree urbane iscritte<br />

nella categoria catastale fittizia F/1, senza attribuzione di rendita, escluse dall’applicazione<br />

del comma 1-bis, perché prive di rilevanza reddituale e quindi non<br />

definibili come unità immobiliari urbane 9 ).<br />

1.1. Gli immobili esclusi dalla norma<br />

Il riferimento alle nozioni di “unità immobiliare urbana” e di “fabbricato già e-<br />

sistente” porta ad escludere dall’ambito applicativo del comma 1-bis cit., oltre le<br />

particelle censite al catasto terreni 10 , anche quei fabbricati (o porzioni di fabbricato)<br />

che non siano caratterizzati, secondo la disciplina catastale, da una potenzialità<br />

di autonomia funzionale e di reddito.<br />

Sotto tale profilo, l’art. 3 d.m. n. 28/1998 cit., dopo aver stabilito, al primo<br />

comma, la regola generale che impone il censimento (inventariazione) di tutte le<br />

unità immobiliari come definite dal precedente art. 2 (fabbricato, o porzione di<br />

fabbricato, insieme di fabbricati, area, che, nello stato in cui si trovano e seconsuolo,<br />

purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono<br />

considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo,<br />

quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale».<br />

8<br />

Il concetto di area è generalmente definito in via residuale rispetto a quello di costruzione. A<br />

tal fine appare utile richiamare le conclusioni cui si è pervenuti nel definire l’ambito di applicazione<br />

della disciplina del condono edilizio, rispettivamente degli artt. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e<br />

40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, da un lato, e dell’art. 30 del citato d.P.R. 380, dall’altro lato.<br />

Si è, in particolare, rilevato come «al di là dei diversi canoni proposti [...], è preferibile piuttosto ricorrere<br />

ad una nozione di terreni, per così dire, residuale: se gli edifici sono i “manufatti rilevanti a fini<br />

urbanistici”, sono terreni tutti quegli immobili privi di una tale qualità, indipendentemente dalla capacità<br />

edificatoria dei medesimi, dall’incorporazione di opere di urbanizzazione (quali strade, fognature,<br />

allacciamenti elettrici, idrici, telefonici e di vario genere) e dall’intervenuto rilascio di un permesso<br />

di costruire o dalla presentazione di un’idonea denuncia di inizio attività (prima naturalmente<br />

dell’avvio delle opere di edificazione)». Sulla base di tale assunto si è, pertanto, concluso che sono,<br />

in definitiva, “aree” non solo quegli immobili assolutamente privi di manufatti urbanisticamente rilevanti,<br />

ma anche quegli immobili sui quali siano state compiute opere accessorie, sia pure di modesto<br />

impatto, ma necessarie per permettere una migliore fruizione di essi tale, tuttavia, da non immutare<br />

la loro destinazione precedente o da immutarla in modo precario. Così Trapani, La circolazione<br />

giuridica dei terreni, Milano, 2007, 10 ss., che richiama anche la posizione del Consiglio Nazionale<br />

del Notariato, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 – Criteri applicativi, in Aa.Vv., Condono edilizio. Circolari,<br />

studi e riflessioni del Notariato, Milano, 1999, 12.<br />

9<br />

Cfr. circ. 3/T del 2010, cit.<br />

10<br />

Cfr. Agenzia del territorio, circ. n. 2 del 2010.<br />

22<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

do l’uso locale, presentano potenzialità di autonomia funzionale e reddituale),<br />

prevede poi delle deroghe 11 rispetto ad alcune categorie di beni (fabbricati o loro<br />

porzioni in corso di costruzione o di definizione; costruzioni inidonee ad utilizzazioni<br />

produttive di reddito a causa dell’accentuato livello di degrado; lastrici solari;<br />

aree urbane), le quali possono essere censite “senza attribuzione di rendita<br />

catastale”, all’unico scopo di attribuire all’unità l’identificativo catastale di cui al<br />

successivo art. 4 mediante la sola “descrizione dei caratteri specifici e della destinazione<br />

d’uso”.<br />

Laddove gli immobili menzionati nel comma 2 dell’art. 3 cit. siano dichiarati<br />

al catasto dei fabbricati (e ciò solo per completare la conoscenza del patrimonio<br />

immobiliare) ed inseriti in una delle categorie catastali fittizie del gruppo F, senza<br />

attribuzione di rendita (e senza presentazione della planimetria 12 ), essi sono<br />

da escludere dalla previsione normativa di cui al comma 1-bis in quanto non integrano<br />

la nozione catastale di unità immobiliare urbana, come sopra indicata.<br />

Nel senso dell’esclusione si è espressa anche l’Agenzia del territorio con riferimento<br />

precisamente a «i fabbricati iscritti in catasto come “unità collabenti”,<br />

in quanto non più abitabili o servibili all’uso cui sono destinati; i fabbricati iscritti<br />

in catasto come “in corso costruzione” o “in corso di definizione”, sempre che<br />

non siano stati ultimati o definiti» 13 .<br />

Per queste tipologie di fabbricati, però, l’accatastamento nel gruppo F rappresenta<br />

una facoltà, per cui si pone il problema di verificare se l’esclusione dal<br />

comma 1-bis prescinda dall’inserimento in una delle categorie catastali fittizie.<br />

Per quanto riguarda il fabbricato in corso di costruzione l’esclusione sussiste<br />

comunque in quanto non si tratta di un “fabbricato già esistente”, secondo<br />

la nozione prevista nella disciplina catastale (art. 28 r.d.l. n. 652/1939).<br />

Più difficile è, invece, la valutazione relativa all’applicabilità o meno del<br />

comma 1-bis rispetto al fabbricato in corso di ristrutturazione (non accatastato<br />

nel gruppo F 14 ), perché si tratta di un immobile ancora iscritto in una categoria<br />

catastale con attribuzione di rendita.<br />

11<br />

Cfr. art. 3, comma 2, n. 28/1998: «2. Ai soli fini della identificazione, ai sensi dell’articolo 4,<br />

possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione<br />

dei caratteri specifici e della destinazione d’uso, i seguenti immobili: a) fabbricati o loro<br />

porzioni in corso di costruzione o di definizione; b) costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di<br />

reddito, a causa dell’accentuato livello di degrado; c) lastrici solari; d) aree urbane».<br />

12<br />

La presentazione delle planimetrie non è mai prevista per le unità ascrivibili in queste categorie.<br />

Cfr. Agenzia del territorio, circ. n. 9/T del 26 novembre 2001.<br />

13<br />

Circ. n. 2/T del 2010, cit.; e nello stesso senso anche circ. n. 3/T del 2010, cit.<br />

14<br />

L’Agenzia del territorio (circ. n. 9 del 2001, cit.) ha precisato che l’utilizzo della categoria F/4<br />

(“unità in corso di definizione”) è corretto solo qualora si costituiscano porzioni di vano, ovvero in<br />

caso di intervento edilizio di ristrutturazione in cui vengano abbattuti muri divisori e di confine tra le<br />

varie unità. Sempre con riferimento all’“unità in corso di definizione” censibile nella categoria fittizia<br />

F/4 l’Agenzia, nella circ. n. 4/T del 29 ottobre 2009, ha affermato che può essere attribuita la categoria<br />

F/4 priva di rendita catastale in caso di «interventi, rivolti a ridefinire radicalmente gli organismi<br />

edilizi mediante un insieme sistematico di opere tese a trasformare un fabbricato in un insieme di<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 23


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

Occorre, però, considerare che nel caso di lavori che importino mutamenti<br />

dello stato o della consistenza del bene – cosicché durante la fase di esecuzione<br />

degli stessi l’unità immobiliare non sia più identificabile con quella originaria<br />

– la disciplina catastale prevede l’obbligo di presentazione della denuncia di variazione,<br />

con l’aggiornamento della planimetria, solo al termine dei lavori stessi<br />

(cfr. art. 34-quinquies, comma 2 lett. b), d.l. n. 4/2006, conv. in l. n. 80/2006 15 ).<br />

In altri termini, la disciplina catastale considera “irrilevanti” i mutamenti intervenuti<br />

sullo stato e sulla consistenza del fabbricato finché è in corso la fase della<br />

ristrutturazione. Non sarebbe allora coerente con tale disciplina ritenere applicabili<br />

comunque le previsioni di cui al comma 1-bis richiedendo una dichiarazione<br />

di conformità della planimetria e dei dati catastali (non ancora aggiornabili)<br />

rispetto ad uno stato di fatto del bene legittimamente in mutazione.<br />

La fase della ristrutturazione incide peraltro anche, transitoriamente, sulla<br />

capacità di produzione del reddito dell’immobile, considerato che ai sensi dell’art.<br />

36 comma 3 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 «non si considerano, altresì,<br />

produttive di reddito le unità immobiliari per le quali sono state rilasciate licenze,<br />

concessioni o autorizzazioni per restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione<br />

edilizia, limitatamente al periodo di validità del provvedimento durante il<br />

quale l’unità immobiliare non è comunque utilizzata» 16 .<br />

In conclusione si ritiene che nel caso di atti aventi ad oggetto fabbricati assunti<br />

come in corso di ristrutturazione e ancora iscritti in una categoria catastale<br />

con attribuzione di rendita, laddove sull’immobile siano in corso i lavori sopraindicati<br />

– con la conseguenza che l’unità immobiliare non sia più identificabile con<br />

quella originaria –, il comma 1-bis non sia applicabile a condizione che emerga<br />

per tabulas la circostanza del rilascio del titolo abilitativo edilizio, il fatto che<br />

questo non sia ancora scaduto, nonché l’inizio dei lavori di ristrutturazione, anche<br />

sollecitando – secondo la prudente valutazione del notaio – l’attestazione di<br />

unità immobiliari, in tutto o in parte diverse da quelle in precedenza iscritte in catasto (cfr. articolo 3,<br />

comma 1, lettera d, del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, recante “Disposizioni legislative in<br />

materia edilizia”)».<br />

15<br />

Ai sensi del quale «b) le dichiarazioni relative alle mutazioni nello stato dei beni delle unità<br />

immobiliari già censite, di cui all’articolo 17 primo comma, lettera b), del regio decreto-legge 13 aprile<br />

1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, devono essere<br />

presentate agli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio entro trenta giorni dal momento in cui esse<br />

si sono verificate». L’Agenzia del territorio (circ. n. 3/T dell’11 aprile 2006, cit.) ha precisato al riguardo<br />

che «il nuovo termine, di trenta giorni, decorre dalla data in cui: [...] – le variazioni sono state<br />

completate, per le unità censite che hanno subito variazioni».<br />

16<br />

V. anche art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 504/1992 in materia di imposta comunale sugli immobili ai<br />

sensi del quale «In caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione di fabbricato, di interventi<br />

di recupero a norma dell’articolo 31, comma 1, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, la<br />

base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a<br />

quanto stabilito nell’articolo 2, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data<br />

di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla<br />

data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato».<br />

24<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

un tecnico (da allegare all’atto) in ordine alla circostanza che il fabbricato è ancora<br />

in fase di ristrutturazione.<br />

Il medesimo ragionamento non può, invece, valere per i fabbricati assunti<br />

come immobili in stato di degrado qualora non siano accatastati come “unità<br />

collabenti” nel gruppo F, e quindi risultino ancora iscritti nel catasto dei fabbricati<br />

17 in una categoria con attribuzione di rendita.<br />

Infatti l’art. 3 comma 2 d.m. n. 28/1998 cit. considera iscrivibili senza attribuzione<br />

di rendita “le costruzioni inidonee ad utilizzazioni produttive di reddito, a<br />

causa dell’accentuato livello di degrado”, ma in assenza di tale iscrizione speciale<br />

le stesse continuano ad integrare la nozione catastale di unità immobiliare<br />

urbana, come sopra indicata, e ad essere produttive di reddito 18 ; quindi, devono<br />

ritenersi comprese nell’ambito applicativo del comma 1-bis.<br />

Devono ritenersi esclusi dall’ambito applicativo del comma 1-bis anche i<br />

fabbricati o manufatti marginali elencati nel comma 3 dell’art. 3 d.m. n.<br />

28/1998 19 , trattandosi di beni che non sono oggetto di accatastamento, salva l’ipotesi<br />

in cui siano “dotati di un’autonoma suscettibilità reddituale”. Considerata<br />

tale evenienza ed in ragione delle difficoltà operative che si pongono sul piano<br />

della prova, tenuto conto della sanzione della nullità prevista per l’inosservanza<br />

delle prescrizioni di cui alla prima parte del comma 1-bis cit., appare opportuno<br />

nel caso di atti aventi ad oggetto tali immobili, non iscritti nel catasto, sollecitare<br />

una dichiarazione di parte o l’attestazione di un tecnico (da allegare all’atto) in<br />

ordine all’assenza di un’autonoma suscettibilità reddituale (non applicando il<br />

comma 1-bis) 20 .<br />

L’irrilevanza ai fini reddituali porta ad escludere dalla previsione normativa di<br />

cui al comma 1-bis anche i beni comuni non censibili, in quanto privi di rendi-<br />

17<br />

Per i ruderi iscritti nel catasto terreni si veda infra.<br />

18<br />

Nelle istruzioni al modello Unico 2010 si legge, con riferimento agli immobili inagibili, per accertato<br />

degrado fisico (immobili diroccati, pericolanti e fatiscenti) e per obsolescenza funzionale,<br />

strutturale e tecnologica (non superabile con interventi di manutenzione) come sia «possibile attivare<br />

una procedura catastale volta a far risultare la mancanza dei requisiti che determinano l’ordinaria<br />

destinazione del cespite immobiliare e, quindi, ad ottenere la variazione dell’accertamento catastale.<br />

[...] Se il contribuente non ha messo in atto la procedura di variazione, il reddito di dette unità<br />

immobiliari deve essere assoggettato ad imposizione secondo i criteri ordinari».<br />

19<br />

Ai sensi del quale «a meno di una ordinaria autonoma suscettibilità reddituale, non costituiscono<br />

oggetto di inventariazione i seguenti immobili: a) manufatti con superficie coperta inferiore a<br />

8 m 2 ; b) serre adibite alla coltivazione e protezione delle piante sul suolo naturale; c) vasche per<br />

l’acquacoltura o di accumulo per l’irrigazione dei terreni; d) manufatti isolati privi di copertura; e) tettoie,<br />

porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 m, purché di volumetria<br />

inferiore a 150 m 3 ; f) manufatti precari, privi di fondazione, non stabilmente infissi al suolo».<br />

20<br />

Il comma 4 del medesimo articolo 3 prevede inoltre che «le opere di cui al comma 3, lettere a)<br />

ed e), nonché quelle di cui alla lettera c) rivestite con paramento murario, qualora accessori a servizio<br />

di una o più unità immobiliari ordinarie, sono oggetto di iscrizione in catasto contestualmente alle<br />

predette unità».<br />

Studi e Materiali – 1/2011 25


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

ta catastale 21 . Più precisamente si tratta dei beni comuni a più unità immobiliari,<br />

iscritti o iscrivibili in un’apposita partita speciale del catasto, per i quali non è<br />

dovuta la redazione della planimetria (es. androni, scale, aree di passaggio,<br />

cortili e terrazzi condominiali) 22 . L’esclusione dalla previsione normativa di cui al<br />

comma 1-bis può, inoltre, affermarsi in riferimento a quei beni che, seppur classificabili<br />

fra i beni comuni non censibili, non risultino di fatto iscritti in catasto.<br />

Per quanto riguarda i beni comuni censibili, quali l’alloggio del portiere, si<br />

ritiene che essi siano da escludere dal comma 1-bis pur trattandosi di unità immobiliari<br />

dotate di autonoma capacità di reddito, «nel caso in cui il trasferimento<br />

“delle relative quote e diritti” avvenga unitamente al trasferimento dell’unità immobiliare<br />

oggetto di compravendita (quando, a titolo esemplificativo, nella vendita<br />

di un appartamento sono ricomprese quote e diritti connessi ai beni comuni<br />

censibili). Di contro, detta dichiarazione [ndr, di conformità] assume rilevanza<br />

nell’ipotesi in cui l’alloggio del portiere, o altro bene comune censibile, sia oggetto<br />

di autonomo trasferimento da parte dei condomini. In questa ultima ipotesi,<br />

infatti, l’unità immobiliare perde la sua funzione di bene condominiale e, pertanto,<br />

si rende necessaria anche la relativa registrazione con una specifica intestazione,<br />

in luogo della partita speciale, per tenere in debita evidenza i diritti e le<br />

quote vantati da ciascun soggetto» 23 .<br />

Le conclusioni alle quali si è giunti in ordine ai beni comuni, censibili e non,<br />

possono essere riproposte anche per le ipotesi in cui si tratti di beni non appartenenti<br />

a tutti i condomini, ma ad alcuni soltanto, come nel caso del c.d. condominio<br />

parziale, che si connota per un regime di comproprietà limitato, e che si<br />

ha laddove le parti condominiali siano di proprietà comune solo di coloro cui il<br />

bene (o il servizio offerto dal bene) è obiettivamente destinato a servire 24 .<br />

Sono da ritenersi, invece, rilevanti per l’applicazione del comma 1-bis quelle<br />

entità che, pur non avendo di per sé le caratteristiche di un’unità immobiliare<br />

urbana, devono essere classificate, secondo la normativa catastale, unitamente<br />

21<br />

Come precisato dalla circolare Min. Fin. del 20 gennaio 1984 n. 2 «trattasi di porzioni che non<br />

possiedono autonoma capacità reddituale, comuni ad alcune o a tutte le u.i. per destinazione, (androne,<br />

scale, locale centrale termica, ecc.) ovvero per la loro specifica funzione di utilizzazione indivisa<br />

(ad esempio una rampa al servizio di soli posti auto)».<br />

22<br />

Cfr. circ. n. 3/T del 2010.<br />

23<br />

Circ. n. 3/T, cit., la quale richiama per quanto riguarda le nozioni di “bene comune non censibile”<br />

e “bene comune censibile” quanto stabilito con la circolare n. 2 del 20 gennaio 1984, cit., ricordando<br />

come si considerino “beni comuni censibili” quelle unità immobiliari urbane che, ancorché dotate<br />

di autonoma capacità reddituale, forniscono servizi comuni o sono fruibili da più unità immobiliari,<br />

e come tali vengono dichiarate.<br />

24<br />

In giurisprudenza, Cass. 28 aprile 2004, n. 8136; Cass. 15 novembre 1974, n. 3634; Cass. 5<br />

ottobre 2000, n. 13290. In dottrina, sull’argomento, Salis, Il condominio degli edifici, Torino, 1959,<br />

18; Visco, Le case in condominio, Milano, 1967, 38; Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano,<br />

1999, 528.<br />

26<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

all’unità immobiliare “principale” incidendo sul calcolo della consistenza (e<br />

della rendita) di quest’ultima 25 .<br />

Ne deriva che la dichiarazione di conformità di cui al comma 1-bis non può<br />

essere resa se tali entità non sono adeguatamente rappresentate in catasto 26 .<br />

Possono incidere sul calcolo della consistenza dell’unità immobiliare urbana<br />

anche le aree di pertinenza o dipendenza esclusiva della stessa 27 .<br />

Le principali norme di riferimento sul punto sono rappresentate dall’art. 6<br />

comma 2 r.d.l. n. 652/1939, conv. in l. n. 1249/1939, secondo il quale «la dichiarazione<br />

va estesa alle aree e ai suoli che formano parte integrante di una o più<br />

unità immobiliari, o concorrono a determinarne l’uso e la rendita» e dall’art. 51<br />

d.P.R. n. 1142/1949, il quale prevede che «è aumentata di una percentuale non<br />

maggiore del 10% la consistenza delle unità immobiliari alle quali siano annesse<br />

aree formanti parti integranti di esse, ovvero sia congiunto l’uso, in comune<br />

con altri, di locali per deposito, per bucato e simili, quando tali circostanze non<br />

siano state tenute presenti nell’attribuzione della classe». Inoltre, ai sensi dell’art.<br />

15 d.P.R. n. 650/1972 «ad integrazione e modifica di quanto è stabilito con<br />

la legge 11 agosto 1939, n. 1249, nel catasto edilizio urbano verranno anche i-<br />

scritti, con indicazione della sola superficie, i lastrici solari nonché le aree scoperte<br />

di pertinenza o dipendenza delle unità immobiliari urbane. Gli uni e le altre<br />

dovranno essere dichiarati dagli interessati con le medesime modalità stabilite<br />

per la dichiarazione delle unità immobiliari urbane dalle norme di legge e di regolamento<br />

citate al comma precedente. Resta valida la norma portata dall’art.<br />

51 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 1°<br />

dicembre 1949, n. 1142, circa il computo anche delle aree scoperte nella determinazione<br />

della consistenza delle unità immobiliari urbane».<br />

In concreto sono riscontrabili varie tipologie di aree che potrebbero costituire<br />

pertinenze o dipendenze di unità immobiliari urbane, tuttavia in questa sede appare<br />

opportuno soffermare l’attenzione solo sulle principali – le quali sono rap-<br />

25<br />

Si vedano in particolare i criteri per la determinazione della superficie catastale delle unità<br />

immobiliari a destinazione ordinaria di cui all’all. C al d.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, nonché<br />

l’allegato tecnico alla circ. n. 9 del 2001, cit. Cfr. altresì artt. 56 e 57 d.P.R. 1 dicembre 1949, n.<br />

1142; art. 8 d.P.R. n. 138/1998; art. 3, comma 4, d.m. n. 28/1998.<br />

26<br />

Si legge nella circ. n. 2 del 2010, cit. che «nell’ipotesi in cui la planimetria catastale non riproduca<br />

fedelmente la configurazione reale (attuale) dell’immobile, al fine di consentire l’inserimento in<br />

atto della prescritta dichiarazione di conformità, l’intestatario dovrà presentare una denuncia di variazione,<br />

allegando la nuova planimetria aggiornata con lo stato reale dell’immobile (tale situazione<br />

potrebbe presentarsi, a titolo meramente esemplificativo, a causa di incompleta o non corretta rappresentazione<br />

degli ambienti costituenti l’unità immobiliare e delle pertinenze ad uso esclusivo,<br />

[...]».<br />

27<br />

Con riguardo alla definizione di unità immobiliare urbana, di cui all’art. 5, r.d.l. n. 652/1939,<br />

cit., si sottolinea come il riferimento all’immobile e non al semplice fabbricato stia ad «esprimere il<br />

concetto di indissolubilità tra fabbricato e terreno edificato; l’unità immobiliare è quindi l’insieme di<br />

tutto ciò che ne costituisce l’essenza: l’area coperta, l’area scoperta e le strutture murarie. Variare<br />

uno qualsiasi di questi elementi significa variare l’unità immobiliare». Così Crescentini, Trattato di<br />

pratica catastale. Catasto dei fabbricati, Rimini, 2002, 32 s.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 27


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

presentate dalle aree urbane inserite nella consistenza di un’unità immobiliare<br />

urbana, dalle aree effettivamente utilizzate per fini agricoli e dalle aree urbane<br />

censite nella categoria fittizia F/1 – verificando come e se rilevi, rispetto ad esse,<br />

agli effetti dell’applicazione del comma 1-bis cit., la sussistenza del rapporto<br />

pertinenziale.<br />

Rispetto alle aree urbane inserite nella consistenza di un’unità immobiliare<br />

urbana la rappresentazione catastale tiene già conto del rapporto pertinenziale<br />

con un’unità immobiliare e pertanto (in assenza di ulteriori variazioni rilevanti) la<br />

dichiarazione di conformità, di cui al comma 1-bis, relativa a quella stessa unità<br />

immobiliare ‘principale’, potrebbe essere resa.<br />

Con riferimento alle aree effettivamente utilizzate per fini agricoli e censite al<br />

catasto terreni 28 , esse sono irrilevanti agli effetti del comma 1-bis cit., pur se di<br />

pertinenza o dipendenza di un’unità immobiliare urbana. Si può, infatti, sostenere<br />

– pur nell’incertezza derivante dalla difficoltà di coordinare tra loro le disposizioni<br />

catastali – che non esista un obbligo ma solo una facoltà per il soggetto interessato<br />

di inserire nel catasto dei fabbricati le aree agricole pertinenziali, facendole<br />

raffigurare graficamente nella stessa planimetria dell’unità immobiliare<br />

al cui servizio sono destinate, con il limite previsto dall’art. 13 comma 3 del d.m.<br />

n. 28/1998 cit., il quale, nell’occuparsi della rilevanza cartografica di queste aree,<br />

dispone che «... Non sono oggetto di rappresentazione le aree pertinenziali<br />

non delimitate sul terreno, ovvero eccedenti il doppio dell’area coperta in pianta<br />

dalle costruzioni, qualora le stesse aree siano destinate all’ordinaria coltura».<br />

L’identica conclusione non può, invece, essere sostenuta in riferimento alle a-<br />

ree censite nel catasto terreni e costituenti parchi al servizio di unità immobiliari<br />

urbane a destinazione abitativa che, ove considerate, sotto il profilo catastale,<br />

unitamente a tali aree, non potrebbero più mantenere l’attuale classificazione<br />

ma dovrebbero transitare nelle categorie A/7 e A/8, con conseguente attribuzione<br />

di una rendita superiore; le aree medesime sono, quindi, in questo senso rilevanti<br />

agli effetti del comma 1-bis cit.<br />

Con riguardo alle aree urbane censite nella categoria fittizia F/1, che siano<br />

pertinenza o dipendenza (esclusiva) di un’unità immobiliare urbana, si deve<br />

considerare se le stesse siano state a suo tempo dichiarate conformemente alla<br />

disciplina catastale vigente all’epoca della dichiarazione.<br />

In proposito è da tenere presente che anteriormente all’entrata in vigore della<br />

procedura denominata Docfa 3 (1° gennaio 2002), adottata con provvedimento<br />

del Direttore dell’Agenzia del territorio del 7 novembre 2001, n. 2425/UDA,<br />

28<br />

I terreni agricoli sono censiti al catasto dei terreni la cui base oggettiva è data dalla particella<br />

che può essere definita come «una porzione continua di terreno, che sia situata in un solo comune,<br />

appartenga ad un unico possessore o ditta, e sia assoggettata ad unica specie di coltura (qualità)<br />

con uniforme grado di produttività [...]”». Cfr. Lasagna, Il notaro e le sue funzioni, vol. III, Genova,<br />

1974, 1254 s.<br />

28<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

non era obbligatorio l’inserimento delle aree suddette nella planimetria catastale<br />

dell’unità immobiliare 29 .<br />

Dall’entrata in vigore della procedura Docfa 3, invece, tutte le aree esclusive<br />

se qualificate come pertinenze o dipendenze di un’unità immobiliare urbana devono<br />

essere graficamente rappresentate nella planimetria catastale di quest’ultima<br />

30 .<br />

Ne deriva che, agli effetti del comma 1-bis cit., occorre individuare la data di<br />

costituzione del rapporto pertinenziale. Tale rapporto resta irrilevante se sorto<br />

anteriormente al 1° gennaio 2002. Esso assume, invece, rilevanza qualora sia<br />

costituito dopo il 1° gennaio 2002 (posto che l’area di pertinenza esclusiva deve<br />

essere rappresentata nella planimetria catastale dell’unità immobiliare urbana).<br />

E ciò anche se la destinazione a pertinenza sia effettuata dopo il 1° gennaio<br />

2002 con riferimento ad aree urbane già in precedenza accatastate in F/1, essendo<br />

in tal caso necessario procedere ad una variazione catastale per adeguare<br />

la rappresentazione grafica dell’area divenuta pertinenziale. Dalla normativa<br />

catastale – interpretata sulla base della prassi amministrativa, che in materia<br />

assume grande rilievo – sembra, però, potersi desumere che tale rilevanza<br />

del rapporto pertinenziale sia limitata ai casi in cui l’area urbana faccia parte di<br />

un lotto edificato già censito 31 , inclusivo anche dell’unità immobiliare rispetto alla<br />

quale l’area è pertinenza o dipendenza. La definizione del “lotto edificato” riveste<br />

un carattere essenzialmente tecnico, per cui sarebbe opportuno rivolgersi<br />

ad un professionista del settore per la sua individuazione nel caso concreto. Per<br />

“lotto edificato” dovrebbe, comunque, intendersi la porzione di terreno, dotata di<br />

distinta identità, nella quale sorge un edificio o un complesso di edifici; esso dovrebbe<br />

essere unitariamente costituito dall’area di sedime dell’edificio o del<br />

complesso di edifici esistente e dai relativi spazi scoperti di pertinenza, così<br />

come identificati negli atti catastali. Nella pratica, tra le varie ipotesi di lotto edificato<br />

censito che possono riscontrarsi, quella più ricorrente è costituita dal<br />

complesso condominiale rappresentato nel catasto dei fabbricati come unica<br />

particella edilizia, comprensivo di una pluralità di unità immobiliari e di aree, o-<br />

gnuna indicata con il numero principale che contraddistingue in mappa tale particella<br />

edilizia e con un altro numero, subalterno del principale. Secondo l’inter-<br />

29<br />

Cfr. art. 15, d.P.R. n. 650/1972, cit.<br />

30<br />

L’Agenzia del territorio considera espressamente, con riferimento al calcolo delle superfici<br />

delle unità immobiliari, in conformità a quanto disposto dal d.P.R. n. 138/1998, le «aree scoperte,<br />

corti, giardini o comunque assimilabili, di pertinenza e dipendenza esclusiva della singola unità immobiliare<br />

[...]» (cfr. allegato tecnico alla circ. n. 9 del 2001, cit.) e afferma, con riferimento a ciò che<br />

la planimetria dell’unità immobiliare deve contenere a pena di mancata accettazione della pratica<br />

Docfa, che «non deve mai mancare la rappresentazione della pertinenza scoperta esclusiva, se<br />

presente» (cfr. circ. n. 4/T del 2009, cit.).<br />

31<br />

Tale terminologia è utilizzata dalla prassi amministrativa. Cfr. ad esempio Agenzia del territorio,<br />

circ. n. 4 del 2009, cit., Min. Fin. circ. n. 15 del 29 luglio 1985 e n. 2 del 1984, cit., circ. n. 217<br />

del 23 settembre 1940 (I) e istruzioni del 24 maggio 1942 (II) e del 28 luglio 1942 (IV).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 29


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

pretazione proposta, con riferimento alla suddetta ipotesi più ricorrente, il rapporto<br />

pertinenziale, costituito dopo il 1° gennaio 2002, rileverebbe solo se sia<br />

l’unità immobiliare formante il bene principale sia l’area formante il bene accessorio<br />

facciano parte di un unico complesso condominiale e siano identificate nel catasto<br />

dei fabbricati con il medesimo numero principale ma con subalterni diversi;<br />

non rileverebbe invece se o l’unità immobiliare formante il bene principale o l’area<br />

formante il bene accessorio siano al di fuori del complesso condominiale.<br />

Al fine dell’individuazione del momento di costituzione del rapporto pertinenziale<br />

potrebbe farsi riferimento, ad esempio, ai titoli di acquisto, ove in essi tale<br />

rapporto sia esternato; negli altri casi, è opportuno, secondo la prudente valutazione<br />

del notaio, sollecitare una dichiarazione di parte.<br />

È bene, peraltro, precisare che la destinazione pertinenziale che viene in rilievo<br />

agli effetti dell’applicazione del comma 1-bis può essere solo quella preesistente<br />

all’atto di disposizione, posto che la dichiarazione di conformità è da riferire<br />

all’intestatario/disponente 32 del bene e deve avere ad oggetto lo stato di<br />

fatto di quest’ultimo al momento dell’atto stesso. In altri termini, non può assumere<br />

rilevanza agli effetti della dichiarazione di conformità il rapporto pertinenziale<br />

costituito dall’acquirente nell’atto. Tale rapporto determinerà, comunque,<br />

l’obbligo per l’acquirente stesso di procedere, successivamente al rogito, alle<br />

conseguenti variazioni in catasto, in assenza delle quali per l’unità immobiliare<br />

urbana e la relativa area pertinenziale non potrà essere resa la dichiarazione di<br />

conformità in successivi atti rientranti nel campo di applicazione del comma 1-<br />

bis, cit.<br />

Resta fermo che qualora l’area urbana accatastata in F/1 sia trasferita autonomamente<br />

essa è certamente da escludere dall’ambito applicativo del comma<br />

1-bis, trattandosi di bene privo di rilevanza reddituale 33 .<br />

1.2. I FABBRICATI RURALI<br />

Nelle “Prime Note” si è osservato che ai sensi dell’art. 4 r.d.l. n. 652/1939 «si<br />

considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque<br />

materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali» e che, pertanto, sulla base<br />

32<br />

Sul punto cfr. le “Prime Note”, cit.<br />

33<br />

Cfr. circ. n. 2/T del 2010 citata. In tal caso si ricorda la necessità di allegare all’atto, a pena di<br />

nullità, il certificato di destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 30, comma 2, d.P.R. n. 380/2001,<br />

cit. (e dell’art. 18, l. 28 febbraio 1985, n. 47) secondo il quale «2. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica<br />

sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione<br />

di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici<br />

registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente<br />

le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata». La prescrizione non si applica, nei<br />

limiti indicati dallo stesso comma citato, «quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti<br />

nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva dell’area di pertinenza medesima<br />

sia inferiore a 5.000 metri quadrati».<br />

30<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

di tale normativa, i fabbricati rurali non dovrebbero essere considerati “unità<br />

immobiliari urbane” dovendo, in linea di principio, restare estranei all’ambito applicativo<br />

del comma 1-bis cit.<br />

Nelle “Prime note” si è anche evidenziato come, tuttavia, a seguito dell’istituzione<br />

del catasto dei fabbricati (che comporta l’iscrizione ed il censimento in esso<br />

anche dei fabbricati cui sia riconosciuta la ruralità, a prescindere dalla loro<br />

attuale produttività di reddito fondiario), dalle risultanze catastali non sia più<br />

possibile dedurre la ruralità fiscale del fabbricato, la quale dipende invece dall’esistenza<br />

dei requisiti soggettivi e oggettivi di cui all’art. 9 d.l. n. 557/1993,<br />

convertito dalla l. n. 133/1994, e successive modifiche 34 .<br />

L’Agenzia del territorio è intervenuta sul tema con la circ. n. 2/T del 2010 cit.,<br />

ove si precisa che debbono ritenersi esclusi dall’applicazione del comma 1-bis<br />

«i fabbricati rurali, censiti al catasto terreni, che non abbiano subito variazioni,<br />

né perso i requisiti oggettivi e soggettivi per il riconoscimento della ruralità ai fini<br />

fiscali». L’Agenzia non indica invece fra gli immobili esclusi i fabbricati rurali<br />

censiti al catasto dei fabbricati, ai quali pertanto ritiene applicabile il comma 1-<br />

bis; e ciò coerentemente con il costante orientamento dell’Amministrazione medesima,<br />

secondo il quale, per tali fabbricati, l’iscrizione nel catasto dei fabbricati<br />

avviene con riferimento alle loro “caratteristiche intrinseche” (e quindi anche con<br />

riferimento alla loro “potenzialità di autonomia funzionale e di reddito”), prescindendo<br />

dalla ricorrenza o meno dei requisiti di ruralità, rilevanti ai fini fiscali.<br />

Dalle varie direttive impartite dall’Amministrazione finanziaria per l’accertamento<br />

e l’accatastamento dei fabbricati in considerazione della normativa relativa<br />

ai criteri per il riconoscimento della ruralità, emerge, infatti, da un lato, come<br />

sia compatibile con la ruralità dell’immobile il classamento in una delle categorie<br />

ordinarie del gruppo A e del gruppo C, oltre al classamento nella categoria speciale<br />

D/10 prevista per “i fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività<br />

agricole” 35 ; da un altro lato, come, per espressa previsione normativa, detta i-<br />

scrizione non comporti la perdita della qualifica “rurale” del fabbricato, per cui<br />

34<br />

Per approfondimenti in ordine alle caratteristiche di ruralità dei fabbricati si veda Petrelli, Fabbricati<br />

rurali e catasto dei fabbricati, studio n. 817-bis approvato dalla Commissione studi tributari<br />

del 10 settembre 1998.<br />

35<br />

Ai sensi dell’art. 1, commi 4 e 5, d.P.R. n. 139/1998 «4. Le costruzioni rurali costituenti unità<br />

immobiliari destinate ad abitazione e loro pertinenze vengono censite autonomamente mediante<br />

l’attribuzione di classamento, sulla base dei quadri di qualificazione vigenti in ciascuna zona censuaria.<br />

5. Le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese<br />

quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono censite nella categoria speciale “D/10 –<br />

fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”, nel caso in cui le caratteristiche di<br />

destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione<br />

diversa da quella per la quale furono originariamente costruite». Si ricorda, anche, che ai<br />

sensi dell’art. 2 del medesimo d.P.R. «e) i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche<br />

delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso<br />

previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione<br />

dell’articolo 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27<br />

agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali».<br />

Studi e Materiali – 1/2011 31


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

«considerata la spiccata autonomia tra la disciplina catastale e quella fiscale, il<br />

riconoscimento della ruralità di cui al citato art. 2 del d.P.R. n. 139 del 1998 discende<br />

automaticamente dalla medesima norma al verificarsi di tutte le condizioni<br />

in essa individuate» 36 .<br />

In altri termini, l’iscrizione nel catasto dei fabbricati di costruzioni rurali, disposto<br />

al fine di realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio<br />

edilizio, deve avvenire «in coerenza alle disposizioni previste per le unità immobiliari,<br />

e, pertanto, le stesse devono essere accertate nella categoria catastale<br />

più appropriata, sulla base delle loro caratteristiche intrinseche ed in maniera<br />

del tutto indipendente dal carattere di ruralità» 37 .<br />

Seguendo allora l’interpretazione accolta dall’Agenzia del territorio, nel caso<br />

di atti aventi ad oggetto fabbricati assunti come rurali:<br />

– se il fabbricato è iscritto al catasto dei fabbricati in una delle categorie ordinarie<br />

occorre applicare la disciplina di cui al comma 1-bis. La medesima conclusione<br />

vale anche nel caso di fabbricato rurale strumentale iscritto nella categoria<br />

speciale D/10;<br />

– nel caso di fabbricato rurale ancora censito al catasto dei terreni, laddove<br />

le parti non intendano procedere all’accatastamento nel catasto dei fabbricati, è<br />

assolutamente opportuno sollecitare – secondo la prudente valutazione del notaio<br />

– la dichiarazione di parte o l’attestazione di un tecnico (da allegare all’atto)<br />

in ordine alla permanenza dei requisiti di ruralità (non applicandosi, in tal caso, il<br />

comma 1-bis). L’accertamento dei predetti requisiti non può, infatti, spettare al<br />

notaio.<br />

Quanto detto vale con riferimento ai fabbricati che abbiano in concreto i requisiti<br />

di ruralità, mentre per quelli censiti al catasto dei terreni che abbiano perso<br />

tali requisiti il comma 1-bis si applica e, pertanto, l’accatastamento nel catasto<br />

dei fabbricati è necessario al fine di poter procedere al trasferimento.<br />

Qualora, infine, si tratti di immobili che si assumono essere ruderi e risultino<br />

censiti al catasto dei terreni come fabbricati rurali, appare opportuno sollecitare<br />

l’accatastamento nel catasto dei fabbricati come unità collabenti, perché l’attribuzione<br />

della categoria F/2 è di per sé idonea ad escludere l’applicazione del<br />

comma 1-bis 38 . Laddove la parte non intenda procedere in tal senso è opportuno<br />

sollecitare – secondo la prudente valutazione del notaio – la dichiarazione di<br />

parte o l’attestazione di un tecnico (da allegare all’atto) in ordine alla circostanza<br />

che trattasi di rudere (non applicandosi in tal caso il comma 1-bis cit.), tenuto<br />

36<br />

Così Agenzia delle entrate, ris. 22 maggio 2007, n. 111/E. Nello stesso senso, e più in generale<br />

cfr. Agenzia del territorio, circ. 15 giugno 2007, n. 7/T. La giurisprudenza di legittimità riconosce,<br />

invece, un rilievo determinante – agli effetti dell’esenzione dall’ICI disposta per i fabbricati rurali<br />

– alla classificazione catastale nelle categorie A/6 e D/10 (cfr. Cass., s.u., 21 agosto 2009, n.<br />

18570, e, da ultimo, Cass., sez. trib., 16 luglio 2010, n. 16723).<br />

37<br />

Così Agenzia del territorio, nota n. 10933 del 26 febbraio 2010.<br />

38<br />

V. supra.<br />

32<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

conto che, secondo le indicazioni fornite nel sito web dell’Agenzia del territorio,<br />

non è obbligatoria la denuncia al catasto dei fabbricati per i fabbricati censiti al<br />

catasto terreni che abbiano perso i requisiti di ruralità ma che siano ruderi o in<br />

condizioni di inagibilità. Tale stato, precisa, però, l’Agenzia «è associabile a<br />

fabbricati che presentino crolli delle strutture orizzontali e/o verticali il cui recupero<br />

prevede la totale demolizione. Non rientrano in tale casistica i fabbricati attualmente<br />

inagibili, ma recuperabili con interventi di straordinaria manutenzione<br />

o ristrutturazione, i quali possono essere dichiarati al Catasto Edilizio Urbano<br />

come “fabbricati collabenti” – senza attribuzione di rendita – fino al momento del<br />

recupero ovvero della loro demolizione».<br />

1.3. IL COMMA 1-BIS E I POSTI AUTO<br />

Merita un particolare approfondimento la questione della applicabilità dell’art.<br />

29 comma 1-bis ai posti auto.<br />

Sotto tale profilo, in linea di principio, si possono presentare le seguenti fattispecie:<br />

a) posto auto di proprietà esclusiva non collegato da rapporto pertinenziale<br />

ad alcuna unità immobiliare;<br />

b) posto auto in proprietà esclusiva di pertinenza di una unità immobiliare<br />

(riconducibile, ad esempio, alla previsione di cui all’art. 9, comma 1, della legge<br />

24 marzo 1989, n. 122 o a quelle spesso contenute nei regolamenti comunali<br />

che impongono la creazione di un vincolo; alla previsione di cui al’art. 2, comma<br />

60, l. 23 dicembre 1996, n. 662);<br />

c) posto auto di proprietà condominiale (normalmente riconducibile alla previsione<br />

di cui all’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 – c.d. legge ponte);<br />

c1) in uso promiscuo di tutti i condomini;<br />

c2) in uso esclusivo ai singoli condomini a titolo, rispettivamente di: α) diritto<br />

qualificabile come reale (servitù); ß) diritto di utilizzo esclusivo di natura obbligatoria<br />

39 ;<br />

d) posti auto che, sebbene di proprietà di terzi, siano in diritto d’uso al condominio.<br />

Ebbene, in questa, parziale, rassegna di possibili fattispecie, occorre distinguere.<br />

Per le categorie sopra indicate sub c1) e ß) possono riproporsi le conclusioni<br />

sopra rassegnate in tema di beni comuni, censibili o non censibili, tale essendone<br />

la natura, circa la loro esclusione dall’ambito applicativo del comma 1-bis.<br />

39<br />

Sulle modalità attraverso le quali i condomini possono regolare l’utilizzo dei posti auto, Baralis-Caccavale,<br />

Diritti di “uso esclusivo” nell’ambito condominiale, in Studi e Materiali, 2003, 490 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 33


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

Considerazioni analoghe dovrebbero valere quanto ai posti auto sub d) 40 : la<br />

giurisprudenza ha a suo tempo sottolineato, sia pure dopo diverse interpretazioni,<br />

che allorquando i parcheggi previsti dalla legge ponte appartengano ad<br />

un terzo estraneo alla collettività condominiale o ad un solo dei componenti di<br />

questa, essi vengono a costituire oggetto di un diritto reale d’uso spettante ai<br />

condomini medesimi; peraltro, trattandosi di un vincolo pubblicistico di destinazione,<br />

imposto dalla legge a favore dei condomini del fabbricato cui accede, che<br />

ha natura reale, il diritto d’uso (condominiale) si trasferisce automaticamente<br />

con il trasferimento dell’abitazione 41 .<br />

Più complesso è il discorso per quanto concerne le fattispecie sub a) e b).<br />

È fuor di dubbio che nel caso di box, garage e posto auto coperto si è in<br />

presenza di manufatti aventi i requisiti oggettivi dell’unità immobiliare urbana in<br />

altra sede specificati, e che quindi l’art. 29 comma 1-bis trova applicazione.<br />

A ben vedere, però, alla stessa conclusione deve pervenirsi anche con riguardo<br />

ai posti auto scoperti di proprietà esclusiva (pertinenziali o meno), considerato<br />

che si tratta di immobili i quali, secondo la disciplina catastale, devono<br />

essere accatastati nella categoria catastale C/6 42 con attribuzione di rendita 43 , e<br />

quindi rappresentano delle unità immobiliari urbane.<br />

Quanto, infine, ai posti auto condominiali oggetto di servitù a favore del singolo<br />

condomino (allorquando, cioè l’uso esclusivo discenda da una pattuizione<br />

che comporti la creazione di una servitù a carico dello spazio comune condominiale<br />

destinato a parcheggio e a favore dell’abitazione di un singolo condomino),<br />

si rinvia al prosieguo, laddove si tratterà del tema delle servitù, precisandosi,<br />

sin d’ora, che l’art. 29, comma 1-bis, può avere eventualmente rilievo in sede<br />

di costituzione della servitù, ma non in sede di circolazione dei beni che ne sono<br />

gravati.<br />

2. LA NULLITÀ<br />

Le principali questioni che, all’indomani dell’entrata in vigore del comma 1-<br />

bis della legge 28 febbraio 1985, n. 52, hanno riguardato la previsione della nul-<br />

40<br />

Cass. 3 aprile 1998, n. 3422.<br />

41<br />

Cass., s.u., 18 luglio 1989, n. 3363. Cass. 14 novembre 2000, n. 14731 secondo cui il vincolo<br />

a parcheggio stabilito dall’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765, costituendo un limite legale della<br />

proprietà si trasferisce con la proprietà senza bisogno di trascrizione, al pari di ogni altra limitazione<br />

legale della proprietà, con la conseguenza che la domanda volta all’accertamento del diritto d’uso<br />

derivante da quel vincolo, ancorché fondata sulla nullità delle clausole negoziali apposte in violazione<br />

del vincolo stesso, non è soggetta a trascrizione ai sensi dell’art. 2652 n.6) c.c.<br />

42<br />

È possibile anche che essi siano stati, in passato, accatastati nella categoria C/7. In tal caso,<br />

se non sono intervenute successive variazioni, tale accatastamento deve ritenersi corretto.<br />

43<br />

Cfr. circ. Min. Fin. n. 29 del 21 novembre 1975.<br />

34<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

lità in esso contenuta, si sono appuntate sulla dichiarazione di conformità resa<br />

dalla parte.<br />

Si ribadisce, come già evidenziato nella circolare Prime note, che la nullità<br />

ivi comminata consegue solo alla mancanza della dichiarazione di parte – e<br />

trattasi, pertanto, di un’ipotesi di nullità c.d. formale – e non è riconducibile ad<br />

ogni fattispecie in cui la dichiarazione abbia un contenuto volontariamente o involontariamente<br />

non veritiero.<br />

Pertanto, solo qualora si dovesse constatare l’assenza della dichiarazione di<br />

conformità, l’atto sarà affetto da nullità formale assoluta ed insanabile, non essendo<br />

prevista per tale sanzione alcuna conferma.<br />

Dalla formulazione della norma appare, infatti, piuttosto nitidamente che la<br />

nullità viene comminata per la mancanza nell’atto pubblico della dichiarazione<br />

di conformità; sicché qualora dovesse riscontrarsi successivamente alla stipulazione<br />

una non conformità sul piano sostanziale, l’atto è da considerarsi valido<br />

ed efficace, ferme restando le eventuali conseguenze sanzionatorie di tipo penale<br />

e tributario per il dichiarante.<br />

In effetti, l’assenza della conformità non rende l’immobile incommerciabile<br />

ma espone le parti all’accertamento da parte dell’amministrazione, mentre è discusso<br />

se la dichiarazione mendace possa esser fonte di responsabilità penale<br />

del dichiarante ai sensi dell’art. 483 c.p. 44<br />

La scelta del legislatore di considerare di tipo formale-documentale la sanzione<br />

di nullità prevista, e quindi destinata a riflettersi solo sul documento e non<br />

sul negozio ivi contenuto, si spiega con la volontà di non creare eccessivi ostacoli<br />

alla circolazione degli immobili, come già evidenziato nella circolare CNN<br />

“Prime Note”.<br />

Sotto un diverso profilo, infine, va aggiunto che la dichiarazione di conformità<br />

è una dichiarazione di parte, sul cui contenuto il notaio non è in grado di effettuare<br />

alcun riscontro di veridicità; conseguentemente è da escludersi che<br />

sussista in capo al pubblico ufficiale un dovere di accertare la conformità delle<br />

planimetrie e dei dati catastali allo stato di fatto.<br />

44<br />

Sul punto, in senso affermativo, Cass. 3 giugno 2008, n. 35999, secondo cui «Integra il reato<br />

di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta del privato, parte di un contratto<br />

di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità dell’immobile<br />

alle caratteristiche previste dalla concessione ed ivi autorizzate, in quanto, in tal caso, sussiste a<br />

carico del privato l’obbligo giuridico di dire la verità in ordine alla condizione giuridica dell’immobile<br />

oggetto d’alienazione e alla corrispondenza dello stesso agli estremi della concessione, trattandosi<br />

d’obbligo preordinato alla tutela d’interessi pubblici, connessi all’ordinata trasformazione del territorio,<br />

prevalenti rispetto agli interessi della proprietà, mentre nessun obbligo di verificare la corrispondenza<br />

di tali dichiarazioni al vero incombe sul notaio rogante, tenuto solo a recepire le dichiarazioni<br />

del privato in ordine all’esistenza e agli estremi della concessione»; in senso contrario Cass., s.u.,<br />

15 dicembre 1999, n. 2151, secondo cui «Il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto<br />

pubblico è configurabile nel solo caso in cui una specifica disposizione di legge – non importa se<br />

penale, civile, amministrativa o processuale – attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati<br />

dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto stesso al dovere del<br />

dichiarante di affermare il vero».<br />

Studi e Materiali – 1/2011 35


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

Tuttavia, affinché la stessa dichiarazione di parte si possa considerare esistente,<br />

è necessario che sussistano gli elementi (planimetria e dati catastali)<br />

con i quali lo stato di fatto viene comparato, e cioè che l’immobile oggetto dell’atto<br />

sia stato denunciato in catasto con l’attribuzione di classe e categoria ed<br />

esista una planimetria depositata in catasto, ponendosi altrimenti il problema di<br />

una possibile nullità dell’atto per “inesistenza della dichiarazione” 45 .<br />

Su tutt’altro piano, va osservato che particolare prudenza deve usare il notaio<br />

quando da un mero raffronto tra gli elementi che cadono sotto la sua percezione<br />

(planimetria e dati catastali) e la descrizione dell’oggetto del contratto<br />

fatta dalle parti emergano palesi incongruenze.<br />

Occorre, infine, rilevare come le conclusioni alle quali si perviene in ordine<br />

alla natura formale della nullità comminata dalla norma e sul comportamento<br />

che il pubblico ufficiale deve osservare possano riproporsi negli stessi termini<br />

anche per l’ipotesi in cui in luogo dell’atto pubblico si tratti di scrittura privata<br />

con sottoscrizione autenticata. Con l’unica particolarità rappresentata dal fatto<br />

che la dichiarazione di conformità, della cui sussistenza il notaio si dovrà accertare,<br />

insieme con l’identificazione catastale ed il riferimento alle planimetrie, dovranno<br />

essere riportate nel testo della scrittura predisposta dalle parti e sulla<br />

quale andrà svolto il controllo di legalità.<br />

3.TIPOLOGIE DI ATTI: SERVITÙ E IPOTECA<br />

a) Servitù e dichiarazione di conformità<br />

In linea generale, soprattutto dopo le modifiche apportate al testo della norma<br />

in sede di sua conversione, è evidente come la costituzione di servitù rientri<br />

nell’ambito applicativo del comma 1-bis dell’art. 29 della legge 52.<br />

I dubbi, dei quali pure si era dato conto in sede di prime note, circa la estraneità<br />

della servitù – e della costituzione di ipoteca – rispetto alle tipologie di atti<br />

45<br />

In proposito, si vedano le considerazioni di Checchini, Nullità formale e nullità sostanziale<br />

nell’alienazione di immobili irregolari, in Riv. giur. urb., 1986, 387, spec. 403 ss., laddove con riferimento<br />

alla legge 47/1985, si evidenzia come «il requisito di validità richiesto dagli artt. 17, primo<br />

comma, e 40, secondo comma, consiste nella mera dichiarazione dell’alienante concernente determinati<br />

fatti [...], mentre non è invece richiesta la regolarità dell’immobile sotto il profilo della piena<br />

conformità dello stesso agli strumenti urbanistici e alla stessa concessione di cui vengono menzionati<br />

gli estremi. È sufficiente allora [...] che la menzione degli estremi della concessione permetta di<br />

individuare una concessione effettivamente esistente e riferibile all’immobile, anche se, poi, la costruzione<br />

non sarà conforme nei vari gradi di difformità rispetto all’atto rilasciato dalla p.a. Questo<br />

giudizio di mera riferibilità della concessione o della licenza all’immobile alienato non si traduce in<br />

una valutazione di conformità dell’immobile rispetto alle prescrizioni contenute in tali atti, ed è ammissibile<br />

nello stesso modo e negli stessi limiti in cui si può distinguere concettualmente l’inesistenza<br />

della licenza o della concessione dalla totale o parziale difformità o dalle variazioni essenziali. Altrimenti,<br />

la falsa menzione di una concessione inesistente rende nullo l’atto non perché l’oggetto sia<br />

illecito o vi sia impossibilità giuridica della prestazione, ma perché manca un requisito della stessa<br />

dichiarazione negoziale».<br />

36<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

contemplati dalla norma, risultano oggi fugati dalla scelta del legislatore di e-<br />

scludere espressamente i soli atti costitutivi di diritti reali di garanzia.<br />

Si era infatti rilevata, a fronte di una formulazione analoga a quanto previsto<br />

dall’art. 46, comma 1, del T.U. edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), la non<br />

esclusione degli atti costitutivi dei diritti reali di garanzia e di servitù, con conseguente<br />

applicazione della norma anche a tali fattispecie, pur dandosi conto di<br />

argomenti che avrebbero potuto indurre ad un’interpretazione restrittiva (irrilevanza<br />

per il catasto di dette vicende; totale asimmetria rispetto all’ipoteca ed alla<br />

servitù del novero degli atti contemplati, dato che esse sono suscettibili solo<br />

di costituzione ma non di trasferimento o di scioglimento della comunione). Il legislatore<br />

ha, per così dire, sciolto il dubbio, sancendo l’inapplicabilità della disciplina<br />

ai diritti reali di garanzia, ma non alle servitù.<br />

Dando, quindi, per assodato che anche la costituzione della servitù rientri fra<br />

“Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto [...] la<br />

costituzione [...] di diritti reali su fabbricati già esistenti”, è comunque opportuno<br />

svolgere alcune considerazioni in ordine alla corretta ed effettiva applicazione<br />

del comma 1-bis dell’art. 29 della legge 28 febbraio 1985, n. 52.<br />

La definizione codicistica della servitù – “un peso imposto sopra un fondo<br />

per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario” (art. 1027 c.c.)<br />

– evidenzia anzitutto una relazione di servizio fra due fondi e, al contempo, una<br />

contrapposizione fra gli stessi e le correlative situazioni dominicali, l’una subendo<br />

una limitazione, l’altra ricevendo un vantaggio 46 .<br />

Una correlatività, quindi, fra la limitazione di un fondo e il vantaggio per l’altro,<br />

in cui viene dato maggior rilievo al dato passivo – la soggezione del fondo<br />

servente – rispetto a quello attivo – l’utilità per quello dominante.<br />

Va preliminarmente precisato che – una volta costituita la servitù, e rispettata<br />

in tale sede la disciplina dell’art. 29, comma 1-bis – i successivi atti di trasferimento<br />

delle unità immobiliari gravate dalla servitù non saranno soggetti, relativamente<br />

a tale diritto, alle prescrizioni ivi contenute posto che il “trasferimento del diritto<br />

reale” è un effetto legale derivante dal trasferimento del diritto di proprietà.<br />

Come evidenziato in dottrina 47 , i caratteri fondamentali individuanti la categoria<br />

generale della servitù sono:<br />

a) la servitù è un «diritto reale di godimento su cosa altrui»; l’immagine del<br />

peso sul fondo ben sottolinea, da un lato, l’inerenza del diritto sulla res per l’aspetto<br />

passivo, a vantaggio peraltro di altro fondo di diverso proprietario, e, dall’altro<br />

lato, il contenuto limitato e speciale del diritto, che non è un diritto generale<br />

di godimento, ma un complesso di poteri e facoltà determinato dal titolo;<br />

46<br />

Triola, Le servitù, in Comm. Schlesinger, Milano, 2008, 7 s.<br />

47<br />

Comporti, Le servitù prediali, in Tratt. Rescigno, 8, Torino, 2002, 180.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 37


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

b) la servitù è un «diritto reale immobiliare»: essa infatti grava necessariamente<br />

su di un fondo, detto servente, ed avvantaggia necessariamente altro<br />

fondo, detto dominante; donde la essenziale caratteristica fondiaria dell’istituto;<br />

c) il contenuto ed il limite della servitù è determinato dalla sua destinazione<br />

all’utilità obiettiva del fondo dominante;<br />

d) fra fondo dominante e fondo servente viene a crearsi un particolare rapporto<br />

di «collaborazione fondiaria» come solo nell’istituto in esame può riscontrarsi.<br />

Muovendo dalla prima delle individuate caratteristiche (la servitù è un «diritto<br />

reale di godimento su cosa altrui»), e trasponendola nella normativa in esame, si<br />

dovrà dunque trattare della costituzione di servitù su un’unità immobiliare urbana.<br />

È evidente come, a stretto rigore, oggetto dell’atto di disposizione che rileva<br />

ai fini della normativa in esame sia il “fondo servente”, e non quello “dominante”,<br />

del quale non si dispone, ma che rappresenta il termine di relazione, il bene<br />

a favore del quale l’utilità derivante dal diritto reale si produce. Occorre, infatti,<br />

notare come sia la costituzione di servitù passive che la rinuncia a quelle attive,<br />

incidendo negativamente sulle utilità che possono trarsi dai fondi cui le servitù<br />

stesse si riferiscono, costituiscono atti di disposizione, riflettendosi sulla consistenza<br />

ed entità economica del patrimonio 48 .<br />

La duplice inerenza reale, rilevabile già dal disposto dell’art. 1027 c.c., vale infatti<br />

a distinguere la servitù dagli altri diritti reali minori – laddove il lato attivo è invece<br />

individuato direttamente nel soggetto titolare del diritto – ed implica che il<br />

vantaggio non può competere ad un qualsiasi soggetto, ma solo a colui che (diverso<br />

dal proprietario del fondo servente, perché sarebbe inconcepibile, oltre che<br />

inutile, asservire tra loro fondi ricadenti sotto il medesimo dominio) sia proprietario<br />

del fondo dominante e non per un’utilità sua propria, ma dello stesso fondo.<br />

È ben vero che il rapporto di assoggettamento tra i due fondi è necessario ed<br />

inscindibile 49 , in mancanza non potendosi configurare un diritto reale di servitù ma<br />

un rapporto obbligatorio, ma il diritto non viene costituito sul fondo dominante (il<br />

comma 1-bis si riferisce a diritti reali su fabbricati già esistenti) bensì a vantaggio<br />

di questo, per una sua utilità. È, viceversa, il fondo servente quello sul quale il peso<br />

viene imposto, ed è il diritto dominicale del suo titolare ad esser compresso,<br />

perché è sul fondo servente che viene costituito il diritto reale minore.<br />

In definitiva, appare evidente come sia solo sul fondo servente che si incentri<br />

l’applicazione della disciplina in esame 50 , eccettuato ovviamente il caso delle<br />

48<br />

Così Comporti Le servitù prediali, cit., 216 e, in giurisprudenza, Cass. 26 aprile 1960, n. 927,<br />

in Mass. Giur. it., 1960, 235).<br />

49<br />

Comporti, Le servitù prediali, cit., 192.<br />

50<br />

La disciplina del comma 1-bis dell’art. 29 è, infatti, strutturata in funzione di un atto di disposizione,<br />

nel quale il soggetto che dispone del bene è obbligato a rendere, pena la nullità dell’atto, una<br />

dichiarazione del cui contenuto si assume la responsabilità. Contenuto del quale anche la controparte,<br />

come affermato nelle prime note, non può disinteressarsi, essendo da parte sua più che opportuna<br />

una verifica della conformità dello stato di fatto alle risultanze planimetriche, potendone de-<br />

(segue)<br />

38<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

servitù reciproche, laddove i pesi gravano su più fondi in combinazione tra loro<br />

di tal che ciascun fondo sarà servente in relazione alla servitù che lo grava e<br />

dominante in relazione alla servitù che grava il fondo vicino 51 .<br />

b) La costituzione per destinazione del padre di famiglia<br />

L’applicazione dell’art. 29, comma 1-bis all’atto costitutivo di servitù trova un<br />

ulteriore limite per l’ipotesi di costituzione per destinazione del padre di famiglia.<br />

Nell’ambito delle servitù volontarie, infatti, la costituzione può avvenire, per<br />

testamento e per contratto (art. 1058 c.c.), che deve rivestire la forma scritta a<br />

pena di nullità (art. 1350, n. 4) e, per essere opponibile ai terzi, va trascritto (art.<br />

2643, n. 4).<br />

Oltre al contratto, fra i modi di costituzione a titolo derivativo rientra anche la<br />

destinazione del padre di famiglia che «ha luogo quando consta, mediante qualunque<br />

genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti<br />

dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal<br />

quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario,<br />

senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s’intende stabilita<br />

attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati»<br />

(art. 1062 c.c.).<br />

Si tratta di un modo d’acquisto ope legis, per il solo fatto oggettivo dello stato<br />

di servizio esistente fra un fondo e l’altro al momento della loro separazione 52 e<br />

che ha una notevole applicazione pratica negli acquisti di appartamenti di nuova<br />

costruzione dall’unico proprietario costruttore dell’intero edificio. L’acquisto deriva<br />

da una fattispecie complessa, il primo elemento della quale è rappresentato<br />

dall’esistenza di due fondi, o due parti di un medesimo fondo o edificio, attualmente<br />

divisi, che siano stati posseduti dallo stesso proprietario 53 . Il secondo requisito<br />

è che il proprietario possessore abbia posto o lasciato le cose nello stato<br />

rivare, in caso di difformità, conseguenze sia sul piano della determinazione della rendita catastale<br />

sia in relazione al successivo accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.<br />

51<br />

Bianca, Diritto civile, La proprietà, Milano, 1999, 644.<br />

52<br />

Parte della dottrina ritiene trattarsi di acquisto a titolo derivativo, perché nascerebbe dal diritto<br />

del precedente proprietario avuto sul fondo divenuto servente (Comporti, Le servitù prediali, cit.,<br />

219; Burdese, Le servitù prediali, Padova, 2007, 131 ss.; Biondi, Le servitù, in Tratt. Cicu-Messineo,<br />

Milano, 1967, 381; Branca, Servitù prediali, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, 328;<br />

Deiana, in Grosso-Deiana, Le servitù prediali, in Tratt. Vassalli, Torino, 1963, 716); per altri, invece,<br />

sarebbe un acquisto a titolo originario (Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile. Diritti reali,<br />

Torino 1988, 263).<br />

53<br />

Ne deriva che l’art. 1062 è inapplicabile laddove il possessore sia proprietario di un fondo e<br />

comproprietario dell’altro (Cass. 5 gennaio 1995, n. 196. In dottrina, da ultimo, Burdese, Le servitù<br />

prediali, 133) mentre l’unicità del diritto dominicale sui fondi collegati dalla relazione di servizio non<br />

viene meno nell’ipotesi di più proprietari in comunione fra loro (Cass. 18 giugno 1991, n. 6884;<br />

Cass. 18 marzo 1986, n. 1853) richiedendosi, in tal caso, l’intervento di tutti i comproprietari non solo<br />

ai fini della separazione dei fondi ma altresì per la previa predisposizione del rapporto di subordinazione<br />

(Cass. 21 aprile 1981, n. 2339).<br />

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La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

dal quale risulta la servitù 54 , e cioè la pregressa relazione di subordinazione,<br />

che deve avere una sua evidenza. D’altronde l’art. 1061 c.c. esclude che le servitù<br />

non apparenti possano acquistarsi per destinazione del padre di famiglia 55 .<br />

Un ultimo elemento, individuabile in negativo, è dato dal fatto che, al momento<br />

della separazione, non vi sia stata alcuna disposizione relativa alla servitù,<br />

non soltanto nel senso di impedirne il sorgere, ma anche di semplicemente<br />

modificarne il contenuto, perché in tal caso la servitù sorgerebbe in base al titolo<br />

e non ope legis.<br />

Ai fini della disciplina in esame, appare chiaro che laddove la servitù si costituisca<br />

per destinazione del padre di famiglia ai sensi dell’art. 1062 c.c., si è al di<br />

fuori dell’ambito applicativo del comma 1-bis dell’art. 29: questo ha, infatti, riferimento<br />

agli “atti tra vivi aventi ad oggetto [...] la costituzione [...] di diritti reali”,<br />

mentre nel caso di costituzione per destinazione del padre di famiglia la costituzione<br />

avviene non in forza di atto (negoziale) bensì quale effetto ope legis della<br />

separazione dei fondi già appartenenti al medesimo proprietario.<br />

c) Le servitù in ambito condominiale: tra destinazione del padre di famiglia<br />

e regolamento contrattuale<br />

54<br />

Burdese, Le servitù prediali, cit., 133.<br />

55<br />

A titolo esemplificativo, si ritiene che l’acquirente debba essere in grado di accorgersi del peso<br />

imposto sopra il fondo, attraverso segni obiettivi e univoci, a nulla rilevando la conoscenza meramente<br />

soggettiva dell’esistenza dell’onere (Cass. 25 marzo 1995, n. 3556; Cass. 30 maggio 1996,<br />

n. 5020, in Notariato, 1996, 514) ma la permanenza del requisito della visibilità delle opere destinate<br />

all’esercizio della servitù (Cass. 8 aprile 1999, n. 3399) necessario per il sorgere del diritto al<br />

momento della separazione (Cass. 20 luglio 1969, n. 2528, in Mass. giur. it., 1969, 1037), non vale<br />

per i successivi acquirenti del fondo servente (Cass. 19 luglio 1999, n. 7698). Il concetto di apparenza<br />

presuppone che esistano segni ed opere stabili che rivelino in maniera non equivoca il rapporto<br />

fra i due fondi originariamente appartenenti al medesimo proprietario (Comporti, Le servitù<br />

prediali, cit., 221. In giurisprudenza, Cass. 5 dicembre 1987, n. 9038; Cass. 26 febbraio 1986, n.<br />

1204; Cass. 16 aprile 1984, n. 2454; Cass. 21 febbraio 1974, n. 511), sicché si considerano pacificamente<br />

“non apparenti” le servitù negative, perché, esaurendosi in un potere di divieto, esse non<br />

necessitano di opere visibili destinate al loro esercizio (Cass. 14 aprile 2000, n. 4816; Cass. 20 ottobre<br />

1997, n. 10250). Sotto tale profilo, è il caso di ricordare come le opere debbano essere visibili<br />

dal fondo servente, il che ha portato a considerare non apparente l’utilizzo di un impianto di riscaldamento,<br />

appartenente ad altro condomino, non essendo i tubi e gli altri apparecchi visibili dal presunto<br />

immobile servente (Cass. 16 gennaio 1998, n. 321) ancorché non si richieda la conoscenza,<br />

in concreto, della loro esistenza da parte del titolare del fondo che si assume asservito (Cass. 11<br />

giugno 1993, n. 6522). Ai fini del requisito richiesto dall’art. 1062 c.c., non si richiedono atti di esercizio<br />

della servitù, essendo sufficienti opere visibili e permanenti dotate quindi di un carattere di stabilità<br />

idoneo a manifestare il contenuto e le modalità di esercizio del diritto a chiunque Cass. 17 giugno<br />

2004, n. 11348; Cass. 17 febbraio 2004, n. 2994; Cass. 26 gennaio 2004, n. 1328), anche se<br />

non completamente rifinite (Burdese, Le servitù prediali, cit., 135), la cui sussistenza va verificata<br />

con riferimento al momento della separazione dei fondi. Occorre quindi che lo stato di asservimento<br />

non sia solo voluto e non attuato e, se attuato, che esso non sia nel frattempo venuto meno, anche<br />

per cause indipendenti dalla volontà del destinante, perché deve esistere ed essere apparente momento<br />

della separazione, in modo da evidenziarsi all’acquirente e da consentire a questi di tenerne<br />

conto ai fini dell’acquisto e delle relative condizioni (Biondi, Le servitù, cit., 363; Deiana, in Grosso-<br />

Deiana, Le servitù prediali, cit., 673 ss.; Burdese, Le servitù prediali, cit., 136. In giurisprudenza,<br />

Cass. 30 luglio 2001, n. 10425).<br />

40<br />

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Documenti CNN<br />

Particolare attenzione va dedicata all’ipotesi in cui la servitù trovi la propria<br />

fonte nel regolamento condominiale.<br />

È noto come in materia di regolamento di condominio ricorrano due classificazioni<br />

56 : quella fondata sulla distinzione fra regolamenti contrattuali e regolamenti<br />

assembleari; e quella fondata sulla distinzione fra regolamenti esterni e<br />

regolamenti interni. Categorie, queste, che non appaiono sovrapponibili.<br />

Il codice civile, invero, disciplina solo i regolamenti assembleari, che devono<br />

essere approvati dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo<br />

comma dell’art. 1136 e che non possono in alcun modo menomare i diritti di<br />

ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni 57 , e<br />

non possono pertanto in alcun modo costituire la fonte di un diritto di servitù.<br />

Diversamente è a dirsi per i c.d. regolamenti contrattuali, che possono contenere<br />

disposizioni che alterino i diritti che ciascuno vanta sulla proprietà esclusiva 58 .<br />

Nell’ambito dei regolamenti contrattuali si ricomprendono 59 : 1) i regolamenti<br />

predisposti dall’originario proprietario e riportati (come clausola) nel titolo d’acquisto<br />

stipulato con i vari acquirenti; 2) i regolamenti richiamati nell’atto di acquisto,<br />

anche se ivi non riportati, che l’acquirente dichiari di conoscere e di accettare<br />

(la giurisprudenza ha specificato che il regolamento è opponibile al terzo acquirente<br />

anche se non trascritto, purché nell’atto di compravendita l’acquirente abbia<br />

espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di condominio e di accettarlo<br />

in ogni sua parte); 3) i regolamenti deliberati dall’assemblea all’unanimità<br />

(con la precisazione che, secondo parte della dottrina 60 e della giurisprudenza 61 è<br />

necessaria una specifica volontà dei condomini stessi, che si estrinsechi eventualmente<br />

con la sottoscrizione del regolamento medesimo).<br />

All’interno del «regolamento di condominio» genericamente inteso si devono<br />

quindi distinguere quelle clausole che esprimono una volontà contrattuale e<br />

56<br />

Dogliotti-Figone, Il condominio, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 2001, 339.<br />

57<br />

Né possono derogare alle disposizioni degli artt. 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129,<br />

1131, 1132, 1136 e 1137 (art. 1138 c.c.). Solo una apposita convenzione tra tutti i partecipanti al<br />

condominio, quindi, può determinare il contenuto del diritto di proprietà di ciascun condomino, stabilire<br />

criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli legali (art. 1123, 1° c.), derogare alla disciplina<br />

dispositiva in materia di perimento dell’edificio (art. 1128, 1° c.), di sopraelevazione (art. 1127), di<br />

parti comuni (artt. 1127 e 1118).<br />

58<br />

Proto, Regolamenti di condominio e limitazioni della proprietà: il punto su dottrina e giurisprudenza,<br />

in Riv. not., 1986, 662; Ruscello, I regolamenti di condominio, Napoli, 1980, 110; Dogliotti,<br />

Comunione e condominio, in Tratt. Sacco, VII, Torino, 2006, 418 ss.; Terzago, Il condominio, Milano,<br />

2006, 204; Ceolin, Regolamenti di condominio e vincoli di destinazione, anche alla luce del nuovo<br />

art. 2645-ter, in Riv. not., 2009, 873 ss. In giurisprudenza, Cass. 7 marzo 1983, n. 1681, in Mass.<br />

giust. civ., 1983, 598; Cass. 6 febbraio 1987, n. 1195; Cass. 28 luglio 1990, n. 7630; Cass. 12 maggio<br />

1994, n. 4632; Cass. 19 ottobre 1998 n. 10335; Cass. 25 ottobre 2001, n. 13164.<br />

59<br />

Ceolin, Regolamenti di condominio e vincoli di destinazione, anche alla luce del nuovo art.<br />

2645-ter, cit.<br />

60<br />

Dogliotti-Figone, Il condominio, cit., 435; Corona, I regolamenti di condominio, Torino, 2004,<br />

116.<br />

61<br />

Cass. 2 febbraio 1998, n. 982.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 41


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

traggono forza vincolante dal consenso unanime dei condomini – c.d. contrattuali<br />

– da quelle che esprimono una volontà collegiale e sono modificabili a<br />

maggioranza, c.d. regolamentari o regolamentari in senso stretto 62 .<br />

Quanto poi alla ulteriore classificazione fra regolamenti esterni e regolamenti<br />

interni, i primi sono stati unilateralmente predisposti o comunque non discussi e<br />

approvati dall’assemblea 63 .<br />

È evidente come l’attenzione debba incentrarsi sui regolamenti c.d. contrattuali<br />

e sul contenuto degli stessi, verificando, quindi, sul piano contenutistico, se le<br />

previsioni ivi contenute alterino i diritti che ciascun condomino vanta sulla proprietà<br />

esclusiva e se queste limitazioni siano inquadrabili nell’ambito delle servitù.<br />

Ma appare altrettanto evidente che, qualora il regolamento contrattuale sia<br />

stato predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio (il costruttore) ed<br />

in esso sia semplicemente enunciato, senza modificazione alcuna del contenuto,<br />

lo stato di asservimento di un bene (condominiale o esclusivo) ad altro bene<br />

(condominiale o esclusivo) tale da concretizzare, a seguito della separazione<br />

della proprietà (acquisto da parte dei singoli condomini) una servitù, se questa<br />

ha i caratteri dell’apparenza, tornerà nuovamente applicabile l’art. 1062 c.c.<br />

(destinazione del padre di famiglia) con conseguente estraneità della fattispecie<br />

alla disciplina contenuta nel comma 1-bis dell’art. 29 della legge 52.<br />

Occorre ricordare come, pur essendovi un risalente orientamento che esclude<br />

che la servitù sorga per destinazione del padre di famiglia laddove i due fondi<br />

cessino di appartenere allo stesso proprietario e nel contratto di alienazione<br />

di uno dei due fondi le parti abbiano, con clausola espressa, convenuto la costituzione<br />

di una servitù identica a quella che avrebbe dovuto sorgere ai sensi dell’art.<br />

1062 c.c., sicché la servitù si dovrebbe in tal caso ritenere costituita per<br />

contratto 64 , la dottrina più autorevole pervenga a soluzione opposta.<br />

Sembra, infatti, preferibile ritenere che se è esatto che per impedire la costituzione<br />

di una servitù per destinazione del padre di famiglia è necessaria la<br />

presenza di una disposizione contraria, non è però vero che, ove le parti si mostrino<br />

favorevoli alla costituzione, la servitù abbia natura negoziale: la volontà<br />

delle parti, infatti, è del tutto priva di effetti giuridici, dal momento che, anche<br />

ove non espressa, la servitù sarebbe ugualmente sorta con quel contenuto 65 . In<br />

62<br />

Costantino, Contributo alla teoria della proprietà, Napoli, 1967, 310.<br />

63<br />

La non sovrapponibilità delle due classificazioni risulta evidente nel caso di regolamento approvato<br />

all’unanimità dai condomini, che contenga disposizioni incisive sui diritti esclusivi dei condomini<br />

e che per essere modificato richiede un consenso sempre unanime, che, pur essendo regolamento<br />

interno, ha natura contrattuale e non assembleare (Ceolin, Regolamenti di condominio e<br />

vincoli di destinazione, anche alla luce del nuovo art. 2645-ter, cit.).<br />

64<br />

Cass. 28 luglio 1965, n. 1796; Cass. 10 luglio 1960, n. 1963.<br />

65<br />

Sotto tale profilo appaiono estensibili alcune conclusioni cui è giunta la giurisprudenza, che<br />

ha affermato come «in tema di condominio degli edifici, l’applicabilità della norma sulle distanze di<br />

cui all’art. 889 c.c. trova limite per la ipotesi di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione<br />

del condominio, atteso che in tale caso l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto domini-<br />

(segue)<br />

42<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

definitiva, mancando anche in tale ipotesi la disposizione contraria ed essendo<br />

inefficace la disposizione negoziale, la servitù deve comunque ritenersi costituita<br />

per destinazione del padre di famiglia 66 .<br />

La preesistenza dello stato di asservimento delle singole unità, insieme con<br />

la presenza di opere visibili e permanenti al momento della separazione (cioè<br />

delle singole vendite) costituisce il criterio discretivo fra destinazione del padre<br />

di famiglia e costituzione in forza di contratto delle servitù.<br />

Ciò chiarito, è evidente come solo le limitazioni contemplate nel regolamento<br />

condominiale (contrattuale) che possano correttamente ascriversi alla categoria<br />

delle servitù 67 , siano assoggettabili alla disciplina di cui al comma 1-bis dell’art.<br />

29, giacché né l’obbligazione propter rem né l’onere reale, cui talvolta sono ricondotte<br />

tali limitazioni, costituiscono diritti reali.<br />

Così delimitato l’ambito di applicazione della disciplina dell’art. 29, comma 1-<br />

bis (deve trattarsi di servitù e non di altra fattispecie; non deve ricorrere la destinazione<br />

del padre di famiglia; si deve avere riguardo ad un “fondo servente”<br />

cale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista<br />

delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, con la conseguenza che queste comportano,<br />

da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 c.c.) e l’insorgere del<br />

condominio, e dall’altro lato, la costituzione in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze<br />

di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei<br />

singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell’acquisto della servitù per destinazione<br />

del padre di famiglia».<br />

66<br />

Così Triola, Le servitù, cit., 437. Nel senso che la costituzione è per destinazione del padre di<br />

famiglia, ma con diverso iter argomentativo, Deiana, in Grosso-Deiana, Le servitù prediali, cit., 698<br />

ss.; Grosso, La destinazione del padre di famiglia ai margini tra realtà economica e costruzione giuridica,<br />

in Nuova riv. dir. comm., 1949, 113.<br />

67<br />

Cass. 6 settembre 1957, n. 3458; Cass. 7 febbraio 1964 n. 277; Cass. 22 luglio 1966, n.<br />

2003; Cass. 23 novembre 1978, n. 5493; Cass. 15 luglio 1983, n. 4781; Cass. 6 febbraio 1986, n.<br />

7734; Cass. 7 gennaio 1992 n. 49; Cass. 15 aprile 1999, n. 3749; Cass. 16 ottobre 1999, n. 11688;<br />

Cass. 5 settembre 2000, n. 11684; Cass. 25 ottobre 2001, n. 13164; Cass. 18 aprile 2002, n. 5626),<br />

dell’obbligazione propter rem (Cass. 25 marzo 2005, n. 6474), degli oneri reali (Cass. 21 maggio<br />

1997, n. 4509, in Arch. loc. e condom., 1997, p. 823; Cass. 4 febbraio 2004, n. 2106. A titolo meramente<br />

esemplificativo (indicazioni tratte da Figone, sub art. 1138, in Codice civile commentato Alpa-<br />

Mariconda, Milano, 2005, I, 2474), si ritiene che i regolamenti contrattuali possano sottoporre a limitazioni<br />

l’esercizio dei poteri e delle facoltà che caratterizzano il contenuto del diritto dominicale sulle<br />

cose comuni ed anche giungere ad attribuire ad uno o più condomini l’uso esclusivo di date parti<br />

comuni dello stabile (Cass. 14 novembre 1991, n. 12173; Cass. 12 maggio 1982, n. 2960). Inoltre i<br />

regolamenti in questione possono vietare (ma anche imporre) determinate destinazioni d’uso alle<br />

proprietà esclusive; in particolare, secondo la giurisprudenza, i regolamenti contrattuali possono: ripartire<br />

le spese di manutenzione e conservazione delle parti comuni dello stabile con criteri diversi<br />

da quelli di legge (Cass. 16 luglio 1991, n. 7884; Cass. 6 novembre 1986, n. 6499); vietare ai condomini<br />

di tenere animali domestici (Cass. 4 dicembre 1993, n. 12028; Trib. Piacenza 10 aprile<br />

1990); escludere la facoltà di sopraelevazione per il proprietario dell’ultimo piano (Cass. 21 maggio<br />

1987, n. 4632; Cass. 14 gennaio 1993, n. 395); vietare certi usi dell’immobile condominiale, come<br />

gabinetto medico (Cass. 27 giugno 1985, n. 3848; Cass. 13 luglio 1983, n. 4781), ovvero spazi<br />

commerciali (Cass. 21 marzo 1994, n. 2683); imporre che le unità immobiliari del piano terra debbano<br />

essere destinate ad ufficio ovvero a negozi (Cass. 14 aprile 1983, n. 2610); statuire in tema di<br />

immissioni, ma in tal caso la liceità o meno dell’immissione non dovrà essere valutata ai sensi dell’art.<br />

844, ma sulla base dei criteri fissati nel regolamento (Cass. 7 gennaio 2004, n. 23).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 43


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

che abbia i requisiti oggettivi dell’unità immobiliare urbana in altra sede specificati<br />

e non a quello dominante), si tratta di verificare se e come concretamente<br />

tale norma trovi applicazione.<br />

Il regolamento può essere predisposto dal costruttore dell’edificio, ovvero<br />

dall’unico originario proprietario, prima che le diverse unità immobiliari prevengano<br />

in proprietà a terzi, sia inter vivos, sia mortis causa e successivamente<br />

accettato dai singoli condomini contestualmente alla stipula dei rispettivi atti di<br />

vendita 68 ancorché esso si perfezioni nel momento della sua sottoscrizione ad<br />

opera dei condomini 69 .<br />

In conseguenza della sua sottoscrizione da parte dei condomini il regolamento<br />

condominiale diviene efficace inter partes e, laddove il suo contenuto sia<br />

ascrivibile, appunto, alla categoria delle servitù prediali, dovrebbe essere soggetto<br />

a trascrizione.<br />

Sotto tale profilo, tuttavia, la trascrivibilità delle servitù prediali contenute nel<br />

regolamento è comunque subordinata alla sussistenza, per quest’ultimo, dei requisiti<br />

di forma richiesti dall’art. 2657 c.c.<br />

In conclusione con riferimento alle servitù, l’ambito di applicazione della<br />

norma può essere così delimitato:<br />

– è solo in sede di costituzione della servitù, e soltanto con riferimento ad un<br />

“fondo servente” che abbia i requisiti oggettivi dell’unità immobiliare urbana in<br />

altra sede specificati, che si dovranno rispettare le formalità previste dal comma<br />

1-bis dell’art. 29;<br />

– dall’ambito di applicazione della norma vanno escluse le servitù:<br />

a) che trovino la propria fonte nella destinazione del padre di famiglia ai sensi<br />

dell’art. 1062 c.c. o<br />

b) che siano previste nel regolamento di condominio che non sia redatto in<br />

forma autentica, in quanto carente dei requisiti di forma che costituiscono il pre-<br />

68<br />

Cass. 30 luglio 1999, n. 8279; Cass. 18 luglio 1989, n. 3351.<br />

69<br />

È discusso se il momento di perfezionamento del regolamento condominiale contrattuale corrisponda<br />

alla sottoscrizione da parte dell’ultimo acquirente l’unità immobiliare (in tal senso App. Napoli,<br />

30 luglio 1994, in Arch. Loc., 1994, 817 e Cass. 15 aprile 1999, n. 3749, secondo cui «le clausole<br />

contenute nei distinti contratti di vendita costituiscono altrettante manifestazioni di adesione, in<br />

base alle quali ciascuno acquirente assume l’obbligo di osservare il regolamento. Sempre che il<br />

primo atto di vendita costituisca un contratto aperto agli acquirenti successivi e che, nei susseguenti<br />

atti di vendita, i compratori dichiararono di aderire al regolamento richiamato nella prima compravendita»<br />

e pertanto «regolamento contrattuale di condominio diventa efficace nei confronti degli acquirenti<br />

a mano a mano che gli appartamenti vengono venduti: diventa efficace nei confronti di tutti,<br />

perciò, una volta che l’ultimo acquirente ha aderito»; ovvero se, come appare preferibile, il perfezionamento<br />

debba individuarsi, sul piano temporale, nella sua sottoscrizione da parte del primo condomino<br />

(Cass. 17 marzo 1994, n. 2546), nel presupposto, ai fini della vincolatività nei confronti dei<br />

successivi acquirenti, della sua trascrizione.<br />

44<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Documenti CNN<br />

supposto applicativo del comma 1-bis (atti pubblici e scritture private con sottoscrizione<br />

autenticata) 70 .<br />

d) Atti costitutivi di diritti reali di garanzia stipulati nella vigenza del decreto<br />

legge<br />

A differenza di quanto avvenuto per le servitù, gli atti costitutivi di ipoteca<br />

sono stati espressamente esclusi dall’ambito applicativo della norma a seguito<br />

della legge di conversione 71 .<br />

Si pone, tuttavia, il problema della sorte di quegli atti che, nella vigenza del<br />

testo del decreto legge anteriore alla conversione, non avessero rispettato le<br />

prescrizioni dell’art. 29, comma 1-bis, considerato che la diversa formulazione<br />

della norma deriva da un emendamento e che la natura di quest’ultimo può, a<br />

seconda dei casi, implicare una retroattività o meno del testo normativo. La giurisprudenza<br />

della Cassazione 72 ha, infatti, individuato quattro distinte tipologie di<br />

emendamenti: soppressivi, sostitutivi, modificativi, aggiuntivi 73 .<br />

70<br />

Invero, si discute in ordine alla trascrivibilità delle servitù prediali contenute in un regolamento<br />

condominiale che consti da una scrittura privata non autenticata, depositata presso il notaio incaricato<br />

della stipula degli atti di vendita del costruttore, perché, secondo parte della dottrina, mancherebbero<br />

i requisiti di forma richiesti dall’art. 2657 c.c.: il mero deposito presso il notaio non varrebbe<br />

a far rivestire al documento la forma autentica necessaria ai fini della pubblicità (D’Orazi Flavoni,<br />

Appunti sulla trascrivibilità del regolamento di condominio, in Riv. dir. ip., 1959, 205 ss.; Bonis, Appunti<br />

sulla trascrivibilità del regolamento di condominio, in Riv. dir. ip., 1968, 149 ss., nonché Gazzoni,<br />

La trascrizione immobiliare, in Comm. Schlesinger, Milano, 1998, 644, che parla di deroga i-<br />

nammissibile al disposto dell’art. 2657 c.c.; Triola, Della tutela dei diritti. La trascrizione, in Tratt.<br />

Bessone, Torino, 2002, 62, anche per una sintesi del dibattito). All’opposto, parte della giurisprudenza<br />

afferma che la trascrizione del regolamento condominiale può avvenire non solo insieme ai<br />

primi atti di compravendita delle singole unità immobiliari, ma anche autonomamente e cioè ancor<br />

prima della stessa costituzione del condominio (Cass. 17 marzo 1994, n. 2546, in Giust. civ., 1994,<br />

I, 1481).<br />

71<br />

Come accennato, all’esclusione degli atti costitutivi di ipoteca si poteva, invero, già pervenire<br />

anche in forza di un’interpretazione sistematica, in quanto il titolo (l’atto di concessione) dà diritto a<br />

costituire l’ipoteca, ma la stessa nasce solo quando al titolo si aggiunga l’iscrizione, stante l’efficacia<br />

costitutiva della pubblicità (Rubino, L’ipoteca, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1956, 227): per cui<br />

l’effetto che consegue all’atto di concessione non è mai “reale” ma obbligatorio, nel senso che vincola<br />

il debitore o il terzo datore ma non produce di per sé la costituzione del diritto, che consegue<br />

solo alla attuazione della pubblicità (sul punto, De Luca, Per il contrasto all’evasione immobiliare<br />

nuove attribuzioni all’Agenzia del territorio, in Corr. Trib., 2010, 2691).<br />

72<br />

In ambito civilistico possono individuarsi diverse sentenze che stabiliscono come gli emendamenti<br />

soppressivi e sostitutivi caduchino con efficacia retroattiva la disposizione del decretolegge<br />

abrogata o sostituita (cfr. Cass., sez. I civ., 8 marzo 1972, n. 669, in Giur. it., 1972, I, 1777;<br />

Cass., sez. III civ., 5 febbraio 1979, n. 775, in Foro it., 1979, I, 2057). La Cassazione civile in altre<br />

decisioni ha sostenuto che gli emendamenti modificativi spiegano i loro effetti dall’entrata in vigore<br />

della legge di conversione (cfr. Cass., sez. I civ., 29 gennaio 1981, n. 680, in Foro it., 1982, I, 793).<br />

La giurisprudenza amministrativa ha invece emesso decisioni esprimenti orientamenti contrastanti.<br />

In una decisione il T.A.R. della Lombardia (sez. II, 21 ottobre 1985, n. 290) ha sostenuto che il principio<br />

della certezza del diritto non consente l’applicazione retroattiva di norme che contengano disposizioni<br />

che peggiorino le posizioni acquisite dai cittadini, senza che a questo fine vi sia una e-<br />

splicita previsione normativa, affermando la applicazione ex nunc di qualunque tipologia di emen-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 45


La legge 122/2010: conv. d.l. 30 maggio 2010, n. 78 – Circ. CNN 6 dicembre 2010<br />

Con riguardo alla norma in esame, occorre evidenziare come l’emendamento<br />

che ha dato luogo alla sua diversa formulazione potrebbe essere inquadrato<br />

nell’ambito degli emendamenti soppressivi, che sono equiparabili ad una mancata<br />

conversione parziale, il che comporta l’applicazione del terzo comma dell’art.<br />

77 Cost., e dunque la soppressione delle disposizioni contenute nel decreto<br />

con efficacia ex tunc. Tale retroattività impedirebbe di ritenere affetto da nullità<br />

l’atto costitutivo di ipoteca stipulato nella vigenza del testo originario del decreto<br />

e privo della dichiarazione di conformità oggettiva.<br />

Più difficile appare sussumere la disposizione in esame nell’ambito degli<br />

emendamenti modificativi e cioè quelli che, pur prevedendo disposizioni diverse<br />

da quelle previste nel decreto, non vengano a incidere in modo sostanziale sull’oggetto<br />

e sulla ratio della disposizione governativa, per cui il loro inserimento<br />

non è da considerarsi in contrasto con la totale conversione del decreto, a meno<br />

che lo stesso legislatore nella loro formulazione non disponga diversamente.<br />

Questa tipologia di emendamenti acquista efficacia ex nunc vale a dire dall’entrata<br />

in vigore della legge di conversione. Invero, se in linea generale la ratio<br />

della disposizione non appare modificata, diversamente è a dirsi per l’oggetto,<br />

essendo sottratto dall’ambito di applicazione la tipologia degli atti in esame.<br />

Appare peraltro possibile una diversa lettura della vicenda: considerato che<br />

il testo originario della disposizione aveva dato luogo a due diverse interpretazioni,<br />

entrambe parimenti sostenibili, è verosimile ritenere che con la nuova<br />

formulazione della norma il legislatore abbia voluto, più che innovare, chiarirne<br />

la portata, con la conseguenza che della stessa non è ravvisabile – nella sua<br />

prima come nella seconda stesura – alcuna applicabilità agli atti di costituzione<br />

di diritti reali di garanzia. Laddove, invece, per la servitù, trattandosi di diritto reale<br />

di godimento, al pari degli altri diritti reali minori, questa, sin dalla prima formulazione,<br />

è sempre stata ricompresa nell’ambito applicativo della norma.<br />

damenti. Il T.A.R. della Calabria con la decisione del 15 febbraio 1979 affermava invece la applicazione<br />

sempre retroattiva degli emendamenti introdotti con la legge di conversione.<br />

73<br />

Per un maggiore approfondimento della problematica della mancata conversione dei decreti<br />

legge, Ruotolo-Velletti, Decreti legge non convertiti: riflessi sull’attività notarile, in Studi e Materiali,<br />

5.1, Milano, 1998, 239 ss.<br />

46<br />

Studi e Materiali – 1/2011


STUDI


Osservazioni sulla rettifica degli atti<br />

“certificata” dal notaio<br />

Studio n. 618-2010/C<br />

Mauro Leo<br />

Approvato dalla Commissione Studi Civilistici del 15 dicembre 2010<br />

Sommario: Premessa. 1. Natura della rettifica notarile. – 2. La “certificazione”: ambito di<br />

applicazione. – 3. Contenuto e forma. – 4. I dati rettificabili. – 5. Rettifica e pubblicità<br />

immobiliare; 5.1 (segue) Trascrizione o annotazione dell’atto di rettifica? – 6.<br />

Rettifica e incarico delle parti. – 7. Conclusioni.<br />

Lo studio in sintesi (Abstract)<br />

La facoltà per il notaio di rettificare atti pubblici e scritture private autenticate –<br />

secondo quanto previsto dal nuovo art. 59 bis l.n. – mediante una “certificazione<br />

contenuta in atto pubblico da lui formato”, trae fondamento dalla natura stessa del<br />

nuovo istituto che si atteggia quale dichiarazione di scienza relativa ai “dati preesistenti<br />

all’atto” dei quali il notaio ha diretta ed immediata conoscenza.<br />

Non diversamente della certificazione in generale, che si caratterizza per la riproduzione<br />

di certezze giuridiche con fede privilegiata, anche la rettifica certificata<br />

dal notaio è qualificata dalla riproduzione con la medesima forza probatoria, di e-<br />

lementi dell’atto erronei o mancanti a diretta conoscenza del notaio o risultanti da<br />

altri atti giuridici definitivi.<br />

Partendo da queste premesse e sulla base del dato normativo, si spiega come<br />

i dati rettificabili sono solo quelli già formati prima della stipula, sicché la rettifica<br />

notarile, non potendo incidere sul contenuto sostanziale dell’atto da correggere interesserà,<br />

ad esempio, i dati catastali e le indicazioni anagrafiche, ma anche gli<br />

estremi dei provvedimenti amministrativi richiamati nell’atto, i riferimenti dei contratti<br />

riportati nel documento, ecc. La rettifica non sarà utilizzabile, invece, per rimuovere<br />

vizi che abbiano determinato nullità formale o sostanziale del negozio o<br />

per interpretarne il contenuto.<br />

Con riferimento all’ambito di applicazione del nuovo istituto, si è ritenuto che lo<br />

stesso possa essere impiegato dal notaio per rettificare non solo gli atti da lui ricevuti<br />

o autenticati, ma anche quelli ricevuti o autenticati da altro notaio, nonché<br />

quelli in forma pubblica amministrativa provenienti dai pubblici ufficiali autorizzati<br />

alla stipulazione ed aventi contenuto negoziale. Si è escluso che la rettifica in e-<br />

same possa essere utilizzata per la rettifica dei provvedimenti giudiziari e per gli<br />

atti amministrativi.<br />

La rettifica ex art. 59 bis l.n. è un atto senza parti, ma la stessa non si libera<br />

dalla volontà di quelle interessate o legittimate alla rettifica. Anche per questa ragione,<br />

ma più in generale tutte le volte che il caso concreto lo richiederà, il notaio<br />

Studi e Materiali – 1/2011 49


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

resterà sempre libero di scegliere di adottare la rettifica in senso tradizionale stipulata<br />

con la presenza delle parti.<br />

Quanto ai profili pubblicitari sono risultati prevalenti gli argomenti che consigliano<br />

di trascrivere e non annotare la rettifica, sottolineandosi che in ogni caso<br />

non si avrà mai una soccombenza dei terzi che abbiano medio tempore, prima<br />

della trascrizione dell’atto di rettifica, trascritto o iscritto una formalità confidando<br />

sulle risultanze delle note già trascritte.<br />

Quanto alla necessità che il notaio proceda a rettifica solo in base ad apposito<br />

incarico, si è evidenziato che la rettifica degli atti mediante “certificazione” non vede<br />

mai un intervento notarile che si svolge in modo distaccato dalla volontà delle parti.<br />

La matrice volontaristica permane sempre infatti, sia che si consideri la rettifica<br />

ricollegata al mandato originario a ricevere l’atto da rettificare, sia che la si rapporti<br />

ad un nuovo mandato a porre in essere una rettifica “fine a se stessa” ovvero a stipulare<br />

un atto del quale quello da rettificare costituisca titolo di provenienza.<br />

PREMESSA<br />

Il D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 110 (in G.U. n. 166 del 19 luglio 2010), emanato in<br />

attuazione della delega contenuta nell’art. 65 della legge 18 giugno 2009, n. 69<br />

(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività<br />

nonché in materia di processo civile), pur disciplinando essenzialmente il ricorso<br />

generalizzato alle modalità informatiche per la redazione e la conservazione<br />

degli atti, nell’ambito delle modifiche all’ordinamento del notariato prevede ad<br />

una nuova modalità di rettifica degli atti notarili, redatti sia in forma cartacea che<br />

informatica.<br />

L’art. 1, comma 1, dopo l’art. 59 della legge notarile inserisce l’art. 59 bis (in<br />

vigore dal 3 agosto 2010) che così stabilisce:<br />

«1. Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico<br />

o una scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi<br />

a dati preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione<br />

della pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico<br />

da lui formato.»<br />

A seguito di tale disposizione viene attribuita al notaio la facoltà di “rettificare<br />

errori od omissioni materiali” relativi ai dati riportati negli atti pubblici o nelle<br />

scritture private autenticate 1 , mediante una propria “certificazione”, senza dover<br />

necessariamente ricorrere al tradizionale negozio di rettifica ricevuto in presenza<br />

delle parti originarie.<br />

Benché ciò non autorizzi, come si vedrà, a ritenere estranea dal nuovo istituto<br />

la volontà delle parti, la nuova modalità di rettifica degli atti notarili, attribuendo<br />

al notaio un generico potere di incidere sugli atti pubblici e sulle scritture pri-<br />

1<br />

Analoga delega era già contenuta nell’art. 7, lett. c), della legge n. 246/2005, che attribuiva al<br />

notaio la facoltà di provvedere, sempre con propria certificazione, alla rettifica di “inequivocabili errori<br />

di trascrizione di dati preesistenti alla redazione dell’atto, fatti salvi i diritti dei terzi”.<br />

50<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

vate autenticate, presenta – almeno apparentemente – un alto tasso di problematicità<br />

quanto all’individuazione dei limiti di utilizzazione, e ciò rende difficoltoso<br />

redigere un catalogo esaustivo delle possibili fattispecie in cui la norma è potenzialmente<br />

utilizzabile.<br />

Tuttavia della nuova disposizione è possibile comunque individuare almeno<br />

due possibili campi di “naturale” impiego.<br />

Da un lato quello relativo all’ipotesi in cui sia lo stesso notaio che ha stipulato<br />

l’atto da rettificare a procedere alla rettifica. È frequente infatti che le parti<br />

dell’atto, spesso a distanza di molto tempo dalla stipulazione, si rivolgano al notaio<br />

rogante per correggere errori od omissioni materiali presenti nel rogito.<br />

Dall’altro quello relativo all’ipotesi in cui il notaio che deve procedere alla rettifica,<br />

non sia in grado di reperire le parti dell’atto da rettificare (persone defunte<br />

o emigrate, società estinte ecc.).<br />

Altra difficoltà interpretativa è quella che riguarda la natura e struttura della<br />

rettifica, per comprendere se oltre ad atteggiarsi come “atto senza parti” sia anche<br />

un atto non sorretto dalla volontà di queste ultime; diversamente, quindi,<br />

dalla rettifica stipulata in base alla comune prassi notarile prima dell’entrata in<br />

vigore dell’art. 59 bis, e destinata in ogni caso ad avere un proprio ambito applicativo<br />

anche dopo la nuova rettifica certificata dal notaio.<br />

Questo perché nonostante il nuovo procedimento di correzione degli atti autentici<br />

“autopromosso” dal notaio, sembra costituire il meccanismo generale di<br />

correzione degli atti autentici provenienti dai notai e dagli altri pubblici ufficiali<br />

autorizzati (anche per la sua collocazione all’interno della Legge Notarile), il notaio<br />

potrà sempre scegliere di correggere quegli atti redigendo un “tradizionale”<br />

atto di rettifica tutte le volte che il caso concreto lo richiederà. Non solo pertanto<br />

quando il procedimento di correzione prenderà avvio da un’iniziativa degli interessati<br />

che conferiranno apposito incarico al pubblico ufficiale, ma anche quando<br />

sussistano i presupposti (esaminati in seguito) per attuare una rettifica “certificata”<br />

ex art. 59 bis.<br />

Le riflessioni che seguono si limiteranno a dare una prima interpretazione<br />

dell’art. 59 bis legge notarile, affrontando solo marginalmente le questioni che,<br />

più in generale, sollevano gli atti notarili di rettifica e trascurando totalmente<br />

quelle scaturenti dal processo di adattamento del nuovo istituto alla novità – già<br />

ricordata – dell’atto notarile informatico.<br />

1. NATURA DELLA RETTIFICA NOTARILE<br />

Nel nostro ordinamento è assente un istituto generale sulla rettifica o correzione<br />

degli atti 2 .<br />

2<br />

Non è una rettifica nel senso qui preso in esame, quella a cui si riferisce l’art. 1432 c.c. che ha<br />

ad oggetto l’errore quale vizio della volontà e causa di annullamento del contrato. Mentre la prima è<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 51


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

Ciò spiega come la scelta compiuta con l’art. 59 bis l.n., di dettare una disciplina<br />

ad hoc per la rettifica degli atti notarili, è perfettamente in linea con la strada<br />

intrapresa da tempo dal nostro legislatore, di regolamentare con discipline di dettaglio<br />

la correzione degli atti e provvedimenti emessi da pubbliche autorità.<br />

Questo è un dato essenziale ai fini del presente lavoro, poiché per comprendere<br />

i limiti di utilizzazione della rettifica degli atti notarili, appare indispensabile<br />

muovere da un’analisi comparativa con gli analoghi meccanismi correttivi<br />

degli atti previsti da altri contesti normativi.<br />

L’individuazione dei tratti comuni delle diverse specie di rettifica, permetterà<br />

di comprendere – ove possibile – quali siano gli elementi essenziali della natura<br />

3 del nuovo istituto, verificare se questa sia in tutto o in parte coincidente con<br />

quella che si riscontra negli altri procedimenti correttivi degli atti, ma soprattutto,<br />

il raffronto si rivelerà proficuo in seguito, quando si cercherà di individuare quali<br />

dati errati o mancanti degli atti autentici potranno essere rettificati.<br />

Procedendo secondo questo metodo, quindi, il punto osservazione privilegiato<br />

è naturalmente quello che guarda alle procedure di correzione ed integrazione<br />

dei provvedimenti giudiziari 4 , alle quali si ricorre quando occorre emendauna<br />

dichiarazione di scienza la seconda è un atto negoziale che proviene dalla parte non in errore e<br />

che, se accettata dalla parte in errore, estingue nella prima la facoltà di chiedere l’annullamento del<br />

contratto, C.M. Bianca, Diritto civile, III, Milano, 1987, 639.<br />

3<br />

L’assenza di una figura generale di rettifica, rende particolarmente complesso ricavare dal sistema<br />

elementi utili a delineare la possibile struttura della rettifica notarile, in particolare se si tratti<br />

di un atto con o senza parti. Tale difficoltà, del resto, si riscontra anche nel sistema delle rettifiche<br />

giudiziarie che, in questo senso, appaiono prive di omogeneità. Se per la rettifica attuata nell’ambito<br />

del processo civile e amministrativo la presenza delle parti e del contraddittorio è comunque assicurata,<br />

in quella applicabile al giudizio penale e costituzionale, il giudice procede alla rettifica d’ufficio,<br />

inaudita altera parte, il che impedirebbe di individuare – seppur analogicamente – una struttura “minima”<br />

dell’atto di rettifica in ambito notarile, mutuata da quella dei procedimenti di correzione delle<br />

sentenze.<br />

4<br />

La scelta è quasi obbligata, rinvenendosi rispetto a questi i maggiori contributi giurisprudenziali<br />

e dottrinali. Per i provvedimenti amministrativi manca una disciplina organica di riferimento. Dalle<br />

sentenze dei giudici amministrativi e dagli orientamenti dottrinali emerge che la rettifica (o correzione)<br />

degli atti amministrativi è rimedio impiegabile per l’incerta categoria degli atti irregolari e cioè gli<br />

atti che pur difformi dal diritto non sono illegittimi, non sono annullabili in via di autotutela, e neppure<br />

annullabili dal giudice amministrativo, sicché la violazione della norma comporterebbe soltanto sanzioni<br />

a carico dell’agente o altre conseguenze che non incidono sull’atto [E. Casetta, Manuale di diritto<br />

amministrativo, 5° ed., Milano, 2003, 491, 501]; il provvedimento amministrativo promana dalla<br />

stessa autorità che ha emesso l’atto da rettificare secondo il principio del contrarius actus, in base<br />

al quale “l’amministrazione deve porre in essere un procedimento gemello, anche per le formalità<br />

pubblicitarie, di quello a suo tempo seguito per l’adozione dell’atto da rettificare” [C. Stato, sez. VI,<br />

11 maggio 2007, n. 2306, Giurisdiz. amm., 2007, I, 68]; la rettifica di un provvedimento amministrativo<br />

è l’atto conclusivo di un procedimento di riesame, instaurato d’ufficio o su iniziativa del destinatario<br />

del provvedimento stesso e rivolto all’eliminazione dell’errore materiale nel quale è incorsa<br />

l’autorità emanante nella determinazione del suo contenuto [C. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1989, n.<br />

84, Riv. giur. edilizia, 1989, I, 345; C. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5154, Foro amm. – C. Stato,<br />

2008, 2696]. La rettifica dei provvedimenti normativi è disciplinata dagli articoli da 15 a 18 del<br />

d.P.R. 14 marzo 1986, n. 217, sulla quale si veda R. Chieppa, Rettifiche di leggi e decreti legislativi,<br />

(segue)<br />

52<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

re il provvedimento del giudice da errori materiali ovvero integrarlo per le omissioni<br />

in cui egli sia involontariamente incorso.<br />

Sembra utile precisare che nell’ambito di queste procedure, al di là delle diverse<br />

formule espressive, il concetto di “rettifica” può intendersi come sinonimo<br />

di “correzione” o “regolarizzazione” o “rettificazione” o “modifica”, definizioni variamente<br />

impiegate – a volte promiscuamente 5 – ma comunque tutte indicative<br />

o, quanto meno, evocative, di un dato incontroverso: la modificazione di un<br />

provvedimento decisorio relativamente ad elementi non destinati a modificare il<br />

decisum, non rilevanti ai fini della validità dell’atto e che riguardano la redazione<br />

del documento 6 .<br />

Si è in presenza quindi di un istituto il cui significato è possibile ottenere ”in<br />

via indiretta”, partendo dagli errori o dalle omissioni che siano correggibili, e che<br />

coincidono – come si vedrà – con i vizi di “scarso rilievo” del provvedimento<br />

emanato, tali cioè da non provocare alcun pregiudizio all’ordinamento e che<br />

vengono indicati come “errori materiali”, vale a dire “anormalità” dell’atto considerate<br />

di lieve importanza.<br />

L’“errore materiale” è il comune denominatore che come rinveniamo nelle<br />

norme che disciplinano le procedure di correzione delle sentenze e delle ordinanze<br />

civili (art. 287 c.p.c.), delle sentenze penali (art. 130 c.p.p.), amministrative<br />

(art. 86, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) e costituzionali (art. 21 Norme integrative<br />

per i giudizi davanti alla C. Cost. del 16 marzo 1956), così ritroviamo anche<br />

nel nuovo art. 59 bis. l.n.<br />

E così come per la correzione delle sentenze, così anche per la rettifica notarile<br />

ne costituisce il presupposto di applicazione.<br />

Convergenti verso un unico significato di “errore materiale”, inoltre, sono le<br />

opinioni che lo indicano come quello che incide sull’esteriorizzazione della volontà<br />

del giudicante e non invece sul processo formativo della stessa, per quanto<br />

disomogenee siano le descrizioni del fenomeno.<br />

Si parla infatti di “errore nell’espressione anziché nella formazione dell’idea” 7 ,<br />

“errata traduzione in segni grafici degli elementi propri o individuatori di una persona<br />

o di una cosa” 8 , errore “incapace di determinare la nullità del provvedimento”<br />

9 , “inesattezza accidentale o comunque occasionale […] inidonea a modificare<br />

tra prassi antiche e recenti, intensificazione dei fenomeni, rischi e norme regolamentari inadeguate,<br />

in Giur. cost., 2006, 705.<br />

5<br />

Cass. 8 agosto 2003 n. 11972, in Giur. it., 2004, con nota di M. Campus; C. Stato, sez. VI, 15<br />

novembre1999, n. 1812, in C. Stato, 1999, I, 1926.<br />

6<br />

Non a caso la rettifica dei provvedimenti giudiziari opera, talvolta, al di fuori dei meccanismi<br />

processuali volti alla tutela del contraddittorio (cfr. artt. 130 c.p.p. e 21 delle Norme integrative per i<br />

giudizi davanti alla C. Cost. del 16 marzo 1956).<br />

7<br />

F. Carnelutti, Istituzioni del processo civile italiano, Roma, 1956, 345.<br />

8<br />

U. Rocco, Trattato di diritto processuale civile, Torino, 1966, 194.<br />

9<br />

M. Acone, voce “Correzione e integrazione dei provvedimenti del giudice” (diritto processuale<br />

civile), in Enc. Giur., IX, Roma, 1988, 2.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 53


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

il contenuto” delle pronunce 10 , “fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione<br />

letterale” 11 , “disguidi” 12 , “svista”, ossia mancata corrispondenza tra ideazione<br />

e rappresentazione di questa 13 , non corrispondenza tra la “materiale esteriorizzazione<br />

del pensiero ed i concetti cui tale esteriorizzazione è seguita” 14 .<br />

Talvolta l’errore materiale è stato omologato al “fraintendimento”, inteso come<br />

equivoco o travisamento nella trascrizione di quella che era stata l’effettiva<br />

approvazione di un documento 15 .<br />

Ma non è solo il riferimento testuale all’”errore materiale” l’elemento che ha<br />

in comune la rettifica notarile con i provvedimenti del giudice.<br />

La “scarsa rilevanza” o la “lieve entità” dell’errore materiale riscontrato, si<br />

manifesta nella preclusione all’utilizzo della rettifica per “sanare” eventuali nullità<br />

dell’atto.<br />

Questo requisito ricorre frequentemente all’interno della rettifica dei provvedimenti<br />

giudiziari, per la quale si dice che può essere impiegata solo quando il<br />

provvedimento da emendare sia affetto da un vizio che non ne determini la nullità.<br />

La regola, che affonda le sue radici nel principio secondo cui le cause di nullità<br />

si traducono in motivi di impugnazione, si sostanzia nell’affermazione secondo<br />

cui la procedura di correzione degli errori materiali – dovendo agire su<br />

elementi “irrisori” dell’atto – non può essere utilizzata per rimuovere le cause di<br />

nullità del provvedimento, e ciò quand’anche non espressamente sancita (cfr.<br />

invece l’art. 130 c.p.p.) 16 .<br />

Che la rettifica in parola non possa utilizzarsi per la eliminazione delle cause<br />

di nullità, è un dato ineliminabile – come si vedrà in seguito – anche per la rettifica<br />

degli atti notarili che da tempo la dottrina ha già messo in evidenza 17 .<br />

Pure ricorrente, inoltre, il profilo secondo cui l’”errore materiale” rettificabile è<br />

quello che viene qualificato come errore nell’espressione dell’idea e non nella<br />

10<br />

C. Stato 31 marzo 1987, n. 189, Foro amm., 1987, 536.<br />

11<br />

Cass. 11 aprile 2002, n. 5196, in CED Cassazione.<br />

12<br />

Cass. pen. 8 aprile 2008, n. 14653, in Studium iuris, 2008, 1173.<br />

13<br />

C. Stato 9 gennaio 1993, n. 58, in Foro amm., 1993, 126.<br />

14<br />

C. Stato 7 novembre 2007, n. 5760, in Foro amm.– C. Stato, 2007, 314.<br />

15<br />

C. Cost. 27 gennaio 2006, n. 20, in Foro it., 2006, I, 995 con riferimento all’ipotesi della rettifica<br />

dei testi normativi affetti da errori ex art. 15 d.P.R. 14 marzo 1986, n. 217.<br />

16<br />

Quanto ai procedimenti civili, la mancata previsione nell’art. 287 c.p.c. è supplita dall’art. 161<br />

c.p.c., secondo cui la nullità delle sentenze può essere fatta valere secondo le regole dei mezzi di<br />

impugnazione. Con riferimenti agli atti amministrativi C. Stato, sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1812,<br />

cit., ha precisato che “revoca, modifica o rettifica del provvedimento amministrativo costituiscono i-<br />

stituti i quali, pur essendo riconducibili tutti nell’ampio potere di riesame che spetta alla p.a., sono<br />

fra loro distinti e possono, a loro volta, essere confusi con l’istituto dell’annullamento, il quale, a differenza<br />

dei primi, ha come presupposto essenziale ed indefettibile la circostanza che<br />

l’amministrazione ha posto in essere un atto geneticamente illegittimo”.<br />

17<br />

A. Caccia, La rettifica stragiudiziale degli atti pubblici ed alcune applicazioni concernenti la L.<br />

28 febbraio 1985 n. 47, in Vita not.,1988, 78<br />

54<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

sua formazione 18 , e che si sostanzia nella difformità tra quanto voluto e deciso<br />

dal giudice e quanto concretamente riportato nel documento 19 .<br />

Anche tale carattere sembra potersi rinvenire nella rettifica notarile.<br />

Dire infatti che la rettifica non possa essere utilizzata per correggere un vizio<br />

che sia intervenuto nel processo volitivo che ha portato al giudizio, equivale a<br />

dire – mutatis mutandis – che l’errore nel quale siano incorse le parti nella formazione<br />

del contratto viziato, non deve essersi prodotto nella fase costitutiva<br />

dell’accordo, ricadendosi altrimenti in un ambito completamente diverso da<br />

quello in esame e che attiene ai vizi del consenso, causa di annullabilità del<br />

contratto e non di semplice rettifica.<br />

Se si accetta tale accostamento ecco che un altro punto di contatto tra la rettifica<br />

notarile e quella giurisdizionale deve essere rimarcata.<br />

Assolutamente prevalente, infine, è l’orientamento che ravvisa quale elemento<br />

caratterizzante l’errore materiale quello della riconoscibilità, vale a dire la<br />

circostanza che l’errore sia rilevabile ictu oculi da una semplice lettura del provvedimento<br />

decisorio 20 .<br />

Quest’ultimo requisito, indicato come “contestualità” o “materialità” dell’errore,<br />

viene inteso nel senso di immediata riconoscibilità del vizio dalla semplice<br />

lettura del documento, senza che alcun rilievo abbia avuto la volontà nel provocare<br />

l’errore 21 .<br />

La immediata rilevabilità dell’errore, tuttavia, è un requisito tipico della sola<br />

correzione dei provvedimenti giurisdizionali, per i quali è decisivo distinguere tra<br />

l’”errore materiale” oggetto di rettifica ex artt. 287 ss. c.p.c. e l’“errore fatto” oggetto<br />

di revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., quest’ultimo errore ascrivendosi alla<br />

(inesatta) valutazione compiuta dal giudice sugli atti e i documenti di causa.<br />

Non così, invece, per la rettifica dell’errore che si rinviene negli atti rogati dal<br />

notaio, che non è quasi mai riconoscibile ictu oculi.<br />

Va ricordato infatti che l’errore rettificabile dell’atto notarile non è mai riconducibile<br />

ad un vizio del processo formativo della volontà di chi l’errore ha commesso<br />

(notaio o parti dell’atto), e rileva sempre quale difetto della fase di esteriorizzazione<br />

di quella volontà.<br />

Si consideri infatti che mentre il processo formativo della volontà nei provvedimenti<br />

giudiziari è riconducibile al solo giudicante, che non lo condivide con altri<br />

soggetti, sicché la volontà nasce, si sviluppa e si manifesta ad opera di un<br />

18<br />

F. Carnelutti, cit.<br />

19<br />

M. Acone, Riflessioni sul rapporto tra la correzione degli errori materiali e i mezzi di impugnazione,<br />

in Riv. trim. proc. civ., 1980, 1332 ss. spec. 1334, il quale precisa che quell’errore “non può<br />

mai scaturire da un’attività valutativa o di giudizio da parte del giudicante.<br />

20<br />

Cass. 11 aprile 2002 n. 5196, cit., Cass. 25 gennaio 2000 n. 816, in Giur. it. 2000, 2273;<br />

Cass. 20 settembre 1999 n. 10129, in CED Cassazione. Contra G. Torregrossa, voce “Correzione<br />

delle sentenze” (dir. proc. civ.) in Enc. dir., X, Milano, 1962, 719.<br />

21<br />

M. Acone, op. ult. cit.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 55


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

solo individuo, il processo formativo della volontà documentata nell’atto notarile<br />

è sempre condivisa tra il notaio e le parti.<br />

La conferma di ciò si rinviene non solo nella funzione di adeguamento stabilita<br />

nell’art. 47 l.n., che impone al notaio di indagare la volontà delle parti, quindi<br />

conoscerla intimamente e tradurla in clausole dell’atto. Ma anche negli artt. 51<br />

n. 8, 58 n. 6 l.n. e 67 r.n. che, imponendo al notaio la lettura dell’atto dopo il suo<br />

confezionamento, permettono alle parti di verificare che quanto riprodotto nel<br />

documento dal pubblico ufficiale rogante corrisponda alla loro volontà precedentemente<br />

dichiaratagli.<br />

Ciò posto è evidente che se l’errore non è sorto all’interno del processo formativo<br />

della volontà e non è stato rilevato neppure in sede di lettura dell’atto, si<br />

tratta di vizio non riconoscibile né dal notaio né dalle parti, che non inficia la sostanza<br />

dell’atto sul quale la volontà si è correttamente formata, ma solo la sua<br />

rappresentazione documentale.<br />

Si registra a questo punto la sostanziale coincidenza dei caratteri della procedura<br />

di correzione dei provvedimenti giurisdizionali, con quelli della rettifica<br />

notarile.<br />

In particolare emerge con una certa nettezza che la rettifica notarile, come<br />

quella dei provvedimenti giudiziari, può modificare solo aspetti secondari del<br />

documento, non potendo incidere sui profili che hanno costituito oggetto del<br />

processo formativo della volontà, né su quelli che costituiscono cause di invalidità<br />

dell’atto.<br />

Ma se è così ciò che sosterrà l’atto di rettifica sarà una dichiarazione di<br />

scienza proveniente dal notaio, ricognitiva e accertativa dei soli elementi non<br />

idoneamente rappresentati nel documento, individuati dall’art. 59 bis e dall’art.<br />

65 della legge delega (l. 18 giugno 2009, n. 69), nei “dati preesistenti alla redazione<br />

dell’atto” ed erroneamente riportati o “trascritti” nel documento e che il legislatore,<br />

con valutazione legale tipica, ha fatto coincidere con gli errori od o-<br />

missioni “materiali”.<br />

Sarà momento imprescindibile della rettifica notarile, infatti, una fase di tipo<br />

ricognitivo, nella quale il pubblico ufficiale renderà una “dichiarazione di scienza<br />

relativa a fatti dei quali ha diretta ed immediata conoscenza” consistenti appunto<br />

nei “dati preesistenti”. Una dichiarazione che richiama quella che attenta dottrina<br />

ha ricondotto all’interno di quella particolare specie di “attestazioni autoritative”<br />

dotate di fede privilegiata (tali in virtù di espressa disposizione di legge)<br />

qualificandole come “certificazioni” 22 , e cioè dichiarazioni di scienza riproduttive<br />

di certezze giuridiche.<br />

22<br />

A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, 1989, secondo il quale “tra le<br />

attestazioni autoritative rientrano talune certificazioni, e precisamente quelle consistenti in dichiarazioni<br />

di scienza relative a fatti dei quali il dichiarante ha diretta e immediata conoscenza (o perché si<br />

tratti di operazioni da lui stesso effettuate o di fatti svoltisi in sua presenza, o perché l’attestazione<br />

indichi il contenuto di documenti ufficiali alla cui conservazione il dichiarante è preposto”.<br />

56<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

E non a caso l’art. 59 bis l.n. designa come “certificazione” quella che può<br />

rendere il notaio – nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata<br />

– per rettificare gli atti autentici contenenti errori od omissioni materiali relativi<br />

a “dati preesistenti alla sua redazione”.<br />

2. LA “CERTIFICAZIONE”: AMBITO DI APPLICAZIONE<br />

Una prima considerazione non può che essere rivolta alla tipologia di atti<br />

che possono essere rettificati.<br />

È da ritenere che il generico riferimento all’“atto pubblico” consenta al notaio<br />

di correggere con la nuova modalità non solo gli atti pubblici notarili da lui ricevuti<br />

e quelli ricevuti da altro notaio, ma anche quelli in forma pubblica amministrativa,<br />

provenienti dai pubblici ufficiali autorizzati alla stipulazione ed aventi<br />

contenuto negoziale (es. art. 16, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e artt. 95 e 96,<br />

r.d. 23 maggio 1924, n. 827; art. 97, lett. c) del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).<br />

L’art. 59 bis l.n. non è utilizzabile invece per rettificare altri tipi di atti pubblici,<br />

come ad esempio i provvedimenti giudiziari, per i quali il meccanismo correttivo è<br />

– come visto – solo quello giudiziale delineato negli artt. 287 ss. c.p.c. (e quindi<br />

sentenze e decreti di trasferimento in sede di esecuzione), oppure i provvedimenti<br />

amministrativi, la cui rettifica è affidata in via esclusiva all’autorità promanante.<br />

È dubbio invece se la nuova rettifica possa essere utilizzata per i verbali di separazione<br />

consensuale omologati, nella parte c.d. eventuale di questi, in cui i coniugi<br />

trasferiscono beni immobili o costituiscono diritti reali minori sui medesimi in<br />

conseguenza ovvero in occasione dello scioglimento del vincolo matrimoniale.<br />

Per quanto infatti siano ormai consolidati gli orientamenti giurisprudenziali<br />

che riconoscono a tale verbale la natura di atto pubblico 23 , nonché di atto essenzialmente<br />

negoziale, sul presupposto che l’omologazione non ha “una funzione<br />

sostitutiva o integrativa della volontà delle parti o di governo dell’autonomia<br />

dei coniugi” 24 , non si rinvengono gli elementi decisivi per escludere i verbali<br />

23<br />

Cass. 19 novembre 2009, n. 24436, in Fam. pers. e succ., 2010, 340; Cass. 15 maggio 1997,<br />

n. 4306, in Riv. not., 1998, 171; T. Reggio Emilia 26 marzo 2007, in Famiglia e dir., 2008, 616; T.<br />

Pistoia 1 febbraio 1996, in Riv. not., 1997, 1421; App. Brescia 4 dicembre 1984, in Vita not., 1984,<br />

1595; T. Firenze 12 febbraio 1982, in Dir. famiglia, 1982, 952; T. Firenze 6 gennaio 1982, in Riv.<br />

not., 1982, 197; T. Palermo 18 giugno 1981, in Dir. fam., 1981, 813. Contra, T. Genova, 19 luglio<br />

2002, in Riv. not., 2003, 452.<br />

24<br />

Cass. 20 marzo 2008, n. 7450; Cass. 8 novembre 2006, n. 23801, in Foro it., 2007, I, 1189;<br />

Cass. 23 marzo 2004, n. 5741, in Riv. dir. comm., 2004, II, 283; Cass. 14 marzo 2006, n. 5473, in<br />

Nuova giur. civ., 2007, I, 371; Cass. 12 aprile 2006, n. 8516, in Foro it., 2006, I, 2756; T. Milano 29<br />

gennaio 1996, in Il fallimento, 1996, 781; App. Venezia 28 aprile 1999, in Il foro padano, 1999, I,<br />

198. In dottrina Bianca, Diritto civile. La famiglia. Le successioni, 2005, 248; Oberto, La natura<br />

dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Famiglia e diritto,<br />

1999, 601 (parte I), 2000, 86 (parte II); Zatti, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la<br />

separazione tra coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3 (Persone e famiglia), Torino,<br />

1996, 135. CNN, Quesito n. 76-2009/C (est. Mattia), in CNN Notizie del 24 marzo 2009.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 57


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

di separazione consensuale – quanto meno la parte c.d. eventuale – dal novero<br />

degli atti giurisdizionali per i quali è da ricorrere al meccanismo correttivo<br />

dell’art. 287 c.p.c.<br />

E da ritenere che in presenza di tale incertezza interpretativa, se anche possa<br />

ammettersi per i verbali di separazione consensuale la possibilità di impiegare<br />

la nuova rettifica ex art. 59 bis l.n., in ragione dell’assoluta specificità della<br />

fattispecie, il comportamento del notaio dovrà essere improntato alla massima<br />

prudenza, valutandosi la possibilità di applicare il nuovo istituto solo dopo aver<br />

constatato che non sia possibile ricevere l’atto di rettifica alla presenza dei coniugi<br />

che sottoscrissero il verbale poi omologato.<br />

Quanto alle scritture private autenticate, la possibilità di estendervi la rettifica<br />

in esame potrebbe creare un apparente disorientamento, per la considerazione<br />

che la rettifica andando ad incidere nel corpo della scrittura privata, modificherebbe<br />

un documento proveniente dai privati. Tuttavia se si riconosce che il notaio<br />

possa incidere sul contenuto degli atti autentici anche da lui non formati, nei limiti<br />

appresso specificati, tale possibilità deve ammettersi anche per le scritture private<br />

autenticate (anche se non formate dal notaio autenticante) ormai parificate agli atti<br />

pubblici notarili a seguito dell’estensione del controllo di legalità del pubblico ufficiale<br />

autenticante, a seguito della modifica dell’art. 28 l.n. con legge n. 246/2005.<br />

Il problema, semmai, è quello legato all’inalterabilità delle scritture private<br />

autenticate da sottoporre a rettifica, rispetto alle quali è essenziale per il notaio<br />

avere la certezza che si tratti di documenti che non abbiano subito modifiche.<br />

La soluzione più prudente sembra quindi quella di rettificare solo le scritture<br />

private autenticate conservate a raccolta ovvero, quelle alle quali sia stata data<br />

pubblicità immobiliare e commerciale, adempimenti questi che consentono di<br />

poter verificare che il documento non abbia subito alterazioni dopo l’autenticazione<br />

delle sottoscrizioni 25 .<br />

Chiarito l’ambito di applicazione della norma occorre rispondere al quesito<br />

se il notaio abilitato a ricevere la nuova rettifica debba essere necessariamente<br />

quello che ha ricevuto l’atto da rettificare ovvero possa essere anche un notaio<br />

diverso.<br />

E la risposta non può che essere in quest’ultimo senso, in ciò confortati dalle<br />

seguenti considerazioni.<br />

Innanzitutto la riserva di competenza attribuita al notaio dalla norma in esame,<br />

autorizzandolo, in via generale, a rettificare gli atti autentici anche di provenienza<br />

non notarile.<br />

Tale “riserva” si spiega con il ruolo svolto da notaio nel sistema di documentazione<br />

degli atti autentici. Se il notaio è istituzionalmente preposto (art. 1 l.n.;<br />

25<br />

Nulla quaestio per quelle autenticate e destinate alla pubblicità immobiliare e commerciale<br />

dopo la modifica dell’art. 72, u.c. l.n. (ad opera dell’art. 12 della legge n. 246/2005) che, prevedendo<br />

l’obbligo della conservazione a raccolta, stabilisce una equiparazione agli atti notarili certamente<br />

sotto questo profilo.<br />

58<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

art. 2699 c.c.) alla redazione di atti pubblici e scritture private autenticate; se<br />

l’atto notarile è considerato dal legislatore il paradigma di atto pubblico, alla cui<br />

disciplina attingono quelle degli atti pubblici formati da altri pubblici ufficiali autorizzati<br />

dalla legge a riceverli; se, infine, il notaio è tenuto agli obblighi – variamente<br />

sanzionati – di conservare gli atti e curarne gli adempimenti pubblicitari,<br />

tutto ciò è sembrato al legislatore “garanzia sufficiente” per attribuire al solo notaio,<br />

una competenza generale a rettificare tutti gli atti autentici, anche se ricevuti<br />

da pubblici ufficiali diversi dal notaio.<br />

Si aggiunga, inoltre, che nel nostro sistema non sembra rinvenibile alcun limite<br />

a tale riserva di competenza funzionale del notaio che possa limitarne il<br />

potere di rettifica nel senso sopra indicato; al contrario, si registra un orientamento<br />

giurisprudenziale che pur dettato per la rettifica giudiziale, appare in grado<br />

di essere impiegato anche per la rettifica notarile, ampliando la legittimazione<br />

del notaio in relazione alla stessa.<br />

Pertanto, così come per la rettifica giudiziale si è ritenuto che il riferimento<br />

dell’art. 287 c.p.c. allo “stesso giudice” abilitato a correggere la sentenza che ha<br />

pronunciato, debba intendersi come rivolto ad uno dei giudici appartenenti allo<br />

“stesso ufficio giudiziario” 26 , analogamente è da ritenere che la rettifica notarile<br />

non presuppone la “specialità” del pubblico ufficiale che ha rogato o autenticato<br />

l’atto da rettificare, sicché il notaio legittimato a rettificare gli atti notarili o autenticati,<br />

deve intendersi come riferito ad uno dei notai iscritti nel ruolo di qualunque<br />

distretto notarile 27 .<br />

Richiede di essere interpretata anche la previsione dell’art. 59 bis che riconosce<br />

al notaio una semplice “facoltà” di utilizzare la certificazione in esame.<br />

È da ritenere che quella facoltà sia da intendere in un duplice senso.<br />

Sia come possibilità per il notaio di rifiutarsi di procedere alla “nuova” rettifica,<br />

non diversamente dall’ipotesi in cui gli venga richiesto di ricevere una comune<br />

rettifica negoziale: al notaio dovrà essere sempre riservata la valutazione<br />

sulla ricevibilità dell’atto, come del resto per ogni altro atto che gli sia richiesto di<br />

stipulare.<br />

Sia anche come prerogativa del notaio – valutata la ricevibilità in astratto<br />

della rettifica – di scegliere di non ricorrere alla nuova procedura “certificata”<br />

quando reputi, anche solo opportunamente, di dover ricorrere alla rettifica negoziale<br />

in presenza delle parti o degli interessati.<br />

26<br />

Cass. 14 aprile 1995, n. 4285, in Studium juris, 1996, 105. Sull’idoneità che un notaio diverso<br />

da quello che ha stipulato l’atto da correggere possa procedere alla rettifica A. Sonali, Rettifica stragiudiziale<br />

degli atti pubblici, in Vita not., 1970, 287.<br />

27<br />

A fondamento della legittimazione di ogni notaio a procedere alla rettifica di atti notarili ricevuti<br />

da altri notai, vi è anche la difficoltà di rinvenire una qualche competenza territoriale di riferimento<br />

(Distretto notarile, Corte d’Appello, Conservatoria dei registri immobiliari ecc.) che possa giustificare<br />

una diversa soluzione, e ciò – fondamentalmente – con riferimento alle sedi dei notai interessati dalla<br />

vicenda di correzione degli atti, ovvero riguardo al luogo di conservazione degli atti notarili.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 59


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

3. CONTENUTO E FORMA<br />

Non sembra potersi dubitare che la rettifica in esame, oltre ad essere contenuta<br />

in un atto autonomo, possa far parte – accessoriamente – di altro atto pubblico<br />

che il notaio sia chiamato a ricevere.<br />

Occorre interrogarsi quindi sul contenuto dell’atto o della clausola contenente<br />

la nuova rettifica, risultando piuttosto evidente che il riferimento normativo alla<br />

staticità della “certificazione”, stride con la situazione evocata dalla norma<br />

stessa che presuppone invece un (dinamico) intervento correttivo del notaio<br />

sull’atto.<br />

Per quanto infatti in tale ipotesi l’esplicazione del potere certificativo del notaio<br />

non incontri limiti (salvo quelli legati all’incarico di parte), resta il problema<br />

di come tale strumento accertativo possa essere impiegato.<br />

La“certificazione” infatti, sostanziandosi in una dichiarazione di scienza relativamente<br />

alla sussistenza di un determinato atto notarile affetto da un errore<br />

materiale, non può “rettificare” alcunché 28 .<br />

Se caratteristica della certificazione è la ricognizione delle fonti (da rettificare),<br />

il raffronto dei dati errati con quelli esatti o mancanti, ed inoltre l’acclaramento 29<br />

della certezza circa il dato rettificato, ebbene la stessa non può che precedere la<br />

rettifica vera e propria, attestandone la necessità di attuarla rispetto ad una rilevata<br />

difformità con i dati da correggere. Il termine “certificazione” impiegato dall’art.<br />

59 bis, pertanto, se non improprio è quanto meno insufficiente.<br />

È da ritenere allora che quando l’atto ricevuto si atteggi secondo quanto ora<br />

indicato, la certificazione dell’art. 59 bis l.n. precederà la “nuova” rettifica, atteggiandosi<br />

come una “fase” necessariamente prodromica del procedimento di rettificazione<br />

che viene documentato con la nuova tipologia di atto pubblico.<br />

Poiché infatti come ricordato in premessa il nuovo atto di rettifica (diversamente<br />

da quello tradizionale), è ricevuto senza le parti dell’atto da rettificare, la<br />

“certificazione” è necessaria per giustificare il ricorso al nuovo strumento, e si<br />

sostanzierà nella ricognizione dell’atto da rettificare e nel raffronto dei dati da<br />

correggere con quelli esatti.<br />

In concreto, quindi, l’atto potrà dirsi idealmente diviso in tre parti, in cui ad<br />

una prima di tipo “narrativo”, in cui si individua l’atto che contiene l’errore o<br />

l’omissione da rettificare, ne segue una propriamente “certificativa”, in cui il no-<br />

28<br />

È opinione comune in dottrina che le certificazioni non abbiano la capacità di modificare le situazioni<br />

giuridiche oggetto delle stesse, sostanziandosi solo in dichiarazioni di scienza che esternano<br />

la rappresentazione di un fatto al fine della circolazione della certezza pubblica. In questo senso<br />

M.S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, II ed., Milano, 2000, 401; B. Cavallo, Provvedimenti<br />

ed atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova,<br />

1993, 149.<br />

29<br />

Poiché le certificazioni sono dichiarazioni di scienza che riproducono certezze giuridiche, è<br />

elemento tipico ed imprescindibile di ogni certificazione un momento di acclaramento, in tal senso<br />

B. Cavallo, op. cit., 149.<br />

60<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

taio “certifica” di aver accertato che a seguito dell’individuazione dell’atto ed e-<br />

seguito il raffronto con i dati preesistenti all’atto da rettificare, in suo possesso o<br />

forniti da terzi, sussiste un errore od omissione, in grado di essere emendato od<br />

integrato. Seguirà poi una terza fase che propriamente contiene la “rettifica”<br />

dell’atto richiamato nella premessa e con la quale si inciderà sull’atto, correggendolo<br />

nel senso sopra indicato.<br />

4. I DATI RETTIFICABILI<br />

L’art. 59 bis stabilisce che sono rettificabili gli atti pubblici o le scritture private<br />

contenenti “errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla<br />

sua redazione”.<br />

Anche sulla scorta di quanto ritenuto in relazione alla natura dell’istituto in<br />

esame, deve trattarsi quindi di dati già formati prima della stipula, sicché la rettifica<br />

notarile interesserà, ad esempio, i dati catastali e le indicazioni anagrafiche,<br />

ma anche gli estremi dei provvedimenti amministrativi richiamati nell’atto, i riferimenti<br />

dei contratti riportati nel documento, ecc.<br />

Che nelle intenzioni del legislatore il dato rettificabile sia solo quello preesistente<br />

all’atto, emerge in modo ancora più netto dall’art. 65 della legge delega<br />

(n. 69/2009) in base al quale la legge delegata avrebbe dovuto prevedere che<br />

oggetto di rettifica sarebbero stati solo “errori od omissioni materiali di trascrizione<br />

di dati preesistenti alla redazione dell’atto”.<br />

L’omesso riferimento alla “trascrizione” (nel senso di “scritturazione”) da parte<br />

del notaio di dati già formati prima della redazione dell’atto, non sembra tuttavia<br />

creare particolari problemi in sede di applicazione dell’art. 59 bis, la cui<br />

formulazione peraltro non appare eccessiva rispetto alla legge delega.<br />

Non potranno invece essere rettificati quei dati che si generano in occasione<br />

del ricevimento dell’atto.<br />

Invero la possibilità di correggere solo gli errori o le omissioni materiali relativi<br />

a dati preesistenti all’atto, ha sempre costituito uno dei limiti generali all’ammissibilità<br />

della rettifica dell’atto notarile, e ciò in ragione delle particolari modalità<br />

che caratterizzano il processo formativo del documento pubblico da parte del<br />

notaio 30 .<br />

In particolare si è osservato che l’atto notarile non documenta soltanto le fasi<br />

della propria formazione, ma anche altri fatti che si verificano contestualmente<br />

alla sua creazione, ovvero dati che vengono acquisiti dal pubblico ufficiale contemporaneamente<br />

alla formazione dell’atto, cosicché “il documento […] equivale<br />

[…] a una fotografia” 31 .<br />

30<br />

A. Sonali, op. cit.,1970, 285; A. Caccia, op.cit., 78.<br />

31<br />

F. Carnelutti, Cominciamo da capo…, in Riv. dir. proc., 1953, II, 104 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 61


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

Appare evidente che se l’erronea riproduzione del dato nell’atto dipende da<br />

un errore materiale di scritturazione (o, come si esprime la legge delega, “di trascrizione”)<br />

da parte del notaio, e tale errore sia chiaramente verificabile con il<br />

confronto di altri documenti o con la palese inalterabilità o notorietà del dato da<br />

correggere, così da escludere ogni possibile interpretazione alternativa, la correzione<br />

materiale tramite la rettifica dovrà ritenersi senz’altro ammissibile.<br />

Analogamente dovrà ammettersi la rettifica del titolo, quando l’errore cada<br />

su uno o più elementi di identificazione delle parti contraenti o sull’oggetto negoziato,<br />

sempre che il vizio non si traduca in “ambiguità, oscurità o contraddittorietà<br />

insanabile, ovvero discordanza oggettiva rispetto a quanto realmente a-<br />

vrebbe dovuto trovarsi trasfuso nel documento” 32 .<br />

A tal fine, con riferimento all’oggetto dell’atto, è opportuno ricordare che facendo<br />

ricorso ai principi generali in tema di interpretazione del negozio, potrebbe risultare<br />

che le indicazioni dei dati catastali relative al bene immobile negoziato vengano<br />

ad assumere, nelle intenzioni delle parti contraenti, un diverso significato.<br />

Queste ultime potrebbero infatti concordemente impiegare quelle indicazioni<br />

unicamente quale modalità descrittiva del bene, assumendole quali informazioni<br />

ausiliarie rispetto ad altre indicazioni dal valore decisivo e prevalente, come ad<br />

esempio quelle relative ai confini 33 .<br />

In tale ipotesi la rettifica del dato catastale errato appare senz’altro possibile.<br />

Innanzitutto perché la rettifica (in ossequio al disposto normativo) avrebbe<br />

ad oggetto dati già formati prima della stipula. Si è in presenza quindi di un errore<br />

agevolmente rettificabile mediante il confronto con altri documenti, dai quali è<br />

possibile ricavare il dato corretto caratterizzato da inalterabilità e notorietà.<br />

Ma la rettifica è possibile soprattutto perché essendosi attribuito alle indicazioni<br />

dei dati catastali un valore secondario ed accessorio, esse non incidono<br />

sulla sostanza del trasferimento, e ciò consente quindi di escludere che l’errore<br />

su quei dati produca ambiguità ed oscurità sull’oggetto del negozio.<br />

Non è utilizzabile la rettifica, invece, nel caso in cui le parti dovendo procedere<br />

alla determinazione dell’oggetto del contratto, abbiano stabilito di far ricorso<br />

unicamente ai dati catastali, senza ricorrere ad altri elementi di identificazione<br />

del bene 34 , né abbiano indicato alcuna “regola determinativa” con riferimento<br />

alla possibilità di individuare l’oggetto del contratto.<br />

In questa ipotesi, poiché l’indicazione di quei dati è avvenuta a pena di invalidità<br />

del negozio (cfr. artt. 1346 e 1418 c.c.), non sembra possibile procedere a<br />

rettifica, per quanto l’errore come nel precedente caso abbia pur sempre interessato<br />

il dato catastale.<br />

32<br />

A. Caccia, La rettifica, cit., 67.<br />

33<br />

Orientamento giurisprudenziale unanime, da ultimo Cass. 24 aprile 2007, n. 9857.<br />

34<br />

In tale ipotesi la rettifica sembra subordinata alla verifica di autosufficienza delle altre indicazioni<br />

eventualmente presenti in atto per la determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto<br />

(es. i confini).<br />

62<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

Poiché in questo caso la ”comune intenzione delle parti” ha assegnato al dato<br />

catastale un significato contrattuale tendenzialmente invariabile, con l’obiettivo<br />

di individuare l’oggetto negoziato, deve escludersi la possibilità di utilizzare il<br />

procedimento di comparazione del dato errato con quello esatto che è a base<br />

della rettifica.<br />

Tale procedimento infatti è precluso nell’ipotesi in cui l’errore cada su elementi<br />

che, essendo stati dedotti in contratto in funzione del completamento<br />

dell’accordo negoziale (in questo caso quanto all’oggetto) non costituiscono i<br />

termini di una comparazione ma di un accertamento.<br />

Ove si tratti di stabilire se vi sia stata o meno la conclusione dell’accordo negoziale<br />

sul bene negoziato (e non potendo certamente affermarsene la conclusione<br />

in presenza di un oggetto non determinato 35 ), l’istituto della rettifica non<br />

sarà certamente applicabile. In questa ipotesi l’attività richiesta al notaio sarebbe<br />

estranea alle sue funzioni, in quanto volta alla ricostruzione della volontà delle<br />

parti.<br />

Se il notaio dovesse individuare l’oggetto del contratto mediante i dati catastali<br />

formati dalle parti, sarebbe chiamato a ricomporre i termini di una volontà<br />

negoziale non più esistente, compiendo appunto un’attività di accertamento.<br />

Se ad esempio in occasione del trasferimento di un appartamento, le parti<br />

abbiano taciuto che all’immobile principale era collegata una cantina di pertinenza,<br />

non potrà essere utilizzata la rettifica per “acclarare” la reale volontà delle<br />

parti in ordine all’esatto oggetto di trasferimento. In questo caso la rettifica<br />

presenterebbe un contenuto accertativo non consentito, venendo in realtà impiegata<br />

per interpretare il contratto: o nel senso di ritenere “rotto” il suddetto<br />

vincolo pertinenziale ovvero per precisare che insieme all’immobile principale si<br />

è trasferita (ope legis) anche la pertinenza.<br />

Proprio sulla base di quest’ultima riflessione deve escludersi la rettifica, più<br />

in generale, tutte le volte in cui il dato da correggere che è stato documentato<br />

nell’atto pubblico, sia il risultato di un’attività genericamente valutativa del pubblico<br />

ufficiale e quindi affidato alla sua percezione 36 . Se questa dovesse essere<br />

l’attività richiesta al notaio, non si sarebbe più in presenza di “dati preesistenti”<br />

alla redazione dell’atto così come richiesto dall’art. 59 bis, quanto invece di dati<br />

generati in occasione della stipula, sicché, anche per ragioni testuali, la rettifica<br />

dovrebbe escludersi.<br />

L’esempio del pagamento del prezzo nella compravendita è di ausilio per<br />

comprendere l’affermazione.<br />

Se le parti dichiarano al notaio un determinato importo e il pubblico ufficiale<br />

ha frainteso la cifra dichiaratagli come prezzo, in questa ipotesi la rettifica non<br />

potrà essere attuata.<br />

35<br />

In questo senso Gitti, Problemi dell'oggetto, in Tratt. Roppo, II, Regolamento, a cura di Vettori,<br />

Milano, 2006, 19.<br />

36<br />

A. Sonali, Rettifica, cit., 285.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 63


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

Al notaio si richiederebbe infatti di compiere un’attività estranea alle sue funzioni.<br />

Si è già accennato che mediante l’atto di rettifica il notaio dovrebbe ricostruire<br />

una verità trascorsa, compiendo un’attività valutativa di accertamento,<br />

senza la possibilità di un riscontro di dati contestualmente all’atto (impropriamente<br />

qualificato) come correttivo 37 .<br />

Si aggiunga che in tale ipotesi l’errore (di percezione) del notaio è divenuto<br />

anche errore delle parti, destinato ad incidere sul negozio documentato; poiché<br />

infatti il notaio ha dato lettura all’atto che è stato approvato dalle parti, la volontà<br />

documentata è senza dubbio quella definitivamente manifestata dai contraenti.<br />

Anche per tale ragione, quindi, la rettifica non sarebbe ammissibile.<br />

La rettifica tornerà ad essere soluzione praticabile, invece, quando il pagamento<br />

del prezzo sia stato documentato in atto, come ad esempio quando il notaio<br />

descrivendo l’assegno utilizzato per il pagamento, abbia errato nel trascriverne<br />

l’ammontare.<br />

Come è stato osservato “nessuna incidenza potrebbe qui avere l’approvazione<br />

e la sottoscrizione delle parti dopo la lettura, trattandosi di un dato oggettivo<br />

che il pubblico ufficiale doveva inderogabilmente constatare” 38 ed il cui accertamento<br />

sarà sempre ed in ogni momento possibile. Il ragionamento potrà<br />

essere esteso ad ogni altra ipotesi in cui il dato documentato sia quello riportato<br />

su atti e documenti immodificabili o comunque dotati di certezza pubblica.<br />

Si noti come mentre in quest’ultimo caso il dato è “preesistente all’atto” e<br />

quindi rettificabile, nella prima ipotesi il dato (dichiarato) viene generato durante<br />

la stipulazione, e cioè nel momento in cui viene comunicato al notaio il prezzo<br />

pagato, il che come detto rende impossibile la rettifica.<br />

La rettifica è da escludere anche quando il dato da rettificare – pur se “preesistente”<br />

all’atto – abbia determinato nullità formale o sostanziale del negozio.<br />

Si è posto in evidenza che in relazione a tale circostanza o sono destinati ad<br />

operare meccanismi di salvaguardia del contratto diversi dalla rettifica, come ad<br />

esempio la conferma (prevista ad esempio dalla legislazione urbanistica) o la<br />

conversione del negozio nullo, oppure la strada obbligata è quella della rinnovazione<br />

del contratto. Al di fuori di questi rimedi non esiste alcun interesse pubblico<br />

alla validità del negozio che possa fondare la liceità della rettifica, restando<br />

la nullità indisponibile, insanabile e rilevabile d’ufficio dal giudice 39 .<br />

Fermo quanto sopra detto, si deve ammettere la rettifica anche dopo l’entrata<br />

in vigore del nuovo art. 29, comma 1 bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52<br />

(introdotto dal d.l. 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modifiche, in legge 30<br />

luglio 2010, n. 122) che, negli atti aventi ad oggetto fabbricati, impone a pena di<br />

nullità l’indicazione dei dati catastali. Sebbene – è necessario aggiungere – in<br />

37<br />

A. Caccia, La rettifica, cit. 78.<br />

38<br />

A. Sonali, Rettifica, cit., 286.<br />

39<br />

A. Caccia, La rettifica, cit., 82.<br />

64<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

quest’ambito la rettifica risulti ammissibile nei soli limiti della correzione dei dati<br />

catastali presenti ma indicati erroneamente, e non invece con riferimento alle<br />

omesse indicazioni dei dati catastali che determinano la nullità secondo la nuova<br />

norma 40 .<br />

Poiché anche dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 78/2010, dall’errata indicazione<br />

del dato catastale non deriva la nullità dell’atto, la rettifica di questo non<br />

essendo una conferma della nullità, ma avendo solo la funzione di meglio esplicitare<br />

i dati di identificazione dell’oggetto del contratto sul quale si è formata la<br />

volontà delle parti, potrà essere ricevuta e avere ad oggetto i dati catastali erroneamente<br />

indicati.<br />

Le considerazioni sul d.l. n. 78/2010 possono essere utilizzate, entro certi<br />

limiti, per confermare l’impiego della nuova rettifica anche per gli atti di concessione<br />

di ipoteca, ciò che sarebbe da ammettere anche solo alla luce dell’ampia<br />

formulazione dell’art. 59 bis.<br />

In quest’ambito il limite ad un eventuale impiego della rettifica in esame (oltre<br />

all’eventuale pregiudizio derivante ai terzi in buona fede) potrebbe derivare<br />

dal tipo di errore od omissione da rettificare, essendo prevista dalla legge la<br />

possibilità per la parte interessata di ricorrere all’autorità giudiziaria al fine di ottenerne<br />

la rettificazione (art. 2841, co. 2, c.c.).<br />

Sebbene non vietata è invece sconsigliabile, sul piano pratico, la rettifica<br />

quando la correzione del dato è destinata a ripercuotersi sugli atti che derivano<br />

o dipendono da quello rettificato. Come accade, ad esempio, nell’ipotesi in cui<br />

l’errore sul “dato preesistente” commesso in occasione del primo atto, si trovi riprodotto<br />

nei successivi o paralleli atti regolarmente volturati e trascritti.<br />

In questa ipotesi – che rileva solo sotto il profilo della responsabilità professionale<br />

– la rettifica del primo atto, adeguando la consistenza documentale<br />

dell’atto rettificato alla realtà effettiva, impone per un principio di corrispondenza<br />

tra i documenti pubblici e di veridicità dei pubblici registri, di adeguare anche gli<br />

atti che per effetto della rettifica risultano “indirettamente” modificati, nonché di<br />

correggerne le connesse formalità pubblicitarie.<br />

Andrebbero pertanto valutate prima della rettifica, le possibili conseguenze<br />

pregiudizievoli che questa potrebbe determinare, in relazione all’affidamento<br />

che i terzi di buona fede hanno riposto sulle risultanze dei pubblici registri alimentati<br />

dall’atto rettificato (si pensi ad esempio alle procedure giudiziarie iniziate<br />

sulla base di dati catastali, successivamente corretti anche riguardo alle note<br />

40<br />

Come ricordato dalla Circolare del CNN del 28 giugno 2010 emanata a commento del d.l. n.<br />

78/2010, “L’indicazione dell’identificazione catastale delle unità immobiliari urbane diviene requisito<br />

di validità dell’atto anche se la descrizione degli immobili con gli estremi con i quali essi sono individuati<br />

in catasto era già prevista (sebbene non a pena di nullità) dall’art. 4 del d.P.R. n. 650/1972:<br />

questi consistono nella sezione, foglio, particella ed eventuale subalterno – i c.d. dati minimi essenziali<br />

– se l’immobile ha un’identificazione catastale definitiva, come può desumersi dagli artt. 1,<br />

comma 6, e 2, comma 3, del d.m. 19 aprile 1994, n. 701”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 65


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

di trascrizione). In quest’ottica l’inciso “fatti salvi i diritti dei terzi” contenuto nella<br />

norma in esame, assume un preciso significato.<br />

5. RETTIFICA E PUBBLICITÀ IMMOBILIARE<br />

Tali ultime considerazioni richiedono di affrontare il tema della pubblicità della<br />

rettifica ex art. 59 bis e, segnatamente, di quella che viene attuata nell’ambito<br />

dei registri immobiliari.<br />

A questo proposito sembra utile premettere che si presenta sterile – se non<br />

addirittura inutile – il dibattito volto a stabilire se in assenza di un’espressa previsione<br />

di legge, all’atto di rettifica di un precedente atto già trascritto debba o<br />

meno darsi pubblicità.<br />

Non solo perché a tale possibilità apre oggi la nuova norma 41 , ma anche perché<br />

la diffusa prassi notarile e amministrativa 42 , oltre alla giurisprudenza 43<br />

e alla<br />

dottrina 44 , ammettono senz’altro che alla vicenda in esame possa darsi pubblicità.<br />

Ciò che appare meritevole di approfondimento, invece, è se la pubblicità<br />

dell’atto di rettifica possa essere in grado di pregiudicare i “diritti dei terzi”, come<br />

l’inciso dell’art. 59 bis ha avuto cura di evidenziare.<br />

La risposta – anticipando le conclusioni rassegnate più avanti – è negativa,<br />

ma solo se si parte dal presupposto secondo cui l’opponibilità ai terzi di un atto<br />

trascritto si basa solo per quanto risulta dalla nota di trascrizione, ed escludendo<br />

quindi che gli stessi possano “ricostruire” l’atto di cui la nota ha dato pubblicità,<br />

ricorrendo ad elementi estranei a questa 45 .<br />

41<br />

Sebbene sia da escludere che dall’espressione “anche ai fini dell’esecuzione della pubblicità”<br />

possa ricavarsi l’introduzione del principio generale dell’assoggettamento a pubblicità degli atti di<br />

rettifica, che continua ad atteggiarsi come una mera facoltà in capo al soggetto rettificante. Resta<br />

fermo, tuttavia, l’obbligo in capo al notaio di procedere alla pubblicità immobiliare ex art. 2671 c.c.<br />

laddove il dato rettificato sia “sensibile” ai fini pubblicitari.<br />

42<br />

Circ. Min. Fin. 2 maggio 1995, n. 128/T.<br />

43<br />

Cass. 30 luglio 2002, n. 11265, in CED Cassazione; T. Firenze 22 dicembre 1967, in Riv.<br />

not., 1967, 912; T. Arezzo 20 settembre 1986, in Riv. not., 1987, 201; App. Perugia 23 aprile 1997 e<br />

T. Perugia 8 maggio 1997, entrambe in Rass. giur. umbra, 1997, 369; T. Roma 24 maggio 2000, in<br />

Riv. not., 2000, 1473; C. Conti, sez. contr. reg. Sicilia, 4 settembre 2000, n. 15, in Riv. Corte Conti,<br />

2000, fasc. 5, 20; T. Perugia 30 settembre 2002, in Rass. giur. umbra, 2003, 546.<br />

44<br />

R. Bonis, La rettifica dell’errore nell’indicazione della data di nascita, in Riv. dir. ipot., 1968,<br />

234; F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Commentario Schlesinger, Milano, 1998, 407; G.<br />

Iaccarino, Rettifica unilaterale di dati catastali, in Notariato, 2004, 623; Ettorre-Silvestri, La pubblicità<br />

immobiliare, Milano, 1996, 1123 ss.; Ettorre-Iudica, La pubblicità immobiliare e il testo unico sulle<br />

imposte, Milano, 2007, 156 ss.; G. Petrelli, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione<br />

immobiliare, Napoli, 2009, 315; V. Fedeli, Unilateralità o bilateralità dell’atto di rettifica dell’errore catastale<br />

e della menzione urbanistica, in Vita not., 1997, 1089; G. Casu, intervento al Convegno di<br />

Firenze del 29 ottobre 2010, L’atto notarile informatico: prime riflessioni sul D.Lgs. 110/2010, in<br />

quaderni della Fondazione del Notariato, in corso di pubblicazione.<br />

45<br />

È un presupposto più che consolidato. In giurisprudenza, tra le pronunce più recenti, Cass. 18<br />

settembre 2009, n. 20144, in Fam. dir., 2010, 137 e in NGCC, 2010, I, 390; Cass. 31 agosto 2009,<br />

(segue)<br />

66<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

Se si tiene ferma tale premessa non si avrà mai una soccombenza dei terzi<br />

che – impregiudicata ogni questione legata alla conoscenza effettiva del vizio –<br />

abbiano medio tempore, prima della trascrizione dell’atto di rettifica, trascritto o<br />

iscritto una formalità confidando sulle risultanze delle note già trascritte.<br />

Già prima della trascrizione dell’atto di rettifica, se gli errori o le omissioni contenuti<br />

nel titolo si siano riprodotti nella nota di trascrizione – e quindi in assenza di<br />

discrepanza fra il tenore della nota e l’atto trascritto – non sarà in alcun modo<br />

possibile opporre ai terzi l’atto trascritto privo dell’errore; questo perché i terzi non<br />

saranno in grado di riferire la trascrizione rinvenuta nei registri immobiliari all’atto<br />

identificato nei termini in cui lo sarebbe stato senza quell’inesattezza 46 .<br />

Infatti diversamente dall’ipotesi disciplinata nell’art. 2665 c.c., in cui sussistendo<br />

una difformità della nota rispetto al titolo, al terzo sarà opponibile l’atto così come<br />

individuato – nei suoi profili soggettivi ed oggettivi – secondo la combinazione fra<br />

l’elemento indicato inesattamente e gli altri elementi della nota di trascrizione, nel<br />

caso in esame una nota di trascrizione non recante alcuna inesattezza e pienamente<br />

corrispondente all’atto che ha inteso rappresentare, non potrà essere intesa<br />

come opponibile al terzo con un contenuto diverso, corrispondente a quello che<br />

avrebbe dovuto essere il contenuto effettivo dell’atto e che, per errore compiuto direttamente<br />

in esso, è risultato diverso e così è stato riportato nella nota 47 .<br />

n. 18892, in NGCC, 2010, I, 163; Cass. 16 maggio 2008, n. 12429, in CED Cassazione; Cass. 1<br />

giugno 2006, n. 13137, in Giust. civ., 2007, I, 920; Cass. 11 gennaio 2005, n. 368, in NGCC, 2006,<br />

I, 224; Cass. 8 marzo 2005, n. 5002, in Foro it., 2006, I, 854; Cass. 5 luglio 2000, n. 8964, in Dir.<br />

fall., 2001, II, 635. In dottrina S. Pugliatti, La trascrizione, in Tratt. dir. civ., a cura di Cicu-Messineo,<br />

Milano, 1989, vol. XIV, t. 2, 351; R. Triola, voce “Trascrizione”, in Enc. dir., Milano, 1992, 970; G.<br />

Mariconda, La trascrizione, in Trattato Rescigno, Torino, 1985, vol. 19, 152.<br />

46<br />

Dall’ipotesi riportata nel testo occorre distinguere quella in cui l’errore o l’omissione siano contenuti<br />

nella sola nota, che quindi diverge dal titolo privo di errori od omissioni. Questa ipotesi è disciplinata<br />

dall’art. 2665 c.c. ed è destinata a trovare una soluzione variamente differenziata – ma<br />

sempre all’interno di un provvedimento giurisdizionale – a seconda che si accerti la sussistenza o<br />

meno dell’invalidità della trascrizione. Si tratta di fattispecie estranea al perimetro applicativo<br />

dell’art. 59 bis, anche solo sul piano testuale, riferendosi tale disposizione alla rettificabilità di atti<br />

pubblici e scritture private autenticate, e non invece delle semplici scritture private, come appunto la<br />

nota di trascrizione [sulla natura di scrittura privata della nota di trascrizione Pugliatti, op. cit., 379;<br />

L. Ferri-P. Zanelli, Commentario Scialoja e Branca, Bologna, 1995, sub art. 2659 c.c., 387; M. Leo,<br />

Nota di trascrizione redatta da notaio e responsabilità penale, Studio CNN n. 2003 del 1999, in Studi<br />

e Materiali, Milano, 2001, 6.2, 388]. Sotto un diverso profilo, inoltre, si osserva che il procedimento<br />

di “rettificazione” della nota di trascrizione, ove si ritenga di modellarlo, per analogia – in assenza<br />

di una specifica disciplina – su quello previsto dall’art. 2841 c.c. per la nota di iscrizione ipotecaria<br />

[in tal senso L. Ferri-L. Zanelli-M. D’Orazi-Flavoni, La Trascrizione, Commentario Scialoja Branca,<br />

Bologna-Roma, 1995, 349], presuppone un ordine dell’autorità giudiziaria, mentre è dibattuto se sia<br />

ammissibile ricorrere al meccanismo consensuale, che peraltro dovrebbe sostanziarsi in un’istanza<br />

di rettifica rivolta al Conservatore [sui termini del dibattito e sulle diverse posizioni in relazione a<br />

quest’ultimo punto, si rinvia a P. Boero, Le ipoteche, Torino, 1999,2° ed., 673; sul punto si veda anche<br />

quanto evidenziato nella nota 32].<br />

47<br />

In questi termini Cass. 8 marzo 2005, n. 5002, in Foro it., 2006, I, 854, con nota di E. Fabiani,<br />

che in motivazione sottolinea come in tale ipotesi non sussiste alcuna inesattezza della nota rispetto<br />

all’atto e non è nemmeno astrattamente concepibile l’applicazione dell’art. 2665.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 67


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

Tale esito deve essere ribadito soprattutto a seguito dell’entrata in vigore<br />

della legge n. 52/1985, che ha caratterizzato con una maggiore rigidità il sistema<br />

pubblicitario, non consentendo più al richiedente di inserire una descrizione<br />

analitica degli immobili oggetto di trascrizione, ma obbligandolo a compilare la<br />

nota fornendo le sole informazioni predefinite dal legislatore 48 .<br />

Ma la posizione dei terzi non sarà pregiudicata neppure a seguito della trascrizione<br />

dell’atto di rettifica, essendo pienamente operativo il presidio costituito<br />

dai principi generali che reggono la pubblicità 49 , come ad esempio quello di auto<br />

responsabilità 50<br />

o di affidamento del terzo di buona fede in relazione alle risultanze<br />

dei registri immobiliari 51 .<br />

5.1. (segue) Trascrizione o annotazione dell’atto di rettifica?<br />

È da ritenere però che la tutela dei terzi sia essenzialmente affidata alla priorità<br />

dell’ordine delle trascrizioni.<br />

La presentazione della nota di trascrizione relativa all’atto di rettifica, per quanto<br />

caratterizzata dalla finalità meramente correttiva/integrativa di una precedente<br />

nota già trascritta, è una nuova formalità “senza alcuna relazione con la precedente,<br />

e prende grado e svolge i suoi effetti dal giorno della sua effettuazione” per<br />

cui rispetto ad essa “prevalgono […] in base al principio della priorità, le trascrizioni<br />

e le iscrizioni precedentemente eseguite contro lo stesso autore” 52 .<br />

Con ciò, pertanto, non si ritiene di condividere l’opinione secondo cui all’atto<br />

di rettifica dovrebbe darsi pubblicità mediante annotazione anziché trascrizione<br />

53 . Si aggiunga che, a parere di chi scrive, la formalità della trascrizione – più<br />

dell’annotazione – si presenta maggiormente in linea con il sistema di protezione<br />

dei terzi che sia ancorato al meccanismo della pubblicità immobiliare, per<br />

48<br />

A. Giletta, nota a Cass. 11 gennaio 2005, n. 368, in NGCC, 2006, I, 229.<br />

49<br />

N. Coviello, Della trascrizione, I, Napoli-Torino, 1914, 510, richiamato da E. Fabiani, op. cit. Si<br />

veda anche Cass. 2 febbraio 2000, n. 1135 (in Giust. civ., 2000, I, 1684) che ha escluso che la correzione<br />

dell’errore operata in epoca successiva alla trascrizione del pignoramento possa pregiudicare<br />

il creditore pignorante.<br />

50<br />

In base al quale l’individuazione del contenuto degli atti soggetti a trascrizione ed opponibile<br />

ai terzi, risulta solo dal contenuto della nota di trascrizione la cui redazione, secondo le modalità<br />

previste dall’art. 2659 c.c. è affidata all’esclusiva responsabilità del soggetto che richiede la trascrizione,<br />

così Cass. n. 5002/2005, cit.<br />

51<br />

Per le problematiche relative al tema dell’apparenza nella trascrizione si rinvia a A. Falzea, voce<br />

“Apparenza”, in Enc. dir., Milano, 1958, 690; Pugliatti, op. cit., 252 ss.; E. Fabiani, op.cit., 223 ss.<br />

52<br />

R. Bonis, op. cit., 234.<br />

53<br />

Nel senso dell’annotazione F. Gazzoni, op. cit., 407 con discorso riferito alla “rettifica” dell’errore<br />

del consenso ex art. 1432 c.c.; G. Iaccarino, op. cit., 626; G. Casu, op. cit. In senso contrario,<br />

oltre alla citata circolare ministeriale del 2 maggio 1995 n. 128/T, Cass. 30 luglio 2002, n. 11265,<br />

cit., in cui la vicenda riguardava la trascrizione della rettifica ex art. 1432 c.c.; Ettorre-Silvestri, op.<br />

cit., 1123 ss.; Ettorre-Iudica, op. cit., 156 ss.; G. Petrelli, op. cit., 315; V. Fedeli, op. cit., 1089.<br />

68<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

quegli atti che inconsapevolmente 54 o meno 55 vengono qualificati dalle parti contraenti<br />

come “atti di rettifica”, e che invece costituiscono se non veri e propri atti<br />

dispositivi, quanto meno negozi dal contenuto accertativo o ricognitivo su elementi<br />

non rettificabili.<br />

In linea generale non potrebbe sostenersi la tesi dell’annotazione facendo leva<br />

sulle caratteristiche dell’atto di rettifica, argomentando dalla non incidenza di questo<br />

sul contenuto dell’atto già trascritto, sicché l’annotamento a margine non farebbe<br />

altro che segnalare che l’atto rettificato è stato, fin dall’origine, inserito nei<br />

registri immobiliari secondo il contenuto risultante dall’attività rettificativa 56 .<br />

Con ciò, infatti, si riconoscerebbe alla pubblicità dell’atto di rettifica una portata<br />

“retroattiva” non solo tra le parti, ma anche rispetto ai terzi di buona fede<br />

che, medio tempore, abbiano trascritto o iscritto una determinata formalità 57 .<br />

54<br />

Si vedano ad esempio i pareri del CNN n. 114-2010/I (estt. Ruotolo-Paolini) in CNN Notizie 9<br />

giugno 2010; n. 6095/C (estt. Boggiali-Paolini), in CNN Notizie del 26 luglio 2006; n. 410-2007/C<br />

(estt. Casu-C. Lomonaco) in CNN Notizie del 17 settembre 2007; n. 64-2008/C (estt. Ruotolo-<br />

Metallo) in CNN Notizie del 18 febbraio 2008; n. 83-2007/I (est. Boggiali) in CNN Notizie del 7 settembre<br />

2007; n. 244-2009/I (est. Boggiali) in CNN Notizie del 19 gennaio 2010; n. 188-2009/C (estt.<br />

Casu-Mattia) in CNN Notizie del 13 ottobre 2010; n. 365-2009/C (est. Casu) in CNN Notizie del 15<br />

settembre 2009; n. 5408-2004/C (estt. Fabiani-Leo) in CNN Notizie dell’1° luglio 2008; n. 268-<br />

2008/C (est. C. Lomonaco) in CNN Notizie del 17 giugno 2008.<br />

55<br />

Cass. civ. 24 luglio 1996, n. 6680, in Notariato, 1997, con nota di G. Celeste: «È da considerare<br />

lesivo del decoro e del prestigio della classe notarile, nonché della reputazione del notaio, il fatto di essersi<br />

prestato attivamente nella realizzazione di uno scopo fiscalmente elusivo di imposta voluto dalle<br />

parti (applicazione nel caso in cui in un atto di vendita si dissimulava la permanenza di un mutuo in capo<br />

al venditore, così escludendo che l’importo del mutuo stesso fosse valutato come componente del<br />

corrispettivo; mentre l’accollo del mutuo veniva inserito in altro atto surrettiziamente intestato «rettifica<br />

catastale», con cui si mirava ad escludere una tassazione sul valore dell’accollo medesimo mediante<br />

la sua dissimulazione in un atto che apparentemente aveva un altro contenuto».<br />

56<br />

G. Casu, op. cit.<br />

57<br />

In questo senso G. Casu, cit. secondo il quale «L’incidenza necessaria sull’atto da rettificare<br />

da una parte, e dall’altra la nessuna portata negoziale dell’atto di rettifica rendono inutile porsi il<br />

problema se quest’ultimo abbia effetto ex tunc oppure effetto ex nunc: incidendo sull’atto da rettificare<br />

è come se quest’ultimo, per effetto dell’atto da rettificare, sia stato fin dall’origine privo di difetti<br />

materiali. Ciò basta a far ritenere che la portata retroattiva rientra nella stessa ragion d’essere<br />

dell’atto di rettifica». Tale opinione, per l’assolutezza della formulazione, non può essere condivisa,<br />

anche perché viene fatta poggiare sulla considerazione che «la trascrizione si sostanzia in una formalità<br />

che prende data dal momento in cui essa viene attuata, mentre l’annotazione completa e dà<br />

valore alla formalità già esistente cui accede». Ma il meccanismo dell’annotazione non può pregiudicare<br />

i diritti dei terzi e la soluzione accolta nel testo resta ferma, anche ove si ritenga di applicare<br />

analogicamente alla rettifica della trascrizione l’art. 2841 c.c. in tema di rettifica dell’iscrizione ipotecaria<br />

che, in base al rinvio dell’art. 2886, c. 2, c.c.,. si deve annotare. Come infatti messo in luce dal<br />

Trib Perugia del 30 settembre 2002, cit., deve addirittura escludersi la retroattività, leggendosi nella<br />

massima di questa pronuncia che «Nell’ipotesi di errore del conservatore nel procedimento di iscrizione<br />

dell’ipoteca, alla rettifica disposta d’ufficio dell’errore commesso, visti i principi e la funzione<br />

affidata alla pubblicità immobiliare, non può essere riconosciuta efficacia retroattiva con la conseguenza<br />

che l’ipoteca – teoricamente – iscritta per prima diviene opponibile ai terzi solo dal momento<br />

della sua rettifica, e quella medio tempore iscritta deve considerarsi poziore, sempre salvi i profili risarcitori<br />

(nella fattispecie in esame il giudice ha ritenuto che l’errore, cadendo sull’identità delle parti,<br />

rendesse impossibile ai terzi il reperimento dell’atto trascritto presso i pubblici registri)».<br />

Studi e Materiali – 1/2011 69


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

Tale soluzione – a ben vedere – si porrebbe in contrasto con la regola generale<br />

che permea l’intero codice civile, e che vede la tutela dei terzi di buona fede<br />

che abbiano fatto affidamento su atti negoziali caratterizzati da apparente validità<br />

od efficacia (artt. 23 2 , 25 2 , 534 2 , 785 2 , 1399 2 c.c.), in grado di essere pregiudicata<br />

solo da una precedente trascrizione (artt. 1445, 1452, 1458 2 , 2652 n. 6 c.c.).<br />

Non si intende quindi escludere la valenza retroattiva all’atto di rettifica, ma<br />

semplicemente ribadire che tale retroattività opera soltanto tra le parti e non può<br />

essere opposta a chi ha trascritto il proprio atto anteriormente alla trascrizione<br />

dell’atto di rettifica.<br />

Conseguentemente è da escludere che l’eventuale correzione dei vizi mediante<br />

l’atto di rettifica regolarmente trascritto, possa determinare una “sanatoria”<br />

con effetti retroattivi dell’originaria trascrizione, in pregiudizio di eventuali<br />

terzi che avendo fatto affidamento sulle risultanze (transitoriamente) erronee dei<br />

registri immobiliari, abbiano trascritto o iscritto una formalità anteriormente alla<br />

successiva nuova nota di trascrizione 58 .<br />

Va poi ricordato che il contemperamento delle esigenze di conoscibilità<br />

dell’atto di rettifica non solo da parte dei contraenti, ma anche dei terzi di buona<br />

fede, è in grado di essere assicurato dalla formalità della trascrizione anche dopo<br />

la meccanizzazione delle conservatorie. Si è evidenziato infatti che “anche se la<br />

trascrizione o l’iscrizione eseguita in rettifica, prende effetto e grado dalla data<br />

della sua esecuzione, il sistema meccanizzato in sede di interrogazione fornisce<br />

la informazione che una determinata formalità è stata rettificata con una successiva<br />

e, viceversa una formalità successiva sta rettificando una precedente” 59 .<br />

Sotto un diverso profilo, inoltre, si presenta fuorviante il tentativo di giustificare<br />

l’esecuzione della pubblicità accessoria anziché principale a margine della<br />

formalità da rettificare, distinguendo tra le omissioni o le inesattezze “di scarso<br />

rilievo”, e quelle che pregiudicano la validità delle formalità. Appare infatti poco<br />

comprensibile il meccanismo che consentirebbe alle parti di distinguere gli errori<br />

o le omissioni “di scarso rilievo”, per i quali sarebbe consentito di utilizzare lo<br />

strumento dell’annotazione, dai vizi invalidanti la trascrizione – e cioè che inducono<br />

“incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico” – e che imporrebbero<br />

invece di ricorrere alla trascrizione 60 .<br />

Innanzitutto tale distinzione presuppone la divergenza della nota di trascrizione<br />

rispetto al titolo, per cui – come già evidenziato – si è in presenza di fattispecie<br />

estranea a quella in esame, in cui l’errore da rettificare presente sull’atto<br />

si è riprodotto (anche) nella nota.<br />

58<br />

Cass. 30 luglio 2002, n. 11265, cit.; App. Perugia 23 aprile 1997 e T. Perugia 8 maggio 1997,<br />

citate; R. Bonis, op. cit., 1968, 234; E. Fabiani, Trascrizione erronea, Apparenza del diritto, pignoramento<br />

e conflitto tra più «pretendenti» in relazione al medesimo bene immobile, Studio CNN n.<br />

5478/C del 2005, in Studi e Materiali, 2005, 218 ss.<br />

59<br />

Ettorre-Iudica, op. cit., 157.<br />

60<br />

R. Bonis, op. cit., 1968, 234.<br />

70<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

Infatti se si è in presenza di una divergenza della nota rispetto al titolo, si ricade<br />

nell’ambito applicativo dell’art. 2665 c.c., sicché non saranno le parti ma il<br />

giudice di merito che dovrà accertare, con apprezzamento di fatto non sindacabile<br />

in sede di legittimità 61 (specialmente quando la nota di trascrizione non contenga<br />

al suo interno alcun dato rilevatore dell’errore od omissione) se ricorra o<br />

meno un vizio “di non scarso rilievo” invalidante la formalità pubblicitaria.<br />

Che poi le parti, intenzionate ad evitare la lite, si siano “accordate” riconoscendo<br />

la portata invalidante o meno del vizio è certamente possibile, ma le<br />

stesse dovranno presentare una nuova nota di trascrizione in rettifica della precedente,<br />

che non annoteranno però, ma trascriveranno ex novo.<br />

Questo perché apparirebbe irrazionale pensare ad una diversa modalità di<br />

esecuzione delle formalità pubblicitarie rispetto alla medesima fattispecie (errore<br />

nella nota), a seconda che questa trovi o meno sbocco in una vicenda<br />

processuale.<br />

Se infatti una delle parti intenzionata ad “impugnare la validità della trascrizione”<br />

deve procedere alla trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2652 n.<br />

6 c.c., non si vede per quale ragione la stessa parte, ove convenisse con l’altra<br />

di presentare una nuova nota di trascrizione in rettifica della precedente, potrebbe<br />

“scegliere” di presentare una formalità (non da trascrivere ma)da annotare<br />

a margine di quella già eseguita.<br />

Il parallelo tra la sentenza e l’accordo delle parti è piuttosto evidente laddove<br />

si riconosca l’ammissibilità di quest’ultimo anche su errori od omissioni invalidanti<br />

la pubblicità, e dunque la perfetta sovrapponibilità tra l’oggetto dell’accordo<br />

e la materia del contendere.<br />

Ciò fa comprendere quindi come non appaia dirimente ai fini che qui interessano,<br />

richiamarsi al diverso grado di incertezza prodotta dal vizio che riguardi la<br />

sola nota nell’ambito della fattispecie dell’art. 2665, per stabilire quali siano le<br />

modalità per l’esecuzione della formalità pubblicitaria riguardo alla rettifica<br />

dell’atto ex art. 59 bis l.n. Da un lato perché la fattispecie considerata dall’art.<br />

2665 è estranea a quella in esame, e dall’altro perché la necessità di procedere<br />

a trascrizione (e non ad annotazione) della nota di trascrizione correttiva di<br />

quella già trascritta, è dettata dal fatto che essendo pur sempre soggetta a trascrizione<br />

la domanda giudiziale volta a far valer l’invalidità della trascrizione ex<br />

art. 2652, n. 6 c.c., non sarebbe per essa accettabile una diversa modalità di<br />

esecuzione della pubblicità.<br />

Si esclude, infine, che l’atto di rettifica debba essere annotato, richiamandosi<br />

l’opinione che ritiene utilizzabile questa forma di pubblicità per la c.d. “rettifica”<br />

del contratto prevista dall’art. 1432 c.c. 62<br />

61<br />

Cass. 22 aprile 1997, n. 3477, in Vita not., 1997, 875; Cass. 10 luglio 1986, n. 4497, in Riv.<br />

not., 1987, 1216.<br />

62<br />

F. Gazzoni, La trascrizione, op. cit., 406 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 71


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

È da ritenere infatti che in questo caso la formalità della trascrizione si imponga<br />

in ragione della diversa natura che presenta la “rettifica” prevista da quella<br />

norma che, correggendo un errore del consenso e non del documento, non<br />

può essere accostata alla rettifica in esame 63 .<br />

Mentre la rettifica tradizionalmente intesa è – come visto – una dichiarazione<br />

di scienza che non incide sul contenuto del negozio, la rettifica ex art. 1432 è un<br />

atto negoziale proveniente dalla parte non in errore, che si perfeziona con la<br />

manifestazione della volontà della parte in errore di mantenere il contratto rettificato,<br />

ed al quale la legge riconnette l’estinzione della facoltà di chiedere l'annullamento<br />

del contratto 64 .<br />

Se questa dunque è la natura della “rettifica” ex art. 1432 c.c., si è in presenza<br />

di un nuovo accordo che integra quello precedente e che, espunta la<br />

causa di annullabilità, si presenta con un “nuovo contenuto” che andrebbe pertanto<br />

(nuovamente) trascritto 65 .<br />

Tale soluzione sembrerebbe confermata, a contrario, dall’art. 2655, co. 4,<br />

c.c. che prevede l’annotamento solo per le “convenzioni di annullamento”, e<br />

cioè per gli accordi con i quali le parti annullano consensualmente il negozio<br />

posto in essere e non invece per quelli, come appunto quello contenuto nell’art.<br />

1432 c.c., in cui le parti eliminando il vizio di annullabilità consentono al contratto<br />

già stipulato di continuare a vivere, ma con un contenuto diverso.<br />

6. RETTIFICA E INCARICO DELLE PARTI<br />

Sulla salvezza dei diritti dei terzi, in ogni caso, incide anche il profilo legato<br />

alla necessità che il notaio debba o meno munirsi di apposito incarico delle parti<br />

dell’atto che viene rettificato, prima di procedere alla rettifica.<br />

a) Se la rettifica è posta in essere dallo stesso notaio che ha ricevuto l’atto da<br />

rettificare, è ragionevole ritenere che non occorra alcun incarico per eseguire la<br />

rettifica, potendosi rintracciare nello stesso originario mandato a stipulare l’atto da<br />

rettificare, anche l’incarico (sebbene implicito) ad eseguire le correzioni sull’atto.<br />

Non potendosi dubitare infatti che nel mandato professionale a stipulare un<br />

atto pubblico, sia ricompreso (sebbene implicitamente) anche quello di redigerlo<br />

senza errori od omissioni, l’esecuzione della rettifica si ricollega alla funzione di<br />

documentazione già posta in essere e che è destinata a chiudersi, appunto, con<br />

la rettifica. Il notaio pertanto potrà eseguire la certificazione “rettificativa”, anche<br />

prescindendo da qualunque contatto con le parti originarie che lo hanno già “au-<br />

63<br />

G. Sciumbata, L’atto di rettifica nell’attività notarile, in Vita not., 1998, III, CCLXII che esclude<br />

che anche la rettifica dell’errore di calcolo ex art. 1430 rientri nella rettifica tradizionalmente intesa.<br />

64<br />

C.M. Bianca, op. cit., 639.<br />

65<br />

La soluzione della trascrizione si evince da Cass. n. 11265/2002 emessa, come detto, proprio<br />

in relazione alla fattispecie di cui all’art. 1432.<br />

72<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

torizzato” ad intervenire sull’atto a suo tempo stipulato, nei limiti indicati dalla<br />

norma (e tenendo presente quanto sopra detto circa l’incidenza della rettifica su<br />

atti che derivano o dipendono da quello rettificato).<br />

In questo caso l’art. 59 bis si applicherà integralmente e il notaio riceverà un<br />

atto di rettifica senza che intervengano le parti dell’atto da rettificare.<br />

b) Al notaio potrebbe essere richiesto di ricevere un autonomo atto di rettifica<br />

“fine a se stesso”, e cioè non relativo ad un atto da lui ricevuto o autenticato,<br />

né giustificato dalla necessità di correggere il titolo di provenienza di un atto che<br />

lo stesso notaio è chiamato a stipulare.<br />

In questa ipotesi il negozio di rettifica potrà esplicarsi solo su apposito incarico<br />

di una o entrambe le parti dell’atto da rettificare, oppure dei loro eredi o a-<br />

venti causa, tali soggetti essendo certamente legittimati a richiedere al notaio di<br />

intervenire per correggere errori materiali sul titolo.<br />

Va ricordato come sia stato superato dalla giurisprudenza il rilievo fondato<br />

sulla necessaria bilateralità dell’atto di rettifica a cui intervengono tutte le parti<br />

del contratto da rettificare 66 ; si è quindi osservato che non avendo la dichiarazione<br />

di rettifica un contenuto negoziale ma essendo invece una dichiarazione<br />

di scienza che si limita a correggere un errore rispetto alla realtà che era già<br />

certa alle parti, se ne deve ammettere la liceità anche se posta in essere da una<br />

sola delle parti originarie 67 .<br />

L’intervento in atto delle parti richiedenti comporterà che il notaio non applicherà<br />

la disciplina dell’art. 59 bis e quindi strutturerà il negozio di rettifica secondo<br />

il tradizionale schema dell’atto ricevuto alla presenza delle parti.<br />

c) Al notaio non occorrerà invece alcun incarico espresso ad eseguire la rettifica,<br />

nell’ipotesi in cui riceva un mandato professionale a stipulare un nuovo<br />

negozio, del quale abbia accertato che l’atto da rettificare di cui non sia l’autore<br />

costituisca titolo di provenienza.<br />

In tale ipotesi potrebbe risultare che una o più parti dell’atto da rettificare abbiano<br />

conferito al notaio l’incarico di rogare l’atto, ovvero che tutte le parti<br />

dell’atto da rettificare risultino irreperibili.<br />

Se nel primo caso possono in parte valere le osservazioni sub b), l’altra ipotesi<br />

– che ricade in uno dei campi di applicazione elettivi del nuovo istituto – vede<br />

come soggetti che si rivolgono al notaio coloro che pur dichiarandosi titolari<br />

del potere di disporre del bene, non siano parti dell’atto necessitante la rettifica<br />

sul quale asseriscono si basi la propria legittimazione a disporre.<br />

Si tratta, ad esempio, delle ipotesi in cui chi dispone del bene è avente causa<br />

a vario titolo della originaria parte acquirente: es. eredi, soci assegnatari dei<br />

66<br />

T. Roma 24 maggio 2000, in Riv. not., 2000, 1473 ss.; T. Firenze 26 gennaio 1998, in Federnotizie,<br />

1998, 302 ss.; Pres. T. Firenze, 11 maggio 1995, in Federnotizie, 1996, 125.<br />

67<br />

G. Iaccarino, op. cit., 624 che ipotizza quale istituto idoneo a superare l’unilateralità anche la<br />

negotiorum gestio.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 73


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

beni della società estinta, ente a cui per legge sono pervenuti i beni di un altro<br />

ente ecc.<br />

In tale ipotesi la possibilità per il notaio di procedere alla rettifica secondo la<br />

nuova modalità, sembra fondarsi nel mandato professionale a stipulare il nuovo<br />

negozio.<br />

Poiché infatti il notaio quando esamina i presupposti dell’atto, verifica che vi<br />

sia corrispondenza tra la capacità e il potere di disporre dichiarati dalla parte<br />

con quelli risultanti dall’atto, qualora quella corrispondenza manchi – anche se<br />

solo per meri dati materiali – il notaio ha il dovere professionale di segnalare alle<br />

parti che esiste una discordanza tra dati che ritiene di dover rettificare.<br />

Ecco che, sia in base al principio generale di conservazione del contratto,<br />

sia perché la parte disponente sarebbe comunque tenuta – secondo buona fede<br />

– a prestarsi ad eseguire la rettifica nei confronti dell’altra parte, il legislatore<br />

ha (preventivamente) accordato al notaio la facoltà di procedervi direttamente,<br />

senza incarico delle parti, ricorrendo le suddette condizioni.<br />

È senz’altro da ammettere, infine, che la possibilità di procedere alla rettifica<br />

si giustifichi anche in base al nuovo comma 1 bis dell’art. 29 della legge 27 febbraio<br />

1985 n. 52 (come introdotto dal d.l. 30 maggio 2010 n. 78, convertito in<br />

legge n. 122/2010) che nell’ultima parte pone a carico del notaio il compito di<br />

individuare gli intestatari catastali e verificarne la conformità con le risultanze<br />

dei registri immobiliari.<br />

d) Diverso è il caso, invece, in cui la rettifica che si intende attuare mediante<br />

certificazione notarile sia “fine a se stessa”, senza che ricorrano le condizioni sub<br />

b), scaturendo quindi da un’iniziativa del notaio che “casualmente” abbia rilevato<br />

l’errore o l’omissione in un atto autentico di cui non sia l’autore, oppure da una richiesta<br />

proveniente da chi non sia parte dell’atto o comunque ne sia interessato.<br />

In tale circostanza sembra del tutto ingiustificata l’attività “certificativa” di rettifica<br />

degli atti pubblici affetti da errori od omissioni materiali posta in essere dal<br />

notaio.<br />

Apparirebbe invero alquanto anomala l’ipotesi in cui il notaio (diverso dal<br />

pubblico ufficiale stipulante), non incaricato di ricevere un atto del quale quello<br />

da rettificare costituisca titolo di provenienza, intervenendo di propria iniziativa o<br />

su impulso di chi non appaia legittimato, corregga un atto pubblico di cui non sia<br />

l’autore, e senza che le parti dell’atto da rettificare ne siano informate 68 .<br />

Per quanto sia da ritenere che il legislatore abbia riconosciuto in capo al notaio<br />

un generale potere di rettifica degli atti autentici, non è pensabile che la novità<br />

legislativa abbia un effetto sostanzialmente abrogativo della possibilità di<br />

continuare a ricevere atti negoziali di rettifica alla presenza delle parti dell’atto<br />

rettificato.<br />

68<br />

Ci si riferisce ad un meccanismo di conoscibilità immediato analogo alle notifiche giudiziarie,<br />

e non invece a quello attuato con la pubblicità dell’atto di rettifica nei pubblici registri.<br />

74<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Civilistici<br />

Al contrario, un’interpretazione “equilibrata” dell’art. 59 bis l.n. sembra dare<br />

come esito che se ai tradizionali poteri del notaio come pubblico documentatore,<br />

si aggiunge ora quello di tipo certificativo e correttivo al tempo stesso, l’esplicazione<br />

di tale potere continui a ricollegarsi alla volontà delle parti, che resta<br />

comunque centrale nella procedura di rettifica degli atti 69 .<br />

7. CONCLUSIONI<br />

La facoltà per il notaio di rettificare atti pubblici e scritture private autenticate<br />

– secondo quanto previsto dal nuovo art. 59 bis l.n., – mediante una “certificazione<br />

contenuta in atto pubblico da lui formato”, trae fondamento dalla natura<br />

stessa del nuovo istituto.<br />

Trattandosi infatti di un atto non in grado di incidere sul contenuto sostanziale<br />

dell’atto da correggere, né di rimuovere eventuali errori od omissioni che determinano<br />

la sua invalidità, a base dello stesso si rinviene una dichiarazione di<br />

scienza proveniente dal notaio relativa ai “dati preesistenti all’atto” dei quali il<br />

notaio ha diretta ed immediata conoscenza.<br />

Non diversamente della certificazione in generale, che si caratterizza per la<br />

riproduzione di certezze giuridiche con fede privilegiata, anche la rettifica certificata<br />

dal notaio è qualificata dalla riproduzione con la medesima forza probatoria,<br />

di elementi dell’atto erronei o mancanti a diretta conoscenza del notaio o risultanti<br />

da altri atti giuridici definitivi.<br />

Partendo da questa premessa e sulla base del dato normativo, si spiega<br />

come i dati rettificabili sono solo quelli già formati prima della stipula, sicché la<br />

rettifica notarile interesserà, ad esempio, i dati catastali e le indicazioni anagrafiche,<br />

ma anche gli estremi dei provvedimenti amministrativi richiamati nell’atto,<br />

i riferimenti dei contratti riportati nel documento ecc. La rettifica non sarà utilizzabile,<br />

invece, per rimuovere vizi che abbiano determinato nullità formale o sostanziale<br />

del negozio o per interpretarne il contenuto.<br />

Quanto alla struttura, nonostante la rettifica ex art. 59 bis l.n. sia un atto<br />

senza parti, la stessa non si libera dalla volontà di quelle interessate o legittimate<br />

alla rettifica, che resta invece presente, ancorché sullo sfondo della nuova<br />

modalità di correzione degli atti. Anche per questa ragione, ma più in generale<br />

tutte le volte che il caso concreto lo richiederà, il notaio resterà sempre libero di<br />

scegliere di adottare la rettifica in senso tradizionale stipulata con la presenza<br />

delle parti.<br />

69<br />

Pur prescindendo da ogni aspetto legato al costo della certificazione notarile di rettifica (in<br />

termini fiscali e di onorario), l’inciso “fatti salvi i diritti dei terzi” contenuto nella nuova disposizione,<br />

per quanto sovrabbondante in una disposizione che disciplina una nuova modalità di correzione degli<br />

errori materiali che non incidono sulla validità degli atti rettificati, presenta un tale grado di genericità<br />

da abbracciare ogni ipotesi in cui l’eventuale pregiudizio a carico delle parti dell’atto rettificato,<br />

possa scaturire anche solo in indirettamente dalla rettifica.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 75


Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal notaio – Studio n. 618-2010/C<br />

Con riferimento all’ambito di applicazione del nuovo istituto, si è ritenuto che<br />

lo stesso possa essere impiegato dal notaio per rettificare non solo gli atti da lui<br />

ricevuti o autenticati, ma anche quelli ricevuti o autenticati da altro notaio, nonché<br />

quelli in forma pubblica amministrativa provenienti dai pubblici ufficiali autorizzati<br />

alla stipulazione ed aventi contenuto negoziale. Quanto alle scritture private<br />

autenticate (pure rettificabili in base alla nuova norma) si è segnalata<br />

l’opportunità di procedere a rettifica solo per quelle che diano sufficienti garanzie<br />

di inalterabilità, come ad esempio quelle conservate a raccolta. Si è escluso<br />

che la rettifica in esame possa essere utilizzata per la rettifica dei provvedimenti<br />

giudiziari e per gli atti amministrativi.<br />

Quanto ai profili pubblicitari si sono evidenziati gli argomenti che consigliano<br />

di procedere a trascrizione della rettifica, sottolineandosi che in ogni caso non si<br />

avrà mai una soccombenza dei terzi che – impregiudicata ogni questione legata<br />

alla conoscenza effettiva del vizio – abbiano medio tempore, prima della trascrizione<br />

dell’atto di rettifica, trascritto o iscritto una formalità confidando sulle risultanze<br />

delle note già trascritte.<br />

Si è analizzato, infine, il profilo relativo all’incarico delle parti di procedere a<br />

rettifica.<br />

Qui si è ribadito che la rettifica degli atti mediante “certificazione” non vede mai<br />

un intervento notarile che si svolge in modo distaccato dalla volontà delle parti.<br />

La matrice volontaristica permane sempre infatti, sia che si consideri la rettifica<br />

ricollegata al mandato originario a ricevere l’atto da rettificare, sia che la si<br />

rapporti ad un nuovo mandato a porre in essere una rettifica “fine a se stessa”<br />

ovvero a stipulare un atto del quale quello da rettificare costituisca titolo di provenienza<br />

Alla luce di tale analisi può ritenersi che l’art. 59 bis della legge notarile svela<br />

una portata della norma sensibilmente più ridotta rispetto a quella ricavabile da<br />

una prima lettura.<br />

Ciò dipende per un verso, dal fatto che il meccanismo operativo della nuova<br />

procedura di rettifica, è pur sempre caratterizzato dagli stessi limiti operativi che<br />

incontrava la rettifica tradizionale dell’atto notarile. Per altro verso, dalla considerazione<br />

che il nuovo istituto non si libera dalla volontà delle parti interessate<br />

alla rettifica che resta invece ben presente. Infine, dalla constatazione che la<br />

nuova rettifica lascia sopravvivere quella tradizionalmente posta in essere alla<br />

presenza delle parti dell’atto da rettificare.<br />

La rettifica degli atti mediante “certificazione”, è bene ricordarlo, non vedrà<br />

mai un intervento notarile che si svolge in modo distaccato dalla volontà delle<br />

parti, né potrà mai svolgersi oltre quelli che sono i limiti imposti dal sistema per<br />

la correzione dei provvedimenti giudiziari.<br />

76<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Costituzione della società<br />

e indicazione dell’oggetto sociale<br />

Studio n. 203-2009/I<br />

Alessandra Paolini<br />

Approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 15 aprile 2010<br />

Sommario: 1. Premessa. Oggetto sociale: nozione e vincoli normativi. – Parte I. – 2. Indicazione<br />

dell’oggetto sociale e “determinatezza”. – 3. La funzione dell’oggetto sociale<br />

e la rilevanza organizzativa della sua formulazione. – 4. Oggetto sociale e poteri<br />

degli amministratori; 4.1. Evoluzione normativa; 4.2. Le clausole sulle “operazioni<br />

strumentali”; 4.3. Il sistema dopo la riforma del 2003 nelle società per azioni; 4.4.<br />

(Segue) e nelle società a responsabilità limitata. – 5. Prime conclusioni sulla “determinatezza”.<br />

– Parte II – 6. Oggetto sociale e liceità. – 7. Autorizzazioni per la costituzione.<br />

– 8. Autorizzazioni (o concessioni, o iscrizioni in albi, elenchi, registri) richieste<br />

per l’esercizio dell’attività riservata ed esclusiva; 8.1. Autorizzazioni per<br />

l’esercizio dell’attività e mancata conformità del contenuto dell’atto alla legislazione<br />

speciale; 8.2. Riserva (con esclusiva) espressa; 8.3. Riserva (con esclusiva) non<br />

espressa. – 9. Autorizzazioni (o concessioni, o iscrizioni in albi, elenchi, registri) richieste<br />

per l’esercizio di attività “riservate” ma non “esclusive”; 9.1. Attività con limitazione<br />

di compatibilità; 9.2. Attività senza limitazioni di compatibilità.<br />

1. PREMESSA. OGGETTO SOCIALE: NOZIONE E VINCOLI NORMATIVI<br />

Tra le previsioni essenziali dell’atto costitutivo di società di capitali, la cui<br />

mancanza produce la nullità dello stesso, figura l’indicazione dell’oggetto sociale<br />

1 , o più precisamente, secondo la formulazione introdotta a seguito della riforma<br />

del diritto societario, della “attività che costituisce l’oggetto sociale”.<br />

1<br />

Fra i contributi monografici dedicati al tema dell’oggetto sociale, prima della riforma del diritto<br />

societario, si segnalano E. Zanelli, La nozione di oggetto sociale, Milano, 1962; F. Martorano, Capacità<br />

delle società e oggetto sociale nel diritto anglo-americano, Napoli, 1961; G. La Villa, L’oggetto<br />

sociale, Milano, 1974, 1 ss.; E. Bertacchini, Oggetto sociale e interesse tutelato nella s.p.a., Milano,<br />

1995; E. Gliozzi, Gli atti estranei all’oggetto sociale nelle società per azioni, Milano, 1970; G.<br />

Caselli, Oggetto sociale e atti ultra vires, Padova, 1970. Fra i contributi successivi alla riforma, M.<br />

Bianca, Oggetto sociale ed esercizio dell’impresa nelle società di capitali, Milano, 2008; M. Stella<br />

Richter Jr., Forma e contenuto dell’atto costitutivo della società per azioni, in Tipo – Costituzione –<br />

Nullità, Trattato delle Società per Azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, vol. 1*, Torino,<br />

2004, 231 ss.; Id, sub artt. 2326-2328, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Mar-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 77


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Il presente lavoro intende esaminare la natura di tale elemento, sotto il profilo<br />

della redazione della clausola statutaria; come è noto, infatti, l’espressione<br />

“oggetto sociale” è astrattamente idonea ad indicare sia l’attività indicata<br />

nell’atto costitutivo, all’esercizio della quale sono destinati i conferimenti dei soci<br />

(oggetto statutario), sia il complesso delle operazioni effettivamente poste in<br />

essere dalla società (oggetto reale o effettivo) 2 .<br />

Ci si prefigge di verificare i criteri che devono presiedere l’operato del notaio,<br />

chiamato a svolgere il vaglio di legittimità sull’atto costitutivo ex art. 2436 c.c.,<br />

da un duplice punto di vista: quello del controllo di legalità e quello della funzione<br />

di adeguamento. In relazione al primo profilo, è necessario preliminarmente<br />

individuare i limiti normativi che il codice civile, da un lato, e le leggi speciali,<br />

dall’altro, pongono ai fini della formulazione dell’oggetto sociale; il secondo a-<br />

spetto emergerà nel prosieguo dell’analisi, una volta individuata la rilevanza organizzativa<br />

dell’elemento oggetto di indagine.<br />

Quanto ai vincoli posti dal codice civile, si deve cercare di approfondire sia<br />

cosa debba intendersi per “indicazione dell’attività che costituisce l’oggetto sociale”<br />

(art. 2328 c.c.), indagine che si sostanzia nella verifica delle espressioni<br />

che possono essere ritenute idonee a soddisfare il requisito stesso dell’indicazione,<br />

sia l’analisi dei casi nei quali può ravvisarsi la presenza dei vizi più gravi,<br />

tali da determinare la nullità della società, e quindi la “illiceità dell’oggetto sociale”,<br />

o la mancanza “di ogni indicazione riguardante l’oggetto sociale” (art. 2332<br />

c.c., primo comma, nn. 2) e 3)).<br />

Nell’individuazione dei criteri per valutare la legittimità della formulazione di<br />

tale clausola, si pone la questione del ricorso a norme diverse da quelle e-<br />

spressamente dettate in ambito societario: la giurisprudenza onoraria in sede di<br />

omologazione ha frequentemente adottato un approccio volto ad applicare<br />

all’oggetto sociale la disciplina dell’oggetto del contratto, ed in particolare l’art.<br />

chetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari – Costituzione – Conferimenti (a cura di M. Notari), Milano,<br />

2008, 75 ss.; G. Mucciarelli, Profili dell’oggetto sociale nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle<br />

società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino-<br />

Milano, I, 2006, 303 ss.; M. Miola, L’oggetto sociale tra autonomia statutaria ed autonomia gestoria,<br />

in Riv. dir. priv., 2008, 703 ss.; Aa.Vv., Oggetto ed attività delle società: ruolo e responsabilità del<br />

notaio. Atti del Convegno tenutosi a Napoli il 22 settembre 2007, Milano, 2008; C. Caccavale, Determinatezza<br />

dell’oggetto sociale ed eterogeneità delle attività economiche, in Contratto e impresa,<br />

2008, 839 ss.; L.E. Ntuk, sub art. 2328, in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da G. Cottino-G.<br />

Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti, 1, Bologna, 2004, 56 ss.; M. Sepe, sub art. 2328, in<br />

Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini-A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, I, 47<br />

ss.; F. Tassinari, sub art. 2328, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Padova,<br />

2005, I, 2639 ss.; M. Avagliano, La costituzione della società per azioni, in Studi e Materiali. Atti del<br />

convegno La riforma del diritto societario – Le riflessioni del notariato, 2004, 52 ss.; C. Montagnani,<br />

sub art. 2328 e sub art. 2463, in La riforma delle società, a cura di Sandulli-Santoro, 2003, Tomo I,<br />

37 e III, 14.<br />

2<br />

Per la distinzione tra oggetto statutario e oggetto reale, Martorano, op. cit., 5, nota n. 1, 106;<br />

per il riferimento all’oggetto effettivo G. Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile italiano fondato<br />

da F. Vassalli, Torino, 1987, 267 e 946 ss.<br />

78<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

1346 c.c., che ne detta i requisiti (possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità).<br />

Al riguardo deve però rilevarsi come sussista una profonda incertezza nella<br />

stessa individuazione della nozione di “oggetto del contratto”, desumibile dalle<br />

scarne norme del codice che ne articolano la disciplina, senza peraltro che ne<br />

sia mai fornita una definizione: dapprima indicato come uno dei requisiti del<br />

contratto (art. 1325 c.c.), se ne individuano poi i requisiti (i requisiti del requisito,<br />

dunque – art. 1346 c.c.), per poi identificarlo prima con la prestazione (art. 1347<br />

c.c.), e poi con i beni oggetto della prestazione stessa (artt. 1348-1349 c.c.). Ne<br />

risulta l’impossibilità di una definizione univoca, con mutamenti di prospettiva in<br />

relazione alla tipologia di contratto di volta in volta esaminato, nonché alle specie<br />

di obbligazioni che ne derivano.<br />

In dottrina, la ricostruzione della nozione di “oggetto del contratto” è da sempre<br />

controversa, con una pluralità di posizioni che la assimilano all’interesse regolato<br />

3 , o al risultato unitario cui le parti tendono 4 , o ancora alla prestazione o<br />

all’obbligazione 5 , o ai beni che divengono “materia di trasferimento, di godimento<br />

e simili” 6 , o al contenuto complessivo del negozio 7 .<br />

In questa sede, ci si può limitare ad osservare come, essendo la disciplina<br />

generale del contratto modellata in funzione del “fenomeno dello scambio” 8 , la<br />

nozione di “oggetto del contratto” non possa sicuramente essere identificata<br />

con l’elemento “oggetto sociale” del contratto di società; non si può, allora, non<br />

tenere conto della “tendenziale irriducibilità dell’assetto di interessi societario,<br />

(...) agli schemi privatistici del diritto soggettivo e dell’obbligo” 9 .<br />

Con il contratto di società, si mira, in primo luogo, alla costituzione di un’organizzazione<br />

autonoma, secondo lo schema causale di cui all’art. 2247 c.c.<br />

3<br />

E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile, diretto da F. Vassalli,<br />

XV, 2, Torino, 1960, 77 ss.<br />

4<br />

L. Mosco, La conversione del negozio giuridico, Napoli, 1947, 166 ss.; P. Schlesinger, Riflessioni<br />

sulla prestazione dovuta nel rapporto obbligatorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1959, 1273.<br />

5<br />

M. Giorgianni, La causa del negozio giuridico, Milano, 1961, 32; G. Mirabelli, Dei singoli contratti,<br />

in Commentario del codice civile, Torino, 1960, 127.<br />

6<br />

F. Messineo, Contratto (dir. priv.), in Enc. dir., IX. Milano, 1961, 836, con forti critiche nei confronti<br />

delle “equivoche statuizioni” del codice del 1942; lo stesso A. attribuisce significati non uniformi<br />

all’espressione “oggetto”, nelle diverse sedi della disciplina generale del contratto in cui essa ricorre<br />

(ad es. ritiene che all’art. 1376 c.c. essa sia usata nell’accezione di “contenuto”– op. cit., 839,<br />

e sostiene che i caratteri, o requisiti di cui all’art. 1346 c.c. si riferiscano alla “prestazione” – op. cit.,<br />

836).<br />

7<br />

R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Trattato di diritto civile, diretto da Grosso-Santoro<br />

Passarelli, Milano, vol. IV,1961, 135. Sottolinea invece la distinzione tra oggetto e contenuto del<br />

contratto A. Cataudella, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966, 35 ss.<br />

8<br />

P. Ferro-Luzzi, I contratti associativi, Milano, 1971, 84.<br />

9<br />

C. Angelici, Le basi contrattuali della società per azioni, in G.B. Ferri-C. Angelici, Studi sull’autonomia<br />

dei privati, Torino, 1997, 303.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 79


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Nonostante ricostruzioni diverse avanzate prima del codice del 1942 10 , sin dagli<br />

anni sessanta si registra una convergenza della dottrina sul significato da attribuire<br />

alla nozione di “oggetto sociale”, che si sostanzia nella indicazione di<br />

quell’attività economica cui è teleologicamente volta l’organizzazione 11 .<br />

L’oggetto sociale è uno degli elementi che assumono rilievo causale<br />

nell’ambito dei rapporti associativi, unitamente allo scopo e all’organizzazione:<br />

se l’oggetto identifica l’attività unitariamente esercitata, lo scopo 12 determina l’interesse<br />

individuale concretamente perseguito e l’organizzazione l’ordinamento<br />

che il gruppo si dà in funzione dell’esercizio dell’attività e della realizzazione<br />

dell’interesse comune 13 .<br />

La circostanza che per oggetto sociale debba intendersi l’attività economica<br />

(scopo-mezzo 14 ) che la società pone in essere al fine di perseguire lo scopo lucrativo<br />

è confermata dalla scelta operata dal legislatore della riforma, che muta<br />

il riferimento all’oggetto sociale in quello alla “attività che costituisce l’oggetto<br />

sociale” 15 . Muovendo dal presupposto che la società è una forma di esercizio<br />

10<br />

Per l’identificazione con i conferimenti, in quanto oggetto della prestazione cui i soci si obbligano,<br />

G. Auletta, Il contratto di società commerciale, Milano, 1937, 125 ss.<br />

11<br />

Attribuiscono all’oggetto sociale il valore tecnico di “ambito di attività della società” E. Zanelli,<br />

op. cit., 31; Ferro-Luzzi, op. cit., 366, dando conto di ricostruzioni diverse.<br />

12<br />

La nozione di “scopo” emerge espressamente, in ambito societario, solo in alcune disposizioni<br />

del codice civile: gli artt. 2247 e 2511 per il riferimento, rispettivamente, allo scopo lucrativo e a<br />

quello mutualistico; l’art. 2248 per lo scopo di godimento, che esula dallo schema causale societario;<br />

l’art. 2497-quater per il riferimento alle trasformazioni che implicano un mutamento di scopo (eterogenee).<br />

13<br />

In questi termini Ferri, op. cit., 8. La distinzione tra scopo (Zweck) e oggetto sociale (rectius,<br />

oggetto dell’impresa, Unternehmensgegenstand) è chiara anche nel sistema tedesco delle società<br />

di capitali, nonostante il riferimento allo scopo sia esplicito solo nella legge sulle società a responsabilità<br />

limitata (par. 1 GmbHG, che consente in linea teorica la costituzione di una s.r.l. anche per<br />

scopi non lucrativi: Gesellschaften mit beschränkter Haftung können […] zu jedem gesetzlich zulässigen<br />

Zweck […] errichtet werden). In genere lo scopo non è specificato nello statuto, ma si desume<br />

dall’oggetto sociale (e sul punto v. il par. 3 AktG). Si ritiene (K. Schmidt, Gesellschaftsrecht, 3. Aufl.,<br />

Köln, Berlin, Bonn, München, 1997, 68) che l’oggetto sociale sia la principale – ma non l’unica –<br />

fonte conoscitiva dello scopo, elemento concettualmente sovraordinato (nello stesso senso A.<br />

Schluck-Amend, in Nirk-Ziemons-Binnewies, Handbuch der AG, Köln, 2009, Teil I, Rz. 4.157).<br />

14<br />

P. Greco, Le società nel sistema legislativo italiano – Lineamenti generali, Torino, 1959, 8.<br />

15<br />

La rilevanza della modifica normativa è stata oggetto di valutazioni diverse da parte dei primi<br />

commentatori. Ad alcuni è parsa significativa, ed espressione di una netta preferenza, da parte del<br />

legislatore, per una precisa indicazione dell’oggetto sociale (Avagliano, op. cit., 66; A. Busani, La riforma<br />

delle società e dei bilanci – Le nuove regole per spa e srl, Milano, 2003, 12; D.U. Santosuosso,<br />

La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 30); secondo altri, si sarebbe persa l’occasione<br />

per intervenire in maniera incisiva sulla questione (G.F. Campobasso, La costituzione della società<br />

per azioni, in Società, 2003, 283 ss.; Id., in Parere dei componenti del Collegio dei docenti del Dottorato<br />

di ricerca in diritto commerciale interno e internazionale, in Riv. soc., 2002, 1453 ss.). Sul<br />

punto v. anche Montagnani, op. cit., Tomo I, 37 e Tomo III, 14; Ntuk, op. cit., 66; Sepe, op. cit., 47<br />

ss.; Mucciarelli, op. cit., 309; A. Bertolotti, Costituzione della società e conferimenti, in Il nuovo diritto<br />

societario, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2005, 43 ss.; F. Di Sabato, Diritto delle società, Milano,<br />

2004, 146; P. Zanelli, Gli atti e i verbali societari (Controlli e massime notarili), in Trattato di diritto<br />

commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Padova, 2006, 110 ss.<br />

80<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

collettivo dell’impresa 16 , l’oggetto sociale può essere inteso in chiave descrittiva<br />

dell’impresa che la società esercita 17 : analogamente a quanto avviene in ambito<br />

di disciplina degli obblighi a carico dell’imprenditore commerciale, ove l’art.<br />

2196, comma 1, n. 3), c.c., impone di indicare, in sede di iscrizione presso il registro<br />

delle imprese, “l’oggetto dell’impresa”. Significativo in tal senso è anche il<br />

tenore dell’art. 2380-bis c.c., dal quale si evince come la gestione dell’impresa –<br />

che compete esclusivamente agli amministratori – si realizzi tramite il compimento<br />

delle operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.<br />

Il rafforzamento della posizione sistematica centrale dell’impresa nella ricostruzione<br />

del fenomeno societario a seguito della riforma del 2003 è stato ampiamente<br />

sottolineato, seppure con differenze di impostazioni 18 . Nell’ordinamento<br />

tedesco l’indicazione statutaria dell’attività che la società svolge è designata<br />

proprio con l’espressione oggetto dell’impresa 19 .<br />

Non pare sussistere, allora, alcun fondamento, né di ordine normativo, né di<br />

natura sistematica per un’applicazione dell’art. 1346 c.c., relativo all’oggetto del<br />

contratto, all’oggetto sociale, nozione non coincidente con l’oggetto del contratto di<br />

società 20 : in ogni caso, è nel corpus normativo delle società di capitali che si pos-<br />

16<br />

G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1950, 126. In B. Libonati, L’impresa e le società.<br />

Lezioni di diritto commerciale. Le società di persone. Le società per azioni, Milano, 2004, 6, la<br />

nozione di società come “organizzazione dell’esercizio dell’attività di impresa”.<br />

17<br />

L’impresa assume rilievo autonomamente, in una prospettiva metaindividuale e oggettiva (C.<br />

Angelici, La riforma delle società di capitali – Lezioni di diritto commerciale, seconda edizione, Padova,<br />

2006, 215), quale “fenomeno produttivo oggettivamente considerato”, in modo tale da non<br />

consentire una configurazione della società in termini di “soggetto” dell’impresa (così G. Ferri jr.,<br />

Brevi osservazioni in tema di impresa e società, in Riv. dir. comm., 2009, 543).<br />

18<br />

Secondo una prospettiva “contrattualistica”, C. Angelici, Introduzione alla riforma delle società<br />

di capitali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa<br />

e G.B. Portale, Torino, I, 2006, 5 ss.; Id., La riforma…, cit.; Id., Note minime su “La libertà<br />

contrattuale e i rapporti societari”, in Giur. comm., 2009, I 403 ss.; Ferri jr., op. cit., 541 ss.; Id., Oggetto<br />

sociale e ambito di applicazione delle procedure concorsuali, in Aa. Vv. Oggetto ed attività<br />

delle società…, cit. Secondo un’impostazione “neoistituzionalistica” M. Libertini, Scelte fondamentali<br />

di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per<br />

un corso di diritto commerciale, in RDS, 2008, 198 ss., spec. 204 ss.; Id., Riflessioni generali, in G.<br />

Cian (a cura di), Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Padova, 2004,<br />

249 ss.; P. Montalenti, Il conflitto di interessi nella riforma del diritto societario, ivi, 200; G. Oppo, Le<br />

grandi opzioni della riforma e la società per azioni, ivi, 14 ss. Un’importante riflessione sulla tendenziale<br />

neutralità, sul piano ideologico, delle opzioni “impresa attività” e “impresa istituzione” in G. Cottino,<br />

Contrattualismo e istituzionalismo (variazioni sul tema da uno spunto di Giorgio Oppo), in Riv.<br />

soc., 2005, 693 ss.<br />

19<br />

Gegenstand des Unternehmenhs: par. 23 AktG e par. 3 GmbHG. Significativamente, per designare<br />

l’oggetto degli enti associativi in generale, la dottrina (Schmidt, op. cit., 67) fa riferimento al<br />

concetto di attività (Gegenstand der Verbandstätigkeit): l’attività delle società è, allora, l’esercizio di<br />

un’impresa.<br />

20<br />

G. Romano-Pavoni, Teoria delle società, Milano, 1953, 370 ss., pur distinguendo l’oggetto<br />

sociale dall’oggetto del contratto di società, che di quest’ultimo rappresenterebbe un elemento,<br />

giunge per questa ragione ad applicare anche ad esso l’art. 1346 c.c.; E. Zanelli, (op. cit., 12 ss.),<br />

invece, partendo dal presupposto dell’eterogeneità dell’oggetto sociale rispetto all’oggetto del contratto<br />

– e dubitando persino della necessaria natura contrattuale della società – rifiuta l’applicabilità<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 81


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

sono rinvenire apposite disposizioni, volte a fissare, direttamente o indirettamente,<br />

i requisiti dell’oggetto sociale, e dunque a chiarire se e in quale misura debbano<br />

sussistere i requisiti di cui all’art. 1346 c.c. (possibilità, liceità, determinatezza) 21 .<br />

Quanto alla “possibilità” 22 , deve aversi riguardo all’art. 2484 c.c., che individua<br />

tra le cause di scioglimento l’impossibilità sopravvenuta di conseguire<br />

l’oggetto sociale: pur non essendo esplicitamente individuato il relativo “requisito”,<br />

è evidente come l’attività dedotta nell’oggetto sociale debba essere suscettibile<br />

di trovare attuazione, trovando altrimenti applicazione, sin dalla costituzione<br />

della società, l’art. 2486 c.c., con l’impossibilità per gli amministratori di porre<br />

in essere atti diversi da quelli puramente conservativi 23 . In sede di costituzione,<br />

naturalmente, potrà essere effettuata una verifica “di possibilità” su un piano<br />

meramente astratto 24 ; la norma in materia di scioglimento, invece, è suscettibile<br />

di un’applicazione più vasta, posto che è idonea ad operare in relazione ad una<br />

impossibilità “in concreto”, soggetta però all’esclusivo apprezzamento dell’organo<br />

amministrativo 25 . Non può non tenersi conto, inoltre, di come il requisito della<br />

possibilità subisca una certa evoluzione diacronica, in ragione del progredire<br />

delle conoscenze tecniche e scientifiche.<br />

Quanto alla liceità, l’art. 2332 c.c. sancisce la nullità della società il cui oggetto<br />

sociale sia illecito. Nel seconda parte del presente lavoro si approfondirà<br />

tale profilo, sia con riguardo alle attività di per sé illecite, sia a quelle il cui svoldiretta<br />

dell’art. 1346 c.c. all’oggetto sociale, ma perviene comunque, per altra via, a ritenere applicabile<br />

la sostanza di tale disposizione all’oggetto sociale: “a questo riguardo, si deve senz’altro convenire<br />

che l’oggetto sociale in senso proprio debba essere possibile, lecito, determinato o determinabile:<br />

ma non già perché esso sia, di per sé, elemento contrattuale (oggetto del contratto di società)<br />

e quindi direttamente regolato dall’art. 1346 c.c. vigente, bensì perché questi principi generali del<br />

diritto delle obbligazioni sono anche applicabili, comunque, come è noto, e agli atti unilaterali tra vivi<br />

e aventi un contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.), e in genere a qualsiasi elemento di un rapporto o<br />

istituto giuridico contemplato positivamente dall’ordinamento, e ciò per necessità logica” (op. cit.,<br />

29, nota n. 28).<br />

21<br />

G. Ferri jr.-M. Stella Richter, L’oggetto sociale statutario, in Giust. civ., II, 2002, 494; Stella Richter,<br />

sub artt. 2326-2328…, cit., 108.<br />

22<br />

Sui rapporti tra impossibilità originaria e sopravvenuta, Ferri jr.-Stella Richter, op. cit., 494 ss.<br />

23<br />

A. Borgioli, La nullità della società per azioni, Milano, 1977, 419; La Villa, op. cit.,111 ss.<br />

24<br />

Precisa correttamente che “una attività (originariamente) impossibile appare, proprio per ciò,<br />

già in astratto inidonea a produrre un lucro” G. Ferri jr., Riflessioni in tema di oggetto statutario di<br />

società di capitali, in Riv. dir. comm., I, 2002, 517 ss.<br />

Va ricordata l’autorevole dottrina, rimasta minoritaria, che ritiene necessaria una verifica della<br />

congruità del capitale rispetto all’attività programmata già in sede di costituzione (G.B. Portale, Capitale<br />

sociale e società sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, 27, e seguita da una parte della giurisprudenza<br />

onoraria: T. Piacenza, 17 luglio 1995, in Società, 1996, 190; T. Pistoia 17 febbraio 1999,<br />

in Società, 1999, 741. Contra, App. L’Aquila 13 giugno 1980, in Foro it., 1981, I, 2083; T. Trieste 18<br />

dicembre 1985, in Giur. comm., 1987, II, 331; Giur. it., 1987, I, 202; T. Napoli 12 gennaio 1989, in<br />

Giur. comm., 1989, II, 426; T. Cosenza 21 giugno 1990, in Società, 1990, 1386; T. Torino 7 marzo<br />

1996, in Società, 1996, 1279).<br />

25<br />

Sottolinea come questo tipo di valutazioni sia preclusa al pubblico ufficiale rogante Stella Richter,<br />

sub artt. 2326-2328…, cit., 109.<br />

82<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

gimento sia precluso alle società di capitali, ed inoltre si presterà particolare attenzione<br />

all’evenienza di previsione, nell’oggetto sociale, di attività “esclusive”<br />

e/o “riservate”.<br />

Con queste espressioni ci si riferisce a quelle ipotesi in cui la legge riservi lo<br />

svolgimento di particolari attività a determinati soggetti, in possesso di specificati<br />

requisiti, in genere tenuti ad iscriversi in appositi albi o registri, ed assoggettati<br />

a controlli amministrativi; in taluni casi, la legge vieta che le attività oggetto di riserva<br />

siano svolte insieme ad attività di diversa natura, o limita il novero delle<br />

attività con esse compatibili.<br />

Nessun riferimento normativo esplicito, invece, è rinvenibile sulla questione<br />

delle modalità attraverso le quali si debba indicare l’oggetto sociale; e su questo<br />

aspetto occorre soffermarsi.<br />

PARTE I<br />

2. INDICAZIONE DELL’OGGETTO SOCIALE E “DETERMINATEZZA”<br />

La mancanza di riferimenti normativi espliciti, come accennato, ha dato origine<br />

alla frequente applicazione, da parte della dottrina 26 e della giurisprudenza,<br />

dell’art. 1346 c.c. all’oggetto sociale, allo scopo, in particolare, di affermare la<br />

esigenza di “determinatezza” di quest’ultimo. Si è dato conto dell’eterogeneità<br />

della nozione di oggetto sociale rispetto a quella di oggetto del contratto, e della<br />

conseguente inapplicabilità di tale disposizione. La stessa applicazione della<br />

norma risulta, inoltre, effettuata con un correttivo, rifiutandosi che l’oggetto sociale<br />

possa essere anche solo meramente determinabile 27 , come affermato invece<br />

nella norma riferita all’oggetto del contratto.<br />

Gli elementi positivi che emergono esplicitamente dal dato normativo in funzione<br />

connotativa dell’oggetto sociale sono due: che l’oggetto sociale deve consistere,<br />

ex art. 2247 c.c., in una attività economica 28 , e che la mancanza di qualsiasi<br />

indicazione è una delle cause di nullità dell’atto costitutivo (ex art. 2332<br />

c.c.). Invero, non vi sono ulteriori spunti normativi, almeno diretti, per poter pervenire<br />

ad affermare che l’indicazione dell’oggetto sociale debba necessariamente<br />

essere dotata di ulteriori caratteristiche qualitative (degli espressi riferi-<br />

26<br />

Tra molti, La Villa, op. cit., 62 ss.; Romano-Pavoni, op. cit., 370 ss.; E. Zanelli, op. cit., 12 ss.;<br />

Sepe, op. cit., 47.<br />

27<br />

In dottrina, tra i primi ad escludere l’applicabilità della determinabilità: Ferro-Luzzi, op. cit.,<br />

367, A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1963, 34, nota n. 4; La Villa, op. cit., 106 ss. (e nota n.<br />

67, 106, per il riferimento alla dottrina contraria). Nella giurisprudenza onoraria è costante<br />

l’affermazione secondo cui l’oggetto sociale deve essere indicato con un sufficiente grado di specificazione<br />

e deve, pertanto, essere determinato e non meramente determinabile. In questo senso<br />

anche Sepe, op. cit., 48, nota n. 39.<br />

28<br />

Sul punto ampiamente Ferri jr., Riflessioni…, cit., 499 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 83


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

menti alla possibilità e liceità, di cui agli artt. 2332, 2379, 2479-ter c.c., si è già<br />

dato conto) 29 .<br />

Né, in particolare, può attribuirsi particolare rilievo alla circostanza dell'utilizzo<br />

al singolare del termine “attività” 30 , non essendo consentito desumere dalla<br />

stessa una presunta limitazione di carattere quantitativo 31 .<br />

È stata, negli anni, l’opera degli interpreti, con il decisivo avallo da parte della<br />

giurisprudenza onoraria in sede di omologazione, ad affermare la presunta<br />

esistenza del requisito della determinatezza 32 . E tuttavia, a ben vedere, le prese<br />

di posizione, in concreto, tradiscono scelte del tutto opinabili; non si è mai pervenuto,<br />

infatti, all’elaborazione di un criterio univoco, di principi in base ai quali<br />

analizzare la portata delle espressioni scelte per la configurazione della clauso-<br />

29<br />

Osservano comunque significativamente, con riguardo al requisito della determinatezza, che<br />

“ciò che non sia, almeno con una certa approssimazione, determinato non può dirsi logicamente indicato”,<br />

Ferri jr.-Stella Richter, op. cit., 494; v. anche Stella Richter, sub artt. 2326-2328…, cit., 109.<br />

30<br />

Montagnani, op. cit., Tomo I, 37; Ntuk, op. cit., 66; Mucciarelli, op. cit., 310; M. Notari, Costituzione<br />

e conferimenti nella S.p.a., in Aa.Vv., Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma<br />

e modelli statutari, Milano, 2003, 6; Sepe, op. cit., 48; Caccavale, op. cit., 850. Diversamente T.<br />

Bertuzzi, Sub art. 2328, in La riforma del diritto societario – Società per azioni, a cura di G. Lo Cascio,<br />

Milano, 2003, 47.<br />

31<br />

La nozione stessa di “attività”, intesa come elemento idoneo a raggruppare una serie di atti in<br />

funzione del risultato che, attraverso essi, si intende conseguire, (v. infra, par. 4.1) è suscettibile di<br />

interpretazioni secondo piani distinti. L’attività indicata deve rappresentare il complesso ambito operativo<br />

della società; nulla esclude, tuttavia, che all’interno dello stesso possano essere individuate<br />

più serie di atti riconducibili a diverse nozioni di attività “in senso oggettivo”. In via esemplificativa, si<br />

pensi all’attività svolta dalle banche, disciplinata in modo particolareggiato dal legislatore: esse possono<br />

esercitare l’attività bancaria (che, di per sé, già comprende le attività di raccolta del risparmio<br />

tra il pubblico ed esercizio del credito), nonché ogni altra attività finanziaria (e quindi le attività di cui<br />

all’art. 106 T.U.B.), attività di consulenza, attività di intermediazione mobiliare, etc. Si vedano gli artt.<br />

1 lett. f), 10, 11, 16, 106, 114-bis e 114-sexies del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico<br />

delle leggi in materia bancaria e creditizia) e gli artt. 1, commi 5 e 6, 18 e 29 del D.Lgs. 24 febbraio<br />

1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria). Tuttavia, mentre<br />

per i settori analiticamente regolamentati è lo stesso legislatore a chiarire la possibile estensione<br />

dell’attività, negli altri casi, salva la previsione specifica di incompatibilità previste dal legislatore,<br />

non si dispone di un criterio di fonte normativa per verificare la possibilità di coesistenza di attività di<br />

natura diversa.<br />

32<br />

Si fa frequentemente riferimento alla possibilità di indicare una pluralità di attività, purché le<br />

indicazioni non risultino talmente generiche e onnicomprensive da rendere l’oggetto sostanzialmente<br />

indeterminato: T. Roma, 14 dicembre 1977, (due decreti), in Riv. dir. comm., 1979, II, 157 ss. con<br />

nota di G. Ferri, In tema di determinazione dell’oggetto sociale; T. Ascoli Piceno 26 maggio 1982, in<br />

Riv. not., 1984, 949; App. Milano 6 ottobre 1986, in Società, 1986, 384 ss.; App. Catania 23 gennaio<br />

1987, in Società, 1987, 433; T. Venezia 13 febbraio 1987, in Società, 1987, 831; T. Genova 11<br />

luglio 1987, in Società, 1987, 1076; T. Verona 9 febbraio 1988, in Società, 1988, 530; App. Genova<br />

24 giugno 1988, in Giur. it., 1988, I, 623; T. Bologna 18 gennaio 1990, in Vita not., 1990, 580; T.<br />

Cassino 23 marzo 1990, in Vita not., 1991, 634; T. Bologna 15 gennaio 1991, in Società, 1991, 824;<br />

T. Udine 13 novembre 1991, in Consiglio Notarile di Udine, Giurisprudenza onoraria del Tribunale di<br />

Udine, Udine, 2000, 51; T. Trani 25 maggio 1993, in Riv. not., 1993, 934, con nota di Pappa Monteforte;<br />

T. Trani 11 agosto 1993, in Riv. not., 1994, 885; App. Catania 22 ottobre 1993, in Vita not.,<br />

1994, 316; T. Bologna 8 marzo 1995, in Società, 1995, 1230; App. Milano 13 luglio 1996, in Riv.<br />

not., 1996, 1524; T. Udine 5 agosto 1996, in Dir. fall., 1996, 1143.<br />

84<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

la. Le medesime difficoltà sussistono, del resto, quanto alla qualificazione del<br />

concetto di determinatezza e determinabilità dell’oggetto del contratto (art. 1346<br />

c.c.), ambito in cui il tentativo è reso ancor più arduo dalla difficoltà di isolare,<br />

dogmaticamente, la nozione di oggetto del contratto. E pure a questo riguardo<br />

la giurisprudenza fornisce massime che “si segnalano per singolare vaghezza,<br />

plurivocità, non di rado contraddittorietà” 33 . In mancanza di una norma che stabilisca<br />

criteri per l’identificazione dell’oggetto del contratto, la giurisprudenza ha ritenuto<br />

idoneo “ogni mezzo, purché sia atto ad una identificazione che non lasci<br />

possibilità di equivoci e non è escluso che essa possa essere fatta anche aliunde,<br />

con riferimento ad altri atti o documenti” 34 .<br />

Che a conclusioni dello stesso tenore si possa pervenire anche in ambito di<br />

società è da escludere, in ragione della natura degli statuti societari, i quali “in<br />

quanto complesso di regole organizzative, non esauriscono la loro operatività<br />

con riferimento a singole operazioni, ma richiedono una “vigenza” destinata a<br />

prolungarsi nel tempo e si accostano sotto questo profilo alle norme in senso<br />

oggettivo” 35 .<br />

Deve pertanto escludersi 36 che sia consentito il ricorso a forme di relatio, fatta<br />

eccezione per i casi di puntuale rinvio a disposizioni normative 37 .<br />

Restando nell’ambito della valutazione del grado di specificazione relativo<br />

all’indicazione dell’oggetto sociale, permane comunque la difficoltà di stabilire<br />

secondo quali modalità, ed in base a quali criteri, possa esprimersi un giudizio.<br />

Ne è testimonianza la divergenza di posizioni della giurisprudenza onoraria in<br />

33<br />

Così E. Roppo, Sugli usi giudiziali della categoria “indeterminatezza/indeterminabilità<br />

dell’oggetto del contratto” e su una sua recente applicazione a tutela di “contraenti deboli”, in Alpa-<br />

Bessone-Roppo, Rischio contrattuale e autonomia privata, Napoli, 1982,125.<br />

34<br />

Cass. 15 marzo 1969, n. 842, in Rep. giust. civ., 1969, v. Obbligazioni e contratti, n. 416; conformi<br />

Cass. 4 luglio 1975, n. 2604, in Rep. foro it., 1975, v. Contratto in genere, n. 138.<br />

35<br />

C. Angelici, Appunti sull’interpretazione degli statuti di società per azioni, in G.B. Ferri-C. Angelici,<br />

op. cit., 338; il saggio è pubblicato anche in C. Angelici, Attività e organizzazione. Studi di diritto<br />

delle società, Torino, 2007, 3 ss.<br />

36<br />

In questo senso C. Angelici, La costituzione della società per azioni, in Trattato Rescigno, vol.<br />

16, 1985, 236; Ferri jr.-Stella Richter, op. cit., 497; Stella Richter, sub artt. 2326-2328…, cit., 110;<br />

La Villa, op. cit., 73; Borgioli, op. cit., 339 ss.; G. Capo, La società per azioni – La costituzione e la<br />

nullità della società – Le modificazioni statutarie, Trattato di diritto commerciale diretto da V. Buonocore,<br />

Sezione IV – Tomo 5.1, Torino, 2010, 104.<br />

37<br />

L’inserimento in statuto di un riferimento a specifici provvedimenti normativi determina, in caso<br />

di successiva modifica delle disposizioni richiamate, la questione dell’interpretazione del rinvio –<br />

se cioè, esso debba essere inteso come fisso (volto quindi a richiamare la norma vigente al momento<br />

della redazione della clausola) o mobile (da riferirsi alle successive modificazioni<br />

dell’ordinamento). Sul punto, Stella Richter, Forma e contenuto…, cit., 301 ss. In ambito di clausole<br />

relative all’oggetto sociale, il rinvio a norme che disciplinino il contenuto di attività speciali deve essere<br />

inteso tendenzialmente come mobile, secondo un criterio di interpretazione conservativa: in<br />

numerosi statuti è ancora presente, ad esempio, il rinvio alla l. 1/1991 (provvedimento che per primo<br />

introduceva una disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare, poi confluita nel T.U.F.), in<br />

funzione di individuazione dell’ambito di operatività che alla società non è consentito svolgere.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 85


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

relazioni a fattispecie concrete sostanzialmente identiche 38 . Non sembra, però,<br />

che un’adeguata soluzione possa rinvenirsi nell’introduzione ad opera del legislatore<br />

di ulteriori elementi di specificazione della fattispecie astratta, cioè del riferimento<br />

alla “attività che costituisce l’oggetto sociale” di cui al n. 3, comma secondo,<br />

degli artt. 2328 e 2463 c.c. 39 Da parte di alcuni interpreti, nell’imminenza<br />

della riforma del diritto societario, è stata sottolineata l’eccessiva cautela del legislatore,<br />

lamentando la mancata introduzione di un deciso intervento chiarificatore<br />

40 , attraverso l’introduzione di una formulazione analoga a quella adottata<br />

dal codice di commercio 41 .<br />

Neppure potrebbe risultare decisivo riprendere le formulazioni adottate dal legislatore<br />

tedesco che, in tema di società azionarie richiede, per le imprese che<br />

operano nel commercio o nell’industria, la specificazione del tipo di prodotti o<br />

merci da produrre o mettere in commercio 42 (oltretutto, in materia di società a responsabilità<br />

limitata si opta per il semplice riferimento all’oggetto dell’impresa 43 ).<br />

Anche le formulazioni adottate nel codice di commercio, o nell’AktG, infatti,<br />

possiedono un elevato grado di genericità, e non sono quindi in grado di individuare<br />

una chiave ermeneutica in base alla quale limitare la possibile estensione<br />

dell’ambito operativo di una società o valutare quale sia il grado minimo di analiticità<br />

che tali indicazioni devono possedere.<br />

38<br />

Cfr. ad es. App. Catania 22 febbraio 1989, in Società, 1989, 960 e App. Bari 16 dicembre<br />

1993, in Riv. not., 1994, 886.<br />

39<br />

Per la ratio della diversa scelta operata in ambito di società cooperative, si rinvia a G.A.M.<br />

Trimarchi, L’oggetto sociale delle società cooperative: simmetrie e incongruenze tra mutualità e requisiti<br />

dei soci, in Aa.Vv., Oggetto ed attività delle società…, cit., 203 ss.<br />

40<br />

Campobasso, La costituzione della società per azioni…, cit., 283 ss.; Id., in Parere…, cit.,<br />

1453 ss. Montagnani, op. cit., Tomo I, 37 e Tomo III, 14; Ntuk, op. cit., 66; Mucciarelli, op. cit., 309;<br />

A. Bertolotti, Costituzione della società e conferimenti, in Il nuovo diritto societario, a cura di S. Ambrosini,<br />

Torino, 2005, 43 ss.; F. Di Sabato, op. cit., 2004, 146; P. Zanelli, op. cit., 110 ss. In particolare,<br />

secondo Campobasso, Parere..., cit., 1453, l’attuale testo normativo, come il previgente, nel richiedere<br />

che l’atto costitutivo indichi “l’attività che costituisce l’oggetto sociale”, finisce per avallare il<br />

perpetuarsi della diffusa prassi di indicare oggetti sociali estremamente generici o omnicomprensivi.<br />

Di qui il suggerimento, de iure condendo, di integrare il testo dell’art. 2328, comma 1°, n. 3, con<br />

l’indicazione che l’atto costitutivo deve specificare il settore economico, il settore merceologico e/o<br />

le modalità di svolgimento dell’attività (ad esempio, supermercato, e-commerce, e così via).<br />

41<br />

L’art. 89, n. 2, cod. comm. richiedeva l’indicazione della qualità e specie degli affari; secondo<br />

Campobasso, La costituzione della società per azioni…, cit., 285, la diversa formulazione adottata<br />

dal codice del 1942 sarebbe “alla base della diffusa prassi di indicare oggetti sociali estremamente<br />

generici o onnicomprensivi”.<br />

42<br />

AktG, par. 23: “In der Urkunde sind anzugeben: [...] den Gegenstand des Unternehmens;<br />

namentlich ist bei Industrie– und Handelsunternehmen die Art der Erzeugnisse und Waren, die hergestellt<br />

und gehandelt werden sollen, näher anzugeben”.<br />

43<br />

GmbHG, par. 3: “Der Gesellschaftsvertrag muss enthalten: [...] den Gegenstand des Unternehmens”.<br />

Per una riflessione sulla diversa formulazione della norme nell’AktG e nella GmbH, R.<br />

Wallner, Der Unternehmensgegenstand der GmbH als Ausdruck der Unternehmensfreiheit, in JZ,<br />

1986, 721 ss.; Schmidt, op. cit., 67 ss.<br />

86<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

La formula prescelta deve essere necessariamente elaborata in termini generali<br />

ed astratti (e, dunque, utilizzando termini quali “attività”, “settori”, “specie”,<br />

“categorie”), in quanto rivolta alla generalità delle società di un certo tipo; d’altro<br />

canto, operare riferimenti più puntuali (limitando, ad esempio, il numero dei settori<br />

di attività, chiedendo la precisazione degli ambiti merceologici), costituirebbe<br />

un arbitrario limite all’autonomia individuale e alla libertà di iniziativa economica,<br />

costituzionalmente tutelata 44 (fatta salva la possibilità di dettare una disciplina<br />

speciale per singole attività, in relazione agli interessi pubblici sottesi) e<br />

comunque si rivelerebbe di scarsa utilità, per l’impossibilità di rappresentare efficacemente<br />

tutte le possibili articolazioni della realtà imprenditoriale.<br />

Dal punto di vista della concreta operatività si può osservare come una determinata<br />

clausola relativa all’oggetto sociale, astrattamente configurata, possa<br />

essere soggetta a valutazioni diverse in relazione al tipo di attività esercitata, alla<br />

dotazione patrimoniale, alle dimensioni ed alle caratteristiche imprenditoriali<br />

della singola società.<br />

È opportuno, tuttavia, sottolineare come la questione non possa essere affrontata<br />

unicamente dal punto di vista delle espressioni linguistiche scelte per<br />

formulare la clausola, soffermandosi in particolare sul presunto requisito della<br />

“determinatezza”, dovendosi invece verificare l’idoneità delle espressioni utilizzate<br />

alla effettiva descrizione dell’impresa che i soci intendono esercitare.<br />

Come accennato, se la società è una forma di esercizio collettivo<br />

dell’impresa, la funzione dell’indicazione dell’oggetto sociale si pone sullo stesso<br />

piano di quella dell’oggetto dell’impresa di cui all’art. 2196, comma 1, n. 3.<br />

In tale sede, l’indicazione non assume la rilevanza causale propria dei contratti<br />

associativi, cioè di designazione dell’attività comune che consentirà di attuare<br />

lo scopo comune; e tuttavia l’accostamento delle nozioni consente, in ambito<br />

societario, di cogliere la rilevanza causale (e tipologica) dell’indicazione<br />

dell’oggetto sociale, che, pur nell’affievolimento della rilevanza esterna della<br />

nozione, non viene meno in caso di società unipersonali 45 .<br />

Il legislatore, come ricordato, ha scelto di sanzionare soltanto la “mancanza<br />

di ogni indicazione” 46 ; al di là dell’ipotesi in cui sia del tutto assente la relativa<br />

clausola statutaria, possono essere ad essa equiparate anche quelle espressioni<br />

dalle quali risulti in concreto la mancanza di capacità connotative in capo<br />

alla formula adottata. In proposito, è stato osservato come “la mancata indicazione<br />

di almeno un’attività specificamente identificata valga ad integrare l’e-<br />

44<br />

Si sofferma sui profili di rilevanza costituzionale sollevati dalla questione della formulazione<br />

dell’oggetto sociale Wallner, op. cit., 726 ss.<br />

45<br />

Per alcune riflessioni sulla rilevanza dell’oggetto sociale anche nelle società unipersonali, v.<br />

Wallner, op. cit., 725.<br />

46<br />

Sottolinea le difficoltà esegetiche dell’espressione E. Bocchini, I vizi della costituzione e la<br />

“nullità della società per azioni”, Napoli, 1977, 243.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 87


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

stremo della mancanza di ogni indicazione dell’oggetto sociale, con conseguente<br />

nullità della società” 47 .<br />

Ciò comporta che il riferimento all’esercizio di una “attività economica”, di per<br />

sé già ricompresa nella nozione tipologica di società, ex art. 2247 c.c., pare risolversi<br />

nella “mancanza di ogni indicazione”. Del pari deve ritenersi insufficiente<br />

il riferimento ad una attività “commerciale” o “imprenditoriale” 48 . E tuttavia,<br />

anche con riguardo a queste ipotesi sussistono opinioni contrastanti 49 , e la questione<br />

non può dirsi pacifica: dunque, in concreto può rilevarsi non agevole stabilire<br />

in quali casi sia ravvisabile la nullità ex art. 2332 c.c. 50<br />

È innegabile però che il nostro legislatore, nel richiedere l’indicazione<br />

dell’oggetto sociale a pena di nullità, ha compiuto una scelta precisa, diversamente<br />

da quanto avvenuto in altri ordinamenti 51 . Come regola di condotta, pertanto,<br />

devono essere rifiutate quelle espressioni inidonee a delineare, sia pure<br />

con un certo grado di approssimazione, l’impresa che i soci intendono porre in<br />

essere, dovendosi individuare i tratti essenziali della stessa in relazione alla tipologia<br />

dei settori di riferimento, eventualmente integrati dalla precisazione delle<br />

singole modalità operative 52 .<br />

47<br />

Così M. Maltoni, sub art. 2332, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, vol.<br />

I, Padova, 2005, 85; M. Bertuzzi, Sub art. 2332, in La riforma del diritto societario – Società per a-<br />

zioni, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 102; Bianca, op. cit., 130 ss.<br />

48<br />

Ulteriori espressioni che non soddisfano il requisito dell’indicazione in Ferri jr.-Stella Richter,<br />

op. cit., 496, e in Stella Richter, sub artt. 2326-2328…, cit., 110: “ogni specie di affari”; “ogni attività<br />

industriale o commerciale”; il riferimento all’”agricoltura o industria”, all’”attività immobiliare, agricola<br />

o manifatturiera”, a “tutte le operazioni di compravendita”. Il rifiuto di omologazione per il riferimento<br />

a “partecipazione ad appalti, trattative, gare di enti pubblici o provati”, senza alcun riferimento al settore<br />

commerciale e ai contenuti contrattuali conseguenti in T. Roma 3 marzo 1993, in Riv. not.,<br />

1993, 171 ss.; il rifiuto di omologazione per il riferimento alla “attività commerciale e agricola in genere”<br />

in T. Treviso 30 giugno 1984 in Società, 1985, 631.<br />

49<br />

Le ritengono ammissibili Ferri jr., Riflessioni… cit., 512 ss.; Martorano, op. cit., 104 ss., pur<br />

sottolineando i rischi connessi alla loro adozione; sembrerebbe contrario Caccavale, op. cit., 843,<br />

ma v. poi le precisazioni ivi, 844-845.<br />

50<br />

Sul punto v. le attente ricostruzioni di D. Falconio, Responsabilità notarile ed oggetto sociale<br />

ovvero “nullità va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei l’atto rifiuta”, in Aa.Vv., Oggetto ed attività<br />

delle società…, cit., 343 ss. e di V. Pappa Monteforte, L’oggetto sociale e l’articolazione dei<br />

controlli: il notaio, il conservatore dell’archivio notarile, il registro delle imprese, ivi, 323 ss.<br />

51<br />

Ci si riferisce al Companies Act del 2006 del Regno Unito, che consente la costituzione di società<br />

con oggetto sociale unrestricted, della quale, tuttavia, non possono dirsi del tutto fugati i dubbi<br />

di incompatibilità con la Seconda Direttiva CE, che contempla l’oggetto sociale tra i requisiti essenziali<br />

dell’atto costitutivo: sul punto M. Bianca, Le società con oggetto sociale “unrestricted”: un e-<br />

sempio da imitare?, in Giur. comm., 2009, 299 e nota n. 29.<br />

52<br />

Consiglio Notarile di Milano, Massime notarili in materia societaria, Milano, 2007, 16:<br />

“L’obbligo di indicare nell’atto costitutivo l’oggetto sociale (art. 2328, n. 3 e art. 2475, n. 3 c.c.) implica<br />

che tale indicazione debba avvenire in modo specifico e non generico. La specificità normalmente<br />

risulta dalla individuazione congiunta del settore economico in cui la società intende operare (produzione<br />

e/o scambio o prestazione di servizi) e dalla specificazione dei settori merceologici di riferimento,<br />

ma può anche risultare dalle particolari modalità con cui l’attività verrà svolta che, tenuto<br />

conto delle mutate esigenze e valutazioni socio-economiche, possono assumere una loro particola-<br />

(segue)<br />

88<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

3. LA FUNZIONE DELL’OGGETTO SOCIALE E LA RILEVANZA<br />

ORGANIZZATIVA DELLA SUA FORMULAZIONE<br />

La prospettiva dell’esame della formulazione letterale, nella conduzione<br />

dell’indagine, non pare sufficiente, da sola, a dirimere completamente le incertezze<br />

interpretative: è opportuno pertanto che essa sia integrata con l’adozione<br />

di una prospettiva funzionale, auspicabile anche in ragione dei suoi esiti applicativi.<br />

Nella prassi, infatti, le fattispecie di dubbia legittimità più ricorrenti non<br />

sembrano essere quelle di clausole dell’oggetto sociale caratterizzate da eccessiva<br />

stringatezza, ma piuttosto quelle costituite da elenchi molto ampi e variegati<br />

di attività diverse.<br />

Poiché il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica vieta di<br />

porre, a priori, dei limiti all’ampiezza dell’articolazione di un’organizzazione imprenditoriale,<br />

diventa oltremodo complesso individuare un criterio selettivo in<br />

base al quale sindacare l’estensione del novero delle attività elencate. Occorre,<br />

allora, muovere dall’esame della funzione concreta dell’oggetto sociale, appena<br />

precisata in chiave di individuazione dell’impresa sociale 53 .<br />

Il presupposto per un’efficace operatività dei modelli tipologici di società predisposti<br />

dal legislatore è la tendenziale corrispondenza tra l’attività indicata nello<br />

statuto e l’attività concretamente esercitata: in presenza di un disallineamento<br />

rilevante, si svuotano di significato una serie di disposizioni (o comunque si determinano<br />

difficoltà nell’applicazione delle stesse) 54 : quelle in materia di recesso<br />

(artt. 2437 ss., 2473, 2497-quater c.c.), di assunzione di partecipazioni (2361<br />

c.c.), di scioglimento (art. 2482 n. 2 c.c.) 55 . Un particolare approfondimento 56 mere<br />

specificità indipendente dal settore merceologico a cui l’attività verrà applicata: è il caso, in via<br />

meramente esemplificativa, dell’attività commerciale svolta attraverso ipermercati e supermercati,<br />

dell’e-commerce, di particolari attività di import-export, della commercializzazione di prodotti ricevuti<br />

da gruppi in pagamento di altre prestazioni (ad esempio attività pubblicitarie)”.<br />

53<br />

Nell’ambito di un’impostazione incentrata sulla massima discrezionalità – in ossequio al principio<br />

costituzionale della libertà di impresa – nella formulazione dell’oggetto sociale di s.r.l., Wallner<br />

(op. cit., 727) sottolinea che questo debba essere fedele ai principi di “verità” e “chiarezza” (Gegenstandswahrheit<br />

e Gegenstandsfreiheit): ciò comporta la necessità di procedere ad una modificazione<br />

dell’oggetto sociale anche in caso di successiva limitazione dell’effettivo ambito di svolgimento<br />

dell’attività della società rispetto a quanto programmato nell’atto costitutivo (Wallner, op. cit., 729).<br />

54<br />

Ferri jr., Riflessioni…, cit., 514, osserva al riguardo che “l’ampiezza dell’oggetto sociale non<br />

impedisce affatto l’operatività delle norme che ad esso fanno riferimento, ma incide appunto soltanto<br />

sulle condizioni della loro applicazione”.<br />

Bianca (op. ult. cit., 300 ss.) ritiene che, ove nel nostro ordinamento si ammettessero società ad<br />

oggetto sociale unrestricted, come attualmente consentito dal Companies Act inglese del 2006, esse<br />

costituirebbero “categoria a sé stante, latrice di una sua propria disciplina”, proprio in ragione<br />

della rilevanza delle disposizioni codicistiche che risulterebbero di difficile o nessuna applicazione<br />

(soffermandosi, in particolare, sugli att. 2380-bis, 2437, 2332 c.c.).<br />

55<br />

Bertuzzi, Sub art. 2328…, cit., 47, mette in risalto l’eliminazione del requisito dell’esuberanza rispetto<br />

all’oggetto sociale nella fattispecie della riduzione volontaria del capitale (art. 2445 c.c.), ritenendo<br />

che ciò possa comportare un progressivo abbandono della prassi di indicare negli atti costitutivi<br />

una serie numerosa e disomogenea di attività; sui fattori all’origine di tale prassi v. però infra.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 89


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

ritano le norme relative all’amministrazione ed all’estensione dei poteri di gestione<br />

e di rappresentanza (artt. 2380-bis, 2484, 2475-bis c.c.).<br />

La chiara determinazione dell’oggetto sociale, inoltre, assume rilievo anche<br />

in ordine alla individuazione di limiti operativi all’articolazione dell’assetto finanziario<br />

delle società, in relazione all’emissione di azioni correlate (art. 2350 c.c.)<br />

e alla costituzione di patrimoni destinati (art. 2447-bis c.c.) 57 .<br />

Da ultimo, giova ricordare che il nostro ordinamento non riconosce in maniera<br />

diretta un interesse dei creditori alla configurazione dell’oggetto sociale, come<br />

testimoniato dalla disciplina della delibera di modificazione dello stesso, dalla<br />

quale deriva il diritto di recesso del socio, ma che è immediatamente eseguibile,<br />

senza alcuna possibilità di opposizione dei creditori 58 .<br />

La conoscenza dell’articolazione concreta dell’attività societaria può comunque<br />

trarsi dalla consultazione del bilancio, e in particolare dalla relazione sulla<br />

gestione (art. 2428 c.c.), nella quale deve farsi espresso riferimento ai vari settori<br />

in cui la società ha operato. È tuttavia innegabile che la presenza di una<br />

clausola dell’oggetto sociale troppo generica non offra garanzie sulla futura a-<br />

zione degli amministratori, privando quindi i creditori (e i finanziatori in senso lato,<br />

estendendo la riflessione anche ai potenziali sottoscrittori dei diversi strumenti<br />

a disposizione dell’autonomia privata, partecipativi e non) della possibilità<br />

di valutare, con un certo margine di sicurezza, le prospettive reddituali della società:<br />

la capacità di attrarre risorse dipenderà anche dal grado di efficienza e<br />

chiarezza dell’organizzazione corporativa, e soprattutto dalla individuazione dell’impresa<br />

cui esse saranno destinate 59 .<br />

L’oggetto sociale, svolgendo la funzione essenziale di individuazione dell’impresa,<br />

è rilevante nei confronti di tutti coloro che entrano in contatto con la società,<br />

e dunque non solo per i soci ma anche per gli stakeholders. Le conclusioni,<br />

tuttavia, non mutano anche ove si voglia adottare una prospettiva strettamente<br />

incentrata sull’organizzazione “interna” del soggetto-società.<br />

Anche secondo questa impostazione, si può osservare come la definizione<br />

dell’oggetto sociale non soddisfi solo interessi dei soci, astrattamente disponibili<br />

(con riguardo, ad esempio, alla implicita rinuncia al diritto di recesso che deriverebbe<br />

dalla formulazione dell’oggetto sociale in termini estremamente ampi, o<br />

comunque tali da non riflettere l’ambito effettivo dell’operatività della società,<br />

così che al mutare dell’attività esercitata, verrebbe meno la possibilità di individuare<br />

il presupposto di esercizio del diritto di recesso), ma concerna anche diritti<br />

di soggetti estranei alla compagine sociale, (si pensi all’ipotesi di recesso,<br />

56<br />

V. infra, par. seguente.<br />

57<br />

Sul punto, v. Mucciarelli, op. cit., 314 ss.<br />

58<br />

Ante riforma, la tutela dei creditori accordata ex art. 2445 c.c., seppure connessa all’oggetto<br />

della società, era in realtà posta a tutela dell’integrità del capitale sociale.<br />

59<br />

Per la rilevanza dell’impresa e dell’attività in relazione all’articolazione dei rapporti patrimoniali<br />

che si instaurano con la società Angelici, La riforma…, cit., 2006, 222 ss.<br />

90<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

stabilita dall’art. 2497-quater c.c., in caso di mutamento dell’oggetto sociale<br />

comportante alterazione delle condizioni economiche e patrimoniali della società<br />

che esercita attività di direzione e coordinamento, a favore del socio della società<br />

diretta).<br />

Non da ultimo, va ribadito come la competenza 60 alla determinazione dell’oggetto<br />

sociale sia attribuita inderogabilmente all’assemblea dei soci 61 , non essendo<br />

delegabile – né esplicitamente, né implicitamente – all’organo amministrativo.<br />

A questo riguardo occorre mettere in evidenza l’importanza del ruolo del notaio,<br />

non solo dal punto di vista del controllo di legalità (funzione di adeguamento<br />

necessario), ma anche da quello della migliore funzionalità dello strumento<br />

societario, in relazione agli effettivi intenti imprenditoriali dei soci (funzione di<br />

adeguamento facoltativo). Al fine di poter esplicare al meglio tale funzione, si<br />

devono porre in evidenza alcune delle cause che hanno originato la prassi che<br />

tende alla dilatazione del contenuto della clausola dell’oggetto sociale e le loro<br />

conseguenze sul piano organizzativo, in modo da verificare se i presunti vantaggi<br />

che derivano da una sua ampia formulazione siano vanificati dalle disfunzioni<br />

sull’organizzazione societaria derivanti dal disallineamento tra quanto e-<br />

nunciato nello statuto e quanto posto in essere.<br />

4. OGGETTO SOCIALE E POTERI DEGLI AMMINISTRATORI<br />

4.1. Evoluzione normativa<br />

La prassi dell’indicazione vaga dell’oggetto sociale trae origine da una serie<br />

di fattori, primi tra tutti quelli legati alla estensione del potere di rappresentanza<br />

degli amministratori.<br />

In ambito societario, la questione rappresenta il punto di emersione della<br />

dialettica tra l’esigenza di tutela dei soci – volta a circoscrivere l’area del rischio<br />

imprenditoriale connesso all’investimento, attraverso la possibilità di respingere<br />

gli effetti dell’agire degli amministratori allorché sia difforme da quanto stabilito<br />

nel contratto sociale – e quella di tutela dei traffici commerciali – in funzione della<br />

quale si mira a limitare l’onere di verifica da parte dei terzi sui poteri spettanti<br />

agli amministratori, e quindi a sottrarre gli atti da essi compiuti da possibili censure<br />

(invalidità, inefficacia) derivanti dalla violazione della regola statutaria.<br />

60<br />

Rafforzata da un quorum più elevato in seconda convocazione per le s.p.a. che non fanno ricorso<br />

al mercato del capitale di rischio (art. 2369, quinto comma, c.c.) e dal diritto di recesso (artt.<br />

2437 e 2473 c.c.).<br />

61<br />

V. Mucciarelli, op. cit., 318 s., per l’affermazione di tale principio con riguardo all’individuazione<br />

del settore di riferimento per le azioni correlate, nonché in relazione all’ambito di costituzione del<br />

patrimonio destinato: in entrambi i casi gli amministratori sono tenuti ad agire entro i limiti posti<br />

dall’oggetto sociale statutario, la cui determinazione compete inderogabilmente all’assemblea.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 91


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Storicamente, può essere significativo osservare come, sul piano normativo,<br />

la scelta più rigorosa in punto di rilevanza dell’oggetto sociale – in funzione di<br />

limitazione della stessa capacità della società, nel Regno Unito, con<br />

l’accoglimento della c.d. teoria dell’ultra vires 62<br />

– sia stata operata a seguito di<br />

gravi scandali finanziari, maturati in un contesto di irrilevanza – e di disinteresse<br />

da parte degli investitori – dell’attività di impresa esercitata 63 . In quel sistema, la<br />

radicale nullità – non ratificabile, neppure all’unanimità 64 – degli atti non rientranti<br />

nell’oggetto sociale, nonché l’immodificabilità della clausola stessa, avevano<br />

indotto gli operatori ad ampliare oltremodo il contenuto di tale clausola, integrandolo<br />

con l’indicazione dei “poteri” degli amministratori 65 .<br />

Un’evoluzione diversa si è avuta invece nel nostro ordinamento, ove, vigente<br />

il codice di commercio, non si è mai posta in dubbio la capacità generale della<br />

società. In considerazione della posizione riconosciuta, secondo quel sistema,<br />

agli amministratori, qualificati “mandatari” della società, la questione era affrontata<br />

in un’ottica di limitazione ai poteri di rappresentanza 66 . L’art. 122 del codice<br />

di commercio vietava agli amministratori di compiere “altre operazioni che quelle<br />

specialmente menzionate nell’atto costitutivo”. La formulazione della norma<br />

diede adito a talune interpretazioni volte a ritenere necessaria la specifica elencazione<br />

delle tipologie di atti attraverso i quali realizzare l’oggetto sociale 67 , dalle<br />

quali si ingenerò la prassi di procedere alla redazione della clausola dell’oggetto<br />

sociale secondo minuziose elencazioni di singole tipologie di atti.<br />

Nel sistema del codice vigente, in ambito di società di capitali, come è noto,<br />

il fenomeno ha subito una profonda evoluzione normativa: dapprima risultava<br />

applicabile l’art. 2298 c.c., espressamente richiamato dall’art. 2384 c.c., nella<br />

sua stesura originaria; successivamente, nel 1969, veniva data parziale attuazione<br />

alla prima direttiva comunitaria 68 , con la modifica dell’art. 2384 c.c. e<br />

62<br />

Principio introdotto con il Bubble Act del 1720. Sul punto, ampi riferimenti in Martorano, op.<br />

cit., 17 ss., E. Zanelli, op. cit., 376 ss.; La Villa, op. cit., 17 ss.; Bianca, Oggetto sociale…, cit., 18 ss.<br />

63<br />

Un’approfondita ricognizione del tema in Davies, Gower and Davies’ Principles of Modern<br />

Company Law, Seventh edition, London, 2003, 129 ss.<br />

64<br />

Attorney-General vs. Great Eastern Railway (1880), App. Cas. 473, HL; Baroness Wenlock<br />

vs. River Dee Co (1885), 10, App. Cas. 354, HL.<br />

65<br />

L’indicazione proveniente dalla reazione delle Corti, che tentavano di ricondurre i “poteri” in<br />

posizione di strumentalità rispetto a quanto indicato nell’oggetto, è stata nuovamente aggirata dalla<br />

prassi, con l’aggiunta della precisazione che ognuno dei poteri e delle attività indicate dovesse essere<br />

intesa come indipendente (“each of the specified objects or powers should be treated as independent<br />

and in no way ancillary or subordinate one to another”), per poi successivamente approdare<br />

alla previsione dello svolgimento di “ogni tipo di commercio o affari”). V. Davies, op. cit., 129 ss.<br />

66<br />

Bianca, op. cit., 46 ss.<br />

67<br />

La Villa, op. cit., 175 ss.<br />

68<br />

Prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1958, intesa a coordinare, per renderle<br />

equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società a mente dell’articolo 58<br />

(oggi 48), secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi. Sulla base<br />

del “considerando” secondo il quale “la tutela dei terzi deve essere assicurata mediante disposizioni<br />

che limitino, per quanto possibile, le cause di invalidità delle obbligazioni assunte in nome della so-<br />

(segue)<br />

92<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

l’introduzione dell’art. 2384-bis c.c.; infine, con la riforma del diritto societario del<br />

2003, viene data completa attuazione al testo della prima direttiva, con la soppressione<br />

dell’art. 2384-bis c.c. e l’ulteriore modifica dell’art. 2384 c.c.<br />

Dalla possibilità di poter eccepire in ogni caso l’estraneità degli atti rispetto<br />

all’oggetto sociale, o la sussistenza di limitazioni derivanti dall’atto costitutivo o<br />

dalla procura, purché iscritte nel registro delle imprese (e, in mancanza di pubblicità,<br />

qualora se ne provasse la conoscenza da parte del terzo), il regime si attenua<br />

con la riforma del 1969, facendo salvi in ogni caso i diritti dei terzi di buona<br />

fede, ed esponendo al rischio di eccezioni di estraneità solo i terzi che agiscano<br />

con l’intento doloso di danneggiare la società (circostanza da provare in<br />

caso di limitazioni al potere di rappresentanza pubblicate), o in mala fede (per<br />

l’estraneità degli atti rispetto all’oggetto sociale) 69 , fino a rendere, con la riforma<br />

del 2003, del tutto inopponibile ai terzi qualsiasi rilievo inerente limitazioni del<br />

potere rappresentativo conferito agli amministratori, a prescindere dallo stato<br />

soggettivo dei terzi, con l’eccezione di coloro che abbiano intenzionalmente agito<br />

a danno della società 70 .<br />

cietà”, l’art. 9, comma primo, prevede che “Gli atti compiuti dagli organi sociali obbligano la società<br />

nei confronti dei terzi, anche quando tali atti sono estranei all’oggetto sociale, a meno che non eccedano<br />

i poteri che la legge conferisce o consente di conferire ai predetti organi. Tuttavia, gli Stati<br />

membri possono stabilire che la società non sia obbligata quando tali atti superano i limiti<br />

dell’oggetto sociale, se essa prova che il terzo sapeva che l’atto superava detti limiti o non poteva<br />

ignorarlo, considerate le circostanze, essendo escluso che la sola pubblicazione dello statuto basti<br />

a costituire tale prova”.<br />

69<br />

Una recente sentenza di Cassazione (4 ottobre 2010, n. 20597, inedita) con riguardo ad una<br />

fattispecie cui era applicabile l’art. 2384-bis, c.c., giunge ad affermare la nullità dell’atto ultra vires,<br />

ponendosi però in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che<br />

pacificamente (con riguardo al regime ante riforma del 2003) ritiene che l’atto eccedente i limiti<br />

dell’oggetto sociale sia inefficace e inopponibile, e non nullo (Cass. 2 settembre 2004, n. 17678, in<br />

Giur. it., 2005, 985, con nota di Luoni; Cass. 11 dicembre 2006, n. 26325, in Giur. it., 2007, 1437;<br />

Cass. 15 aprile 2008, n. 9905, in BBTC, 2009, 269 ss., con nota di M. Miola).<br />

70<br />

Si segnala come sia controverso se la disciplina delle limitazioni volontarie ai poteri degli<br />

amministratori, di cui al secondo comma dell’art. 2384 c.c. (exceptio doli), possa essere applicata<br />

anche alle limitazioni derivanti dall’oggetto sociale: in senso negativo L. Salamone, Oggetto sociale<br />

e poteri di rappresentanza dell’organo amministrativo, in Giur. comm., 2008, I, 1095 ss. La dottrina<br />

maggioritaria giunge comunque a ritenere opponibili le limitazioni derivanti dall’oggetto sociale, nei<br />

confronti dei terzi che abbiano intenzionalmente agito a danno della società, attraverso un’applicazione<br />

diretta o analogica dell’art. 2384, secondo comma, c.c.: tra molti, F. Bonelli, L’amministrazione<br />

delle spa nella riforma, in Giur. comm., 2003, II, 700 ss.; G. Mosco, sub art. 2384, in Società di<br />

capitali. Commentario, a cura di Niccolini-Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 610 ss.; S. Gisolfi-M.C.<br />

Lupetti, La rappresentanza generale degli amministratori di società di capitali, in Riv. not., 2004,<br />

1329 ss.; V. Calandra Buonaura, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società per a-<br />

zioni, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-<br />

G.B. Portale, Torino-Milano, II, 2006, 662 ss.; A. Dentamaro, sub art. 2384, in Il nuovo diritto societario.<br />

Commentario, diretto da G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti, 1, Bologna,<br />

2004, 690 ss.; C. Malberti, sub art. 2384, in Amministratori, a cura di Ghezzi, in Commentario alla riforma<br />

delle società diretto da Marchetti-Bianchi-Notari, Milano, 2006, 198.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 93


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

4.2. Le clausole sulle “operazioni strumentali”<br />

La prassi 71 di includere, nella formulazione dell’oggetto sociale, una minuziosa<br />

elencazione di atti che potranno risultare utili o opportuni al conseguimento<br />

dell’oggetto medesimo (prassi che, in definitiva, si risolve nella precisazione dei<br />

“poteri” degli amministratori), risente sia delle clausole abitualmente usate durante<br />

la vigenza del codice di commercio, sia del rigoroso e acritico recepimento,<br />

da parte degli operatori, di due risalenti sentenze della Cassazione 72 . Deve<br />

però precisarsi che le due sentenze erano incentrate sulla disciplina del conflitto<br />

di interessi 73 , e solo in una delle due era contenuto un riferimento, quasi un obiter<br />

dictum, alla portata delimitativa dell’oggetto sociale 74 . Le cautele ispirate da<br />

tali sentenze hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo della prassi citata<br />

75 , che si è andata progressivamente consolidando.<br />

Appare ormai pacifico il principio, da tempo ribadito dalla migliore dottrina 76 ,<br />

e poi recepito anche dalla giurisprudenza 77 , consistente nell'impossibilità di determinare<br />

l'inerenza “automatica” all'oggetto sociale di un atto, tipologicamente<br />

individuato.<br />

71<br />

Prassi che da alcuni (G. Caselli, Oggetto sociale e atti ultra vires: dieci anni dopo, in Riv. soc.,<br />

1980, 754 ss., 757 e 758) è stata definita “assurda” e “stolta”, da altri (L.M.A. Di Cesare, Gli atti e-<br />

stranei all’oggetto sociale, in Vita not., 1999, II, 377 ss., 378) “assai prudente e statica”. R. Weigmann<br />

(Rappresentanza e oggetto sociale nelle società di capitali, in Impresa e tecniche di documentazione<br />

giuridica, II. Documentazione e vita dell’impresa, Milano, 1990, 256) ritiene che simili<br />

elenchi siano “superflui”.<br />

72<br />

Cass. 25 ottobre 1958, n. 3471, e Cass. 20 giugno 1958, n. 2148, in Foro it., 1959, I, 1150<br />

ss., e in BBTC, 1959, II, 27 ss., con nota critica di G. Ferri, Fideiussioni prestate da società, oggetto<br />

sociale, conflitto di interessi. Per una ricostruzione efficace v. Caselli, op. ult. cit., 754.<br />

73<br />

Si trattava della prestazione di fideiussioni, in nome e per conto di una società, a favore di<br />

una banca per garantire le obbligazioni di un’altra società, nella quale erano interessati gli amministratori<br />

della prima. Sul tema delle garanzie nei gruppi, per tutti, M. Miola, Le garanzie intragruppo,<br />

Torino, 1993 e R. Santagata, Oggetto sociale e articolazione dell’attività imprenditoriale, in Aa.Vv.,<br />

Oggetto ed attività delle società…, cit., 97 ss.<br />

74<br />

In Cass. n. 3471, cit., si afferma genericamente l’esorbitanza della fideiussione rispetto<br />

all’oggetto sociale, e la necessità di un “verbale assembleare”, per il mutamento dell’oggetto sociale,<br />

“autorizzante la fideiussione”, nonostante la presenza della “clausola di stile” in materia di operazioni<br />

strumentali. Ma, negli stessi anni, per l’irrilevanza dell’eventuale deliberazione dell’assemblea<br />

ordinaria v. T. Parma, 6 febbraio 1957, con nota di Mengoni.<br />

75<br />

Caselli, op. ult. cit., 757, parla di un vero e proprio “equivoco”; v. anche G. Grippo, Travisamento<br />

e persuasività dell’obiter dictum in due casi emblematici, in Contratto e impresa, 1997, 668.<br />

76<br />

T. Ascarelli, Fideiussione, conflitto di interessi e deliberazioni di consiglio; oggetto e capacità<br />

sociale, in Riv. soc., 1959, 726; Ferri, op. ult. cit., 27; R. Weigmann, Rappresentanza e oggetto sociale<br />

nelle società di capitali, in Impresa e tecniche di documentazione giuridica, vol. II, Milano,<br />

1990, 256.<br />

77<br />

La giurisprudenza ha spesso affrontato la questione (soprattutto in relazione alla prestazione<br />

di garanzie): Cass. 14 maggio 1999, n. 4774, in Giur. comm., 2001, 50; App. Roma 22 febbraio<br />

1996, in Foro it., 1997, I, 1612; Cass. 15 giugno 2000, n. 8159, in Giur. comm., 2002, II, 34; App.<br />

Bologna 29 gennaio 2003, in Società, 2003, 1120; T. Roma 10 gennaio 2001, in Società, 2001,<br />

1256, con nota di Di Majo; in Giur. it., 2001, 1431, con nota di R. Weigmann; Cass. 2 settembre<br />

2004, n. 17678, cit.; Cass. 15 aprile 2008, n. 9905, cit.<br />

94<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

Non si richiede, infatti, al fine di valutare l’estraneità di un’operazione rispetto<br />

all’oggetto sociale, un giudizio astratto di pertinenza sul tipo di atto (“prestazione<br />

di fideiussione” o “concessione di ipoteca”), ma deve essere verificato se, in<br />

concreto, un singolo atto determinato risulti strumentale all’attività della società<br />

78 . Sono frequenti, in giurisprudenza, casi nei quali, nonostante l’esplicita previsione<br />

della tipologia di atto tra le “operazioni strumentali”, l’operazione in concreto<br />

sia stata ritenuta estranea all’oggetto sociale 79 .<br />

Ed inoltre, non è possibile prevedere, in anticipo, tutte le specie di atti che<br />

potrebbero risultare necessari, o utili, o opportuni, per lo svolgimento dell’attività.<br />

Tentare di predisporre tali elenchi “è fatica vana ed anche pericolosa, perché<br />

naturalmente suffraga l’ipotesi che si possano fare soltanto quegli atti che sono<br />

espressamente elencati” 80 .<br />

L’oggetto sociale è costituito da un’attività, ossia da atti teleologicamente o-<br />

rientati 81 , volti al raggiungimento di una determinata finalità, di uno specifico risultato<br />

(che, in questo contesto, sarà di natura economico-imprenditoriale): se è<br />

pur vero che la presenza di una pluralità di atti è condizione necessaria per<br />

l’individuazione dell'attività (e dunque risulta possibile identificare un'attività in<br />

via deduttiva, sulla base degli atti che la compongono), essa non risulta condizione<br />

sufficiente, in quanto non è vero che qualsiasi insieme di atti sia idoneo a<br />

costituire un’attività.<br />

La prassi tendente alla dilatazione della clausola dell’oggetto sociale, sorta<br />

al fine di contrastare le possibili eccezioni di estraneità si è rivelata, in concreto,<br />

inidonea allo scopo.<br />

4.3. Il sistema dopo la riforma del 2003 nelle società per azioni<br />

La funzione primaria dell’indicazione dell’oggetto sociale viene rintracciata,<br />

dalla dottrina tradizionale 82 , nella necessità di individuare il programma economico<br />

della società, circoscrivendo l’area di rischio per i soci, e limitando così la<br />

discrezionalità dell’organo amministrativo. La competenza dell’assemblea stra-<br />

78<br />

Caselli, op. ult. cit., 758; Ferri, op. ult. cit., 31; R. Weigmann, Società per azioni, in Riv. trim.<br />

dir. proc. civ., 1994, 209 ss., 221.<br />

79<br />

T. Roma, 10 gennaio 2001, cit., ha, ad esempio, rilevato l’estraneità rispetto all’oggetto sociale<br />

della concessione di ipoteche sugli immobili sociali a favore di un’altra società (perché concessa<br />

in ragione di vincoli di parentela tra i rispettivi soci di controllo), nonostante la previsione, nell’atto<br />

costitutivo, di una clausola in materia di operazioni strumentali che comprendeva tale tipo di negozi.<br />

La decisione è stata confermata in appello (ma la pronuncia risulta inedita), come si legge nella motivazione<br />

della pronuncia della Cassazione sulla questione (Cass. 15 aprile 2008, n. 9905, cit.), che<br />

conclude invece per la piena efficacia delle garanzie (ma in quanto autorizzate da apposita deliberazione<br />

assembleare, non in ragione della previsione della clausola sulle operazioni strumentali).<br />

80<br />

Così Caselli, op. ult. cit., 758.<br />

81<br />

G. Auletta, Attività (Dir. Priv.), in Enc. Dir., III, Milano, 1958, 981 ss.<br />

82<br />

Si rinvia alle trattazioni generali di E. Zanelli, op. cit.; Caselli, Oggetto sociale…, cit.; Gliozzi,<br />

op. cit.; La Villa, op. cit.; E. Bertacchini, op. cit.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 95


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

ordinaria ad assumere la relativa deliberazione è inderogabile, ed è altresì previsto,<br />

per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, un<br />

quorum rafforzato (art. 2369, comma 5, c.c.).<br />

Il tema merita di essere valutato alla luce dei significativi interventi operati<br />

dalla riforma quanto alla ripartizione delle competenze in materia gestoria.<br />

In ambito di società per azioni si afferma esplicitamente il principio dell’esclusiva<br />

competenza dell’organo amministrativo alla gestione dell’impresa (art.<br />

2380-bis) 83 , mentre è escluso – in linea di principio – un ruolo dell’assemblea<br />

dei soci al riguardo 84 . Il “nuovo” art. 2364, n. 5, infatti, non riproduce il corrispondente<br />

art. 2364 n. 4 c.c. 85 , ma consente unicamente il rilascio di autorizzazioni,<br />

se previste statutariamente, per il compimento di determinati atti. Resta ferma,<br />

in ogni caso, la responsabilità degli amministratori – come già sostenuto dalla<br />

dottrina in relazione al precedente sistema 86 , nonostante l’ambiguità della formulazione<br />

del n. 4 dell’art. 2364 previgente –, circostanza che fa propendere la<br />

prevalente dottrina per la mancanza di vincolatività della deliberazione assembleare<br />

“autorizzativa” 87 .<br />

83<br />

Anteriormente alla riforma del diritto societario, vi era diversità di posizioni fra chi riteneva che<br />

gli amministratori avessero una competenza esclusiva ed inderogabile in materia di gestione (F.<br />

Bonelli, Gli amministratori di Società per azioni, Milano, 1985) e chi, invece, sosteneva che lo statuto<br />

ben potesse trasferire all’assemblea – quale centro propulsore dell’attività sociale – pregnanti<br />

funzioni gestorie (P. Abbadessa, La gestione dell’impresa nella società per azioni, Milano, 1975, 31;<br />

V. Calandra Buonaura, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in Trattato<br />

delle società per azioni diretto da G.E. Colombo-G.B. Portale, vol. 4, Torino, 1990, 117; A. Pavone<br />

La Rosa, Le attribuzioni dell’assemblea della società per azioni in ordine al compimento di atti<br />

inerenti alla gestione sociale, in Riv. soc., 1997, 16 ss.).<br />

84<br />

Sul punto in dottrina, con posizioni distinte, G.B. Portale, Rapporti fra assemblea e organo<br />

gestorio nei sistemi di amministrazione, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso,<br />

diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale, Torino-Milano, II, 2006, 10; V. Pinto, Brevi osservazioni<br />

in tema di deliberazioni assembleari e gestione dell’impresa nella società per azioni, in Riv. dir.<br />

impr., 2004, 441; P. Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza e procedimento nella legge<br />

di riforma, in Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative (Atti Convegno di<br />

Piacenza, 14-15 marzo 2003, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza),<br />

a cura di M. Rescigno-A. Sciarrone Alibrandi, Milano, 2004, 275 ss.; A. Tucci, Gestione<br />

dell’impresa sociale e “supervisione” degli azionisti. L’esperienza italiana a confronto con la disciplina<br />

delle public companies nordamericane, Milano, 2003, 29; F. Bonelli, L’amministrazione delle spa<br />

nella riforma, cit., 700 ss.; F. Guerrera, La responsabilità “deliberativa” nelle società di capitali, Torino,<br />

2004, 56 ss.; N. Abriani, sub art. 2380-bis, in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da<br />

G. Cottino-G. Bonfante-O. Cagnasso-P. Montalenti, 1, Bologna, 2004, 671 ss.<br />

85<br />

Per una critica alla formulazione della norma, che andrebbe oltre il dettato della legge delega<br />

(art. 4, comma 8, lett. c) della legge 3 ottobre 2001, n. 366, il quale si limita a obbligare il legislatore delegato<br />

a “definire le competenze dell’organo amministrativo con riferimento all’esclusiva responsabilità<br />

di gestione” e non, quindi, alla gestione esclusiva), G.B. Portale, op. ult. cit., 10 ss.; V. Calandra Buonaura,<br />

I modelli di amministrazione e controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003,<br />

I, 538; Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza e procedimento…, cit., 275 ss.<br />

86<br />

Per tutti, v. F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, Milano,<br />

1992; Abbadessa, La gestione dell’impresa…, cit., 61; Calandra Buonaura, Potere di gestione e potere<br />

di rappresentanza degli amministratori…, cit., 109; Pavone La Rosa, op. cit., 3 ss.<br />

87<br />

La questione è discussa in dottrina. Sul punto, con opinioni diverse, Guerrera, op. cit., 74; Pinto,<br />

(segue)<br />

96<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

La riforma espunge dall’ordinamento l’art. 2384-bis, privilegiando le istanze<br />

di certezza dei traffici commerciali, ma al tempo stesso esponendo la società al<br />

rischio di abusi da parte dei rappresentanti legali 88 . In sintesi, si elimina, salva<br />

l’exceptio doli, la rilevanza esterna dell’oggetto sociale quale criterio di individuazione<br />

del limite al potere rappresentativo degli amministratori, che diviene<br />

generale. L’oggetto sociale continua a fungere da limite al potere di gestione, in<br />

ambito endosocietario (sul piano della responsabilità).<br />

Il nuovo sistema separa nettamente le sfere di competenza dei vari organi<br />

societari, in una nuova impostazione dell’assetto corporativo. In tale nuovo contesto,<br />

è necessario prestare particolare attenzione alla redazione della clausola<br />

relativa all’oggetto sociale. Ove essa sia formulata in maniera eccessivamente<br />

ampia, non risultando conforme al progetto imprenditoriale ipotizzato, sussiste il<br />

rischio che gli amministratori divengano sostanzialmente arbitri della destinazione<br />

delle risorse societarie 89 , senza la possibilità, ferma restando la tendenziale<br />

stabilità degli atti, di opporre ad essi almeno una responsabilità per il compimento<br />

di operazioni estranee all’oggetto sociale. La dottrina ha efficacemente<br />

evidenziato come l’indicazione dell’oggetto sociale abbia la funzione di evitare<br />

la trasformazione delle società per azioni in “strumenti per raccogliere il risparmio<br />

e destinarlo ad investimenti discrezionalmente scelti dai gruppi di controllo<br />

e dagli amministratori” 90 .<br />

Anche nelle compagini sociali particolarmente ristrette e legate da forti vincoli<br />

fiduciari, spesso indotte, per la carenza di un progetto imprenditoriale esattamente<br />

definito, a configurare la clausola in modo tale da garantire la possibilità<br />

di cogliere le occasioni di mercato, evitando il continuo ricorso a modifiche<br />

statutarie, un oggetto sociale eccessivamente ampio potrebbe risultare rischioso,<br />

in quanto idoneo ad esasperare eventuali disaccordi sull’assetto imprenditoriale<br />

da adottare.<br />

op. cit., 445 ss.; Portale, op. ult. cit., 26; G.E. Colombo, Amministrazione e controllo, in Aa.Vv., Il nuovo<br />

ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Milano, 2003, 175 ss.<br />

88<br />

In relazione all’esistenza di un trade-off tra tutela dell’affidamento dei terzi e rafforzamento<br />

della tendenza degli amministratori ad operare in maniera discrezionale, v. E. Zanelli, op. cit., 388.<br />

89<br />

È stato significativamente rilevato che “(i)l compimento di un atto estraneo all’oggetto sociale<br />

rientra, dunque, oggi, a pieno titolo, nel potere di rappresentanza degli amministratori” (L. Restaino,<br />

Sub art. 2384, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli-V. Santoro, 2003, Tomo I, 423). Sul<br />

punto v. anche N. Abriani, Conflitto di interessi e rappresentanza nella nuova società a responsabilità<br />

limitata, in Società, 2003, 416; E. Alemagna, Potere di gestione e rappresentanza degli amministratori<br />

delle s.p.a. dopo la riforma, in Società, 2004, 284 ss.; F. Bonelli, Atti estranei all’oggetto sociale<br />

e poteri di rappresentanza, in Giur. comm., 2004, I, 925 ss.; V. Calandra Buonaura, Il potere di<br />

rappresentanza degli amministratori…, cit., 662 ss.; G. Caselli, I sistemi di amministrazione nella riforma<br />

delle s.p.a., in Contr. e impresa, 2003, 149 ss.; S. D’Agostino, Passato e presente dell’atto ultra<br />

vires nel sistema di gestione delle società per azioni non quotate: la vendita dell’unico immobile<br />

strumentale all’attività sociale, in Riv. not., 2005, 1291 ss.; Malberti, op. cit., 171 ss.; E. Senini, Poteri<br />

di rappresentanza degli amministratori ed estraneità degli atti all’oggetto sociale, commento a T.<br />

Brescia, 30 gennaio 2006, in www.ilcaso.it; Colombo, op. cit., 178.<br />

90<br />

Gliozzi, op. cit., 97.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 97


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

4.4. (Segue) e nelle società a responsabilità limitata<br />

In ambito di società a responsabilità limitata le questioni legate all’estensione<br />

dei poteri di rappresentanza si pongono in termini analoghi a quanto avviene<br />

per la s.p.a., in ragione della formulazione dell’art. 2475-bis c.c., coincidente<br />

con l’art. 2384 c.c., dalla quale emergono le stesse esigenze (volte alla limitazione<br />

della discrezionalità degli amministratori almeno nei rapporti endosocietari).<br />

Sono individuabili inoltre ulteriori profili problematici, dati dalle differenze esistenti<br />

quanto alla disciplina della gestione.<br />

Le innovazioni radicali che interessano la disciplina della società a responsabilità<br />

limitata 91 configurano un sistema nel quale appare ragionevole riflettere<br />

sulla sussistenza di un interesse dei soci alla precisa determinazione dell’oggetto<br />

sociale, e alla sua corrispondenza all’oggetto effettivamente esercitato, in relazione<br />

agli esiti applicativi derivanti da tale scelta 92 .<br />

Nel nuovo modello assume rilievo centrale la figura del socio, inteso come<br />

soggetto personalmente interessato alla gestione dell’impresa sociale, ed in essa<br />

direttamente coinvolto 93 . Manca, dunque, una netta contrapposizione tra<br />

gruppo di controllo e minoranza, in ragione della presenza di alcuni istituti, volti<br />

a favorire la condivisione delle decisioni rilevanti per la società, attribuendo significativa<br />

forza contrattuale a tutti i soci. Al riguardo, si segnala la nuova disciplina<br />

in materia di recesso, la quale, in quanto idonea a condurre la società fino<br />

all’ipotesi estrema dello scioglimento, si traduce necessariamente, nelle compagini<br />

sociali chiuse, in un forte incentivo alla negoziazione 94 . Parimenti, non<br />

91<br />

Per un inquadramento sistematico, C. Angelici, op. ult. cit., passim; Id., Introduzione…, cit., 5<br />

ss.; G. Baralis, La nuova società a responsabilità limitata: “hic manebimus optime”. Spunti di riflessione<br />

sul problema delle lacune della disciplina, in Riv. not., 2004, 1099 ss.; P. Spada, Classi e tipi<br />

di società dopo la riforma organica (guardando alla «nuova» società a responsabilità limitata), in<br />

Riv. dir. civ., 2003, I, 489 ss.; G. Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata,<br />

in Riv. soc., 2003, 58 ss.; G. Marasà, La s.r.l. come società di capitali e suoi caratteri distintivi dalla<br />

s.p.a., in St. Iuris, 2005, 301 ss.; G.B. Portale, Riforma delle società di capitali e limiti di effettività<br />

del diritto nazionale, in Corr. giur., 2003, 146 ss. G. Cottino, La riforma societaria ai suoi primi giri di<br />

boa: noterelle in margine ad alcuni dati giurisdizionali e statistici (con qualche mauvaise pensée), in<br />

Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale,<br />

Torino-Milano, I, 2006, 27 ss.; S. Fortunato, I principi ispiratori della riforma delle società di capitali,<br />

in Giur. comm., 2003, I, 728 ss.<br />

92<br />

Importanti riflessioni sui profili di efficienza connessi alle scelte operate in tema di individuazione<br />

dell’oggetto sociale in Bianca, op. cit., 110 ss., 303 ss.<br />

93<br />

Sulla rilevanza in materia di gestione del socio di s.p.a. e s.r.l. v. Angelici, La riforma…, cit.,<br />

105 ss.; G. Doria, Il controllo del socio sull’amministrazione nella s.r.l., in Dir. giur., 2005, 217 ss.; G.<br />

Baralis, op. ult. cit., 1099 ss.; M. Perrino, La “rilevanza del socio” nella s.r.l. recesso, diritti particolari,<br />

esclusione, in Giur. comm., 2003, I, 821 ss.; N. Abriani, Controlli e autonomia statutaria: attenuare<br />

l’”audit” per abbassare il “voice”?, in Analisi giuridica dell’economia, 2003, 339 ss.; M.G. Buta, I<br />

diritti di controllo del socio di s.r.l., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso,<br />

diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale, Torino-Milano, III, 2006, 587.<br />

94<br />

Angelici, op. ult. cit., 90 ss.<br />

98<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

può trascurarsi la legittimazione di ciascun socio a promuovere l’azione di responsabilità<br />

contro gli amministratori (art. 2476, comma terzo, c.c.).<br />

Nessun limite sussiste quanto all’attribuzione ai soci di competenze in materia<br />

gestoria 95 , sia singolarmente intesi (2468, terzo comma, c.c.), sia come collettività,<br />

in modo tale da consentire potenzialmente a ciascuno di essi di incidere sulla determinazione<br />

delle politiche gestionali, anche in assenza di precisazioni nell’atto<br />

costitutivo (art. 2479, primo comma, c.c. laddove si prevede la competenza decisionale<br />

dei soci, oltre che sulle materie loro riservate dall'atto costitutivo, anche<br />

sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno<br />

un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione).<br />

Nel nuovo sistema perde rilievo persino l’organizzazione corporativa della società<br />

(art. 2479, quarto comma, c.c., che dispone che le decisioni dei soci debbono<br />

essere necessariamente adottate mediante deliberazione assembleare ai<br />

sensi dell’art. 2479-bis solo ove si tratti di modificazioni dell'atto costitutivo o di<br />

decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione<br />

dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione<br />

dei diritti dei soci, oppure quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero<br />

di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale). Inutile precisare<br />

come, in un simile assetto, l’efficienza dell’agire sociale risulterebbe fortemente<br />

pregiudicata (o meglio, la conflittualità accentuata) se l’attività da esercitare<br />

fosse enunciata in termini poco chiari, così da non corrispondere, almeno tendenzialmente,<br />

all’attività che si intende effettivamente svolgere.<br />

95<br />

Sulla tematica dei diritti particolari dei soci, ex art. 2468, comma 3, c.c., A. Daccò, I diritti particolari<br />

del socio nelle s.r.l., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso,<br />

3, Torino, 2007, 407; M. Notari, Diritti “particolari” dei soci e categorie “speciali” di partecipazioni,<br />

in Analisi giuridica dell’economia, 4/2003, 1 ss.; M. Maltoni, sub art. 2468, in Il nuovo diritto delle<br />

società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005, 1815 ss. L. Abete, I diritti particolari attribuibili ai soci<br />

di s.r.l.: taluni profili, in Società, 2006, 295 ss.; Perrino, op. cit., 821 ss.; G. Zanarone, Della società<br />

a responsabilità limitata, in Il codice civile. Commentario fondato da P. Schlesinger diretto da F.D.<br />

Busnelli, Milano, 2010, 522 ss. Più in generale, sulla amministrazione delle società a responsabilità<br />

limitata dopo la riforma, G.C.M. Rivolta, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità<br />

limitata, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-<br />

G.B. Portale, Torino-Milano, III, 2006, 517 ss.; C. Caccavale, L’amministrazione nelle società a responsabilità<br />

limitata in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del diritto societario, Milano,<br />

2004, 705; Id., L’amministrazione, la rappresentanza e i controlli, in Caccavale-Magliulo-<br />

Maltoni-Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, 329 ss.; R. Rordorf,<br />

I sistemi di amministrazione e controllo nella nuova s.r.l., in Società, 2003, 664 ss.; S. Ambrosini,<br />

La responsabilità degli amministratori nella nuova s.r.l., in Società, 2004, 293; P. Benazzo,<br />

L’organizzazione della nuova s.r.l. fra modelli legali e statutari, in Società, 2003, 1062 ss.; V. Buonocore,<br />

L’organizzazione interna della società a responsabilità limitata riformata, in Riv. not., 2004,<br />

589 ss.; L. Nazzicone, L’amministrazione nella nuova società a responsabilità limitata, in Foro it.,<br />

2004, I, 2854; G. Capo, Il governo dell’impresa e la nuova era della società a responsabilità limitata,<br />

in Giur. comm., 2003, I, 501 ss.; L. De Angelis, Amministrazione e controllo nelle società a responsabilità<br />

limitata, in Riv. soc., 2003, 469 ss.; Zanarone, Introduzione…, cit., 58 ss.; M. Rescigno, Le<br />

regole organizzative della gestione della S.r.l., in Cian (a cura di), Le grandi opzioni…, cit., 323 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 99


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

La convinzione si rafforza se si ha riguardo alla peculiarità della disciplina in<br />

tema di oggetto sociale: con una scelta del tutto innovativa nel nostro sistema,<br />

viene attribuito il diritto di recesso (art. 2473 c.c.) in caso di mancato consenso<br />

non solo ad una modifica (formale) della clausola dell’atto costitutivo, ma anche<br />

“al compimento di operazioni che comportino una sostanziale modificazione<br />

dell’oggetto della società determinato nell’atto costitutivo”. Tale disposizione<br />

deve essere coordinata con l’art. 2479, secondo comma, n. 5, che attribuisce<br />

all’assemblea dei soci la competenza ad assumere siffatte decisioni. La possibilità<br />

di utilizzo di tale strumento può essere fortemente compromessa dall’enunciazione<br />

dell’oggetto sociale in maniera generica, o semplicemente in termini<br />

più ampi rispetto all’ambito di attività effettivamente esercitato.<br />

5. PRIME CONCLUSIONI SULLA “DETERMINATEZZA”<br />

La riforma ha rivitalizzato in maniera significativa il dibattito sulle questioni<br />

legate all’indicazione dell'oggetto sociale, nella consapevolezza, tuttavia, che<br />

saranno le modalità di concreta applicazione delle norme, da parte degli operatori<br />

ad incidere sul valore sistematico da attribuire alle stesse 96 , tenendo peraltro<br />

conto del “fenomeno dell’inerzia degli ordinamenti giuridici” 97 .<br />

Non sembra, per quanto sopra sinteticamente accennato, che la modifica<br />

delle disposizioni in materia di contenuto necessario dell’atto costitutivo (artt.<br />

2328 e 2463 c.c., nelle quali è stato inserito il riferimento all’attività che costituisce<br />

l’oggetto sociale) abbia introdotto nuove indicazioni imperative quanto al legittimo<br />

ambito di estensione della clausola dell’oggetto sociale 98 . Piuttosto, si è<br />

osservato come dall’assetto complessivo della riforma delle società di capitali<br />

sia desumibile un rafforzamento della sua rilevanza organizzativa. Secondo<br />

questa ottica, si è tentato di riflettere sugli esiti, quanto ai rapporti tra organi so-<br />

96<br />

C. Angelici, La formazione della volontà societaria nell’assemblea e le decisioni dei soci, in Le<br />

società: autonomia privata e suoi limiti nella riforma, Atti del Convegno tenutosi a Taormina il 21-22<br />

marzo 2003, Milano, 2003, 33 ss.<br />

97<br />

L’espressione è di F. D’Alessandro, “La provincia del diritto societario inderogabile<br />

(ri)determinata”. Ovvero: esiste ancora il diritto societario?, in Riv. soc., 2003, 34.<br />

98<br />

Nell’imminenza della riforma del diritto societario si è posta la questione della esistenza di un<br />

obbligo di adeguamento delle clausole relative all’oggetto sociale. Per la soluzione negativa: F. Magliulo,<br />

La costituzione della società, in Caccavale-Magliulo-Maltoni-Tassinari, La riforma…, cit., 28;<br />

A. Ruotolo, Gli adeguamenti a norme inderogabili ex art. 223-bis disp. att. c.c., in Studi e Materiali,<br />

2004, 800; A. Paolini, In tema di oggetto sociale: spunti per una riflessione sistematica alla luce della<br />

nuova disciplina dei tipi s.p.a. e s.r.l., in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla riforma del<br />

diritto societario, Milano, 2004, 111; nel senso, invece, della necessità dell’adeguamento di quelle<br />

clausole che individuino l’oggetto sociale in modo generico, affinché risultino precisate in maniera<br />

dettagliata le specifiche attività economiche al cui svolgimento l’organizzazione societaria sia preordinata<br />

L. De Angelis, Le modifiche statutarie obbligatorie per le società di capitali e cooperative, in<br />

Riv. dott. comm., 2004, 37 ss.<br />

100<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

ciali, dell’indicazione dell’oggetto sociale in termini vaghi, così da non riflettere<br />

l’operatività della società.<br />

Si è dunque messo in luce come, essendo la società una forma di esercizio<br />

collettivo dell’impresa, ciò che dovrebbe verificarsi è la tendenziale corrispondenza<br />

tra l’attività descritta e quella che si intende effettivamente porre in essere,<br />

in modo da evitare che i soci siano spogliati della competenza all’individuazione<br />

di un elemento essenziale dell’atto costitutivo, ad essi inderogabilmente<br />

spettante (con la previsione, tra l’altro, di un quorum rafforzato e del diritto di recesso)<br />

e che sia pregiudicato il funzionamento di un’ampia serie di istituti societari.<br />

Trattandosi di un elemento inerente la sfera volitiva dei soci, naturalmente<br />

non sarà possibile, in fase di costituzione, verificare tale corrispondenza: è però<br />

doveroso accertarsi che le indicazioni siano fatte con un grado di specificazione<br />

e chiarezza da risultare idoneo, potenzialmente, ad assolvere a tale funzione.<br />

Naturalmente qualsiasi riflessione su questi profili può assumere sfumature<br />

diverse a seconda del contesto imprenditoriale di riferimento (inteso come dimensione<br />

dell’impresa, composizione della compagine azionaria, rapporti esistenti<br />

tra i soci, interesse degli amministratori al mantenimento del proprio prestigio<br />

individuale, tipologia del vincolo fiduciario con la maggioranza, carenza di<br />

un progetto imprenditoriale definito).<br />

Neppure si può negare che debba sussistere sempre un certo grado di elasticità,<br />

da parte degli amministratori, nella conduzione dell’impresa societaria, in<br />

relazione alle condizioni di mercato e alle valutazioni di opportunità che si impongono,<br />

e che talora devono essere prese con una certa celerità. La scelta, in<br />

ogni caso, deve essere compiuta tenendo ben presenti le conseguenze che derivano<br />

dall’adozione di una formulazione più o meno ampia della clausola.<br />

Il notaio 99 , allora, sarà tenuto, da un lato, esercitando il controllo di legalità, a<br />

verificare che sia rispettato il grado minimo di individuazione richiesto dal legislatore,<br />

e che non siano violate norme della legislazione speciale; dall’altro,<br />

nell’esercizio della propria funzione di adeguamento, dovrà illustrare ai soci i riflessi<br />

organizzativi derivanti dalle scelte compiute.<br />

99<br />

Sul ruolo del notaio in sede di costituzione di società di capitali A. Pavone La Rosa-G.L. Nigro,<br />

Il procedimento di costituzione della società per azioni, in Tipo – Costituzione – Nullità, Trattato<br />

delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo-G.B. Portale, 1*, Torino, 2004, 380 ss.; G. Laurini,<br />

Autonomie e controllo di legalità dopo la riforma delle società di capitali, in Riv. not., 2004, 15 ss.;<br />

Id., sub artt. 2329-2330, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti-L.A. Bianchi-F.<br />

Ghezzi-M. Notari, Costituzione – Conferimenti (a cura di M. Notari), Milano, 2008, 151 ss.; R.<br />

Torre, Atti costitutivi e modificativi di società di capitali ricevuti da notaio e richiesta di iscrizione<br />

presso il registro delle imprese: funzione, natura, oggetto del controllo di iscrivibilità e soggetti legittimati<br />

in materia, in Riv. not., 2006, 343 ss.; G. Casu, Controllo di iscrivibilità nel registro delle imprese<br />

di atti societari, in Dizionario giuridico del notariato nella casistica pratica, Milano, 2006, 332<br />

ss.; in particolare, sul controllo di legalità in relazione all’oggetto sociale, Falconio, op. cit., 343 ss.;<br />

Pappa Monteforte, op. ult. cit.; Bianca, op. cit., 126 ss. Per i profili concernenti la responsabilità civile,<br />

G. Celeste, La responsabilità civile del notaio, Milano, 2002; U. La Porta, La responsabilità professionale<br />

del notaio – Profili di responsabilità civile e penale del pubblico ufficiale, Torino, 2003.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 101


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Nell’ordinamento ante riforma, comunque, le valutazioni di convenienza degli<br />

interpreti hanno portato frequentemente – come rivela la prassi consolidata –<br />

ad optare per un’indicazione piuttosto vaga ed imprecisa del programma di attività<br />

della società, rinunciando, in tal modo, ad esempio, alla “protezione” di cui<br />

all’art. 2384-bis, a fronte del vantaggio, per la maggioranza, di poter mutare rapidamente<br />

settore di attività e cogliere così le occasioni del mercato, senza attendere<br />

l’esaurirsi dell’iter per la modifica statutaria, arrivando, in alcuni casi, ad<br />

una gestione anomala e arbitraria dell’impresa sociale.<br />

Resta da segnalare che, una volta individuato in termini molto ampi il contenuto<br />

della clausola dell’oggetto sociale, esso diviene “regola” dell’atto costitutivo:<br />

in quanto tale, assume il significato di “parametro” alla luce del quale è possibile<br />

giudicare della validità dei comportamenti con i quali essa viene attuata 100 .<br />

Pertanto, si profila un ulteriore elemento di potenziale conflittualità interorganica,<br />

poiché gli amministratori potranno essere ritenuti responsabili, alla luce del<br />

disposto dell’art. 2380-bis, primo comma, in caso di mancata realizzazione<br />

dell’intero programma in esso descritto 101 .<br />

PARTE II<br />

6. OGGETTO SOCIALE E LICEITÀ<br />

Vengono ora in questione i profili relativi alla illiceità dell’oggetto sociale, una<br />

delle cause di nullità della società (art. 2332, primo comma, n. 2) 102 . Deve segnalarsi,<br />

peraltro, come il legislatore, nel dettare la disciplina della nullità 103 delle<br />

deliberazioni assembleari (artt. 2379 e 2479-ter c.c.), non assoggetti la relativa<br />

azione al termine triennale, consentendo invece che siano impugnate senza limiti<br />

di tempo, ove esse introducano una modificazione dell’oggetto sociale che<br />

contempli attività illecite o impossibili 104 .<br />

100<br />

Angelici, Le basi contrattuali…, cit., 316.<br />

101<br />

M. Libertini, Costituzione e conferimenti, in Studi e Materiali. Atti del convegno La riforma del<br />

diritto societario – Le riflessioni del notariato, 2004, 36, sottolinea come gli amministratori siano “in<br />

una posizione di doverosità (corsivo dell’A.) nell’attuazione dell’oggetto sociale nella sua interezza,<br />

salvo l’esistenza di giustificazioni oggettive al mancato svolgimento di una certa linea di attività”.<br />

102<br />

Sul punto, per la rilevanza unicamente dell’attività formalmente prevista nell’atto costitutivo e<br />

non quella in concreto svolta: C. Angelici, La società nulla, Milano, 1975, 191; Borgioli, op. cit., 414;<br />

M. Sciuto, La “mancanza dell’atto costitutivo” di società per azioni, Milano, 2000, 88 ss., 213 ss.,<br />

241 ss.<br />

103<br />

In termini di “disciplina aggravata” dell’invalidità, G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a<br />

cura di Angelici-Ferri, Torino, 2006, 331 ss.<br />

104<br />

Sulle invalidità delle delibere assembleari e delle decisioni dei soci, A. Stagno d’Alcontres,<br />

L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, in Il nuovo diritto delle<br />

società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale, Torino-Milano, II,<br />

2006, 169 ss.; M. Centonze, La delibera nulla: nuove tendenze interpretative e profili di disciplina, in<br />

(segue)<br />

102<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

Preliminarmente, occorre distinguere tre ipotesi di possibile illiceità dell’oggetto<br />

sociale:<br />

a) quella derivante dalla previsione di attività “di per sé” illecite, e cioè di attività<br />

il cui svolgimento è precluso, indipendentemente da qualsiasi valutazione<br />

relativa ai profili soggettivi di chi la pone in essere (ad es. attività di commercio<br />

di organi umani; tratta degli schiavi; sfruttamento della prostituzione);<br />

b) quella relativa ad attività il cui svolgimento è del tutto precluso alle società<br />

di capitali (es. attività di godimento 105 ; attività professionali 106 ; singole ipotesi previste<br />

dalla legislazione speciale 107 );<br />

Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale,<br />

Torino-Milano, II, 2006, 309 ss.; A. Genovese, Le fattispecie tipiche di invalidità, in Il nuovo diritto<br />

delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale, Torino-<br />

Milano, II, 2006, 219 ss.; G. Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Il nuovo<br />

diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa-G.B. Portale, Torino-Milano,<br />

II, 2006, 293 ss.; R. Lener, Invalidità delle delibere assembleari di società per azioni, in<br />

Riv. dir. comm., 2004, I, 79 ss.; Id., Sub art. 2379, in Società di capitali. Commentario, a cura di G.<br />

Niccolini-A. Stagno d’Alcontres, I, Napoli, 2004, 565 ss.; G.A. Rescio, Il sovrano in esilio: riflessioni<br />

e problemi in tema di assemblea e decisioni dei soci, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi sulla<br />

riforma del diritto societario, Milano, 2004, 354 ss.; C. Angelici, La formazione…, cit., 33 ss.; Id.,<br />

Note in tema di procedimento assembleare, in Riv. not., 2005, 718 ss. e in C. Angelici, Attività e organizzazione…,<br />

cit., 71 ss.; Guerrera, op. cit., 220 ss.; G. Presti-M. Rescigno, L’invalidità delle deliberazioni<br />

assembleari e delle decisioni dei soci, in Aa.Vv., Il nuovo ordinamento delle società, Milano,<br />

2003, 133 ss. A. Pisani Massamormile, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti,<br />

in Riv. Dir. comm., 2004, I, 55 ss.; M. Libertini, Tutela invalidativa e tutela risarcitoria nella disciplina<br />

delle deliberazioni assembleari di s.p.a., in Il nuovo diritto societario (Prime riflessioni su alcuni contenuti<br />

di disciplina), (Atti Convegno Catanzaro 23 maggio 2003), a cura di A. Genovese, Torino<br />

2004, 1 ss.; G. Muscolo, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nella s.p.a. (prima<br />

parte): cause ed effetti dell’invalidità dell’atto, in Società, 2003, 535.<br />

105<br />

La assoluta incompatibilità del mero godimento con il fenomeno societario, derivante dal disposto<br />

dell’art. 2248 c.c., è stata posta in dubbio da una serie di provvedimenti fiscali transitori, volti<br />

a legittimare la trasformazione agevolata di società di mera gestione in società semplici. La portata<br />

sistematica di tali provvedimenti è controversa (in dottrina, G. Baralis, Influenze della legislazione<br />

tributaria sulla legislazione civile. Anche modifiche “indotte” alla legislazione civile?, in Studi e Materiali,<br />

2003, 403 ss.; Id., Una “nuova” società semplice: la società immobiliare di mero godimento e la<br />

società semplice di mero godimento in genere, in Studi e Materiali, 2003, 683 ss.; Id., Riflessioni sui<br />

rapporti fra legislazione tributaria e diritto civile. Un caso particolare: le società semplici di mero godimento,<br />

in Riv. dir. comm., 2004, 171 ss. P. Montalenti, Diritto commerciale, diritto tributario, scienze<br />

aziendali: categorie disciplinari a confronto in epoca di riforme, in Giur. it., 2004, 684 ss.; G. Cottino,<br />

Diritto commerciale, vol. I, tomo II, Padova, 1994, 13; C. Costa, Le società di godimento tra disciplina<br />

civilistica e disciplina fiscale, in Vita not., 1995, 564 ss.; O. Cagnasso, La trasformazione<br />

delle società, in Commentario al codice civile, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1990, 52; K. Martucci,<br />

Le società di godimento nel diritto italiano d’oggi, in Riv. dir. civ., 2009, I, 465 ss.; P. Ghionni,<br />

Società di mero godimento tra teoria generale e nuovo diritto societario, in Riv. soc., 2008, 1315 ss.;<br />

A. Pavone La Rosa, Brevi note in tema di rapporti tra comunione dei beni e società, in Giur. comm.,<br />

2009, I, 397 ss.; Ferri jr.-Stella Richter, op. cit., 488 ss.; in giurisprudenza, Tribunale Udine, 8 gennaio<br />

1999, in Società 1999, 617; App. Trieste 23 dicembre 1999, in Soc., 2000, 1105; T. Milano 10<br />

dicembre 2004, n. 14048, in Dir. e prat. soc., 2005, n. 14/15, 82 ss.; T. Mantova 3 marzo 2008, con<br />

nota di M.C. Lupetti, Se siano ammissibili società semplici di “mero godimento”, in Società, 2009,<br />

1027 ss.; per una breve sintesi della posizione del Consiglio Nazionale del Notariato sul punto si<br />

consenta il rinvio a A. Paolini, Società semplice di mero godimento, in Studi e Materiali, 2008, 871<br />

ss.). È da escludere, tuttavia, l’ammissibilità della previsione di un’attività di mero godimento nella<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 103


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

c) quella derivante dalla previsione di attività il cui svolgimento, pur consentito<br />

in forma societaria, è “riservato”, ossia precluso ai soggetti diversi da quelli<br />

individuati dal legislatore.<br />

Le ipotesi sub a) e b) comportano solo la valutazione dell’indicazione dell’attività,<br />

in sé considerata.<br />

Ben più complessa è la questione sub c), che comporta la necessità di valutare<br />

in quali casi ed a quali condizioni possa affermarsi la “illiceità” di una data<br />

previsione statutaria. Si registra un numero elevato di leggi speciali, strutturate<br />

in modo eterogeneo, che, in relazione all’attività svolta, impongono alle società<br />

un oggetto “esclusivo” o limitato, l’adozione di una determinata struttura, dotazioni<br />

di capitale più elevate del minimo legale previsto in via generale per il tipo,<br />

o comunque il possesso di determinati requisiti, non necessariamente inerenti<br />

alla struttura societaria; in genere, alla verifica dell’esistenza di tali requisiti è<br />

subordinata la successiva iscrizione in appositi albi, elenchi o registri, o il rilascio<br />

di apposita autorizzazione (che può essere richiesta per la costituzione o,<br />

più frequentemente, per poter legittimamente avviare l’attività) 108 . Non si può<br />

clausola dell’oggetto sociale di società di capitali: ampi riferimenti in M. Sciuto, op. cit., 234 ss. In<br />

giurisprudenza, da ultimo sulla distinzione tra impresa e attività di godimento, Cass. 6 febbraio<br />

2009, n. 3028.<br />

106<br />

La riforma delle modalità di svolgimento delle attività professionali, avviata con la soppressione<br />

dell’art. 2, l. 23 novembre 1939, n. 1815 (e quindi del divieto di esercizio in forma societaria<br />

delle attività di assistenza e consulenza relative a professioni protette) ad opera della l. 7 agosto<br />

1997, n. 266 (abrogazione che non è mai stata seguita dai relativi regolamenti di attuazione), risulta<br />

al momento ancora in itinere. Da ultimo il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. 4 agosto 2006, n.<br />

248, in materia di società interprofessionali, abroga le disposizioni legislative e regolamentari che<br />

prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto di fornire all’utenza<br />

servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti;<br />

anche in questo caso sono mancate disposizioni di attuazione (sul tema, M. de Mari, Le società<br />

tra professionisti dopo la L. 4 agosto 2006, n. 248 (aspettando una disciplina generale), in Società,<br />

2008, 668 ss.; F. Tassinari, Le società tra professionisti dopo il D.L. 223/2006 convertito con<br />

modificazioni nella L. n. 248/2006, in Aa.Vv., Oggetto ed attività delle società…, cit., 135 ss.).<br />

Nell’incertezza del quadro normativo di riferimento resta sicuramente da escludere, allo stato della<br />

legislazione, l’ammissibilità di società di capitali aventi ad oggetto lo svolgimento di attività professionali.<br />

Diversa natura è, invece, da riconoscere alle società di ingegneria (sul punto, per tutti, P.<br />

Montalenti, Le società di ingegneria tra evoluzioni giurisprudenziali e innovazioni legislative, in Giur.<br />

it., 1998, 297; questioni applicative in A. Paolini, Società di ingegneria e codice dei contratti pubblici,<br />

in Studi e Materiali, 2007, 1505 ss.; Id, Società di ingegneria in cui nessuno dei soci sia ingegnere o<br />

architetto, in Studi e Materiali, 2009, 1255 ss.).<br />

107<br />

È il caso delle società di gestione di farmacia (l. 8 novembre 1991, n. 362 e d.l. 4 luglio 2006,<br />

n. 223, convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248); ampia trattazione in P. Guida, L’oggetto sociale della<br />

società di gestione di farmacia e riflessi notarili, Studio n. 155-2009/I, approvato dalla Commissione<br />

Studi di Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 18 giugno 2009, in Studi e Materiali, 2009,<br />

1084 ss.; Id., L’oggetto delle società di gestione di farmacia e riflessi notarili, in Riv. not., 2010, 39;<br />

Id., Gestione di farmacia in forma societaria e limiti derivanti dall’oggetto sociale, in Riv. dir. impr.<br />

2009, 295; Id, L’oggetto delle società nel settore sanitario: farmacie, vendita di farmaci, case di cura,<br />

in Notariato, 2008, 68 ss. e in Aa.Vv., Oggetto ed attività delle società…, cit., 167 ss.<br />

108<br />

I principi di riferimento quanto alla regolamentazione delle condizioni di svolgimento delle attività<br />

economiche sono stati recentemente fissati dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, Attuazione della<br />

(segue)<br />

104<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

non osservare come, a fronte dell’ampliamento della legislazione speciale, la<br />

prassi di prevedere lunghi elenchi di attività possa rivelarsi imprudente, in quanto<br />

aumentano i rischi che taluna delle previsioni possa rappresentare una violazione<br />

di un precetto normativo.<br />

La descrizione accurata dell’oggetto sociale può, quindi, favorire l’opera di<br />

controllo da parte delle autorità preposte 109 ; tuttavia, in caso di previsioni dubbie<br />

o polisense, sembra corretto propendere per un’interpretazione conservativa e<br />

a favore della liceità del programma di attività descritto 110 : nonostante non possa<br />

dirsi errata la diffusa prassi di precisare che le attività descritte saranno svolte<br />

“previo ottenimento delle autorizzazioni richieste” o “nel rispetto delle norme che<br />

disciplinano il settore”, tali specificazioni possono ritenersi pleonastiche, in<br />

quanto la loro assenza non può essere interpretata come espressione di un intento<br />

contrario 111 .<br />

direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno, ai sensi del quale “l’accesso e<br />

l’esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e<br />

non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie” (art. 10); “Fatte salve<br />

le disposizioni istitutive e relative ad ordini, collegi e albi professionali, regimi autorizzatori possono<br />

essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto<br />

dei principi di non discriminazione, di proporzionalità, nonché delle disposizioni di cui al presente titolo”<br />

(art. 14).<br />

109<br />

Argomento frequentemente addotto dalla dottrina tedesca, anche in ragione della possibilità<br />

che una previsione ampia a generica potrebbe essere interpretata come comprendente anche ambiti<br />

di attività non consentiti: Schluck-Amend, op. cit., Rz. 4.166 ss., pone in evidenza come<br />

l’indicazione dell’oggetto sociale consenta di verificare la liceità delle attività indicate, o la necessità<br />

di autorizzazioni e consiglia, in caso di formulazioni ampie, di inserire anche delle “previsioni negative”,<br />

escludendo, cioè, quelle attività che non si intendono porre in essere. Ma tale prassi si rivela di<br />

scarso rilievo, in quanto il novero delle attività da escludere è tendenzialmente illimitato; può avere<br />

qualche utilità solo in caso di espressioni che possono suscitare dubbi interpretativi. Sul punto v.<br />

anche Wallner, op. cit., 722 ss., in chiave di ridimensionamento della questione, che ritiene malposta<br />

in quanto il controllo sulla liceità dell’attività deve più utilmente essere riferito all’attività concretamente<br />

posta in essere (Überprüfung von Erlaubtheit und Genehmigungsbedürftigkeit als faktisches<br />

Problem), non essendo idonea la mera descrizione del programma sociale ad impedire o a<br />

rendere più gravoso l’esercizio di un’attività illecita (o riservata, ma in assenza di autorizzazioni).<br />

110<br />

In questo senso, esplicitamente, Wallner, op. cit., 722. Talvolta la giurisprudenza onoraria in<br />

sede di omologazione ha mostrato eccessivo rigore, censurando ad esempio la previsione di attività<br />

di locazione, in quanto idonea ad essere interpretata anche come “locazione finanziaria”: T. Napoli,<br />

9 luglio 1993, in Laurini-Salvato-Fimmanò, Statuti e atti societari nella giurisprudenza onoraria, Padova,<br />

1996, 21. Dal punto di vista lessicale è però opportuno verificare la corretta individuazione dei<br />

soggetti, e delle attività, disciplinati dalla normativa speciale. È frequente, infatti, riscontrare imprecisioni,<br />

idonee ad ingenerare confusione: talora, ad esempio, si opera il riferimento alla “mediazione<br />

finanziaria”, espressione che non corrisponde ad alcuna fattispecie tipica, ma che potrebbe essere<br />

confusa sia con la “intermediazione finanziaria” di cui al titolo V del T.U.B., sia con la “mediazione<br />

creditizia”, sia con la “agenzia in attività finanziaria” (sulle quali, v. infra). In questi casi, una volta<br />

accertata quale sia il programma imprenditoriale, è doveroso suggerire di adottare la corrispondente<br />

dizione. Sulle definizioni nel settore citato, M. Sepe, Ausiliari all’intermediazione finanziaria e creditizia<br />

e riserve di attività, in La nuova disciplina dei mutui ipotecari. Il ruolo del notaio e la prassi bancaria,<br />

Milano, 2009, 141 ss.<br />

111<br />

M. Sepe (Clausole degli statuti societari e riserve di attività nel testo unico bancario, in Vita<br />

not., 2000, 99) ritiene correttamente solo “consigliabile” premettere, nelle clausole relative all’indi-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 105


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Va precisato, inoltre, come la sottoposizione di un’attività a riserva, o comunque<br />

l’esistenza di una disciplina speciale non implichino affatto, in via automatica,<br />

la previsione di un’esclusività, o il riflesso di tale normativa speciale<br />

sulla conformazione dell’atto costitutivo; in numerosi casi la legge si limita a<br />

prevedere una sanzione in relazione al concreto esercizio dell’attività, posto in<br />

essere in assenza dei provvedimenti abilitativi richiesti, senza dettare specifici<br />

requisiti inerenti la struttura societaria.<br />

Di seguito si tenta di introdurre una sistematizzazione delle diverse tipologie<br />

di attività riservate, in relazione ai profili di interferenza con il procedimento di<br />

costituzione. Esulano dal presente lavoro i profili concernenti la formulazione<br />

dell’oggetto sociale e le riserve di attività in ambito di società pubbliche o a partecipazione<br />

pubblica 112 .<br />

7. AUTORIZZAZIONI PER LA COSTITUZIONE<br />

È questa la fattispecie disciplinata puntualmente dal legislatore 113 , seppure<br />

deve rilevarsi come sia l’ipotesi meno ricorrente nella legislazione speciale 114 .<br />

L’art. 2330 c.c. prevede che, in sede di deposito per l’iscrizione dell’atto<br />

costitutivo presso il registro delle imprese, ad esso debbano essere allegati “i<br />

cazione delle operazioni strumentali, formule quali “fermo il rispetto delle inderogabili norme di legge<br />

che riservano determinate attività a particolari categorie di operatori…”, in quanto esse “hanno il<br />

pregio di palesare, in via generale, la volontà dei soci di non ledere riserva di attività alcuna e di evitare<br />

il richiamo a leggi specifiche che, nel tempo, potrebbero mutare”.<br />

112<br />

Per la distinzione dei due concetti, C. Ibba, Società pubbliche e riforma del diritto societario,<br />

in Riv. soc., 2005, 1 ss.; sul punto, G. Napolitano, Le società pubbliche fra vecchie e nuove tipologie,<br />

in Riv. soc., 2006, 999 ss.; ampia rassegna in A. Ruotolo-E. Puglielli, Nomina e revoca degli<br />

amministratori nelle società a partecipazione pubblica (il nuovo testo dell’art. 2449 c.c.), in Studi e<br />

Materiali, 2009, 201 ss.; sui servizi pubblici locali F. Guerrera, La società di capitali come formula<br />

organizzativa dei servizi pubblici locali dopo la riforma del diritto societario, in Società, 2005, 681<br />

ss.; R. Occhilupo, L’ordinamento comunitario, gli affidamenti in house e il nuovo diritto societario, in<br />

Giur. comm., 2007, II, 63 ss.; R. Weigmann, Le imprese di servizi pubblici locali dopo la riforma societaria,<br />

in Scritti in onore di V. Buonocore, Milano, 2005, III, 4071 ss.<br />

113<br />

Sulle autorizzazioni alla costituzione Pavone La Rosa-Nigro, op. cit., 331 ss.; Laurini, sub<br />

artt. 2329-2330…, cit., 171 ss.<br />

114<br />

Sul punto, per l’attività bancaria, si veda l’art. 14 T.U.B. In particolare, il terzo comma dispone<br />

che “non si può dare corso al procedimento per l’iscrizione nel registro delle imprese se non<br />

consti l’autorizzazione del comma 1”. Per l’attività assicurativa, artt. 13-14 D.Lgs. 7 settembre 2005,<br />

n. 209; in argomento, E. Pucci, L’accesso all’attività assicurativa e riassicurativa, in M. Prosperetti-<br />

A. Colavolpe (a cura di), Banche assicurazioni e gestori di risparmio, Milano, 2009, 597 ss. Per le<br />

società sportive, si veda la l. 23 marzo 1981, n. 91; sul tema, R. Guglielmo, Società sportive e profili<br />

di interesse notarile della nuova disciplina, in Studi e Materiali, 2004, 772 ss; M. de Luca Di Roseto,<br />

Le società sportive, in Aa.Vv. Oggetto ed attività delle società…, cit., 365 ss. Un caso particolare è<br />

costituito dalle SICAV, per le quali è prevista una “autorizzazione alla costituzione” (ex art. 43<br />

T.U.F.), rilasciata sulla base della presentazione di un progetto di atto costitutivo e statuto. Una volta<br />

ottenuta l’autorizzazione, i soci fondatori devono procedere alla costituzione nei trenta giorni successivi.<br />

106<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 2329”,<br />

tra i quali sono indicati, al n. 3), “le autorizzazioni e le altre condizioni richieste<br />

dalle leggi speciali per la costituzione della società, in relazione al suo particolare<br />

oggetto”.<br />

Nella consapevolezza della crescente rilevanza della normativa speciale in<br />

questo ambito, il legislatore della riforma integra la previsione di cui al n. 3<br />

dell’art. 2329 c.c. introducendo, tra le norme di attuazione e transitorie, l’art.<br />

223-quater. Tale norma chiarisce che i termini per l’iscrizione di cui agli artt.<br />

2330 e 2436 c.c. 115 (rispettivamente di venti e trenta giorni), in caso di necessità<br />

di autorizzazioni, dipendenti dall’oggetto della società, non decorrono dal ricevimento<br />

dell’atto costitutivo o dalla deliberazione di modifica statutaria, bensì<br />

dal giorno in cui il provvedimento o sua copia autentica siano consegnati al notaio.<br />

In caso di iscrizione nel registro delle imprese, avvenuta nonostante la<br />

mancanza o l’invalidità delle autorizzazioni, l’autorità competente al rilascio è<br />

legittimata a proporre istanza per la cancellazione della società dal registro.<br />

In queste ipotesi la verifica della sussistenza dell’apposita autorizzazione attiene<br />

al momento costitutivo, rilevando la sua consegna al notaio come momento<br />

di avvio della decorrenza del termine entro il quale procedere all’iscrizione.<br />

L’effettuazione dell’iscrizione nel registro delle imprese in mancanza dell’autorizzazione<br />

116<br />

comporta responsabilità del notaio ex artt. 138-bis e 28 l.n., in<br />

quanto risultano carenti le condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione, oltre<br />

all’eventuale responsabilità civile professionale.<br />

8. AUTORIZZAZIONI (O CONCESSIONI, O ISCRIZIONI IN ALBI, ELENCHI,<br />

REGISTRI) RICHIESTE PER L’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ RISERVATA<br />

ED ESCLUSIVA<br />

La tecnica normativa più ricorrente è quella con la quale il legislatore subordina<br />

il legittimo esercizio di una determinata attività al possesso di un’autorizzazione,<br />

che allora, per definizione, mancherà nel momento in cui la società viene<br />

iscritta nel registro delle imprese. A questa ipotesi va equiparata, per l’identità di<br />

impostazione dell’indagine, quella in cui il legittimo esercizio di una determinata<br />

attività sia subordinato all’iscrizione in appositi albi o registri, la cui tenuta è affidata<br />

ad un’autorità che verifica anche il possesso dei requisiti richiesti, senza<br />

che tecnicamente sia rilasciata una autorizzazione amministrativa.<br />

115<br />

L’art. 223-quater si applica anche alle s.r.l., in ragione dei richiami effettuati agli artt. 2462 e<br />

2480 c.c.<br />

116<br />

Per la qualificazione in termini di illiceità, e la conseguente applicabilità dell’art. 2332 c.c. alla<br />

fattispecie (oggetto sociale astrattamente lecito ma assenza di autorizzazione), G. Palmieri, La nullità<br />

delle società per azioni, in Tipo – Costituzione – Nullità, Trattato delle società per azioni diretto da<br />

G.E. Colombo-G.B. Portale, 1*, Torino, 2004, 539 ss.; Falconio, op. cit., 348 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 107


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Particolare attenzione, in ragione dei possibili vizi che possono derivare sull’atto<br />

costitutivo, meritano quelle ipotesi in cui la legge richiede che l’attività riservata<br />

deve essere esercitata in via esclusiva 117 .<br />

La tendenza del legislatore sembra essere stata, negli ultimi anni, quella di<br />

ridurre le previsioni di esclusività 118 , con un’inversione di tendenza riscontrabile<br />

nelle modifiche apportate recentemente al testo unico bancario 119 .<br />

Se il procedimento di rilascio del provvedimento abilitativo è successivo all’iscrizione<br />

della società nel registro delle imprese, nel momento della redazione<br />

dell’atto costitutivo potrà essere verificato, eventualmente, solo il possesso di<br />

quei requisiti richiesti per il successivo rilascio dell’autorizzazione (o concessione),<br />

o per ottenere l’iscrizione in albi, elenchi o registri. Si pone allora la questione<br />

di quale debba essere l’estensione dei controlli relativi al possesso dei<br />

requisiti richiesti dalla legislazione speciale per potere, successivamente, conseguire<br />

l’abilitazione allo svolgimento dell’attività.<br />

In sede di costituzione della società, sembra soddisfacente ritenere che<br />

debbano essere oggetto di verifica (da parte del notaio che procede al controllo<br />

di legalità) solo quegli elementi sui quali, tipicamente, si incentra il controllo di<br />

legalità di tipo omologatorio, e cioè quegli elementi sui quali il notaio svolge la<br />

propria prestazione tipica 120 : in primo luogo la verifica sulla scelta del tipo socie-<br />

117<br />

È il caso delle attività finanziarie di cui agli artt. 106 ss. T.U.B (sui profili notarili M. Notari, Gli<br />

statuti delle società operanti nel settore finanziario, in Attività finanziaria e raccolta del risparmio –<br />

Profili notarili, Comitato regionale notarile lombardo – Atti Milano 26 ottobre 1996, Milano, 1998,<br />

114; Sepe, op. ult. cit., 74 ss.; A. Paolini, Oggetto sociale e attività finanziarie, in Studi e Materiali,<br />

2002, 405 ss.), disciplina peraltro profondamente riformata ad opera del D.Lgs. 13 agosto 2010, n.<br />

141; dell’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, di cui all’art. 10, D.Lgs. 23 dicembre<br />

1997, n. 469.<br />

118<br />

Non sono più esclusive, infatti, l’attività di intermediazione assicurativa (D.Lgs. 7 settembre<br />

2005, n. 209 e Regolamento 16 ottobre 2006, n. 5), contrariamente a quanto disposto nella l. 28<br />

novembre 1984, n. 792, ora abrogata (E. Pucci, L’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa<br />

e gli intermediari, in M. Prosperetti-A. Colavolpe (a cura di), Banche assicurazioni e gestori di<br />

risparmio, Milano, 2009, 843 ss.; M. Sepe, sub art. 106, in Il codice delle assicurazioni private,<br />

commentario al D.Lgs. 7 settembre 2005 n. 209 diretto da F. Capriglione, Padova, 2007, II. 1, 4 ss.;<br />

per alcuni risvolti applicativi v. anche il parere A. Paolini, Oggetto sociale: procacciamento di affari<br />

in ambito assicurativo e consulenza in materia finanziaria, in Studi e Materiali, 2007, 1648 ss.) e<br />

quella di edizione di giornali quotidiani, a seguito della riforma dell’art. 1, l. 5 agosto 1981, n. 416 ad<br />

opera della l. 7 marzo 2001, n. 62 (sulla quale v. il parere Paolini, Oggetto sociale: attività editoriale<br />

e compatibilità con attività diverse, in Studi e Materiali, 2007, 1522 ss.).<br />

119<br />

Con l’introduzione degli artt. 128-quater e 128-sexies del T.U.B. ad opera del citato D.Lgs.<br />

13 agosto 2010, n. 141, le attività di agente in attività finanziaria e mediatore creditizio, che precedentemente<br />

consentivano lo svolgimento di attività ulteriori (con alcune limitazioni per gli agenti in<br />

attività finanziaria – v. infra) devono ora essere svolte in via esclusiva (al momento si è in attesa<br />

della normativa di attuazione e della costituzione dell’organismo di vigilanza dei nuovi soggetti ex<br />

art. 128-undecies T.U.B.; per la disciplina transitoria, v. l’art. 26 del D.Lgs. 141/2010).<br />

120<br />

Notari, op. ult. cit., 114; Sepe, Clausole…, cit., 74 ss. Per l’adozione di una prospettiva analoga<br />

in un contesto normativo diverso, nel quale non è previsto il rilascio di autorizzazioni, v. M. Citrolo,<br />

L’oggetto sociale nelle società artigiane, in Aa.Vv. Oggetto ed attività delle società…, cit., 235.<br />

108<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

tario richiesto, della denominazione, del capitale, della corretta formulazione<br />

dell’oggetto sociale.<br />

Il controllo sulla sussistenza di altri requisiti, extrastatutari (ad esempio: professionalità<br />

e onorabilità degli amministratori; idoneità dei locali in cui si svolge<br />

l’attività) non compete al notaio, ma sarà oggetto di verifica da parte dell’autorità<br />

competente. In relazione all’estensione del mandato professionale ricevuto, ed<br />

alle proprie competenze, il notaio potrà essere tenuto a fornire adeguata informazione<br />

alle parti.<br />

8.1. Autorizzazioni per l’esercizio dell’attività e mancata conformità<br />

del contenuto dell’atto alla legislazione speciale<br />

Particolarmente complessa appare la valutazione delle possibili conseguenze,<br />

sia sul piano dei vizi dell’atto costitutivo, sia su quello della responsabilità<br />

disciplinare e professionale del notaio rogante, in caso di redazione di un atto<br />

costitutivo che preveda, all’oggetto sociale, una attività disciplinata dalla legislazione<br />

speciale, laddove siano carenti, in tutto o in parte, i requisiti societari richiesti<br />

(ad esempio: violazione dell’esclusività dell’oggetto, capitale sociale insufficiente).<br />

In questo caso, l’esperienza applicativa dimostra come non si possa adottare<br />

una impostazione unitaria, essendo piuttosto necessario articolare l’indagine<br />

in relazione alla concreta formulazione delle norme che disciplinano le attività<br />

riservate.<br />

8.2. Riserva (con esclusiva) espressa<br />

Laddove il legislatore riservi espressamente l’esercizio di un’attività a determinati<br />

soggetti, prevedendone lo svolgimento in via esclusiva (ad es. gli intermediari<br />

finanziari di cui all’art. 106 T.U.B. 121 ), indicandone i requisiti, la previsione<br />

di tale attività nella clausola dell’oggetto sociale, in assenza dei requisiti richiesti,<br />

determina conseguenze su due piani: non essendo la società idonea ad<br />

ottenere l’iscrizione nel registro, non potrà legittimamente svolgere l’attività, derivandone<br />

un danno; dal punto di vista della responsabilità disciplinare in capo<br />

al notaio, sembra ravvisabile l’ipotesi di richiesta di iscrizione in carenza delle<br />

condizioni richieste dalla legge (138-bis l.n.)<br />

Si potrebbe astrattamente obiettare che in questi casi la legge, tecnicamente,<br />

“riserva” lo svolgimento di determinate attività a soggetti che divengono tali<br />

solo nel momento di effettiva iscrizione nell’apposito registro. Ed è quindi vero<br />

che, in sede di costituzione, il notaio rogante non può avere contezza dell’effettiva,<br />

successiva iscrizione del soggetto. È pur vero, tuttavia, che un atto così<br />

redatto (ad esempio: con la previsione di attività ulteriori insieme a quelle esclu-<br />

121<br />

La disciplina è stata novellata, come già ricordato, dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 109


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

sive; o con una dotazione di capitale insufficiente) viola di per sé la legge, in<br />

quanto non è conforme a quanto espressamente richiesto dal legislatore.<br />

Il notaio, indubbiamente, ha il controllo solo sul momento iniziale della fattispecie<br />

procedimentale volta alla creazione del soggetto abilitato a svolgere<br />

l’attività riservata, ma non per questo deve attenuare il rigore del proprio controllo<br />

su quella fase. Tale iter consta allora di una parte privatistica – che conduce<br />

alla creazione della società – e di una pubblicistica – il procedimento amministrativo<br />

vero e proprio, che si conclude con il provvedimento di rilascio dell’autorizzazione.<br />

Neppure è rilevante l’obiezione che la società, pur con l’indicazione dell’attività<br />

riservata nella clausola dell’oggetto sociale, in concreto possa non esercitarla,<br />

non rendendosi dunque passibile di alcuna sanzione (si osservi, infatti,<br />

come normalmente sia sanzionato penalmente l’effettivo esercizio abusivo): oltre<br />

alla lesione dell’affidamento dei terzi (che potrebbero essere indotti a ritenere<br />

che la società sia legittimata a compiere quella attività), alla compromissione<br />

della chiarezza nei rapporti interni tra gli organi sociali (non essendo definito<br />

l’ambito di operatività degli amministratori), ed alla circostanza che, ove l’attività<br />

oggetto di tale tipo di regolamentazione sia l’unica prevista, per la società risulterebbe<br />

verificata, sin dalla costituzione, una causa di scioglimento (per l’impossibilità<br />

di conseguire l’oggetto sociale, non disponendo la società dei requisiti<br />

necessari per ottenere l’autorizzazione), la legge risulta di per sé violata, in ragione<br />

della specifica riserva posta dal legislatore, che collega la previsione di<br />

una determinata attività esclusiva nell’oggetto sociale al possesso di determinati<br />

requisiti strutturali.<br />

8.3. Riserva (con esclusiva) non espressa<br />

Particolare attenzione è stata prestata ad un’ipotesi che pone problemi peculiari<br />

quanto alla valutazione dell’estensione della riserva: si tratta della disciplina<br />

della mediazione, per la quale si presentano difficoltà legate alla formulazione<br />

della norma (l’art. 5, comma terzo, lett. b) della l. 3 febbraio 1989, n. 39,<br />

come modificato dalla l. 5 marzo 2001, n. 57), la quale dispone che “l’esercizio<br />

dell’attività di mediazione è incompatibile […] con l’esercizio di attività imprenditoriali<br />

e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate” 122 .<br />

Nel corpo del provvedimento non risulta rinvenibile una disposizione relativa<br />

alla formulazione della clausola dell’oggetto sociale, limitandosi la legge a disciplinare<br />

le modalità di svolgimento in concreto dell’attività. Tale formulazione è<br />

potenzialmente idonea, pertanto, a determinare il dubbio se il precetto normativo<br />

che impone l’esclusività dello svolgimento dell’attività debba trovare riscontro<br />

122<br />

Principio non applicabile alle ipotesi di mediazione disciplinate da altri provvedimenti: sul<br />

punto, v. infra.<br />

110<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

nella clausola statutaria oppure se esso attenga unicamente al concreto svolgimento<br />

della stessa.<br />

Prima della l. 340/2000, nella fase in cui era in vigore il previgente disposto<br />

dell’art. 5, l. 39/1989 (che si limitava a rendere incompatibile la mediazione<br />

“con l’esercizio in proprio del commercio relativo alla specie di mediazione<br />

che si intende esercitare”), la giurisprudenza onoraria aveva costantemente rifiutato<br />

l’omologazione degli statuti societari che si ponessero in contrasto con<br />

tale principio 123 .<br />

Successivamente, in sede di procedimento disciplinare a carico di un notaio<br />

– che aveva rogato un atto costitutivo di s.r.l., prevedendo lo svolgimento di<br />

compravendita ed intermediazione nello stesso settore – non è stata ravvisata<br />

la violazione dell’art. 28 l.n., sulla base della distinzione tra il concetto di incompatibilità<br />

e di illiceità 124 . La sentenza è stata confermata in appello 125 . L’iter argomentativo<br />

dei giudici, in questa vicenda, si fonda sulla mancata assegnazione<br />

di qualsiasi rilevanza alla mera indicazione, nell'oggetto sociale, dell'attività<br />

di mediazione insieme ad altre con essa incompatibili, attribuendo, invece, e-<br />

sclusivo rilievo all’esercizio effettivo dell’attività.<br />

Sul punto si può osservare come tutta la normativa in materia di mediazione<br />

sia modellata più sul mediatore-persona fisica che sul mediatore-persona giuridica.<br />

E, se pare senz’altro corretto, per il mediatore-persona fisica, avere riguardo<br />

esclusivamente all'attività effettivamente svolta al fine di individuare<br />

comportamenti sanzionabili, la questione appare meno lineare per quanto con-<br />

123<br />

“Non è legittimo inserire contemporaneamente nell’oggetto sociale l’esercizio in proprio di u-<br />

n’attività commerciale e la mediazione sull’attività che si intende esercitare. La massima è superflua<br />

se si considera che l’incompatibilità tra esercizio del commercio in uno specifico settore merceologico<br />

e attività di mediazione in quello stesso settore è prevista dall’art.5, comma 3, legge 3 febbraio<br />

1989, n. 39. Si ritiene però opportuno pubblicarla per richiamare l’attenzione su una disposizione di<br />

legge spesso non rispettata, con conseguente necessità di rettifiche degli atti” (da: “Orientamenti<br />

del Tribunale di Milano”, 1997). “Non può essere omologato l’atto nel quale si consente alla società<br />

l’esercizio, nel medesimo settore merceologico, sia dell’attività commerciale in proprio sia dell’attività<br />

di mediazione professionale nel commercio, perché in contrasto con il disposto dell’articolo 3,<br />

comma 5°, lettera c) della legge 3 febbraio 1989 n. 39” (T. Napoli 9 ottobre 1997 – orientamento costante;<br />

v. anche T. Napoli 17 ottobre 1997, in Notariato, 1998, 434); “Lo svolgimento dell’attività di<br />

mediazione è possibile per le sole società che possiedono i requisiti previsti dalla legge 3 febbraio<br />

1989, n.39. In particolare non è possibile per l’art. 5, lett. c) di detta legge l’esercizio contemporaneo<br />

di attività di mediazione e di commercio degli stessi beni” (da: Raccolta delle massime, Commissione<br />

di studio per uniformare la giurisprudenza in materia di omologa di atti societari nel Triveneto,<br />

1998, 21); “Ai sensi dell’art. 5, comma 3, della Legge n. 39/1989 non è legittimo inserire contemporaneamente<br />

nell’oggetto sociale l’esercizio in proprio di una attività commerciale e l’attività di mediazione<br />

nello stesso settore” (da: Raccolta delle massime elaborate dal Giudice del registro presso<br />

il tribunale di Como in materia di omologazione di atti societari, consultabile in:<br />

http://www.federnotizie.org/1998/sett/interlu.htm).<br />

124<br />

T. Milano 9 gennaio 2003, in Notariato, 2003, 586 ss., con nota di A. Paolini, L’attività di mediazione<br />

nell’oggetto sociale, ripresa nell’iter argomentativo da N.A. Toscano, Oggetto sociale e attività di<br />

mediazione: la possibilità di una convivenza con altre attività sociali, in Riv. not., 2004, 182 ss.<br />

125<br />

Appello Milano 30 marzo 2004, n. 51, sentenza a quanto consta inedita.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 111


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

cerne le società. In altre parole, se un soggetto “si propone”, semplicemente, di<br />

porre in essere l'attività di mediazione insieme ad altre attività di natura imprenditoriale<br />

o professionale, il mero intento non potrà suscitare alcuna reazione da<br />

parte dell'ordinamento, se non quando ad esso sia stata data attuazione concreta.<br />

Mentre, per verificare se analoga soluzione possa valere per le società,<br />

come sostenuto nei provvedimenti citati, occorre riflettere sul valore che assume<br />

la specificazione dell'oggetto sociale, nonché sulla funzione che esso svolge<br />

nei confronti dei terzi e nei rapporti endosocietari.<br />

In via preliminare va osservato che non può dirsi risolutiva, perché non elimina<br />

i dubbi sulla liceità della clausola, in sé considerata, la semplicistica asserzione<br />

che la previsione statutaria in esame non comporta la commissione di<br />

alcun illecito penale o amministrativo finché l’attività non viene effettivamente<br />

esercitata. Si può infatti obiettare che, attraverso l'inclusione nell'oggetto sociale<br />

di una certa attività, intesa nel senso di insieme di atti di natura omogenea, teleologicamente<br />

orientati 126 , si esprime compiutamente l'intento di porre in essere,<br />

in serie, atti di un certo tipo. Pertanto, pare possibile sostenere l’illiceità di<br />

una formulazione idonea a rappresentare un programma di attività, la cui concreta<br />

realizzazione è vietata dalla legge.<br />

Stando alla lettera della norma, si potrebbe tuttavia obiettare che alla conclusione<br />

nel senso dell’illiceità della clausola (che preveda attività diverse, il cui<br />

concreto esercizio contemporaneo dia luogo ad incompatibilità) si possa pervenire<br />

solo ritenendo che – essendo la sanzione di cui all’art. 8, l. 39/1989, legata<br />

all’effettivo esercizio dell'attività – una volta enunciato un programma sociale,<br />

esso venga, necessariamente e concretamente, realizzato in tutti i suoi aspetti.<br />

Sul punto, occorre ricordare l’opinione secondo la quale gli amministratori sono<br />

obbligati ad attuare l’oggetto sociale 127 . Come si è osservato 128 , l’oggetto sociale<br />

è una regola organizzativa che gli amministratori sono tenuti a seguire.<br />

Sul piano dei rimedi, però, è vero che il mancato rispetto di tale regola (che si<br />

può configurare come inadempimento, fonte di responsabilità) deve essere fatto<br />

valere dai soci – in sede di eventuale revoca degli amministratori, azione di responsabilità,<br />

o, nei casi più gravi, attraverso la procedura ex art. 2409 c.c. – ma<br />

non può condurre ad un’attuazione coatta di quanto descritto nella clausola statutaria.<br />

Quindi, se l’oggetto sociale prevede la mediazione insieme ad attività con<br />

essa incompatibili, gli amministratori potranno rifiutarsi di svolgere la mediazione,<br />

per non incorrere nel divieto di legge. Al riguardo, l’assemblea non potrà imporre<br />

ad essi di compiere delle attività dalle quali comunque sorge una responsabilità,<br />

che permane anche in caso di presenza di una espressa autorizzazione.<br />

126<br />

Sulla nozione di “attività”, v. Auletta, Attività…, cit.<br />

127<br />

Libertini, Costituzione e conferimenti..., cit., 36; si veda inoltre Zaccaria, op. cit., 102, con<br />

specifico riguardo al problema dell’esercizio della mediazione in forma societaria.<br />

128<br />

V. supra, Parte I.<br />

112<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

Non si può fare a meno di osservare come nella realtà effettuale possa verificarsi<br />

un disallineamento tra regola statutaria e comportamento posto in essere<br />

dagli amministratori (con un diverso grado di possibile consapevolezza dei soci),<br />

consentendo, allora, che una parte del programma sociale possa restare i-<br />

nattuata. Ed è proprio su tale evenienza che si fondano le interpretazioni proposte<br />

dalla giurisprudenza appena ricordata: in questi casi l’incompatibilità di cui<br />

alla l. 39/1989, in concreto, potrebbe non presentarsi mai, in quanto è l’esercizio<br />

effettivo ad essere sanzionato.<br />

Tali possibili obiezioni, tuttavia, si basano su valutazioni legate alla previsione<br />

delle scelte concrete operate dall’organo amministrativo: è pertanto da evitare,<br />

sia in ossequio all’incompatibilità dettata dalla legge, sia in ragione della<br />

chiarezza dei rapporti endosocietari, che l’oggetto sociale contenga il riferimento<br />

alla disciplina della mediazione 129 insieme ad attività di natura diversa.<br />

Infine pare opportuno precisare che le perplessità in ordine alla effettiva violazione<br />

della incompatibilità posta dalla legge sono state sollevate nei confronti<br />

di quelle clausole costituite da un elenco di attività diverse, una sola delle quali<br />

(la mediazione) sia incompatibile con le altre, e che potrebbe in concreto non<br />

essere posta in essere, senza che per questo la clausola perda del tutto la propria<br />

capacità connotativa. È però doveroso distinguere tale evenienza dalla diversa<br />

altra ipotesi – talora suggerita in dottrina 130 – della previsione di attività indicate<br />

in modo “alternativo”, che è da ritenersi sicuramente illegittima 131 .<br />

Da ultimo, va ricordato un recente intervento normativo in materia: l’art. 1<br />

D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (pubblicato in G.U. il 23 aprile 2010), nel sopprimere<br />

il ruolo degli agenti di affari in mediazione di cui alla l. 39/1989, prevede<br />

che le attività disciplinate dalla medesima legge siano soggette a dichiarazione<br />

129<br />

Si rinvia al par. 9.2 per la precisazione dei settori nei quali alla mediazione è applicabile la<br />

previsione di incompatibilità di cui alla l. 39/1989.<br />

130<br />

Ipotesi avanzata da L. Balestra, Oggetto sociale e cumulo fra attività di commercio e mediazione,<br />

nota a T. Napoli 17 ottobre 1997, in Notariato, 1998, 434 ss., 437. Nel caso di specie, non si<br />

omologava una modifica statutaria che faceva rientrare nell’oggetto sociale sia l’attività di commercio,<br />

sia l’attività di mediazione nel medesimo ambito commerciale. Il provvedimento, e il relativo<br />

commento, sono precedenti alla riforma della mediazione del 2001. Successivamente riflette sulla<br />

fattispecie V. Tagliaferri, Oggetto sociale: le problematiche in tema di mediazione, in Aa.Vv. Oggetto<br />

ed attività delle società…, cit., 305 ss.<br />

131<br />

Tale previsione – che condurrebbe ad un completo svuotamento della funzione dell’oggetto<br />

sociale, essendo idonea a legittimare continui, radicali cambiamenti dell’attività svolta – rappresenta<br />

una violazione dell’ordine delle competenze endosocietarie nonché del disposto dell’art. 2436 c.c.,<br />

che detta una disciplina specifica per l’adozione delle modifiche statutarie. L’ordinamento (art. 2332<br />

c.c.) pone un limite espresso all’autonomia contrattuale dei soci in questo ambito, vietando di delegare<br />

statutariamente all’organo di amministrazione la scelta delle attività economiche cui destinare<br />

le risorse della società, prevedendo sulla materia un quorum rafforzato ed attribuendo il diritto di recesso<br />

ai soci non consenzienti. La funzione pubblicitaria del registro delle imprese, inoltre, sarebbe<br />

completamente vanificata, in quanto i terzi non potrebbero avere certezza di quale sia, in un determinato<br />

momento, l’attività svolta (con possibilità di sensibili divergenze dal punto di vista di fatturato,<br />

rischio, mercato rilevante, oscillazione dei prezzi, prospettive di sviluppo).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 113


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

di inizio di attività, da presentare alla Camera di Commercio, che verifica il possesso<br />

dei requisiti e iscrive i relativi dati nel registro delle imprese; a tali iscrizioni<br />

nel registro delle imprese devono intendersi riferiti, ad ogni effetto di legge,<br />

i richiami al ruolo contenuti nella l. 39/1989. L’art. 80 del medesimo provvedimento<br />

dispone che le modalità di iscrizione nel registro delle imprese dei soggetti<br />

già presenti nel ruolo, nonché le nuove procedure di iscrizione saranno disciplinate<br />

con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro<br />

i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del decreto. Nelle more<br />

dell’emanazione della disciplina di attuazione resta in vigore il regime di cui alla<br />

l. 39/1989, che comunque non sembra essere stato modificato sostanzialmente<br />

quanto al possesso dei requisiti e alle ipotesi di incompatibilità. Attualmente, in<br />

base all’art. 11 della Circolare del Ministero dell’industria del commercio e dell’artigianato<br />

(n. 3254/C del 10 settembre 1991, Disciplina della professione di<br />

mediatore. Applicazione D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, recante norme di attuazione<br />

della L. 3 febbraio 1989, n. 39), per l’iscrizione al Ruolo deve essere<br />

verificata l’insussistenza di incompatibilità nell’oggetto sociale 132 .<br />

9. AUTORIZZAZIONI (O CONCESSIONI, O ISCRIZIONI IN ALBI, ELENCHI,<br />

REGISTRI) RICHIESTE PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITÀ “RISERVATE”<br />

MA NON “ESCLUSIVE”<br />

Nella legislazione speciale sembra essere ricorrente l’ipotesi in cui il legislatore<br />

riserva singole attività a determinati soggetti, senza però prevedere che<br />

l’attività sia svolta in via esclusiva. Talora si impongono limitazioni di compatibilità<br />

con lo svolgimento di attività di natura diversa, mentre in altri casi non è posta<br />

alcuna preclusione 133 .<br />

9.1. Attività con limitazione di compatibilità<br />

Vi sono attività per le quali il legislatore non prevede lo svolgimento in via<br />

esclusiva, ma consente il loro esercizio solo congiuntamente ad altre, specificamente<br />

individuate.<br />

In alcuni casi la tecnica legislativa è particolarmente complessa: si pensi alla<br />

attività di “agenzia in attività finanziaria” 134 , per la quale una fonte primaria 135<br />

132<br />

Si rinvia a A. Paolini, Oggetto sociale: mediazione e amministrazione di condominio – Precisazioni<br />

sull’interpretazione di una circolare del Ministero delle attività produttive, in Studi e Materiali,<br />

2007, 1656 ss., per negare la compatibilità tra mediazione e attività di amministrazione di condomini.<br />

133<br />

Per alcuni spunti applicativi, A. Paolini, Pluralità di attività nell’oggetto sociale e limiti di compatibilità<br />

nella prassi statutaria, in Oggetto ed attività delle società: ruolo e responsabilità del notaio,<br />

(atti del Convegno di Napoli, 22 settembre 2007), Milano, 2008, 267 ss.<br />

134<br />

Regolata dall’art. 3, D.Lgs. 25 settembre 1999, n. 374, dal d.P.R. 28 luglio 2000, n. 287 e dal<br />

Provvedimento adottato dall’UIC in data 11 luglio 2002 (“Disciplina dell’elenco degli agenti in attività<br />

(segue)<br />

114<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

demanda ad apposito regolamento ministeriale la specificazione del contenuto<br />

dell’attività e la fissazione delle “condizioni di compatibilità con lo svolgimento di<br />

altre attività professionali” 136 .<br />

Il quadro è reso ancor più complesso dall’individuazione di una ulteriore variante:<br />

gli agenti in attività finanziaria che svolgono esclusivamente “il servizio di<br />

pagamento consistente nel trasferimento di fondi attraverso la raccolta e la consegna<br />

delle disponibilità da trasferire” (c.d. attività di money transfer 137 ) possono<br />

esercitare anche ulteriori attività: ad essi non si applica, cioè, la regola generale<br />

di cui all’art. 5, comma 3, d.m. 485/2001.<br />

9.2. Attività senza limitazioni di compatibilità<br />

Vi è, poi, una serie molto ampia di attività, il cui esercizio, pur soggetto ad<br />

autorizzazione, risulta compatibile con lo svolgimento di attività di natura diversa.<br />

In questi casi è opportuno verificare solo la eventuale necessità di tenere<br />

conto di particolari requisiti statutari.<br />

In tale categoria vanno ricomprese una serie di ipotesi in materia di mediazione:<br />

in questo ambito, si osservi come la l. 39/1989 non ponga dei principi<br />

generali, ma sia applicabile in via residuale, salvo, cioè, l’esistenza di un’apposita<br />

disciplina. Pertanto, le tipologie di mediazione oggetto di appositi provvedimenti<br />

normativi non sono soggette all’applicazione della l. 39/1989, e dunque al<br />

regime di esclusività dell’esercizio in essa disposto 138 .<br />

finanziaria previsto dall’articolo 3 del Decreto Legislativo 25 settembre 1999, n. 374”). La disciplina<br />

di tale attività è stata profondamente mutata, come ricordato, dal D.Lgs. 141/2010, che ha inserito le<br />

norme relative nel T.U.B. (artt. 128-quater e ss.) e ha previsto l’esclusività dell’oggetto sociale. Al<br />

momento sono sospese le iscrizioni di nuovi soggetti, in attesa dell’emanazione della normativa di<br />

attuazione e di costituzione dell’Organismo di vigilanza; ai soggetti già operanti continua ad applicarsi<br />

la normativa previgente.<br />

135<br />

Il citato D.Lgs. 374/1999.<br />

136<br />

Ai sensi dell’art. 5, d.m. n. 485/2001, lo svolgimento dell’attività di agenzia in attività finanziaria<br />

è (al momento – v. nota n. 132) compatibile: a) con quello di attività strumentali e connesse; b)<br />

con l’attività di agenzia per la promozione di contratti stipulati da banche nell’esercizio delle attività<br />

indicate nell’articolo 106, comma 1, del testo unico bancario; c) con altre attività professionali per le<br />

quali sia richiesta l’iscrizione in altri elenchi, ruoli o albi tenuti da pubbliche autorità, ordini o consigli<br />

professionali, secondo il regime proprio di ciascuna. Sulla questione (con riguardo alla disciplina ante<br />

D.Lgs. 141/2010), v. i pareri A. Paolini, Oggetto sociale. Attività di acquisto, vendita e costruzione<br />

di beni immobili; “attività di strutture ricettive e annessi turistici”; mediazione creditizia; agenzia in attività<br />

finanziaria, in Studi e Materiali, 2007, 1643 ss.; Id, Oggetto sociale: agenzia in attività finanziaria<br />

e requisiti di capitale, in Studi e Materiali, 2006, 1125 ss.<br />

137<br />

A. Paolini, Oggetto sociale: transazioni di denaro, “money transfer” e gestione di carte di credito<br />

prepagate, in Studi e Materiali, 2006, 1156 ss.; anche la disciplina dei servizi di pagamento è<br />

stata recentemente oggetto di novellazione nel T.U.B., ad opera del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11.<br />

138<br />

Vanno ricordati, ad esempio, i provvedimenti in materia di mediazione marittima (l. 12 marzo<br />

1969, n. 478); di intermediazione nei servizi turistici (A. Paolini, Oggetto sociale – attività nel settore<br />

turistico, in Studi e Materiali, 2006, 1178 ss.); di intermediazione assicurativa (D.Lgs. 7 settembre<br />

2005, n. 209 e Regolamento 16 ottobre 2006, n. 5; in argomento v. E. Pucci, L’attività di intermediazione…,<br />

cit., 843 ss); di intermediazione di rifiuti (Id., Oggetto sociale: “commercio e intermediazio-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 115


Costituzione della società e indicazione dell’oggetto sociale – Studio n. 203-2009/I<br />

Se la legge richiede, per il legittimo esercizio dell’attività, solo il possesso di<br />

un’autorizzazione (o l’iscrizione in albi, elenchi, etc.) senza che siano dettati<br />

specifici requisiti rilevanti in sede di costituzione, non compete al notaio alcun<br />

dovere di controllo. Sarà compito degli amministratori farsi carico degli adempimenti<br />

richiesti, e aver cura di non avviare alcuna attività se non in possesso<br />

dei titoli abilitativi.<br />

Si è detto 139 della prassi, frequente, volta ad indicare la previsione dello svolgimento<br />

dell’attività “a condizione dell’ottenimento dell’autorizzazione”: tale e-<br />

spressione non è da intendersi come condizione in senso tecnico, ma come definizione<br />

di una regola di funzionamento 140 .<br />

ne di rifiuti”, in Studi e Materiali, 2008, 1767 ss.): a tali tipologie di mediazione, pertanto, non si applica<br />

la previsione di esclusività. Lo stesso valeva per la mediazione creditizia, di cui all’art. 16, l. 7<br />

marzo 1996, n. 108 e al d.P.R. 28 luglio 2000, n. 287, che prevedono espressamente la compatibilità<br />

con lo svolgimento di altre attività professionali e, dal punto di vista della configurazione dello statuto,<br />

richiedono che l’oggetto sociale comprenda la mediazione creditizia (sul punto Id., Oggetto sociale:<br />

mediazione creditizia, in Studi e Materiali, 2005, 907 ss.; Id., Oggetto sociale: recupero crediti<br />

e mediazione creditizia, in Studi e Materiali, 2007, 883 ss.). Anche la disciplina di tale attività, però,<br />

è recentemente confluita nel T.U.B. (ad opera del D.Lgs. 141/2010), ed è stata introdotta, come per<br />

l’agenzia in attività finanziaria, l’esclusività dell’oggetto sociale. Al momento sono sospese le iscrizioni<br />

di nuovi soggetti, in attesa dell’emanazione della normativa di attuazione e di costituzione<br />

dell’Organismo di vigilanza; ai soggetti già operanti continua ad applicarsi la normativa previgente.<br />

139<br />

V. supra, nota n. 110.<br />

140<br />

Sul punto, M. Stella Richter, La condizione e il termine nell’atto costitutivo delle società di<br />

capitali e nelle deliberazioni modificative, in Studi e Materiali, 2009, 1053 ss.<br />

116<br />

Studi e Materiali – 1/2011


La nuova disciplina delle operazioni con parti<br />

correlate: profili di interesse notarile<br />

Studio n. 247-2010/I<br />

Mario Stella Richter Jr.<br />

Approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 13 gennaio 2011<br />

Sommario: 1. Premessa. – 2. Adozione delle procedure: individuazione del soggetto incaricato<br />

di rendere il parere – 3. Segue: il parere preventivo. – 4. Segue: l’approvazione.<br />

– 5. Modificazioni statutarie conseguenti all’approvazione delle procedure.<br />

– 6. Modificazioni delle procedure. – 7. Natura delle procedure. – 8. Previsioni<br />

statutarie sulle operazioni con parti correlate.<br />

1. PREMESSA<br />

L’art. 2391-bis c.c. (introdotto col D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310) delegava<br />

la Consob a individuare i principi generali in base ai quali l’organo amministrativo<br />

di una società (di diritto italiano) che fa ricorso al mercato del capitale di rischio<br />

1<br />

deve adottare le “regole che assicurano la trasparenza e la correttezza<br />

sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate” 2 . In particolare, i<br />

principi demandati alla determinazione della Autorità di vigilanza dovevano disciplinare<br />

le operazioni con parti correlate, realizzate direttamente o per il tramite<br />

di società controllate, “in termini di competenza decisionale, di motivazione e<br />

di documentazione” (così il secondo comma dell’art. 2391-bis c.c.).<br />

Dopo più di cinque anni e all’esito di due pubbliche consultazioni 3 , la Consob<br />

ha emanato, con deliberazione n. 17221 del 12 marzo 2010, un regolamento<br />

recante le disposizioni in materia di operazioni con parti correlate (d’ora in avanti<br />

anche solo il Regolamento o Reg. Consob). Tale normativa secondaria è sta-<br />

1<br />

E quindi, ai sensi dell’art. 2325-bis c.c., una società con azioni quotate in un mercato regolamentato<br />

o con azioni diffuse tra il pubblico.<br />

2<br />

Relativamente alla disposizione del codice cfr., per tutti, M. Ventoruzzo, sub art. 2391-bis, in<br />

Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti e altri, Milano, 2005, 501 ss.<br />

3<br />

Per un esame dei lavori preparatori v. Montalenti, Le operazioni con parti correlate tra efficienza<br />

gestionale nei gruppi e rischi di conflitti di interessi: quale disciplina?, in La crisi finanziaria: banche,<br />

regolatori, sanzioni, Atti del Convegno Courmayeur 25-26 settembre 2009, Milano, 2010, 135<br />

ss., nonché per alcune osservazioni il mio Brevi osservazioni sulla proposta di disciplina regolamentare<br />

in materia di operazioni con parti correlate, in Riv. dir. soc., 2008, 846 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 117


La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate – Studio n. 247-2010/I<br />

ta successivamente corretta con deliberazione Consob del 23 giugno 2010, n.<br />

17389 4 . Con questa ultima deliberazione si è anche procrastinato al 1° dicembre<br />

2010 il termine per l’adozione delle procedure da parte delle società e quello<br />

di entrata in vigore della disciplina sulla trasparenza. Le altre disposizioni del<br />

Regolamento entrano in vigore il 1° gennaio 2011.<br />

Inoltre, la Consob ha provveduto a diffondere due comunicazioni in materia:<br />

la prima, molto lunga e analitica, addirittura preceduta da una consultazione<br />

pubblica, del 24 settembre 2010, n. DEM/10078683 (recante “indicazioni e o-<br />

rientamenti per l’applicazione del Regolamento sulle operazioni con parti correlate”);<br />

la seconda del 15 novembre 2010, n. 10094530.<br />

Ne è risultato un quadro regolamentare particolarmente articolato e complesso;<br />

quadro che è destinato a ulteriormente arricchirsi a seguito della futura<br />

imminente adozione da parte della Banca d’Italia di una nuova disciplina delle<br />

“attività di rischio e conflitti di interesse delle banche e dei gruppi bancari nei<br />

confronti di soggetti collegati”, per la quale si è da poco conclusa una pubblica<br />

consultazione 5 .<br />

Il presente studio intende concentrarsi sui profili di interesse notarile di tale<br />

disciplina delle operazioni con parti correlate. Conseguentemente, si tratterà solo:<br />

del procedimento di adozione delle regole che ogni società con azioni quotate<br />

in un mercato regolamentato o diffuse tra il pubblico (ovvero bancaria) è tenuta<br />

a darsi; del procedimento di modificazione di tali regole; della natura di tali<br />

regole (e cioè delle “procedure”); del rapporto tra le “procedure” e lo statuto della<br />

società.<br />

2. ADOZIONE DELLE PROCEDURE: INDIVIDUAZIONE DEL SOGGETTO<br />

INCARICATO DI RENDERE IL PARERE<br />

Il procedimento di adozione delle “procedure” 6 si articola nelle seguenti fasi.<br />

La prima è quella finalizzata a individuare il soggetto chiamato a dare il parere<br />

preventivo sulle procedure (e cioè il parere di cui al comma 3 dell’art. 4 del Rego-<br />

4<br />

Per una illustrazione dell’intero provvedimento v. Assonime, Circolare n. 38 del 6 dicembre<br />

2010. Per primi commenti o esposizioni delle nuova disciplina v. Montalenti, Le operazioni con parti<br />

correlate: il nuovo regolamento Consob, in NDS n. 12/2010; S. Esposito, Le operazioni con parti<br />

correlate: regole sulla trasparenza e sul governo societario, in Riv. dir. comm., 2010, I, 851 ss.,<br />

spec. 856 ss.; V. Salafia, Le operazioni con parti correlate, in Società, 2010, 735 ss.; Giudici, Neoquotate,<br />

piccole quotate e società con azioni diffuse: lo speciale regime per le operazioni con parti<br />

correlate, ivi, 2010, 871 ss.; A. Busani, Parti correlate: modifiche statutarie e nuove procedure decisionali,<br />

in Società, 2010, 1103 ss. Per la approfondita trattazione di un particolare aspetto cfr. M.<br />

Maugeri, Le operazioni con parti correlate nei gruppi societari, in Riv. dir. comm., 2010, I, 887 ss.<br />

5<br />

Cfr. Banca d’Italia, Documento di consultazione del maggio 2010, su “attività di rischio e conflitti<br />

di interesse delle banche e dei gruppi bancari nei confronti di soggetti collegati”.<br />

6<br />

Di iter parla la Banca d’Italia, probabilmente per evitare il bisticcio di parole (procedimento di<br />

adozione delle procedure): cfr. Documento di consultazione, cit., par. 2 della parte III, 29 s.<br />

118<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

lamento) all’organo amministrativo. Tale fase non è espressamente prevista dalla<br />

disciplina Consob, ma è nondimeno necessaria tutte le volte nelle quali l’organo<br />

amministrativo della società sia composto da più di tre consiglieri indipendenti ovvero<br />

non abbia alcun componente indipendente nel suo seno. In tutti questi casi il<br />

consiglio (di amministrazione, di gestione o di sorveglianza) dovrà procedere alla<br />

scelta o dei componenti di un comitato interno di consiglieri indipendenti (che si<br />

desume dovere essere composto da almeno tre persone 7 ) o (appunto nel caso<br />

che non vi sia neanche un consigliere di amministrazione indipendente) di un e-<br />

sperto indipendente (allora necessariamente estraneo al consiglio).<br />

Questa ultima eventualità dovrebbe, in realtà, potersi dare solo con riferimento<br />

alle società con azioni bensì diffuse tra il pubblico, ma non quotate, e<br />

comunque amministrate con il sistema tradizionale: infatti, l’art. 147-ter, comma<br />

4, T.U.F. prevede, come è noto, che “almeno uno dei componenti del consiglio<br />

di amministrazione, ovvero due se il consiglio di amministrazione sia composto<br />

da più di sette componenti devono possedere i requisiti di indipendenza”; e,<br />

d’altra parte, società amministrate col sistema monistico senza amministratori<br />

indipendenti e società amministrate col sistema dualistico senza consiglieri di<br />

sorveglianza indipendenti non possono darsi (come si evince dagli artt. 2409-<br />

septiesdecies, comma 2, e 2409-duodecies, comma 10, c.c.).<br />

Ne discende che in molti casi (e cioè quando i consiglieri indipendenti non ci<br />

siano o siano più di tre) si tratterà di scegliere tra una pluralità di soggetti in a-<br />

stratto idonei a comporre il comitato chiamato a dare il parere sulle procedure o<br />

a fungere da esperto indipendente. Al riguardo conviene precisare quale sia<br />

l’organo che sceglie e quale sia l’esatto contenuto di tale scelta.<br />

Nel caso di una società amministrata con sistema tradizionale o monistico<br />

competente a scegliere non può che essere il consiglio di amministrazione 8 .<br />

7<br />

Lo si desume dall’art. 4, comma 3, Reg. Consob. Cfr. anche la Comunicazione Consob n.<br />

DEM/10078683, cit., par. 6.2, secondo la quale “il Regolamento prevede che, qualora non siano in<br />

carica almeno tre amministratori indipendenti, le società debbano ricorrere, in sede di deliberazione<br />

delle procedure, a presidi alternativi al comitato di amministratori indipendenti”. V. anche Assonime,<br />

Circolare, cit., 60.<br />

8<br />

Al riguardo nella citata Circolare di Assonime si legge: “Il Regolamento non richiede espressamente<br />

il coinvolgimento del consiglio di amministrazione per l’individuazione del comitato e per il<br />

conferimento del relativo incarico. L’investitura del comitato in sede consiliare può rappresentare<br />

una buona pratica di governance, che diviene tuttavia necessaria nell’ipotesi in cui si voglia costituire<br />

un comitato ad hoc o integrare il numero degli indipendenti presenti in un comitato preesistente o<br />

nello stesso consiglio vi siano più di tre amministratori indipendenti da coinvolgere: l’assunzione di<br />

tale scelta in sede consiliare può rappresentare un elemento di garanzia nella selezione degli indipendenti<br />

che andranno a comporre il comitato. Per contro, qualora il numero di amministratori presenti<br />

in consiglio sia pari a quello minimo per la costituzione del comitato (tre amministratori indipendenti)<br />

questa potrà avvenire in via automatica, poiché non presuppone alcuna selezione tra<br />

amministratori” (p. 61). Orbene, se è vero che in certi casi non è necessaria alcuna deliberazione<br />

dell’organo amministrativo (come si spiega meglio nel testo), non è altrettanto vero che per<br />

l’individuazione del comitato competente a rendere il parere preventivo e per il conferimento del relativo<br />

incarico non sia comunque richiesto il coinvolgimento del consiglio di amministrazione (tale<br />

coinvolgimento rimanendo sul piano delle “buone pratiche” di governo societario, secondo la pro-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 119


La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate – Studio n. 247-2010/I<br />

Nel caso della società amministrata col sistema dualistico direi, in prima<br />

approssimazione, il consiglio di gestione, se il comitato sarà composto da<br />

consiglieri di gestione indipendenti (ipotesi assai più rara), e il consiglio di sorveglianza,<br />

ove il comitato sia composto da consiglieri di sorveglianza; non mi<br />

sembra neanche da escludersi la possibilità di una composizione mista del<br />

comitato in virtù di deliberazioni vuoi del consiglio di sorveglianza vuoi del<br />

consiglio di gestione.<br />

Il contenuto della scelta riguarda: nelle società con più di tre consiglieri indipendenti<br />

il numero di componenti del comitato 9 e i consiglieri in concreto chiamati<br />

a comporlo; nelle società senza amministratori indipendenti la persona<br />

dell’esperto esterno. Aggiungo che la circostanza che nella società già esista un<br />

comitato di controllo interno (perché, per esempio, raccomandato dal Codice di<br />

autodisciplina) non vincola il consiglio ad affidare allo stesso la funzione di cui<br />

qui si discorre 10 : potrà ben essere questo ad essere individuato come competente<br />

al rilascio del parere preventivo 11 ; ma ci vorrà comunque una espressa deliberazione<br />

in tal senso del consiglio di amministrazione e ogni automatismo è<br />

al riguardo da escludersi. Altrettanto è poi a dirsi in caso di società amministrata<br />

con sistema monistico: anche qui non ritengo che ci debba essere necessaria<br />

coincidenza tra comitato incaricato del parere preventivo e comitato di controllo<br />

sulla gestione (sempre che ovviamente ci siano più di tre amministratori indipendenti<br />

tra i quali scegliere i componenti del comitato che, in ipotesi, non si ritenga<br />

di dover istituire con un numero di componenti maggiore di tre e pari al<br />

totale degli amministratori indipendenti presenti in consiglio).<br />

3. SEGUE: IL PARERE PREVENTIVO<br />

La seconda fase è quella nella quale si rende il parere di cui all’art. 4, comma<br />

3, del Regolamento; il che naturalmente presuppone che ci sia una bozza di<br />

procedura su cui rendere tale parere (bozza che potrà essere liberamente approntata<br />

o all’interno o all’esterno della organizzazione e della burocrazia sociespettazione<br />

dell’Assonime); infatti, delle due l’una: o esiste già (ipotesi peraltro in concreto ben difficilmente<br />

ipotizzabile) un comitato al quale siano state attribuite competenze in materia di operazioni<br />

con parti correlate così estese da coprire anche il tema della adozione delle procedure, ma allora<br />

questo vuol dire che vi è stato comunque, seppure in passato, un conferimento di siffatte funzioni<br />

dal plenum al comitato; ovvero non esiste tale competenza in capo ad alcun comitato di indipendenti<br />

(già esistente), e allora bisogna dargliela o istituire un comitato ad hoc.<br />

9<br />

Essendo i tre componenti un numero minimo, non massimo.<br />

10<br />

Nel medesimo senso il Comunicato della Consob del 24 settembre 2010, cit., nel cui par. 6.1<br />

si legge: “si ritiene che le società possano individuare liberamente tale comitato tra quelli già esistenti<br />

che rispettino il requisito di composizione o di costituirne appositamente uno nuovo”.<br />

11<br />

Cfr. anche Assonime, Circolare, cit., 60 s., e M. Baglioni-G. Grasso, Parti correlate: l’attività di<br />

predisposizione delle nuove procedure interne, in Società, 2010, 727 ss., a 729.<br />

120<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

taria 12 ). Il parere è obbligatorio e la sua natura varia a seconda del soggetto che<br />

lo rende: esso è espressamente definito come “non vincolante” qualora sia reso<br />

da un esperto indipendente estraneo agli organi sociali. In tutti gli altri casi – e<br />

cioè quando è reso dal comitato di amministratori indipendenti ovvero dall’unico<br />

o dagli unici due consiglieri indipendenti – il riferimento puro e semplice al “previo<br />

parere favorevole” (art. 4, comma 3, primo e secondo periodo, Reg. Consob)<br />

induce a considerare tale parere vincolante. Il parere è reso all’organo<br />

chiamato ad adottare la procedura e quindi, come si dirà, al consiglio di amministrazione<br />

o al consiglio di gestione.<br />

Il contenuto del parere deve essere positivo o negativo; ovviamente, nulla<br />

vieta che il parere positivo sia condizionato alla adozione di specifiche modificazioni<br />

alla bozza delle procedure, o che nel parere, comunque positivo, si<br />

suggeriscano ulteriori possibili miglioramenti (non deve infatti scordarsi la funzione<br />

consultiva che il comitato o lo stesso esperto indipendente svolgono nei<br />

confronti del consiglio di amministrazione o di gestione). A sua volta, il parere<br />

negativo dovrebbe contenere le ragioni per le quali si ritiene di non condividere<br />

la soluzione proposta nella bozza di procedura, cioè, a ben vedere, una motivazione<br />

che consenta di essere utilizzata come suggerimento per giungere ad a-<br />

vere, attraverso gli opportuni emendamenti, un nuovo parere favorevole.<br />

Naturalmente, poiché il parere del comitato è frutto del funzionamento collegiale<br />

del comitato, è almeno in astratto possibile che esso sia stato adottato con<br />

il voto contrario o con l’astensione di uno o più (ma ovviamente una parte minoritaria)<br />

dei suoi componenti: in questi casi la Consob prevede che la società<br />

emani, ai sensi dell’art. 114, comma 5, T.U.F., una comunicazione al pubblico<br />

con la quale si renda noto il voto dissenziente, la persona o le persone che lo<br />

hanno espresso e le relative (eventuali) motivazioni 13 : sulla rilevanza di questa<br />

12<br />

V. anche M. Baglioni-G. Grasso, Parti correlate: l’attività di predisposizione delle nuove procedure<br />

interne, cit., 729.<br />

13<br />

Cfr. Comunicazione Consob n. 10094530 del 15 novembre 2010: “qualora la procedura sia<br />

stata approvata in presenza del voto contrario o dell’astensione di uno o più consiglieri (anche non<br />

indipendenti) ovvero di un parere contrario non vincolante dell’esperto indipendente, si richiede alle<br />

società, ai sensi dell’articolo 114, comma 5, del TUF, di pubblicare entro il 3 dicembre 2010, con le<br />

modalità indicate nella Parte III, Titolo II, Capo I, del regolamento Consob adottato con delibera n.<br />

11971 del 14 maggio 1999, come successivamente modificato, un comunicato contenente le seguenti<br />

informazioni: – indicazione della circostanza che la procedura è stata approvata dall’organo<br />

di amministrazione in presenza del voto contrario o dell’astensione di uno o più consiglieri ovvero di<br />

un parere contrario dell’esperto indipendente; – indicazione del nominativo del consigliere o dei<br />

consiglieri che hanno espresso voto contrario o si sono astenuti, chiarendo se si tratta di componente<br />

esecutivo, non esecutivo, indipendente o tratto da una lista di minoranza ovvero indicazione<br />

del nominativo o della denominazione dell’esperto indipendente; – indicazione se l’espressione del<br />

voto contrario o l’astensione sia avvenuta in sede di adozione del parere previsto dal citato art. 4,<br />

comma 3, del Regolamento o in sede di approvazione della procedura da parte dell’organo di amministrazione;<br />

– indicazione delle motivazioni del voto contrario o dell’astensione ovvero del parere<br />

contrario dell’esperto indipendente. Resta ferma la facoltà, per le società, di pubblicare il parere<br />

previsto dall’articolo 4, comma 3, del Regolamento o, qualora tale parere non sia reso in forma scritta,<br />

di rendere note nel predetto comunicato le motivazioni a supporto di tale parere”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 121


La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate – Studio n. 247-2010/I<br />

previsione della Consob, che vale anche con riferimento all’eventuale parere<br />

non vincolante dell’esperto indipendente e alla deliberazione di approvazione<br />

delle procedure, si tornerà oltre.<br />

Segnalo anche che non è raro che nella pratica il comitato di amministratori<br />

indipendenti richieda a sua volta, per rendere il parere, l’opinione di un esperto<br />

esterno sulla conformità della bozza di procedure alla disciplina legale e soprattutto<br />

regolamentare sulle operazioni con parti correlate.<br />

Ricordo che anche nell’iter di adozione della procedura progettata per le banche<br />

14 è previsto un parere preventivo sulla complessiva idoneità delle procedure a<br />

conseguire i propri obiettivi. In questo caso, si prevede che il parere: (i) sia rilasciato<br />

tanto degli amministratori indipendenti (e si direbbe tutti, senza preventiva<br />

selezione degli stessi e istituzione di apposito comitato) quanto dall’organo di<br />

controllo; (ii) sia “analitico” e “motivato”; (iii) abbia natura vincolante per l’organo<br />

(di supervisione strategica) chiamato ad approvare le procedure.<br />

4. SEGUE: L’APPROVAZIONE<br />

La terza fase è, ovviamente, quella di approvazione delle procedure; tale<br />

approvazione compete al consiglio di amministrazione o, nel caso di società<br />

amministrata col sistema dualistico, al consiglio di gestione (art. 4, comma 1,<br />

Reg. Consob, e ancor prima v. l’art. 2391-bis, primo comma, c.c.) 15 . Una volta<br />

approvate, le procedure devono essere pubblicate “senza indugio” sul sito<br />

internet della società (art. 4, comma 7, Reg. Consob).<br />

Inoltre, dopo l’approvazione le procedure sono soggette al controllo di conformità<br />

rispetto alla normativa regolamentare da parte dell’organo di controllo<br />

(art. 4. comma 5, Reg. Consob, che parla di vigilanza dell’organo di controllo<br />

“sulle procedure adottate”); naturalmente, nei poteri dell’organo di controllo c’è<br />

anche quello di rilevare la eventuale mancanza di conformità rispetto alla disciplina<br />

legale e regolamentare prima della approvazione della procedura e, in<br />

particolare, in sede di relativa discussione consiliare.<br />

Come si diceva 16 , l’eventuale dissenting opinion (e cioè il voto contrario o<br />

l’astensione) di un qualsiasi consigliere di amministrazione o di gestione (esecutivo<br />

o non esecutivo, indipendente o meno) nella deliberazione di approvazione<br />

della procedura deve essere resa nota al pubblico con comunicazione<br />

14<br />

Cfr. Banca d’Italia, Documento di consultazione, cit., par. 2.2, della parte III sulle “Procedure<br />

deliberative”, 29 s.<br />

15<br />

Non posso qui dilungarmi a stabilire se, nella società amministrata col sistema dualistico,<br />

possa prevedersi statutariamente che le procedure siano approvate anche dal consiglio di sorveglianza<br />

ossia con sua delibera conforme. Comunque, nel citato documento della Banca d’Italia si<br />

prevede che le procedure siano deliberate “dall’organo con funzione di supervisione strategica”.<br />

16<br />

Cfr. supra, sub par. 3.<br />

122<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

della società 17 . La previsione potrebbe avere importanti conseguenze di carattere<br />

pratico e di carattere sistematico. Tra le prime la più rilevante è quella che<br />

consente di mettere in gioco la reputazione dei singoli amministratori (evidentemente<br />

soprattutto di quelli indipendenti). Tra le seconde, segnalo trattarsi di<br />

una eccezione alla regola generale del diritto societario per la quale le posizioni<br />

dei singoli componenti degli organi collegiali di amministrazione non hanno rilevanza<br />

esterna (se non al fine di evitare la responsabilità del dissenziente rispetto<br />

alla decisione pregiudizievole: art. 2392, comma 3, c.c.) e, comunque, non<br />

trovano autonoma pubblicità. L’unica altra previsione che conosco che consente<br />

di dare pubblicità ai singoli voti degli amministratori è quella dell’art. 39,<br />

comma 1, lett. a) del Regolamento emittenti che prevede che il comunicato di<br />

cui all’art. 103, comma 3, T.U.F. (e cioè il comunicato del consiglio di amministrazione<br />

della società i cui titoli sono oggetto di o.p.a.) rechi indicazione<br />

dell’eventuale approvazione a maggioranza del comunicato stesso con espressa<br />

indicazione dei dissenzienti 18 . In questo caso i singoli amministratori dissenzienti<br />

possono chiedere (e quindi la pubblicità non opererà in modo automatico)<br />

che il comunicato rechi non solo il numero di voti contrari o di astensione, ma<br />

anche l’indicazione del loro nome 19 . Viceversa nella ipotesi che ci occupa la<br />

pubblicità del voto dissenziente opera in ogni caso e, dunque, a prescindere<br />

dalla volontà dell’amministratore che abbia votato contro o si sia astenuto.<br />

5. MODIFICAZIONI STATUTARIE CONSEGUENTI ALL’APPROVAZIONE<br />

DELLE PROCEDURE<br />

Dopo l’adozione delle procedure può seguire una ulteriore fase che si sostanzia<br />

nella predisposizione da parte dell’organo amministrativo e nella approvazione<br />

da parte dell’assemblea delle modificazioni statutarie indotte dalle previsioni<br />

delle procedure. L’art. 4, comma 5, Reg. Consob prevede che “nel defini-<br />

17<br />

Cfr. ancora la Comunicazione Consob n. 10094530.<br />

18<br />

In punto v. adesso ampiamente F. Chiappetta, Il comunicato dell’emittente, in corso di pubblicazione<br />

su Offerte pubbliche di acquisto, a cura di M. Stella Richter jr, Torino.<br />

19<br />

In questo caso, come correttamente rileva F. Chiappetta, op. cit., “la decisione è da ritenere<br />

sia propria del singolo amministratore ben potendosi dunque avere comunicati con l’indicazione solo<br />

di alcuni dei nomi dei dissenzienti”. Lo stesso Chiappetta ricorda come “l’applicazione pratica di<br />

questa previsione si è risolta, nella maggior parte dei casi in una mera elencazione degli amministratori<br />

favorevoli e di quelli contrari (nonché degli assenti e degli astenuti). Vi sono stati peraltro<br />

casi in cui la facoltà concessa al singolo amministratore si è tradotta in vere e proprie opinioni dissenzienti<br />

allegate al comunicato”. È infine a dirsi che la previsione regolamentare di pubblicità delle<br />

singole posizioni all’interno del consiglio in occasione di o.p.a. dovrebbe essere ulteriormente rafforzata<br />

ove venissero approvate le modificazioni attualmente poste in pubblica consultazione (cfr.<br />

Documento di consultazione del 6 ottobre 2010, pubblicato in http://www.consob.it/main/aree/novita/consultazione_emittenti_20101006_opa.htm);<br />

il documento in consultazione prevede infatti che il<br />

comunicato dia espressa indicazione: a) dei nominativi dei soggetti presenti alla riunione; b) dei<br />

soggetti dissenzienti; c) degli astenuti; d) delle motivazioni del voto dissenziente e dell’astensione.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 123


La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate – Studio n. 247-2010/I<br />

re le procedure i consigli di amministrazione o di gestione identificano quali regole<br />

richiedano modifiche allo statuto” 20 . Si tratta di una fase eventuale 21 , nel<br />

senso che le procedure possono essere scritte in modo tale da non richiedere<br />

alcuna modificazione.<br />

Modificazioni allo statuto possono aversi nei seguenti casi 22 .<br />

(i) Se si decide di avvalersi della opzione di cui all’art. 8, comma 5, Reg.<br />

Consob (a mente del quale “le procedure possono prevedere… che il consiglio<br />

di amministrazione possa approvare le operazioni di maggiore rilevanza nonostante<br />

l’avviso contrario degli amministratori indipendenti, purché il compimento<br />

di tali operazioni sia autorizzato, ai sensi dell’articolo 2364, comma 1, numero<br />

5), del codice civile, dall’assemblea”, la quale poi delibera con la procedura c.d.<br />

di whitewash: art. 11, comma 3, Reg. Consob), allora si dovrà prevedere statutariamente<br />

la competenza assembleare ad autorizzare gli amministratori a<br />

compiere le operazioni con parti correlate.<br />

(ii) Se si decide di consentire che le operazioni, urgenti e collegate a situazioni<br />

di crisi aziendale, di competenza assembleare o che debbano essere da<br />

questa autorizzate, siano realizzate anche in deroga a quanto previsto dai primi<br />

tre commi dell’art. 11 Reg. Consob, ciò deve essere espressamente previsto<br />

dallo statuto (art. 11, comma 5, Reg. Consob).<br />

(iii) Se si decide di consentire che le operazioni urgenti, non di competenza<br />

assembleare o comunque che non necessitino della autorizzazione dell’assemblea,<br />

possano essere decise con le semplificazioni di cui al comma 6 dell’art. 11<br />

Reg. Consob, ciò deve essere espressamente previsto dallo statuto.<br />

(iv) Infine, se si vuole in tutto o in parte escludere l’applicazione di alcune disposizioni<br />

delle procedure (e del Reg. Consob) in caso di determinazione dei<br />

compensi degli amministratori investiti di particolari cariche e dei dirigenti con<br />

responsabilità strategiche è necessario ottenere “l’approvazione o il voto consultivo”<br />

(favorevole, è da ritenersi) dell’assemblea sulla relazione relativa alla<br />

politica di remunerazione della società, il che, a sua volta, presuppone che lo<br />

statuto riconosca all’assemblea tale competenza (sempre sulla base dell’art.<br />

2364, comma 1, n. 5, c.c.).<br />

Come si vede, la modificazione dello statuto diviene necessaria solo se si<br />

decide di avvalersi di una opzione 23 : questo conferma che di per sé la modifica-<br />

20<br />

Analogamente il documento di Banca d’Italia, cit., par. 2.2., 30, prevede “L’iter che precede è<br />

osservato anche per la proposta, da inoltrare all’assemblea, per la modifica dello statuto eventualmente<br />

necessaria per l’adeguamento alle presenti disposizioni”.<br />

21<br />

V. anche Assonime, Circolare, cit., 50.<br />

22<br />

Si veda anche A. Busani, op. cit., 1104 ss.<br />

23<br />

Nello stesso senso è la ricordata Comunicazione interpretativa della Consob del settembre<br />

2010, dove, almeno con riguardo alla ipotesi sub (i) nel testo, si legge: “Il Regolamento collega alcuni<br />

effetti giuridici ai pareri non favorevoli rilasciati dai soggetti tenuti alla sua espressione. Tali effetti<br />

possono ad esempio consistere – a seconda della rilevanza dell’operazione, del sistema di<br />

amministrazione e controllo adottato o delle scelte compiute in sede di redazione delle procedure –<br />

(segue)<br />

124<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

zione statutaria non potrà dirsi obbligatoria, e, anche in presenza di una procedura<br />

che voglia avvalersi di una o più delle suddette opzioni, la successiva<br />

mancata approvazione della modificazione statutaria da parte della assembla<br />

non renderà inefficace l’intera procedura, ma renderà solamente impossibile<br />

avvalersi della disciplina opzionale e ulteriore.<br />

Comunque, in tutti i casi nei quali si decida di procedere alla modificazione<br />

dello statuto, è ancora una volta necessario, per approvare in consiglio la proposta<br />

di modificazione statutaria da sottoporre alla assemblea dei soci, il parere<br />

favorevole del comitato di amministratori indipendenti (ovvero il parere non vincolante<br />

dell’esperto esterno).<br />

6. MODIFICAZIONI DELLE PROCEDURE<br />

Quanto detto con riguardo al procedimento relativo alla adozione delle procedure<br />

vale naturalmente con riferimento al regime di modificazione delle stesse<br />

(cfr. art. 4. commi 3, 5 e 7, Reg. Consob) 24 . È forse il caso di specificare che<br />

nei casi di modificazione delle procedure, pur essendovi evidentemente già uno<br />

o più comitati incaricati di rendere il parere sulle operazioni con parti correlate,<br />

l’organo amministrativo resta libero di istituire un diverso comitato per il previo<br />

parere sulle ridette modificazioni.<br />

Deve poi aggiungersi che è particolarmente necessario, soprattutto in<br />

questa prima fase di applicazione della disciplina sulle operazioni con parti<br />

correlate, che tutti gli organi o uffici a uno o altro titolo coinvolti (consiglio,<br />

comitato consultivo, organo di controllo) curino di sottoporre a revisione periodica<br />

le procedure e ciò facciano alla luce: (a) della evoluzione degli orientamenti<br />

interpretativi della Autorità di vigilanza; (b) della instaurazione ed evoluzione<br />

di prassi applicative e interpretative all’interno della singola società;<br />

(c) delle modificazioni della realtà imprenditoriale e societaria (come la composizione<br />

della compagine sociale, ecc.).<br />

Del resto nella stessa Comunicazione della Consob, recante “indicazioni e<br />

orientamenti per l’applicazione del Regolamento” 25 , si raccomanda “alle società<br />

di valutare con una cadenza almeno triennale se procedere ad una revisione<br />

delle procedure tenendo conto, tra l’altro, delle modifiche eventualmente<br />

nell’impossibilità di deliberare l’operazione, nell’onere di ricorrere alla deliberazione di un diverso<br />

organo sociale o, più semplicemente, in obblighi informativi” (enfasi aggiunta); nonché il documento<br />

di consultazione della Banca d’Italia, 54 (“in altri casi è la normativa Consob a risultare più restrittiva:<br />

l’esempio più significativo è l’operazione di maggiore rilevanza sulla quale gli amministratori indipendenti<br />

hanno reso parere negativo; questa non potrà essere compiuta a meno che la banca<br />

non utilizzi l’opzione dell’autorizzazione assembleare con meccanismo di whitewash”).<br />

24<br />

Analoga equiparazione tra procedure di approvazione e procedura di modificazione si ritrova<br />

nel Documento di Banca d’Italia, cit., par. 2.2.<br />

25<br />

Cfr. Comunicazione Consob del settembre 2010, cit.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 125


La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate – Studio n. 247-2010/I<br />

intervenute negli assetti proprietari nonché dell’efficacia dimostrata dalle procedure<br />

nella prassi applicativa”. La medesima comunicazione aggiunge che<br />

appare “opportuno, sebbene non richiesto dal Regolamento, acquisire un parere<br />

del comitato di consiglieri indipendenti anche con riguardo all’eventuale<br />

decisione di non procedere, all’esito della valutazione delle procedure in essere,<br />

ad alcuna modifica”.<br />

7. NATURA DELLE PROCEDURE<br />

Questo per quanto attiene al procedimento di adozione delle procedure sulle<br />

operazioni con parti correlate. L’altro tema che deve essere accennato è, come<br />

si diceva, quello relativo alla natura di tali procedure.<br />

In primo luogo è a dirsi che esse sono deliberazioni consiliari di rango sovraordinato<br />

rispetto alle altre, nel senso che con la loro approvazione il consiglio<br />

di amministrazione (o di gestione) limita la sua discrezionalità con riguardo al<br />

procedimento da seguire nel deliberare su certi atti gestori (le operazioni con<br />

parti correlate, appunto) e si vincola, appunto, al rispetto delle procedure. Ovviamente<br />

il consiglio potrà distaccarsi da quanto precedentemente stabilito nelle<br />

procedure, ma per farlo dovrà prima modificarle.<br />

In secondo luogo deve rilevarsi come con tali deliberazioni si attribuisca a<br />

una articolazione (pluripersonale che decide in modo collegiale) interna al consiglio<br />

– il comitato con operazioni con parti correlate – un potere e una funzione<br />

che, se da un lato è probabilmente eccessivo definire decisori (nel senso che la<br />

decisione compete pur sempre all’organo amministrativo nella sua interezza),<br />

dall’altro lato sarebbe alquanto limitativo definirla meramente consultiva (stante<br />

la natura vincolante del parere che, almeno in occasione delle operazioni di<br />

maggiore rilevanza, è chiamato a rendere).<br />

Infine, mi sembra che le procedure costituiscano l’unico regolamento necessario<br />

che promana dall’organo amministrativo di una società e, insieme allo statuto,<br />

l’unico atto normativo necessario tout court. Tutti gli altri atti normativi, e-<br />

spressione della autonomia della società e noti alla prassi societaria sono solamente<br />

raccomandati dalle buone pratiche di governo societario o da ragioni di<br />

opportunità, ma non sono mai imposti da norme imperative. Si pensi: ai regolamenti<br />

assembleari (su cui anche il criterio applicativo 11.C.5. del Codice di autodisciplina<br />

delle società quotate); ai regolamenti relativi al funzionamento degli<br />

altri organi o uffici della società (consigli, comitati, ecc.); ai codici di autodisciplina<br />

sul governo societario della singola società; alle procedure per la gestione e<br />

la diffusione delle informazioni privilegiate (su cui il criterio applicativo 4.C.1.del<br />

Codice di autodisciplina); etc.<br />

126<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi d’Impresa<br />

8. PREVISIONI STATUTARIE SULLE OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE<br />

Il discorso sin qui svolto ha prescisso totalmente da quello che lo statuto può<br />

prevedere al proposito. Deva allora farsi cenno al rapporto tra previsioni delle<br />

procedure e previsioni dello statuto.<br />

Anzitutto, direi che si tratta di precisare se vi sia uno spazio per quella che<br />

potrebbe dirsi la “statutarizzazione” delle regole relative alle operazioni con parti<br />

correlate. Infatti, come si è detto, le procedure sono atto del consiglio (di amministrazione<br />

o di gestione: art. 4, comma 1, Reg. Consob): il punto è del resto<br />

uno dei pochi direttamente chiariti dalla legge; l’art. 2391-bis c.c. prevede, come<br />

è noto, che siano gli organi di amministrazione ad adottare le regole in cui si<br />

sostanziano le procedure relative alle operazioni con parti correlate. Tuttavia,<br />

non per questo si può escludere che lo statuto detti delle regole “sovraordinate”<br />

atte a vincolare l’organo amministrativo nella predisposizione delle procedure e<br />

– fatto direi all’atto pratico più rilevante – nelle loro eventuale successiva modificazione.<br />

Lo statuto ben potrebbe, infatti, porre regole organizzative relative al<br />

contenuto delle procedure; regole alle quali l’organo amministrativo rimarrebbe<br />

vincolato 26 : potrebbe così, ad esempio, prevedersi che le competenze di cui agli<br />

artt. 7 e 8 Reg. Consob siano affidate al comitato per il controllo interno (o ad<br />

altro comitato previsto obbligatoriamente dallo stesso statuto), che il comitato<br />

con competenze sulle operazioni con parti correlate sia presieduto o necessariamente<br />

composto dall’amministratore indipendente (e non correlato) “di minoranza”<br />

(ove presente) 27 o da soggetti dotati di ulteriori requisiti di indipendenza o<br />

professionalità (sempre se in concreto presenti in consiglio), ovvero che lo stesso<br />

sia composto di un certo numero di componenti, ecc. L’esemplificazione potrebbe<br />

continuare, ma non è questo che interessa qui fare: sia sufficiente rilevare<br />

come tutte le volte che si tratti di regole che attengono alla composizione o al<br />

funzionamento degli organi sociali (e non invadano le competenze gestorie e-<br />

sclusivamente riservate dalla legge all’organo amministrativo) sia difficile dubitare<br />

che esse non possano essere poste al più alto livello dello statuto e quindi<br />

divenire norme di rango più elevato rispetto a quello delle procedure.<br />

Direi anzi di più, e cioè che l’innalzamento a norme dello statuto dei principi<br />

della disciplina delle operazioni con parti correlate non possa che essere visto<br />

26<br />

Cfr. in senso conforme M. Ventoruzzo, sub art. 2391-bis, cit., 523.<br />

27<br />

Si tratterebbe di una soluzione a mio avviso assai raccomandabile dal punto di vista delle scelte<br />

di corporate governance; sarebbe stata anzi opportuna una precisa presa di posizione nel Regolamento<br />

Consob (e ciò per le ragioni esposte in M. Stella Richter jr, Brevi osservazioni sulla proposta di disciplina<br />

regolamentare in materia di operazioni con parti correlate, cit., 846). In questo senso si indirizza<br />

ora la stessa Banca d’Italia nel ricordato documento di consultazione: “Per le operazioni di maggiore<br />

rilevanza il comitato deve essere costituito esclusivamente da amministratori indipendenti. Se presente<br />

e in possesso dei requisiti, almeno un amministratore eletto dalle minoranze fa parte del comitato,<br />

a meno che la banca non disponga diversamente fornendo idonea motivazione”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 127


La nuova disciplina delle operazioni con parti correlate – Studio n. 247-2010/I<br />

con favore nella prospettiva delle scelte di buon governo societario 28 ; e del resto<br />

la Banca d’Italia prevede, nel più volte ricordato documento di consultazione<br />

sulle “attività di rischio e conflitti di interesse delle banche e dei gruppi bancari<br />

nei confronti di soggetti collegati”, come primo principio dell’“iter di definizione<br />

delle procedure” che “gli elementi essenziali delle procedure devono risultare<br />

dallo statuto” 29 .<br />

28<br />

Sulla opportunità di recepire a livello di statuto alcune raccomandazioni di corporate governance<br />

cfr. M. Stella Richter jr, I comitati interni all’organo amministrativo, in Riv. soc., 2007, 265 s.<br />

29<br />

Mentre “i restanti profili vanno analiticamente disciplinati nei regolamenti interni” (così nel par.<br />

2.1).<br />

128<br />

Studi e Materiali – 1/2011


La base imponibile Iva per gli atti<br />

di assegnazione di immobili da parte<br />

di cooperative edilizie e loro consorzi<br />

Studio n. 184-2009/T<br />

Nicola Forte<br />

Approvato dalla Commissione Studi Tributari del 4 novembre 2010<br />

Si chiede di conoscere quali siano i criteri di determinazione della base imponibile<br />

Iva delle cooperative edilizie a proprietà divisa e a proprietà indivisa con riferimento<br />

agli atti di assegnazione di immobili non di lusso aventi ad oggetto<br />

l’abitazione principale dei soci. In particolare si chiede se le predette cooperative<br />

siano interessate dal recente intervento normativo avvenuto a seguito dell’approvazione<br />

dell’art. 4-ter del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78 convertito, con modificazioni,<br />

dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.<br />

Sommario: 1. La base imponibile Iva. Considerazioni generali. – 2. La base imponibile<br />

Iva delle cooperative edilizie. La disciplina previgente. – 3. Il momento dell’effettuazione<br />

dell’operazione e l’esigibilità dell’Iva: la disciplina previgente. – 4.<br />

L’intervento del decreto-legge n. 78/2009. – 5. L’entrata in vigore della nuova disciplina<br />

e la fase “transitoria”: la determinazione della base imponibile. – 6. La fase<br />

“transitoria”: la contemporanea applicazione dell’Iva e dell’imposta di registro.<br />

– 7. I finanziamenti dei soci alle cooperative a proprietà indivisa.<br />

1. LA BASE IMPONIBILE IVA. CONSIDERAZIONI GENERALI<br />

Prima di esaminare la specifica disciplina prevista per le cooperative è opportuno<br />

iniziare l’esame del problema effettuando un breve cenno sulla disciplina<br />

della base imponibile Iva riguardante la generalità dei contribuenti.<br />

La disposizione di riferimento è rappresentata dall’art. 13 del d.P.R. n.<br />

633/1972. La norma richiamata prevede che “la base imponibile delle cessioni<br />

di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei<br />

corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali,<br />

compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso<br />

terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente<br />

connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 129


La base imponibile Iva per gli atti di assegnazione di immobili – Studio n. 184-2009/T<br />

Dalla semplice lettura dell’art. 13 si desume chiaramente come nella maggior<br />

parte delle operazioni assuma rilevanza solo l’ammontare dei corrispettivi<br />

conseguiti essendo invece del tutto insignificante il valore dei beni e servizi oggetto<br />

di cessione. Tuttavia sono previste delle eccezioni. A titolo esemplificativo<br />

si deve ricordare come per le operazioni permutative di cui all’art. 11 del Decreto<br />

Iva la base imponibile sia costituita “dal valore normale dei beni e dei servizi<br />

che formano oggetto di ciascuna di esse”. Analogamente per le cessioni di beni<br />

vincolati al regime della temporanea importazione l’Iva deve essere applicata al<br />

“corrispettivo della cessione diminuito del valore accertato dall’ufficio doganale<br />

all’atto della temporanea importazione”.<br />

Oltre alle ricordate deroghe, tutte contenute nel citato art. 13, il legislatore ha<br />

previsto anche una specifica eccezione riguardante le cooperative edilizie. Tali<br />

soggetti, fino all’intervento normativo realizzato a seguito dell’approvazione del<br />

d.l. n. 78/2009, che ha modificato la relativa disciplina, determinavano la base<br />

imponibile Iva per talune specifiche operazioni secondo i criteri di cui all’art. 3,<br />

commi 2 e 3 del decreto legge 27 aprile 1990, n. 90, quindi indipendentemente<br />

dall’ammontare complessivo dei corrispettivi (cfr. infra). Un criterio del tutto particolare<br />

era poi stabilito anche con riferimento alle cooperative a proprietà indivisa<br />

che determinavano la base su cui applicare l’Iva apportando ai corrispettivi<br />

di godimento periodicamente versati dai soci la medesima riduzione prevista<br />

dall’art. 3, commi 2 e 3 del citato decreto legge n. 90 (cfr. infra).<br />

2. LA BASE IMPONIBILE IVA DELLE COOPERATIVE EDILIZIE. LA DISCIPLINA<br />

PREVIGENTE<br />

Al fine di determinare correttamente la base imponibile Iva delle cooperative<br />

edilizie secondo i criteri vigenti prima dell’approvazione del d.l. n. 78/2009 è necessario<br />

distinguere le cooperative a proprietà divisa, rispetto a quelle a proprietà<br />

indivisa. I soggetti rientranti nella prima categoria provvedono a realizzare gli alloggi<br />

abitativi da assegnare in proprietà ai soci. Invece le cooperative rientranti<br />

nella seconda categoria realizzano gli appartamenti per assegnarli ai soci in godimento,<br />

instaurando un rapporto giuridico del tutto simile al contratto di locazione<br />

e nelle quali il corrispettivo pagato alla cooperativa assume la natura di canone.<br />

Al verificarsi di determinati presupposti, il legislatore ha previsto (in passato)<br />

una disciplina di favore per le predette cooperative. La determinazione della base<br />

imponibile doveva essere effettuata in misura “ridotta” ed era del tutto “sganciata”<br />

dal corrispettivo complessivo facendo riferimento, invece, al costo di costruzione<br />

degli immobili oggetto di cessione.<br />

Tale disciplina riguardava esclusivamente gli atti di assegnazione in favore<br />

dei soci aventi quale oggetto alloggi adibiti ad abitazione principale di cui all’art.<br />

13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e successive modificazioni ed integrazioni.<br />

Inoltre, sotto il profilo soggettivo, la disciplina riguardava non solo le cooperati-<br />

130<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Tributari<br />

ve, ma anche i “loro consorzi, fruenti o meno del contributo dello Stato e degli<br />

enti pubblici territoriali”. In particolare la base imponibile era in questi casi costituita<br />

dal 70 per cento del costo degli alloggi se non superiore a quello stabilito<br />

dal Comitato per l’edilizia residenziale 1 . Invece per la parte eccedente il predetto<br />

costo non trovava applicazione alcuna riduzione 2 . Per gli alloggi (oggetto di assegnazione)<br />

costruiti su aree in diritto di superficie la riduzione della base imponibile<br />

operava nella maggiore misura del 50 per cento del costo di costruzione<br />

ferma restando l’applicazione del limite massimo costituito dal costo determinato<br />

dal Comitato per l’edilizia residenziale (Cer) 3 .<br />

È utile però ancora ricordare come le predette percentuali di riduzione trovassero<br />

allora applicazione anche ai corrispettivi periodicamente versati dai soci<br />

alla cooperative per l’assegnazione in godimento dei medesimi alloggi adibiti<br />

ad abitazione principale (cooperative a proprietà indivisa). Il chiarimento è stato<br />

fornito dall’Agenzia delle entrate 4<br />

sulla base dell’art. 1, comma 3 del decreto<br />

legge 30 dicembre 1991, n. 417.<br />

3. IL MOMENTO DELL’EFFETTUAZIONE DELL’OPERAZIONE E L’ESIGIBILITÀ<br />

DELL’IVA: LA DISCIPLINA PREVIGENTE<br />

Il legislatore non si è limitato a stabilire specifici criteri per la determinazione<br />

della base imponibile delle cooperative edilizie 5 , ma ha altresì previsto una disciplina<br />

di favore con riferimento al momento dell’effettuazione dell’operazione.<br />

Trovava dunque applicazione l’art. 6, comma 2, lett. d-bis) del d.P.R. n.<br />

633/1972 che, in deroga ai criteri ordinari, stabiliva, con riferimento ai predetti<br />

atti di assegnazione di immobili, che le operazioni si consideravano in ogni caso<br />

effettuate alla data del rogito notarile. Conseguentemente tutti gli acconti versati<br />

dai soci durante la costruzione dei fabbricati, e comunque precedentemente al<br />

rogito notarile, erano irrilevanti ai fini dell’Iva.<br />

L’esigibilità del tributo, quindi l’eventuale debito verso l’erario a seguito degli<br />

atti di assegnazione sorgeva solo dopo aver effettuato gli atti notarili. Tale deroga<br />

trovava però applicazione esclusivamente con riferimento agli atti di asse-<br />

1<br />

Cfr. art. 3, comma 2 del d.l. 27 aprile 1990, n. 90 convertito con la l. n. 165 del 1990.<br />

2<br />

Esemplificando se il costo dell’alloggio era pari a 160 mila euro ed il costo stabilito dal predetto<br />

Comitato ammontava a 100 mila euro, la riduzione della base imponibile trovava applicazione solo<br />

sull’importo di 100 mila euro, mentre sulla rimanenza di 60 mila euro non era possibile beneficiare<br />

di alcuna riduzione. In pratica la base imponibile era così determinata: 100 mila x 70% = 70 mila +<br />

60mila per un totale di 110 mila euro.<br />

3<br />

La maggiore riduzione della base imponibile, cioè il 50% in luogo del 30% (base imponibile pari<br />

al 70 % del costo di costruzione) è prevista dall’art. 3, comma 3 del citato d.l. n. 90 del 1990.<br />

4<br />

Cfr. Ris. n. 63 dell’11 maggio 2001.<br />

5<br />

Tali specifici criteri riguardano, come già ricordato, solo alcune fattispecie. Infatti deve trattarsi<br />

di atti di assegnazione di immobili non di lusso adibiti ad abitazione principale.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 131


La base imponibile Iva per gli atti di assegnazione di immobili – Studio n. 184-2009/T<br />

gnazione effettuati da cooperative edilizie a proprietà divisa. Invece per i corrispettivi<br />

periodici percepiti dalle cooperative edilizie a proprietà indivisa dovevano<br />

essere applicati i criteri ordinari di cui all’articolo 6 citato. Pertanto l’operazione<br />

si considerava in ogni caso effettuata, ed il tributo diveniva esigibile, allorquando<br />

la cooperativa incassava i predetti corrispettivi.<br />

4. L’INTERVENTO DEL DECRETO-LEGGE N. 78/2009<br />

L’art. 4-ter, commi 4 e 5 del decreto legge 1° luglio 2009, inserito durante<br />

l’iter di conversione della legge 3 agosto 2009, n. 102 ha abrogato tale specifico<br />

criterio di determinazione della base imponibile per le cooperative.<br />

L’ambito dell’intervento normativo è ampio avendo interessato sia gli atti di<br />

assegnazione effettuati dalle cooperative a proprietà divisa che quelli delle cooperative<br />

a proprietà indivisa che realizzano appartamenti per assegnarli in godimento<br />

ai soci e che per questo percepiscono corrispettivi periodici.<br />

Con decorrenza dal 5 agosto del 2009 (cfr. infra) 6<br />

la base imponibile per i<br />

predetti atti di assegnazione è costituita unicamente dal corrispettivo, senza alcuna<br />

riduzione, ed è completamente “scollegata” dal costo di costruzione degli<br />

immobili oggetto di assegnazione. In pratica si applica il criterio ordinario valido<br />

per la generalità dei contribuenti, ovvero già applicabile anche nei confronti delle<br />

cooperative, per le cessioni di beni diversi dagli immobili oggetto di assegnazione<br />

ovvero di godimento (per le cooperative a proprietà indivisa).<br />

Coerentemente, oltre all’intervento che ha interessato la base imponibile, il<br />

legislatore è intervenuto modificando anche l’art. 6 del Decreto Iva nella sola<br />

parte che, secondo la previgente disciplina, derogava agli ordinari criteri prevedendone<br />

uno specifico per gli atti di assegnazione delle cooperative a proprietà<br />

divisa. In particolare è stata abrogata la lett. d-bis) di cui al comma 2 e quindi,<br />

con decorrenza dal 5 agosto scorso (cfr. infra) 7 , l’esigibilità dell’Iva sorge, anche<br />

prima del rogito notarile, con riferimento agli acconti versati dai soci durante la<br />

fase di costruzione degli immobili. In pratica non è più possibile “differire” il debito<br />

Iva nei confronti dell’erario al momento dell’atto notarile laddove la cooperativa<br />

incassi anticipatamente una parte o tutto il corrispettivo dovuto. A tal proposito<br />

deve essere altresì rilevato come nessuna novità sia intervenuta in tal senso<br />

per quanto riguarda le cooperative a proprietà indivisa. Infatti, anche prima<br />

dell’intervento realizzato a seguito dell’approvazione del d.l. n. 78/2009, i corrispettivi<br />

percepiti periodicamente da tali soggetti determinavano con effetto immediato<br />

l’esigibilità del tributo.<br />

6<br />

Data di entrata in vigore della legge di conversione n. 102 del 2009.<br />

7<br />

Art. 4-ter, comma 6 del d.l. 1° luglio 2009, n. 78 inserito durante la fase di conversione della l.<br />

3 agosto 2009, n. 102.<br />

132<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Tributari<br />

5. L’ENTRATA IN VIGORE DELLA NUOVA DISCIPLINA E LA FASE<br />

“TRANSITORIA”: LA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE<br />

Per quanto riguarda l’entrata in vigore della nuova disciplina si deve fare riferimento<br />

alla data del 5 agosto del 2009. Assume dunque rilievo il giorno successivo<br />

a quello di avvenuta pubblicazione nella G.U. della legge di conversione<br />

n. 102 del 3 agosto del 2009. La “ritardata” entrata in vigore rispetto al decreto<br />

legge è dovuta alla circostanza che l’art. 4-ter non era contenuto nel testo<br />

del provvedimento originario, ma è stato introdotto successivamente solo durante<br />

l’iter di avvenuta conversione in legge.<br />

Con decorrenza dalla predetta data gli eventuali acconti versati dal socio alla<br />

cooperativa anticipatamente rispetto all’atto di assegnazione assumeranno rilievo<br />

per l’intero importo, senza alcun riferimento al costo di costruzione e senza alcuna<br />

riduzione. Inoltre la rilevanza risulterà immediata non essendo più possibile,<br />

come già ricordato, considerare esigibile l’Iva al momento del rogito notarile.<br />

Durante la fase transitoria, cioè di “passaggio” dalla precedente alla nuova<br />

disciplina, non è possibile che per il medesimo atto di assegnazione la base imponibile<br />

sia diversa e quindi, che trovino applicazione sia le disposizioni previgenti,<br />

che quelle nuove per effetto dell’approvazione del decreto legge n. 78 del<br />

2009. In pratica potranno coesistere, quindi essere applicate, sia le precedenti<br />

regole che quelle attualmente in vigore relativamente al momento dell’effettuazione<br />

dell’operazione, ma la base imponibile dovrà essere determinata solo in<br />

base alle nuove disposizioni, quindi rileverà solo il corrispettivo e non più il costo<br />

di costruzione dell’alloggio oggetto di assegnazione.<br />

La circostanza è dovuta alle caratteristiche del tributo essendo l’Iva un’imposta<br />

istantanea che colpisce le immissioni in consumo di beni e servizi al momento<br />

dell’effettuazione dell’operazione determinato in base all’art. 6 citato. Ad<br />

esempio potrebbe essersi verificato che la cooperativa abbia percepito degli<br />

acconti prima dell’entrata in vigore della legge di conversione, quindi in epoca<br />

anteriore rispetto al 5 agosto del 2009. In questo caso le somme incassate non<br />

avranno dato luogo all’applicazione del tributo in quanto secondo le regole previgenti<br />

l’effettuazione dell’operazione risultava differita al momento del rogito<br />

notarile (cfr. art. 6, comma 2, lett. d-bis abrogata). Successivamente, sempre<br />

prima del rogito notarile, la medesima cooperativa potrebbe incassare ulteriori<br />

acconti, ma dopo la predetta data del 5 agosto. In questo caso troverà applicazione<br />

la nuova disciplina con riferimento al momento dell’effettuazione dell’operazione.<br />

Gli acconti percepiti fanno sorgere immediatamente il debito verso<br />

l’erario essendo il tributo, limitatamente all’importo incassato, esigibile immediatamente.<br />

La base imponibile relativa alle somme così incassate è costituita solo<br />

dal corrispettivo.<br />

Successivamente, al momento del rogito, dovrà considerarsi effettuata anche<br />

quella parte dell’operazione che ha dato luogo ad un incasso anticipato del<br />

corrispettivo avvenuto durante il periodo di vigenza della precedente disciplina.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 133


La base imponibile Iva per gli atti di assegnazione di immobili – Studio n. 184-2009/T<br />

L’avvenuto differimento della rilevanza di questa “parte” dell’operazione al momento<br />

del rogito, trovando ancora applicazione le “vecchie” regole (l’incasso è<br />

avvenuto prima del 5 agosto del 2009) non riguarda, evidentemente, la determinazione<br />

della base imponibile. In pratica se l’operazione si considera effettuata,<br />

dopo l’abrogazione delle particolari regole previste per le cooperative, troverà<br />

applicazione unicamente la base imponibile di cui all’art. 13 del Decreto Iva<br />

costituta dall’ammontare dei corrispettivi. Risulta dunque irrilevante, in questo<br />

caso, che una parte dei corrispettivi siano stati conseguiti durante il periodo di<br />

applicazione delle disposizioni previgenti. In definitiva, in questo caso particolare,<br />

cioè con riferimento agli incassi avvenuti anteriormente alla data del 5 agosto,<br />

ma per gli atti di assegnazione avvenuti con rogiti successivi alla predetta<br />

data, troveranno applicazione sia le precedenti che le attuali regole. In particolare,<br />

per quanto riguarda il momento di effettuazione dell’operazione, risulteranno<br />

irrilevanti gli incassi di acconti, mentre ai fini della determinazione della base<br />

imponibile assumerà rilievo solo il corrispettivo e non più, come in passato, il<br />

costo di costruzione.<br />

6. LA FASE “TRANSITORIA”: LA CONTEMPORANEA APPLICAZIONE DELL’IVA<br />

E DELL’IMPOSTA DI REGISTRO<br />

Occorre ora comprendere secondo quali criteri debba essere determinata<br />

l’imposta di registro nel passaggio dalla disciplina previgente a quella attuale. Le<br />

difficoltà maggiori riguardano i casi in cui l’assegnazione dell’immobile abitativo<br />

venga effettuata dopo il decorso di quattro anni dall’ultimazione della costruzione.<br />

Infatti, ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 8-bis) del d.P.R. n. 633/1972 l’operazione<br />

è esente e sarà assoggettata ad imposta di registro in misura proporzionale.<br />

La situazione più ricorrente riguarderà le cooperative che avranno ricevuto<br />

uno o più acconti prima del 5 agosto del 2009, cioè anteriormente all’entrata in<br />

vigore della legge 3 agosto 2009, n. 102. Le predette cooperative non avranno<br />

probabilmente emesso alcuna fattura in quanto sulla base della normativa previgente<br />

l’operazione sarebbe divenuta rilevante ai fini dell’Iva solo al momento<br />

dell’atto di assegnazione, cioè all’atto del rogito (cfr. supra). Tuttavia se tale atto<br />

interviene dopo la predetta data del 5 agosto, ma decorsi quatto anni dall’ultimazione<br />

dei lavori il problema della disciplina transitoria risulta di fatto superato<br />

dovendo determinare la base imponibile ai fini dell’imposta di registro applicabile,<br />

in luogo dell’Iva, in misura proporzionale. Trova dunque applicazione il combinato<br />

disposto degli artt. 43 e 51 del d.P.R. n. 131/1986 con riferimento al “valore<br />

venale in comune commercio”.<br />

Un’ulteriore fattispecie potrebbe riguardare le cooperative che durante il periodo<br />

di vigenza della precedente normativa hanno emesso in relazione agli acconti<br />

percepiti fattura con Iva pur non sussistendo alcun obbligo in tal senso. È<br />

necessario dunque comprendere, ove in sede di atto di assegnazione sia appli-<br />

134<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Studi Tributari<br />

cabile l’imposta di registro (essendo decorsi più di quattro anni), come determinare<br />

la relativa base imponibile.<br />

In realtà il problema non è del tutto nuovo ed è stato affrontato anche<br />

dall’Agenzia delle entrate fornendo alcuni chiarimenti relativi alla disciplina Iva<br />

introdotta dal d.l. n. 223/2006, cioè dal c.d. Decreto Bersani. In particolare per<br />

effetto dell’introduzione nel sistema tributario del principio generale di esenzione<br />

dall’Iva delle cessioni dei fabbricati abitativi si è frequentemente verificato<br />

che gli acconti percepiti durante la fase di costruzione del fabbricato, regolarmente<br />

fatturati, fossero assoggettati ad Iva, mentre il relativo saldo percepito in<br />

occasione del rogito, effettuato dopo quattro anni dal termine della costruzione,<br />

dovesse essere assoggettato ad imposta di registro. A tal proposito la circolare<br />

n. 12 del 1° marzo 2007 ha chiarito che “per evitare la duplice tassazione delle<br />

cessioni di immobili che hanno scontato l’Iva in sede di pagamento dell’acconto<br />

di corrispettivo e che risultano assoggettate ad imposta proporzionale di registro<br />

all’atto del trasferimento per effetto delle modifiche introdotte, nel caso del perfezionamento<br />

del contratto, dall’art. 35 […], si deve ritenere che l’imposta proporzionale<br />

di registro si applichi sulla base imponibile, considerata al netto<br />

dell’acconto già assoggettato ad Iva”.<br />

Il problema in esame, anche se riguardante le cooperative che non avevano<br />

all’epoca alcun obbligo di fatturazione, ma che hanno spontaneamente emesso<br />

tale documento con l’applicazione dell’Iva, può dunque essere risolto alla luce di<br />

tali chiarimenti. Analogamente alla fattispecie presa in esame dalla citata circolare,<br />

la base imponibile ai fini dell’imposta di registro sarà determinata al netto degli<br />

importi fatturati che, inevitabilmente, saranno già stati assoggettati ad Iva.<br />

È probabile, però, che la fattispecie più ricorrente riguardi, in presenza di tutti<br />

i presupposti di legge, l’applicazione del c.d. “prezzo valore” introdotto nel sistema<br />

tributario dall’art. 1, comma 497 della legge n. 266/2005 (Finanziaria<br />

2006) e successive modificazioni. In questo caso è necessario comprendere se<br />

la soluzione ora prospettata, cioè la determinazione della base imponibile (dell’imposta<br />

di registro) al netto degli acconti Iva già fatturati possa trovare parimenti<br />

applicazione. Le perplessità trovano fondamento nella circostanza che tale<br />

meccanismo rappresenta di fatto una “forfetizzazione” della base imponibile e<br />

che quindi, l’ammontare della stessa potrebbe essere anche inferiore rispetto<br />

agli acconti già fatturati. Si potrebbe dunque eccepire che, applicando il criterio<br />

del “valore netto” prospettato dalla citata circolare il contribuente non sia di fatto<br />

tenuto al versamento di alcuna imposta di registro essendo la stessa completamente<br />

assorbita dalla maggiore Iva fatturata per effetto degli acconti.<br />

A ben vedere l’eccezione fondata sul mancato versamento dell’imposta di registro<br />

non può essere condivisa e ulteriori argomentazioni in tal senso possono<br />

essere rinvenute nella stessa circolare dell’Agenzia delle entrate. Infatti se da una<br />

parte si può osservare come l’Amministrazione finanziaria non prenda specificamente<br />

in esame la fattispecie riguardante il c.d. prezzo valore, dall’altra la stessa<br />

effettua un generico riferimento alla nozione di base imponibile. In sostanza sem-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 135


La base imponibile Iva per gli atti di assegnazione di immobili – Studio n. 184-2009/T<br />

bra che indipendentemente dai criteri di determinazione della base imponibile,<br />

cioè valore venale o forfetizzazione della stessa in base al “prezzo valore”, debbano<br />

essere sottratti i corrispettivi fatturati con l’applicazione dell’Iva. D’altra parte<br />

la soluzione prospettata dall’Agenzia delle entrate viene argomentata con l’intento<br />

di evitare una duplicazione del prelievo tributario. Pertanto tale esigenza non risulterebbe<br />

affatto soddisfatta qualora, laddove l’acquirente optasse per l’applicazione<br />

del “prezzo valore” e l’imposta di registro fosse determinata sulla differenza<br />

tra il corrispettivo effettivamente percepito e gli acconti già fatturati.<br />

Tale conclusione può essere ulteriormente argomentata osservando come<br />

una soluzione contraria determinerebbe una disparità di trattamento rispetto ai<br />

contribuenti che non determinano la base imponibile dell’imposta di registro in<br />

base a questo meccanismo forfettario. L’interprete non deve dunque lasciarsi<br />

condizionare, nel ricercare la soluzione più aderente al dato normativo, dalla<br />

circostanza che in taluni casi il contribuente potrebbe non essere tenuto al versamento<br />

dell’imposta di registro. Rimane però fermo, ovviamente, l’obbligo di<br />

dichiarazione nell’atto di assegnazione a carico dell’acquirente circa la volontà<br />

di avvalersi del meccanismo del “prezzo valore”.<br />

Un’ultima fattispecie, per completezza dell’esposizione, può riguardare le cooperative<br />

che, dopo l’entrata in vigore della nuova normativa hanno emesso fattura<br />

con Iva in relazione agli acconti percepiti post 5 agosto 2009. In questo caso se al<br />

momento del rogito l’operazione è divenuta esente da Iva ai sensi dell’art. 10,<br />

comma 1, n. 8-bis) del d.P.R. n. 633/1972 risulterà applicabile il medesimo criterio<br />

di cui alla citata circolare n. 12/2007. Pertanto la base imponibile ai fini dell’imposta<br />

di registro sarà determinata al netto dei predetti acconti.<br />

7. I FINANZIAMENTI DEI SOCI ALLE COOPERATIVE A PROPRIETÀ INDIVISA<br />

Deve essere da ultimo osservato come non assumano alcun rilievo ai fini<br />

della disciplina in rassegna gli eventuali finanziamenti effettuati dai soci alle cooperative<br />

a proprietà indivisa. Infatti in mancanza del presupposto soggettivo (ai<br />

fini Iva) in capo ai singoli soci le predette prestazioni devono essere considerate<br />

del tutto estranee alla sfera di applicazione del tributo.<br />

Tuttavia è possibile, ove la cooperativa si “trasformi” a proprietà divisa, che i<br />

finanziamenti precedentemente effettuati siano imputati in conto prezzo al momento<br />

del rogito, cioè allorquando venga stipulato l’atto di assegnazione. In<br />

questo caso le predette somme saranno assoggettate ad Iva, o ad imposta di<br />

registro laddove l’operazione sia esente ai sensi del citato art. 10, n. 8-bis).<br />

136<br />

Studi e Materiali – 1/2011


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MATERIALI


Introduzione 1<br />

Anselmo Barone 2<br />

«Il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea si impone<br />

all’attenzione del notariato italiano ed europeo per ragioni di indole generale e<br />

per ragioni specifiche che riguardano ad un tempo i soggetti (i notai nel loro a-<br />

spetto di liberi professionisti) e l’oggetto dell’attività professionale [...].<br />

In sostanza io vedo nella Comunità Economica Europea una fondamentale<br />

salvaguardia del notariato contro ogni pericolo di socializzazione, nazionalizzazione,<br />

dirigismo a cui conseguirebbe la sua involuzione verso forme di sempre<br />

più pesanti controlli fino alla abolizione della veste professionale e con essa fatalmente<br />

la totale estinzione della nostra stessa ragione di sussistere.<br />

Ne deriva la necessità che tutti i notariati europei e specie quelli delle sei<br />

nazioni aderenti alla Comunità Economica Europea collaborino con fervore di<br />

intenti e di studi alla migliore attuazione del trattato in tutto quanto possa aver<br />

attinenza con la loro attività, esperienza e competenza».<br />

Così scriveva un autorevole esponente del notariato italiano nel lontano<br />

1957 [F. Lobetti Bodoni, Il notariato di fronte al Trattato che istituisce la Comunità<br />

Economica Europea, in Riv. not., 1957, I, 419], all’indomani della redazione<br />

del Trattato istitutivo della Comunità economica europea. Rilette oggi, alla luce<br />

dei profondi mutamenti intervenuti nel rapporto tra il diritto comunitario e i diritti<br />

nazionali, quelle proposizioni esibiscono una straordinaria attualità, rivelando la<br />

grande intuizione di chi, sin dalla nascita dell’integrazione europea, ne aveva<br />

colto non solo le grandi potenzialità di sviluppo nell’ambito giuridico, ma anche<br />

le rilevanti implicazioni per l’attività notarile.<br />

Oggi, invero, l’influenza del diritto comunitario sull’ordinamento interno costituisce<br />

un dato di assoluta evidenza, riscontrabile in tutti i settori dell’esperienza<br />

giuridica nazionale, in particolare nell’area del diritto privato la cui progressiva<br />

“europeizzazione”, come autorevolmente osservato, «costituisce forse lo sviluppo<br />

più importante registrato dalla materia nell’ultimo decennio; comunque ne<br />

rappresenta la prospettiva più probabile e di gran lunga la più stimolante» [A.<br />

1<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2<br />

Avvocato in Roma.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 141


Introduzione<br />

Tizzano, Il Diritto privato dell’Unione europea, Presentazione, a cura di A. Tizzano,<br />

Torino, 2000, t. I, V].<br />

Ciò anche in considerazione della straordinaria capacità di penetrazione delle<br />

norme comunitarie garantita sia dalla posizione di supremazia di dette norme<br />

rispetto a quelle nazionali e dalla diretta applicabilità delle stesse all’interno degli<br />

Stati membri, sia dalla presenza della Corte di Giustizia, chiamata a svolgere,<br />

nell’interpretazione delle norme comunitarie, una duplice funzione di nomofilachia<br />

(comunitaria) e di armonizzazione degli ordinamenti nazionali.<br />

Nel quadro così descritto, che costringe gli operatori del diritto ad una opera<br />

di incessante aggiornamento, il Consiglio Nazionale del Notariato, sulla falsariga<br />

di quanto finora già realizzato, intende sviluppare l’attività di formazione specialistica<br />

di diritto comunitario, al fine di offrire ad un numero sempre maggiore<br />

di notai la possibilità di conoscere le novità normative e giurisprudenziali più rilevanti<br />

in materia, via di accesso non solo per ogni approfondimento scientifico,<br />

ma anche per lo svolgimento dell’attività professionale.<br />

Al riguardo, infatti, non può sfuggire che il processo di integrazione europea,<br />

rappresenti una importante occasione di sviluppo delle attività professionali:<br />

come ricordato dal Prof. Tizzano in altra occasione, se «milioni di persone si<br />

spostano, vivono ed operano a livello europeo, ciascuna portandosi dietro inevitabilmente<br />

l’insieme delle proprie situazioni giuridiche e creandone di altre, è e-<br />

vidente che le professioni liberali e giuridiche in particolare, non possono che<br />

essere interessate e di regola favorite da questi sviluppi transnazionali».<br />

In tale prospettiva, si rivela centrale il ruolo del notaio, la cui attività è essenziale<br />

per garantire ai cittadini dell’Unione europea il pieno esercizio della propria<br />

libertà negoziale all’interno dell’ordinamento statale, nel rispetto del diritto comunitario.<br />

È questo il filo conduttore del Convegno, che unisce temi solo apparentemente<br />

eterogenei, accomunati invero dalla rilevanza che, per il notaio, rivestono<br />

la conoscenza e la applicazione di quel diritto ai fini della soluzione delle specifiche<br />

questioni poste.<br />

142<br />

Studi e Materiali – 1/2011


L’insolvenza transfrontaliera 1<br />

Dario Latella 2<br />

Il tema dell’insolvenza nell’ambito della disciplina comunitaria e regolamentare<br />

presenta particolari problemi pratici, che investono anche l’interesse della<br />

categoria notarile.<br />

L’apparato normativo della procedura d’insolvenza transfrontaliera è contenuto<br />

nel Regolamento 1346/2000, più volte rimaneggiato fondamentalmente per<br />

adeguare la trattazione dell’insolvenza a livello comunitario con le discipline nazionali<br />

dell’insolvenza dell’impresa o degli esercenti attività economica.<br />

La disciplina comunitaria dell’insolvenza non riguarda il soggetto che noi italiani<br />

siamo abituati a concepire come esposto a fallimento, cioè l’imprenditore<br />

commerciale non piccolo, bensì astrattamente qualsiasi debitore, quindi anche il<br />

debitore civile, il debitore non imprenditore e l’imprenditore non commerciale.<br />

Da questo punto critico è partito il “moto” del legislatore comunitario per<br />

l’adeguamento del Regolamento alle discipline nazionali di insolvenza, attuato<br />

in particolare con gli interventi del 2005 e del 2007, grazie ai quali oggi siamo in<br />

grado di poter trattare l’insolvenza di un imprenditore stabilito in un Paese comunitario<br />

in modo tendenzialmente uniforme.<br />

In realtà, la disciplina comunitaria dell’insolvenza contenuta nel Regolamento<br />

presenta vaste aree di rinvio agli ordinamenti nazionali. Il Regolamento non<br />

individua cioè una disciplina uniforme per tutti i Paesi, ma esclusivamente alcuni<br />

profili di uniformità, che riguardano tendenzialmente l’attività economica del<br />

debitore, ogniqualvolta questa risulti sganciata da un addentellato al Paese di<br />

appartenenza, quale può essere la titolarità di un bene immobile ovvero la presenza<br />

di rapporti patrimoniali prestabiliti.<br />

È importante individuare l’obiettivo prioritario che il legislatore comunitario ha<br />

inteso perseguire proprio perché esistono profili di conflitto ancora non risolti<br />

che, traendo spunto dalla ratio che sta alla base del Regolamento, potrebbero<br />

aiutarci a sciogliere alcuni fra i problemi che si stanno presentando all’attenzione<br />

della pratica. Ad esempio, il caso del notaio che riceva la richiesta di un trasferimento<br />

di sede societaria in prossimità, ovvero in stato di conclamata insol-<br />

1 Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2 Associato di Diritto Commerciale, Università di Messina.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 143


L’insolvenza transfrontaliera<br />

venza del richiedente. Vedremo come questo tema (che è quello più ricorrente<br />

nella casistica giurisprudenziale disponibile), a mio modesto avviso, potrebbe<br />

sollecitare maggiormente l’attenzione del notaio come consulente professionale,<br />

fermo restando che da una lettura (tutto sommato condivisa) delle norme<br />

non emergono problemi di irricevibilità dell’atto – ovviamente – o di manifesta<br />

nullità, ma esclusivamente di diligenza nella prestazione dell’attività di consulenza<br />

e, eventualmente, di responsabilità professionale.<br />

Il IV considerando del Regolamento stabilisce che l’obiettivo primario del<br />

provvedimento è quello di realizzare il corretto funzionamento del mercato interno.<br />

Con questa espressione estremamente generica il legislatore comunitario<br />

intende dissuadere il cittadino dal praticare una ricerca opportunistica della<br />

norma giuridica più conveniente o, comunque, più favorevole rispetto a quella<br />

del Paese di provenienza (forum shopping).<br />

Se leggiamo invece l’XI considerando del Regolamento, il legislatore comunitario<br />

ravvisa come irrealistica la possibilità di una trattazione pienamente uniforme<br />

dell’insolvenza, soprattutto sul piano sostanziale. E ciò perché ciascuna<br />

tradizione giuridica statuale possiede una specificità che difficilmente potrebbe<br />

essere rimessa in discussione.<br />

Sul piano delle finalità dichiarate, a livello comunitario il trattamento<br />

dell’insolvenza del debitore avviene dunque secondo il cosiddetto principio di<br />

“universalità attenuata”: non esiste una “procedura comunitaria d’insolvenza”,<br />

bensì una disciplina delle relazioni fra procedure d’insolvenza trattate a livello<br />

statuale.<br />

Pertanto, il trattamento dell’insolvenza deve avvicinarsi ad alcune linee guida<br />

comunque a contenuto precettivo direttamente applicabile (trattandosi di regolamento)<br />

e, tuttavia, il patrimonio del debitore potrebbe essere trattato dal<br />

singolo Stato secondo la legge di disciplina dell’insolvenza prevista dallo Stato<br />

di partenza.<br />

Esistono, quindi, numerosi spunti di conflitto astrattamente configurabili tra<br />

ciò che è disciplina comunitaria e ciò che è rinvio alla disciplina statuaria.<br />

Molteplici sono le procedure d’insolvenza perché molteplici sono le sedi o le<br />

dipendenze che un imprenditore o un debitore possono installare nei Paesi appartenenti<br />

alla Comunità. Si parla di una procedura principale, che normalmente<br />

è quella che viene aperta nello Stato di appartenenza del debitore, e di una<br />

procedura secondaria, che è quella che invece viene aperta nello Stato in cui il<br />

debitore possiede dipendenze.<br />

Da questo punto di vista sussiste un principio base di reciproca fiducia fra gli<br />

Stati membri, che è immanente al diritto comunitario e in virtù del quale ciascuno<br />

Stato deve riconoscere le procedure aperte in un altro Stato per il fatto stesso<br />

dell’appartenenza alla medesima congregazione.<br />

E però importante comprendere in quale Stato possa aprirsi l’una o l’altra<br />

procedura (principale o secondaria), proprio al fine di affrontare correttamente il<br />

144<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

problema di un trasferimento di sede richiesto ad arte, ossia al fine di evitare<br />

l’imminente declaratoria d’insolvenza pronunziabile nello Stato dall’ambiente<br />

giuridico meno favorevole.<br />

La disciplina dell’insolvenza segue due binari normativi: il primo è quello del<br />

trattamento uniforme, là dove rinvenibile nel Regolamento; il secondo è quello<br />

del trattamento riservato al debitore dallo Stato di appartenenza.<br />

Quest’ultimo regola i profili processuali e sostanziali dello status di soggetto<br />

insolvente. Ciò significa che, ad esempio, il debitore che venga considerato insolvente<br />

in Francia, ma che possiede una dipendenza in Italia, potrebbe essere assoggettato<br />

astrattamente, proprio per quanto riguarda quest’ultima, alla disciplina<br />

italiana; il debitore italiano, infatti, se è imprenditore commerciale non piccolo, è<br />

esposto alla procedura concorsuale. Se invece, trattasi di imprenditore agricolo o<br />

imprenditore commerciale piccolo, sarà soggetto ad esecuzione civile.<br />

Pertanto, il primo punto di conflitto si potrebbe creare rispetto alla disciplina<br />

della insolvenza principale dichiarata nello Stato di appartenenza del debitore.<br />

Immaginiamo che un professionista risulti esposto a procedura concorsuale in<br />

Inghilterra, ma possieda una dipendenza in Italia: quest’ultima potrebbe essere<br />

soggetta ad una disciplina secondaria d’insolvenza? Tendenzialmente, dovremmo<br />

rispondere con una negativa. Ma sul punto si tornerà più avanti.<br />

Un altro tema che interessa da vicino la professione notarile è la pubblicità.<br />

Esistono norme che tendono ad assicurare il coordinamento degli obblighi di<br />

iscrizione, che in ciascuno Stato membro riguardano gli imprenditori sottoposti a<br />

procedura concorsuale, ma non esiste una procedura uniforme di pubblicizzazione<br />

dello stato di impresa (o debitore) sottoposta a procedura concorsuale,<br />

che sia valevole per l’intera Comunità. Ciò comporta che l’assoggettamento di<br />

un debitore a procedura concorsuale avvenuto in un altro Stato potrebbe non<br />

essere in alcun modo conosciuto.<br />

Il curatore (o meglio, l’organo che amministra la procedura concorsuale) ha<br />

facoltà di pretendere l’iscrizione pubblicitaria della situazione di debitore assoggettato<br />

a procedura concorsuale negli Uffici a ciò deputati da ciascuno Stato<br />

membro, ma non trattandosi di un obbligo, ciò costituisce una forte debolezza del<br />

Regolamento, che sul punto avrebbe potuto essere più efficace, eventualmente<br />

prevedendo l’istituzione di “Registro comunitario delle procedure concorsuali”.<br />

Senza formalità è altresì il riconoscimento reciproco delle procedure, perché<br />

appunto fondato sul principio di fiducia fra gli Stati membri.<br />

Venendo alle definizioni normative, sono anzitutto qualificati espressamente<br />

i destinatari del Regolamento.<br />

Esso viene applicato al debitore stabilito in uno Stato comunitario, persona<br />

giuridica o persona fisica indipendentemente, quindi, dal suo status di imprenditore<br />

commerciale. Il criterio di individuazione dello Stato nel quale si apre la<br />

procedura principale è quello a molti è noto con l’acronimo COMI (Center Of<br />

Studi e Materiali – 1/2011 145


L’insolvenza transfrontaliera<br />

Main Interest), il che rinvia a ciò che siamo abituati a concepire come la sede<br />

effettiva degli affari dell’imprenditore.<br />

Esiste una presunzione di coincidenza del COMI con la sede statutaria della<br />

società (se di società si tratta), anche se la presunzione in parola è stata già<br />

vinta da parte della giurisprudenza (v. il caso Eurofood, la società controllata da<br />

Parmalat con sede in Irlanda) là dove si è dimostrato che la scissione fra sede<br />

statutaria e sede effettiva prescindeva dal criterio di collegamento formalmente<br />

rinvenuto nel Regolamento.<br />

Per quanto concerne la procedura secondaria, essa può essere aperta nello<br />

Stato in cui il debitore abbia una dipendenza. Pertanto, là dove il debitore possieda<br />

il suo COMI, si aprirà la procedura principale che detta anche il regime<br />

dei provvedimenti conservativi adottabili sul patrimonio debitorio, anche se collocato<br />

in altri Stati.<br />

Nello Stato in cui il debitore possiede una dipendenza, invece, può aprirsi<br />

una procedura secondaria. In tal caso, si pone il problema del trattamento del<br />

debitore nello Stato dell’apertura della procedura principale, rispetto a quello in<br />

cui si apre la procedura secondaria. La legge dello Stato di appartenenza del<br />

debitore regola gli aspetti processuali e sostanziali, quindi, per risolvere la questione<br />

bisogna capire se la dipendenza, ad esempio, possa essere esposta al<br />

trattamento concorsuale di derivazione dello Stato in cui è stata aperta la procedura<br />

principale e cosa accada, invece, se lo Stato in cui esiste la dipendenza<br />

non preveda una procedura concorsuale applicabile (si pensi al caso, poc’anzi<br />

accennato, del professionista, ma anche a quello dell’imprenditore agricolo, o<br />

del debitore civile).<br />

Tornando alle definizioni: debitore è persona fisica o persona giuridica indipendentemente<br />

dal suo status; centro degli interessi principali, ex art. 3 del Regolamento<br />

XIII considerando è «il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale,<br />

riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi». Solo se si tratta di<br />

persona giuridica, si applicherà una presunzione di coincidenza tra Comi e sede<br />

statutaria; altrimenti non sussisteranno altri indizi formali, se non il fatto che<br />

l’esercizio dell’attività economica dovrà essere in quel luogo riconoscibile dai<br />

terzi; la dipendenza è il luogo in cui si svolge un’attività economica di carattere<br />

non transitorio con risorse materiali ed umane. Come può notarsi, sussiste una<br />

particolare larghezza di concetti in questa definizione.<br />

La matrice normativa del nostro diritto fallimentare e concorsuale è rappresentata<br />

da un r.d. del ’42, poi aggiornato con la legge delega dell’85, ancora<br />

una volta nel 2006, nel 2007 con un correttivo e da ultimo con la riforma del<br />

processo civile, che ha introdotto modifiche all’impianto concorsuale interno. La<br />

disciplina del diritto fallimentare nazionale non prevede la sottoposizione a fallimento<br />

dell’imprenditore piccolo, dell’imprenditore agricolo e del debitore civile.<br />

È questo il punto di conflitto di maggiore evidenza: cosa può intendersi oggi,<br />

a livello comunitario, essere infatti un “esercente di attività economica” e, in tal<br />

146<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

senso, cosa può comportare per un professionista rivestire la qualità di “fornitore<br />

di servizi”? Potrebbe immaginarsi, ad esempio, in virtù dell’applicazione del<br />

Regolamento, la configurabilità di un trattamento differenziato dell’insolvenza<br />

del debitore professionista, del debitore civile e delle altre categorie tradizionalmente<br />

escluse dall’area di applicazione della disciplina fallimentare? E ciò,<br />

ogni qualvolta l’esposizione a procedura concorsuale possibile in altri Paesi a-<br />

derenti all’Unione dovesse comportare problemi di importazione della procedura<br />

principale presso sedi o dipendenze secondarie presenti in Italia?<br />

È noto che la Corte di Giustizia, secondo una consolidata giurisprudenza,<br />

considera tutti i soggetti esercenti un’attività economica come ricompresi nella<br />

lasca definizione di imprenditore. Ed allora, ci si domanda se il soggetto non fallibile<br />

per la legge italiana possa ugualmente rischiare il coinvolgimento nella<br />

procedura concorsuale, stante l’avvenuta sottoposizione a fallimento della sua<br />

sede principale stabilita in altro Stato membro.<br />

Il Regolamento non aiuta a sciogliere direttamente il quesito.<br />

Tuttavia, attraverso la lettura di una norma a contenuto sostanziale ed un<br />

considerando, cui si è fatto esplicito riferimento, si ritiene di poter individuare la<br />

corretta chiave di lettura.<br />

Se è vero, infatti, che la legge dello Stato di appartenenza del debitore regola<br />

gli effetti processuali e sostanziali della sua condizione giuridica (stato), appare<br />

coerente con questa premessa ritenere che il debitore con sede secondaria<br />

in Italia debba considerarsi sottratto al fallimento, quand’anche detta procedura<br />

abbia coinvolto il suo COMI in altro Stato membro. In questo caso, assumere<br />

che la procedura concorsuale aperta in via principale in altro Stato possa<br />

“migrare” verso l’Italia, coinvolgendo una dipendenza che, di per sé, non sarebbe<br />

esposta a fallimento, appare contraddire la portata precettiva della menzionata<br />

disposizione sulla individuazione della disciplina sostanziale del trattamento<br />

del debitore.<br />

La domanda subordinata è la seguente: qualora non vi sia apertura della<br />

procedura principale nello Stato di appartenenza, potrà aprirsi direttamente una<br />

procedura secondaria sulla dipendenza (ed in questo caso, quale tipologia di<br />

procedura)? Ebbene, la giurisprudenza tiene fermo il COMI come criterio di collegamento<br />

per individuare non soltanto la legge applicabile, ma anche il criterio<br />

di priorità da utilizzare per stabilire quale sia il giudice competente. Nel nostro<br />

caso, quindi, anche il professionista con sede in Italia e con dipendenza<br />

all’estero (in uno Stato nel quale, astrattamente, detta dipendenza potrebbe risultare<br />

esposta a procedura concorsuale), non andrebbe considerato assoggettabile<br />

a fallimento né in Italia, né tantomeno nel diverso Paese comunitario.<br />

Sono questi i casi che occupano maggiormente la giurisprudenza e la pratica<br />

professionale sul tema delle procedure transfrontaliere. Fondamentalmente<br />

si tratta di ipotesi in cui gruppi di imprese operino mediante sussidiarie o megasussidiaria<br />

sparse in Paesi europei. Si tratta ancora (è questo è un caso molto<br />

Studi e Materiali – 1/2011 147


L’insolvenza transfrontaliera<br />

delicato in cui, tuttavia, esiste una chiara giurisprudenza delle Sezioni Unite della<br />

Cassazione italiana) della assunzione della qualità di socio illimitatamente responsabile<br />

da parte di società con sede in uno Stato comunitario.<br />

È noto che lo status di socio illimitatamente responsabile ai sensi dell’art.<br />

147 della l. fall. italiana espone il socio all’estensione della procedura concorsuale<br />

avviata nei confronti della società. Questo significa concretamente che si<br />

può verificare (caso già risolto dalle Sezioni Unite) un conflitto fra la legge italiana,<br />

che comporta l’estensione della procedura concorsuale a tutti i soci illimitatamente<br />

responsabili, e la legge dello Stato di provenienza della società che,<br />

possedendo la qualità di socio illimitatamente responsabile di società italiana,<br />

potrebbe invocare l’applicazione dell’art. 25 della legge di riforma del d.i.p.<br />

Questa ipotesi di conflitto espone ovviamente il notaio ad un’attività assai<br />

prudente e diligente di consulenza nel consigliare come organizzare il sistema<br />

delle partecipazioni societarie all’interno di un gruppo e, naturalmente,<br />

nell’individuare le modalità di allocazione. Non tutti gli ordinamenti statuali, ad<br />

esempio, dispongono del meccanismo di estensione del fallimento al socio illimitatamente<br />

responsabile.<br />

Infine, v’è il problema del trasferimento della sede, ovviamente, quando esso<br />

sia praticato ad arte, ossia con funzione protettiva dell’impresa rispetto al rischio<br />

di trattamento concorsuale dell’insolvenza, ovvero rispetto al rischio di un trattamento<br />

giuridicamente deteriore.<br />

Ebbene, la giurisprudenza in questi casi si è espressa in merito ad alcune<br />

vicende molto note: si pensi al caso Eurofood, ma anche alle decisione delle<br />

Sezioni Unite della Cassazione italiana, della quale piace ricordare quattro pronunzie<br />

adottate dal 2009 a ritroso fino al 2005, ognuna delle quali riguarda un<br />

segmento del tema che si è complessivamente esposto:<br />

– la sentenza del 2009 riguarda un caso di trasferimento fittizio della sede.<br />

La Corte muove dalla considerazione secondo la quale il centro degli interessi<br />

principali e il collegamento con la sede statutaria presentano il criterio di collegamento<br />

principale per l’applicazione della procedura d’insolvenza e, però, se il<br />

trasferimento della sede avvenga in prossimità o in fase di conclamata insolvenza,<br />

la Cassazione afferma che, nonostante il dato formale si modifichi, è<br />

sempre il dato fattuale che deve prevalere. Quindi, è vinta la presunzione di<br />

coincidenza fra sede statutaria e centro degli interessi principale affermando la<br />

prevalenza della legge dello Stato di provenienza, ogni qual volta si dimostri<br />

che il trasferimento avesse finalità elusive dell’applicazione della disciplina più<br />

sfavorevole.<br />

– la seconda sentenza delle Sezioni Unite (6 luglio 2005), riguarda un caso<br />

di estensione del fallimento di società ai soci illimitatamente responsabili. In tal<br />

senso, si pone quel conflitto con l’art. 25 della legge di riforma del d.i.p., cui si è<br />

fatto riferimento. Infatti, la società italiana che fallisce, per la legge italiana, genera<br />

un meccanismo di estensione a tutti i soci illimitatamente responsabili, ma,<br />

se uno fra questi dovesse avere sede in un altro Stato comunitario, quale dovrà<br />

148<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

essere la disciplina della responsabilità selezionata per l’assolvimento delle obbligazioni<br />

sociali? L’art. 25 d.i.p. stabilisce che si applichi sempre la disciplina<br />

dello Stato di provenienza, quindi la disciplina dello Stato in cui il socio illimitatamente<br />

responsabile di società italiana ha la sede. Tuttavia, l’art. 147 della l.<br />

fall. italiana prevede che delle obbligazioni sociali della società fallita in Italia rispondano<br />

tutti i soci illimitatamente responsabili. Ebbene, le Sezioni Unite hanno<br />

affermato che la legge concorsuale italiana prevale sul criterio di collegamento<br />

con la legge di provenienza della società/socio illimitatamente responsabile.<br />

Deve quindi disapplicarsi la disciplina della responsabilità per le obbligazioni<br />

sociali di appartenenza della società proveniente da Stato estero ed applicarsi,<br />

al contrario, la disciplina interna di estensione del fallimento, con la conseguenza<br />

che la società/socio estero sopporterà il carico debitorio di fonte interna.<br />

Ciò comporta la necessità, sotto questo profilo, di monitorare con particolare<br />

attenzione le operazioni di acquisto dall’estero di partecipazioni societarie<br />

che comportino responsabilità illimitata per obbligazioni contratte da società di<br />

diritto italiano.<br />

Riguardo alle ultime due sentenze (20 maggio 2005 e 28 gennaio 2005): per<br />

quanto concerne la prima, si tratta sempre di un trasferimento formale di sede e<br />

vale tutto sommato quanto affermato in precedenza; mentre, per la seconda, il<br />

discorso è leggermente più complicato, ma allo stesso tempo più interessante.<br />

Si tratta sempre di un’applicazione dell’art. 147 l. fall., inerente a società con<br />

sede in Lussemburgo (socia illimitatamente responsabile di società italiana e-<br />

sposta a fallimento), che possedeva un immobile localizzato in Italia. In questo<br />

caso, chi ha richiesto la sottoposizione della società con sede in Lussemburgo<br />

alla disciplina concorsuale italiana ha affermato che il criterio di collegamento<br />

non fosse rappresentato dall’art. 25 della legge di riforma del diritto internazionale<br />

privato (rinvio alla disciplina della responsabilità per le obbligazioni sociali<br />

del Lussemburgo), bensì assumeva che il criterio di collegamento fosse rappresentato<br />

dal fatto che il patrimonio immobiliare di questa società fosse localizzato<br />

in Italia. I fautori della estensione della sottoposizione a fallimento hanno utilizzato<br />

questo criterio per pretendere che la società venisse assoggettata alla<br />

legge concorsuale italiana. Le Sezioni Unite hanno ragionato diversamente, sostenendo<br />

che, in mancanza di apertura di una procedura fallimentare nei confronti<br />

della società italiana, non possa applicarsi – e, dunque, non possa prevalere<br />

– l’art. 147 l. fall., perché questa rappresenta una conseguenza normativa<br />

dell’avvenuta dichiarazione di fallimento e non un precetto di selezione della disciplina<br />

applicabile prima di detta dichiarazione. Al contrario, dovrà pertanto<br />

considerarsi prevalente l’art. 25 della legge d.i.p., con la conseguenza che la<br />

società lussemburghese sarà governata, sotto il profilo della responsabilità per<br />

le obbligazioni sociali, dalla disciplina lussemburghese.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 149


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I trasferimenti di società 1<br />

Giuseppe A. Rescio 2<br />

1. Nei trasferimenti di sede transfrontalieri si devono considerare sia i trasferimenti<br />

in entrata, dall’estero in Italia, sia i trasferimenti in uscita, dall’Italia<br />

all’estero. In questa sede si prenderanno in considerazione i trasferimenti di sede<br />

statutaria, poiché nel trasferimento di sede reale – cioè nello spostamento<br />

del centro direzionale dell’impresa – in assenza di una modifica della sede statutaria<br />

di norma non vi è un diretto coinvolgimento del notaio.<br />

In entrambi i casi di trasferimento, in entrata o in uscita, viene in considerazione<br />

l’art. 25 della legge di diritto internazionale privato (d.i.p.), per il quale tali<br />

trasferimenti hanno efficacia – e quindi sono concretamente realizzabili – soltanto<br />

se posti in essere in modo conforme alle leggi degli Stati interessati.<br />

Viene naturale individuare le leggi degli Stati interessati in quella del luogo in<br />

cui ha attualmente sede la società e in quella del luogo dove la sede verrà posta;<br />

ma occorre anche considerare le leggi degli Stati interessati in funzione della<br />

fonte delle regole organizzative di quell’attività d’impresa esercitata in forma<br />

societaria.<br />

Sotto quest’ultimo profilo la prima legge interessata è quella che regola la<br />

società nel momento in cui essa decide di trasferire la propria sede, mentre la<br />

seconda è quella che regolerà la società una volta trasferita la propria sede.<br />

Queste leggi spesso coincidono con quelle del luogo in cui viene di volta in volta<br />

collocata la sede statutaria, ma ciò non sempre avviene: pertanto possono<br />

esserci trasferimenti di sede con cambio di legge societaria e trasferimenti di<br />

sede senza cambio di legge societaria.<br />

2. Il trasferimento di sede con cambio di legge societaria è la vicenda più facile<br />

da realizzare, soprattutto nella prospettiva del diritto comunitario. Il più delle<br />

volte un trasferimento di sede statutaria è motivato proprio dall’intento di assoggettare<br />

la società ad una diversa legge, non già dall’intento di esercitare l’attività<br />

nel territorio di un altro Stato o di porvi il centro dell’amministrazione della società.<br />

Infatti, molto spesso non c’è bisogno di trasferire in un altro Paese la sede<br />

1 Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2 Ordinario di Diritto Commerciale, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 151


I trasferimenti di società<br />

statutaria, se in quel Paese si vuole operare o si vuole spostare il luogo in cui si<br />

adottano le decisioni amministrative.<br />

Uno sguardo panoramico a quanto accade in Europa da alcuni a questa parte<br />

dimostra che di norma, se si attua un trasferimento di sede statutaria in un altro<br />

Stato, è perché si vuole cambiare la legge applicabile alla società in cerca di<br />

un ordinamento ritenuto più confacente agli interessi dei soci in relazione a svariate<br />

esigenze: dai minori costi di gestione alla maggiore convenienza delle regole<br />

societarie e di diritto dell’impresa, dalla minore pressione fiscale alle opportunità<br />

offerte da una giurisdizione più efficiente.<br />

In questi casi il trasferimento della sede legale implica la necessità di approvare<br />

anche un nuovo statuto, perché la società dovrà avere la veste di un tipo sociale<br />

organizzato secondo le regole della diversa legge che regolerà la società e,<br />

quindi, dovrà procurarsi uno statuto in linea con la diversa normativa applicabile.<br />

Questo tipo di trasferimento implica il verificarsi di una vicenda sostanzialmente<br />

assimilabile ad una trasformazione del tipo sociale anche quando le caratteristiche<br />

di fondo della struttura societaria adottata dovessero essere non<br />

dissimili rispetto a quelle del tipo di partenza (ad esempio, si tratta sempre di un<br />

tipo caratterizzato dalla suddivisione del capitale in azioni, dalla responsabilità<br />

limitata dei soci, ecc.).<br />

3. Peraltro l’art. 25 cit. costringe a verificare non soltanto se l’operazione sia<br />

in sé ammissibile con gli accorgimenti precisati, ma anche quale sia la conseguenza<br />

del trasferimento di sede in ordine alla continuità giuridica del soggetto.<br />

L’operazione di trasferimento della sede potrebbe essere realizzabile, ma potrebbe<br />

determinare conseguenze spiacevoli e “costi” eccessivi.<br />

In particolare, si tratta di verificare se la società come soggetto giuridico rimane<br />

tale, non si estingue, ancorché prosegua indossando la diversa veste che<br />

riceve a seguito del cambio di legge applicabile. Se non dovesse essere così in<br />

base all’ordinamento interessato (diverso da quello italiano) in entrata o in uscita,<br />

se cioè quell’ordinamento considerasse estinta la soggettività giuridica originaria<br />

della società con costituzione di un nuovo soggetto giuridico nel luogo<br />

d’arrivo, non si vede quale convenienza ci sarebbe a trasferire la sede: la vicenda<br />

implicherebbe, infatti, lo scioglimento della società per la legge di partenza<br />

e la costituzione di una nuova società per la legge di arrivo; ed allora tanto<br />

vale seguire apertamente tale strada (cioè procedere ad una costituzione ex<br />

novo nello Stato di arrivo), evitando il rischio che lo scioglimento della società<br />

per l’ordinamento di partenza si realizzi in elusione dell’inderogabile procedimento<br />

di liquidazione della società per questa via estinta. Merita richiamare l’attenzione<br />

sul fatto che, ad esempio, nei trasferimenti in uscita dall’Italia all’estero<br />

l’eventuale estinzione senza preventiva liquidazione di una società di capitali<br />

italiana deve essere impedita dal notaio in sede di controllo di legalità/iscrivibilità<br />

della deliberazione di trasferimento di sede all’estero.<br />

152<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

4. Il trasferimento di sede può avvenire anche senza il cambiamento della<br />

lex societatis, e ciò avviene al concorrere di due presupposti: che le leggi applicabili<br />

in funzione del luogo di partenza e di arrivo lo consentano e che i soci vogliano<br />

mantenere invariata la legge che riconosce e regola il loro rapporto.<br />

Certamente la legge italiana non impone alle società ad essa soggette che<br />

trasferiscono la sede all’estero, quando ciò sia consentito nello Stato di arrivo,<br />

di spezzare il cordone ombelicale che le lega all’ordinamento italiano. La società<br />

italiana, quindi, può continuare ad essere regolata dalla legge italiana anche<br />

se porta la sua sede all’estero.<br />

In questi casi, tuttavia, l’ordinamento dello Stato ricevente potrebbe sì accettare<br />

l’idea che la legge originaria continui a regolare il rapporto sociale, ma potrebbe<br />

in più pretendere che si applichi in tutto o in parte anche la legge della<br />

nuova residenza. Ciò si verifica nei casi di trasferimenti dall’estero all’Italia, allorquando<br />

trovi applicazione l’art. 25, comma 1, secondo periodo, d.i.p., il quale<br />

stabilisce che alla società straniera, soggetta alla legge che ne ha regolato il<br />

procedimento di costituzione, “si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede<br />

dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale<br />

di tali enti”.<br />

Per effetto di norme del genere può crearsi una situazione di estrema complessità,<br />

perché, per un verso, sorge il problema della individuazione delle norme<br />

che la legge del luogo della nuova sede impone di applicare e, per altro verso,<br />

una volta individuate tali norme, rimane il problema di come realizzarne il coordinamento<br />

e risolvere eventuali conflitti con quelle dell’ordinamento dello Stato di<br />

costituzione (o, comunque, di provenienza) che continuano ad applicarsi. Sul piano<br />

operativo l’incertezza degli esiti talvolta scoraggia dal realizzare l’operazione.<br />

5. In ambito comunitario i principi sopra esposti devono confrontarsi con il<br />

quadro emergente da una serie di casi affrontati dalla Corte di Giustizia. La<br />

maggior parte di questi casi si riferisce, in realtà, non a trasferimenti di sede statutaria,<br />

ma a trasferimenti di sede effettiva o amministrativa o reale, rimanendo<br />

invariata la sede indicata nello statuto. Anzi, in talune vicende è persino improprio<br />

parlare di “trasferimento”, come nel noto esempio (Centros, 1999) della sede<br />

reale fin dalla costituzione della società collocata in uno Stato diverso da<br />

quello in cui si è perfezionamento il procedimento costitutivo della società ed è<br />

stata posta la sede statutaria.<br />

Questi casi sono ordinabili anche sotto un profilo diverso, a seconda che i<br />

limiti e gli ostacoli al trasferimento siano posti dall’ordinamento dello Stato di<br />

partenza (quello che regola la società nel momento in cui questa decide il trasferimento)<br />

o dall’ordinamento dello Stato di arrivo (quello dove la sede viene<br />

portata). Alla prima categoria sono ascrivibili i casi Daily Mail (1988) e Cartesio<br />

(2008); alla seconda categoria sono riconducibili i casi Centros (1999), Uberseering<br />

(2001) e Inspire Art (2003).<br />

Da questo quadro complessivo emergono dei principi, alla cui formazione<br />

hanno contribuito anche il caso Sevic (2005) nel contiguo tema della fusione<br />

Studi e Materiali – 1/2011 153


I trasferimenti di società<br />

transfrontaliera e i lavori in corso tendenti a favorire il trasferimento di sedi all’interno<br />

della Comunità europea. Se da un lato si sono bloccati i lavori per un’apposita<br />

direttiva sui trasferimenti di sede transfrontaliera o all’interno della Comunità,<br />

dall’altro lato sono giunti a buon fine quelli sulla Società Europea, sulla<br />

Società Cooperativa Europea e sulla stessa fusione transfrontaliera: in tutti i<br />

corpi normativi dedicati alle strutture societarie di rango comunitario e alla fusione<br />

tra società soggette alle leggi di Stati membri destinatarie degli artt. 43 e<br />

48 del Trattato CE il trasferimento di sede transfrontaliero è senz’altro attuabile.<br />

Giova ricordare che non tutti i casi menzionati si sono risolti in modo favorevole<br />

a chi lamentava la non compatibilità con la normativa comunitaria degli o-<br />

stacoli posti dalle legislazioni nazionali al trasferimento. Ma al di là di questa<br />

osservazione si può sostenere che dai citati precedenti si ricavano alcune precise<br />

linee guida sul trattamento dei trasferimenti societari intracomunitari.<br />

6. In primo luogo si afferma il principio per cui la trasferibilità della sede, sia<br />

legale che amministrativa, in ambito comunitario rappresenta l’esercizio di un<br />

diritto insopprimibile per le società che possano invocare la libertà di stabilimento<br />

in applicazione degli artt. 43 e 48 del trattato CE, cioè quelle che hanno la<br />

sede legale ovvero l’amministrazione centrale ovvero il centro dell’attività principale<br />

all’interno della Comunità.<br />

La trasferibilità della sede sociale è una conseguenza del principio di libertà<br />

di stabilimento. Tuttavia, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia vi è una<br />

distinzione netta tra il trasferimento con cambio e senza di legge societaria e<br />

quello. Il precedente “chiave” sotto questo profilo è il caso Cartesio, oggetto di<br />

una sentenza del dicembre 2008, concernente una società ungherese che voleva<br />

trasferire la sua sede in Italia mantenendosi soggetta alla legge ungherese.<br />

Tale volontà è stata disattesa dalle autorità ungheresi per la ragione che la posizione<br />

della sede sociale al di fuori del territorio ungherese, per la legge di<br />

quello Stato, spezza il legame con l’ordinamento societario.<br />

La Corte di Giustizia ha in questa decisione affermato che ciascuno Stato ha<br />

il diritto di decidere quali società riconoscere come proprie e regolate dalle proprie<br />

leggi, sicché non contrasta con l’ordinamento comunitario una disposizione<br />

nazionale per la quale, se una società porta la propria sede statutaria o amministrativa<br />

all’estero, essa non sarà più regolata dalla legge originaria. Ciò che<br />

non si può impedire è il (trasferimento con) cambio di legge societaria: la legge<br />

ungherese non avrebbe, cioè, potuto impedire il trasferimento della sede sociale<br />

dall’Ungheria in Italia, se la decisione – contrariamente a quanto in concreto<br />

avvenuto – fosse stata accompagnata dall’abbandono volontario della “forma<br />

giuridica” societaria ungherese con contestuale adozione di una “forma giuridica”<br />

societaria italiana.<br />

7. In altre parole, mentre il trasferimento di sede con cambio di legge societaria<br />

non può essere ostacolato in ambito comunitario né dallo Stato di partenza<br />

né da quello di arrivo, il trasferimento senza cambio di legge societaria può es-<br />

154<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

sere impedito dall’ordinamento dello Stato di partenza, nel senso poc’anzi precisato<br />

che questi può considerare reciso il legame che consente alla società di<br />

continuare ad esistere quale società di quell’ordinamento.<br />

Per contro, che il trasferimento avvenga con cambio o senza cambio di legge,<br />

non sembra che possano essere frapposti leciti ostacoli da parte dello Stato<br />

di arrivo: è vero che in teoria la Corte di Giustizia ha fatto salvi i limiti giustificabili<br />

sotto il profilo del rispetto delle norme di ordine pubblico, della idoneità e della<br />

proporzionalità rispetto allo scopo perseguito; ma sinora non sono stati individuati<br />

specifiche norme restrittive la cui coerenza con i criteri sopra richiamati<br />

ne assicuri l’imprescindibile applicazione alle società che si trasferiscono mantenendo<br />

il proprio legame con l’ordinamento dello Stato di partenza.<br />

Conseguentemente nei casi di trasferimento in entrata in Italia, l’art. 25,<br />

comma 1, secondo periodo, d.i.p. (cioè la norma che pretende di applicare la<br />

legge italiana alle società straniere che pongono la propria sede effettiva in Italia<br />

o ivi esercitano la propria attività principale) non si applica alle società soggette<br />

alla legge di uno Stato membro, ciò traducendosi in un ostacolo incompatibile<br />

con la libertà di stabilimento così come interpretata dalla Corte di Giustizia.<br />

8. Sotto il profilo pratico, che cosa deve fare una società italiana di capitali<br />

che voglia trasferire la propria sede all’estero?<br />

La decisione andrà presa con le maggioranze, di legge o di statuto,<br />

dell’assemblea straordinaria (s.p.a.) o dell’assemblea competente (s.r.l.) ed il<br />

notaio effettuerà il controllo di iscrivibilità, verificando ciò che è necessario in<br />

base all’art. 25 d.i.p., onde appurare se il trasferimento sia consentito nei termini<br />

in cui lo si vuole realizzare, con o senza cambio di legge societaria.<br />

È importante ricordare che la società verrà cancellata dal Registro delle imprese<br />

solo quando sia stata iscritta in analogo registro o comunque abbia subìto<br />

un processo di evidenza pubblica di “entrata” nello Stato di arrivo, in modo tale<br />

che non succeda che la società faccia perdere le proprie tracce. Il notaio deve<br />

perciò fare attenzione a non promuovere la cancellazione della società dal Registro<br />

delle imprese italiano prima che risulti che la società ha realizzato o iniziato<br />

ufficialmente quelle procedure che ne consentono il riconoscimento da<br />

parte del nuovo ordinamento e la sua incontrovertibile comparsa sullo scenario<br />

dello Stato di arrivo.<br />

9. Nel caso contrario di trasferimento dall’estero in Italia, la decisione dovrà<br />

essere prese in conformità alla legge societaria applicabile, che è quella<br />

dell’ordinamento straniero che in quel momento regola la società.<br />

Anche qui il notaio è chiamato ad effettuare un controllo di iscrivibilità, ma<br />

questa volta “in entrata”. L’ipotesi normale è che la decisione, presa dall’organo<br />

competente con le formalità necessarie in base alla legge di partenza, venga<br />

documentata in modo idoneo e portata a conoscenza del notaio, il quale deve<br />

verificare che essa rispetti i principi posti dall’art. 25 d.i.p. come sopra ricostruiti:<br />

all’esito positivo di tale controllo il notaio accetta il documento portante la deci-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 155


I trasferimenti di società<br />

sione – unitamente ad ogni altro documento relativo alla società e utile a soddisfare<br />

le nostre esigenze pubblicitarie – in deposito nei propri atti e ne cura il deposito<br />

nel Registro delle imprese chiedendo l’iscrizione della società.<br />

È possibile – quando si cambia la legge societaria ed allora la società che<br />

decide il trasferimento di sede deve approvare uno statuto conforme alla legge<br />

italiana – che questo nuovo statuto venga approvato contestualmente alla delibera<br />

di trasferimento di sede: è anzi questa l’ipotesi normale. Ciò significa che il<br />

notaio dovrà estendere il controllo di iscrivibilità anche alle clausole statutarie<br />

approvate. Sul piano pratico tutto ciò implica un’interazione con i professionisti<br />

che curano la formalizzazione della decisione nel luogo di provenienza al fine di<br />

poter dotare la società di uno statuto in linea con la normativa italiana.<br />

È però anche possibile che la decisione presa all’estero sia carente sotto il<br />

profilo della aderenza alla normativa italiana. A ciò può rimediarsi tenendo una<br />

seconda assemblea in Italia: naturalmente, dal momento che la legge applicabile<br />

è ancora quella straniera per non essersi ancora perfezionata l’entrata<br />

nell’ordinamento italiano, nello svolgimento dei lavori assembleari si dovranno<br />

rispettare le norme societarie straniere pertinenti. In tale seconda assemblea, al<br />

cui verbale potrà essere allegata il verbale della decisione di trasferimento della<br />

sede e il resto della documentazione proveniente dall’estero (ciò soddisfacendo<br />

il requisito del deposito negli atti del notaio), si potrà procedere a quelle dichiarazioni,<br />

rettifiche ed integrazioni necessarie perché il controllo di iscrivibilità abbia<br />

esito positivo e si possa procedere all’iscrizione.<br />

156<br />

Studi e Materiali – 1/2011


L’abuso del diritto in materia tributaria 1<br />

Thomas Tassani 2<br />

Sommario: 1. Il principio del divieto di abuso del diritto come principio comunitario e costituzionale.<br />

– 2. La ripartizione dell’onere della prova relativamente all’abuso. –<br />

3. L’applicazione del principio del divieto di abuso del diritto. – 4. Conclusioni.<br />

1. IL PRINCIPIO DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COME PRINCIPIO<br />

COMUNITARIO E COSTITUZIONALE<br />

Il divieto di abuso del diritto costituisce un principio di origine ed ispirazione<br />

comunitaria ma che, attualmente, è da ritenere implicito anche nel sistema tributario<br />

italiano, almeno alla luce delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione.<br />

Sono in particolare da considerare le sentenze che la Corte ha pronunciato,<br />

a sezioni unite, il 2 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057.<br />

In tali pronunce, la Corte di Cassazione ha affermato la sussistenza, nel nostro<br />

ordinamento, del principio di divieto dell’abuso del diritto, enucleabile in base<br />

ai principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività (art. 53 Cost.).<br />

L’importante affermazione giurisprudenziale giunge al termine di un complesso<br />

percorso interpretativo, nel quale la Corte di Cassazione si è interrogata<br />

sulla generale applicabilità del principio comunitario di divieto dell’abuso del diritto,<br />

affermato in diverse occasioni dalla Corte di Giustizia 3 .<br />

In un primo momento 4 , la Corte ha configurato un rilievo del principio in e-<br />

same anche nei settori non armonizzati (si trattava, in particolare, delle pratiche<br />

di dividend washing e dividend stripping nelle imposte dirette) ma solo in quanto<br />

“principio tendenziale”, che avrebbe dovuto condurre il giudice a ricercare,<br />

nell’ordinamento nazionale, appropriati, e quindi già esistenti, mezzi giuridici per<br />

il contrasto dell’abuso. Tanto che, nelle sentenze citate, si prospettava il ricorso<br />

all’istituto della nullità dei contratti per mancanza di causa (art. 1418 c.c.) o per<br />

illiceità della stessa (art. 1344 c.c.).<br />

1<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2<br />

Aggregato di Diritto Tributario, Università di Urbino “Carlo Bo”.<br />

3<br />

Corte di Giustizia CE, Grande Sezione, sentenza del 21/2/2006, cause C-255/02 e C-223/03,<br />

Halifax; recentemente Corte di Giustizia CE, sentenza del 21/2/2008, causa C-425/06, Part Service.<br />

4<br />

Sentenze n. 20398 del 21/10/2005, n. 20816 del 26/10/2005 e n. 22932 del 14/11/2005.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 157


L’abuso del diritto in materia tributaria<br />

Orientamento, questo, che è stato oggetto di diverse critiche. Da una parte,<br />

per la necessità di distinguere l’elemento della causa del contratto da quello<br />

degli interessi concretamente perseguiti dai contraenti.<br />

Dall’altra, perché la soluzione tradizionale, e tutt’ora prevalente, è nel senso<br />

di non ritenere applicabile l’art. 1344 c.c. ai negozi che hanno lo scopo di eludere<br />

l’applicazione di una norma tributaria 5 .<br />

Successivamente, la Corte è andata però oltre, sostenendo che il principio<br />

del divieto dell’abuso del diritto, in quanto di derivazione comunitaria, si impone<br />

nell’ordinamento tributario italiano “pur non esistendo una corrispondente enunciazione<br />

nelle fonti normative nazionali” e, quindi, anche “al di fuori dei tributi<br />

armonizzati o comunitari” 6 .<br />

Era evidente lo sforzo della Suprema Corte di assicurare un collegamento<br />

tra i principi e le libertà affermati in ambito comunitario ed il settore non armonizzato<br />

delle imposte dirette, in una prospettiva, certamente apprezzabile, di<br />

coerenza ed omogeneità del sistema fiscale.<br />

Tuttavia, simile conclusione si è in realtà rivelata una “forzatura” eccessiva,<br />

allo stato della evoluzione, anche interpretativa, dello stesso ordinamento comunitario.<br />

Infatti, in base all’orientamento dottrinale e giurisprudenziale tradizionale,<br />

si ritiene che i principi e le norme del diritto comunitario siano applicabili ai<br />

soli settori armonizzati e, nell’ambito di quelli non armonizzati, alle fattispecie in<br />

grado di entrare in conflitto con il diritto comunitario.<br />

È in questo senso da considerare che la stessa Corte di Giustizia, quando è<br />

stata chiamata ad applicare il principio dell’abuso del diritto in settori diversi da<br />

quelli armonizzati, ha dato una risposta negativa 7 .<br />

Infine, come detto, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione,<br />

con le tre sentenze depositate il 23 dicembre 2008, nelle quali è stato configurato<br />

un principio di divieto dell’abuso del diritto “autonomo” rispetto a quello di<br />

5<br />

In generale sul tema, tra i tanti, Tesauro, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo<br />

da giudicato esterno incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008, 1029 ss.; Basilavecchia,<br />

Elusione e abuso del diritto: una integrazione possibile, in Riv. giur. trib., 2008, 741 ss.;<br />

Lovisolo, Abuso del diritto e clausola generale antielusiva alla ricerca di un principio, in Riv. dir. trib.,<br />

2009, I, 49 ss.; Zizzo, L’abuso del diritto, in Giur. trib., 2008, 465 ss.; Beghin, L’inesistente confine<br />

tra pianificazione, elusione e abuso del diritto, in Corr. trib., 2008, 1777 ss.; Tassani, Autonomia statutaria<br />

delle società di capitali e imposizione sui redditi, Milano, 2007, 144 ss.<br />

6<br />

Cass. 17 ottobre 2008, n. 25374. Sul tema, Beghin, Alla ricerca di punti fermi in tema di elusione<br />

fiscale e abuso del diritto tributario (nel comparto dei tributi non armonizzati) e Poggioli, Il divieto<br />

di abuso del diritto nel prisma della giurisprudenza comunitaria in materia fiscale in materia fiscale,<br />

in Tassani (a cura di), Attuazione del tributo e diritti del contribuente in Europa, in corso di<br />

pubblicazione per i tipi di Aracne.<br />

7<br />

Come nella sentenza del 5/7/2007 (causa C-321/05, Kofoed), avente ad oggetto la norma antielusiva<br />

contenuta nell’art. 11 della Direttiva 90/434/Cee, in cui la Corte di Giustizia ha affermato<br />

che, qualora l’ordinamento nazionale (nella specie, si trattava di quello danese), non abbia trasposto<br />

la norma antielusiva prevista dalla Direttiva, non potrà applicarsi alcuna regola generale di contrasto<br />

all’abuso del diritto. In questo modo, confermando l’inesistenza di un principio generale<br />

dell’abuso del diritto vigente anche nei settori non armonizzati.<br />

158<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

derivazione comunitaria, che, ad avviso della Corte, non potrebbe esplicare effetto<br />

con riferimento ai tributi non armonizzati, come le imposte dirette.<br />

A giudizio delle Sezioni Unite i principi di capacità contributiva e di progressività<br />

(art. 53 Cost.), renderebbero sussistente nel sistema nazionale “il principio<br />

secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo<br />

distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti<br />

giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente<br />

apprezzabili che giustifichino l’operazione”. Affermazione che non contrasterebbe<br />

con la presenza di specifiche norme antielusive (tra cui l’art. 37-bis,<br />

d.P.R. 600/73), visto che queste debbono apprezzarsi, sostengono le Sezioni<br />

Unite, come “mero sintomo dell’esistenza di una regola generale”.<br />

Il principio dell’abuso del diritto, dunque, è frutto di una elaborazione puramente<br />

giurisprudenziale, il che tuttavia non sarebbe in contrasto, a giudizio della<br />

Corte, con il principio di riserva di legge, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non<br />

si tradurrebbe “nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti<br />

dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere<br />

al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali”.<br />

L’interpretazione, in questo modo fornita, dei principi della capacità contributiva<br />

e della progressività sembra rappresentare, nella applicazione delle Sezioni<br />

Unite, un richiamo alle esigenze di uguaglianza che sono alla base delle norme<br />

costituzionali in esame.<br />

In questo senso, il riferimento è alla capacità contributiva quale limite relativo,<br />

in grado, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, di consentire<br />

una valutazione delle norme tributarie dal punto di vista di una razionale ripartizione<br />

dei carichi pubblici tra i consociati 8 .<br />

Ed è da sottolineare come simile esigenza di uguaglianza venga riferita ad<br />

un aspetto che non riguarda direttamente gli elementi sostanziali del tributo, assumendo<br />

invece una portata di ordine procedimentale.<br />

In termini critici, è anche da notare che, proprio in una valutazione “relativa”<br />

del principio di capacità contributiva, risulterebbe necessario considerare anche<br />

gli altri principi costituzionali coinvolti, tra cui assume una notevole importanza<br />

quello del legittimo affidamento, strettamente legato a quello della riserva di<br />

legge e, quindi, al principio della certezza del diritto.<br />

Non può infatti non rilevarsi che una applicazione “retroattiva” del divieto<br />

dell’abuso del diritto possa condurre a risultati non coerenti, proprio sul piano della<br />

uguaglianza e del rispetto della capacità contributiva, in tutti quei casi in cui il contribuente<br />

non sia in grado di fornire elementi probatori adeguati in relazione a fattispecie<br />

che già si sono concluse e che, nel momento in cui sono state realizzate ed<br />

alla luce del contesto normativo allora vigente, apparivano quali scelte legittime di<br />

pianificazione fiscale, non disconoscibili dall’Amministrazione finanziaria.<br />

8<br />

Su questi temi, anche per riferimenti bibliografici, Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 44 ss.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 159


L’abuso del diritto in materia tributaria<br />

2. LA RIPARTIZIONE DELL’ONERE DELLA PROVA RELATIVAMENTE<br />

ALL’ABUSO<br />

In termini generali, secondo la Corte di Cassazione, spetta all Amministrazione<br />

l’onere della prova della sussistenza dei presupposti di una pratica abusiva.<br />

L’Amministrazione deve dimostrare che la ragione prevalente che sorregge<br />

la scelta giuridica del contribuente è quella del risparmio fiscale e, per fare questo,<br />

deve mettere a confronto il comportamento posto in essere con “il comportamento<br />

fisiologico aggirato, onde far emergere quella anomala differenza incompatibile<br />

con una normale logica economica” 9 .<br />

In questa prospettiva, ammonisce la Corte, occorre utilizzare estrema cautela,<br />

dovendo tenersi conto della evoluzione degli strumenti giuridici che possono<br />

dare vita a “forme nuove non necessariamente collegate a normali logiche di<br />

profitto della singola impresa”.<br />

Appare poi di estremo rilievo l’affermazione secondo cui il comportamento<br />

abusivo del contribuente può configurarsi solo quando si ponga come “elemento<br />

predominante ed assorbente”, con la conseguenza che il divieto dell’abuso<br />

“non vale più” quando le operazioni possano “spiegarsi altrimenti che con il mero<br />

conseguimento del risparmio di imposta”.<br />

Il contribuente, per contro, potrà provare la sussistenza di ragioni economiche<br />

“alternative o concorrenti” di carattere “non meramente marginale” in grado<br />

di giustificare le operazioni poste in essere.<br />

3. L’APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO<br />

Sulla base di simile elaborazione concettuale, l’applicazione del principio del<br />

divieto di abuso del diritto risulta estremamente ampia, come confermano le più<br />

recenti affermazioni della prassi e della giurisprudenza. Che hanno considerato<br />

il principio in esame per rendere “inopponibili” le scelte negoziali dei contribuenti,<br />

ai fini delle imposte sui redditi 10 , dell’Iva 11 , dei tributi doganali 12 , delle imposte<br />

sulle successioni e donazioni 13 ; dell’imposta di registro. 14<br />

9<br />

Sentenza n. 1465 del 21/01/2009.<br />

10<br />

Cass., sent. n. 10981 del 13 maggio 2009 e n. 10388 del 6 maggio 2009,. Si veda Beghin,<br />

L’abuso del diritto nella indefettibile prospettiva del “vantaggio fiscale”, in Corr. trib., 2009, 2325.<br />

11<br />

Cass., sent. n. 15029 del 26 giugno 2009.<br />

12<br />

Cass., sent. n. 19827 del 15 settembre 2009.<br />

13<br />

Ris. n. 234/E del 24 agosto 2009.<br />

14<br />

Sul tema, recentemente, Cerrato, Elusione fiscale ed imposizione indiretta nelle operazioni<br />

societarie, in Maisto (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario, Milano, 2009, 389 ss. Sullo<br />

specifico ruolo dell’art. 20, d.P.R. 131/1986, si rinvia a De Mita, Diritto tributario e diritto civile: profili<br />

costituzionali, in Riv. dir. trib., 1995, 154; Uckmar-Dominici, Registro (imposta di), in Dig. disc. priv.<br />

sez. comm., XII, Torino, 1999, 260 ss.; Melis, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003,<br />

293; Cipollina, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992, 118 ss.<br />

160<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

Con riferimento a quest’ultimo tributo, viene in considerazione la sentenza<br />

della Corte di Cassazione, n. 12042 del 25 maggio 2009, avente ad oggetto una<br />

cessione onerosa di ramo di azienda. È noto come il valore dell’azienda sia determinato<br />

ai sensi dell’art. 51, comma 4, d.P.R. 131/1986, ossia considerando il<br />

valore complessivo dei beni, compreso l’avviamento, “al netto delle passività risultanti<br />

da scritture contabili obbligatorie…”.<br />

Nel caso in esame, le parti avevano imputato alla azienda passività estremamente<br />

rilevante (debiti di natura commerciale); scelta che l’Amministrazione<br />

finanziaria ha considerato effettuata al solo scopo di “abbassare fittiziamente il<br />

valore dell’imponibile”.<br />

Secondo la Corte, spetta all’Ufficio il compito di provare l’intento elusivo, basandosi<br />

su una valutazione di “irragionevolezza”, di “atipicità” del comportamento<br />

effettuato , gravando poi sul contribuente l’onere di evidenziare le motivazioni<br />

economiche che sono alla base della scelta in oggetto, in grado di giustificare<br />

economicamente l’operazione.<br />

Con riferimento alla specifica controversia, l’intento elusivo è stato giudicato<br />

provato, dando rilievo al fatto che i debiti commerciali erano una quota di costi<br />

attribuita dalla società controllante non italiana alla società italiana controllata<br />

(non proporzionalità tra i ricavi della società italiana e i costi addebitati dalla casa<br />

madre; e quindi non giustificata economicamente, in termini di normalità, tale<br />

addebito).<br />

4. CONCLUSIONI<br />

In base alla giurisprudenza della Cassazione, è dunque necessaria una attenta<br />

valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni che sono poste in<br />

essere.<br />

Nel limite in cui le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica<br />

comune degli affari, minore o assente è il rischio dell’applicazione del divieto<br />

di abuso. Quando invece le stesse, pur se effettivamente realizzate, riflettono assetti,<br />

rapporti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale, tutte le<br />

volte in cui è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa.<br />

È quindi consigliabile un comportamento del contribuente (e del professionista)<br />

che, a monte, nel momento cioè in cui compie l’operazione giuridica (negli<br />

atti, nei contratti, nei verbali), dia risalto in modo anche analitico alle motivazioni<br />

economiche che la sorreggono, in modo tale da precostituirsi quegli elementi di<br />

prova contraria rispetto all’abuso da far valere dinnanzi sia all’AF sia al giudice<br />

tributario.<br />

È indubbio che, in questa prospettiva, emerge un serio problema quando si<br />

tratta di considerare comportamenti del contribuente che non attengono ad una<br />

sfera d’impresa (o relative ad un circuito economico), come le scelte che riguardano<br />

la sfera personale, familiare, in cui assai difficile è fissare una regola di<br />

normalità, evidenziare le “giustificare ragioni economiche”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 161


L’abuso del diritto in materia tributaria<br />

Per questi, come per altri aspetti, risulta necessaria un’opera di “sistemazione”<br />

che non può che essere legislativa, soprattutto perché un principio del divieto<br />

di abuso, senza limiti, neanche di tipo procedimentale, rischia di mettere in<br />

discussione il diritto di difesa del contribuente.<br />

Basti pensare alla affermazione della Corte di Cassazione per cui il divieto<br />

dell’abuso può applicarsi d’ufficio in ogni stato e grado del processo o al problema<br />

della applicabilità delle sanzioni 15 , allo stato esclusa dalla giurisprudenza.<br />

È dunque necessario che il principio del divieto di abuso del diritto sia configurato<br />

con contorni chiari e precisi, nel rapporto Fisco-contribuente, affinchè la finalità<br />

del contrasto all’elusione non si rifletta in una messa in discussione sistematica<br />

delle scelte negoziali dei contribuenti e, quindi, delle esigenze di certezza che gli<br />

operatori economici necessitano, prima ancora del risparmio fiscale.<br />

15<br />

Beghin, Abuso di diritto. La Suprema Corte esclude le sanzioni in caso di elusione fiscale, in Il<br />

Fisco, 2009, 5319.<br />

162<br />

Studi e Materiali – 1/2011


La rappresentanza di società inglesi 1<br />

Eliana Morandi 2<br />

L’argomento in esame è alquanto ostico. Partiamo da una spiacevole considerazione:<br />

non esiste una soluzione univoca, generalizzata, semplice o quantomeno<br />

valevole per tutti i casi in cui si debbano verificare i poteri rappresentativi<br />

di una società inglese. Ancora più complesso è il problema se parliamo di<br />

società di common law non inglesi, e quindi, non riportabili in nessun modo<br />

nell’alveo delle direttive comunitarie in materia societaria.<br />

La difficoltà nasce dal fatto che dobbiamo realmente, mantenendo ben chiaro<br />

quello che è il nostro ruolo ed il nostro obiettivo come notai e pubblici ufficiali,<br />

cambiare radicalmente gli schemi che siamo abituati ad usare in relazione<br />

all’accertamento dei poteri in materia societaria. Tale accertamento coinvolge<br />

delle materie nelle quali, secondo me, a tutt’oggi nei sistemi di common law e di<br />

civil law la differenza è profonda e molto radicata.<br />

Si farà fatica ad avere un avvicinamento in quanto ci sono importanti differenze<br />

per ciò che riguarda le norme sostanziali sulle società, ma ancora di più<br />

in merito alle modalità di accertamento nel processo civile ed in particolare riguardo<br />

ai poteri del giudice e alla disciplina delle prove. Nella specie delle modalità<br />

di accertamento probatorio nell’ordinamento inglese.<br />

Se non teniamo sempre ben presenti queste differenze è facile constatare<br />

come ci esporremmo non solo all’invalidità di eventuali atti ma anche a responsabilità<br />

poiché qualunque sia il giudice che deve valutare il nostro accertamento<br />

opererà in base ad i criteri interpretativi e applicativi della norma societaria così<br />

come prescrive l’art. 25 della legge 218/1995 (d.i.p.).<br />

Il passo da fare è quindi quello di smettere di cercare certezza omogenea e<br />

generalizzata per arrivare invece ad un ragionevole accertamento caso per caso.<br />

Naturalmente il fatto che non possiamo basarci sugli stessi schemi non significa<br />

che per quell’ordinamento non si possa arrivare a dei risultati considerati<br />

accettabili, piuttosto, significa arrivarci per strade diverse.<br />

La necessità di capire come accertare i poteri rappresentativi nelle società<br />

inglesi oggi come oggi è ancora più interessante a causa del noto problema dei<br />

1<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2<br />

Notaio in Manzano (UD).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 163


La rappresentanza di società inglesi<br />

furti d’identità – Id theft –, fenomeno che si sta estendendo in maniera vertiginosa<br />

al furto d’identità societaria.<br />

Ciò riguarda sia l’abuso di poteri rappresentativi da parte di chi non è affatto<br />

rappresentante sia l’utilizzo di nomi societari per compiere operazioni evidentemente<br />

illecite da parte di chi con la società non ha nulla a che fare.<br />

Questa relazione si divide in due parti: una rivolta, in modo rapido e pertanto<br />

necessariamente lacunoso, ad evidenziare quelle caratteristiche, per quello che<br />

qui interessa, che differenziano le società inglesi dalle nostre in modo da capire<br />

cosa dobbiamo chiedere, cosa cercare; una seconda parte invece più pratica<br />

sui documenti da richiedere per poter effettuare degli accertamenti che risultino<br />

ragionevoli e quindi all’altezza degli standard professionali di diligenza richiesti.<br />

In un quadro ideologico vi sono differenze tra i due ordinamenti sia in materia<br />

sostanziale che processuale (e quindi riguardo le modalità di accertamento).<br />

Dal punto di vista sostanziale caratterizzante l’intero sistema di diritto societario<br />

inglese è che nel conflitto tra gli interessi della società da un lato, e gli interessi<br />

dei terzi e degli eventuali soci di minoranza dall’altro, tradizionalmente prevale<br />

l’interesse della società come meccanismo economico che merita maggiore<br />

protezione mentre noi tradizionalmente abbiamo fatto una scelta opposta di protezione<br />

dei creditori e degli eventuali soci di minoranza, anche se con l’ultima riforma<br />

in realtà i diritti della minoranza sono stati trasformati da diritti assoluti di<br />

veto a diritti di risarcimento o di exit e la protezione dei terzi è attenuata dal valore<br />

nuovo che hanno le operazioni pubblicitarie in materia societaria.<br />

Il secondo punto da tenere presente riguarda la rappresentanza poichè nel<br />

mondo inglese è tradizionalmente considerato che la gestione dell’attribuzione<br />

dei poteri sia una materia che deve essere lasciata tendenzialmente all’autonomia<br />

interna della società: è la doctrine of internal affairs; tradizionale, radicata,<br />

consolidata nella testa dei giudici per la quale nessuno meglio dei soci può<br />

decidere come distribuire il potere fra se stessi e gli amministratori. Vedremo<br />

che questo principio è formalmente attenuato nell’ambito inglese – non è così<br />

negli altri Stati di common law – dato l’influsso della prima direttiva comunitaria,<br />

la n. 151-68, ma vedremo anche che l’opera interpretativa dei giudici (che hanno<br />

un potere a noi sconosciuto) delimita questa protezione, data dal recepimento<br />

della I direttiva, in maniera abbastanza significativa.<br />

Dall’altra parte dobbiamo tener presenti le differenze fondamentali nel diritto<br />

processuale perché nella mentalità inglese in materia di accertamento dei diritti<br />

e degli obblighi si deve tener conto dei principi fondamentali, non scritti e retrostanti<br />

a qualsiasi costruzione tanto da non essere esplicitati, quali quelli del due<br />

process ovvero del giusto processo e di conseguenza quello della centralità della<br />

prova orale e quindi della non centralità della prova documentale.<br />

Il principio del due process risale alla Magna Charta del 1215 ed è stato trasfuso<br />

nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Esso viene inteso<br />

dal mondo anglo-americano ed in particolare da quello inglese nel senso<br />

che il giudizio è l’unico luogo in cui – ed il giudice è l’unico soggetto ad avere il<br />

164<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

potere ed il dovere di – accertare diritti, obblighi e poteri rappresentativi. Quindi<br />

qualsiasi cosa avvenga fuori dalla sfera di operatività del giudice per il diritto inglese<br />

è di secondaria valenza anzi addirittura rilevano una violazione del diritto<br />

inviolabile dell’uomo al due process nel fatto che possano esserci degli accertamenti<br />

probatori con valenza processuale ed esecutiva con riferimento, ad e-<br />

sempio, agli atti notarili, come il recepimento del regolamento che riconosce<br />

esecutività agli atti pubblici nella parte in cui sono dotati di efficacia probatoria<br />

privilegiata, che pertanto verrebbe asseritamente disapplicata dai giudici inglesi<br />

per manifesta violazione dell’ordine pubblico.<br />

Tutto questo per dire che l’affidamento che noi siamo abituati a dare al documento<br />

come prova perfetta, privilegiata ed assoluta per loro si capovolge,<br />

poiché la loro prova perfetta è quella orale cioè quella che si forma davanti al<br />

giudice il quale mantiene sempre un’amplissima discrezionalità nel valutare<br />

l’attendibilità di un documento. Basti pensare all’atto pubblico notarile, l’atto autentico<br />

che non viene nemmeno riconosciuto come atto pubblico ai sensi della<br />

evidence inglese.<br />

Tenendo presente questi principi si può partire dall’art. 25 della legge 218 ricordando<br />

che si applica la legge dell’incorporazione (quindi il modello inglese) in<br />

relazione alla capacità giuridica, che si riflette in materia di consideration e della<br />

dottrina degli ultra vires – di cui si tratterà più avanti nel testo –, la formazione dei<br />

poteri, il funzionamento degli organi, la rappresentanza e le conseguenze della<br />

violazione della legge e dell’atto costitutivo. Si tratta quindi, tutta la normativa inglese<br />

compresa la normativa giurisprudenziale che verrà poi in applicazione.<br />

Il punto che interessa dell’art. 25 è determinare quale sia la legge applicabile.<br />

Il Regno Unito è una nazione formata da quattro Stati e tre diverse giurisdizioni<br />

con la conseguenza che avremo società che chiameremo indifferentemente<br />

inglesi che hanno il loro Register office, quindi la loro sede, a Londra, ad E-<br />

dimburgo o nell’Irlanda del Nord e saranno assoggettate alle diverse discipline.<br />

Per cui le società inglesi di England and Wales avranno la stessa normativa, la<br />

Scozia, invece, ha un sistema “civilistico misto”, non codificato e quindi con delle<br />

notevoli differenze soprattutto in materia societaria rispetto alla legge dell’England<br />

and Wales e Nord Irlanda.<br />

Come ho potuto verificare con dei barrister inglesi la prima cosa da fare per<br />

accertare i poteri di un rappresentante di una società inglese è accertare la sua<br />

identità, perché l’Inghilterra come molte giurisdizioni di common law e non solo<br />

(Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda ma anche Norvegia, Danimarca) non<br />

hanno obbligo di documento d’identità e quindi già l’accertamento dell’identità è<br />

un problema che va risolto in un modo diverso dal nostro visto che non hanno<br />

una disciplina dei documenti d’identità come il nostro d.P.R. 445/2000.<br />

Il certificato di nascita potrebbe valere, ma non si sa se la persona che lo offre<br />

è quella indicata, il passaporto non è una forma di riconoscimento dell’identità<br />

ma rappresenta un diritto a viaggiare, la patente non è una forma di identità<br />

ma del diritto a guidare certi veicoli, anche il codice fiscale non dice nulla per cui<br />

Studi e Materiali – 1/2011 165


La rappresentanza di società inglesi<br />

si deve sempre ricorrere alle Autorità. Questo per dire che un solo documento<br />

che a noi sembra di identità – anche se poi dovesse manifestarsi falso – per i<br />

giudici inglesi non è sufficiente a dimostrare l’identità. È chiaro che se J. Smith<br />

è il rappresentante della società Alfa limited ma la persona che si ha davanti<br />

non è J. Smith, gli atti posti in essere non saranno validi. È singolare il tipo di<br />

prova necessaria secondo i barrister inglesi per accertare l’identità: eventuali<br />

mutui, le cartelle esattoriali, i conti del telefono e del gas.<br />

Le differenze finora rilevate sono quelle che attengono alla materia dei poteri<br />

rappresentativi.<br />

La grande distinzione tra le società incorporate e non incorporate, le cosiddette<br />

partnership, è che quest’ultime non sono veri e propri soggetti giuridici e<br />

sono regolate da una normativa diversa. Esse sono, altresì, molto diverse nel<br />

diritto inglese rispetto a quello scozzese e radicalmente diverse per quanto riguarda<br />

i poteri rappresentativi.<br />

Tra le incorporate, quelle che quindi hanno personalità giuridica, tra cui le<br />

statutory, le chartered, le registered e le friendly society, le building society, le<br />

cooperative ecc., sono semplicemente create rispettivamente con atti normativi,<br />

decreti reali ed altre forme di costituzione.<br />

Le registered sono le companies e sono circa 1.200.000. Rappresentano<br />

quasi il 26% delle società inglesi. Le companies sono sostanzialmente disciplinate<br />

dalla medesima normativa di base che è il companies act del 2006, più<br />

una serie di altre normative rilevanti; bisogna però rilevare che tendenzialmente<br />

non c’è quella distinzione che da noi è determinante cioè la SpA, piccola, grande,<br />

Srl, Sapa, ma v’è un modello tendenzialmente uniforme. Questo nasce dalla<br />

volontà di intervenire il meno possibile negli internal affaire della società e quindi<br />

di limitarsi al minimo indispensabile lasciando poi ampia possibilità all’autonomia<br />

privata.<br />

La prima distinzione che possiamo fare è tra lucrative e non lucrative che<br />

non distinguiamo dal titolo o dal nome anche se è molto importante sapere quali<br />

lo sono e quali non perché ad esempio alle non lucrative non si applicano quelle<br />

protezioni derivanti dalla I direttiva in materia di rappresentanza societaria.<br />

Ci sono le unlimited, pur essendo rare, ancora poco decifrabili che sono società<br />

incorporate ma a responsabilità illimitata.<br />

Le società limited sono quelle più comuni e possono essere by share o by<br />

guarantee. La distinzione ci interessa solo in quanto quelle by guarantee di solito<br />

sono charitable e pertanto è probabile che abbiano norme di rappresentanza<br />

diverse da quelle ordinarie, molto meno protettive.<br />

Poi c’è l’importante distinzione tra public e private che ancora una volta si<br />

basa sulla differenza economica che gli inglesi riconoscono all’una o all’altra<br />

forma. Quella pubblica nasce per raccogliere fondi tra il pubblico, quella privata<br />

invece è un affare di famiglia che tendenzialmente vuole dare soggettività e<br />

personalità giuridica alle partnerships o all’impresa individuale. Tuttavia le pubblic<br />

hanno anche delle regolamentazioni completamente diverse secondo che<br />

166<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

offrano o non offrano concretamente sul mercato le loro partecipazioni ovvero<br />

siano listed cioè quotate oppure no.<br />

Penso che la nostra Srl potrebbe inquadrarsi fra le public perché avendo la<br />

possibilità di offrire i titoli di debito è probabilmente più vicina a quel modello.<br />

La normativa del diritto inglese che viene in applicazione quando parliamo di<br />

companies è multiforme e soprattutto multi-fonte. Il companies act del 2006<br />

come dicevo è la base, ma c’è anche l’unlimited liability partnership del 2000<br />

che è una forma mista tra company e partnership, c’è il charities act del 2006<br />

che interviene sulle incorporated che sono charitable, c’è l’insolvency act<br />

dell’86, il financial services and markets act del 2000, importante per le companies<br />

che offrono strumenti al pubblico; assolutamente essenziale è poi il caselaw,<br />

cioè il diritto di origine giurisprudenziale, che è – a differenza che da noi –<br />

vera ed anzi di fatto principale fonte di diritto<br />

La cosa che più interessa per quanto riguarda la verifica concreta dei poteri,<br />

dato che l’act lascia sostanzialmente le porte aperte all’internal affair, cioè all’autonomia<br />

di regolarsi, è quella che nel companies act del 2006 è chiamata<br />

company’s constitution formata da un complesso di documenti. Essa comprende:<br />

– innanzi tutto gli articles of association, che però non sono sempre adottati,<br />

nel senso che in loro assenza si utilizza il modello legislativo; tuttavia molto più<br />

spesso viene adottato un sistema misto “modello-statuizioni autonome”, che<br />

non è immune da difficoltà interpretative;<br />

– le decisioni dei soci, che sono manifestazioni di autonomia cui il diritto inglese<br />

attribuisce amplissimo spazio.<br />

Le decisioni di singole categorie di soci e qualsiasi altro tipo di risoluzione,<br />

decisione o accordo tra i soci che ricada nell’ambito del chapter 3 cioè qualsiasi<br />

altro tipo di accordo tra varie categorie di soci. Il memorandum of association,<br />

invece, che era molto importante fino al 2006, è stato declassato, quindi per<br />

quanto riguarda la società di nuova costituzione non è più ricompreso nella<br />

company’s constitution.<br />

La distribuzione di poteri per il diritto inglese ha una decisa connotazione<br />

privatistica che viene rispettata quanto più possibile, per cui è nei patti della società<br />

che andremo a cercare come sono distribuiti i poteri rappresentativi tra<br />

soci e directors.<br />

Quindi, gli articles in particolare disciplinano la suddivisione dei poteri che è<br />

tendenzialmente libera, e determina la composizione, la struttura e le regole di<br />

funzionamento del board of directors.<br />

Il board of directors è il consiglio di amministrazione ovvero l’organo amministrativo<br />

che nelle private può essere composto da una sola persona mentre nelle<br />

pubbliche deve essere composto minimo da due. Quest’organo appartiene al modello<br />

monistico, introdotto anche nel nostro ordinamento con la riforma del 2004,<br />

nel quale potere gestionale e potere di controllo sono riuniti nell’ambito di uno<br />

stesso organo anche se in realtà i poteri all’interno sono molto ben definiti, almeno<br />

teoricamente, visto che i recenti conflitti d’interesse hanno dimostrato il contrario.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 167


La rappresentanza di società inglesi<br />

Tra i directors si distinguono infatti gli executive che sono i soggetti che possono<br />

realmente agire, dai non executive che non possono assolutamente agire<br />

e sono paragonabili ai nostri sindaci. Il singolo director non può vendere una<br />

casa a meno che non abbia un’autorizzazione esplicita del board; i directors independent<br />

non executive sono i soggetti non strutturati nella società; gli insiders<br />

sono directors per i quali c’è una disciplina speciale, la sezione 41 del companies<br />

act, in cui sono posti dei vincoli alla loro attività con la società, riconducibili<br />

al conflitto di interessi.<br />

In generale, quando avremo davanti un rappresentante di società inglese<br />

esso potrà essere un director, che è l’ipotesi più semplice, ovvero un officer,<br />

termine che ha una valenza generale riferibile sia ai director che non, oppure un<br />

agent, cioè un vero e proprio procuratore esterno.<br />

Bisogna poi precisare che non tutti coloro che sono chiamati director poi effettivamente<br />

lo sono. La legge infatti, non prevede limiti all’utilizzo di questo<br />

termine. Pertanto bisogna considerare titolare del potere d’agire solo colui che<br />

di fatto è nella situazione di potere.<br />

I directors possono essere eletti non solo dai soci ma anche da diverse classi<br />

di soci o addirittura da terzi, quindi sarà necessario verificare negli articles of<br />

association se la nomina è stata eseguita regolarmente. Di fatto, è la posizione<br />

che l’agente – genericamente chiamato – occupa all’interno della società che<br />

determina il tipo di poteri attribuitigli.<br />

Mancano – e questa è una evidente lacuna che non interessa il nostro ordinamento<br />

– le norme sulla rappresentanza commerciale, cioè norme simili agli<br />

artt. 2204 e 2210 sull’institore.<br />

Il potere rappresentativo deriva dal combinato disposto della normativa sulle<br />

agency, quindi sul mandato e della normativa corporate law, quindi della società.<br />

Secondo le norme sul mandato, c’è il potere reale, effettivo, che è l’actual<br />

authority, l’ostensibile authority, in cui il comportamento di buona fede del terzo<br />

è escluso dalla conoscenza che il terzo abbia del difetto di potere ed il constructive<br />

knowledge che è la regola che sostituisce alla conoscenza effettiva la conoscibilità<br />

(quella che deriverebbe dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).<br />

Per quanto riguarda le norme di diritto societario l’ultra vires vale ancora per<br />

tutte le giurisdizioni di common law, in particolare gli Stati Uniti, che non siano<br />

vincolate dalla prima direttiva europea. Questo è un caso di incapacità giuridica,<br />

dato che si ritiene che la società abbia solo ed esclusivamente la capacità indicata<br />

nell’oggetto sociale; quindi, ogni atto compiuto al di fuori dell’oggetto sociale<br />

non è affetto da mancanza di potere bensì è un caso di incapacità giuridica,<br />

un atto impossibile quanto il testamento dell’interdetto.<br />

Nell’ambito delle società inglesi questo istituto è stato superato con la I direttiva,<br />

recepita dapprima nel ’72, poi nell’89 e sempre gradualmente fino al 2006.<br />

Di assoluta importanza è poi il concetto di consideration, che è un requisito<br />

essenziale del contratto. Nel diritto inglese ogni operazione che non abbia una<br />

percepibile controprestazione economica non è valida. È un misto fra causa e<br />

168<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

sinallagma. Per dare un’idea, è senza consideration la rinegoziazione di un mutuo<br />

a condizioni che siano più favorevoli per la società; è senza consideration la<br />

concessione di un’ipoteca a garanzia di un credito che originariamente era chirografario.<br />

Operazioni che noi, pacificamente, consideriamo attuabili ma che<br />

nessun consiglio di amministrazione potrebbe autorizzare se non nella forma di<br />

deed, e forse nemmeno.<br />

Sempre per quanto riguarda il diritto societario le procure che trasferiscono i<br />

poteri rappresentativi hanno per il diritto inglese precisi vincoli di forma. La società<br />

che nomina come proprio agente-procuratore un soggetto estraneo al<br />

board non può farlo in una qualsiasi forma come per le altre procure, ma deve<br />

farlo nella forma del deed, regolato dalle sezioni 44 e 48 del companies act del<br />

2006, che prevedono formalmente che nella procura sia contenuta la formula<br />

“executed as a deed”, e che sia firmata da due direttori o da un direttore ed un<br />

segretario ovvero da un direttore con l’assistenza di un testimone: e ciò a pena<br />

di inammissibilità del potere rappresentativo.<br />

Alla regola generale dell’applicazione delle norme interne della società riguardo<br />

all’attribuzione del potere di rappresentanza v’è una deroga per quanto<br />

riguarda i limiti a protezione dei terzi. I limiti o vincoli di inopponibilità nell’attribuzione<br />

del potere di rappresentanza sono oggi disciplinati, solo per le companies,<br />

dalla sezione 40 del companies act del 2006, e negli altri casi – molti a dire<br />

il vero – dal common law, con, in particolare, l’attuazione della cosiddetta<br />

Turquand rule.<br />

La sezione 40 prevede che nei confronti di una persona che tratta in buona<br />

fede con una società, il potere dei rappresentanti legali di vincolare la società o<br />

di autorizzare altri a farlo si presume senza limiti e derivante dallo statuto sociale.<br />

Questo sembra tranquillizzante, ma in realtà non lo è del tutto, soprattutto<br />

perchè l’interpretazione che ne fa la giurisprudenza è tutt’altro che univoca. Occorre<br />

sottolineare che il paragrafo 5 della stessa sezione prevede che il compimento<br />

dell’atto in carenza di potere in nessun modo incide sulla responsabilità<br />

che grava sui direttori o qualsiasi altra persona in ragione dell’eccesso di potere<br />

da questo derivante (cioè anche se l’atto venisse considerato valido ed opponibile,<br />

rimarrebbe in piedi la responsabilità di tutti coloro che hanno contribuito al<br />

suo compimento: tra cui, in ipotesi, potrebbe pensarsi rientrare un notaio che<br />

non abbia ragionevolmente verificato i poteri).<br />

Gli aspetti sui quali la giurisprudenza inglese si è soffermata, in taluni cambiando<br />

del tutto il significato della norma o perlomeno riducendo in gran parte la<br />

portata protettiva riguardano: il concetto di la buona fede, i casi in cui i directors<br />

contrattano con la società (cioè in conflitto di interessi); le limitazioni dello statuto<br />

sociale; il concetto di “terzi” e gli effetti della mancanza di potere.<br />

In particolare della buona fede si deve ricordare che, secondo la norma formale,<br />

il terzo non deve indagare circa la presenza di limiti, la buona fede si presume<br />

ed il fatto che il terzo sapesse della limitazione non implica necessariamente<br />

che sia in mala fede. Tuttavia, la giurisprudenza inglese interpreta que-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 169


La rappresentanza di società inglesi<br />

sto concetto nel senso che una persona che contratta con una società di cui a-<br />

vrebbe dovuto conoscere i limiti non è necessariamente in buona fede anzi,<br />

spesso non lo è, tanto più se ne aveva conoscenza effettiva, ribaltando, in tal<br />

modo, il tenore della norma.<br />

Del resto nell’ordinamento inglese è veramente ripugnante proteggere la<br />

mala fede.<br />

Sostanzialmente, sintetizzando, questa norma di protezione della validità<br />

dell’atto non sempre opera. Sono pertanto opponibili le limitazioni di potere nella<br />

contrattazione che venga fatta con tutti i soci e non con gli amministratori,<br />

cioè le seguenti ipotesi: i) delibera consiliare senza quorum; ii) contratto concluso<br />

da una persona che non è amministratore; iii) amministratore individuale che<br />

agisce senza il consenso del board – a meno che non sia autorizzato –; iv) persona<br />

che non abbia né potere effettivo né un potere ragionevolmente apparente,<br />

desumibile almeno dal suo corporate title.<br />

Se quindi una persona non appartiene al board, se non è un director o non è<br />

debitamente autorizzata, la norma di protezione della validità dell’atto non si<br />

applica, e non si applica nemmeno, per espressa esclusione, alle charitable<br />

companies.<br />

Quando non si applica la I direttiva si torna all’applicazione del common law,<br />

secondo i cui principi la conoscibilità sostituisce la conoscenza. Quindi il terzo è<br />

in mala fede quando avrebbe dovuto sapere che c’erano dei limiti, ma tuttavia,<br />

non è tenuto a conoscere le procedure interne della società. Nel caso Turquand<br />

c’era appunto un vincolo nei patti per cui gli amministratori avrebbero potuto<br />

contrarre mutui solo nella misura stabilita dalla decisione assembleare; gli amministratori<br />

hanno invece contratto un mutuo senza autorizzazione ed il terzo è<br />

stato protetto dalla Corte la quale ha asserito che non c’era un divieto per gli<br />

amministratori di contrarre un mutuo e quindi per il terzo era ragionevole ritenere<br />

che l’autorizzazione ci fosse e di conseguenza, ha ritenuto la società vincolata.<br />

Ci sono, tuttavia, anche qui delle eccezioni. Questa regola non protegge nel<br />

caso in cui dalla documentazione societaria risulti che un atto non poteva essere<br />

compiuto, non protegge gli insiders, cioè coloro che appartengono alla società<br />

– che quindi non potevano non sapere – e dal fatto che il terzo avrebbe dovuto<br />

sapere della mancanza di poteri da fatti non dipendenti dagli articles.<br />

In sintesi ci sono due norme protettive della validità degli atti compiuti in carenza<br />

di potere, una derivante dalla I direttiva e una di common law che rendono<br />

non opponibili ai terzi i limiti rappresentativi e quindi li proteggono: ma ci sono,<br />

come abbiamo visto, innumerevoli eccezioni.<br />

Tuttavia la cosa fondamentale, per agire correttamente e sfuggire a responsabilità,<br />

è dimostrare che si è fatto tutto ciò che era ragionevolmente possibile<br />

per verificare queste cose.<br />

La ostensibile authority – cioè il potere ragionevolmente apparente che fonda<br />

un ragionevole e quindi protetto affidamento, quello che ci dà l’inopponibilità<br />

dei limiti e salva noi Notai professionalmente – può derivare solo dal comporta-<br />

170<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

mento del mandante che induce il terzo a credere che l’agente abbia il potere di<br />

compiere un certo atto, in quanto l’auto-affermazione dell’agente, cioè l’autocertificazione<br />

dei poteri, che pure è ampiamente usata in tutto il common law, per<br />

gli amministratori non serve. La buona fede del terzo è essenziale anche se con<br />

i limiti riportati nella sezione 40 del CA 2006 o l nella Turquand rule.<br />

Quanto ai corporate titles, quelli di president, vice president, managing director,<br />

o chief executive officer nella locuzione americana, insieme a molti altri (vedere<br />

la lista completa consegnata) possono risultare rilevanti nel momento in<br />

cui il giudice deve valutare se c’è o meno un ragionevole affidamento sul potere<br />

di chi agisce.<br />

Il president sta gerarchicamente al di sotto del chief executive officer, che<br />

normalmente ha i poteri più importanti di tutti; il secretary che non è più obbligatorio<br />

per le private dal 2008 anche se è quello che spesso ci farà avere tutta la<br />

documentazione societaria perché è il director che ha la funzione di certificare il<br />

contenuto degli articles of association o delle risoluzioni e decisioni dei soci di<br />

cui non esistono registri. Il vice president può avere più o meno importanza in<br />

relazione alle gerarchie stabilite.<br />

Quindi nel momento in cui siamo di fronte ad un rappresentante di società<br />

inglese il nostro accertamento deve essere effettuato secondo le regole di<br />

common law e perciò non può basarsi solo sul certificato della companies<br />

house in quanto questo non configura un ragionevole affidamento: la ostensibile<br />

authority non si basa solo su questo.<br />

I documenti da richiedere per dimostrare di aver diligentemente svolto una<br />

ricerca nel senso di un ragionevole accertamento sono innanzitutto la<br />

company’s constitution, quindi gli articles of association che nel caso non dovessero<br />

essere consegnati è possibile che non esistano, ma potrebbe anche<br />

essere che non siano ancora stati registrati – la mancata registrazione è penalmente<br />

sanzionata, ma ciò, secondo alcune Corti, non toglie la vincolatività<br />

dell’atto soprattutto se risulta dal consenso unanime dei soci –.<br />

Gli articles of association si richiedono alla companies house ma si chiedono<br />

soprattutto alla società e si confrontano.<br />

Come dicevo inizialmente non esiste una procedura uniforme, standardizzata<br />

di “ragionevole verifica”, si dovrà valutare la situazione – e quindi la documentazione<br />

da chiedere – di volta in volta.<br />

Si dovrà ragionevolmente avere la prova dell’esistenza della società e quindi<br />

farsi dare il numero della house of companies, gli originali degli articles of association,<br />

del memorandum, e possono risultare utili i financial accounts (per questo<br />

è importante avere un elenco dei libri economici obbligatori), libri obbligatori<br />

aggiornati. Bisognerà poi effettuare il controllo con la companies house e chiedere<br />

una copia certificata della delibera del board che autorizza il singolo, poiché<br />

il singolo che opera al di fuori del potere del board esce fuori dalla regola<br />

della sezione 40 e quindi non vincola la società.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 171


La rappresentanza di società inglesi<br />

Per le decisioni della società o di classi di soci e gli accordi tra soci non esiste<br />

un registro per cui il consiglio è quello di richiedere una dichiarazione in atto<br />

in cui il rappresentante afferma che non esiste nulla negli atti societari da cui risultino<br />

limiti rispetto al contenuto degli articles, in quanto si versa nella condizione<br />

di put on inquiry senso che si ha l’obbligo di domandare non avendo altro<br />

mezzo a disposizione. È quindi un’attività da sola sufficiente ma assolutamente<br />

necessaria per evitare un comportamento negligente.<br />

Vi è una durata per l’obbligatorietà dei registri, non solo quelli sociali ma anche<br />

per le minutes cioè i verbali, e per i registri finanziari in quanto costituiscono<br />

elemento di prova. Questi possono essere richiesti in estratto.<br />

Ribadisco che l’estratto della companies house non è assolutamente sufficiente.<br />

In casi molto complessi si può poi ricorrere alla legal opinion, cioè, sostanzialmente,<br />

ad una certificazione operata da un legale inglese che sotto la sua<br />

personale e totale responsabilità afferma che quell’agente ha i poteri per effettuare<br />

quella operazione. Chiaramente la necessità o anche solo opportunità di<br />

una tale richiesta andrà commisurata alle circostanze concrete del caso.<br />

In conclusione non c’è un solo documento che basti, non c’è una soluzione<br />

standard, la ragionevole combinazione dei documenti che devono essere richiesti<br />

dipenderà dalla natura più o meno complessa dell’operazione in esame.<br />

E questo per avere un accertamento dei poteri effettuato con la massima diligenza,<br />

anche se ottenere la certezza pari a quella del nostro ordinamento è<br />

molto difficile.<br />

172<br />

Studi e Materiali – 1/2011


La legge applicabile ai patti successori 1<br />

Emanuele Calò 2<br />

La riforma del diritto internazionale privato italiano (l. 31 maggio 1995, n.<br />

218) non ha contemplato i patti successori, e tale lacuna è stata oggetto di critiche,<br />

a fronte dell’esistenza di previsioni legislative in importanti Stati europei 3 .<br />

La dottrina prevalente considera che i patti successori, in sede di qualificazione,<br />

debbano essere ascritti alle successioni anziché ai contratti 4 , soluzione<br />

che sembra da accettare, se non altro per le conseguenze distorsive cui porterebbe<br />

la tesi opposta. Inoltre, la dottrina 5 e la giurisprudenza 6 sono per la loro<br />

compatibilità con l’ordine pubblico internazionale 7 .<br />

Una visione dell’ordine pubblico internazionale improntata alla prospettiva sopra<br />

tratteggiata, che consideri cioè l’ordine pubblico interno, sarebbe assai illumi-<br />

1<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2<br />

Dirigente Ufficio studi, Consiglio Nazionale del Notariato.<br />

3<br />

Picone, La legge applicabile alle successioni, in La riforma del diritto internazionale privato e i<br />

suoi riflessi sull’attività notarile, a cura del Comitato Notarile Regionale della Campania, Quaderni<br />

della Rivista del Notariato, n. 9, Milano, 1991, 99; M.B. Deli, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale<br />

privato, a cura di S. Bariatti, Nuove Leggi Civili Commentate, 1996, II, sub art. 46,<br />

1294; De Cesari, Autonomia della volontà e legge regolatrice delle successioni, Padova, 2001, 111;<br />

E. Calò, Le successioni nel diritto internazionale privato, Milano, 2007.<br />

4<br />

In tal senso, E. Vitta, Diritto Internazionale Privato, III, Torino, 1975, 145; v. altresì M. Di Fabio,<br />

Le successioni nel diritto internazionale privato, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, II,<br />

Padova, 1994, 17. Più concretamente, sarebbe loro applicabile “la lex successionis, individuata al<br />

momento del decesso, anche se tale soluzione non appare adeguata, considerato che la determinazione<br />

di tale legge rimane incerta fino alla morte” [De Cesari, Autonomia della volontà e legge regolatrice<br />

delle successioni, cit., 111].<br />

5<br />

«[…] il discreto numero di leggi straniere che ammettono simili forme di regolamentazione successoria<br />

su base contrattuale inducono a escludere che esse siano sempre e comunque contrarie<br />

all’ordine pubblico» [R. Clerici, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, Commentario,<br />

Riv. dir. int. priv. e proc., 1995, 1140].<br />

6<br />

«[…] la validità dei patti successori ammessi dalla legge che regola la successione […] è ora<br />

pacificamente ammessa dalla giurisprudenza italiana [...] e dalla dottrina più recente” [A. Migliazza,<br />

Successione – VII – Diritto Internazionale Privato e processuale, Enc. Giuridica, XXX, Roma, 1993,<br />

6]; al riguardo, il Tribunale Bolzano ha stabilito che «Il patto successorio, nullo secondo il nostro ordinamento,<br />

e valido secondo l’ordinamento germanico, non è contrario all’ordine pubblico e al buon<br />

costume nel nostro Stato» [Foro it., Rep., 1969, Successione, n. 34].<br />

7<br />

Cfr. E. Calò, Patto successorio tra conviventi olandesi, Riv. not., 2000, 1325.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 173


La legge applicabile ai patti successori<br />

nante, anche perché, come si è perspicuamente notato 8 il divieto di patti successori<br />

viene applicato dalla giurisprudenza con un’elasticità maggiore di quanto il<br />

testo di legge lascerebbe ipotizzare. Ciò non può che militare in favore della compatibilità<br />

di questi istituti con il c.d. ordine pubblico internazionale, con la conseguente<br />

possibilità di porre in essere in Italia tali pattuizioni. D’altronde, lo stesso<br />

riconoscimento del trust mediante l’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aia<br />

del 1° luglio 1985 contiene un’indicazione pressoché irreversibile in quel senso.<br />

Sennonché, con l’introduzione nel nostro ordinamento della disciplina sul<br />

patto di famiglia 9 , il dibattito è diventato irrilevante, in quanto il nostro ordinamento<br />

interno ormai prevede tali patti, sia pure entro limiti ben definiti.<br />

Dato che i patti successori non contrastano con l’ordine pubblico internazionale<br />

10 , occorre accertare quale sia la legge loro applicabile.<br />

Nella risalentissima dottrina italiana, si faceva la distinzione fra patti che<br />

coinvolgono un soggetto o più soggetti, ma tale utile distinzione veniva vanificata<br />

in quanto si considerava che, avendo il legislatore italiano considerati immorali<br />

i patti successori, i cittadini italiani non potessero beneficiare dei patti successori<br />

11 . Trattandosi di considerazioni certamente superate, dobbiamo cercare<br />

nel diritto e positivo e nel contesto ordinamentale i riferimenti che possano<br />

scongiurare la mancata risoluzione del problema.<br />

I parametri di riferimento possono essere dati dalla Convenzione dell’Aia del<br />

1° Agosto 1989 sulle successioni a causa di morte 12 , laddove distingue fra patti<br />

8<br />

Picone, La legge applicabile alle successioni, cit., 99; indi E. Calò, Dal Probate al Family Trust,<br />

Milano, 1996, 101 ss.<br />

9<br />

D. Damascelli, Il «patto di famiglia» nel diritto internazionale privato, Riv. dir. int. priv. e proc,<br />

2007, 619; E. Calò, Patto di famiglia e norma di conflitto, Famiglia, persone e successioni, 2006, 62;<br />

D. Ockl, Patto di famiglia e diritto internazionale privato, in Patti di famiglia per l’impresa, a cura della<br />

Fondazione italiana per il Notariato, Milano, 2006, 374.<br />

10<br />

Anche in Francia, si prende atto che non si giustifica il carattere d’ordine pubblico internazionale<br />

attribuito al divieto di patti successori (M. Revillard, Droit International privé et communautaire:<br />

pratique notariale, Paris, 2006, 362).<br />

11<br />

Fiore, Diritto Internazionale Privato, vol. III, Torino, 1901, 565 ss.<br />

12<br />

La Convenzione dell’Aia del 1° Agosto 1989 sulle successioni a causa di morte così dispone:<br />

«Capitolo III – Successioni contrattuali<br />

Articolo 8<br />

Ai fini del presente capitolo, un patto successorio è un accordo, fatto per iscritto o risultante da<br />

testamenti reciproci, che conferisce modifica o ritira, con o senza controprestazione, dei diritti nella<br />

successione futura d'una o più persone parti all’accordo.<br />

Articolo 9<br />

1. Quando il patto concerne la successione d'una sola persona,la sua validità sostanziale, i suoi<br />

effetti e le circostanze che comportano l’estinzione dei suoi effetti sono regolati dalla legge che, ai<br />

sensi degli articoli 3 o 5, comma 1, sarebbe stata applicata alla successione di questa persona in<br />

caso di decesso alla data di conclusione dell’accordo.<br />

2. Se, secondo tale legge, il patto non fosse valido, la sua validità sarà tuttavia ammessa se sia<br />

valido per la legge che, al tempo della morte, è applicabile alla successione ai sensi degli articoli 3 o<br />

5, comma 1. Questa stessa legge disciplina in tal caso gli effetti del patto e le circostanze che comportano<br />

l’estinzione di tali effetti.<br />

Articolo 10<br />

(segue)<br />

174<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

successori che coinvolgano la successione di una oppure di più persone. Nel<br />

primo caso, si applicherebbe la legge del solo de cuius, mentre nel secondo<br />

troverebbero applicazione le leggi dei diversi soggetti coinvolti. Se invece facessimo<br />

riferimento al progetto di regolamento comunitario, la soluzione cambierebbe<br />

13 , ma bisogna considerare che un conto è basarsi su una disciplina<br />

poco diffusa ma comunque adottata da un organismo internazionale, un altro<br />

sarebbe basarsi su progetti. In ogni caso, poiché queste discipline fanno salva<br />

la successione necessaria, sembra indispensabile, in assenza di norme e-<br />

spresse di diritto positivo e dovendo ricercare criteri non privi d’equilibrio, restringerne<br />

la portata onde far salva la coerenza del sistema. In diritto comparato,<br />

troviamo una conferma nella disciplina svizzera 14 .<br />

Facciamo due esempi:<br />

1) Mevio tedesco e Mevia italiana stipulano un contratto successorio ai sensi<br />

del § 2274 e ss. BGB riguardante la successione di ambedue. In quel caso, a<br />

Mevia si applica la legge italiana ed essendo coinvolta nel patto, esso è nullo<br />

1. Qualora il patto riguardi la successione di più d’una persona, tale accordo è valido nella sostanza<br />

se tale validità sia ammessa da ciascuna delle leggi che, ai sensi degli articoli 3 o 5, comma<br />

1, sarebbero state applicate alla successione di ciascuna di quelle persone in caso di decesso nel<br />

giorno in cui il patto è stato stipulato.<br />

2. Gli effetti del patto e le circostanze dell’estinzione dei suoi effetti sono quelli riconosciuti<br />

dall’insieme di quelle leggi».<br />

13<br />

Progetto di regolamento comunitario:<br />

«1. Un patto che concerne la successione d'una persona è regolato dalla legge che, ai sensi del<br />

presente regolamento, sarebbe stata applicabile alla successione di tale persona nel caso di decesso<br />

al giorno in cui l’accordo è stato stipulato. Se, secondo tale legge, il patto non fosse valido, la sua validità<br />

sarà nondimeno ammessa se lo fosse ai sensi della legge che, al momento del decesso è applicabile<br />

alla successione ai sensi del presente regolamento. Il patto è in tal caso regolato da tale legge.<br />

2. Un patto che concerne la successione di più persone è valido nei riguardi della sua sostanza<br />

se tale validità è ammessa dalla legge che, ai sensi dell’articolo 15, sarebbe stata applicabile alla<br />

successione d’una delle persone della cui successione si tratta in caso di decesso al giorno di conclusione<br />

dell’accordo. Quando il contratto è valido in applicazione della legge applicabile alla successione<br />

d'una sola di queste persone, si applica tale legge. Quando il contratto è valido in applicazione<br />

della legge applicabile alla successione di più di tali persone, il patto è regolato dalla legge<br />

con la quale presenta il collegamento più stretto.<br />

3. Le parti possono designare come legge regolatrice dell’accordo la legge che la persona o<br />

una delle persone della cui successione si tratta avrebbe potuto scegliere ai sensi dell’articolo 17.<br />

4. L’applicazione della legge prevista al presente articolo non intacca i diritti di ogni persona non<br />

parte del patto e che, ai sensi della legge designata agli articoli 16 o 17 ha un diritto di riserva o un<br />

altro diritto di cui non può essere privata dalla persona della cui successione si tratta».<br />

14<br />

Legge federale svizzera sul diritto internazionale privato (LDIP) del 18 dicembre 1987:<br />

«Art. 95<br />

6. Contratti successori e disposizioni reciproche a causa di morte<br />

1<br />

Il contratto successorio è regolato dal diritto del domicilio del disponente al momento della stipulazione.<br />

2<br />

Se il disponente sottopone contrattualmente l’intera successione al suo diritto nazionale,<br />

quest’ultimo surroga quello domiciliare.<br />

3<br />

Le disposizioni reciproche a causa di morte devono corrispondere al diritto del domicilio di ciascun<br />

disponente ovvero al diritto nazionale comune da loro scelto.<br />

4<br />

Sono fatte salve le disposizioni della presente legge sulla forma e sulla capacità di disporre<br />

(art. 93 e 94)».<br />

Studi e Materiali – 1/2011 175


La legge applicabile ai patti successori<br />

2) Mevio tedesco e Mevia italiana stipulano un contratto successorio ai sensi<br />

del § 2274 e ss. BGB riguardante la successione del solo Mevio. In questo caso,<br />

la successione non riguarda Mevia, e quindi il patto è valido.<br />

Ne consegue che, per disciplinare queste fattispecie, così frequenti nella<br />

pratica, che vede l’esistenza di cospicui beni in Italia regolati da tali contratti<br />

successori, non sembrerebbero esservi altri validi criteri che quello di sceverare<br />

i contratti in parola a seconda che coinvolgano la successione di una sola oppure<br />

di più persone, onde far salvi i casi in cui cittadini italiani ne siano parti, senza<br />

però andare oltre al semplice ruolo di beneficiari che nulla hanno pattuito nei riguardi<br />

della propria successione.<br />

Naturalmente, occorrerà tener conto di altri tre aspetti:<br />

– qualificazione: essa andrà fatta secondo la lex fori, per cui delle fattispecie<br />

che, ad esempio, in Francia sono qualificate in seno ai rapporti patrimoniali della<br />

famiglia. Ad es., la communauté universelle avec clause d’attribution intégrale<br />

de la dite communauté au conjoint survivant non costituisce in diritto francese<br />

patto su successione futura bensì un “vantaggio matrimoniale” consentito<br />

dall’art. 1527 c.c. francese 15 , per cui, qualificando la fattispecie secondo la lex<br />

fori, diventa un patto successorio vietato;<br />

– del rinvio ex art. 13 dip, ragion per cui, in assenza di professio iuris, applicando<br />

ad esempio la norma di conflitto francese, ai beni immobili situati nella<br />

nostra giurisdizione si applicheranno le regole successorie italiane;<br />

– bipolidia: in presenza di due cittadinanze comunitarie, occorrerà considerare<br />

che l’art. 19 dip dovrà cedere nei riguardi del divieto comunitario di discriminazioni<br />

sulla base della nazionalità, riscontrabile nelle sentenze Garcia Avello,<br />

Grunkin Paul e Hadady 16 .<br />

Queste soluzioni, in ogni caso, vanno a regolare il periodo intermedio, che è<br />

quello che viviamo, nel passaggio fra una disciplina italiana della norma di conflitto<br />

ad una disciplina europea, ormai imminente, che verrà annunciata a breve<br />

(forse nelle more della pubblicazione di questi appunti) e per la quale sarebbe<br />

opportuno prepararsi, attesa la rivoluzione che comporterà, finanche nella successione<br />

necessaria, come a breve avremo modo di comprovare. Queste soluzioni,<br />

in ogni caso, vanno a regolare il periodo intermedio, che è quello che viviamo,<br />

nel passaggio fra una disciplina italiana della norma di conflitto ad una<br />

disciplina europea, ormai imminente, il cui progetto è stato presentato il 14 ottobre<br />

2009 e per la quale sarebbe opportuno prepararsi, attesa la rivoluzione che<br />

comporterà, finanche nella successione necessaria, come a breve avremo modo<br />

di comprovare.<br />

15<br />

Calò, Le successioni nel diritto internazionale privato, cit., 4.<br />

16<br />

La sentenza García Avello avrebbe aperto la strada ad “un’altra e ben più massiccia intrusione<br />

del diritto comunitario nell’ambito del diritto di famiglia” [S.M. Carbone-I. Queirolo, Unione Europea<br />

e diritto di famiglia: la progressiva “invasione” degli spazi riservati alla sovranità statale, in Diritto<br />

di famiglia e Unione Europea, a cura di S.M. Carbone-I. Queirolo, Torino, 2008, 6 ss.].<br />

176<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Caso tributario 1<br />

Giovanni Liotta 2<br />

Le novità collegate all’abuso del diritto inducono ad affrontare alcuni casi<br />

pratici in materia successoria e familiare. Alcuni di essi sono stati oggetto di risoluzioni<br />

dell’Agenzia delle entrate, altri di pronunce delle Commissioni tributarie;<br />

il fine è verificare se da qui possa aprirsi un filone pericoloso per le attività<br />

quotidiane e se, e fino a che punto, ci sia il rischio di una responsabilità per il<br />

notaio alla luce di precedenti pronunce della Cassazione per casi simili e inerenti<br />

ai rapporti tra la prestazione notarile e gli effetti fiscali dell’atto. Pronunce,<br />

a dire il vero, un po’ risalenti, ma che potrebbero illuminare la condotta e consigliare<br />

prudenza. Nell’ambito di una sensibilizzazione nei confronti del diritto comunitario,<br />

cui la giornata odierna, l’abuso del diritto è tema emblematico dell’influenza<br />

che il detto diritto comunitario esercita.<br />

Il primo è quello di una risoluzione di agosto dell’Agenzia delle entrate in materia<br />

successoria. Il caso è quello di una signora defunta con due figlie che a loro<br />

volta non avevano figli. A quindici giorni dalla morte della madre, muore anche<br />

una delle due eredi. Quindi, in ultima istanza, il patrimonio della mamma<br />

defunta sarebbe andato alla sorella superstite. Si è posto il problema, oggetto di<br />

un interpello rivolto all’Agenzia delle entrate, se e fino a che punto fosse indifferente<br />

per il fisco, essendoci un’ipotesi di trasmissione della delazione, rinunciare,<br />

da parte dell’erede superstite, alla parte di eredità della sorella premorta per<br />

diventare unica erede a mezzo della sola accettazione dell’intero patrimonio, in<br />

virtù del sistema dei rapporti fra trasmissione della delazione, rappresentazione<br />

e accrescimento.<br />

Se la sorella fosse stata costretta ad accettare anche l’eredità della sorella<br />

premorta ci sarebbe stato un doppio passaggio successorio e, quindi, un carico<br />

d’imposta maggiore rispetto alla rinuncia e successiva accettazione di tutto il<br />

patrimonio. La questione posta era se ciò fosse indifferente per il fisco.<br />

L’Agenzia delle entrate con risoluzione di agosto ha negato tale possibilità,<br />

in quanto ciò configurerebbe un caso di abuso del diritto. La motivazione, assolutamente<br />

stringata, ha tuttavia un primo riflesso: una ricostruzione nata in am-<br />

1<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2<br />

Notaio in Torino.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 177


Caso tributario<br />

bito comunitario ben delimitato, – l’imposta comunitarizzata qual è l’Iva –, viene<br />

de plano esportata dall’Agenzia delle entrate in un settore che in realtà c’entra<br />

ben poco. Ci si riferisce, come è naturale, al diritto delle successioni, settore in<br />

cui le valutazioni fatte al fine della scelta tra rinunciare o accettare quasi mai<br />

sono dettate da ragioni di tipo economico come di contro accade nell’ambito dei<br />

presupposti che sono alla base e giustificano un’operazione imprenditoriale.<br />

Rinunciare o accettare un’eredità, conseguire o non conseguire un legato,<br />

come conseguire il detto lascito hanno sì riflessi economici connessi all’imposta,<br />

ma hanno anche importanti riflessi di tipo strettamente personale. Ad e-<br />

sempio, banalmente, l’erede superstite potrebbe non voler essere erede della<br />

sorella premorta a causa di furiose liti avute con lei negli anni e la scelta sarebbe<br />

stata quindi, sì connessa all’imposta sulle successioni, ma anche alla volontà<br />

di non essere considerata mai e poi mai erede della sorella.<br />

Questo deve farci riflettere su come il diritto tributario si affermi e come questa<br />

sua affermazione a livello interno possa essere distorta, talvolta dalla giurisprudenza<br />

ma anche dalla stessa Agenzia delle entrate. Ciò per meglio consigliare<br />

il cliente, anche alla luce delle posizioni più o meno corrette del fisco o<br />

della giurisprudenza.<br />

Il secondo caso è quello di due coniugi che avevano acquistato due case non<br />

come prima casa e che trasferivano ai figli il 10% ciascuno di questi alloggi, di cui<br />

erano unici proprietari, al fine di acquistare un nuovo immobile come prima casa.<br />

Questa volta la Commissione tributaria provinciale di Milano ha affermato<br />

che apparentemente non c’è nessuna norma violata, però è stato forzato il diritto<br />

per violarne le regole e, quindi, si è configurato un abuso.<br />

È evidente che da questi due casi il rischio che si apra una voragine rispetto<br />

alla quotidiana attività di ciascuno mi sembra sia non trascurabile. Possiamo, infatti,<br />

immaginare altre ipotesi banali ma più ricorrenti nella prassi. Si pensi all’ipotesi<br />

dei coniugi che, in comunione legale dei beni, hanno comprato un appartamento<br />

come prima casa e vogliono valutare, comprandone un secondo nella<br />

stessa città, se eventualmente intestarlo ad un figlio ma conseguendone almeno<br />

l’usufrutto. Si rivolgono al notaio e chiedono se sia meglio, cioè più economico,<br />

acquistarlo come seconda casa o se, piuttosto, si può risparmiare sussistendo<br />

la possibilità di acquistarlo come prima casa. Normalmente, il consiglio<br />

che viene dato – con tutti i dubbi connessi alla stipulazione, alle menzioni relative<br />

alla normativa Bersani e al fenomeno ulteriore di un’eventuale donazione – è<br />

quello di effettuare una separazione dei beni, trasferire la propria parte da un<br />

coniuge all’altro coniuge e procedere all’acquisto del nuovo immobile come prima<br />

casa da parte del primo. In tal modo, in genere, si risparmia perché comprando<br />

la prima casa si usufruisce del credito d’imposta. Per non parlare dei<br />

casi in cui l’operazione è connessa al mutuo e si riesca ad ottenerlo con<br />

un’aliquota allo 0,25% anziché del 2% come mutuo diverso dalla prima casa.<br />

Seguendo la pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Milano<br />

dovremmo dire che, se quel caso è di abuso del diritto, a maggior ragione lo sa-<br />

178<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

rà quello appena esposto, non fosse altro per il fatto che si avrà un risparmio<br />

sull’imposta di registro, sull’imposta sostitutiva applicata con aliquota dello<br />

0,25% e addirittura si conseguirà un credito d’imposta.<br />

Il risultato non muta se si trasferisce la propria quota attraverso una donazione<br />

anziché con vendita, perché si consegue un vantaggio fiscale non acquistando<br />

come seconda casa. Se il ragionamento è: non c’è nessuna norma che<br />

lo vieta ma si abusa del diritto forzandone le regole, potrebbe esserci margine.<br />

Altra ipotesi, dove entra in gioco la normativa Iva, è quella delle operazioni<br />

con i costruttori. Non è infrequente, infatti, il caso del papà che ha il terreno e lo<br />

cede in cambio del fabbricato o di alcuni fabbricati da costruire e che non vuole<br />

tenere per sé ma per i suoi figli i beni futuri. Le soluzioni che la prassi conosce<br />

sono varie, ciascuna connessa ad alcuni profili di diritto civile; ad esempio la<br />

permuta di cosa presente con cosa futura a favore di terzi, fattispecie che – se<br />

si ammette la non applicabilità del divieto di donazione di cosa futura al fenomeno<br />

della donazione indiretta sottostante questa ipotesi – nella prospettiva<br />

delle soluzioni adottate dal fisco nelle questioni suesposte potrebbe essere<br />

considerata un mezzo per evitare, o meglio risparmiare sul pagamento dell’imposta<br />

e, quindi, essere negata.<br />

Il problema è se e fino a che punto si possa giungere a queste aberrazioni<br />

proprio perché la permuta di cosa futura a favore del terzo, come descritto nel<br />

caso precedente, è un atto soggetto ad Iva in quanto fabbricato da costruire.<br />

Il discorso non cambia nel momento in cui si utilizzi lo schema della vendita<br />

con riserva d’area e più esattamente con riserva di diritto di superficie ed appalto<br />

– anche questo nella prassi spesso utilizzato –, per cui si avrà una compensazione<br />

del prezzo con l’appalto.<br />

A me è capitato un caso in cui si è scelta questa soluzione perché non tutti gli<br />

appartamenti dovevano essere dati ai figli e, quindi, il genitore che si era riservato<br />

il diritto di superficie, essendo detentore di un credito nei confronti dell’impresa,<br />

ha poi immediatamente donato ai figli il diritto di superficie (bene presente) ed il<br />

credito nei confronti dell’impresa compensato con il prezzo dell’appalto.<br />

Ancora una volta l’operazione consente di risparmiare rispetto ai doppi trasferimenti<br />

necessari. Il dubbio, pertanto, rimane. Queste operazioni possono<br />

essere tacciate di abuso del diritto? Il notaio ha delle responsabilità?<br />

Il mio timore è che si stia aprendo una maglia sulla quale occorre intervenire<br />

subito per evitare che, paradossalmente, tutte le operazioni nelle quali c’è sì un<br />

risparmio d’imposta, ma ci sono anche valutazioni non prettamente economiche<br />

(io genitore voglio donare subito i beni a mio figlio, perchè lo voglio beneficiare<br />

di una “successione anticipata”) potrebbero essere bloccate o diventare più o-<br />

nerose per un principio di “diritto all’abuso” da parte della pubblica amministrazione,<br />

piuttosto che di abuso del diritto.<br />

Sulla base della giurisprudenza comunitaria e della Cassazione credo sia necessario<br />

un intervento fermo per distinguere nettamente quei casi nei quali le valutazioni<br />

sono di tipo prettamente economico (e, quindi, potrebbero giustificare l ap-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 179


Caso tributario<br />

plicazione del principio della capacità contributiva che è alla base della tematica<br />

dell’abuso del diritto) da fattispecie nelle quali il risparmio d’imposta è solo una delle<br />

componenti, perché l’obbiettivo reale dell’operazione è una intestazione di beni ai<br />

figli, che tendenzialmente attiene a profili diversi da quello meramente economico.<br />

In questo quadro, è utile delineare i poteri ed i doveri del notaio.<br />

Per fare ciò è necessario esaminare i due aspetti del problema. La Cassazione<br />

ha affermato più volte (anni fa) che il notaio è responsabile se non fa conseguire<br />

al cliente il trattamento tributario più favorevole. Alcuni colleghi sono stati<br />

condannati per non aver segnalato un’agevolazione tributaria al cliente. Tralasciando<br />

l’eventualità che nel caso di specie ci fosse o meno una diligenza professionale<br />

e, quindi, se il collega fosse o meno da condannare, è un dato quello per<br />

cui noi Notai dobbiamo preoccuparci di far conseguire al cliente il miglior trattamento<br />

anche dal punto di vista fiscale. Nel contempo, in un’altra pronuncia della<br />

Cassazione, la n. 6680\1996, conosciuta per altri aspetti (essa si occupò infatti<br />

del Consiglio Nazionale del Notariato come soggetto che poteva fissare i principi<br />

di deontologia professionale), veniva evidenziato come un notaio era stato troppo<br />

furbo, cioè aveva fatto conseguire un trattamento più favorevole attraverso un<br />

escamotage fiscale e, come tale, andava condannato. In particolare, la massima<br />

recitava che «[…] è lesiva del decoro e del prestigio della classe notarile e della<br />

reputazione del notaio il fatto di essersi prestato attivamente nella realizzazione di<br />

uno scopo fiscalmente elusivo dell’imposta dovuta dalle parti».<br />

Pertanto, potrebbe verificarsi il paradosso che, se si opta per la permuta di cosa<br />

presente con cosa futura a favore del terzo, il fisco potrà opporre l’abuso del<br />

diritto e, quindi, potrà richiedere al cliente la differenza; a sua volta, il cliente potrebbe<br />

fare causa al notaio (anche sapendo dell’assicurazione), se dall’altro lato,<br />

rispettando il principio del divieto di abuso del diritto, non viene suggerita questa<br />

operazione, bensì si prospetta (per non essere il notaio attivamente parte) la vendita<br />

al costruttore e la donazione dal padre al figlio, per cui il cliente potrebbe opporre<br />

il deteriore trattamento fiscale e, quindi, fare ugualmente causa al notaio.<br />

È evidente che un sano equilibrio in questi casi è fondamentale.<br />

A mio avviso, non può essere considerato un mero accidente la consulenza<br />

attiva e fattiva ai fini dell’informazione del cliente. Queste sentenze come i recenti<br />

provvedimenti dell’amministrazione finanziaria sono l’occasione per riprendere<br />

quel ruolo indispensabile del notaio e, quindi, esporre al cliente le diverse<br />

ipotesi, i rischi dell’operazione, se necessario, lasciare traccia documentale<br />

di questa attività informativa.<br />

Per quanto mi riguarda, nella mia attività, preferisco che siano i miei clienti di<br />

loro pugno a scrivere riguardo alle decisioni adottate, soprattutto in casi dubbi. Il<br />

ruolo di consulenza attiva, tuttavia, è fondamentale per esercitare bene la professione<br />

e per evitare di trovarci coinvolti per qualsiasi motivo in cause giudiziarie<br />

davvero poco giustificate.<br />

180<br />

Studi e Materiali – 1/2011


La certificazione energetica degli edifici – Profili<br />

operativi (disciplina in vigore dal 25 luglio 2009) 1<br />

Giovanni Rizzi 2<br />

Sommario: 1. Il principio del divieto di abuso del diritto come principio comunitario e costituzionale.<br />

– 2. Gli edifici da dotare di certificazione energetica a prescindere da<br />

un loro trasferimento a titolo oneroso (cd. “presupposto oggettivo”). – 3. Gli edifici<br />

da dotare di certificazione energetica in occasione del trasferimento (cd. “presupposto<br />

traslativo”). – 4. Esclusioni dall’obbligo di dotazione. – 5. Il trasferimento di<br />

edifici e la certificazione energetica. L’obbligo di consegna. – 6. Inderogabilità e/o<br />

derogabilità della disciplina in tema di certificazione energetica. – 7. Contenuto e<br />

caratteristiche dell’attestato di certificazione energetica – Tecnico abilitato al rilascio.<br />

– 8. Contenuto e caratteristiche dell’attestato di qualificazione energetica. –<br />

9. Disciplina transitoria sino al 26 giugno 2010. – 10. La legislazione regionale. –<br />

11. Ruolo del notaio.<br />

1. IL PRINCIPIO DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COME PRINCIPIO<br />

COMUNITARIO E COSTITUZIONALE<br />

Normativa<br />

L’8 ottobre 2005 è entrato in vigore il D.Lgs. 19 agosto 2005 n. 192 3 con il<br />

quale è stata data attuazione alla direttiva comunitaria 2002/91/CE relativa al<br />

rendimento energetico nell’edilizia, il tutto al fine di allineare la legislazione italiana<br />

alla normativa europea in materia di efficienza energetica e di contenimento<br />

dei consumi.<br />

La disciplina dettata dal D.Lgs. 192/2005 è stata successivamente modificata<br />

dal D.Lgs. 29 dicembre 2006 n. 311 (disposizioni correttive ed integrative al<br />

1<br />

Atti del Seminario di Studio Formanote “L’attività negoziale dello straniero comunitario: casi e<br />

materiali” tenutosi a Verona il 26 settembre 2009.<br />

Trascrizione a cura della Fondazione Italiana per il Notariato autorizzata dall’Autore.<br />

2<br />

Notaio in Vicenza.<br />

3<br />

Il provvedimento è stato pubblicato nella G.U. n. 222 del 23 settembre 2005 supplemento ordinario<br />

n. 158 ed è entrato in vigore l’8 ottobre 2005<br />

Studi e Materiali – 1/2011 181


La certificazione energetica degli edifici<br />

D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192 recante attuazione della direttiva 2002/91/CE, relativa<br />

al rendimento energetico nell’edilizia) 4 .<br />

Ulteriori modifiche ed integrazioni alla disciplina dettata dal D.Lgs. 192/2005<br />

(come modificato dal D.Lgs. 311/2006) sono state dettate:<br />

– dal D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 5 (da segnalare in particolare la disposizione<br />

dell’art. 11, per la semplificazione e razionalizzazione delle procedure<br />

amministrative e regolamentari al fine di incentivare interventi di riqualificazione<br />

energetica e di ricorso ad energie alternative 6<br />

nonché la disposizione dell’art.<br />

4<br />

Il provvedimento è stato pubblicato nella G.U. n. 26 del 1° febbraio 2007 supplemento ordinario<br />

n. 26/L ed è entrato in vigore il 2 febbraio 2007.<br />

5<br />

Il provvedimento è stato pubblicato nella G.U. n. 154 del 3 luglio 2008 ed è entrato in vigore il<br />

4 luglio 2008.<br />

6<br />

Così dispone l’art. 11 del D.Lgs. 30 maggio 2008 n. 115:<br />

“Semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative e regolamentari<br />

1. Nel caso di edifici di nuova costruzione, lo spessore delle murature esterne, delle tamponature<br />

o dei muri portanti, superiori ai 30 centimetri, il maggior spessore dei solai e tutti i maggiori volumi<br />

e superfici necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dell’indice di prestazione<br />

energetica previsto dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le<br />

modalità di cui al medesimo D.Lgs., non sono considerati nei computi per la determinazioni dei volumi,<br />

delle superfici e nei rapporti di copertura, con riferimento alla sola parte eccedente i 30 centimetri<br />

e fino ad un massimo di ulteriori 25 centimetri per gli elementi verticali e di copertura e di 15<br />

centimetri per quelli orizzontali intermedi. Nel rispetto dei predetti limiti è permesso derogare, nell’ambito<br />

delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente<br />

della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali<br />

o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime di<br />

protezione del nastro stradale, nonchè alle altezze massime degli edifici.<br />

2. Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti che comportino maggiori<br />

spessori delle murature esterne e degli elementi di copertura necessari ad ottenere una riduzione<br />

minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, e successive<br />

modificazioni, certificata con le modalità di cui al medesimo D.Lgs., è permesso derogare,<br />

nell’ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente<br />

della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali<br />

o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici e alle distanze minime<br />

di protezione del nastro stradale, nella misura massima di 20 centimetri per il maggiore spessore<br />

delle pareti verticali esterne, nonchè alle altezze massime degli edifici, nella misura massima di<br />

25 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La deroga può essere esercitata<br />

nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti.<br />

3. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 26, comma 1, della l. 9 gennaio 1991, n. 10, e successive<br />

modificazioni, gli interventi di incremento dell’efficienza energetica che prevedano l’installazione<br />

di singoli generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non<br />

superiore a 1 metro, nonchè di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli<br />

edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano<br />

la sagoma degli edifici stessi, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono<br />

soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del testo unico<br />

delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della<br />

Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e successive modificazioni, qualora la superficie dell’impianto<br />

non sia superiore a quella del tetto stesso. In tale caso, fatti salvi i casi di cui all’articolo 3, comma 3,<br />

lettera a), del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, è sufficiente una comunicazione<br />

preventiva al Comune.<br />

4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 trovano applicazione fino all’emanazione di apposita<br />

normativa regionale che renda operativi i principi di esenzione minima ivi contenuti.<br />

(segue)<br />

182<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

18, per la disciplina transitoria da applicare nelle more dell’emanazione dei decreti<br />

previsti dall’art. 4, comma 1, lett. a), b) e c) del D.Lgs. 192/2005);<br />

– dal d.l. 25 giugno 2008 n. 112 convertito con l. 6 agosto 2008 n. 133 7 (l’art.<br />

35 comma 2-bis di detto d.l., nel testo emendato in sede di conversione, ha disposto<br />

l’abrogazione dei commi terzo e quarto dell’art. 6 e dei commi 8 e 9<br />

dell’art. 15 del D.Lgs. 192/2005 facendo venir meno l’obbligo di ALLEGAZIONE<br />

dell’attestato di certificazione energetica agli atti traslativi a titolo oneroso nonchè<br />

l’obbligo di CONSEGNA e/o MESSA A DISPOSIZIONE dell’attestato di certificazione<br />

energetica a favore del conduttore in caso di locazione, obblighi che<br />

erano previsti a pena di nullità del contratto, da far valere esclusivamente<br />

dall’acquirente o dal conduttore);<br />

– dal d.P.R. 2 aprile 2009, n. 59 8 (Regolamento di attuazione dell’art. 4 primo<br />

comma lettere a) e b) del D.Lgs. 192/2005);<br />

– dal Decreto Ministero dello Sviluppo Economico 26 giugno 2009 9 con il<br />

quale sono state approvate le LINEE GUIDA NAZIONALI PER LA CERTIFICA-<br />

ZIONE ENERGETICA (da segnalare in particolare la disposizione dell’art. 6 del<br />

5. L’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 non può in ogni caso derogare le<br />

prescrizioni in materia di sicurezza stradale e antisismica.<br />

6. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui all’articolo 1, comma 351, della l. 27 dicembre<br />

2006, n. 296, finanziabili in riferimento alle dotazioni finanziarie stanziate dall’articolo 1, comma 352,<br />

della l. n. 296 del 2006 per gli anni 2008 e 2009, la data ultima di inizio lavori è da intendersi fissata<br />

al 31 dicembre 2009 e quella di fine lavori da comprendersi entro i tre anni successivi.<br />

7. La costruzione e l’esercizio degli impianti di cogenerazione di potenza termica inferiore ai 300<br />

MW, nonchè le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli<br />

impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dall’amministrazione competente<br />

ai sensi dell’articolo 8 del D.Lgs. 8 febbraio 2007, n. 20, nel rispetto delle normative vigenti in<br />

materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce,<br />

ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tale fine la Conferenza dei servizi è convocata<br />

dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione. Resta fermo<br />

il pagamento del diritto annuale di cui all’articolo 63, commi 3 e 4, del testo unico delle disposizioni<br />

legislative concernente le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e<br />

amministrative, di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni.<br />

8. L’autorizzazione di cui al comma 6 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale<br />

partecipano tutte le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e<br />

con le modalità stabilite dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. In caso di dissenso,<br />

purchè non sia quello espresso da una amministrazione statale preposta alla tutela ambientale,<br />

paesaggistico-territoriale, o del patrimonio storico-artistico, la decisione, ove non diversamente<br />

e specificamente disciplinato dalle regioni, è rimessa alla Giunta regionale. Il rilascio dell’autorizzazione<br />

costituisce titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato e deve<br />

contenere l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a<br />

seguito della dismissione dell’impianto. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di<br />

cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni.”<br />

7<br />

La l. di conversione è stata pubblicata nella G.U. n. 195 del 21 agosto 2008 supplemento ordinario<br />

n. 196 ed è entrata in vigore il 22 agosto 2008.<br />

8<br />

Il provvedimento è stato pubblicato nella G.U. n. 132 del 10 giugno 2009 ed è entrato in vigore<br />

il 25 giugno 2009.<br />

9<br />

Il provvedimento è stato pubblicato nella G.U. n. 158 del 10 luglio 2009 ed è entrato in vigore<br />

dal 25 luglio 2009.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 183


La certificazione energetica degli edifici<br />

decreto suddetto per la disciplina della validità temporale dell’attestato di certificazione<br />

energetica, la disposizione del paragrafo 2 delle LINEE GUIDA, per la<br />

definizione del campo di applicazione dell’attestato di certificazione energetica,<br />

la disposizione del paragrafo 7.5 delle LINEE GUIDA per la certificazione di appartamenti<br />

in condomini, la disposizione del paragrafo 8 per la disciplina della<br />

procedura di certificazione energetica, la disposizione del paragrafo 9 delle LI-<br />

NEE GUIDA per la disciplina della autodichiarazione del proprietario nel caso di<br />

edificio di superficie non superiore ai 1000 mq. di scadente qualità energetica).<br />

Scopi<br />

Scopo della “normativa sull’efficienza energetica” testè illustrata è di stabilire<br />

i criteri, le condizioni e le modalità per migliorare le prestazioni energetiche degli<br />

edifici al fine di:<br />

– favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l’integrazione delle fonti rinnovabili<br />

e la diversificazione energetica;<br />

– contribuire a conseguire gli obiettivi nazionali di limitazione delle emissioni<br />

di gas a effetto serra posti dal protocollo di Kyoto;<br />

– promuovere la competitività dei comparti più avanzati attraverso lo sviluppo<br />

tecnologico.<br />

Ruolo di primaria importanza, per il conseguimento degli scopi che si prefigge<br />

la suddetta “normativa sull’efficienza energetica”, è stato riconosciuto proprio<br />

alla cd. “certificazione energetica”, non solo come strumento di controllo “ex<br />

post” del rispetto, in fase di realizzazione degli edifici, delle prescrizioni volte a<br />

migliorarne le prestazioni energetiche (art. 8 comma 2 D.Lgs. 192/2005), ma<br />

soprattutto come strumento di “informazione” del proprietario e/o dell’acquirente<br />

(art. 6 commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, D.Lgs. 192/2005) ritenendo il legislatore<br />

che una preventiva esauriente conoscenza dei dati relativi all’efficienza energetica<br />

dell’edificio nonché dei suggerimenti in merito agli interventi più significativi<br />

ed economicamente convenienti per il miglioramento della prestazione energetica,<br />

costituisca presupposto imprescindibile per ottenere un costante e graduale<br />

miglioramento delle prestazioni energetiche anche degli edifici già esistenti<br />

(sia come incentivo per gli attuali proprietari a migliorare tali prestazioni per<br />

rendere l’immobile più “appetibile” sul mercato sia come incentivo per gli acquirenti<br />

di orientare gli interventi sul bene acquistato in via prioritaria proprio verso<br />

quegli interventi che possano in qualche modo consentire il “contenimento dei<br />

consumi energetici”).<br />

Funzioni<br />

La legge, al riguardo, prevede due diversi “attestati” al fine della “certificazione<br />

energetica”:<br />

– l’attestato di qualificazione energetica la cui disciplina è stata introdotta a<br />

seguito delle modifiche al D.Lgs. 192/2005 apportate dal D.Lgs. 29 dicembre<br />

2006, n. 311, chiamato a svolgere il ruolo di strumento di controllo “ex post” del<br />

184<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

rispetto, in fase di costruzione o ristrutturazione degli edifici (con riguardo agli<br />

interventi di cui all’art. 3, comma 2, D.Lgs. 192/2005), delle prescrizioni volte a<br />

migliorarne le prestazioni energetiche (art. 8, comma 2, D.Lgs. 192/2005);<br />

l’attestato di qualificazione energetica deve essere redatto con i contenuti minimi<br />

di cui allo schema riportato nell’allegato 5 delle LINEE GUIDA NAZIONALI<br />

PER LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA approvate con Decreto Ministero<br />

dello Sviluppo Economico 26 giugno 2009;<br />

– l’attestato di certificazione energetica, già previsto e disciplinato nel testo<br />

originario del D.Lgs. 192/2005, chiamato a svolgere il ruolo di strumento di “informazione”<br />

del proprietario e/o dell’acquirente (art. 6, commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-<br />

quater) circa la prestazione energetica ed il grado di efficienza energetica degli<br />

edifici. Oltre a fornire all’utente gli elementi necessari per “valutare la convenienza<br />

economica a realizzare interventi di riqualificazione energetica”, l’attestato<br />

di certificazione energetica deve, inoltre, consentire “ai cittadini di valutare e<br />

confrontare la prestazione energetica dell’edificio” e quindi di poter scegliere<br />

l’edificio da acquistare o da locare in base alla prestazione energetica.<br />

E proprio per consentire tale “confronto” l’attestato di certificazione energetica<br />

deve “classificare” gli edifici e cioè attribuire a ciascun edificio una determinata<br />

“classe energetica” (classe da contraddistinguere con una lettera dell’alfabeto<br />

dalla “A+” che individua gli immobili a maggior efficienza energetica alla<br />

lettera “G” che individua gli immobili di più scadente efficienza energetica).<br />

In questo senso si sono pronunciate anche le LINEE GUIDA NAZIONALI per<br />

la certificazione energetica approvate con d.m. 26 giugno 2009 (paragrafo 7) in<br />

base alle quali “l’attestato di certificazione energetica degli edifici, con l’attribuzione<br />

di specifiche classi prestazionali, è strumento di orientamento del mercato<br />

verso gli edifici a migliore rendimento energetico, permette ai cittadini di valutare<br />

la prestazione energetica dell’edificio di interesse e di confrontarla con i valori<br />

tecnicamente raggiungibili, in un bilancio costi/benefici.”<br />

L’attestato di certificazione energetica deve essere redatto con i contenuti<br />

minimi di cui agli schemi riportati negli allegati 6 (per gli edifici residenziali) e 7<br />

(per di edifici non residenziali) delle suddette LINEE GUIDA NAZIONALI PER<br />

LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA.<br />

L’attestato di certificazione energetica si differenzia dall’attestato di qualificazione<br />

energetica proprio per la necessità, prevista solo per il primo, dell’attribuzione<br />

della classe di efficienza energetica<br />

I due attestati si distinguono, inoltre, anche per quanto riguarda le caratteristiche<br />

del “certificatore”: infatti mentre l’attestato di qualificazione energetica<br />

può essere predisposto ed asseverato da un professionista abilitato alla progettazione<br />

o alla realizzazione dell’edificio “non necessariamente estraneo alla<br />

proprietà e quindi non necessariamente “terzo”, l’attestato di certificazione e-<br />

nergetica dovrà, invece, essere rilasciato da “esperti” o “organismi” “terzi”, dei<br />

quale dovranno essere garantiti “la qualificazione e l’indipendenza”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 185


La certificazione energetica degli edifici<br />

I due attestati sono, pertanto, chiamati a svolgere ruoli e funzioni ben distinte<br />

e non sono tra loro “fungibili” 10 .<br />

Peraltro chi è in possesso di un attestato di qualificazione energetica può utilizzare<br />

tale documento per semplificare il rilascio dell’attestato di certificazione<br />

energetica come espressamente riconosciuto dall’art. 6, comma 2-bis, del<br />

D.Lgs. 192/2005 11 nonché dal paragrafo 8 delle LINEE GUIDA NAZIONALI PER<br />

LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA approvate con d.m. 26 giugno 2009 ove<br />

si prevede:<br />

i) che il richiedente il servizio di certificazione energetica può richiedere il rilascio<br />

dell’attestato di certificazione energetica sulla base di un attestato di qualificazione<br />

energetica relativo all’edificio o alla unità immobiliare oggetto di certificazione,<br />

anche non in corso di validità, evidenziando eventuali interventi su e-<br />

difici ed impianti eseguiti successivamente;<br />

ii) che il soggetto certificatore è tenuto ad utilizzare e valorizzare l’attestato<br />

di qualificazione energetica esibito (ed i dati in essi contenuti);<br />

iii) che l’attestato di qualificazione energetica, in considerazione delle competenze<br />

e delle responsabilità assunte dal firmatario dello stesso, è strumento<br />

che favorisce e semplifica l’attività del soggetto certificatore e riduce l’onere a<br />

carico del richiedente.<br />

Per il perseguimento degli scopi che la normativa in commento attribuisce<br />

alla certificazione energetica, tutti gli edifici che comportino un “consumo energetico”<br />

(esclusi, pertanto, gli edifici il cui consumo energetico sia inesistente o<br />

del tutto irrilevante) debbono essere DOTATI dell’attestato di certificazione e-<br />

nergetica.<br />

Diversi sono, peraltro, i PRESUPPOSTI fissati dall’art. 6, commi 1, 1-bis, 1-<br />

ter e 1-quater del D.Lgs. 192/2005 per il sorgere dell’obbligo di dotazione.<br />

Si può distinguere tra:<br />

– PRESUPPOSTO DI CARATTERE OGGETTIVO (legato a specifiche caratteristiche<br />

degli edifici inerenti l’epoca di costruzione o ristrutturazione, l’effettuazione<br />

di interventi di riqualificazione energetica per i quali ci si sia avvalsi o ci si<br />

intenda avvalere di incentivi e di agevolazioni di qualsiasi natura, la natura<br />

“pubblica” del soggetto proprietario o detentore dell’immobile);<br />

– PRESUPPOSTO DI CARATTERE TRASLATIVO (legato al trasferimento a<br />

titolo oneroso dell’edificio).<br />

10<br />

In questo senso anche le LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione energetica approvate<br />

con d.m. 26 giugno 2009 (paragrafo 8):<br />

“L’attestato di qualificazione energetica degli edifici si differenzia da quello di certificazione, essenzialmente<br />

per i soggetti che sono chiamati a redigerlo e per l’assenza dell’attribuzione di una<br />

classe di efficienza energetica all’edificio in esame (solamente proposta dal tecnico che lo redige)”<br />

11<br />

Così dispone l’art. 6, comma 2-bis, D.Lgs. 192/2005:<br />

“Salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, l’attestato di qualificazione energetica può essere<br />

predisposto a cura dell’interessato, al fine di semplificare il rilascio della certificazione energetica,<br />

come precisato al comma 2 dell’allegato A”.<br />

186<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

2. GLI EDIFICI DA DOTARE DI CERTIFICAZIONE ENERGETICA<br />

A PRESCINDERE DA UN LORO TRASFERIEMNTO A TITOLO ONEROSO<br />

(CD. “PRESUPPOSTO OGGETTIVO”)<br />

Alcuni edifici debbono essere dotati della certificazione energetica a PRE-<br />

SCINDERE da un loro trasferimento a titolo oneroso; si tratta in particolare:<br />

A) dei “NUOVI EDIFICI”: ossia degli edifici costruiti in forza di permesso di<br />

costruire o di denuncia di inizio attività rispettivamente richiesto o presentata<br />

DOPO l’8 ottobre 2005 (in caso di permesso di costruire è alla data della richiesta<br />

e non alla data del rilascio che bisogna fare riferimento) (art. 6 comma 1<br />

D.Lgs. 192/2005) 12<br />

B) degli EDIFICI RADICALMENTE RISTRUTTURATI: ossia degli edifici di superficie<br />

utile superiore a 1000 mq. che siano stati oggetto di interventi di ristrutturazione<br />

radicale in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività rispettivamente<br />

richiesto o presentata DOPO l’8 ottobre 2005; per “ristrutturazione<br />

12<br />

Ai sensi dell’art. 6 comma 1 del D.Lgs. 192/2005 l’attestato di certificazione energetica deve<br />

essere richiesto per gli edifici di nuova costruzione, tali dovendosi considerare, giusta quanto disposto<br />

dall’art. 2 comma 1, lett b) D.Lgs. 192/2005, gli edifici per i quali la richiesta del permesso di costruire<br />

o la denuncia di inizio attività (ovviamente per gli interventi di cui all’art. 22 comma 3 d.P.R.<br />

380/2001 Testo Unico in materia edilizia), sia stata presentata successivamente alla data di entrata<br />

in vigore del D.Lgs. in commento (ossia dopo l’8 ottobre 2005).<br />

Nessun particolare problema sembra porsi per l’individuazione degli immobili di “nuova costruzione”,<br />

fermo restando che è al primo titolo edilizio (quello in base al quale è stata autorizzata “ab<br />

origine” la costruzione) che bisogna fare riferimento.<br />

Del tutto irrilevanti, ai fini della disciplina in commento, sono invece le varianti al progetto originario.<br />

Pertanto, qualora dopo la richiesta originaria fossero state presentate richieste di varianti in<br />

corso d’opera si dovrà far sempre riferimento alla data della presentazione del progetto originario.<br />

Ovviamente qualora si fosse trattato, più che di una variante in corso d’opera, della presentazione<br />

di un nuovo progetto, radicalmente diverso dal progetto originario, e sostitutivo del progetto originario,<br />

si dovrà, invece, fare riferimento alla data della nuova richiesta. In base a consolidato orientamento<br />

giurisprudenziale, la variante viene distinta dal nuovo progetto qualora comporti variazioni<br />

quantitative e/o qualitative rispetto al progetto originario, senza peraltro stravolgere il progetto originario<br />

e quindi senza toccare quelle che sono le caratteristiche sostanziali del progetto originario<br />

stesso: in sostanza si è in presenza di una variante quando la costruzione, nonostante le variazioni<br />

e le modifiche apportate in corso d’opera, può ancora ricondursi al progetto originario e, pertanto, ritenersi<br />

regolata dal primo titolo edilizio.<br />

Non prevedendo, poi, la normativa in commento, eccezioni di sorta, deve ritenersi la regola in<br />

questione applicabile anche in caso di abusi edilizi, ossia di costruzioni realizzate (costruite ex novo<br />

o radicalmente ristrutturate) in assenza di titolo edilizio o in totale difformità. Pertanto se, a seguito<br />

di un abuso “totale”, la richiesta del rilascio del titolo edilizio in “sanatoria” fosse stata successiva alla<br />

data dell’8 ottobre 2005, benchè i lavori di costruzione o ristrutturazione fossero iniziati (abusivamente)<br />

o fossero stati eseguiti in totale difformità, in data precedente, l’edificio così realizzato dovrà<br />

considerarsi “nuovo edificio” (con conseguente obbligo di dotazione dell’attestato di certificazione<br />

energetica). Ovviamente se si trattasse non tanto di un abuso “totale” (costruzione o ristrutturazione<br />

integrale in assenza di titolo edilizio o in totale difformità) bensì di un abuso “minore” (ossia una variante<br />

a progetto debitamente e regolarmente autorizzato eseguita in assenza di titolo edilizio ovvero<br />

in totale difformità) tornerà applicabile la disciplina sopra illustrata per tutte le varianti in corso<br />

d’opera: sarà sempre alla data di presentazione del primo progetto che si dovrà fare riferimento per<br />

determinare l’applicabilità o meno dell’obbligo di dotazione.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 187


La certificazione energetica degli edifici<br />

radicale” ai fini della disciplina in tema di certificazione energica si intendono: a) la<br />

ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti<br />

di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati; b) la demolizione e ricostruzione<br />

di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati) (art.<br />

6, comma 1, ed art. 3, comma 2, lett. a), D.Lgs. 192/2005) 13 .<br />

13<br />

In caso di interventi di “recupero edilizio” di edifici esistenti è prevista una disciplina “differenziata”,<br />

con diversi gradi di applicazione della normativa di cui al D.Lgs. 192/2005 a seconda del tipo<br />

di intervento.<br />

In particolare l’obbligo per il proprietario di dotarsi dell’attestato di certificazione energetica è<br />

previsto solo nei casi di:<br />

– ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie<br />

utile superiore a 1000 metri quadrati (dovendosi intendere per “involucro” l’insieme delle strutture<br />

edilizie esterne che delimitano l’edificio);<br />

– demolizione e ricostruzione di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati<br />

(interventi che per comodità abbiamo qui definito di “ristrutturazione radicale”).<br />

Non vi è obbligo di dotazione dell’attestato di certificazione energetica, invece, se l’edificio è<br />

oggetto di uno degli altri interventi edilizi previsti dall’art. 3, comma 2, D.Lgs. 192/2005 (alla lettera b<br />

ed alla lettera c) ossia in caso di:<br />

– ampliamento di edifici esistenti volumetricamente superiore al 20% dell’intero edificio (limitatamente<br />

all’ampliamento);<br />

– ristrutturazioni totali o parziali, manutenzione straordinaria dell’involucro edilizio e ampliamenti<br />

volumetrici anche diversi da quelli sopra elencati.<br />

In relazione a detti interventi edilizi, tra i quali possono farsi rientrare, ad esempio:<br />

– le ristrutturazioni interne comportanti anche aumento delle unità immobiliari;<br />

– il mutamento di destinazione d’uso;<br />

– il recupero a fini residenziali dei sottotetti;<br />

– gli ampliamenti di fabbricati esistenti.<br />

Si applica la disciplina del D.Lgs. 192/2005 relativamente all’obbligo del rispetto dei parametri e<br />

dei criteri costruttivi volti ad assicurare una migliore efficienza energetica ed un risparmio nei consumi<br />

e relativamente all’obbligo della presentazione, unitamente alla dichiarazione di fine lavori, dell’attestato<br />

di qualificazione energetica, ma non anche la disciplina relativa alla dotazione<br />

dell’attestato di certificazione energetica.<br />

Non si esclude che qualche obiettiva difficoltà potrebbe porsi (specie per i Notai privi di competenze<br />

tecniche in materia edilizia) nell’individuare le fattispecie di “ristrutturazione integrale” che<br />

fanno sorgere l’obbligo di dotare l’edificio dell’attestato di certificazione energetica a prescindere dal<br />

suo trasferimento a titolo oneroso (in quanto la fattispecie della ristrutturazione rilevante ai fini energetici<br />

non coincide con la fattispecie della ristrutturazione edilizia rilevante ai fini urbanistici, così<br />

come disciplinata dagli artt. 3 e 10 d.P.R. 380/2001 – Testo Unico in materia edilizia).<br />

La norma in commento, peraltro, pone determinate specifiche condizioni:<br />

– la ristrutturazione deve coinvolgere, in maniera “integrale” gli elementi edilizi costituenti l’involucro<br />

degli edifici: deve trattarsi, pertanto, di interventi “radicali” che incidono sull’intero involucro e-<br />

sterno dell’edificio, copertura, mura perimetrali, infissi, ossia su quegli elementi strutturali che se<br />

eseguiti con particolari accorgimenti di carattere tecnico, possono condurre a significativi risparmi<br />

energetici ed ad una migliore prestazione energetica dell’edificio. Debbono pertanto escludersi dall’ambito<br />

di applicazione della norma in commento, interventi parziali e settoriali, tali da non poter incidere<br />

in maniera significativa sulle prestazioni energetiche (ad esempio rifacimento della sola copertura,<br />

sostituzione di soli infissi, manutenzione delle pareti, ecc.) ovvero interventi non incidenti<br />

sull’involucro esterno dell’edificio (ad esempio ristrutturazioni “interne” ad edifici o a singole unità<br />

immobiliari);<br />

– l’intervento deve riguardare edifici di superficie utile superiore a 1000 mq; non è sufficiente,<br />

per rientrare nell’ambito di applicazione della norma in commento, la ristrutturazione di una porzione<br />

dell’intero immobile (ad esempio di un appartamento in un edificio condominiale), ma la ristruttura-<br />

(segue)<br />

188<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

C) degli EDIFICI “AGEVOLATI”: ossia degli edifici sui quali siano stati eseguiti,<br />

successivamente al 1° gennaio 2007, interventi finalizzati al miglioramento delle<br />

prestazioni energetiche per i quali si intenda accedere agli incentivi ed alle agevolazioni<br />

di qualsiasi natura, sia come sgravi fiscali o contributi a carico di fondi<br />

pubblici o della generalità degli utenti (art. 6, comma 1-ter, D.Lgs. 192/2005) 14 .<br />

D) degli EDIFICI “PUBBLICI”: ossia degli edifici pubblici o detenuti da soggetti<br />

pubblici per i quali DOPO il 1° luglio 2007 siano stati rinnovati ovvero stipulati<br />

nuovi contratti relativi alla gestione degli impianti termici o di climatizzazione<br />

(art. 6, comma 1-quater, D.Lgs. 192/2005) 15 .<br />

Tutti questi edifici, pertanto, dovrebbero essere già dotati della certificazione<br />

energetica nel momento in cui il proprietario procede al loro trasferimento a titolo<br />

oneroso.<br />

zione deve riguardate l’intero edificio e lo stesso deve avere una superficie utile superiore a<br />

1000mq;<br />

– l’intervento potrà anche consistere nella demolizione e ricostruzione di edifici esistenti purchè<br />

sempre di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati. Si tratta di una fattispecie, la demolizione<br />

e successiva ricostruzione con la stessa sagoma e volumetria, che il d.P.R. 380/2001 (Testo Unico<br />

in materia edilizia) definisce come intervento di “ristrutturazione edilizia”.<br />

Da segnalare che secondo le definizioni ricavabili dall’Allegato A al D.Lgs. 192/2005:<br />

– per involucro edilizio si intende l’insieme delle strutture edilizie esterne che delimitano un edificio;<br />

– per superficie utile si intende la superficie netta calpestabile di un edificio (nel calcolo si tiene<br />

conto solo della superficie della struttura edificata esclusi cortili o aree esterne di pertinenza).<br />

14<br />

Benché la norma (art. 6, comma 1-ter, D.Lgs. 192/2005) faccia riferimento ad “agevolazioni di<br />

qualsiasi natura” deve trattarsi di agevolazioni comunque finalizzate al miglioramento dell’efficienza<br />

energetica degli edifici. Si pensi, al riguardo, alle varie agevolazioni, sotto forma di detrazioni fiscali,<br />

introdotte dalla l. 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria per il 2007) e confermate dalla l. 24 dicembre<br />

2007, n. 244 (finanziaria per il 2008) (quest’ultima legge, peraltro, ha escluso la necessità di dotarsi<br />

dell’attestato di certificazione energetica per poter fruire delle detrazioni fiscali IRPEF previste<br />

per il caso di sostituzione degli infissi e serramenti e per l’installazione di pannelli solari)<br />

La dotazione dell’attestato di certificazione energetica invece non è, invece, necessaria per accedere<br />

ad altre agevolazioni (ad esempio alle agevolazioni prima casa in caso di compravendita).<br />

15<br />

In particolare è previsto (art. 6, comma 1-quater, D.Lgs. 192/2005) che, a decorrere dal 1° luglio<br />

2007, tutti i contratti, nuovi o rinnovati, relativi alla gestione degli impianti termici o di climatizzazione<br />

relativi a edifici pubblici ovvero nei quali figura comunque come committente un soggetto<br />

pubblico, debbono prevedere la predisposizione dell’attestato di certificazione energetica dell’edificio<br />

o dell’unità immobiliare interessata entro i primi sei mesi di vigenza contrattuale, con predisposizione<br />

ed esposizione al pubblico della targa energetica. Ai sensi dell’art. 1, comma 1-quater, D.Lgs.<br />

192/2005 l’obbligo di dotazione dell’attestato di certificazione energetica sussiste non solo per gli<br />

edifici di proprietà di un soggetto pubblico (Stato, Enti pubblici territoriali, Enti pubblici economici,<br />

ecc.) ma anche per gli edifici che siano comunque detenuti o utilizzati da un soggetto pubblico (a titolo<br />

di locazione o di comodato) posto che la norma ricollega l’obbligo di dotazione alla circostanza<br />

che successivamente al 1° luglio 2007 sia stato stipulato un nuovo contratto o venga rinnovato il<br />

contratto relativo alla gestione degli impianti termici o di climatizzazione e relativo a edifici non solo<br />

di proprietà pubblica ma anche nei quali figuri comunque come committente un soggetto pubblico<br />

(che per l’appunto detenga e comunque utilizzi a qualsiasi titolo l’edificio medesimo).<br />

Peraltro l’obbligo di dotazione non riguarda gli edifici pubblici o tutti gli edifici detenuti da soggetti<br />

pubblici a partire dal 1° luglio 2007: la disposizione in commento, infatti, subordina l’obbligo di dotazione<br />

alla circostanza che dopo il 1° luglio 2007 sia stato rinnovato ovvero sia stato stipulato un<br />

nuovo contratto relativo alla gestione degli impianti termici o di climatizzazione.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 189


La certificazione energetica degli edifici<br />

3. GLI EDIFICI DA DOTARE DI CERTIFICAZIONE ENERGETICA<br />

IN OCCASIONE DEL TRASFERIMENTO (CD. “PRESUPPOSTO TRASLATIVO”)<br />

Debbono, invece, essere dotati della certificazione energetica IN OCCA-<br />

SIONE di un trasferimento a titolo oneroso (per cui detto trasferimento costituisce<br />

il presupposto stesso dell’obbligo di dotazione) i cd. “FABBRICATI PREE-<br />

SISTENTI”: ossia tutti gli edifici (a prescindere dall’epoca di costruzione) che<br />

comportino un “consumo energetico” e che non siano riconducibili a quelli di cui<br />

al precedente paragrafo 2), sub A, sub B, sub C e sub D (art. 6, comma 1-bis,<br />

D.Lgs. 192/2005).<br />

L’art. 6, comma 1-bis, D.Lgs. 192/2005 prevedeva per i cd. FABBRICATI<br />

PREESISTENTI diversi termini per la decorrenza dell’obbligo di dotazione della<br />

certificazione energetica a seconda della tipologia e della superficie utile dell’edificio;<br />

più precisamente, in base alla surrichiamata disposizione, l’immobile oggetto<br />

di trasferimento a titolo oneroso doveva essere DOTATO dell’attestato di<br />

certificazione energetica con le seguenti decorrenze:<br />

a) a decorrere dal 1° luglio 2007, per quanto riguardava gli edifici di superficie<br />

utile superiore a 1000 metri quadrati, nel caso di trasferimento a titolo oneroso<br />

dell’intero immobile;<br />

b) a decorrere dal 1° luglio 2008, per quanto riguardava gli edifici di superficie<br />

utile fino a 1000 metri quadrati, nel caso di trasferimento a titolo oneroso<br />

dell’intero immobile con l’esclusione delle singole unità immobiliari;<br />

c) a decorrere dal 1° luglio 2009 per quanto riguardava le singole unità immobiliari,<br />

nel caso di trasferimento a titolo oneroso.<br />

DAL 1° LUGLIO 2009, pertanto, TUTTI i cd. “FABBRICATI PREESISTENTI”,<br />

comportanti un consumo energetico (ad eccezione dei fabbricati esclusi dall’ambito<br />

di applicazione della certificazione energetica di cui in appresso), debbono<br />

essere DOTATI dell’ATTESTATO di CERTIFICAZIONE ENERGETICA in<br />

occasione di un atto di trasferimento a titolo oneroso.<br />

Trattasi, a titolo esemplificativo, dei seguenti atti:<br />

190<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

Compravendita<br />

Permuta<br />

Assegnazioni di alloggi<br />

da cooperative edilizie<br />

ai propri soci<br />

Datio in solutum<br />

Transazione<br />

Conferimento di edifici<br />

in società<br />

Assegnazione di edifici<br />

da società (a seguito di<br />

liquidazione, di recesso<br />

di socio, ecc.)<br />

Costituzione di rendita<br />

vitalizia e vitalizio “alimentare”<br />

Cessione o conferimento<br />

in società di azienda<br />

Decreto di trasferimento<br />

a seguito di procedura<br />

esecutiva<br />

Quando tra i beni permutati vi sia un edificio che comporti “consumo<br />

energetico”<br />

Essendo previsto a carico dei soci l’obbligo di versamenti di somme<br />

a favore della cooperativa a titolo di corrispettivo per l’assegnazione,<br />

l’operazione va ricondotta, agli effetti della disciplina sulla certificazione<br />

energetica, nella categoria degli atti traslativi a titolo oneroso;<br />

diversa è la soluzione se si accede alla tesi della natura “divisionale”<br />

di tale atto<br />

Quando in adempimento dell’obbligazione viene trasferito un edificio<br />

che comporti “consumo energetico”<br />

Se per comporre o per prevenire la controversia si trasferisca un edificio<br />

che comporti “consumo energetico”<br />

Diversa, invece, è la soluzione se si accede alla tesi della natura “divisionale”<br />

dell’atto di liquidazione a seguito di scioglimento argomentando<br />

ex art. 2283 c.c.<br />

Se a fronte della costituzione della rendita o dell’assunzione<br />

dell’obbligo di assistenza si trasferisca un edificio che comporti “consumo<br />

energetico”<br />

Se si tratta di azienda comprendente tra i beni aziendali degli edifici<br />

che comportino “consumo energetico”<br />

Si ritiene che l’obbligo di DOTAZIONE dell’attestato di certificazione<br />

energetica sussista anche nel caso di trasferimento a seguito di procedura<br />

esecutiva; infatti anche in questo caso si è in presenza di un<br />

fenomeno traslativo a titolo oneroso, con immissione nel mercato di<br />

un immobile, a fronte del quale deve essere garantito il diritto dell’acquirente<br />

ad una completa informazione dello “status energetico”<br />

dell’edificio.<br />

Si ritiene, peraltro, che l’obbligo di dotazione riguardi le procedure<br />

apertesi dopo l’8 ottobre 2005, non potendo la disciplina dettata dal<br />

D.Lgs. 192/2005 ritenersi applicabile retroattivamente anche a procedure<br />

apertesi prima della sua entrata in vigore<br />

La disposizione dell’art. 6 comma 1-bis D.Lgs. 192/2005 prescrive, per i cd.<br />

“FABBRICATI PREESISTENTI” l’obbligo di dotare l’edificio dell’attestazione di<br />

certificazione energetica “in caso di trasferimento a titolo oneroso” senza peraltro<br />

precisare il diritto oggetto dell’atto traslativo.<br />

Nel silenzio del legislatore al riguardo, deve ritenersi applicabile la normativa<br />

in tema di dotazione della certificazione energetica:<br />

– sia nel caso di trasferimento della piena o della nuda proprietà che di trasferimento<br />

di altro diritto reale di godimento (usufrutto, uso, abitazione);<br />

Studi e Materiali – 1/2011 191


La certificazione energetica degli edifici<br />

– sia nel caso di costituzione che nel caso di rinuncia (ovviamente a titolo<br />

oneroso) di diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione);<br />

– sia nel caso di cessione dell’intera proprietà che nel caso di cessione di<br />

una quota di comproprietà.<br />

Deve ritenersi sussistente l’obbligo di DOTAZIONE anche nel caso di trasferimento<br />

della proprietà superficiaria di edificio già costruito; va invece escluso<br />

tale obbligo nel caso di costituzione del diritto di superficie, non sussistendo ancora<br />

in questo momento un edificio per il quale possa essere rilasciata la certificazione<br />

energetica (salvo quanto stabilito dalla legge finanziaria per il 2008 per<br />

gli edifici successivi al 1° gennaio 2009) 16 .<br />

Resta, invece, escluso l’obbligo di dotazione, nel caso in cui il cd. “FABBRI-<br />

CATO PREESISTENTE” costituisca oggetto di atti traslativi a titolo gratuito o<br />

comunque non a titolo oneroso, ovvero in caso di atti senza effetti traslativi.<br />

Trattasi, a titolo esemplificativo, dei seguenti atti:<br />

Donazione<br />

Patto di famiglia (con il quale si<br />

trasferisca un’azienda comprendente<br />

edifici ovvero nel<br />

quale sia prevista la liquidazione<br />

dei legittimari in natura mediante<br />

il trasferimento di edifici)<br />

Fondo patrimoniale<br />

Assoggettamento di edificio al<br />

regime della comunione legale<br />

dei beni (art. 210 c.c.)<br />

Comodato<br />

Trust<br />

L’esclusione vale per ogni tipo di donazione e quindi anche<br />

per la donazione remuneratoria e per la donazione<br />

modale, per le quali potrebbe ravvisarsi una sorta di “corrispettività”,<br />

mancando anche per tali atti di donazione la<br />

sollecitazione del mercato immobiliare<br />

Il patto di famiglia è considerato dalla dottrina prevalente<br />

“atto a titolo gratuito” (il beneficiario a fronte dell’acquisizione<br />

dell’azienda o della partecipazione societaria è tenuto<br />

a liquidare i legittimari, nulla dovendo invece corrispondere<br />

al disponente) e come tale non è riconducibile alla<br />

categoria degli atti traslativi a titolo oneroso<br />

Si tratta di convenzione matrimoniale comportante la costituzione<br />

di un vincolo di destinazione e come tale non è riconducibile<br />

alla categoria degli atti traslativi a titolo oneroso.<br />

Va escluso l’obbligo di dotazione anche nel caso di<br />

fondo patrimoniale comportante trasferimento della proprietà<br />

dell’immobile a favore dei coniugi, in quanto qualificabile<br />

come atto a titolo gratuito<br />

Si tratta di convenzione matrimoniale, riconducibile alla categoria<br />

delle liberalità indirette, e come tale non riconducibile<br />

alla categoria degli atti traslativi a titolo oneroso<br />

Trattasi di contratto privo di effetti “traslativi”<br />

Deve essere esclusa per il TRUST la natura di atto trasla-<br />

16<br />

Così dispone l’art. 1, comma 288, l. 24 dicembre 2007, n. 244:<br />

“A decorrere dall’anno 2009, in attesa dell’emanazione dei provvedimenti attuativi di cui all’articolo<br />

4, comma 1, del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, il rilascio del permesso di costruire è subordinato<br />

alla certificazione energetica dell’edificio, così come previsto dall’articolo 6 del citato D.Lgs. n.<br />

192 del 2005, nonché delle caratteristiche strutturali dell’immobile finalizzate al risparmio idrico e al<br />

reimpiego delle acque meteoriche”.<br />

192<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

Divisione senza conguagli<br />

Locazione<br />

Leasing<br />

Affitto di azienda (comprendente<br />

tra i beni aziendali degli edifici)<br />

Identificazione catastale<br />

Costituzione di ipoteche<br />

tivo a titolo oneroso, sia per quanto riguarda il trasferimento<br />

dal disponente al trustee (che avviene a titolo “fiduciario”<br />

senza corrispettivo) sia per quanto riguarda il trasferimento<br />

dal trustee a favore dei beneficiari finali (che avviene<br />

in attuazione degli scopi del trust senza corrispettivo alcuno<br />

a carico dei beneficiari)<br />

Certamente è da escludere l’obbligo di DOTAZIONE per le<br />

divisioni per le quali NON sono previsti conguagli tra le<br />

parti, data la natura dichiarativa e non costitutiva della divisione<br />

(secondo la ricostruzione della dottrina e della giurisprudenza<br />

prevalenti). Più cautela, invece, è consigliabile<br />

per il caso di divisioni con conguagli, specie se in presenza<br />

di conguagli di importo particolarmente rilevante, si che<br />

l’operazione appaia più correttamente qualificabile come<br />

divisione parziale con collegata cessione di quota<br />

Trattasi di contratto privo di effetti “traslativi”. Prima della<br />

entrata in vigore del DL 112/2008 era previsto, che, nel<br />

caso di locazione, l’attestato di certificazione energetica<br />

doveva essere messo a disposizione del conduttore o doveva<br />

allo stesso essere consegnato in copia dichiarata<br />

conforme all’originale. Tale obbligo è stato abrogato. Per i<br />

fabbricati preesistenti, peraltro, l’obbligo di consegna o di<br />

messa a disposizione scattava solo qualora l’edificio fosse<br />

già dotato della certificazione energetica. Anche prima del<br />

DL 112/2008, per i “fabbricati preesistenti” l’obbligo di dotazione<br />

dell’attestato di certificazione energetica sorgeva<br />

solo in caso di loro “trasferimento a titolo oneroso” e non<br />

anche nel caso di loro locazione<br />

Va escluso per la locazione finanziaria l’obbligo di dotazione<br />

della certificazione energetica, trattandosi di contratto<br />

privo di effetti traslativi<br />

In caso di affitto di azienda (comprendente tra i beni a-<br />

ziendali degli edifici) va escluso l’obbligo di dotazione della<br />

certificazione energetica, trattandosi di contratto privo di<br />

effetti traslativi<br />

Atto non riconducibile per le sue finalità alla categoria degli<br />

atti traslativi a titolo oneroso<br />

Deve ritenersi escluso l’obbligo di DOTAZIONE nel caso di<br />

costituzione di ipoteca: l’ipoteca infatti ha funzione solo di<br />

garanzia e l’eventuale trasferimento a terzi della proprietà<br />

non é legato alla volontà delle parti ma ad una azione giudiziaria<br />

di esecuzione<br />

Costituzione di servitù<br />

(e relative rinunce)<br />

Deve ritenersi escluso l’obbligo di DOTAZIONE nel caso di<br />

costituzione di servitù non trattandosi di atto ad effetti traslativi,<br />

comportante “sollecitazione del mercato immobiliare”.<br />

Con la servitù, infatti, viene imposto un “peso” a carico<br />

di un immobile a servizio di altro immobile. Manca, invece,<br />

l’immissione nel mercato di un immobile, a fronte del quale<br />

Studi e Materiali – 1/2011 193


La certificazione energetica degli edifici<br />

deve essere garantito il diritto dell’acquirente ad una completa<br />

informazione dello “status energetico” dell’edificio<br />

Fusione e scissione societaria<br />

Trasformazioni societarie<br />

Cessioni di azioni, quote e partecipazioni<br />

di società proprietarie<br />

di immobili<br />

Deve essere escluso l’obbligo di DOTAZIONE nel caso<br />

della fusione e della scissione, pur in presenza di edifici<br />

nel patrimonio dell’incorporata o nel patrimonio destinato<br />

alla beneficiaria. La riforma del diritto societario ha definitivamente<br />

confermato la non riconducibilità ai negozi traslativi<br />

delle operazioni di fusione e scissione, risolvendosi le<br />

stesse in vicende meramente evolutive e modificative degli<br />

enti societari, che conservano la loro identità, pur in un<br />

nuovo assetto organizzativo (in questo senso anche Cass.<br />

Sez. Unite 8 febbraio 2006, n. 2637)<br />

Non vi è alcun dubbio che simili operazioni attengono alla<br />

disciplina dell’organizzazione e della struttura societaria, e<br />

non hanno assolutamente effetti traslativi (con l’eccezione,<br />

probabilmente, della trasformazione eterogenea da ovvero<br />

in comunione di azienda)<br />

In questo caso l’atto traslativo ha per oggetto le azioni, le<br />

quote o le partecipazioni societarie e non gli immobili (beni<br />

di “secondo grado”)<br />

Il preliminare<br />

Trattasi di atto ad effetti obbligatori, privo di effetti traslativi e come tale e-<br />

scluso dall’ambito di applicazione dell’art. 6 comma 1-bis del D.Lgs. 192/2005.<br />

Pertanto nel caso di stipula di un preliminare dovrebbe essere escluso l’obbligo<br />

di dotazione per i cd “fabbricati preesistenti”.<br />

Tuttavia se si ha riguardo alla ratio della normativa (e cioè all’esigenza di<br />

assicurare all’acquirente una completa informazione circa lo status energetico<br />

dell’edificio, allo scopo di ottenere risparmi energetici) appare evidente come<br />

sia al momento della stipula del preliminare che il potenziale acquirente deve<br />

essere messo a conoscenza dei consumi e dell’efficienza energetica dell’immobile<br />

in vendita.<br />

Si tratta infatti di circostanze che non possono non avere diretta influenza<br />

sul consenso e sulle condizioni dello stipulando contratto preliminare (ed in primis<br />

sulla determinazione del prezzo). Conoscere tali circostante solo al momento<br />

del definitivo potrebbe essere troppo tardi per il promissario acquirente ed<br />

impedire allo stesso di orientare le sue scelte su altri immobili.<br />

La scelta legislativa di escludere proprio il preliminare dal novero degli atti la<br />

cui stipula fa sorgere l’obbligo di dotazione della certificazione energetica (da<br />

mettere a disposizione del futuro proprietario) appare quindi poco coerente con<br />

quelli che sono gli obiettivi che la normativa si prefigge di raggiungere con<br />

l’attività di “informazione”.<br />

194<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

4. ESCLUSIONI DALL’OBBLIGO DI DOTAZIONE<br />

SONO ESCLUSI dall’obbligo di dotazione:<br />

1. Per espressa previsione di legge:<br />

a) i fabbricati isolati con una superficie utile totale inferiore a 50 metri quadrati,<br />

e ciò stante l’espressa esclusione disposta dall’art. 3 ultimo comma lett. c)<br />

del D.Lgs. 192/2005;<br />

b) i fabbricati industriali, artigianali e agricoli non residenziali quando gli ambienti<br />

sono riscaldati per esigenze del processo produttivo o utilizzando reflui<br />

energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili e ciò stante l’espressa<br />

esclusione disposta dall’art. 3, ultimo comma, lett. b), D.Lgs. 192/2005. Si ritiene,<br />

peraltro, che l’esclusione sia limitata ai soli ambienti destinati all’attività<br />

produttiva industriale, artigianale o agricola che siano riscaldati per esigenze del<br />

processo produttivo o utilizzando reflui energetici del processo produttivo non<br />

altrimenti utilizzabili; l’esclusione invece non riguarderebbe quelle porzioni del<br />

maggior fabbricato produttivo eventualmente adibite ad uffici, alloggio del custode,<br />

mensa, servizi e assimilabili, qualora siano dotate di autonomi impianti di<br />

riscaldamento o raffrescamento ovvero siano scorporabili agli effetti dell’isolamento<br />

termico.<br />

In relazione al disposto dell’art. 3, ultimo comma, lett. a), D.Lgs. 192/2005,<br />

nel caso di vincolo culturale o paesaggistico, si ritiene che la dotazione dell’attestato<br />

di certificazione energetica sia SEMPRE NECESSARIA (verificandosi, ovviamente<br />

i presupposti di cui all’art. 6, commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater, D.Lgs.<br />

192/2005) e che l’esclusione prevista dal succitato art. 3 ultimo comma lett. a)<br />

di fatto non operi MAI. Infatti è esclusa l’applicazione del D.Lgs. 192/2005 per<br />

gli edifici soggetti a vincolo culturale e per gli edifici soggetti a vincolo paesaggistico<br />

SOLO nei casi in cui il rispetto delle prescrizioni della normativa in commento<br />

“implicherebbe una alterazione inaccettabile del carattere o dell’aspetto<br />

di detti immobili con particolare riferimento ai caratteri storici o artistici” (e ciò a<br />

seguito della modifica introdotta dal D.Lgs. 311/2006). Ma solo nel caso in cui<br />

vengano eseguiti degli interventi edilizi o vengano eseguiti degli interventi sugli<br />

impianti (ad esempio nel caso di ristrutturazione di tali immobili), il rispetto delle<br />

prescrizioni “tecniche” del D.Lgs. 192/2005, che impongono specifiche modalità<br />

di esecuzione delle opere finalizzate al contenimento dei consumi, potrebbero<br />

portare ad una alterazione inaccettabile del carattere o dell’aspetto di detti immobili.<br />

Una simile alterazione non è neppure ipotizzabile, invece, nel caso di<br />

applicazione delle disposizioni in tema di certificazione energetica. Che alterazione<br />

potrebbe mai derivare ad un edificio dall’adempimento dell’obbligo di dotazione<br />

dell’attestato di certificazione energetica? Pertanto per la fattispecie<br />

considerata dall’art. 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. 192/2005 (ossia per la “certificazione<br />

energetica degli edifici”) non opera mai la causa di esclusione di cui al<br />

successivo terzo comma medesimo art. 3, lett. a), D.Lgs. 192/2005 non comportando<br />

mai il rispetto delle prescrizioni del D.Lgs. 192/2005 in tema di certifi-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 195


La certificazione energetica degli edifici<br />

cazione energetica una alterazione inaccettabile del carattere o dell’aspetto di<br />

detti immobili.<br />

2. Per espressa previsione delle Linee Guida Nazionali per la certificazione<br />

energetica:<br />

c) i box, le cantine, le autorimesse, i parcheggi multipiano, i depositi, le strutture<br />

stagionali a protezione degli impianti sportivi ecc., (la certificazione è peraltro<br />

richiesta con riguardo alle porzioni eventualmente adibite ad uffici e assimilabili,<br />

purchè scorporabili agli effetti dell’isolamento termico) (paragrafo 2 delle<br />

Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica approvate con d.m. 26<br />

giugno 2009);<br />

d) gli edifici (di superficie inferiore a 1000 mq. e di scadente qualità energetica)<br />

che il proprietario, con propria AUTODICHIARAZIONE, attesti essere di categoria<br />

G e con costi di gestione energetica molto alti (paragrafo 9 delle Linee<br />

Guida Nazionali per la certificazione energetica approvate con d.m. 26 giugno<br />

2009).<br />

3. Per interpretazione sistematica della normativa vigente (dovendosi in particolare<br />

escludere la necessità della certificazione per tutti quegli edifici o manufatti<br />

che non comportino consumi energetici ovvero i cui consumi energetici siano<br />

del tutto irrilevanti, in relazione alle loro caratteristiche o destinazioni d’uso<br />

ovvero in quanto non ancora o non più utilizzabili per l’uso cui sono destinati):<br />

e) gli edifici “marginali” ossia gli edifici che non comportino un consumo e-<br />

nergetico in relazione alle loro caratteristiche tipologiche e/o funzionali (ad e-<br />

sempio: portici, pompeiane, legnaie); per questi edifici l’esclusione può fondarsi<br />

anche sul disposto del paragrafo 2, comma 2, delle Linee Guida nazionali per la<br />

certificazione energetica, approvate con d.m. 26 giugno 2009, posto che l’elencazione<br />

degli immobili esclusi dall’obbligo di certificazione ivi contenuta non è<br />

tassativa e l’esclusione ivi prevista deve ritenersi estensibile anche a quegli edifici<br />

e/o manufatti assimilabili a quelli espressamente menzionati;<br />

f) gli edifici inagibili o comunque non utilizzabili in nessun modo e che, come<br />

tali, non comportino un consumo energetico (ad esempio fabbricati in disuso,<br />

dichiarati inagibili o comunque non utilizzati né utilizzabili, con impianti dimessi<br />

o addirittura senza impianti); per un fabbricato che non può essere utilizzato in<br />

alcun modo per l’uso cui è destinato, e per il quale non si pone nemmeno un<br />

problema di consumo energetico, la dotazione della certificazione energetica<br />

appare infatti del tutto superflua in relazione agli scopi alla stessa riconosciuti<br />

dalla Linee Guida Nazionali;<br />

g) i manufatti, comunque, non riconducibili alla definizione di edificio dettata<br />

dall’art. 2, lett. a), del D.Lgs. 192/2005 (manufatti cioè non qualificabili come “sistemi<br />

costituiti dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume<br />

definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli<br />

impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno”) (ad<br />

esempio: una piscina, una serra non realizzata con strutture edilizie, ecc.);<br />

196<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

h) i fabbricati “al grezzo”; si ritiene che l’obbligo di dotazione riguardi solamente<br />

edifici già ultimati in tutte quelle che sono le parti edilizie essenziali,<br />

completi di impianti e di tutte quelle finiture (ad esempio i serramenti) che in<br />

qualsiasi modo possano incidere sul consumo e sulle prestazioni energetiche.<br />

Tutto ciò troverebbe conferma:<br />

– sia nella disposizione dell’art. 6, comma 1, D.Lgs. 192/2005, là dove si stabilisce<br />

che i “nuovi edifici” “sono dotati, al termine della costruzione [...] ed a cura<br />

del costruttore, di un attestato di certificazione energetica”<br />

– sia nella disposizione dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. 192/2005, là dove, nel<br />

definire gli edifici e gli elementi costitutivi degli stessi, si fa espresso riferimento,<br />

oltre che alle strutture edilizie esterne ed interne, anche a tutti gli impianti e dispositivi<br />

tecnologici che si trovano stabilmente al loro interno.<br />

Resta salva la particolare disciplina dettata dalla legge finanziaria per il 2008<br />

per gli edifici successivi al 1° gennaio 2009 17 ; l’art. 1, comma 288, della l. 24 dicembre<br />

2007, n. 244, infatti, stabilisce che, a decorrere dall’anno 2009, il rilascio<br />

del permesso di costruire è subordinato alla certificazione energetica<br />

dell’edificio, così come previsto dall’articolo 6 del citato D.Lgs. n. 192 del 2005.<br />

In base alla norma in commento la dotazione della certificazione energetica, a<br />

partire dal 1° gennaio 2009, deve addirittura precedere la costruzione dell’edificio<br />

(e quindi dovrà essere redatta sulla base del progetto predisposto) in quanto<br />

alla sua presentazione è subordinato il rilascio del permesso di costruire. A sua<br />

volta il successivo art. 2, comma 282, della medesima l. 244/2007 subordina il<br />

rilascio del certificato di agibilità alla presentazione della certificazione energetica.<br />

Dal 1° gennaio 2009 tale disposizione si “incrocerà” con quella dell’art. 1,<br />

comma 288, sopra ricordata, per cui sarà necessario predisporre la certificazione<br />

energetica sia prima di iniziare la costruzione (sulla base del progetto presentato)<br />

e ciò al fine di ottenere il rilascio del permesso di costruire, che al termine<br />

della costruzione (con riferimento all’edificio effettivamente realizzato) e<br />

ciò al fine di ottenere il rilascio del certificato di agibilità.<br />

5. IL TRASFERIMENTO DI EDIFICI E LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA.<br />

L’OBBLIGO DI CONSEGNA.<br />

L’art. 6, comma 3, D.Lgs. 192/2005 così disponeva: “Nel caso di trasferimento<br />

a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari già dotati<br />

di attestato di certificazione energetica in base ai commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-<br />

17<br />

Art. 1, comma 288, l. 24 dicembre 2007, n. 244:<br />

“A decorrere dall’anno 2009, in attesa dell’emanazione dei provvedimenti attuativi di cui all’articolo<br />

4, comma 1, del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, il rilascio del permesso di costruire è subordinato<br />

alla certificazione energetica dell’edificio, così come previsto dall’articolo 6 del citato D.Lgs. n.<br />

192 del 2005, nonché delle caratteristiche strutturali dell’immobile finalizzate al risparmio idrico e al<br />

reimpiego delle acque meteoriche”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 197


La certificazione energetica degli edifici<br />

quater, detto attestato è allegato all’atto di trasferimento a titolo oneroso, in originale<br />

o copia autenticata”.<br />

A sua volta l’art. 15, ottavo comma, del D.Lgs. 192/2005 stabiliva che: “In<br />

caso di violazione dell’obbligo previsto dall’articolo 6, comma 3, il contratto è<br />

nullo. La nullità può essere fatta valere solo dall’acquirente”.<br />

Entrambe le norme suddette sono state ABROGATE dall’art. 35, comma 2-<br />

bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112 nel testo emendato in sede di conversione dalla<br />

l. 6 agosto 2008, n. 133 18 .<br />

Pertanto a seguito delle modifiche apportate al D.Lgs. 192/2005 dal d.l.<br />

112/2008 convertito con l. 133/2008 NON è più previsto l’obbligo di ALLEGA-<br />

ZIONE della certificazione energetica agli atti traslativi a titolo oneroso, obbligo<br />

che era previsto a pena di nullità (relativa) del contratto.<br />

Tuttavia, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di edifici per i quali sussista<br />

l’obbligo di dotazione della certificazione energetica (in pratica dal 1° luglio<br />

2009 tutti gli edifici a prescindere dall’epoca di costruzione, con la sola eccezione<br />

dei fabbricati esclusi dall’ambito di applicazione della certificazione energetica<br />

di cui sopra) vi è comunque l’obbligo a carico dell’alienante di CONSEGNA-<br />

RE al cessionario l’ATTESTATO di CERTIFICAZIONE ENERGETICA, obbligo<br />

che può farsi discendere:<br />

– dall’art. 1477 c.c., disposizione dettata per la vendita ma applicabile anche<br />

alla permuta ex art. 1555 c.c. ed, in via estensiva, a tutti gli atti traslativi a titolo<br />

oneroso in genere; detta disposizione così dispone: “Il venditore deve pure consegnare<br />

i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta”,<br />

documenti tra i quali può ora, a pieno titolo, ricomprendersi anche l’attestato di<br />

certificazione energetica, stante le finalità che a tale certificazione attribuisce la<br />

normativa in commento. L’importanza che riveste ora l’attestato di certificazione<br />

energetica ai fini della negoziazione e della successiva utilizzazione di un edificio<br />

è sottolineata anche dalle LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione energetica<br />

approvate con d.m. 26 giugno 2009 ove, al paragrafo 1, si precisa che:<br />

“Le presenti Linee guida definiscono un sistema di certificazione energetica<br />

degli edifici in grado di fornire informazioni sulla qualità energetica degli immobili<br />

e strumenti di chiara ed immediata comprensione:<br />

– per la valutazione della convenienza economica a realizzare interventi di<br />

riqualificazione energetica delle abitazioni;<br />

– per acquisti e locazioni di immobili che tengano adeguatamente conto della<br />

prestazione energetica degli edifici; …”.<br />

L’importanza che riveste ora l’attestato di certificazione energetica è, inoltre,<br />

confermata dalla disposizione dell’art. 2, comma 282, l. 244/2007 (“finanziaria<br />

18<br />

Così dispone l’art. 35, comma 2-bis, d.l. 112/2008 (testo emendato in sede di conversione<br />

con l. 133/2008):<br />

“Sono abrogati i commi 3 e 4 dell’art. 6 e commi 8 e 9 dell’articolo 15 del D.Lgs. 19 agosto 2005<br />

n. 192”.<br />

198<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

2008) a norma della quale, la presentazione dell’attestato di certificazione energetica,<br />

è CONDIZIONE imprescindibile per il rilascio del certificato di agibilità (e<br />

per giurisprudenza costante della Cassazione la mancata consegna del certificato<br />

di agibilità può essere fonte di danno risarcibile ovvero, nei casi più gravi,<br />

come nel caso di impossibilità di ottenere il rilascio di detto certificato, può addirittura<br />

legittimare la richiesta di risoluzione);<br />

– dall’art. 7, comma 1, Direttiva 2002/91/CE (in attuazione della quale è stato<br />

emanato il D.Lgs. 192/2005) che così dispone: “Gli stati membri provvedono<br />

a che, in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l’attestato<br />

di certificazione energetica sia messo a disposizione del proprietario o che<br />

questo lo metti a disposizione del futuro acquirente o locatario, a seconda dei<br />

casi”; la direttiva non impone la allegazione agli atti traslativi ma richiede più<br />

semplicemente che la certificazione energetica venga messa a disposizione del<br />

futuro acquirente. L’obbligo di consegna, quale conseguenza dell’obbligo di dotazione,<br />

non abrogato dalle nuove norme, appare quindi “coerente” con la prescrizione<br />

dell’art. 7, comma 1, della Direttiva;<br />

– dallo stesso art. 6, comma 1-bis, D.Lgs. 192/2005 che per i “fabbricati preesistenti”<br />

prevede l’obbligo di dotazione dell’attestato di certificazione energetica<br />

nel momento stesso in cui l’immobile viene trasferito a titolo oneroso: la disposizione<br />

ha un senso solo se si ritenga tale obbligo di dotazione funzionale<br />

alla consegna dell’attestazione energetica all’acquirente: cosa se ne fa, altrimenti,<br />

il proprietario di una simile certificazione proprio nel momento in cui si<br />

priva dell’edificio?<br />

Le Sanzioni<br />

Una volta ritenuto sussistente l’obbligo di consegna dell’attestazione di certificazione<br />

energetica, occorre chiedersi quali SANZIONI siano applicabili nel caso<br />

di violazione di tale obbligo.<br />

L’omessa consegna può considerarsi inadempimento di “non scarsa importanza”<br />

(stante gli interessi pubblici sottesi alla normativa dettata dal D.Lgs.<br />

192/2005) tale da legittimare addirittura la richiesta di risoluzione del contratto?<br />

Si ritiene di NO.<br />

Qui non è in discussione un obbligo di “adeguamento” degli immobili ai parametri<br />

di contenimento dei consumi energetici, ma si tratta, più semplicemente,<br />

di adempiere ad un obbligo di “informazione” posto che l’attestato di certificazione<br />

energetica si limita a “fotografare” quello che è lo “status energetico”<br />

dell’edificio (con eventuali suggerimenti per il miglioramento delle prestazioni<br />

energetiche). Una simile certificazione la si può ottenere in qualsiasi momento,<br />

anche successivamente alla stipula dell’atto. L’acquirente pertanto potrà ottenere,<br />

in proprio, l’attestato di certificazione energetica non consegnato dal venditore,<br />

con diritto al rimborso delle spese a tal fine sostenute e salvo sempre il risarcimento<br />

dei danni subiti.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 199


La certificazione energetica degli edifici<br />

Al riguardo può farsi riferimento alla giurisprudenza formatasi con riguardo alla<br />

fattispecie della mancata consegna all’acquirente del certificato di agibilità: per la<br />

Cassazione, infatti, la vendita di un immobile abitativo privo del certificato di abitabilità<br />

non è risolubile, anche se il venditore abbia assunto, pur implicitamente,<br />

l’obbligo di curare il rilascio del certificato, qualora sia dimostrato che l’immobile<br />

presenta tutte le caratteristiche necessarie per l’uso che gli è proprio e che il certificato<br />

possa essere agevolmente ottenuto, per cui l’inadempimento debba considerarsi<br />

di scarsa importanza e benché la mancata consegna del certificato integri<br />

pur sempre una inadempienza suscettibile di fondare un diritto al risarcimento del<br />

danno, in considerazione della ridotta commerciabilità dell’edificio 19 .<br />

Diverso, ovviamente, è il caso in cui il venditore in sede di trattativa contrattuale,<br />

abbia garantito una ben determinata prestazione energetica dell’immobile<br />

mentre poi dalla certificazione energetica, non consegnata dal venditore ma ottenuta<br />

direttamente dall’acquirente, l’immobile risulti rientrare in una “classe”<br />

energetica inferiore a quella promessa. In questo caso non vi è dubbio che troverà<br />

applicazione la disciplina dettata dall’art. 1497 c.c. (mancanza delle qualità<br />

promesse).<br />

Resta ferma, inoltre, l’applicazione nel caso di edifici di nuova costruzione la<br />

sanzione amministrativa posta a carico del costruttore/venditore che ometta di<br />

consegnare al proprietario/acquirente la certificazione energetica e di cui all’art.<br />

15, comma 7, D.Lgs. 192/2005 20 .<br />

6. INDEROGABILITÀ E/O DEROGABILITÀ DELLA DISCIPLINA IN TEMA<br />

DI CERTIFICAZIONE ENERGETICA<br />

A questo punto c’è da chiedersi se la disciplina in tema di dotazione della certificazione<br />

energetica sia o meno derogabile dalle parti. In pratica possono le parti<br />

convenire di non dotare un determinato immobile della certificazione energetica?<br />

La questione si pone, ovviamente, solo per i “fabbricati preesistenti” posto<br />

che per i “nuovi edifici” e per gli “edifici radicalmente ristrutturati” la certificazione<br />

energetica è dal 1° gennaio 2008 condizione per il rilascio del certificato di<br />

agibilità (e stante la specifica sanzione amministrativa a carico del costruttore<br />

per la mancata dotazione dell’attestato di certificazione energetica) mentre per i<br />

“fabbricati agevolati” è condizione per poter fruire delle agevolazioni (sgravi fiscali<br />

o contribuiti) richieste. Per queste tipologie edilizie, pertanto, la mancata<br />

dotazione comporta delle conseguenze negative (il mancato rilascio dell’agibili-<br />

19<br />

In questo senso Cass. 3687/1995; Cass. 8445/2000; Cass. 8800/2000.<br />

20<br />

Così dispone l’art. 15, comma 7, D.Lgs. 192/2005:<br />

“Il costruttore che non consegna al proprietario, contestualmente all’immobile, l’originale della<br />

certificazione energetica di cui all’articolo 6, comma 1, è punito con la sanzione amministrativa non<br />

inferiore a 5000 euro e non superiore a 30000 euro”.<br />

200<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

tà, la applicazione della sanzione amministrazione, la mancata concessione<br />

dell’agevolazione) per evitare le quali il venditore/costruttore sarà comunque indotto<br />

a rispettare la disciplina di legge.<br />

Ma per i “fabbricati preesistenti” lo strumento previsto per indurre il venditore<br />

ad osservare la disciplina in tema di dotazione della certificazione energetica<br />

era l’obbligo di allegazione all’atto traslativo (a pena di nullità relativa) (non per<br />

nulla l’obbligo di dotazione per tali fabbricati sorge nel momento stesso in cui<br />

viene posto in essere un atto traslativo); ma abrogato l’obbligo di allegazione è<br />

venuta meno ogni ragione (sia in termini di sanzione da evitare che in termini di<br />

incentivo o di agevolazione da non perdere) per indurre il venditore a dotare<br />

l’immobile in vendita della certificazione energetica. Pertanto è più che legittimo<br />

chiedersi se, venuto meno l’obbligo di allegazione (con relativa sanzione della<br />

nullità relativa), anche la disciplina in tema di dotazione, nel caso di “fabbricati<br />

preesistenti”, possa essere derogata, su accordo di entrambe le parti.<br />

Al riguardo si osserva quanto segue:<br />

– da un lato deve escludersi la derogabilità dell’obbligo di dotazione, stante<br />

gli interessi pubblici sottesi alla normativa dettata dal D.Lgs. 192/2005. L’obbligo<br />

di dotazione, infatti, non mira solo a tutelare gli interessi delle parti (ed in<br />

particolare dell’acquirente ad una completa informazione sullo status energetico<br />

degli immobili) ma mira anche, e soprattutto, a perseguire un interesse generale:<br />

quello volto ad ottenere un miglioramento delle prestazioni energetiche e<br />

quindi un contenimento dei consumi. Infatti l’art. 3, comma 1, D.Lgs. 192/2005<br />

stabilisce:<br />

“Salve le esclusioni di cui al comma 3, il presente decreto si applica, ai fini<br />

del contenimento dei consumi energetici:<br />

a) …<br />

b) …<br />

c) alla certificazione energetica degli edifici, secondo quanto previsto all’articolo<br />

6 …”.<br />

Inoltre, non si può non tenere conto di quanto dispone l’art. 7 comma 1 Direttiva<br />

2002/91/CE (in attuazione della quale è stato emanato il D.Lgs.<br />

192/2005); come già ricordato la direttiva non impone la allegazione agli atti traslativi<br />

ma richiede più semplicemente che la certificazione energetica venga<br />

messa a disposizione del futuro acquirente. Ciò che conta è che l’acquirente, in<br />

occasione di un trasferimento, entri, comunque, in possesso della certificazione.<br />

La semplice consegna, in occasione del trasferimento, in luogo dell’allegazione<br />

all’atto, consente, pertanto, il rispetto delle prescrizioni della Direttiva Europea e<br />

la DOTAZIONE appare funzionale alla consegna;<br />

– dall’altro, invece, non può escludersi la derogabilità della disciplina che<br />

impone al venditore l’obbligo di dotazione.<br />

Infatti se l’obbligo di allegazione faceva si che l’obbligo di dotazione, in<br />

quanto funzionale al primo, doveva essere adempiuto dal venditore prima della<br />

stipula dell’atto traslativo, il venir meno di detto obbligo non sembra escludere la<br />

Studi e Materiali – 1/2011 201


La certificazione energetica degli edifici<br />

possibilità che alla dotazione della attestazione energetica provveda il venditore<br />

o addirittura l’acquirente anche dopo la stipula dell’atto traslativo. Ciò che vuole<br />

il legislatore (inderogabilmente) è che in occasione di un trasferimento a titolo<br />

oneroso di un edificio, l’immobile sia dotato dell’attestato di certificazione energetica,<br />

affinché il nuovo proprietario, compiutamente informato circa le prestazioni<br />

energetiche e circa gli interventi da eseguire per migliorare dette prestazioni,<br />

possa adottare tutte le possibili iniziative per ridurre i consumi. E la dotazione<br />

dell’attestato dopo la stipula dell’atto ed eventualmente a cura dello stesso<br />

acquirente non va certo a pregiudicare tali finalità.<br />

Ovviamente sarà necessario un “patto espresso” con il quale:<br />

– o la parte acquirente consenta al venditore di adempiere al proprio obbligo<br />

di dotazione dopo la stipula dell’atto traslativo medesimo (fissando, in tal caso, il<br />

termine entro il quale tale obbligo deve essere adempiuto e le eventuali garanzie<br />

e/o penali per il caso di inadempimento);<br />

– ovvero le parti pongano a carico dell’acquirente l’obbligo di dotare l’edificio<br />

dell’attestato di certificazione energetica, con ciò derogando alla precisa disposizione<br />

dell’art. 6, comma 1-bis, D.Lgs. 192/2005 che impone, per i “fabbricati<br />

preesistenti”, l’obbligo di dotazione dell’attestazione energetica “con onere<br />

a carico del venditore”.<br />

Si ritiene che anche la previsione dell’adempimento dell’obbligo di dotazione<br />

DOPO la stipula dell’atto traslativo non si ponga in contrasto con norme inderogabili<br />

di legge: al riguardo si osserva che la disposizione dell’art. 6 comma 1-bis<br />

D.Lgs. 192/2005 richiede la dotazione dell’attestato “nel caso di trasferimento a<br />

titolo oneroso” e non “nel momento” del trasferimento a titolo oneroso; dopo l’abrogazione<br />

dell’obbligo di allegazione, pertanto, può fondatamente ritenersi che<br />

il trasferimento a titolo oneroso costituisca il presupposto per la dotazione ma<br />

non anche il momento stesso in cui tale obbligo debba necessariamente essere<br />

adempiuto.<br />

Né la previsione dell’adempimento dell’obbligo di dotazione DOPO la stipula<br />

dell’atto traslativo sembra porsi in contrasto con le LINEE GUIDA PER LA<br />

CERTIFICAZIONE ENERGETICA (approvate con d.m. 26 giugno 2009) ed in<br />

particolare con gli scopi che dette LINEE GUIDA attribuiscono alle informazioni<br />

contenute nell’attestato di certificazione energetica, che sarebbero finalizzate 21 :<br />

a) alla valutazione della convenienza economica a realizzare interventi di riqualificazione<br />

energetica delle abitazioni;<br />

b) a consentire acquisti e locazioni di immobili che tengano adeguatamente<br />

conto della prestazione energetica degli edifici.<br />

Lo scopo sub b) sembrerebbe, in realtà, precludere una dotazione successiva<br />

all’atto traslativo: tuttavia detto scopo, riguardando l’interesse particolare<br />

dell’acquirente ad un confronto, sotto il profilo dell’efficienza energetica, tra le<br />

21<br />

Vedi il paragrafo 1 delle Linee Guida.<br />

202<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

proposte che offre il mercato immobiliare, a nostro parere rientra nella disponibilità<br />

delle parti, per cui l’acquirente ben potrebbe rinunciare a tale “funzione”<br />

dell’attestato di certificazione energetica (si pensi al caso dell’acquirente che intende<br />

acquistare un determinato immobile per la sua specifica localizzazione e,<br />

quindi, a prescindere da ogni giudizio sull’efficienza energetica).<br />

Al contrario lo scopo di cui sub a) non rientra, invece, nella disponibilità delle<br />

parti, per cui l’acquirente non potrebbe rinunciare a tale “funzione” dell’attestato<br />

di certificazione energetica, trattandosi di funzione che risponde ad interessi<br />

pubblicistici e quindi non disponibili. Ma lo scopo di cui sub a) ben può essere<br />

perseguito anche mediante la dotazione successiva all’atto traslativo.<br />

Non è mancato tra i commentatori della normativa in oggetto chi ha escluso<br />

la derogabilità della disciplina che impone al venditore l’obbligo di dotazione<br />

prima dell’atto traslativo, e ciò sulla base della considerazione che se l’obbligo<br />

di dotazione è inderogabile in quanto rispondente ad interessi pubblici deve<br />

considerarsi inderogabile anche l’onere posto a carico del venditore di adempiere<br />

a tale obbligo prima della vendita; tuttavia tale tesi, a nostro parere, non tiene<br />

conto dell’evoluzione legislativa alla quale si è assistito in materia. Prima del 22<br />

agosto 2008 SICURAMENTE l’obbligo di dotazione doveva essere adempiuto<br />

dal venditore PRIMA della stipula dell’atto traslativo e ciò per il semplice motivo<br />

che l’obbligo di dotazione era funzionale all’adempimento dell’obbligo di allegazione<br />

(prescritto a pena di nullità relativa). Ed a garantire l’adempimento dell’obbligo<br />

di dotazione prima dell’atto traslativo era chiamato il Notaio, che non poteva<br />

ricevere un atto traslativo senza certificazione energetica (la nullità relativa<br />

prevista per un contratto privo di certificazione energetica costituiva il disinnesco<br />

della disposizione dell’art. 27 l. notarile e consentiva al Notaio di rifiutare legittimamente<br />

di ricevere un atto senza certificazione energetica).<br />

Dopo il 22 agosto 2008 tutto cambia: non c’è più l’obbligo di allegazione, anche<br />

se è rimasto l’obbligo di dotazione. Il Notaio non ha più “strumenti” per imporre<br />

l’osservanza dell’obbligo di dotazione. Si tratta, pertanto, di capire quale<br />

significato bisogna attribuire alla riforma della l. 133/2008. A nostro parere non<br />

può trattarsi di una modifica di carattere esclusivamente formale/redazionale.<br />

Se il legislatore avesse voluto solo semplificare le modalità redazionali dell’atto<br />

traslativo (evitando alle parti di dovere procedere a “fastidiose” allegazioni) non<br />

si comprende perché il legislatore sia intervenuto anche sui contratti di locazione<br />

(per i quali non era prescritta alcun tipo di allegazione). Poteva estendere<br />

anche agli atti traslativi la disciplina dettata per le locazioni (imponendo semplicemente<br />

la consegna e/o messa a disposizione) e cancellando comunque la<br />

nullità. Ma ciò non ha fatto. Non ha abolito l’obbligo di dotazione ma non ha<br />

neppure previsto un obbligo di consegna e/o dotazione da espletarsi prima o<br />

quanto meno contestualmente alla stipula dell’atto traslativo. Alla modifica legislativa<br />

deve, pertanto, attribuirsi anche una portata di carattere sostanziale nel<br />

senso cioè della volontà del legislatore di rendere il procedimento di dotazione<br />

meno rigido, più elastico. Se ciò che conta è che l’acquirente venga a cono-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 203


La certificazione energetica degli edifici<br />

scenza di quali interventi fare per migliorare l’efficienza energetica dell’immobile<br />

(che è un po’ il punto qualificante dell’attestato di certificazione energetica, come<br />

anche chiarito al paragrafo 1 delle Linee Guida Nazionali) poco importa se di tutto<br />

ciò l’acquirente venga a conoscenza prima o dopo la stipula della vendita.<br />

Sulla base di queste considerazioni (per dare cioè un significato ad una modifica<br />

legislativa a nostro parere “inopportuna”) si è giunti, pertanto, alle conclusioni<br />

sopra riportate e cioè:<br />

– che da un lato deve escludersi la derogabilità dell’obbligo di dotazione,<br />

stante gli interessi pubblici sottesi alla normativa dettata dal D.Lgs. 192/2005<br />

(non sarebbe, cioè, possibile una clausola con la quale parte venditrice e parte<br />

acquirente si accordano per escludere l’obbligo di dotazione);<br />

– che dall’altro, invece, non può escludersi la derogabilità della disciplina<br />

che impone al venditore l’obbligo di dotazione prima della stipula dell’atto traslativo<br />

(compresa la cd. “ambulatorietà dell’obbligo di dotazione in capo all’acquirente)<br />

(sarebbe, in tal modo, possibile una clausola con la quale prevedere che<br />

l’obbligo di dotazione può essere adempiuto dal venditore ovvero dall’acquirente<br />

dopo la stipula della compravendita).<br />

Limiti alla derogabilità alla disciplina che impone al venditore l’obbligo<br />

di dotazione<br />

La deroga alla disciplina che impone al venditore l’obbligo di dotazione prima<br />

dell’atto traslativo è peraltro ammissibile solo per i cd. “FABBRICATI PRE-<br />

ESISTENTI” (di cui al paragrafo 3) e non anche per gli edifici che debbono essere<br />

dotati di certificazione energetica a prescindere da un loro trasferimento (di<br />

cui al paragrafo 2).<br />

Riteniamo, infatti che la previsione dell’obbligo di dotazione post trasferimento<br />

e la “ambulatorietà dell’obbligo di dotazione” (a carico, cioè, dell’acquirente)<br />

siano ipotizzabili solo laddove presupposto della dotazione sia un “trasferimento<br />

a titolo oneroso” che preveda l’entrata in scena di un “acquirente” (che assuma<br />

a proprio carico l’onere della dotazione o consenta al venditore di adempiere<br />

all’obbligo di dotazione dopo la stipula) e non anche quando il presupposto di<br />

dotazione prescinda del tutto da un trasferimento (come ad esempio l’ultimazione<br />

lavori per i cd. “NUOVI EDIFICI”).<br />

Inoltre, come sopra già ricordato, per i cd. “NUOVI EDIFICI” e per i cd. “EDI-<br />

FICI RADICALMENTE RISTRUTTURATI” la mancata dotazione della certificazione<br />

energetica comporta l’impossibilità di ottenere il certificato di agibilità (con<br />

tutte le conseguenze sul piano amministrativo e sul piano civilistico, in caso di<br />

vendita, che ne derivano) nonchè la comminatoria di una rilevante sanzione<br />

amministrativa a carico del costruttore/venditore mentre per i cd. “FABBRICATI<br />

AGEVOLATI” la mancata dotazione della certificazione energetica comporta<br />

l’impossibilità di fruire delle agevolazioni (sgravi fiscali o contribuiti) richieste.<br />

Per queste tipologie edilizie, pertanto, la mancata dotazione comporta di per sè<br />

delle conseguenze negative che il venditore/costruttore non potrà evitare posti-<br />

204<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

cipando l’adempimento dell’obbligo di dotazione ovvero con l’ambulatorietà a<br />

carico dell’acquirente per cui lo stesso sarà, comunque. tenuto a rispettare in<br />

“prima persona” la disciplina di legge, prima della stipula dell’atto traslativo 22 .<br />

Ovviamente, se in occasione del trasferimento di un “fabbricato preesistente”<br />

il venditore abbia regolarmente dotato l’edificio della certificazione energetica<br />

ovvero l’obbligo di dotazione sia stato posto a carico dell’acquirente, quell’edificio<br />

dovrà, in caso di successiva rivendita (entro i dieci anni, termine di validità<br />

della certificazione energetica) essere equiparato, a tutti gli effetti, a gli edifici<br />

già dotati di certificazione energetica a prescindere dal trasferimento (e pertanto<br />

non ci si potrà avvalere o non ci si potrà più avvalere della deroga alla disciplina<br />

che impone al venditore l’obbligo di dotazione prima del trasferimento).<br />

La deroga alla disciplina che impone al venditore l’obbligo di dotazione prima<br />

del trasferimento, VA INOLTRE ESCLUSA anche in tutte quelle Regioni nelle<br />

quali sia stata emanata specifica normativa in materia di efficienza energetica,<br />

che preveda l’obbligo di allegazione agli atti traslativi a titolo oneroso dell’attestato<br />

di certificazione energetica.<br />

In questi casi la necessità di rispettare l’obbligo di allegazione, discendente<br />

dalla normativa regionale, esclude la possibilità stessa di posticipare la dotazione<br />

della certificazione energetica ad un momento successiva alla stipula dell’atto<br />

traslativo. La dotazione “preventiva” a carico del venditore in quanto caso è<br />

funzionale al rispetto dell’obbligo di allegazione.<br />

22<br />

Alla luce delle considerazioni svolte non si possono condividere le conclusioni alle quali giunge,<br />

sull’argomento, l’Ufficio Studi del CNN nello studio n. 334/2009/C approvato dalla Commissione<br />

studi civilistici il 16 giugno 2009 (pubblicato in CNN Notizie del 24 giugno 2009) là dove viene estesa<br />

la possibilità dell’ambulatorietà dell’obbligo di dotazione anche per i cd. “NUOVI EDIFICI” e per i<br />

cd. “EDIFICI RADICALMENTE RISTRUTTURATI” e non si pone alcun limite per i cd. “FABBRICATI<br />

PREESISTENTI”.<br />

Si riportano qui di seguito le considerazioni svolte dall’Ufficio studi CNN:<br />

“a) Trasferimento di un “vecchio” edificio: in tale caso, pur non essendo sanzionata dal decreto<br />

la mancata dotazione della certificazione energetica, il notaio avvertirà le parti del mancato rispetto<br />

dell’art. 6 comma 1 bis, invitandole a disciplinare come regolare l’obbligo, che potrebbe restare in<br />

capo al venditore come per l. (art. 6, co. 1 bis) – prevedendosi eventualmente (con valutazione da<br />

compiere caso per caso, in base alla volontà espressa dalle parti) anche le sanzioni di tipo contrattuale<br />

a carico del venditore inadempiente – ovvero, spostarsi in capo al compratore.<br />

b )Trasferimento di edificio nuovo ovvero soggetto a ristrutturazione c.d. importante ex art. 3 co.<br />

2 lett. a) del decreto: anche in questa ipotesi vale quanto detto sub a) compresa la possibilità di pattuire<br />

liberamente a carico di chi graverà l’obbligo della dotazione della certificazione. In tale ipotesi,<br />

inoltre, il notaio rammenterà al costruttore la sanzione a suo carico di cui all’art 15 co. 7 del decreto.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 205


La certificazione energetica degli edifici<br />

7. CONTENUTO E CARATTERISTICHE DELL’ATTESTATO DI CERTIFICAZIONE<br />

ENERGETICA – TECNICO ABILITATO AL RILASCIO<br />

Il contenuto<br />

L’ATTESTATO di CERTIFICAZIONE ENERGETICA deve essere redatto<br />

sulla base dei criteri indicati nelle LINEE GUIDA NAZIONALI PER LA CERTI-<br />

FICAZIONE ENERGETICA approvate con Decreto Ministero dello Sviluppo E-<br />

conomico 26 giugno 2009 (pubblicato in G.U. n. 158 del 10 luglio 2009 ed in vigore<br />

dal 25 luglio 2009) e nel rispetto dei contenuti minimi di cui agli schemi riportati<br />

negli allegati 6 e 7 delle suddette LINEE GUIDA.<br />

In particolare la procedura per il rilascio dell’attestato di certificazione energetica<br />

trova la propria disciplina nel paragrafo 8 delle LINEE GUIDA NAZIONA-<br />

LI per la certificazione energetica (approvate con d.m. 26 giugno 2009) 23 .<br />

23<br />

Cosi dispone il paragrafo 8 delle LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione energetica<br />

(approvate con d.m. 26 giugno 2009):<br />

“8. Procedura di certificazione energetica degli edifici<br />

La certificazione va richiesta, a proprie spese, dal titolare del titolo abilitativo a costruire, comunque<br />

denominato, o dal proprietario, o dal detentore dell’immobile, ai Soggetti certificatori riconosciuti<br />

ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c),<br />

del D.Lgs., con le disposizioni, ivi previste, per assicurare indipendenza ed imparzialità di giudizio<br />

dei medesimi soggetti nei differenti casi di edifici nuovi od esistenti.<br />

La procedura di certificazione energetica degli edifici comprende il complesso di operazioni<br />

svolte dai Soggetti certificatori ed in particolare:<br />

1. l’esecuzione di una diagnosi, o di una verifica di progetto, finalizzata alla determinazione della<br />

prestazione energetica dell’immobile e all’individuazione degli interventi di riqualificazione energetica<br />

che risultano economicamente convenienti:<br />

a) il reperimento dei dati di ingresso, relativamente alle caratteristiche climatiche della località,<br />

alle caratteristiche dell’utenza, all’uso energetico dell’edificio e alle specifiche caratteristiche<br />

dell’edificio e degli impianti, avvalendosi, in primo luogo dell’attestato di qualificazione energetica;<br />

b) la determinazione della prestazione energetica mediante applicazione di appropriata metodologia,<br />

secondo quanto indicato ai precedenti paragrafi 4 e 5, relativamente a tutti gli usi energetici,<br />

espressi in base agli indici di prestazione energetica EP totale e parziali;<br />

c) l’individuazione delle opportunità di intervento per il miglioramento della prestazione energetica<br />

in relazione alle soluzioni tecniche proponibili, ai rapporti costi-benefici e ai tempi di ritorno degli<br />

investimenti necessari a realizzarle;<br />

2. la classificazione dell’edificio in funzione degli indici di prestazione energetica di cui alla lettera<br />

b), del punto 1, e il suo confronto con i limiti di legge e le potenzialità di miglioramento in relazione<br />

agli interventi di riqualificazione individuati;<br />

3. il rilascio dell’attestato di certificazione energetica.<br />

Le modalità esecutive della diagnosi di cui al punto 1 possono essere diverse e commisurate al<br />

livello di complessità della metodologia di calcolo utilizzata per la valutazione della prestazione e-<br />

nergetica, come precisato al paragrafo 4.<br />

Il richiedente il servizio di certificazione energetica può, ai sensi dell’articolo 6, comma 2bis, del<br />

D.Lgs., rendere disponibili a proprie spese i dati relativi alla prestazione energetica dell’edificio o<br />

dell’unità immobiliare. Lo stesso può richiedere il rilascio dell’attestato di certificazione energetica<br />

sulla base di:<br />

– un attestato di qualificazione energetica relativo all’edificio o alla unità immobiliare oggetto di<br />

certificazione, anche non in corso di validità, evidenziando eventuali interventi su edifici ed impianti<br />

eseguiti successivamente;<br />

(segue)<br />

206<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

A norma dell’art. 2, comma 1, lett d), D.Lgs. 192/2005 “l’attestato di certificazione<br />

energetica è il documento attestante la prestazione energetica ed eventualmente<br />

alcuni parametri energetici caratteristici dell’edificio”.<br />

A sua volta per l’art. 6, comma 6, D.Lgs. 192/2005 “l’attestato di certificazione<br />

energetica comprende:<br />

– i dati relativi all’efficienza energetica propri dell’edificio;<br />

– i valori vigenti a norma di legge e i valori di riferimento, che consentono ai<br />

cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell’edificio;<br />

– i suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente<br />

convenienti per il miglioramento della predetta prestazione”.<br />

– le risultanze di una diagnosi energetica effettuata da tecnici abilitati con modalità coerenti con<br />

i metodi di valutazione della prestazione energetica attraverso cui si intende procedere.<br />

Il Soggetto certificatore è tenuto ad utilizzare e valorizzare i documenti sopra indicati (ed i dati in<br />

essi contenuti), qualora esistenti e resi disponibili dal richiedente. L’attestato di qualificazione e la<br />

diagnosi predetti, in considerazione delle competenze e delle responsabilità assunte dai firmatari<br />

degli stessi, sono strumenti che favoriscono e semplificano l’attività del Soggetto certificatore e riducono<br />

l’onere a carico del richiedente.<br />

In particolare l’attestato di qualificazione, di cui al comma 2, dell’articolo 8, del D.Lgs., è obbligatorio<br />

per gli edifici di nuova costruzione e per gli interventi ricadenti nell’ambito di applicazione di cui<br />

all’articolo 3, comma 2, lettere a), b) e c), del medesimo D.Lgs., in questo ultimo caso limitatamente<br />

alle ristrutturazioni totali. L’attestato di qualificazione energetica deve essere predisposto da un tecnico<br />

abilitato non necessariamente estraneo alla proprietà, alla progettazione o alla realizzazione<br />

dell’edificio.<br />

L’attestato di qualificazione energetica degli edifici si differenzia da quello di certificazione, essenzialmente<br />

per i soggetti che sono chiamati a redigerlo e per l’assenza dell’attribuzione di una<br />

classe di efficienza energetica all’edificio in esame (solamente proposta dal tecnico che lo redige).<br />

Al di fuori di quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. l’attestato di qualificazione e-<br />

nergetica è facoltativo e può essere predisposto dall’interessato al fine di semplificare il successivo<br />

rilascio della certificazione energetica.<br />

Uno schema di attestato di qualificazione energetica, con i suoi contenuti minimi è riportato<br />

nell’allegato 5.<br />

Entro i quindici giorni successivi alla consegna al richiedente dell’attestato di certificazione e-<br />

nergetica, il Soggetto certificatore trasmette copia del certificato alla Regione o Provincia autonoma<br />

competente per territorio.<br />

Nel caso di edifici di nuova costruzione o di interventi ricadenti nell’ambito di applicazione di cui<br />

all’articolo 3, comma 2, lettere a), b) e c), del medesimo D.Lgs., in questo ultimo caso limitatamente<br />

alle ristrutturazioni totali, la nomina del Soggetto certificatore avviene prima dell’inizio dei lavori.<br />

Nei medesimi casi, qualora fossero presenti, a livello regionale o locale, incentivi legati alla qualità<br />

energetica dell’edificio (bonus volumetrici, ecc.), la richiesta dell’attestato di certificazione energetica<br />

può essere resa obbligatoria prima del deposito della richiesta di autorizzazione edilizia.<br />

In tali ambiti, al fine di consentire controlli in corso d’opera, può essere previsto che il direttore<br />

dei lavori segnali al Soggetto certificatore le varie fasi della costruzione dell’edificio e degli impianti,<br />

rilevanti ai fini delle prestazioni energetiche dell’edificio.<br />

Il Soggetto certificatore, nell’ambito della sua attività di diagnosi, verifica o controllo, può procedere<br />

alle ispezioni e al collaudo energetico delle opere, avvalendosi, ove necessario di tecniche<br />

strumentali.<br />

Le condizioni e le modalità attraverso cui è stata effettuata la valutazione della prestazione e-<br />

nergetica di un edificio o di una unità immobiliare viene indicata esplicitamente nel relativo attestato,<br />

anche ai fini della determinazione delle conseguenti responsabilità.<br />

Schemi di attestato di certificazione energetica, con i suoi contenuti minimi sono riportati negli<br />

allegati 6 ed 7, rispettivamente per edifici residenziali e non residenziali.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 207


La certificazione energetica degli edifici<br />

In pratica l’ATTESTATO DI CERTIFICAZIONE ENERGETICA deve attestare<br />

la “prestazione energetica” e la efficienza energetica” degli edifici.<br />

Scopo dell’attestato di certificazione energetica, come chiarito nelle LINEE<br />

GUIDA è fornire informazioni sulla qualità energetica degli immobili e strumenti<br />

di chiara ed immediata comprensione:<br />

– per la valutazione della convenienza economica a realizzare interventi di<br />

riqualificazione energetica delle abitazioni;<br />

– per acquisti e locazioni di immobili che tengano adeguatamente conto della<br />

prestazione energetica degli edifici.<br />

Campo di Applicazione<br />

Il paragrafo 2 delle LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione energetica<br />

(approvate con d.m. 26 giugno 2009) delinea quello che è il campo di applicazione<br />

della normativa in materia di certificazione energetica.<br />

Innanzitutto viene chiarito che l’obbligo di dotazione dell’attestato di certificazione<br />

energetica riguarda:<br />

– gli edifici adibiti a residenza e assimilibali;<br />

– gli edifici adibiti a uffici e assimilabili;<br />

– gli edifici adibiti a ospedali, cliniche o case di cura e assimilabili;<br />

– gli edifici adibiti ad attività ricreative o di culto e assimilabili;<br />

– gli edifici adibiti ad attività commerciali e assimilabili;<br />

– gli edifici adibiti ad attività sportive;<br />

– gli edifici adibiti ad attività scolastiche a tutti i livelli e assimilabili;<br />

– gli edifici adibiti ad attività industriali ed artigianali e assimilabili<br />

così come più compiutamente definiti e descritti dall’art. 3 del d.P.R. 26 agosto<br />

1993, n. 412 24 e prescinde dall’esistenza nell’edificio da certificare di impianti<br />

24<br />

Si riporta il testo dell’art. 3 d.P.R. 26 agosto 1993 n. 412:<br />

“Classificazione generale degli edifici per categorie.<br />

1. Gli edifici sono classificati in base alla loro destinazione d’uso nelle seguenti categorie:<br />

E.1 Edifici adibiti a residenza e assimilabili:<br />

E.1 (1) abitazioni adibite a residenza con carattere continuativo, quali abitazioni civili e rurali,<br />

collegi, conventi, case di pena, caserme;<br />

E.1 (2) abitazioni adibite a residenza con occupazione saltuaria, quali case per vacanze, fine<br />

settimana e simili;<br />

E.1 (3) edifici adibiti ad albergo, pensione ed attività similari.<br />

E.2 Edifici adibiti a uffici e assimilabili: pubblici o privati, indipendenti o contigui a costruzioni a-<br />

dibite anche ad attività industriali o artigianali, purché siano da tali costruzioni scorporabili agli effetti<br />

dell’isolamento termico.<br />

E.3 Edifici adibiti a ospedali, cliniche o case di cura e assimilabili ivi compresi quelli adibiti a ricovero<br />

o cura di minori o anziani nonché le strutture protette per l’assistenza ed il recupero dei tossico-dipendenti<br />

e di altri soggetti affidati a servizi sociali pubblici.<br />

E.4 Edifici adibiti ad attività ricreative o di culto e assimilabili:<br />

E.4 (1) quali cinema e teatri, sale di riunioni per congressi;<br />

E.4 (2) quali mostre, musei e biblioteche, luoghi di culto;<br />

E.4 (3) quali bar, ristoranti, sale da ballo;<br />

(segue)<br />

208<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

di riscaldamento, di produzione di acqua calda o di raffrescamento 25 . La presenza,<br />

pertanto, di un impianto di climatizzazione o di produzione di acqua calda,<br />

non è condizione imprescindibile per il sorgere dell’obbligo di dotazione<br />

dell’attestato di certificazione energetica. Tant’è vero che nell’ALLEGATO 1 delle<br />

Linee Guida Nazionali sono state riportate specifiche indicazioni per il calcolo<br />

della prestazione energetica di edifici non dotati di impianto di climatizzazione<br />

invernale e/o di produzione di acqua calda sanitaria 26 .<br />

In secondo luogo si è precisato che restano esclusi dall’obbligo di dotazione<br />

della certificazione energetica i box, le cantine, le autorimesse, i parcheggi multipiano,<br />

i depositi, le strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi, ecc. (la<br />

certificazione è peraltro richiesta con riguardo alle porzioni eventualmente adibite<br />

ad uffici e assimilabili, purché scorporabili agli effetti dell’isolamento termico) 27 .<br />

L’elencazione contenuta nel secondo comma del paragrafo 2 delle Linee Guida<br />

Nazionali deve ritenersi NON tassativa; l’utilizzo dell’espressione “ecc.” a chiusura<br />

dell’elencazione medesima lascia, infatti, intendere che nella disposizione<br />

esonerativa dall’obbligo di certificazione rientrino tutti gli edifici che, al pari di quelli<br />

espressamente elencati, o per le ridotte dimensioni ovvero per l’uso cui sono destinati<br />

(normalmente a servizio di altri beni “principali), non pongono neppure un<br />

problema di efficienza energetica (a prescindere dall’esistenza o meno di impianti<br />

di qualsiasi genere), e che quindi siano per tali motivi “assimilabili” a quelli e-<br />

spressamente menzionati, e quindi meritevoli di essere assoggettati alla medesi-<br />

E.5 Edifici adibiti ad attività commerciali e assimilabili: quali negozi, magazzini di vendita all’ingrosso<br />

o al minuto, supermercati, esposizioni;<br />

E.6 Edifici adibiti ad attività sportive:<br />

E.6 (1) piscine, saune e assimilabili;<br />

E.6 (2) palestre e assimilabili;<br />

E.6 (3) servizi di supporto alle attività sportive.<br />

E.7 Edifici adibiti ad attività scolastiche a tutti i livelli e assimilabili.<br />

Qualora un edificio sia costituito da parti individuali come appartenenti a categorie diverse, le<br />

stesse devono essere considerate separatamente e cioè ciascuna nella categoria che le compete”.<br />

25<br />

Così dispone il primo comma del paragrafo 2 delle Linee Guida Nazionali per la certificazione<br />

energetica (approvate con d.m. 26 giugno 2009):<br />

“Ai sensi del D.Lgs. la certificazione energetica si applica a tutti gli edifici delle categorie di cui<br />

all’articolo 3, del decreto Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, indipendentemente<br />

dalla presenza o meno di uno o più impianti tecnici esplicitamente od evidentemente dedicati ad<br />

uno dei servizi energetici di cui è previsto il calcolo delle prestazioni.”<br />

26<br />

Ad esempio, nell’allegato 1 suddetto, si precisa che in presenza di edifici che superano un determinato<br />

indice di prestazione dell’involucro edilizio (con esclusione, peraltro, degli edifici industriali),<br />

“in considerazione del concetto di certificazione della prestazione basato sull’ipotesi di utilizzo<br />

convenzionale e standard dell’edificio in esame, si presume che le condizioni di comfort invernale<br />

siano raggiunte grazie ad apparecchi alimentati dalla rete elettrica”.<br />

27<br />

Così dispone il secondo comma del paragrafo 2 delle Linee Guida Nazionali per la certificazione<br />

energetica (approvate con d.m. 26 giugno 2009):<br />

“Si sottolinea che tra le categorie predette non rientrano, box, cantine, autorimesse, parcheggi<br />

multipiano, depositi, strutture stagionali a protezione degli impianti sportivi, ecc. se non limitatamente<br />

alle porzioni eventualmente adibite ad uffici e assimilabili, purché scorporabili agli effetti<br />

dell’isolamento termico.”<br />

Studi e Materiali – 1/2011 209


La certificazione energetica degli edifici<br />

ma disciplina di esclusione. Si pensi ad esempio ad una tettoia, ad un manufatto<br />

o ad un locale destinato a centrale termica, e ad altri similari.<br />

Si ritiene, inoltre, che l’esclusione operi sia nel caso in cui gli immobili suddetti<br />

siano venduti separatamente (ad esempio compravendita del solo garage)<br />

sia nel caso in cui siano venduti unitamente al bene principale del quale costituiscono<br />

pertinenza (ad es. compravendita di appartamento con relativo garage).<br />

In questo ultimo caso, ovviamente, l’esclusione varrà solo per la pertinenza<br />

(nell’esempio il garage) mentre il bene principale (nell’esempio l’appartamento)<br />

dovrà essere dotato di attestato di certificazione energetica.<br />

L’autodichiarazione<br />

Il paragrafo 9 delle LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione energetica<br />

(approvate con d.m. 26 giugno 2009) 28<br />

prevede una sorta di “semplificazione”,<br />

consistente in un’AUTODICHIARAZIONE, per evitare costi al venditore nel<br />

caso di immobili (normalmente vetusti) costruiti in epoche nelle quali non ci si<br />

poneva alcun problema in tema di “efficienza energetica” e che quindi, molto<br />

presumibilmente, risultano essere di scadente qualità energetica. In questo caso<br />

si è ritenuto “inutile” e oltremodo dispendioso per il proprietario dover ricorrere<br />

ad un tecnico per ottenere una certificazione che attesti uno “status energetico”<br />

comunque scadente. Si è, pertanto, ritenuto di dover concedere al proprietario<br />

la possibilità di rilasciare, in sostituzione della certificazione energetica,<br />

un’apposita dichiarazione attestante che l’immobile appartiene alla peggiore<br />

delle classi energetiche previste dal sistema di certificazione nazionale (la classe<br />

“G”) e che, conseguentemente, i costi i gestione energetica dell’edificio sono<br />

molto alti.<br />

Riteniamo che la disposizione in esame voglia prescindere da un effettivo<br />

accertamento della categoria energetica da parte del proprietario/autodichiarante,<br />

così che a detta autodichiarazione si possa ricorrere anche in presenza<br />

di edifici che potrebbero rientrate (se “certificati”) in altre categorie diverse dalla<br />

“G” (“F”, “E”, ecc.). In caso contrario, posto che i proprietari, nella maggior parte<br />

dei casi, non sono in possesso delle cognizioni tecniche necessarie e dovrebbero<br />

pertanto far ricorso ad un professionista abilitato, verrebbe meno la ragione<br />

stessa che sta alla base della disposizione di semplificazione in commento.<br />

28<br />

Il paragrafo 9 delle Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica approvate con d.m.<br />

26 giugno 2009 così dispone:<br />

“Per gli edifici di superficie utile inferiore o uguale a 1000 mq e ai soli fini di cui al comma 1bis,<br />

dell’articolo 6, del D.Lgs., mantenendo la garanzia di una corretta informazione dell’acquirente, il<br />

proprietario dell’edificio, consapevole della scadente qualità energetica dell’immobile, può scegliere<br />

di ottemperare agli obblighi di legge attraverso una sua dichiarazione in cui afferma che:<br />

– l’edificio è di classe energetica G;<br />

– i costi per la gestione energetica dell’edificio sono molto alti;<br />

Entro quindici giorni dalla data del rilascio di detta dichiarazione, il proprietario ne trasmette copia<br />

alla Regione o Provincia autonoma competente per territorio.”<br />

210<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

Ovviamente, quando non sia evidente e fuori dubbio che l’edificio, per le sue<br />

condizioni, ricade in categoria “G”, per avvalersi di questa autodichiarazione, in<br />

luogo della certificazione, il proprietario finisce col penalizzarsi, attribuendo all’immobile<br />

una categoria (quella “G”) peggiore di quella che potrebbe risultare<br />

dalla certificazione energetica. E tutto ciò inciderà sull’appetibilità commerciale<br />

e quindi sul valore del bene: si tratterà, per il proprietario, di una semplificazione<br />

con penalizzazione commerciale. Un prezzo da pagare per la semplificazione (il<br />

proprietario dovrà valutare di volta in volta il rapporto tra riduzione del valore<br />

commerciale del bene e risparmio dei costi per la certificazione).<br />

L’autodichiarazione, quindi, non potrà che attestare l’appartenenza dell’immobile<br />

alla categoria “G”, ossia alla peggiore delle classi energetiche, e ciò per<br />

“mantenere la garanzia di una corretta informazione dell’acquirente” così come<br />

prescrive la disposizione in commento. In pratica l’appartenenza dell’edificio in<br />

vendita all’una o all’altra delle classi del sistema di certificazione non può risultare<br />

da una dichiarazione di parte, ma solo ed esclusivamente da una certificazione<br />

rilasciata da tecnico abilitato. In mancanza di tale certificazione si deve<br />

presumere che l’edificio sia di scadente qualità energetica ed appartenga alla<br />

classe “G” ossia alla più bassa delle scala. L’acquirente, pertanto, non potrà<br />

neppure essere indotto a ritenere che l’edificio in vendita appartenga ad una<br />

classe superiore alla “G” se non gli viene consegnata una specifica certificazione<br />

rilasciata da tecnico abilitato. In tal modo, col dichiarare che l’edificio è in<br />

classe “G”, ai fini della dispensa dall’obbligo di dotazione dell’attestato di certificazione<br />

energetica, viene sempre garantita “una corretta informazione dell’acquirente”.<br />

La disposizione in commento (paragrafo 9 delle Linee Guida) pone peraltro<br />

delle condizioni per avvalersi della AUTODICHIARAZIONE:<br />

a) deve necessariamente trattarsi dei cd. “FABBRICATI PREESISTENTI”<br />

(ossia di fabbricati costruiti o radicalmente ristrutturati in base a titolo edilizio richiesto<br />

PRIMA dell’8 ottobre 2005). Infatti la disposizione in commento prevede<br />

la autodichiarazione “ai soli fini di cui al comma 1-bis dell’art. 6 del D.Lgs.<br />

192/2005” che appunto riguarda specificatamente i “fabbricati preesistenti”. Tutto<br />

ciò ha una logica se si tien conto per per i fabbricati costruiti o radicalmente<br />

ristrutturati in base a titolo edilizio richiesto DOPO l’8 ottobre 2005 la normativa<br />

vigente impone il rispetto di specifiche prescrizioni volte a garantire un’ottimale<br />

efficienza energetica (detti fabbricati pertanto dovrebbero rientrare in categoria<br />

non inferiore alla “C”);<br />

b) deve trattarsi di “edifici di superficie utile inferiore o uguale a 1000 mq.”; al<br />

riguardo si precisa:<br />

– che per “edificio”, ai fini della disposizione in commento, si deve intendere<br />

sia l’intero fabbricato che le parti di fabbricato progettate o ristrutturate per essere<br />

utilizzate come unità immobiliari a sé stati (come ad esempio gli apparta-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 211


La certificazione energetica degli edifici<br />

menti in edifici condominiali, le villette in complessi “a schiera”, ecc.), stante la<br />

definizione di “edificio” contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. 192/2005 29 ;<br />

si ritiene, inoltre, che se nello stesso atto vengono trasferiti più “edifici” (ad e-<br />

sempio più appartamenti ricompresi nello stesso edificio condominiale) il limite<br />

di “1000 mq.” vada riferito a ciascun singolo edificio e si potrà ricorrere alla AU-<br />

TODICHIARAZIONE qualora ciascun singolo “edificio” abbia una superficie inferiore<br />

o uguale a 1000 mq., anche se nel loro complesso, superano i 1000 mq.;<br />

– che per “superficie utile”, ai fini della disposizione in commento, si deve intendere<br />

“la superficie netta calpestabile di un edificio” stante la definizione di<br />

“superficie utile” contenuta nel comma 38 dell’Allegato A del D.Lgs. 192/2005.<br />

Verificandosi le condizioni di cui sopra il proprietario dell’edificio, consapevole<br />

della scadente qualità energetica dell’immobile, può scegliere di ottemperare<br />

agli obblighi di legge attraverso una sua dichiarazione in cui afferma che:<br />

– l’edificio è di classe energetica G;<br />

– i costi per la gestione energetica dell’edificio sono molto alti.<br />

Deve escludersi che per detta dichiarazione sia richiesta la forma della “dichiarazione<br />

sostitutiva dell’atto di notorietà” in quanto non richiesta dalla disposizione<br />

in commento (e quando per determinate dichiarazioni è stata prescritta<br />

la forma della “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà” lo si è richiesto in<br />

maniera espressa).<br />

Entro quindici giorni dalla data del rilascio di detta dichiarazione, il proprietario<br />

ne deve trasmettere copia al competente ufficio della Regione o della Provincia<br />

autonoma competente per territorio.<br />

Circa le modalità redazionali si potrà procedere:<br />

– sia mediante ricezione della dichiarazione del venditore nel corpo dell’atto<br />

di vendita (copia dell’atto dovrà poi essere inviata al competente ufficio della<br />

Regione o della Provincia autonoma competente per territorio);<br />

– sia mediante apposita dichiarazione scritta, da redigersi in duplice originale,<br />

uno da allegarsi all’atto di vendita e l’altro da inviare al competente ufficio<br />

della Regione o della Provincia autonoma competente per territorio.<br />

29<br />

Così dispone l’art. 2 (comma 1, lett. a) del D.Lgs. 192/2005:<br />

“1. Ai fini del presente decreto si definisce:<br />

a) “edificio” è un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di<br />

volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi<br />

tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio<br />

può confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l’ambiente esterno, il terreno, altri edifici; il<br />

termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere<br />

utilizzate come unità immobiliari a sé stanti;”<br />

212<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

La certificazione di unità in edifici condominiali<br />

Ai sensi del secondo comma dell’art. 6 del D.Lgs. 192/2005 30 la certificazione<br />

per gli appartamenti di un condominio può fondarsi, oltre sulla valutazione<br />

dell’appartamento interessato:<br />

a) su una certificazione comune dell’intero edificio, per i condomini dotati di<br />

un impianto termico comune;<br />

b) sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo dello stesso<br />

condominio e della stessa tipologia.<br />

La disposizione in commento sembra introdurre un “procedimento semplificato”<br />

per il rilascio dell’attestato di certificazione energetica relativo ad un appartamento<br />

facente parte di un edificio condominiale: in questo caso il certificatore<br />

anziché procedere alle specifiche valutazioni riguardanti la singola unità,<br />

necessarie ai fini della certificazione energetica, potrà molto più semplicemente<br />

rilasciare l’attestato fondandosi sulle valutazioni già compiute e quindi contenute<br />

in altra precedente certificazione, qualora:<br />

– le stesse riguardino l’intero edificio condominiale e lo stesso sia dotato di<br />

impianto termico comune (resta esclusa pertanto detta procedura semplificata<br />

per i condomini i cui singoli appartamenti siano dotati di impianto termico autonomo);<br />

– le stesse riguardino altro appartamento, facente parte dello stesso condominio<br />

e avente caratteristiche tipologiche (e strutturali) identiche.<br />

Tale ricostruzione del disposto dell’art. 6 del D.Lgs. 192/2005 ha trovato sostanziale<br />

conferma anche nelle LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione<br />

energetica (approvate con d.m. 26 giugno 2009) ove (al paragrafo 7.5) 31 si stabilisce:<br />

30<br />

Così dispone l’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. 192/2005:<br />

La certificazione per gli appartamenti di un condominio può fondarsi, oltre sulla valutazione dell’appartamento<br />

interessato:<br />

a) su una certificazione comune dell’intero edificio, per i condomini dotati di un impianto termico<br />

comune;<br />

b) sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo dello stesso condominio e della<br />

stessa tipologia.<br />

31<br />

Così dispone il paragrafo 7.5 delle Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica (approvate<br />

con d.m. 26 giugno 2009):<br />

“7.5 Certificazione di edifici e di singoli appartamenti (climatizzazione invernale).<br />

Per gli edifici residenziali la certificazione energetica riguarda il singolo appartamento. Nel caso<br />

di una pluralità di unità immobiliari in edifici multipiano, o con una pluralità di unità immobiliari in linea,<br />

si potrà prevedere, in generale, una certificazione originaria comune per unità immobiliari che<br />

presentano caratteristiche di ripetibilità logistica e di esposizione, (piani intermedi), sia nel caso di<br />

impianti centralizzati che individuali, in questo ultimo caso a parità di generatore di calore per tipologia<br />

e potenza.<br />

Per i predetti edifici, si può quindi prevedere:<br />

a) in presenza impianti termici autonomi o centralizzati con contabilizzazione del calore, un certificato<br />

per ogni unità immobiliare determinato con l’utilizzo del rapporto di forma proprio dell’appar-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 213


La certificazione energetica degli edifici<br />

i) che per gli edifici residenziali la certificazione energetica riguarda il singolo<br />

appartamento;<br />

ii) che nel caso di più unità immobiliari in edifici multipiano o in linea, si potrà<br />

prevedere una certificazione originaria comune per unità immobiliari che presentano<br />

caratteristiche di ripetibilità logistica e di esposizione (piani intermedi),<br />

sia nel caso di impianti centralizzati che individuali ed in questo ultimo caso a<br />

parità di generatore di calore per tipologia e potenza, con la conseguenza che<br />

si potrà quindi prevedere:<br />

a) in presenza di impianti termici autonomi o centralizzati con contabilizzazione<br />

del calore, un certificato per ogni unità immobiliare determinato con l’utilizzo<br />

del rapporto di forma proprio dell’appartamento considerato;<br />

b) in presenza di impianti centralizzati privi di sistemi di regolazione e contabilizzazione<br />

del calore, l’indice di prestazione energetica per la certificazione dei<br />

singoli alloggi è ricavabile ripartendo l’indice di prestazione energetica dell’edificio<br />

nella sua interezza in base alle tabelle millesimali relative al servizio di riscaldamento;<br />

c) in presenza di appartamenti serviti da impianto centralizzato che si diversifichino<br />

dagli altri per l’installazione di sistemi di regolazione o per la realizzazione<br />

di interventi di risparmio energetico, si procede conformemente al punto<br />

a). In questo caso per la determinazione dell’indice di prestazione energetica si<br />

utilizzano i parametri di rendimento dell’impianto comune, quali quelli relativi a<br />

produzione, distribuzione, emissione e regolazione, ove pertinenti.<br />

A tal fine è fatto obbligo agli amministratori degli stabili di fornire ai condomini<br />

le informazioni e i dati necessari.<br />

La validità “temporale” dell’attestato di certificazione energetica<br />

Gli attestati di certificazione energetica hanno una validità temporale massima<br />

di dieci anni, giusta quanto disposto dal comma 5, dell’art. 6 del D.Lgs.<br />

192/2005 32 .<br />

tamento considerato (Lo stesso che si utilizza per la determinazione dell’indice di prestazione energetica<br />

limite EPLi);<br />

b) in presenza di impianti centralizzati privi di sistemi di regolazione e contabilizzazione del calore,<br />

l’indice di prestazione energetica per la certificazione dei singoli alloggi è ricavabile ripartendo<br />

l’indice di prestazione energetica (EPLi) dell’edificio nella sua interezza in base alle tabelle millesimali<br />

relative al servizio di riscaldamento;<br />

c) in presenza di appartamenti serviti da impianto centralizzato che si diversifichino dagli altri<br />

per l’installazione di sistemi di regolazione o per la realizzazione di interventi di risparmio energetico,<br />

si procede conformemente al punto a). In questo caso per la determinazione dell’indice di prestazione<br />

energetica si utilizzano i parametri di rendimento dell’impianto comune, quali quelli relativi<br />

a produzione, distribuzione, emissione e regolazione, ove pertinenti.<br />

A tal fine è fatto obbligo agli amministratori degli stabili di fornire ai condomini le informazioni e i<br />

dati necessari.”<br />

32<br />

Così dispone l’art. 6 quinto comma del D.Lgs. 192/2005:<br />

(segue)<br />

214<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

Il d.m. 26 giugno 2009 di approvazione delle Linee guida Nazionali per la<br />

certificazione energetica all’art. 6 ha così disciplinato la validità dell’attestato di<br />

certificazione energetica 33 :<br />

– la validità non viene inficiata dall’emanazione di provvedimenti di aggiornamento<br />

delle linee guida nazionali e/o introduttivi della certificazione energetica<br />

di ulteriori servizi quali, a titolo esemplificativo, la climatizzazione estiva e l’illuminazione;<br />

– la validità massima dell’attestato di certificazione di un edificio è confermata<br />

solo se sono rispettate le prescrizioni normative vigenti per le operazioni di<br />

controllo di efficienza energetica, compreso le eventuali conseguenze di adeguamento,<br />

degli impianti di climatizzazione asserviti agli edifici, ai sensi dell’art.<br />

7, comma 1, D.Lgs. 192/2005 34 . Nel caso di mancato rispetto delle predette di-<br />

“L’attestato relativo alla certificazione energetica, rilasciato ai sensi del comma 1, ha una validità<br />

temporale massima di dieci anni a partire dal suo rilascio, ed è aggiornato ad ogni intervento di<br />

ristrutturazione che modifica la prestazione energetica dell’edificio o dell’impianto.”<br />

33<br />

Così dispone l’art. 6 del decreto Ministero dello Sviluppo Economico 26 giugno 2009:<br />

“1. Gli attestati di certificazione hanno una validità temporale massima di dieci anni, ai sensi del<br />

comma 5, dell’art. 6 del D.Lgs. Tale validità non viene inficiata dall’emanazione di provvedimenti di<br />

aggiornamento del presente decreto e/o introduttivi della certificazione energetica di ulteriori servizi<br />

quali, a titolo esemplificativo, la climatizzazione estiva e l’illuminazione.<br />

2. La validità massima dell’attestato di certificazione di un edificio, di cui al comma 1, è confermata<br />

solo se sono rispettate le prescrizioni normative vigenti per le operazioni di controllo di efficienza<br />

energetica, compreso le eventuali conseguenze di adeguamento, degli impianti di climatizzazione<br />

asserviti agli edifici, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. Nel caso di mancato rispetto<br />

delle predette disposizioni l’attestato di certificazione decade il 31 dicembre dell’anno successivo a<br />

quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza<br />

energetica.<br />

3. Ai fini del comma 2, i libretti di impianto o di centrale di cui all’art. 11, comma 9, del decreto<br />

del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, sono allegati, in originale o in copia, all’attestato<br />

di certificazione energetica.<br />

4. Ai sensi dell’art. 6, comma 5, del decreto legislativo l’attestato di certificazione energetica è<br />

aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione, edilizio e impiantistico, che modifica la prestazione<br />

energetica dell’edificio nei termini seguenti:<br />

a) ad ogni intervento migliorativo della prestazione energetica a seguito di interventi di riqualificazione<br />

che riguardino almeno il 25% della superficie esterna dell’immobile;<br />

b) ad ogni intervento migliorativo della prestazione energetica a seguito di interventi di riqualificazione<br />

degli impianti di climatizzazione e di produzione di acqua calda sanitaria che prevedono<br />

l’istallazione di sistemi di produzione con rendimenti più alti di almeno 5 punti percentuali rispetto ai<br />

sistemi preesistenti;<br />

c) ad ogni intervento di ristrutturazione impiantistica o di sostituzione di componenti o apparecchi<br />

che, fermo restando il rispetto delle norme vigenti, possa ridurre la prestazione energetica<br />

dell’edificio;<br />

d) facoltativo in tutti gli altri casi.<br />

5. In relazione al premio per impianti fotovoltaici abbinati ad un uso efficiente dell’energia previsti<br />

in attuazione dell’art. 7, del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, l’indice di prestazione energetica,<br />

su cui determinare la riduzione per accedere al premio, si determina esclusivamente con il metodo<br />

di calcolo di progetto di cui al paragrafo 5.1, delle Linee guida di cui all’art. 3.<br />

6. Le disposizioni di cui al presente decreto e ai suoi allegati sono modificate e integrate con la<br />

medesima procedura. “<br />

34<br />

Così dispone l’art. 7 primo comma del D.Lgs. 192/2005:<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 215


La certificazione energetica degli edifici<br />

sposizioni l’attestato di certificazione decade il 31 dicembre dell’anno successivo<br />

a quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le predette<br />

operazioni di controllo di efficienza energetica (a tal fine i libretti di impianto o di<br />

centrale di cui all’art. 11, comma 9, decreto del Presidente della Repubblica 26<br />

agosto 1993, n. 412, sono allegati, in originale o in copia, all’attestato di certificazione<br />

energetica);<br />

– l’attestato di certificazione energetica è aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione,<br />

edilizio e impiantistico, che modifica la prestazione energetica<br />

dell’edificio nei termini seguenti:<br />

a) ad ogni intervento migliorativo della prestazione energetica a seguito di<br />

interventi di riqualificazione che riguardino almeno il 25% della superficie esterna<br />

dell’immobile;<br />

b) ad ogni intervento migliorativo della prestazione energetica a seguito di<br />

interventi di riqualificazione degli impianti di climatizzazione e di produzione di<br />

acqua calda sanitaria che prevedono l’istallazione di sistemi di produzione con<br />

rendimenti più alti di almeno 5 punti percentuali rispetto ai sistemi preesistenti;<br />

c) ad ogni intervento di ristrutturazione impiantistica o di sostituzione di<br />

componenti o apparecchi che, fermo restando il rispetto delle norme vigenti,<br />

possa ridurre la prestazione energetica dell’edificio;<br />

d) facoltativo in tutti gli altri casi.<br />

Il tecnico abilitato al rilascio<br />

Sono tecnici abilitati al rilascio dell’attestato di certificazione energetica, giusta<br />

il disposto del paragrafo 2 dell’allegato III del D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115<br />

(che trova applicazione in attesa dell’emanazione dell’apposito decreto ministeriale<br />

per l’individuazione degli esperti o degli organismi cui affidare la certificazione<br />

previsto dall’art. 4, primo comma, lett. c), D.Lgs. 192/2005, giusta quanto<br />

previsto, in via transitoria, dall’art. 18 del D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 35 ):<br />

a) i tecnici iscritti ai relativi ordini e collegi professionali ed abilitati all’esercizio<br />

della professione relativa alla progettazione di edifici ed impianti, asserviti<br />

“Il proprietario, il conduttore, l’amministratore di condominio, o per essi un terzo, che se ne assume<br />

la responsabilità, mantiene in esercizio gli impianti e provvede affinché siano eseguite le operazioni<br />

di controllo e di manutenzione secondo le prescrizioni della normativa vigente”.<br />

35<br />

L’art. 18 comma sesto del D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 infatti così dispone:<br />

“Ai fini di dare piena attuazione a quanto previsto dal D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, e successive<br />

modificazioni, in materia di diagnosi energetiche e certificazione energetica degli edifici, nelle<br />

more dell’emanazione dei decreti di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a), b) e c), del medesimo<br />

D.Lgs. e fino alla data di entrata in vigore degli stessi decreti, si applica l’allegato III al presente<br />

D.Lgs. Ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, le disposizioni di cui all’allegato III<br />

si applicano per le regioni e province autonome che non abbiano ancora provveduto ad adottare<br />

propri provvedimenti in applicazione della direttiva 2002/91/CE e comunque sino alla data di entrata<br />

in vigore dei predetti provvedimenti nazionali o regionali. Le regioni e le province autonome che abbiano<br />

già provveduto al recepimento della direttiva 2002/91/CE adottano misure atte a favorire la<br />

coerenza e il graduale ravvicinamento dei propri provvedimenti con i contenuti dell’allegato III.”<br />

216<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

agli edifici stessi, nell’ambito delle competenze ad essi attribuite dalla legislazione<br />

vigente ed operanti:<br />

– sia in veste di dipendenti di enti ed organismi pubblici o di società di servizi<br />

pubbliche o private (comprese le società di ingegneria);<br />

– sia in veste di professionisti liberi od associati.<br />

Il tecnico abilitato opera all’interno delle proprie competenze. Ove il tecnico<br />

non sia competente nei campi richiesti (o nel caso che alcuni di essi esulino dal<br />

proprio ambito di competenza), egli deve operare in collaborazione con altro<br />

tecnico abilitato in modo che il gruppo costituito copra tutti gli ambiti professionali<br />

su cui è richiesta la competenza;<br />

b) i soggetti in possesso di titoli di studio tecnico scientifici, individuati in ambito<br />

territoriale da regioni e province autonome, e abilitati dalle predette amministrazioni<br />

a seguito di specifici corsi di formazione per la certificazione energetica<br />

degli edifici con superamento di esami finale. I predetti corsi ed esami sono<br />

svolti direttamente da regioni e province autonome o autorizzati dalle stesse<br />

amministrazioni.<br />

Ai fini di assicurare indipendenza ed imparzialità di giudizio, i tecnici abilitati,<br />

all’atto di sottoscrizione dell’attestato di certificazione energetica, debbono dichiarare:<br />

a) nel caso di certificazione di edifici di nuova costruzione, l’assenza di conflitto<br />

di interessi (da intendere come non coinvolgimento diretto o indiretto nel<br />

processo di progettazione e realizzazione dell’edificio da certificare o con i produttori<br />

dei materiali e dei componenti in esso incorporati, nonché rispetto ai vantaggi<br />

che possano derivarne al richiedente);<br />

b) nel caso di certificazione di edifici esistenti, l’assenza di conflitto di interessi<br />

(da intendere come non coinvolgimento diretto o indiretto con i produttori<br />

dei materiali e dei componenti in esso incorporati, nonché rispetto ai vantaggi<br />

che possano derivarne al richiedente) 36 .<br />

36<br />

Così dispone il paragrafo 2 dell’allegato III del D.Lgs. 115/2008:<br />

“2. Soggetti abilitati alla certificazione energetica degli edifici.<br />

1. Sono abilitati ai fini dell’attività di certificazione energetica, e quindi riconosciuti come soggetti<br />

certificatori i tecnici abilitati, così come definiti al punto 2.<br />

2. Si definisce tecnico abilitato un tecnico operante sia in veste di dipendente di enti ed organismi<br />

pubblici o di società di servizi pubbliche o private (comprese le società di ingegneria) che di professionista<br />

libero od associato, iscritto ai relativi ordini e collegi professionali, ed abilitato all’esercizio<br />

della professione relativa alla progettazione di edifici ed impianti, asserviti agli edifici stessi, nell’ambito<br />

delle competenze ad esso attribuite dalla legislazione vigente. Il tecnico abilitato opera<br />

quindi all’interno delle proprie competenze. Ove il tecnico non sia competente nei campi sopra citati<br />

(o nel caso che alcuni di essi esulino dal proprio ambito di competenza), egli deve operare in collaborazione<br />

con altro tecnico abilitato in modo che il gruppo costituito copra tutti gli ambiti professionali<br />

su cui è richiesta la competenza.<br />

Ai soli fini della certificazione energetica, sono tecnici abilitati anche i soggetti in possesso di titoli<br />

di studio tecnico scientifici, individuati in ambito territoriale da regioni e province autonome, e a-<br />

bilitati dalle predette amministrazioni a seguito di specifici corsi di formazione per la certificazione<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 217


La certificazione energetica degli edifici<br />

Entro quindici giorni dalla consegna al richiedente dell’attestato di certificazione<br />

energetica, il soggetto certificatore deve trasmettere copia dell’attestato<br />

suddetto al competente Ufficio della Regione o della Provincia autonoma competente<br />

per territorio.<br />

Nel caso di edifici di nuova costruzione o di interventi ricadenti nell’ambito di<br />

applicazione di cui all’articolo 3, comma 2, lettere a), b) e c), del D.Lgs.<br />

192/2005 37 (ma in questo ultimo caso limitatamente alle ristrutturazioni totali) la<br />

nomina del soggetto certificatore deve avvenire prima dell’inizio dei lavori.<br />

Nei medesimi casi, qualora fossero presenti, a livello regionale o locale, incentivi<br />

legati alla qualità energetica dell’edificio (bonus volumetrici, ecc.), la richiesta<br />

dell’attestato di certificazione energetica può essere resa obbligatoria<br />

prima del deposito della richiesta di autorizzazione edilizia.<br />

energetica degli edifici con superamento di esami finale. I predetti corsi ed esami sono svolti direttamente<br />

da regioni e province autonome o autorizzati dalle stesse amministrazioni.<br />

3. Ai fini di assicurare indipendenza ed imparzialità di giudizio dei soggetti certificatori di cui al punto<br />

1, i tecnici abilitati, all’atto di sottoscrizione dell’attestato di certificazione energetica, dichiarano:<br />

a) nel caso di certificazione di edifici di nuova costruzione, l’assenza di conflitto di interessi, tra<br />

l’altro espressa attraverso il non coinvolgimento diretto o indiretto nel processo di progettazione e<br />

realizzazione dell’edificio da certificare o con i produttori dei materiali e dei componenti in esso incorporati,<br />

nonché rispetto ai vantaggi che possano derivarne al richiedente;<br />

b) nel caso di certificazione di edifici esistenti, l’assenza di conflitto di interessi, ovvero di non<br />

coinvolgimento diretto o indiretto con i produttori dei materiali e dei componenti in esso incorporati,<br />

nonché rispetto ai vantaggi che possano derivarne al richiedente.<br />

4. Qualora il tecnico abilitato sia dipendente od operi per conto di enti pubblici ovvero di organismi<br />

di diritto pubblico operanti nel settore dell’energia e dell’edilizia, il requisito di indipendenza di<br />

cui al punto 3 è da intendersi superato dalle stesse finalità istituzionali di perseguimento di obiettivi<br />

di interesse pubblico proprie di tali enti ed organismi.<br />

5. Per gli edifici già dotati di attestato di certificazione energetica, sottoposti ad adeguamenti<br />

impiantistici, compresa la sostituzione del generatore di calore, l’eventuale aggiornamento dell’attestato<br />

di certificazione, di cui all’articolo 6, comma 5, del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, e successive<br />

modificazioni, può essere predisposto anche da un tecnico abilitato dell’impresa di costruzione<br />

e/o installatrice incaricata dei predetti adeguamenti.<br />

37<br />

Così dispone l’art. 3, comma 2, D.Lgs. 192/2005:<br />

“Nel caso di ristrutturazione di edifici esistenti, e per quanto riguarda i requisiti minimi prestazionali<br />

di cui all’articolo 4, è prevista un’applicazione graduale in relazione al tipo di intervento. A tale<br />

fine, sono previsti diversi gradi di applicazione:<br />

a) una applicazione integrale a tutto l’edificio nel caso di:<br />

1) ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie<br />

utile superiore a 1000 metri quadrati;<br />

2) demolizione e ricostruzione in manutenzione straordinaria di edifici esistenti di superficie utile<br />

superiore a 1000 metri quadrati;<br />

b) una applicazione integrale ma limitata al solo ampliamento dell’edificio nel caso che lo stesso<br />

ampliamento risulti volumetricamente superiore al 20 per cento dell’intero edificio esistente;<br />

c) una applicazione limitata al rispetto di specifici parametri, livelli prestazionali e prescrizioni,<br />

nel caso di interventi su edifici esistenti, quali:<br />

1) ristrutturazioni totali o parziali, manutenzione straordinaria dell’involucro edilizio e ampliamenti<br />

volumetrici all’infuori di quanto già previsto alle lettere a) e b).<br />

2) nuova installazione di impianti termici in edifici esistenti o ristrutturazione degli stessi impianti;<br />

3) sostituzione di generatori di calore.”<br />

218<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

8. CONTENUTO E CARATTERISTICHE DELL’ATTESTATO DI QUALIFICAZIONE<br />

ENERGETICA<br />

L’attestato di qualificazione energetica, secondo la definizione di cui all’allegato<br />

A al D.Lgs. 192/2005 38 , è il documento predisposto ed asseverato da un<br />

professionista (non necessariamente estraneo alla proprietà) abilitato alla progettazione<br />

o alla realizzazione dell’edificio, nel quale sono riportati i fabbisogni<br />

di energia primaria di calcolo, la classe di appartenenza dell’edificio, o dell’unità<br />

immobiliare, in relazione al sistema di certificazione energetica in vigore ed i<br />

corrispondenti valori massimi ammissibili fissati dalla normativa in vigore per il<br />

caso specifico o, ove non siano fissati tali limiti, per un identico edificio di nuova<br />

costruzione.<br />

L’attestato di qualificazione energetica deve essere redatto con i contenuti<br />

minimi di cui allo schema riportato nell’allegato 5 delle LINEE GUIDA NAZIO-<br />

NALI PER LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA approvate con Decreto Ministero<br />

dello Sviluppo Economico 26 giugno 2009.<br />

Ai sensi dell’art. 8, comma 2, D.Lgs. 192/2005 detto attestato deve essere<br />

presentato al Comune di competenza contestualmente alla dichiarazione di fine<br />

lavori: in mancanza, detta dichiarazione di fine lavori è inefficace 39 (inoltre a carico<br />

del Direttore lavori si applica la sanzione amministrativa di cui all’art. 15,<br />

terzo comma, D.Lgs. 192/2005 40 ). Ed è proprio la disposizione dell’art. 8, com-<br />

38<br />

Così dispone il comma 2 dell’allegato A al D.Lgs. 192/2005:<br />

“2. attestato di qualificazione energetica: il documento predisposto ed asseverato da un professionista<br />

abilitato, non necessariamente estraneo alla proprietà, alla progettazione o alla realizzazione<br />

dell’edificio, nel quale sono riportati i fabbisogni di energia primaria di calcolo, la classe di appartenenza<br />

dell’edificio, o dell’unità immobiliare, in relazione al sistema di certificazione energetica in<br />

vigore, ed i corrispondenti valori massimi ammissibili fissati dalla normativa in vigore per il caso<br />

specifico o, ove non siano fissati tali limiti, per un identico edificio di nuova costruzione. Al di fuori di<br />

quanto previsto all’articolo 8, comma 2, l’attestato di qualificazione energetica è facoltativo ed è predisposto<br />

a cura dell’interessato al fine di semplificare il successivo rilascio della certificazione energetica.<br />

A tal fine, l’attestato comprende anche l’indicazione di possibili interventi migliorativi delle<br />

prestazioni energetiche e la classe di appartenenza dell’edificio, o dell’unità immobiliare, in relazione<br />

al sistema di certificazione energetica in vigore, nonchè i possibili passaggi di classe a seguito<br />

della eventuale realizzazione degli interventi stessi. L’estensore provvede ad evidenziare opportunamente<br />

sul frontespizio del documento che il medesimo non costituisce attestato di certificazione<br />

energetica dell’edificio, ai sensi del presente decreto, nonchè, nel sottoscriverlo, quale è od è stato<br />

il suo ruolo con riferimento all’edificio medesimo.”<br />

39<br />

Così dispone l’art. 8 secondo comma D.Lgs. 192/2005:<br />

“La conformità delle opere realizzate rispetto al progetto e alle sue eventuali varianti ed alla relazione<br />

tecnica di cui al comma 1, nonché l’attestato di qualificazione energetica dell’edificio come<br />

realizzato, devono essere asseverati dal direttore dei lavori e presentati al comune di competenza<br />

contestualmente alla dichiarazione di fine lavori senza alcun onere aggiuntivo per il committente. La<br />

dichiarazione di fine lavori è inefficace a qualsiasi titolo se la stessa non è accompagnata da tale<br />

documentazione asseverata”.<br />

40<br />

Così dispone l’art. 15 terzo comma D.Lgs. 192/2005:<br />

“Il direttore dei lavori che omette di presentare al Comune l’asseverazione di conformità delle<br />

opere e dell’attestato di qualificazione energetica, di cui all’articolo 8, comma 2, contestualmente al-<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 219


La certificazione energetica degli edifici<br />

ma 2, che conferisce all’attestato di qualificazione energetica il ruolo di strumento<br />

di controllo “ex post” del rispetto, in fase di costruzione o ristrutturazione degli<br />

edifici, delle prescrizioni volte a migliorarne le prestazioni energetiche.<br />

Al di fuori di quanto previsto all’articolo 8, comma 2, D.Lgs. 192/2005, l’attestato<br />

di qualificazione energetica è facoltativo ed è predisposto a cura dell’interessato<br />

al fine di semplificare il successivo rilascio della certificazione energetica<br />

(come previsto dall’art. 6, comma 2-bis, D.Lgs. 192/2005 41 ). A tal fine, l’attestato<br />

comprende anche l’indicazione di possibili interventi migliorativi delle prestazioni<br />

energetiche e la classe di appartenenza dell’edificio, o dell’unità immobiliare,<br />

in relazione al sistema di certificazione energetica in vigore, nonché i<br />

possibili passaggi di classe a seguito della eventuale realizzazione degli interventi<br />

stessi.<br />

L’estensore provvede ad evidenziare opportunamente sul frontespizio del<br />

documento che il medesimo non costituisce attestato di certificazione energetica<br />

dell’edificio, a sensi del D.Lgs. 192/2005, nonché, nel sottoscriverlo, quale è<br />

ed è stato il suo ruolo con riferimento all’edificio medesimo.<br />

In relazione alle disposizioni sopra richiamate, si può, pertanto, dire che esistono<br />

due tipi diversi di attestato di qualificazione energetica:<br />

– l’“attestato di qualificazione energetica di fine lavori” per i fabbricati di nuova<br />

costruzione o ristrutturazione da presentare unitamente alla dichiarazione di<br />

fine lavori (art. 8, comma 2, D.Lgs. 192/2005)<br />

– l’“attestato di qualificazione energetica di fine lavori”, per semplificare il rilascio<br />

dell’attestato di certificazione lavori e di cui all’art. 6, comma 2-bis, D.Lgs.<br />

192/2005.<br />

9. DISCIPLINA TRASITORIA SINO AL 26 GIUGNO 2010<br />

In base alla disciplina transitoria dettata dall’art. 11, comma 1-bis e comma 1<br />

ter, D.Lgs. 192/2005, sino a tutto il 26 giugno 2010 sarà ancora possibile utilizzare,<br />

in luogo dell’attestato di certificazione energetica, eventuali ATTESTATI DI<br />

QUALIFICAZIONE ENERGETICA predisposti ed asseverati prima del 25 luglio<br />

2009 (ossia prima della data di entrata in vigore delle LINEE GUIDA NAZIONALI;<br />

prima di tale data infatti non era possibile ottenere il rilascio di un attestato di cerla<br />

dichiarazione di fine lavori, è punito con la sanzione amministrativa pari al 50 per cento della parcella<br />

calcolata secondo vigente tariffa professionale; l’autorità che applica la sanzione deve darne<br />

comunicazione all’ordine o al collegio professionale competente per i provvedimenti disciplinari conseguenti”.<br />

41<br />

Così dispone l’art. 6, comma 2-bis, D.Lgs. 192/2005:<br />

“Salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, l’attestato di qualificazione energetica può essere<br />

predisposto a cura dell’interessato, al fine di semplificare il rilascio della certificazione energetica,<br />

come precisato al comma 2 dell’allegato A.”<br />

220<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

tificazione energetica per cui lo stesso era sostituito a tutti gli effetti, e quindi anche<br />

ai fini della “dotazione”, dall’attestato di qualificazione energetica) 42 .<br />

10. LA LEGISLAZIONE REGIONALE<br />

L’art. 17 del D.Lgs. 192/2005 43 stabilisce che:<br />

– nelle materie di legislazione concorrente di cui all’art. 117, terzo comma,<br />

della Costituzione, le disposizioni del D.Lgs. 192/2005 suddetto e dei decreti<br />

ministeriali applicativi, si applicano solo alle Regioni e Province autonome che<br />

non abbiano ancora provveduto ad emanare proprie disposizioni normative volte<br />

al recepimento della direttiva 2002/91/CE e ciò fino alla data di entrata in vigore<br />

della suddetta normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia<br />

autonoma;<br />

– nel dettare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome<br />

sono tenute al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei<br />

princìpi fondamentali desumibili dal D.Lgs. 192/2005 suddetto e dalla stessa direttiva<br />

2002/91/CE.<br />

Pertanto:<br />

– la disciplina dettata dal D.Lgs. 192/2005 e dai successivi provvedimenti di<br />

modifica ed integrazione trova integrale applicazione in tutte quelle Regioni e/o<br />

Provincie autonome che non hanno ancora adottato specifiche disposizioni<br />

normative in materia;<br />

– nelle Regioni e/o Provincie autonome che invece hanno legiferato materia,<br />

si dovrà tener conto delle specifiche normative dalle stesse adottate, da coordinare<br />

ed eventuale integrare, per quanto non espressamente dalle stesse normato,<br />

con la disciplina “nazionale”.<br />

42<br />

Così dispone l’art. 11, comma 1-bis e comma 1-ter D.Lgs. 192/2005:<br />

“1-bis. Fino alla data di entrata in vigore delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica<br />

degli edifici, di cui all’articolo 6, comma 9, l’attestato di certificazione energetica degli edifici è<br />

sostituito a tutti gli effetti dall’attestato di qualificazione energetica rilasciato ai sensi dell’articolo 8,<br />

comma 2, o da una equivalente procedura di certificazione energetica stabilita dal comune con proprio<br />

regolamento antecedente alla data dell’8 ottobre 2005.<br />

1-ter. Trascorsi dodici mesi dall’emanazione delle Linee guida nazionali di cui all’articolo 6,<br />

comma 9, l’attestato di qualificazione energetica e la equivalente procedura di certificazione energetica<br />

stabilita dal comune perdono la loro efficacia ai fini di cui al comma 1-bis.”<br />

43<br />

Così dispone l’art. 17 del D.Lgs. 192/2005:<br />

“In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, e fatto salvo<br />

quanto previsto dall’articolo 16, comma 3, della l. 4 febbraio 2005, n. 11, per le norme afferenti a<br />

materie di competenza esclusiva delle regioni e province autonome, le norme del presente decreto<br />

e dei decreti ministeriali applicativi nelle materie di legislazione concorrente si applicano per le regioni<br />

e province autonome che non abbiano ancora provveduto al recepimento della direttiva<br />

2002/91/CE fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione<br />

e provincia autonoma. Nel dettare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome<br />

sono tenute al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei princìpi fondamentali<br />

desumibili dal presente decreto e dalla stessa direttiva 2002/91/CE.”<br />

Studi e Materiali – 1/2011 221


La certificazione energetica degli edifici<br />

Si fa presente che le regioni che hanno legiferato in materia energetica sono<br />

le seguenti:<br />

– Emilia Romagna (Deliberazione Assemblea Legislativa 4 marzo 2008, n.<br />

156, Norme sulle procedure di certificazione energetica degli edifici, pubblicata<br />

nel B.U. Emilia-Romagna 25 marzo 2008, n. 47; Deliberazione Giunta Regionale<br />

28 ottobre 2008, n. 1754 recante disposizioni per la formazione del Certificatore<br />

energetico in edilizia, in attuazione della delibera n. 156);<br />

– Friuli-Venezia Giulia (L.R. 23 febbraio 2007, n. 5, Riforma dell’urbanistica<br />

e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio, pubblicata nel B.U. Friuli-<br />

Venezia Giulia 28 febbraio 2007, n. 9, in parte modificata dalla L.R. 21 ottobre<br />

2008, n. 12);<br />

– Lazio (L.R. 27 maggio 2008, n. 6 “Disposizioni regionali in materia di architettura<br />

sostenibile e di bioedilizia” pubblicata in B.U.R. n. 21 del 7 giugno 2008);<br />

– Liguria (L.R. 29 maggio 2007, n. 22, Norme in materia di energia pubblicata<br />

nel B.U. Liguria 6 giugno 2007, n. 11, parte prima, modificata dalla L.R. 24<br />

novembre 2008, n. 42, pubblicata nel B.U. della Liguria 26 novembre 2008, n.<br />

17, parte prima; art. 8, L.R. 6 giugno 2008, n. 14, in B.U. della Liguria 11 giugno<br />

2008, n. 5; deliberazione della Giunta regionale n. 1601 del 2 dicembre 2008<br />

per la disciplina dell’elenco dei professionisti e dei corsi di formazione; deliberazione<br />

della giunta Regionale n. 1 del 22 gennaio 2009 di approvazione del regolamento<br />

dia attuazione dell’art. 29, L.R. 2/2007);<br />

– Lombardia (Delibera Giunta regionale del 22 dicembre 2008 n. 8745, pubblicata<br />

in B.U.R. n. 2 del 15 gennaio 2009, Determinazioni in merito alle disposizioni<br />

per l’efficienza energetica nell’edilizia e per la certificazione energetica<br />

degli edifici; nonché L.R. 11 dicembre 2006, n. 24 (in B.U.R. n. 26 del 30 giugno<br />

2009) così come modificata dalla L.R. 29 giugno 2009, n. 10 (pubblicata in B.U.<br />

30 giugno, in vigore dal 1 luglio 2009);<br />

– Marche (L.R. 17 giugno 2008, n. 14 pubblicata in B.U.R. n. 59 del 26 giugno<br />

2008);<br />

– Piemonte (L.R. 28 maggio 2007, n. 13, Disposizioni in materia di rendimento<br />

energetico nell’edilizia pubblicata nel B.U. Piemonte 31 maggio 2007, n.<br />

22);<br />

– Puglia (L.R. 10 giugno 2008, n. 13, Norme per l’abitare sostenibile, pubblicata<br />

nel B.U. Puglia 13 giugno 2008, n. 93; nonché, Regolamento 27 settembre<br />

2007, n. 24, pubblicato nel B.U. Puglia 28 settembre 2007, n. 138, Regolamento<br />

per l’attuazione del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, modificato dal D.Lgs. 29<br />

dicembre 2006, n. 311, in materia di esercizio, controllo e manutenzione, ispezione<br />

degli impianti termici e di climatizzazione del territorio regionale);<br />

– Toscana (L.R. 24 febbraio 2005, n. 39 Disposizioni in materia di energia,<br />

pubblicata in B.U. del 7 marzo 2005, n. 19, parte prima);<br />

– Trentino (L. Provinciale 4 marzo 2008, n. 1, pubblicata in B.U.R. n. 11<br />

dell’11 marzo 2008);<br />

222<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

– Umbria (L. regionale 18 novembre 2008, n. 17, pubblicata in B.U.R. n. 54<br />

del 26 novembre 2008, parte prima; Deliberazione Giunta Regionale n. 581 del<br />

27 aprile 2009, pubblicata in B.U.R. n. 24 del 27 maggio 2009);<br />

– Valle d’Aosta (L. regionale 18 aprile 2008, n. 21, Disposizioni in materia di<br />

rendimento energetico nell’edilizia, pubblicata in B.U. 8 luglio 2008, n. 28.).<br />

Da segnalare che tranne poche regioni (ad esempio la Lombardia) che si<br />

sono dotate di una disciplina “completa”, in concorrenza con la normativa nazionale,<br />

molte delle altre Regioni o hanno disciplinato solo alcuni aspetti della<br />

materia energetica, per cui si applica in sostanza la normativa nazionale, salvo<br />

che per i singoli aspetti disciplinati dall’ente locale, ovvero non hanno adottato<br />

le disposizioni regolamentari ed attuative cui è stata subordinata l’operatività<br />

della disciplina emanata, per cui di fatto sono tuttora “disciplinate” dalla legislazione<br />

nazionale.<br />

Sul rapporto normativa nazionale/normativa regionale si sono pronunciate<br />

anche le LINEE GUIDA NAZIONALI per la certificazione energetica approvate<br />

con d.m. 26 giugno 2009 che prevedono:<br />

– l’applicabilità delle disposizioni delle Linee guida medesime alle regioni e<br />

province autonome che non abbiano ancora provveduto ad adottare propri<br />

strumenti di certificazione energetica in applicazione della direttiva 2002/91/CE<br />

e comunque sino alla data di entrata in vigore dei predetti strumenti regionali;<br />

– che le suddette regioni e province autonome, nell’adottare propri strumenti<br />

di certificazione energetica, debbono tener conto degli elementi essenziali di cui<br />

all’art. 4 del d.m. 26 giugno 2009 44<br />

suddetto, nel rispetto dei vincoli derivanti<br />

44<br />

Così dispone l’art. 4 del decreto Ministero dello sviluppo economico 26 giugno 2009:<br />

“Elementi essenziali del sistema di certificazione energetica degli edifici.<br />

1. Sono elementi essenziali del sistema di certificazione degli edifici, desumibili dalle Linee guida<br />

di cui all’allegato A:<br />

a) i dati informativi che debbono essere contenuti nell’attestato di certificazione energetica,<br />

compresi i dati relativi all’efficienza energetica dell’edificio, i valori vigenti a norma di legge, i valori<br />

di riferimento o classi prestazionali che consentano ai cittadini di valutare e raffrontare la prestazione<br />

energetica dell’edificio in forma sintetica e anche non tecnica, i suggerimenti e le raccomandazioni<br />

in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento<br />

della predetta prestazione;<br />

b) le norme tecniche di riferimento, conformi a quelle sviluppate in ambito europeo e nazionale;<br />

c) le metodologie di calcolo della prestazione energetica degli edifici, compresi i metodi semplificati<br />

finalizzati a minimizzare gli oneri a carico dei cittadini, tenuto conto delle norme di riferimento.<br />

2. Sono elementi essenziali del sistema di certificazione degli edifici i requisiti professionali e i<br />

criteri per assicurare la qualificazione e l’indipendenza dei soggetti preposti alla certificazione energetica<br />

degli edifici desumibili dal decreto del Presidente della Repubblica di cui all’art. 4, comma 1,<br />

lettera c) del D.Lgs.<br />

3. Sono elementi essenziali del sistema di certificazione degli edifici, desumibili dall’art. 6:<br />

a) la validità temporale massima dell’attestato;<br />

b) le prescrizioni relative all’aggiornamento dell’attestato in relazione ad ogni intervento che migliori<br />

la prestazione energetica dell’edificio o ad ogni operazione di controllo che accerti il degrado<br />

della prestazione medesima, di entità significativa.”<br />

Studi e Materiali – 1/2011 223


La certificazione energetica degli edifici<br />

dall’ordinamento comunitario nonchè dei principi fondamentali desumibili dal<br />

D.Lgs. 192/2005 e dalla direttiva 2002/91/CE;<br />

– che le regioni e le province autonome che, alla data del 26 giugno 2009<br />

abbiano già provveduto al recepimento della direttiva 2002/91/CE, adottino misure<br />

atte a favorire un graduale ravvicinamento dei propri strumenti regionali di<br />

certificazione energetica alle Linee guida stesse, provvedendo affinché sia assicurata<br />

la coerenza dei loro provvedimenti con i contenuti dell’art. 4 del d.m. 26<br />

giugno 2009 45 .<br />

11. RUOLO DEL NOTAIO<br />

La circostanza che, dalla mancata dotazione e/o dalla mancata consegna<br />

dell’attestato di certificazione energetica non derivino effetti negativi in ordine alla<br />

validità ed efficacia del contratto, non deve, peraltro, indurre a “svalutare” la<br />

portata della normativa in commento: non a caso si è scelto, per gli “edifici preesistenti”,<br />

di far emergere lo status energetico in occasione di un atto traslativo;<br />

l’intervento del Notaio, garante delle legalità, farà si che la normativa in questione<br />

non finisca per rimanere “lettera morta” e che trovi effettiva applicazione, e<br />

ciò a prescindere dall’esistenza di sanzioni specifiche.<br />

Si tratta, pur sempre, di una disposizione che deve essere osservata e rispettata<br />

in quanto la sua violazione, se non comporta conseguenze sulla efficacia<br />

o validità dell’atto ovvero sanzioni di tipo amministrativo (come nel caso dei<br />

cd. “fabbricati preesistenti”), tuttavia può comportare l’insorgere di contenziosi<br />

tra le parti, in ordine all’esatto adempimento degli obblighi di legge (che, abbiamo<br />

già detto essere “inderogabili” o comunque derogabili solo in ordine alle<br />

modalità di adempimento).<br />

In quest’ottica, particolare rilievo assume proprio il ruolo del Notaio nell’esercizio<br />

di quella funzione “antiprocessuale” che gli è riconosciuta.<br />

Il Notaio, pertanto nell’esercizio di detta funzione, avrà cura di:<br />

– compiere una completa e capillare attività di informazione in modo da rendere<br />

edotte le parti dei contenuti della disciplina in materia di certificazione e-<br />

nergetica dalla quale discende uno specifico obbligo posto a carico del proprietario/venditore<br />

di dotare il fabbricato dell’attestato di certificazione energetica ed<br />

un diritto dell’acquirente (futuro proprietario) di avere un’informazione completa<br />

sullo status energetico dell’edificio in vendita (anche con riguardo ai suggerimenti<br />

per migliorarne la efficienza energetica);<br />

– dare atto, con apposita clausola contrattuale, dell’avvenuto rispetto dell’obbligo<br />

di dotazione dell’attestato di certificazione energetica, quale discendente<br />

dall’art. 6, commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, D.Lgs. 192/2005;<br />

45<br />

Vedi nota precedente.<br />

224<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Materiali Formanote<br />

– dare atto, con apposita clausola contrattuale, dell’avvenuta consegna all’acquirente<br />

dell’attestato di certificazione energetica della quale è stato dotato<br />

l’immobile trasferito ovvero procedere all’allegazione all’atto dell’attestato di certificato<br />

energetica medesimo; al riguardo si fa notare che, benché l’obbligo di allegazione<br />

sia stato abrogato dal d.l. 112/2008, data l’importanza del documento in<br />

questione, che deve attestare la prestazione energetica del fabbricato e indicare<br />

la classe energetica di appartenenza, può essere quanto mai opportuno provvedere,<br />

comunque, alla sua allegazione materiale all’atto di compravendita. La materiale<br />

allegazione, inoltre, pone al riparo l’acquirente da possibili smarrimenti di<br />

questo documento, che potrà essere riutilizzato nel caso di rivendita (se avviene<br />

entro il termine decennale di validità dell’attestato di certificazione energetica);<br />

– consacrare, con apposita clausola contrattuale, l’eventuale “patto espresso”<br />

con il quale la parte acquirente, derogando alla disciplina di legge, consenta<br />

al venditore di adempiere al proprio obbligo di dotare l’edificio dell’attestato di<br />

certificazione energetica dopo la stipula dell’atto traslativo medesimo (fissando,<br />

in tal caso, il termine entro il quale tale obbligo deve essere adempiuto e le e-<br />

ventuali garanzie e/o penali per il caso di inadempimento).<br />

– consacrare, con apposita clausola contrattuale, l’eventuale “patto espresso”<br />

con il quale le parti, derogando alla disciplina di legge, pongano a carico<br />

dell’acquirente l’obbligo di dotare l’edificio dell’attestato di certificazione energetica<br />

(in questo caso, ovviamente, dopo la stipula dell’atto traslativo medesimo).<br />

È nostra opinione, pertanto, che proprio perché, a seguito delle abrogazioni<br />

di cui al d.l. 112/2008, non sono più previste sanzioni “contrattuali” per il caso di<br />

mancata dotazione della certificazione energetica (ed addirittura per i cd. “fabbricati<br />

preesistenti” non sono più previste sanzioni di alcun genere), la funzione<br />

del Notaio (di tutore di legalità) sia venuta ad assumere in questa materia una<br />

particolare rilevanza: per cui non solo il Notaio sarà tenuto ad INFORMARE le<br />

parti dei rispettivi obblighi e diritti in materia di certificazione energetica ma sarà<br />

anche tenuto a far risultare dall’atto gli esiti di tale attività informativa.<br />

Non si può, pertanto, condividere, la tesi di chi ritiene che il Notaio sia chiamato<br />

a svolgere un’attività di informazione sull’obbligo di dotazione e di consegna<br />

della certificazione energetica e di sollecitazione delle parti ad una regolamentazione<br />

del rapporto, senza, peraltro, che tutto ciò debba necessariamente<br />

ed obbligatoriamente avvenire nell’atto notarile” 46 .<br />

46<br />

Alla luce delle considerazioni svolte non si possono condividere le conclusioni alle quali giunge,<br />

sull’argomento, l’Ufficio Studi del CNN nello studio n. 334/2009/C approvato dalla Commissione<br />

studi civilistici il 16 giugno 2009 (pubblicato in CNN Notizie del 24 giugno 2009), conclusioni che qui<br />

si riportano:<br />

“Dopo l’abrogazione dell’obbligo di allegazione della certificazione energetica e ferma restando<br />

la possibilità di alienare un immobile ancorché non dotato dell’AQE, dopo il 1° luglio 2009 il ruolo del<br />

notaio in occasione del trasferimento degli immobili, è in primo luogo di tipo informativo circa gli obblighi<br />

di dotazione dell’AQE degli edifici trasferiti.<br />

(segue)<br />

Studi e Materiali – 1/2011 225


La certificazione energetica degli edifici<br />

Perciò, come sopra, si è già avuto modo di ricordare:<br />

– se l’obbligo di dotazione è stato adempiuto, il Notaio (con apposita clausola)<br />

DOVRÀ dare atto di ciò e dare atto, inoltre, dell’avvenuta consegna dell’attestato<br />

di certificazione energetica dal venditore all’acquirente (anche mediante<br />

allegazione all’atto dell’attestato suddetto);<br />

– se l’obbligo di dotazione non è stato adempiuto, il Notaio (con apposita<br />

clausola) DOVRÀ dare atto di ciò e riportare, NECESSARIAMENTE, nel contratto<br />

l’accordo intervenuto al riguardo tra le parti (e cioè se l’obbligo di dotazione<br />

rimane in capo al venditore ed entro quale termine deve essere adempiuto o<br />

se viene assunto a proprio carico dall’acquirente).<br />

Svolta un’esauriente informazione sull’obbligo di dotazione e consegna della certificazione e-<br />

nergetica, il notaio solleciterà le parti ad una regolamentazione del rapporto, senza che ciò tuttavia<br />

debba necessariamente ed obbligatoriamente avvenire nell’atto notarile.<br />

Sarà rimessa alla scelta del notaio, quindi, procedere o meno alla documentazione dell’avvenuta<br />

informazione alle parti sulla dotazione energetica dell’edificio, fino a quel momento espressa verbalmente.<br />

Le parti, compiutamente informate del notaio e su sollecitazione di quest’ultimo, disciplineranno<br />

le modalità di dotazione dell’AQE nonché la consegna dello stesso.”<br />

226<br />

Studi e Materiali – 1/2011


RISPOSTE A QUESITI


Effetti e pubblicità dell’ipoteca<br />

del bene presente nel contratto di permuta<br />

di bene presente con bene futuro<br />

Quesito n. 462-2010/C<br />

Nunzio-Attilio Toscano<br />

Si descrive la seguente fattispecie:<br />

Tizio, Caio e Sempronio hanno concluso con la società Alfa S.r.l. un contratto di permuta<br />

di bene presente con bene futuro. In particolare, i primi hanno ceduto alla seconda la<br />

proprietà di un’area edificabile contro il trasferimento in favore di ciascuno di essi della<br />

proprietà di un’unità immobiliare “al rustico” da costruire a cura e spese della medesima<br />

società; l’atto di permuta – nel quale i contraenti si sono impegnati reciprocamente ad intervenire<br />

in apposito atto di identificazione catastale – è stato, quindi, trascritto a favore<br />

della società costruttrice per l’intera proprietà dell’area e contro di essa, ed a favore dei<br />

permutanti (Tizio, Caio e Sempronio) per la quota millesimale corrispondente alle singole<br />

unità cedute in permuta.<br />

A distanza di un anno dalla permuta, la società Alfa S.r.l. ha richiesto alla Banca Beta<br />

S.p.a. un mutuo che è stato garantito da ipoteca iscritta sull’area da edificare.<br />

Si deve, adesso, procedere all’atto di identificazione catastale ed alla (ri)vendita dell’unità<br />

immobiliare assegnata a Tizio.<br />

Si chiede se codesto Ufficio Studi concorda:<br />

– nel ritenere che operi l’art. 2644 c.c. di modo che l’ipoteca, iscritta successivamente alla<br />

permuta, non pregiudica il diritto di proprietà acquistato da Tizio, Caio e Sempronio e, dunque,<br />

tanto nell’atto di identificazione catastale quanto nell’atto di (ri)vendita dell’alloggio non<br />

sarebbe necessario fare menzione dell’iscrizione ipotecaria, perché inefficace;<br />

– nel ritenere opportuno dare pubblicità all’intervenuta identificazione catastale mediante<br />

annotamento a margine dell’iscrizione ipotecaria al fine di individuare gli identificativi catastali<br />

delle unità su cui grava.<br />

Sulla natura giuridica del contratto di permuta di cosa presente con cosa futura, sia la<br />

dottrina [cfr., ex multis, BIANCA, La vendita e la permuta, Torino, 1993, 1142] che la giurisprudenza<br />

[cfr., ex multis, Cass. 17 aprile 1980, n. 2508, in Giust. civ. mass., 1980, 4]<br />

hanno sottolineato che si tratta di un negozio ad effetti reali differiti, onde esso comporta<br />

il trasferimento immediato della proprietà del suolo, mentre la cosa futura (le unità immobiliari)<br />

si trasferirà soltanto quando verrà ad esistenza, ossia con effetti ex nunc. In<br />

sostanza, si applica la regola di cui all’art. 1472 c.c. in tema di vendita di cosa futura [cfr.<br />

RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1962, 186 ss.; LUMINOSO, La<br />

compravendita, Torino, 1991].<br />

Studi e Materiali – 1/2011 229


Ipoteca del bene presente nel contratto di permuta - Quesito n. 462-2010/C<br />

Per ciò che concerne la trascrizione, è noto che, oltre ad avere una funzione pubblicitaria,<br />

e quindi dichiarativa – che essa esplica principalmente in relazione alle fattispecie<br />

previste dall’art. 2643 c.c. –, essa ha anche una funzione costitutiva in relazione a fattispecie<br />

quali, ad esempio, il sequestro conservativo o la cessione dei beni ai creditori nelle<br />

quali il vincolo di indisponibilità sorge, appunto, con la trascrizione.<br />

Se nel suo primo aspetto rende pubblico un effetto giuridico che si è verificato, comunque,<br />

indipendentemente da essa, nel suo secondo aspetto la trascrizione assume la<br />

veste di elemento costitutivo, entrando così nel campo del diritto sostanziale [cfr. FERRI,<br />

sub artt. 2643-2682 c.c., in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1977, 24]. Questo<br />

tipo di trascrizione, qualificata come trascrizione costitutiva, produce essenzialmente effetti<br />

giuridici di diritto sostanziale come accade nel caso dell’iscrizione dell’ipoteca.<br />

In particolare, l’art. 2644 c.c. chiarisce quali sono gli effetti della trascrizione degli atti<br />

previsti dall’art. 2643 c.c., nonché di quelli che possono trovare collocazione nell’ambito<br />

dell’art. 2645 c.c. È stato osservato, in dottrina, che la norma di cui all’art. 2644 c.c. non<br />

deve essere ricostruita in modo rigido e aprioristico secondo lo schema della doppia a-<br />

lienazione immobiliare ossia del rapporto tra aventi causa da un medesimo dante causa,<br />

risolto in favore di colui che per primo abbia trascritto il suo titolo di acquisto. Questo<br />

schema si adatta certamente alle ipotesi di costituzione, trasferimento o modificazione di<br />

diritti reali, mentre non è pertinente alle ipotesi in cui non è concepibile un conflitto in<br />

senso tecnico. Ad esempio, negli atti di rinunzia, il terzo che si avvale della rinunzia non<br />

è un avente causa dal rinunziante, atteso il carattere meramente abdicativo del negozio.<br />

Neppure è concepibile un conflitto in senso tecnico in presenza di una transazione (art.<br />

2643, n. 13, c.c.): l’avente causa dal transigente che trascrive il proprio acquisto prima<br />

della trascrizione della transazione non prevale sull’altro transigente, ma ha solo il diritto<br />

di disconoscere la transazione rimettendosi alla decisione del giudice o raggiungendo un<br />

diverso accordo transattivo. In tal caso, l’art. 2644 c.c. trova applicazione solo dal punto<br />

di vista dell’inopponibilità della transazione e non già sul piano della risoluzione del conflitto<br />

[in tal senso, cfr. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, in Cod. civ. comm., diretto da<br />

Schlesinger, I, Milano, 1991, 457-458].<br />

Il principio fissato nell’art. 2644 c.c. vale anche per le iscrizioni, così che il creditore ipotecario<br />

è terzo rispetto alle alienazioni del bene ipotecato effettuate dopo l’iscrizione<br />

dell’ipoteca [sul concetto di terzo, cfr. GAZZONI, op. cit., 530 ss.]. Tuttavia, il conflitto tra i-<br />

scrizione ipotecaria e trascrizione dell’acquisto è solo potenziale perché il creditore – titolare<br />

del diritto ipotecario – non gode del bene e non ne limita il godimento da parte del titolare<br />

del diritto trascritto, ma può solo agire esecutivamente sul bene stesso in caso di inadempimento;<br />

l’iscrizione ipotecaria si atteggia come “una specie di prenotazione in vista<br />

degli effetti attributivi quali deriveranno dall’esercizio del titolo esecutivo [...]. Pertanto, trascritto<br />

un atto costitutivo di un diritto reale o personale di godimento è possibile al proprietario<br />

concedere ipoteca, la quale sarà iscritta per la proprietà nuda o gravata dal diritto altrui.<br />

Non sarà invece possibile iscrivere ipoteca su un bene la cui proprietà sia già stata<br />

trasferita con atto trascritto tempestivamente” [cfr. GAZZONI, op. cit., 584 ss.; MAIORCA, Della<br />

trascrizione, in Comm. cod. civ., diretto da D’Amelio-Finzi, Firenze, 1943, 17].<br />

230<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Civilistici<br />

Si tenga a mente, altresì, che sul rapporto tra beni futuri ed ipoteca l’art. 2823 c.c. dispone<br />

che: “l’ipoteca su cosa futura può essere validamente iscritta solo quando la cosa<br />

è venuta ad esistenza” [in dottrina, v. RAVAZZONI, Le ipoteche, in Tratt. Rescigno, 20, Torino,<br />

1985, 53; FRAGALI, Ipoteca (dir. priv.), in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972, 785; GORLA,<br />

Del pegno. Delle ipoteche, in Comm. Scialoja-Branca, sub artt. 2784-2899, Bologna-<br />

Roma, 1968, 248; BOERO, Le ipoteche, Torino, 1999, 245].<br />

In fattispecie che attengono agli edifici da costruire autorevole dottrina [BOERO, Le i-<br />

poteche, Torino, 1999, 245] ha sottolineato come “a proposito delle costruzioni immobiliari<br />

sono da compiere alcune precisazioni. Se il vincolo concerne anche il suolo, l’estensione<br />

dell’ipoteca alla costruzione avviene automaticamente ex art. 2811 c.c. e non può<br />

quindi ritenersi necessario indicare la costruzione nell’iscrizione relativa al suolo (mentre<br />

un’iscrizione relativa alla sola costruzione futura sarebbe nulla ex art. 2813 c.c., né si potrebbe<br />

applicare al suolo a meno che dall’iscrizione stessa risulti la sicura volontà di vincolarlo<br />

e se ne possano desumere gli elementi di identificazione ex art. 2816 c.c.)”.<br />

Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza di merito che ha affermato:<br />

“L’ipoteca iscritta su un terreno si estende gradualmente per accessione all’edificio che<br />

su di esso viene costruito e prevale sull’atto anteriormente trascritto con il quale si acquista<br />

la proprietà dell’edificio da costruirsi poiché, essendo tale bene dedotto in contratto<br />

come futuro, il trasferimento del diritto dominicale si verifica soltanto nel momento in cui<br />

l’edificio viene ad esistenza”, e che: “All'iscrizione di ipoteca su un edificio in costruzione<br />

non può opporsi la precedente trascrizione del contratto di permuta di cosa presente con<br />

cosa futura: infatti tale trascrizione non ha efficacia prenotativa e non produce il retroagire<br />

del trasferimento della proprietà, che si realizza solo al momento dell'ultimazione dell'opera<br />

nei suoi elementi essenziali” [Trib. Ivrea 9 giugno 2003, in Giur. it., 2004, 1650].<br />

L’ammissibilità della trascrizione non deroga al principio per il quale il trasferimento<br />

della proprietà si ha solo al momento dell’ultimazione dei lavori: “[...] l’ordinamento non<br />

attribuisce alcuna efficacia di prenotazione al contratto produttivo di effetti meramente<br />

obbligatori”. E, ancora, “la trascrivibilità della vendita di cosa futura [...] serve pur sempre<br />

a risolvere, conformemente al disposto dell’art. 2644 c.c., l’eventuale conflitto con altri<br />

acquirenti dello stesso bene che non abbiano trascritto il proprio acquisto o lo abbiano<br />

fatto posteriormente” [cfr. Cass. 10 marzo 1997, n. 2126, in Riv. not., 1997, 941]. In sostanza,<br />

l’art. 2644 c.c. fa riferimento al conflitto tra acquirenti dello stesso bene, con la<br />

naturale conseguenza che si è fuori dall’ambito applicativo di detta norma quando i beni<br />

sono diversi tra loro.<br />

Concludendo, se è vero che la Alfa S.r.l., una volta divenuta proprietaria dell’area<br />

oggetto della permuta, può concederla in garanzia iscrivendovi ipoteca, non è men vero<br />

che l’ipoteca si estende gradualmente per accessione all’edificio che su di essa viene<br />

costruito. Ne consegue che l’ipoteca appare opponibile a Tizio, Caio e Sempronio, ex<br />

proprietari dell’area su cui è stato realizzato il fabbricato. Perciò, sarà obbligo della Alfa<br />

S.r.l. di adoperarsi con l’istituto mutuante al fine di liberare dalla citata formalità i beni di<br />

cui i permutanti sono divenuti proprietari. In altri termini, all’obbligo della società costruttrice<br />

di far nascere la cosa (rectius: di costruire le unità immobiliari) corrisponde il diritto<br />

Studi e Materiali – 1/2011 231


Ipoteca del bene presente nel contratto di permuta - Quesito n. 462-2010/C<br />

dei permutanti Tizio, Caio e Sempronio di acquistarne la proprietà, ma libera da formalità<br />

pregiudizievoli.<br />

Ad una differente soluzione potrebbe giungersi qualora l’ipoteca venisse iscritta in un<br />

momento successivo a quello in cui i beni (futuri) sono venuti ad esistenza e, quindi, dopo<br />

che Tizio, Caio e Sempronio sono divenuti proprietari delle porzioni immobiliari oggetto<br />

della permuta, in applicazione della norma di cui all’art. 1472 c.c. In questo caso,<br />

l’ipoteca non sarebbe a loro opponibile, secondo quanto previsto dall’art. 2823 c.c. sopra<br />

citato.<br />

Per ciò che concerne la seconda parte del quesito si propone l’annotamento a margine<br />

dell’iscrizione ipotecaria di un atto di identificazione catastale. Ebbene, tenuto conto<br />

di quanto si è detto a proposito dell’effetto per così dire espansivo dell’ipoteca iscritta sul<br />

terreno sul quale si è successivamente costruito, si concorda con la soluzione indicata,<br />

giacché l’annotamento del citato atto consente di individuare le unità immobiliari – diverse<br />

da quelle di titolarità dei permutanti – sulle quali l’ipoteca grava.<br />

232<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Donazione con riserva di usufrutto successivo<br />

da parte del nudo proprietario<br />

Quesito n. 539-2010/C<br />

Daniela Boggiali<br />

Si espone la seguente fattispecie:<br />

Tizio è nudo proprietario di un immobile abitativo ricevuto per donazione dal padre, che<br />

se ne è riservato l’usufrutto, tuttora in essere.<br />

Tizio intende donare la nuda proprietà dell’abitazione al proprio figlio, riservando a suo<br />

favore l’usufrutto per il momento in cui si estinguerà quello del padre.<br />

Si chiede se tale atto sia ammissibile e, in caso affermativo, se Tizio possa ulteriormente<br />

riservare l’usufrutto, oltre che per sé, per un’altra persona dopo di sé come previsto<br />

dall’art. 796 c.c. In sostanza si chiede se l’art. 796 c.c. sia applicabile anche nel caso in<br />

cui il donante sia nudo proprietario del bene donato.<br />

Nel caso prospettato, verrebbe posta in essere una fattispecie negoziale avente ad<br />

oggetto i seguenti elementi: donazione dell’attuale nuda proprietà con riserva in proprio<br />

favore dell’usufrutto sottoposto alla condizione sospensiva di sopravvivenza dei beneficiari<br />

al primo usufrutto ed al termine iniziale di efficacia di estinzione di quello attuale e,<br />

dopo di sé, con riserva di un ulteriore usufrutto in favore di un terzo.<br />

Al fine di valutare se l’art. 796 c.c. sia applicabile anche al caso in cui il donante sia<br />

nudo proprietario, occorre valutare due profili: in primo luogo, se nella fattispecie in esame<br />

ricorrono le caratteristiche degli usufrutti successivi vietati dagli artt. 698 e 796 c.c.;<br />

in secondo luogo, se si verifica una donazione di beni futuri vietata dall’art. 771 c.c.<br />

Quanto al primo profilo, deve rilevarsi che l’usufrutto successivo si ha quando un bene<br />

forma oggetto di due o più diritti di usufrutto, i quali si differenziano tra loro per il fatto<br />

che ciascun usufrutto, spettante ad una o più persone diverse, sorge in tempi differenti,<br />

in base ad un ordine cronologico nel quale gli usufrutti successivi al primo sorgono al<br />

momento dell’estinzione di quello che li precede.<br />

L’usufrutto successivo è espressamente disciplinato con riferimento alle disposizioni<br />

testamentarie ed alle donazioni (artt. 698 e 796, c.c.).<br />

In materia testamentaria, l’art. 698, c.c., stabilisce che la disposizione con la quale è<br />

lasciato a più persone successivamente l’usufrutto ha valore soltanto a favore di quelli<br />

che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne.<br />

In materia di donazioni, l’art. 796 c.c. dispone che il donante può riservare l’usufrutto<br />

dei beni donati a proprio vantaggio e dopo di lui a vantaggio di una o più persone, ma<br />

non successivamente.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 233


Donazione con riserva di usufrutto successivo – Quesito n. 539-2010/C<br />

Tale norma consente, quindi, al donante di costituire un primo usufrutto in suo favore<br />

ed un usufrutto successivo in favore di un terzo.<br />

La possibilità di costituire un usufrutto successivo attraverso la figura giuridica della<br />

donazione con riserva di usufrutto non configura né un’eccezione, né una deroga al divieto<br />

di legato di usufrutto successivo di cui all’art. 698, c.c., il quale vieta che dopo la<br />

morte del testatore non possano succedersi due usufrutti differenti.<br />

Tale divieto non è derogato nella fattispecie consentita dall’art. 796 c.c., perché nella<br />

donazione con riserva di usufrutto successivo, invece, il primo usufrutto sussiste durante la<br />

vita del donante, mentre il secondo usufrutto sorge successivamente alla morte del donante.<br />

In realtà, tanto l’art. 698, c.c., quanto l’art. 796, c.c., escludono la possibilità per un<br />

soggetto di costituire due usufrutti successivi tra loro, entrambi posteriori alla morte del<br />

disponente: anche nella donazione con riserva di usufrutto, infatti, il donante può riservare<br />

l’usufrutto per sé e dopo di sé a favore più persone, ma non successivamente [TRIN-<br />

CHILLO, Riflessioni in merito all’art. 796 c.c. e dintorni., in Riv. not., 2003, 912, osserva<br />

che “riportando le considerazioni esposte alla fattispecie dell’art. 796, la prospettazione<br />

di quest’ultima come una deroga all’usufrutto successivo appare invero impropria, in<br />

quanto, se si esclude la mera circostanza concreta che l’usufrutto viene goduto prima dal<br />

donante in vita e, alla sua morte, da un altro, siamo totalmente fuori dall’ambito «tecnico»<br />

dell’usufrutto successivo non consentito, riferito, come ho detto, dallo stesso legislatore<br />

a due titolarità di usufrutto sullo stesso bene, entrambe post mortem rispetto al disponente.<br />

Dove invece torna il riferimento proprio all’usufrutto successivo vietato,<br />

nell’ambito della previsione dell’art. 796, è nella fase riguardante la destinazione<br />

dell’usufrutto «dopo di sé» – dopo la morte del donante; in essa siamo pienamente nell’ambito<br />

del divieto dell’art. 698, e, coerentemente, il legislatore ribadisce la prescrizione<br />

ivi contenuta anche per la nostra fattispecie, con l’inciso «ma non successivamente»].<br />

Ciò significa che l’art. 796, c.c., non contiene un divieto generale di costituire per donazione<br />

l’usufrutto successivo. Tale norma, in realtà, al pari dell’art. 698, c.c., vieta la fattispecie<br />

dell’usufrutto successivo limitatamente all’ipotesi in cui chi dona la nuda proprietà<br />

intenda costituire più usufrutti successivi alla propria morte.<br />

Tale interpretazione è confermata dalla giurisprudenza, secondo la quale “non contrasta<br />

con l’essenza dell’usufrutto e col suo carattere di temporaneità la costituzione di un u-<br />

sufrutto successivo, in favore di più persone fisiche tutte viventi al momento della costituzione<br />

stessa, mediante un atto tra vivi diverso dalla donazione. Nessun divieto al riguardo<br />

è posto dalla legge. E, d’altro canto, la temporaneità dell’usufrutto successivo costituito<br />

mediante un tale atto tra vivi è assicurata dalla necessità che tutti i beneficiari di esso siano<br />

viventi al momento della costituzione” [Cass. 19 ottobre 1957, n. 3985, in Giust. civ., 1958,<br />

717; nello stesso senso Cass. 14 maggio 1962, n. 1024, in Giust. civ., 1962, 874].<br />

In merito al caso di specie, il nudo proprietario di un bene intenderebbe donare la<br />

nuda proprietà riservando per sé un usufrutto subordinato all’estinzione di quello attualmente<br />

esistente a favore di un terzo, e riservando altresì a favore di un altro beneficiario<br />

un ulteriore usufrutto successivo al proprio.<br />

Non si avrebbe, quindi, violazione dei divieti contenuti negli artt. 698 e 796 c.c., in<br />

quanto soltanto l’usufrutto costituito in favore del terzo beneficiario della riserva è poten-<br />

234<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Civilistici<br />

zialmente destinato a venire ad esistenza in un momento successivo alla morte<br />

dell’attuale disponente.<br />

Quanto, poi, al secondo profilo problematico, relativo al divieto di donare beni futuri<br />

ex art. 771 c.c., occorre considerare che la fattispecie in oggetto consiste in una donazione<br />

dell’attuale nuda proprietà con riserva in proprio favore dell’usufrutto sottoposto al<br />

termine iniziale di efficacia di estinzione di quello attuale e, dopo di sé, di un ulteriore u-<br />

sufrutto in favore di un terzo.<br />

Potrebbe, dunque porsi la questione se la riserva del secondo usufrutto in favore del<br />

terzo beneficiario possa consistere in una donazione di bene futuro.<br />

La risposta appare negativa, in quanto il nudo proprietario può essere considerato<br />

come titolare di un usufrutto sottoposto al termine iniziale dell’estinzione dell’usufrutto attualmente<br />

esistente sul bene.<br />

L’acquisto di tale ulteriore usufrutto è, infatti, un effetto legale dell’estinzione dell’usufrutto<br />

attuale che non richiede il compimento di alcun atto negoziale: ciò sembra essere<br />

sufficiente ad escludere che la donazione di un usufrutto, successivo a quello attualmente<br />

esistente, da parte del nudo proprietario possa consistere in una donazione di beni futuri<br />

o altrui [SGROI, Brevi note in tema di donazione dell’usufrutto da parte del nudo proprietario,<br />

in Vita not., 1991, 1164 ss., ritiene che si possa tanto donare, quanto trasferire<br />

a titolo oneroso l’usufrutto di un bene di cui si è soltanto nudi proprietari, in quanto il nudo<br />

proprietario risulta essere già titolare dell’usufrutto oggetto di donazione, il quale è<br />

sottoposto al termine iniziale dell’estinzione dell’usufrutto attuale].<br />

A tali considerazioni si può, inoltre, aggiungere il fatto che l’usufrutto è un diritto limitato<br />

nel tempo (poiché non può durare oltre la vita dell’usufruttuario e, comunque, non può eccedere<br />

i trent’anni) e, pertanto, può ammettersi che la nascita del nuovo usufrutto venga<br />

prevista per il periodo successivo all’estinzione del primo, sempre che il secondo usufruttuario<br />

sopravviva a codesta estinzione [così PUGLIESE, Usufrutto, uso e abitazione, in Trattato<br />

Vassalli, Torino, 1972, 140; PALERMO, Usufrutto, uso e abitazione, in Giur. Sist. Bigiavi, Torino,<br />

1978, 394; in tal senso anche Appello Napoli 26 marzo 1942, in Mon. trib., 1943, 55].<br />

Se si ammette che il nudo proprietario possa disporre, tanto a titolo oneroso, quanto<br />

a titolo gratuito, dell’usufrutto successivo a quello attualmente esistente, appare ammissibile<br />

che lo stesso possa avvalersi della facoltà di cui all’art. 796 c.c.<br />

In tale ipotesi, infatti, il nudo proprietario compie un atto di disposizione di diritti di cui<br />

egli è legittimato a disporre: la nuda proprietà e l’usufrutto sottoposto al termine iniziale<br />

di estinzione di quello attuale, donando la prima ad un soggetto e riservando il secondo<br />

in proprio favore e, dopo di sé, in favore di un altro soggetto in base a quanto espressamente<br />

consente l’art. 796 c.c.<br />

Si deve, poi, osservare che nel caso di specie l’usufrutto in favore del terzo beneficiario<br />

della riserva è subordinato, oltre che all’estinzione di quello attuale, al termine iniziale<br />

dell’estinzione dell’usufrutto che si è riservato il donante ed alla condizione della premorienza<br />

del donante rispetto al terzo beneficiario della riserva.<br />

Potrebbe, pertanto, porsi la questione se, nel caso in esame, qualora il donante<br />

muoia prima che si costituisca l’usufrutto in suo favore, ossia quando è ancora in vita<br />

l’attuale usufruttuario, operi ugualmente la riserva successiva in favore del terzo beneficiario;<br />

appare, quindi opportuna un’apposita regolamentazione di tale evenienza.<br />

In conclusione, appare ammissibile la fattispecie prospettata.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 235


Vendita e atti di straordinaria amministrazione<br />

di beni ecclesiastici: due casi concreti<br />

Quesito n. 643-2010/C<br />

Nunzio-Attilio Toscano<br />

Si descrivono le seguenti fattispecie:<br />

A) preliminare di vendita di proprietà di immobili di vario genere (fabbricati e terreni) tra<br />

cui vi sono beni oggetto di verifica in corso ex art. 12, comma 1, d.lgs. n. 42/2004, nel<br />

quale parte promittente venditrice è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto avente<br />

la natura di istituto religioso di diritto pontificio. Il prezzo concordato è di Euro<br />

13.000.000.<br />

Si chiede a codesto Ufficio Studi conferma circa il fatto che:<br />

1) ai sensi del can. 638 § 3, siano necessarie la licenza del Superiore – con il consenso<br />

del Consiglio – e della Santa Sede (data la suddetta qualità di taluno dei beni in questione<br />

e dato il valore eccedente 1 milione di Euro fissato dalla delibera CEI n. 20);<br />

2) tali licenze debbano essere precedenti al contratto preliminare;<br />

3) quest'ultimo non possa condizionarsi sospensivamente al rilascio delle dette licenze.<br />

B) vendita al prezzo di Euro 271.000, avente ad oggetto beni immobili pervenuti all’attuale<br />

venditore da ente ecclesiastico civilmente riconosciuto avente la natura di istituto religioso<br />

di diritto pontificio.<br />

Si chiede a codesto Ufficio Studi conferma del fatto che:<br />

1) ai sensi del can. 638 § 3, fossero necessarie la licenza del Superiore con il consenso<br />

del Consiglio;<br />

2) in mancanza di tali licenze la vendita precedente sia invalida, richiamando a sostegno<br />

le Istruzioni in Materia Amministrativa della CEI del 2005. Lei, quindi, avanza dubbi sulla<br />

sanzione dell’annullabilità, perché la norma (can. 638, § 2) richiede la licenza per la "validità"<br />

e perché ritiene che l'annullabilità debba essere espressa.<br />

Individuazione dei concetti rilevanti.<br />

Prima di procedere oltre, è bene fissare alcuni concetti utili per poter fornire, infine, le<br />

dovute risposte.<br />

Nel diritto canonico assume un rilevante ruolo la distinzione tra persona giuridica canonica<br />

pubblica e persona giuridica canonica privata (cfr. can. 116 § 1), nonché il concetto<br />

di patrimonio stabile; ciò, allo scopo di individuare il regime giuridico delle alienazioni<br />

dei beni degli enti in questione.<br />

Entrambi i concetti – “persona giuridica pubblica” e “patrimonio stabile” – sono richiamati,<br />

tra gli altri, nel can. 1291, secondo cui: “Per alienare validamente i beni che<br />

costituiscono per legittima assegnazione il patrimonio stabile di una persona giuridica<br />

236<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Civilistici<br />

pubblica, e il cui valore ecceda la somma fissata dal diritto, si richiede la licenza<br />

dell’Autorità competente a norma del diritto”.<br />

Tuttavia, distinguere se l’ente possa essere qualificato come “persona giuridica pubblica”<br />

o, piuttosto, come “persona giuridica privata” si dimostra essere operazione necessaria,<br />

ma non sufficiente, per comprendere se lo stesso ente possa perciò stesso disporre<br />

dei suoi beni, rispettivamente, soltanto previa “autorizzazione” o, invece, in maniera<br />

anche del tutto libera. Infatti, dopo aver accertato che ci si trova davanti ad una<br />

“persona giuridica pubblica”, occorre ulteriormente valutare se i beni di cui intende disporre<br />

fanno parte del suo “patrimonio stabile”.<br />

Inoltre, secondo la Istruzione in Materia Amministrativa (IMA) della CEI del 2005:<br />

“Per la validità dei medesimi atti [alienazioni dei beni costituenti il patrimonio stabile (cfr.<br />

can. 1291) e dei negozi che possono peggiorare lo stato patrimoniale della persona giuridica<br />

(cfr. can. 1295)] di valore inferiore alla somma minima stabilita dalla Conferenza<br />

Episcopale, il codice, di per sé, non prevede alcun tipo di controllo canonico. Tali atti, tuttavia,<br />

come anche l’alienazione di beni che non rientrano nel patrimonio stabile dell’ente,<br />

possono essere soggetti a licenze previste da fonti normative diverse, quali il decreto<br />

generale del Vescovo diocesano, ai sensi del can. 1281 § 2, o le norme statutarie della<br />

persona giuridica stessa”.<br />

Persone giuridiche canoniche pubbliche e persone giuridiche canoniche private.<br />

Le persone giuridiche pubbliche sono costituite dalla competente autorità ecclesiastica<br />

per i fini propri della Chiesa; le persone giuridiche private sono individuate per esclusione,<br />

ossia sono tutte private le persone giuridiche che non sono pubbliche.<br />

Detto altrimenti, sono persone giuridiche pubbliche quelle previste come tali dallo<br />

stesso codice di diritto canonico, quelle costituite come tali con speciale decreto dell’autorità<br />

ecclesiastica competente, o quelle riconosciute successivamente come tali, sempre<br />

in virtù di speciale decreto dell’autorità ecclesiastica competente (cfr. can. 116 § 2).<br />

Ai sensi dei cann. 607 § 2 e 634 sono persone giuridiche pubbliche gli istituti di vita consacrata<br />

(sia di diritto pontificio che di diritto diocesano), le loro provincie e le loro case religiose.<br />

Dal n. 11 della IMA è dato evincere che la Santa Sede, la CEI (limitatamente alle associazioni<br />

pubbliche di fedeli di rilevanza nazionale), i Vescovi diocesani (limitatamente<br />

alla propria giurisdizione) e i Superiori Maggiori (limitatamente alle case e province religiose)<br />

hanno la competenza ed il potere di erigere persone giuridiche specificandosi, tuttavia,<br />

che: “È conveniente che l’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto sia persona<br />

giuridica pubblica nell’ordinamento canonico, anche se tale requisito non è esplicitamente<br />

prescritto dall’art. 1 della legge n. 222/1985”.<br />

Pertanto, le persone giuridiche erette da altri organi devono ascriversi sicuramente a<br />

quelle “private”, ma possono ottenere successivamente dai menzionati organi il riconoscimento<br />

della natura pubblica.<br />

Patrimonio stabile.<br />

Su questo concetto non è dato riscontrare nel diritto canonico una vera e propria definizione:<br />

si accoglie ancora quella data dal can. 1530 del Codice del 1917 per il quale si<br />

Studi e Materiali – 1/2011 237


Vendita e atti di straord. amministrazione di beni ecclesiastici – Quesito n. 643-2010/C<br />

tratta dei beni “quae servando servari possunt”. Gli studiosi della materia parlano di “beni<br />

che, in forza della loro natura o della loro funzione o destinazione, possono e devono<br />

essere conservati” [cfr. V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, Città del Vaticano,<br />

1999, 186]. Si tratta, ci pare di comprendere, di una dotazione permanente necessaria<br />

per poter conseguire i fini istituzionali del soggetto canonico.<br />

Del “patrimonio stabile” possono far parte anche beni diversi dagli immobili, quali<br />

somme di denaro o prodotti finanziari [cfr. L. SIMONELLI, L’alienazione dei beni immobili<br />

degli istituti religiosi: valutazione ecclesiale e prassi canonica, in Ex lege, 2009, 3, 13].<br />

Dal can. 1291 si desume che sono beni del “patrimonio stabile” solo quelli oggetto di<br />

“legittima assegnazione”, cioè quelli identificati mediante un atto giuridico, quale, ad e-<br />

sempio, il decreto dell’Autorità con il quale si erige l’Istituto e lo si dota dei beni costituenti<br />

il suo patrimonio iniziale, o quelli che risultano tali sulla base di una volontà implicita,<br />

come, ad esempio, nel caso di acquisto di un edificio da destinare a sede della casa religiosa<br />

[cfr. SIMONELLI, op. cit., 14].<br />

Al n. 53 dell’IMA si legge, tra l’altro, che: “Patrimonio stabile tuttavia non significa patrimonio<br />

perennemente immobilizzato, in quanto lo stesso diritto ne prevede, a determinate<br />

condizioni e cautele, l’eventuale trasformazione e persino l’alienazione. D’altra parte,<br />

anche le economie di gestione, quando ci fossero motivi particolari, potrebbero essere<br />

dichiarate patrimonio stabile. In genere si considerano patrimonio stabile:<br />

– i beni facenti parte della dote fondazionale dell’ente;<br />

– quelli pervenuti all’ente stesso, se l’autore della liberalità ha così stabilito;<br />

– quelli destinati a patrimonio stabile dall’organo di amministrazione dell’ente;<br />

– i beni mobili donati ex voto alla persona giuridica.<br />

Non sono invece configurabili come patrimonio stabile – a meno che vi sia una legittima<br />

assegnazione – i frutti della terra, del lavoro o di altre attività imprenditoriali, le rendite<br />

dei capitali e del patrimonio immobiliare, le somme capitalizzate temporaneamente<br />

per goderne un rendimento più elevato, gli stessi immobili destinati, per volontà del donante,<br />

a smobilizzo per l’immediata riutilizzazione del ricavato”, concludendosi con la<br />

raccomandazione seguente: “È perciò opportuno che ogni persona giuridica disponga<br />

dell’elenco dei beni costituenti il proprio patrimonio stabile”.<br />

Dal n. 51 dell’IMA si evince che:<br />

– “I beni posseduti dalle persone giuridiche canoniche pubbliche sono beni ecclesiastici<br />

(cfr. can. 1257 § 1). La Chiesa ha il diritto nativo di acquistare, possedere e alienare<br />

beni temporali per perseguire i fini che le sono propri (cfr can. 1254 § 1). [...] I beni ecclesiastici<br />

sono disciplinati dal diritto universale (specialmente dal libro V del codice di diritto<br />

canonico), dal diritto particolare nonché dagli statuti delle singole persone giuridiche<br />

proprietarie (cfr. can. 1257 § 1)”;<br />

– “I beni delle persone giuridiche private sono disciplinati dai propri statuti e non dal<br />

libro V del codice, con le eccezioni espressamente previste (cfr can. 1257 § 2) e fatto<br />

salvo il diritto della competente autorità ecclesiastica di vigilare affinché i beni medesimi<br />

siano utilizzati per i fini dell’ente e siano adempiute le pie volontà (cfr. can. 325).”<br />

238<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Civilistici<br />

Ente ecclesiastico, regime delle autorizzazioni e ruolo della licentia.<br />

Come detto, per il diritto canonico non tutti gli enti ecclesiastici sono “persone giuridiche<br />

pubbliche” (alle quali soltanto si applica il Libro V del codice canonico). È, quindi,<br />

possibile trovarsi innanzi ad un ente ecclesiastico senza, però, che ciò implichi il suo assoggettamento<br />

alla disciplina delle autorizzazioni canoniche preventive; le uniche autorizzazioni<br />

eventualmente richieste potrebbero risultare dallo statuto dell’ente che, quindi,<br />

è opportuno venga (preventivamente) consultato dal notaio rogante.<br />

L’art. 18 della legge n. 222/1985 (in materia di disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici<br />

in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi) dispone<br />

che: “Ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici<br />

non possono essere opposte a terzi, che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni<br />

dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli canonici che non risultino dal codice<br />

di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche”. In mancanza del rispetto di<br />

tale onere, al terzo di buona fede non sono opponibili le limitazioni di origine statutaria, al<br />

contrario di quelle derivanti dal codex che non deve essere pubblicizzato [cfr. TOZZI, La<br />

disciplina degli enti ecclesiastici nel nuovo assetto concordatario, in AA.VV., Enti ecclesiastici<br />

e attività notarile, a cura di Tozzi, Napoli, 1989, 58 ss.].<br />

Il can. 1292 distingue tra una somma minima e una somma massima (su cui v. infra);<br />

tale distinzione non ha però rilievo per gli Istituti religiosi [cfr. incipit dal can. 1292 “Salvo<br />

il disposto del can. 638, § 3…”] in quanto per essi, ai sensi del can. 638 § 3, rileva solo la<br />

somma fissata dalla Santa Sede.<br />

Per la puntuale individuazione di quest’ultima – non avendo la Santa Sede emanato<br />

un provvedimento ad hoc – occorre ancora riferirsi al rescritto pontificio Cum Admotae n.<br />

9 [cfr. J.B. BEYER, Il diritto della vita consacrata, Milano, 1989, 283], che rinvia a quanto<br />

stabilito ex can. 1292 dalle diverse Conferenze Episcopali nazionali § 2 (per l’Italia attualmente<br />

la somma oltre la quale occorre la licenza della Santa Sede è pari ad 1 milione<br />

di euro).<br />

Inoltre si deve anche considerare che il can. 638 § 3, pur non facendo riferimento al<br />

concetto di patrimonio stabile, è ritenuto applicabile soltanto agli immobili del patrimonio<br />

stabile, ritenendosi il corrispondente del can. 1291.<br />

Schematicamente, ciò significa che:<br />

– per gli enti soggetti al Vescovo diocesano, oltre ad aver rilievo il fatto di essere un<br />

bene immobile riconducibile al patrimonio stabile, rileva anche la somma minima fissata<br />

dalla CEI. Pertanto:<br />

a) fino a euro 250.000 non serve la licenza del Vescovo (o dell’autorità determinata<br />

negli Statuti);<br />

b) tra i 250.000 e 1.000.000 serve la licenza del Vescovo (o dell’autorità determinata<br />

negli Statuti);<br />

c) oltre 1.000.000 serve anche la licenza della Santa Sede;<br />

d) in via incidentale, occorre però precisare che le alienazioni che ai sensi dei cann.<br />

1291-1295 non sono soggette a licenza del Vescovo (in quanto relative a beni non appartenenti<br />

al patrimonio stabile o di valore inferiore alla somma minima) potrebbero es-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 239


Vendita e atti di straord. amministrazione di beni ecclesiastici – Quesito n. 643-2010/C<br />

sere inserite dal Vescovo diocesano nel decreto di cui al can. 1281 – atti di straordinaria<br />

amministrazione – e dunque richiedere la licenza dell’Ordinario.<br />

– per gli Istituti religiosi, i livelli dei controlli sono i seguenti:<br />

a) necessità della licenza del superiore competente (ai sensi delle Costituzioni) se<br />

l’immobile appartiene al patrimonio stabile, a prescindere dal valore (can. 638, § 3);<br />

b) necessità anche della licenza della Santa Sede – ai sensi del can. 638 § 3 – se<br />

l’immobile appartiene al patrimonio stabile ed è di valore superiore ad euro 1 milione;<br />

c) non è richiesta alcuna licenza se il bene immobile non appartiene al patrimonio<br />

stabile (qualsiasi valore abbia), salvo che le Costituzioni/Statuti considerino queste alienazioni<br />

atti di straordinaria amministrazione.<br />

Le Costituzioni o un loro estratto dovrebbero essere presenti nel fascicolo del Registro<br />

Persone Giuridiche.<br />

Perciò, il notaio, a tal fine, deve far riferimento alle norme di diritto canonico e al registro<br />

delle persone giuridiche [cfr. PICCOLI, La rappresentanza negli enti ecclesiastici, in<br />

Riv. not., 2000, 27].<br />

La dottrina si è anche soffermata sul ruolo che tale licentia assume nella formazione<br />

del contratto. Tale elemento è stato ritenuto necessario ai fini della validità del contratto:<br />

la mancanza ne determinerebbe l’annullabilità [cfr. PICCOLI, op. cit., 33] e l’ente ecclesiastico<br />

sarà l’unico legittimato all’impugnazione del negozio concluso in assenza di licentia.<br />

Non è chiaro, invece, se possa estendersi al negozio invalido in questione l’istituto<br />

della convalida. In senso favorevole si è espresso FUCCILLO [Diritto ecclesiastico, Torino,<br />

2000, 58], che ha affermato come “l’ente ecclesiastico sarà l’unico legittimato all’impugnazione<br />

del negozio concluso, e di conseguenza l’unico abilitato alla convalida, che dovrà<br />

intervenire con le modalità di cui all’art. 1444 c.c., e con regolare e preventiva licentia<br />

canonica che autorizzi l’ente medesimo al negozio di convalida”.<br />

Occorre valutare come tale atto possa incidere sulle funzioni svolte dal notaio.<br />

Se la licentia attiene alla capacità negoziale degli enti ecclesiastici e, in particolare,<br />

integra i poteri di rappresentanza degli amministratori [in tal senso, cfr. F. FINOCCHIARO,<br />

Diritto ecclesiastico, Bologna, 385], ne consegue che è fatto divieto al notaio di ricevere il<br />

negozio in assenza della licentia, ancorché l’assenza di tale atto non renda applicabile<br />

l’art. 28 legge notarile che si riferisce soltanto agli atti affetti da nullità [cfr. CASU, Dizionario<br />

giuridico del notariato, Milano, 2006, 336, che ha sottolineato che tutte le fattispecie<br />

disciplinate dall’art. 54 del regolamento notarile restano fuori dalla portata dell’art. 28 l.n.<br />

In ogni caso il notaio che viola l’art. 54 del regolamento ne risponde sul piano del risarcimento<br />

danni conseguente a violazione del contratto d’opera professionale].<br />

Conseguenze e conclusioni.<br />

Alla luce di quanto sopra, si può affermare che, per individuare la disciplina da applicare<br />

in ipotesi di alienazione di beni appartenenti a detti enti ecclesiastici, si deve accertare,<br />

innanzitutto, se si tratta di una persona giuridica pubblica o privata. Nel primo caso,<br />

si dovrà poi verificare se i beni da alienare rientrano nel suo “patrimonio stabile”. Infatti, il<br />

can. 1291 – e, si ritiene, il can. 638 § 3 – dispone l’acquisizione dell’autorizzazione (rectius:<br />

licentia) ai soli fini dell’alienazione di beni del patrimonio stabile della persona giuridica<br />

pubblica.<br />

240<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Civilistici<br />

Perciò, là dove si tratti di bene in quel patrimonio non rientrante, sarà possibile alienarlo<br />

senza necessità di autorizzazione, qualunque sia il suo valore, fatta però salva<br />

l’ipotesi che le Costituzioni/Statuti o – per gli enti soggetti al Vescovo diocesano – il decreto<br />

vescovile ex can. 1281, non comprendano queste alienazioni tra gli atti di straordinaria<br />

amministrazione.<br />

La validità delle alienazioni da parte di persone giuridiche canoniche pubbliche di beni<br />

costituenti il loro patrimonio stabile (cfr. can. 1291 e can. 638 § 3) e dei negozi che<br />

possono peggiorare il loro stato patrimoniale (cfr. can. 1295) è dunque collegata, in forza<br />

del canone 1292 all’esistenza della licentia da rilasciarsi da parte del Vescovo diocesano<br />

o dell’autorità competente determinata nelle norme statutarie (cfr. can. 1292 § 1) o del<br />

superiore competente ai sensi delle Costituzioni.<br />

Può, al contrario, affermarsi che non è necessaria alcuna autorizzazione anche se il<br />

bene rientra nella fascia di valore 250.000/1 milione di euro, quando il cedente è un ente<br />

ecclesiastico canonicamente qualificabile come “persona giuridica privata”.<br />

Parimenti, non è necessaria alcuna licenza quando il cedente è “persona giuridica<br />

pubblica”, ma aliena beni non rientranti nel suo “patrimonio stabile”, sempre che tali alienazioni<br />

non siano fatte rientrare tra gli atti di amministrazione straordinaria.<br />

Stante quanto sopra:<br />

– nel caso sub A, stabilito che l’ente sia una persona giuridica pubblica ai sensi del<br />

diritto canonico, bisognerebbe capire se i beni di cui si intende disporre fanno parte del<br />

suo “patrimonio stabile”. In caso negativo, non è richiesta alcuna autorizzazione ai sensi<br />

del can. 638 § 3 (salvo però che l’alienazione di tali beni sia considerata dalle Costituzioni/Statuti<br />

atto di amministrazione straordinaria); in caso positivo, l’autorità ecclesiastica<br />

competente a concedere la licenza è indicata dalle Costituzioni/Statuto. Per ciò che<br />

concerne il tempo entro il quale ottenere l’autorizzazione, si è detto che deve essere<br />

precedente al negozio da concludere, mentre è stato affermato che “non sono nemmeno<br />

configurabili clausole che condizionino sospensivamente il negozio al suo rilascio” anche<br />

in presenza di contratto preliminare [cfr. PICCOLI, op. cit., 33-34]. Peraltro, sul punto,<br />

l’IMA n. 68, lett. c), precisa chiaramente che “il contratto preliminare può essere sottoscritto<br />

senza licenza purché sia espressamente condizionato alla concessione della licenza<br />

da parte dell’autorità competente”;<br />

– nel caso sub B, inteso che l’istituto religioso di diritto pontificio sia una persona giuridica<br />

pubblica bisognerebbe capire se i beni di cui ha disposto facevano parte del suo<br />

“patrimonio stabile”. In quest’ultimo caso, là dove il valore abbia superato il limite previsto<br />

dal codice di diritto canonico (come pare essere avvenuto), la licenza sarebbe stata<br />

necessaria. La sanzione dovrebbe essere quella dell’annullabilità, perché i controlli incidono<br />

sulla capacità dell’ente [cfr. FINOCCHIARO op. cit., 385; nello stesso senso, CAVANA,<br />

Attività negoziale degli enti ecclesiastici e regime dei controlli canonici, in Dir. fam., 2007,<br />

1372 ss. che esclude che possa parlarsi di nullità] che potrà essere fatta valere dall’ente<br />

stesso nel termine quinquennale (cfr. can. 197) di prescrizione decorrente dal giorno della<br />

conclusione del contratto. Le norme in materia di annullabilità (artt. 1425, 1431, 1441<br />

c.c.) risultano “canonizzate”, nel diritto della Chiesa vigente in Italia, perché il diritto canonico<br />

non dispone nulla in contrario e le norme civilistiche citate non sono in contrasto<br />

Studi e Materiali – 1/2011 241


Vendita e atti di straord. amministrazione di beni ecclesiastici – Quesito n. 643-2010/C<br />

con il diritto divino (cfr. can. 1290) [cfr. FINOCCHIARO, op. cit., 385]. Gli Autori, sopra citati,<br />

che si sono occupati del tema hanno affermato che si possa applicare anche la norma<br />

contenuta nell’art. 1444 c.c. relativa all’istituto della convalida.<br />

Nel caso concreto, quindi, si tratta di compiere tutte le necessarie verifiche, non ultima<br />

quella dell’eventuale prescrizione del termine quinquennale per l’annullamento. In<br />

caso contrario – ossia qualora il termine non fosse ancora trascorso – aderendo alla dottrina<br />

sopra richiamata, si potrebbe procedere alla convalida oppure, in alternativa, si potrebbe<br />

far intervenire in atto l’ente ecclesiastico, debitamente autorizzato, per prestare<br />

ogni più opportuno consenso alla rivendita del bene.<br />

242<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Commercializzazione di immobile “ante 1967”<br />

trasferito a seguito di procedura esecutiva con<br />

varianti al progetto originario non autorizzate<br />

Quesito n. 664-2010/C<br />

Maria Laura Mattia<br />

Si descrive la seguente fattispecie:<br />

“Il notaio è richiesto di ricevere l’atto di compravendita relativo ad un immobile acquistato<br />

dalla attuale proprietaria a seguito di aggiudicazione senza incanto con decreto di trasferimento<br />

del Tribunale di Milano del novembre 2007, nel quale non sono riportate le menzioni<br />

urbanistiche prescritte dalla legge a pena di nullità”.<br />

Si chiede, pertanto, se nel caso descritto ricorra l’esimente di cui al comma 5 dell’art.<br />

40 della legge n. 47/1985.<br />

Considerato, inoltre, che, secondo le risultanze di una perizia svolta in occasione della<br />

procedura di aggiudicazione, il fabbricato è stato edificato con autorizzazione edilizia<br />

dell’1/12/1962, cioè anteriormente al 1° settembre 1967, con abitabilità rilasciata il<br />

10/9/1964 e il 13/11/1964 ma che, pur non risultando presenti richieste per difformità o<br />

abusi edilizi, è stata riscontrata dalle piante di progetto dell’intero fabbricato una difformità<br />

imputabile al costruttore tra quanto autorizzato e quanto in realtà edificato, chiede come<br />

debba comportarsi in relazione a tale circostanza.<br />

L’art. 40, comma 5, della legge 47/1985 dispone che le nullità di cui al secondo comma<br />

dello stesso articolo (e dunque quelle derivanti dalla mancata menzione in atto del titolo a-<br />

bilitativo della costruzione o della dichiarazione sostitutiva di atto notorio per le opere iniziate<br />

anteriormente al 1° settembre 1967) “non si applicano ai trasferimenti derivanti da procedure<br />

esecutive immobiliari individuali o concorsuali nonché a quelli derivanti da procedure<br />

di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa”.<br />

Sono senza dubbio inclusi nel campo di applicazione dell’esimente in questione i trasferimenti<br />

avvenuti “in esito ad un processo esecutivo di espropriazione forzata immobiliare<br />

ai sensi delle norme del libro terzo del c.p.c., attuati, previo provvedimento di aggiudicazione<br />

o l’assegnazione, a mezzo di decreto di trasferimento del G.E.” [cfr. SANTUCCI,<br />

Osservazioni sull’applicabilità dell’art. 40 l. 47/1985 nell’ambito del giudizio divisorio<br />

(Studio CNN n. 7-2008/E), in Studi e Materiali, 4/2008, 1678 ss.], nel cui novero è<br />

senz’altro inclusa la vendita senza incanto di cui agli artt. 576 e ss. c.p.c., ricorrente nel<br />

caso di specie.<br />

L’esenzione dalle nullità previste dalla normativa urbanistica del trasferimento operato<br />

in sede di procedura esecutiva, e dunque la produzione dell’effetto traslativo, non va-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 243


Commercializzazione di immobile “ante 1967” – Quesito n. 664-2010/C<br />

le, tuttavia, a sanare le irregolarità urbanistiche riscontrate a carico dell’immobile in sede<br />

di perizia.<br />

Sostanziandosi, sulla base di quanto esposto, la difformità rilevata in un intervento<br />

edilizio che si discosta dal provvedimento abilitativo che ha autorizzato la costruzione del<br />

bene immobile, la stessa appare potersi senza dubbio qualificare come variante al progetto<br />

iniziale assentito, che, in quanto tale, avrebbe richiesto un ulteriore intervento abilitativo<br />

da parte della pubblica autorità.<br />

Seppure nella concreta fattispecie tali irregolarità non verrebbero in rilievo sotto il<br />

profilo della commerciabilità, in quanto – come è stato sostenuto in un precedente studio<br />

del CNN – “nel caso di edifici costruiti anteriormente al 1° settembre 1967 siamo in presenza<br />

di immobili sempre commerciabili così che non è necessario verificare ai fini della<br />

ricevibilità dell’atto se il fabbricato sia stato costruito previo rilascio o in assenza di licenza<br />

edilizia ovvero in totale difformità da essa [cfr. RIZZI, Menzioni urbanistiche e validità<br />

degli atti notarili (Studio CNN n. 5389/C), in Studi e Materiali, 1/2005, 46 ss.], non si può<br />

tuttavia ignorare che la loro sussistenza lascerebbe comunque esposto l’acquirente al rischio<br />

di incorrere nelle sanzioni amministrative previste dalla legge; sanzioni che variano<br />

dalla riduzione in pristino alla demolizione o acquisizione gratuita della costruzione al patrimonio<br />

del comune, a seconda della maggiore o minore divergenza tra l’opera prevista<br />

nel programma abilitativo e quella effettivamente realizzata.<br />

Alla luce di ciò e sulla base delle valutazioni del caso concreto, andrebbe, pertanto,<br />

svolto un giudizio in merito all’opportunità di ricorrere, ove ve ne fossero i presupposti, al<br />

meccanismo previsto dal comma 6 dello stesso art. 40 della l. n. 47/2010, il quale dispone<br />

che “Nell’ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV<br />

della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la<br />

domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento<br />

dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di<br />

data anteriore all’entrata in vigore della presente legge” [per maggiore approfondimento<br />

sui requisiti richiesti dalla disposizione appena citata si rinvia a SANTUCCI, cit.].<br />

244<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Costituzione di servitù, fondo intercluso<br />

e valenza del principio nemini res sua servit<br />

Quesito n. 677-2010/C<br />

Nunzio-Attilio Toscano<br />

Si descrive la seguente fattispecie:<br />

una società è proprietaria di due fondi confinanti, uno dei quali non ha accesso alla pubblica<br />

via, neppure attraverso un passaggio di fatto. La stessa società deve ricorrere ad<br />

un finanziamento bancario, a garanzia del quale concederà ipoteca sul fondo intercluso.<br />

La banca finanziatrice vuole peraltro essere sicura che, in ipotesi di esecuzione forzata,<br />

il fondo ipotecando potrà accedere alla pubblica via attraverso una servitù da costituirsi a<br />

carico dell'altro fondo in proprietà della medesima società.<br />

Posto che non è possibile costituire, almeno con effetto immediato, servitù a carico di<br />

due fondi appartenenti al medesimo proprietario, si chiede se è ipotizzabile la costituzione<br />

di una servitù sotto condizione sospensiva non retroattiva in cui l’evento (futuro e incerto)<br />

è rappresentato dal trasferimento (in tutto o in parte) a terzi di uno dei due fondi.<br />

Fin qui il quesito.<br />

Ai sensi dell’art. 1032 c.c., i modi di costituzione delle servitù coattive sono il contratto,<br />

la sentenza o, nei casi previsti dalla legge, l’atto amministrativo.<br />

In materia di servitù, il codice civile ha previsto un principio di carattere generale secondo<br />

il quale ogni fondo deve poter avere accesso alla pubblica via. Detto principio<br />

emerge dalla lettura dell’art. 1051 c.c. – che riconosce al proprietario del fondo intercluso<br />

di ottenere in via coattiva il passaggio sul fondo vicino “per la coltivazione e il conveniente<br />

uso del proprio fondo” –, nonché dall’art. 1054 c.c. che disciplina la diversa fattispecie<br />

dell’interclusione del fondo causata da alienazione o da divisione.<br />

Si noti che quest’ultimo articolo prevede – diversamente dall’art. 1051 c.c. – la gratuità<br />

della costituzione della servitù. In altri termini, al diritto del titolare del fondo intercluso<br />

di ottenere dall’altro contraente il passaggio, non corrisponde in capo al medesimo titolare<br />

nessuna obbligazione pecuniaria.<br />

L’interclusione derivante da un atto di alienazione o divisione attribuisce, pertanto,<br />

all’assegnatario del fondo intercluso il diritto alla costituzione di una servitù di passaggio<br />

coattivo. Le servitù coattive si configurano quando la legge attribuisce al proprietario di<br />

un fondo il diritto di ottenere la costituzione di servitù sopra il fondo di altro proprietario<br />

senza il consenso di costui.<br />

Le modalità, le caratteristiche ed i contenuti di questo passaggio possono variare a<br />

seconda dei casi e devono essere fissate nel titolo costitutivo della servitù.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 245


Costituzione di servitù – fondo intercluso – Quesito n. 677-2010/C<br />

Mette conto osservare che, quand’anche le parti nulla convenissero sul punto, il successivo<br />

proprietario del fondo intercluso avrebbe comunque diritto alla sua costituzione<br />

ex art. 1054 c.c. che contiene una norma sulla quale sono sorti diversi dubbi [cfr. BIONDI,<br />

Le servitù, in Tratt. Cicu-Messineo, XII, Milano, 1967, 856; TAMBURRINO-GRATTAGLIANO,<br />

Le servitù, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, Torino, 2002, 631 ss.]. Secondo<br />

la dottrina che si è occupata più specificamente di questa norma, non ha importanza se<br />

lo spezzettamento del fondo è avvenuto a causa di un atto a titolo oneroso o, al contrario,<br />

gratuito oppure che la parte rimasta interclusa sia quella dell’alienante o<br />

dell’acquirente: si devono salvaguardare in ogni caso gli interessi degli altri vicini rimasti<br />

estranei all’atto [cfr., per la dottrina prevalente, GROSSO-DEIANA, Le servitù prediali, in<br />

Tratt. Vassalli, II, Torino, 1963, 1759 ss. che operano l’interpretazione dell’art. 1054 c.c.<br />

nel raffronto, in particolare, con la norma di cui all’art. 1051, comma 2, c.c.). In quest’ottica,<br />

la giurisprudenza di legittimità è unanime nel riconoscere che l’acquirente a titolo o-<br />

neroso di una frazione o lotto di un fondo, originariamente unico, divenuto intercluso a<br />

seguito della vendita ha diritto di ottenere la costituzione gratuita della servitù di passaggio,<br />

e che tale diritto “è esercitabile soltanto nei confronti dell'alienante, o dei suoi eredi,<br />

se rimasti proprietari di una parte di fondo [...]” [cfr., ex multis, Cass. 26 maggio 1999, n.<br />

5125]. E, sempre in quest’ottica, si ritiene che l’esistenza del diritto previsto nell’art. 1054<br />

c.c. escluda il diritto ad ottenere il passaggio in base al comma 1 dell’art. 1051 c.c. contro<br />

il proprietario del fondo indicato nel comma 2 dello stesso articolo.<br />

L’art. 1054 c.c. trova applicazione anche nell'analoga ipotesi di interclusione derivante<br />

da espropriazione per pubblica utilità [cfr. Cass. 9 novembre 2009, n. 23707].<br />

Un altro schema dal quale attingere per giungere al risultato voluto potrebbe rinvenirsi<br />

nell’art. 1062 c.c. disciplinante la servitù per destinazione del padre di famiglia, con la<br />

creazione da parte dell’attuale proprietario dei fondi di uno stato di asservimento dell’un<br />

fondo all’altro. In questo caso la servitù sorge, in assenza di disposizione contraria, con<br />

la separazione dei due fondi ed in maniera non negoziale. In sostanza, l’evento a partire<br />

dal qual sorge la servitù è la diversità dei soggetti titolari dei fondi interessati, benché a<br />

monte deve essere possibile individuare uno stato di fatto dal quale emerga oggettivamente<br />

da segni visibili lo stato di asservimento.<br />

Non è disciplinata, al contrario, la facoltà del proprietario di due fondi di prevedere<br />

negozialmente per il tempo in cui essi apparterranno a soggetti diversi il sorgere di una<br />

servitù stabilita a favore di uno ed a carico dell’altro.<br />

La soluzione di una costituzione della servitù sotto condizione sospensiva non retroattiva<br />

in cui l’evento (futuro e incerto) è rappresentato dal trasferimento (in tutto o in parte)<br />

a terzi di uno dei due fondi appare problematica.<br />

L’ostacolo principale è riscontrabile nel fatto che i fondi appartengono allo stesso<br />

proprietario là dove, invece, l’art. 1027 c.c. richiede espressamente, quale presupposto<br />

imprescindibile, l’appartenenza dei fondi (servente e dominante) in capo a proprietari diversi<br />

secondo il ben noto principio nemini res sua servit il cui fondamento razionale la<br />

dottrina ha sottolineato, anche contrastando i tentativi di una sua svalutazione [cfr. BION-<br />

DI, op. cit., 111-112]. Il citato principio trova la sua ratio nella considerazione che il proprietario<br />

del fondo esercita già su di esso iure dominii quei poteri che, se fosse altrui, po-<br />

246<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Civilistici<br />

trebbero costituire servitù. E, infatti, la medesima dottrina ricorda che: “Il principio non è<br />

applicabile qualora nella medesima persona concorra proprietà ed altri diritti reali per<br />

quanto assimilati alla proprietà. Tra un fondo proprio ed un fondo su cui la stessa persona<br />

ha altro diritto è ben possibile una servitù, perché concorrono nella medesima persona<br />

diritti diversi per quanto analoghi. La servitù non può dirsi praticamente inutile né ricorre<br />

il fondamento di quel principio.” [cfr. BIONDI, op. cit., 113].<br />

Difficile allora che nel caso di specie possa realizzarsi la soluzione prospettata. Pur<br />

apponendo una condizione sospensiva al negozio (unilaterale) con il quale si costituisce<br />

la servitù a favore e a carico di fondi di proprietà del medesimo soggetto non sembra che<br />

si riesca a superare né il sistema predisposto dal legislatore né il principio nemini res sua<br />

servit.<br />

D’altronde, non è un caso che il legislatore abbia previsto la norma contenuta nell’art.<br />

1054 c.c., imponendo la costituzione della servitù in caso di alienazione o di divisione,<br />

soltanto però quando i fondi appartengono ormai a proprietari diversi tra loro.<br />

Si può, al limite, immaginare – magari all’interno dello stesso contratto di mutuo –<br />

l’assunzione dell’obbligo da parte del mutuatario di costituire la servitù di passaggio a carico<br />

del proprio fondo e a vantaggio del fondo concesso in ipoteca qualora, a seguito di<br />

esecuzione forzata, venga acquistato da un terzo. Potranno essere contestualmente<br />

stabilite, altresì, le modalità della stessa servitù. Ciò perché la costituzione di ipoteca che<br />

grava su quello che sarà il fondo dominante all’esito dell’aggiudicazione, rappresenta di<br />

per sé una “potenziale alienazione”, essendo diritto del creditore quello di espropriare i<br />

beni vincolati a garanzia del suo credito (cfr. art. 2808 c.c.).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 247


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Trasformazione di comunione ereditaria in società<br />

– Ammissibilità della cessione di alcuni immobili<br />

aziendali prima del decorso dei 60 gg.<br />

dagli adempimenti pubblicitari – Regime fiscale<br />

Quesito n. 146-2010/I – 132-2010/T<br />

Antonio Ruotolo – Annarita Lomonaco<br />

Si prospetta il seguente quesito:<br />

in data 15 luglio 2009 è deceduto Tizio, titolare di un’impresa individuale avente per oggetto<br />

l’attività di costruzione di immobili e nella quale sono ricompresi sia immobili i cui<br />

lavori di costruzione sono terminati da meno di quattro anni che immobili in corso di costruzione<br />

al momento del decesso, come del resto immobili terminati da oltre quattro anni.<br />

Chiamati per legge all’eredità di Tizio sono i due figli Tizietta e Tizietto, entrambi<br />

maggiorenni, i quali hanno accettato l’eredità con beneficio d’inventario in data 1° ottobre<br />

2009. L’inventario è stato concluso, in base a proroga concessa dalla competente autorità<br />

giudiziaria ex art. 485 c.c., in data 15 giugno 2010. Tizietta e Tizietto, prescindendo<br />

dalla preventiva autorizzazione giudiziale, intendono “trasformare” l’attuale comunione<br />

ereditaria d’azienda in società a responsabilità limitata, registrando l’atto entro l’anno dall’apertura<br />

della successione, a tal fine essendo consapevoli e disponibili a decadere dal<br />

beneficio d’inventario. Considerato che la trasformazione di cui sopra ricade nella previsione<br />

dell’art. 2500-octies (trasformazione eterogenea) e che pertanto, ex art. 2500-<br />

novies, avrà effetto dopo sessanta giorni dagli adempimenti pubblicitari, e che Tizietta e<br />

Tizietto, prima della scadenza del suddetto termine, devono procedere alla vendita di alcuni<br />

immobili facenti parte dell’azienda al fine di ricavare liquidità con la quale procedere<br />

al pagamento dei debiti ereditari, si chiede:<br />

1) se sia possibile, per la comunione ereditaria d’azienda come tale, procedere alla vendita<br />

di beni immobili prima della scadenza del suddetto termine di 60 giorni e quali siano<br />

le conseguenze sotto il profilo societario, considerato che i beni immobili oggetto di vendita<br />

concorrono a formare il patrimonio stimato dal revisore nella relazione di stima necessaria<br />

per la trasformazione;<br />

2) quale regime fiscale sia applicabile alle vendite immobiliari, in tutti i casi sopra riportati<br />

(immobili i cui lavori siano terminati da oltre o da meno di quattro anni, immobili in corso<br />

di costruzione).<br />

Il trasferimento dei beni immobili da parte degli eredi (non della comunione – ereditaria<br />

– d’azienda, che in quanto tale non è soggetto di diritto) incide sulla trasformazione,<br />

posto che la fuoriuscita degli stessi dall’azienda altera il valore a quest’ultima riconosciu-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 249


Trasformazione di comunione ereditaria in società - Quesito n. 146-2010/I – 132-2010/T<br />

to nella relazione di stima: ciò, in altre parole, implica che la relazione di stima redatta<br />

tenendo conto dei cespiti trasferendi non è più idonea alla funzione di garanzia della corretta<br />

formazione del capitale.<br />

Le alternative, sotto tale profilo sono due:<br />

– o attendere l’efficacia della trasformazione e, quindi, il decorso dei sessanta giorni<br />

previsti dall’art. 2500-novies, c.c., per trasferire i beni immobili e provvedere al pagamento<br />

dei debiti ereditari. Il trasferimento dei beni, in tal caso, vedrebbe come parte venditrice la<br />

società, il che comporta, tuttavia, il problema della compatibilità dell’operazione con lo scopo<br />

lucrativo, specie con riferimento alla sorte del ricavato, che verrebbe destinato ai soci<br />

per ripianare i debiti ereditari, con possibile violazione del disposto dell’art. 2634 c.c.;<br />

– oppure, previa revoca del precedente atto di trasformazione che non è ancora divenuto<br />

efficace, provvedere alla vendita dei beni da parte dei coeredi, procedendo quindi<br />

con un nuovo atto di trasformazione che assuma a corredo una nuova relazione di stima<br />

che tenga conto della nuova composizione del patrimonio aziendale.<br />

Sotto il profilo fiscale, nella prima ipotesi, le cessioni saranno poste in essere dalla<br />

società risultante dalla trasformazione, e pertanto si tratterà di operazioni rientranti nel<br />

campo di applicazione dell’IVA. Quanto allo specifico regime (di esenzione o di imponibilità)<br />

applicabile ai sensi dell’art. 10 nn. 8-bis e 8-ter d.P.R. n. 633/1972 [cfr. BELLINI-<br />

FORTE-LOMONACO, Note riepilogative sul tema delle cessioni di fabbricati effettuate da<br />

soggetti passivi IVA, studio n. 144-2007/T, in Studi e Materiali, 2007, al quale si rinvia<br />

per ulteriori approfondimenti. Con riferimento ai fabbricati non ultimati cfr. altresì Agenzia<br />

delle entrate, circ. 12 marzo 2010 n. 12/E], occorre in tal caso valutare, in primo luogo,<br />

se la qualifica di impresa costruttrice degli immobili, rivestita dal de cuius, possa ritenersi<br />

trasferita in capo alla società cedente, risultante dalla trasformazione della comunione<br />

d’azienda tra gli eredi.<br />

A tal fine si ricorda che l’Amministrazione finanziaria, in caso di conferimento d’azienda,<br />

ritiene sia possibile attribuire alla società conferitaria la qualifica di impresa costruttrice rivestita<br />

dall’impresa conferente, posto che «con il conferimento di azienda sono stati trasferiti<br />

alla società conferitaria tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo alla società conferente<br />

e relativi all’attività svolta con il complesso aziendale ceduto, al fine della prosecuzione<br />

dell’attività stessa da parte della società conferitaria. Si verifica, quindi, una successione<br />

a titolo universale in capo alla società conferitaria relativamente ai rapporti giuridici derivanti<br />

dalla titolarità dell’attività del complesso aziendale conferito. Ne deriva, così come precisato<br />

per una questione analoga nella risoluzione n. 363855 del 23 giugno 1979, che la<br />

qualifica di “impresa costruttrice” è trasmessa, per effetto del conferimento, alla società<br />

conferitaria trattandosi di una qualifica non legata alla sopravvivenza del soggetto conferente,<br />

che rileva con riferimento esclusivo all’immobile oggetto di conferimento» [così A-<br />

genzia delle entrate, ris. 93/E del 23 aprile 2003. Cfr. anche ZANETTI, Disciplina e riflessi Iva<br />

delle operazioni di conferimento d’azienda, in Il fisco, 2009, 1-4733 ss., il quale sottolinea<br />

come le conclusioni dell’Agenzia siano condivisibili «alla luce del fatto che l’Iva è un tributo<br />

che afferisce all’attività esercitata dal contribuente, prima ancora che alla soggettività del<br />

contribuente stesso»]. In dottrina si sottolinea, peraltro, come la qualifica di “impresa costruttrice”<br />

si trasferisca all’avente causa non solo in caso di conferimento di azienda, ma<br />

250<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

anche qualora si verifichino altre trasformazioni sostanziali soggettive – come fusioni, scissioni,<br />

cessioni o donazioni d’azienda, successioni ereditarie, ecc. – poiché sono trasferiti<br />

alla società conferitaria tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo alla conferente e relativi<br />

all’attività svolta con il complesso aziendale ceduto [cfr. PORTALE, Imposta sul valore<br />

aggiunto, Milano, 2005, 300. Nello stesso senso, con riferimento ad ipotesi di fusione, cfr.<br />

anche Ministero delle finanze, ris.16 gennaio 1974 n. 505315, 17 febbraio 1978 n. 360153,<br />

7 agosto 1984 n. 398521. Cfr. altresì RUOTOLO-CANNIZZARO, Conferimento di immobile abitativo<br />

in società risultante da scissione della costruttrice – Cessione dell’immobile entro i<br />

quattro anni dalla costruzione – Imponibilità o esenzione IVA, quesito n. 58-2008/T, in Studi<br />

e materiali, 2008, 1452 ss.].<br />

A ben vedere anche nell’ipotesi oggetto del quesito sembra potersi ravvisare quella<br />

continuità dei rapporti giuridici derivanti dalla titolarità dell’attività del complesso aziendale<br />

che giustificherebbe, secondo l’orientamento descritto, il mantenimento della qualifica di<br />

“impresa costruttrice”, benché la trasformazione da comunione d’azienda in società di capitali<br />

non determini una mera modificazione delle regole di organizzazione dell’attività comune<br />

ferma la titolarità del patrimonio, ma comporti un effetto di discontinuità sotto il profilo<br />

soggettivo. In dottrina [cfr., per tutti, MALTONI, La trasformazione da società di capitali in<br />

comunione d’azienda e viceversa, in Maltoni-Tassinari, La trasformazione delle società, Milano,<br />

2005, 291 ss.] si sottolinea, infatti, come il principio di continuità – essenziale perché<br />

possa parlarsi di trasformazione, ex artt. 2498 e ss. c.c. – si caratterizzi in modo peculiare<br />

per tale ipotesi di trasformazione eterogenea: esso non può essere riferito al soggetto (la<br />

comunione d’azienda non è soggetto di diritto) o all’attività svolta (la comunione d’azienda<br />

è incompatibile con l’esercizio di impresa) ma deve essere individuato nell’esistenza<br />

dell’azienda, «quale complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di<br />

un’attività, anche meramente potenziale di impresa. […] La giustificazione sistematica della<br />

trasformazione deve essere colta nell’esigenza di salvaguardare la continuità<br />

dell’organismo produttivo» [MALTONI, op. cit., 296]. In tale ottica, la trasformazione in società<br />

di capitali della comunione di un’azienda, di per sé idonea allo svolgimento di un’attività<br />

di impresa, consente di derogare alla disciplina del conferimento di azienda.<br />

Se dunque l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto, nell’ipotesi di conferimento<br />

d’azienda, la trasmissibilità della qualifica di impresa costruttrice in quanto posizione fiscale<br />

non legata alla sopravvivenza del soggetto conferente ma rilevante con riferimento<br />

esclusivo all’immobile oggetto di conferimento, la medesima conclusione potrebbe sostenersi<br />

anche nella fattispecie in esame, riferendo la qualità di impresa costruttrice –<br />

propria del de cuius – agli immobili aziendali, oggetto prima della comunione ereditaria e<br />

poi della trasformazione della stessa nella società a responsabilità limitata, senza soluzione<br />

di continuità per i diritti e gli obblighi riferibili al patrimonio aziendale. Deve tuttavia<br />

avvertirsi che questa specifica questione non risulta essere stata oggetto di decisioni giurisprudenziali,<br />

né affrontata dalla dottrina o dall’Amministrazione finanziaria.<br />

Nella diversa ipotesi in cui gli eredi decidano, per pagare i debiti ereditari, di vendere<br />

alcuni immobili senza attendere l’efficacia della trasformazione, occorre tenere presente<br />

che, ai sensi dell’art. 35-bis secondo comma d.P.R. n. 633/1972, «resta ferma la disciplina<br />

stabilita dal presente decreto per le operazioni effettuate, anche ai fini di liquidazione<br />

Studi e Materiali – 1/2011 251


Trasformazione di comunione ereditaria in società - Quesito n. 146-2010/I – 132-2010/T<br />

dell’azienda, dagli eredi dell’imprenditore». La morte dell’imprenditore non comporta,<br />

quindi, automaticamente la cessazione dell’impresa ai fini dell’IVA, da ricollegare invece<br />

alla disgregazione ed alla definitiva liquidazione del patrimonio aziendale; lo statuto fiscale<br />

dell’imprenditore, relativamente all’IVA, si applica pertanto anche alle operazioni<br />

poste in essere dagli eredi [sul tema cfr. STEVANATO, Inizio e cessazione dell’impresa nel<br />

diritto tributario, Padova, 316 ss. Con riferimento, più in generale, alla cessazione<br />

dell’impresa l’A. osserva come «laddove alla cessazione dell’attività non si accompagni<br />

anche lo smantellamento del complesso aziendale, il ciclo fiscale-produttivo dei beni a-<br />

ziendali non potrà considerarsi concluso: lo statuto fiscale dell’impresa continuerà così<br />

ad applicarsi ai beni medesimi anche in tutti i passaggi successivi, fino alla definitiva disgregazione<br />

dell’azienda ed allo scioglimento del vincolo di destinazione impresso al<br />

complesso dei beni organizzato (in funzione di una “qualche” attività di impresa)» (p.<br />

187)]. In dottrina si ritiene che debbano, quindi, essere considerati “atti dell’impresa”, da<br />

assoggettare ad IVA secondo lo status di soggetto passivo proprio dell’imprenditore deceduto,<br />

gli atti posti in essere dagli eredi di conservazione o di disgregazione<br />

dell’organizzazione produttiva, atti, questi ultimi, che di regola accompagnano la fase di<br />

liquidazione dell’impresa [cfr. DEL FEDERICO, Morte dell’imprenditore e successione nella<br />

ditta individuale, in Il Fisco, 2007, 1-4718 ss. In giurisprudenza cfr. Comm. trib. centr. 3<br />

dicembre 1984, n. 10475. Più in generale, sugli atti di liquidazione in caso di cessazione<br />

dell’impresa, v. STEVANATO, op. cit., 196 ss.]. Laddove invece gli eredi decidano di continuare<br />

l’attività del de cuius «non vi sarà disgregazione dell’apparato produttivo, ma lo<br />

stesso, nel momento in cui tale prosecuzione inizia, sarà riferibile solo agli eredi, e in<br />

quel momento cesserà l’impresa del de cuius» [così INTERDONATO, Gli imprenditori, in A-<br />

A.VV., L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001, 158].<br />

Qualora, dunque, nel caso oggetto del quesito sia possibile considerare le cessioni<br />

poste in essere dagli eredi (prima dell’efficacia della trasformazione) quali “atti dell’impresa”,<br />

le stesse dovrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’imposta sul valore<br />

aggiunto, ai sensi dell’art. 35-bis cit., secondo il regime IVA proprio dell’imprenditore deceduto<br />

(si intenderanno pertanto come cessioni di fabbricati poste in essere dall’impresa<br />

costruttrice degli stessi, ex art. 10 nn. 8-bis e 8-ter cit.).<br />

Diversamente, le cessioni dovrebbero restare fuori dal campo applicativo dell’IVA (e<br />

quindi essere assoggettate all’imposta di registro), in quanto poste in essere da privati<br />

[presupposto, infatti, perché si possa trattare di una comunione d’azienda pervenuta per<br />

successione in capo ad una pluralità di eredi è che gli stessi, pur continuando a gestirla<br />

in attesa di prendere dei provvedimenti in ordine alla stessa, non divengano imprenditori<br />

e quindi soci di una società di fatto. Sul punto cfr. MALTONI, op. cit., 309].<br />

252<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Perdita della qualità di imprenditore del socio di<br />

confidi e sorte delle garanzie *<br />

Quesito n. 175-2010/I<br />

Daniela Boggiali – Alessandra Paolini<br />

Accade spesso che i confidi siano chiamati dalle banche a prestare il proprio consenso<br />

in ordine a modificazioni dei finanziamenti garantiti dai confidi stessi, in situazioni di crisi<br />

dell’impresa socia o comunque nei casi in cui il socio intenda cessare l’attività di impresa,<br />

perdendo così i requisiti richiesti per essere socio di un confidi.<br />

In particolare le situazioni a cui si fa riferimento riguardano le seguenti casistiche:<br />

1. Socio, imprenditore individuale, che cessa l’attività di impresa ma continua ad adempiere<br />

regolarmente le obbligazioni relative al finanziamento garantito dal confidi (in tal<br />

caso le banche richiedono al confidi il consenso per il passaggio della garanzia dal soggetto<br />

imprenditore al soggetto privato, rimanendo quindi invariata l’obbligazione garantita,<br />

sia dal punto di vista soggettivo, sia da quello oggettivo);<br />

2. Socio, imprenditore individuale, che cessa l’attività di impresa e che intende “rinegoziare”<br />

il finanziamento, eventualmente anche al fine di chiudere posizioni debitorie ulteriori<br />

rispetto a quella garantita dal confidi;<br />

3. Società, socia del confidi, che cessa l’attività di impresa e che, al fine di poter procedere<br />

alla cancellazione dal registro delle imprese intende estinguere l’obbligazione garantita dal<br />

confidi previo accollo (liberatorio) della stessa da parte di terzi (in genere gli stessi soci della<br />

società socia del confidi) che non possiedono i requisiti per far parte del confidi.<br />

Tali situazioni, ed in particolare quelle descritte ai punti 2 e 3, si possono presentare sia<br />

in un contesto di inesistenza di situazioni di “sofferenza” del debitore garantito dal confidi<br />

e di mancanza di conflittualità tra debitore principale e creditore, sia in situazioni in cui il<br />

debitore abbia manifestato difficoltà al rispetto delle obbligazioni assunte, eventualmente<br />

anche in presenza di contenzioso.<br />

In relazione a tali casistiche si chiede se il confidi possa mantenere la propria garanzia,<br />

se necessario rinnovando la fideiussione (nei limiti dell’obbligazione originariamente garantita),<br />

tenendo presente che la banca generalmente condiziona qualunque operazione<br />

di “ristrutturazione” della posizione debitoria del debitore al mantenimento da parte del<br />

confidi della garanzia già prestata, e considerando altresì che l’eventuale impossibilità<br />

del confidi a mantenere la propria garanzia comporterebbe, nella maggior parte dei casi,<br />

*<br />

Il quesito è stato redatto prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, recante<br />

modifiche al T.U.B., ai sensi del quale l’art. 155 è stato abrogato; le norme in materia di confidi sono<br />

ora contenute negli artt. 112 e 112-bis, T.U.B.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 253


Perdita della qualità di imprenditore del socio di confidi - Quesito n. 175-2010/I<br />

un’insolvenza da parte del debitore con conseguente escussione da parte della banca<br />

della garanzia prestata dal confidi.<br />

Qualora si ritenga che operazioni come quelle sopra prospettate configurino esercizio di<br />

attività nei confronti di terzi, si chiede se tali operazioni potrebbero essere ammesse per i<br />

confidi iscritti all’elenco speciale di cui all’art. 107 del D.Lgs. n. 385/1993, nei limiti di cui<br />

all’art. 155, comma 4-quinquies, del medesimo decreto”.<br />

In merito alle diverse fattispecie prospettate, si pone in generale la questione se il<br />

confidi possa mantenere o rinnovare il proprio consenso relativamente a garanzie dallo<br />

stesso già prestate in favore dei propri soci in seguito alla cessazione da parte di questi<br />

ultimi dell’attività di impresa.<br />

A tal fine occorre considerare che l’«attività di garanzia collettiva dei fidi» consiste, ai<br />

sensi dell’art. 13, comma 1, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, nell’utilizzazione di risorse<br />

provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica<br />

e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche<br />

e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario.<br />

Ai sensi del comma 8 dell’art. 13, d.l. 269/2003, i confidi “sono costituiti da piccole e<br />

medie imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e a-<br />

gricole, come definite dalla disciplina comunitaria”.<br />

Ne consegue, quindi, che la qualifica di piccolo o medio imprenditore è una condizione<br />

necessaria per partecipare al confidi e accedere alla prestazione mutualistica e imprenditoriale<br />

di garanzie volte a favorire il finanziamento della propria attività di impresa.<br />

Pertanto, la perdita di tale qualifica determina il venir meno dei requisiti di ammissione<br />

a divenire soci e ad usufruire delle garanzie per il conseguimento dei finanziamenti.<br />

Non sembra, però, che la cessazione della qualità di piccolo o medio imprenditore<br />

possa costituire causa di risoluzione delle garanzie già concesse, in quanto si tratta di<br />

una vicenda sopravvenuta rispetto al momento in cui è stato validamente assunto<br />

l’obbligo di garanzia.<br />

Qualora, poi, per effetto della cessazione dell’attività di impresa dovessero rendersi<br />

necessarie delle modifiche relative all’operazione di finanziamento, occorre valutare se<br />

tali modifiche siano tali da determinare o meno una novazione dell’obbligazione originariamente<br />

garantita.<br />

In caso di novazione, infatti, gli accessori del credito, comprese le garanzie, si estinguono,<br />

come si desume dall’art. 1232 c.c., il quale stabilisce che per effetto della novazione<br />

i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario si estinguono, a meno che le<br />

parti non convengano espressamente di mantenerle.<br />

Nella prima delle fattispecie prospettate nel quesito, si pone il caso del socio, imprenditore<br />

individuale, che cessa l’attività di impresa ma continua ad adempiere regolarmente le<br />

obbligazioni relative al finanziamento garantito dal confidi; in tal caso rimane invariata<br />

l’obbligazione garantita, sia dal punto di vista soggettivo, sia da quello oggettivo.<br />

Non si è in presenza dunque di una novazione dell’obbligazione originariamente garantita,<br />

ma della semplice modifica di una qualità soggettiva del debitore: si può quindi ri-<br />

254<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

tenere che il mantenimento della garanzia rientri nell’ambito dell’originario obbligo di garanzia<br />

assunto dal confidi.<br />

Quanto alla seconda delle fattispecie prospettate, si pone il caso del socio, imprenditore<br />

individuale, che cessa l’attività di impresa e che intende “rinegoziare” il finanziamento,<br />

eventualmente anche al fine di chiudere posizioni debitorie ulteriori rispetto a quella<br />

garantita dal confidi.<br />

L’operazione, così prospettata, sembra avere la natura di novazione dell’obbligazione<br />

originariamente garantita dal confidi e, pertanto, spetta al confidi valutare se prestare<br />

il proprio consenso al rinnovo della garanzia.<br />

In questa ipotesi si pone innanzitutto una questione di estraneità di tale atto all’oggetto<br />

sociale, in quanto in tal caso il rilascio di una nuova garanzia non sembra di per sé<br />

rientrare nella prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il<br />

finanziamento dei propri soci.<br />

Tuttavia, poiché la garanzia era stata correttamente assunta nell’ambito dello svolgimento<br />

della propria attività, il patrimonio del confidi potrebbe essere escusso in caso di<br />

mancato rinnovo della stessa: di conseguenza, rientra nel legittimo esercizio dell’attività<br />

di gestione degli amministratori verificare discrezionalmente se il mantenimento della garanzia<br />

appaia più vantaggioso per il confidi.<br />

Come è noto, l’apprezzamento dell’estraneità di un atto rispetto all’oggetto sociale<br />

non può essere valutata a priori e con l’astratto riferimento ad una categoria di atti, tipologicamente<br />

individuati, ma deve essere valutata in concreto, in relazione cioè alle modalità<br />

secondo le quali l’atto compiuto va ad incidere sulla complessiva attività sociale.<br />

Nulla esclude, pertanto, che gli amministratori ritengano di optare per il mantenimento<br />

della garanzia, legittimamente concessa, anche in seguito al ricorrere di eventi che<br />

conducano all’esclusione dal confidi dei soggetti cui era stata concessa, se ciò risulta<br />

conforme all’interesse del confidi stesso.<br />

Resta tuttavia da valutare un ulteriore profilo, e se cioè l’operazione, di per sé, sia<br />

consentita al confidi, trattandosi di attività soggette a penetranti riserve normative.<br />

I confidi sono iscritti, ex art. 155 T.U.B., in un’apposita sezione dell’elenco generale<br />

di cui all’art. 106 T.U.B. I confidi iscritti all’elenco di cui all’art. 106 T.U.B. svolgono, ai<br />

sensi dell’art. 13, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, “esclusivamente l’attività di garanzia<br />

collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali”. L’art. 155, comma 4, T.U.B.,<br />

precisa infatti che l’iscrizione in tale sezione non abilita a effettuare le altre operazioni riservate<br />

agli intermediari finanziari iscritti nel citato elenco.<br />

Risulta pertanto dubbio che un confidi iscritto nell’elenco ex art. 106 T.U.B. possa<br />

rinnovare garanzia già concesse, ove esse non siano per taluni aspetti riconducibili<br />

all’attività di garanzia collettiva dei fidi, nonostante la possibile strumentalità di tali atti rispetto<br />

all’attività principale.<br />

A più certa conclusione può invece giungersi per i confidi iscritti nell’elenco ex art.<br />

107 T.U.B.<br />

Ai sensi dell’art. 15, comma secondo, lett. b), del d.m. 17 febbraio 2009, n. 29 (Regolamento<br />

recante disposizioni in materia di intermediari finanziari di cui agli articoli 106,<br />

107, 113 e 155, commi 4 e 5 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385), sussiste<br />

Studi e Materiali – 1/2011 255


Perdita della qualità di imprenditore del socio di confidi - Quesito n. 175-2010/I<br />

l’obbligo di iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art. 107 T.U.B. per “i confidi che abbiano<br />

un volume di attività finanziaria pari o superiore a euro 75 milioni”.<br />

L’art. 155, comma 4-ter, T.U.B., prevede che i confidi iscritti nell’elenco speciale e-<br />

sercitano in via prevalente l’attività di garanzia collettiva dei fidi; al comma successivo (4-<br />

quater) sono elencate ulteriori attività che i confidi iscritti nell’elenco speciale possono<br />

svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie (sono le seguenti:<br />

a) prestazione di garanzie a favore dell’amministrazione finanziaria dello Stato, al<br />

fine dell’esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie; b) gestione,<br />

ai sensi dell’articolo 47, comma 2, di fondi pubblici di agevolazione; c) stipula, ai sensi<br />

dell’articolo 47, comma 3, di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia<br />

per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne<br />

la fruizione).<br />

Infine, il comma 4-quinquies prevede che “i confidi iscritti nell’elenco speciale possono<br />

svolgere in via residuale, nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d’Italia, le attività riservate<br />

agli intermediari finanziari iscritti nel medesimo elenco”. A quest’ultimo ambito<br />

può quindi essere ricondotta la prestazione di garanzie fideiussorie.<br />

In merito alla terza fattispecie prospettata, si pone il caso della società, socia del confidi,<br />

che cessa l’attività di impresa e che, al fine di poter procedere alla cancellazione dal<br />

registro delle imprese intende estinguere l’obbligazione garantita dal confidi previo accollo<br />

(liberatorio) della stessa da parte di terzi (in genere gli stessi soci della società socia<br />

del confidi) che non possiedono i requisiti per far parte del confidi.<br />

In tal caso trova applicazione l’art. 1275 c.c., il quale dispone che in tutti i casi nei<br />

quali il creditore libera il debitore originario, si estinguono le garanzie annesse al credito,<br />

se colui che le ha prestate non consente espressamente a mantenerle.<br />

Anche in questo caso spetta al confidi valutare l’opportunità di mantenere l’originaria<br />

garanzia: si ribadiscono pertanto le riflessioni appena esposte con riguardo alla seconda<br />

fattispecie.<br />

256<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Conferimento in S.r.l. di immobile sito negli USA<br />

Quesito n. 178-2010/I<br />

Eliana Morandi – Alessandra Paolini<br />

Si chiede se sia consentito, in sede di costituzione o di sottoscrizione di aumento di capitale,<br />

conferire in una società a responsabilità limitata con sede in Italia un immobile sito<br />

negli Stati Uniti (Florida), di cui è proprietario un cittadino italiano; sullo stesso immobile<br />

grava un’ipoteca a garanzia di un mutuo contratto dallo stesso proprietario.<br />

In caso di risposta affermativa, si chiede quali siano gli adempimenti da eseguire.<br />

Dal punto di vista del diritto interno, un immobile, seppure sito all’estero, è idoneo<br />

senz’altro a rappresentare un “elemento dell’attivo suscettibile di valutazione economica”,<br />

ex art. 2464, comma secondo.<br />

Pertanto, trattandosi di conferimento in natura, dovrà essere presentata una relazione<br />

giurata “di un revisore legale o di una società di revisione legali iscritti nell’apposito<br />

registro” (secondo la nuova formulazione, risultante dalla modifica apportata dal D.Lgs.<br />

27 gennaio 2010, n. 39).<br />

Tale relazione, pertanto, dovrà essere redatta in Italia, verosimilmente da un soggetto<br />

che possegga adeguata conoscenza del settore immobiliare dello Stato in cui si trova<br />

il bene (potrebbe essere conveniente, sul piano pratico, avvalersi di una società di revisione<br />

con sede in entrambi i Paesi) e che terrà conto, al fine di stabilire il valore dello<br />

stesso, sia della sua ubicazione sia del fatto che su di esso grava una garanzia reale.<br />

Al riguardo, si ricorda che nell’ordinamento americano sul bene possono gravare vincoli<br />

ad efficacia reale non rilevabili dalla lettura del solo registro degli immobili: è senza<br />

dubbio consigliabile, quindi, acquisire una legal opinion da parte di un affidabile avvocato<br />

immobiliarista del luogo in cui si trova il bene.<br />

Quanto alle modalità secondo le quali dover procedere al conferimento, occorre aver<br />

riguardo alla disciplina di cui alla l. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano<br />

di diritto internazionale privato).<br />

Ai sensi dell’art. 25, alle società si applica la legge dello Stato in cui si è perfezionato<br />

il procedimento di costituzione.<br />

L’atto di conferimento ha natura contrattuale, ed occorre dunque individuare la legge<br />

applicabile.<br />

A tal fine sono rilevanti due disposizioni della l. 218/1995: l’art. 57, in materia di obbligazioni<br />

contrattuali, e l’art. 51, in materia di diritti reali.<br />

La prima disposizione rinvia alla Convenzione di Roma del 1980, mentre la seconda<br />

rende applicabile la lex rei sitae, con l’eccezione dei casi in cui l’acquisto o la perdita del<br />

diritto reale derivino da un rapporto successorio o di famiglia, oppure da un contratto.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 257


Conferimento in S.r.l. di immobile sito negli USA - Quesito n. 178-2010/I<br />

In ambito di contratti ad effetti reali – quale è quello del caso in esame – il titolo<br />

all’acquisto sarà regolato dunque dalla lex contractus, mentre gli effetti di tale contratto<br />

devono essere disciplinati dalla lex rei sitae [S. TONOLO, sub art. 51 in CONETTI-TONOLO-<br />

VISMARA, Commento alla riforma del diritto internazionale privato italiano, Torino, 2001,<br />

250].<br />

In diritto internazionale privato, inoltre, i modi adquirendi sono considerati come connessi<br />

all’effettivo contenuto del diritto reale, e possono pertanto essere attratti nella lex<br />

rei sitae [così C. LICINI-P. PASQUALIS, Contratti ad effetti reali: gli atti negoziali aventi ad<br />

oggetto diritti reali, in La convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni<br />

contrattuali, a cura di T. Ballarino, Milano, 1994, 250].<br />

Pertanto, le modalità secondo le quali poter effettivamente trasferire il diritto reale saranno<br />

quelle dettate dalla normativa degli Stati Uniti, luogo in cui è situato l’immobile [in<br />

materia, si rinvia allo studio n. 04.10.08.32/UE, Trasferimenti immobiliari: procedimento,<br />

prassi e costi negli USA, est. E. MORANDI, in CNN Notizie del 7 dicembre 2004].<br />

Dal punto di vista operativo, sono allora ipotizzabili due alternative:<br />

– stipulazione dell’atto traslativo negli Stati Uniti (redazione in base e con l’osservanza<br />

di tutte le norme previste dallo Stato di provenienza) e suo ingresso nel nostro ordinamento<br />

ex art. 106 l.n., al fine di procedere alla valida sottoscrizione del capitale; in tal<br />

caso, è opportuno fare inserire nell’atto anche l’attribuzione del potere al depositante di<br />

adempiere a tutte le formalità e rilasciare, in nome e per conto del conferente, ogni e<br />

qualsiasi dichiarazione richiesta a qualsiasi fine dalle leggi italiane in relazione all’atto di<br />

conferimento;<br />

– stipulazione dell’atto traslativo in Italia: dovranno essere osservate tutte le prescrizioni<br />

richieste, per l’atto da compiersi, dalla legge italiana, nonché le formalità richieste<br />

dalla legge americana al fine di rendere valido il trasferimento immobiliare secondo la lex<br />

rei sitae.<br />

In entrambi i casi, quindi, appare indispensabile avvalersi dell’opera di un legale negli<br />

Stati Uniti.<br />

258<br />

Studi e Materiali – 1/2011


S.p.A. consortile: clausola di esclusione<br />

Quesito n. 187-2010/I<br />

Daniela Boggiali – Alessandra Paolini<br />

Si espone la seguente fattispecie:<br />

– lo statuto di una spa consortile prevede l’esclusione dei soci in caso di inadempimento<br />

di una determinata prestazione prevista ai sensi del n. 3 dell’art. 2603 c.c.;<br />

– lo stesso articolo prevede inoltre altre obbligazioni a carico dei soci, previste ai sensi<br />

della medesima normativa, senza prevedere espressamente l’esclusione in caso di loro<br />

inadempimento.<br />

Viene richiesto di assistere ad un verbale di assemblea straordinaria con il quale i soci<br />

vogliono prevedere l’esclusione in caso di inadempimento di tutte le obbligazioni già previste<br />

dallo statuto.<br />

Si chiede se detta delibera debba essere assunta con il consenso unanime di tutti i soci,<br />

in quanto incide su una posizione soggettiva di ciascuno di essi, oppure se sia sufficiente<br />

la maggioranza in considerazione del fatto che l’adempimento delle obbligazioni prescritte<br />

nello statuto, proprio perché connaturate al rapporto consortile, persegue un interesse<br />

maggiore rispetto a quello del singolo socio.<br />

La questione prospettata involge, in linea più generale, la tematica della disciplina<br />

applicabile alle società consortili: se si debbano applicare le norme sui consorzi, poiché il<br />

modello societario non verrebbe impiegato nella sua funzione tipica; o se, viceversa, trovi<br />

applicazione la disciplina tipica della forma societaria adottata dalle società consortili;<br />

o se, ancora, si debba attribuire alle società consortili una disciplina mista (quella dei<br />

consorzi per quanto attiene ai rapporti tra consorziati ed ai rapporti tra consorziati e terzi;<br />

quella delle società, nei diversi tipi, per quanto attiene al funzionamento della struttura<br />

associativa).<br />

A tal fine si può osservare che la disciplina delle società per azioni non prevede<br />

l’istituto dell’esclusione dei soci, ad eccezione del caso di vendita delle azioni del socio<br />

che non esegue i pagamenti dovuti, prevista dall’art. 2344 c.c.<br />

Secondo una parte della dottrina, alcune vicende riguardanti il socio (ad es.: cessazione<br />

dell’impresa, uscita dalla categoria interessata, ecc.) possono giustificare delle<br />

cause di recesso e di esclusione coerenti alla funzione mutualistica, benché ulteriori alle<br />

ipotesi (di recesso ed esclusione) previste tassativamente dalla disciplina societaria<br />

[BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1985, 210]; diversamente,<br />

si ritiene invece che la tassatività dei casi di recesso ed esclusione sia posta<br />

a presidio dell’integrità del capitale sociale e quindi non sia derogabile, essendo destinata<br />

alla tutela degli interessi dei creditori [MARASÀ, Consorzi e società consortili, Torino,<br />

1990, 123].<br />

Studi e Materiali – 1/2011 259


S.p.A. consortile: clausola di esclusione – Quesito n. 187-2010/I<br />

Più in particolare si distingue a seconda dell’evento che dà luogo alla causa di esclusione<br />

[VOLPE PUTZOLU, Le società consortili, in Tratt. Colombo-Portale, 8, Torino, 1992,<br />

287 ss.].<br />

Ad esempio, per ciò che concerne il socio che cessa di far parte di quella categoria di<br />

imprenditori prevista dal contratto, questi non è più in grado di adempiere agli obblighi<br />

consortili che, in definitiva, presentano indubbie affinità con le prestazioni accessorie [per<br />

l’applicabilità dell’art. 2345 alle società consortili, qualora sussistano altre prestazioni<br />

consortili diverse dai contributi, Trib. Milano, 12 maggio 1984, in Società, 1984, 1239].<br />

Altra ipotesi, che crea tuttavia maggiori perplessità, è quella del socio inadempiente<br />

rispetto alla prestazione consortile.<br />

Qui, parte della dottrina ha ritenuto applicabile in via analogica il disposto degli artt.<br />

2344 e 2477 c.c., e quindi la vendita in danno delle partecipazioni del socio moroso<br />

[SANTINI, Società a responsabilità limitata, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma,<br />

1984, 99; GALGANO, La società per azioni, in Tratt. dir. comm., Padova, 1988, 86], ma siffatta<br />

interpretazione – analogica o estensiva – non sembra potersi attagliare a prestazioni<br />

diverse dal conferimento, quali appunto quelle consortili è VOLPE PUTZOLU, op. cit.,<br />

288; CALIFANO, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi e le società<br />

consortili, Milano, 1999, 203.<br />

In ogni caso, la dottrina sembra essere concorde nel ritenere che lo statuto possa<br />

prevedere sanzioni per l’inadempimento delle prestazioni accessorie sino anche a comprendervi<br />

l’esclusione del socio, con la sola precisazione che deve trattarsi di prestazioni<br />

essenziali rispetto allo scopo consortile [BORGIOLI, op. cit., 211; su tale questione, v. anche<br />

Nota del Consiglio Nazionale del Notariato del 28 dicembre 2004, n. 5373/I, estensori<br />

PAOLINI-RUOTOLO].<br />

Nel caso prospettato, si intende prevedere l’esclusione per l’inadempimento di tutte<br />

le obbligazioni poste a carico dei soci ed espressamente elencate nello statuto ai sensi<br />

dell’art. 2603, comma 2, n. 3), c.c.<br />

Ciò lascia presumere che tali obblighi siano reputati strumentali rispetto al perseguimento<br />

degli scopi consortili, fermo restando che tale nesso di strumentalità richiede una<br />

valutazione di merito basata sulla fattispecie concreta.<br />

Qualora si reputi ammissibile la previsione dell’esclusione in caso di inadempimento<br />

di tutte le obbligazioni previste dallo statuto, appare preferibile ritenere che tale modifica<br />

statutaria venga adottata secondo le regole che disciplinano le modifiche del contratto di<br />

consorzio.<br />

Manca, infatti, nella disciplina delle s.p.a. l’istituto dell’esclusione dei soci, ad eccezione<br />

di quanto previsto nell’art. 2344 c.c. per l’ipotesi specifica di mancato pagamento<br />

delle quote dovute.<br />

Tenuto conto di tale peculiarità, non sembra ipotizzabile il ricorso analogico al procedimento<br />

previsto per l’introduzione o la soppressione delle cause di recesso di cui all’art.<br />

2437 c.c., in considerazione del carattere eccezionale di tale procedimento il quale è diretto<br />

a contemperare le contrapposte esigenze di tutela dell’integrità del capitale sociale<br />

da un lato, e di salvaguardia dei diritti dei singoli soci dall’altro lato.<br />

260<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Pertanto, in mancanza di apposita disciplina in materia di società per azioni, appare<br />

preferibile ritenere applicabile l’art. 2607 c.c., il quale dispone che il contratto di consorzio,<br />

se non è diversamente convenuto, non può essere modificato senza il consenso di<br />

tutti i consorziati.<br />

Occorre, peraltro, segnalare che secondo la dottrina la regola della modifica a maggioranza<br />

del contratto sociale non potrebbe essere adottata per le modificazioni attinenti<br />

agli obblighi dei consorziati, tra le quali sembra suscettibile rientrare anche l’introduzione<br />

di nuove ipotesi di esclusione per inadempimento degli obblighi consortili [BORGIOLI, op.<br />

cit., 424; FERRI, Consorzio (teoria gen.), in Enc. Dir., IX, Milano, 1961, 378; VOLPE PU-<br />

TZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tratt. Galgano,<br />

IV, Padova, 1981, 399].<br />

In conclusione, sembra ammissibile introdurre nuove cause di esclusione dalla società<br />

consortile con il consenso, però, di tutti i soci.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 261


I CODICI IPERTESTUALI<br />

CODICE COMMENTATO DEL LAVORO<br />

diretto da Roberto Pessi<br />

Oltre 2.300 pagine + Banca dati su Cd-Rom<br />

Aggiornato al<br />

Collegato Lavoro<br />

Il commento, articolo per articolo, a tutta la disciplina<br />

in materia di diritto del lavoro contenuta nella<br />

Costituzione, nel Codice Civile, nel Codice di Procedura<br />

Civile<br />

e nella normativa speciale.<br />

L’opera è aggiornata alle più recenti novità normative:<br />

• “Collegato lavoro” - L. 4.11.2010, n. 183<br />

• D.Lgs. 13.8.2010, n. 131<br />

• L. 29.7.2010, n. 120<br />

• D.L. 31.5.2010, n. 78, conv. in L. 30.7.2010, n. 122<br />

• D.Lgs. 15.3.2010, n. 66<br />

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Aumento di capitale con esclusione<br />

del diritto di opzione in s.p.a. quotata<br />

Quesito n. 189-2010/I<br />

Alessandra Paolini<br />

Si espone la seguente fattispecie:<br />

«Una Società per Azioni ammessa alle quotazioni di Borsa, amministrata con sistema<br />

dualistico, ha convocato l’assemblea straordinaria per delegare il Consiglio di Gestione<br />

“ad aumentare, in una o più volte, il capitale sociale per un importo massimo (comprensivo<br />

di eventuale sovrapprezzo) di Euro .... anche con esclusione del diritto di opzione ai<br />

sensi dell’art. 2441 c.c. mediante emissione di azioni aventi le stesse caratteristiche di<br />

quelle in circolazione, con ogni più ampia facoltà per il Consiglio di Gestione di stabilire,<br />

di volta in volta, modalità, termini e condizioni dell’operazione ivi compreso il valore di<br />

emissione (compreso l’eventuale sovrapprezzo) delle azioni stesse ed il godimento».<br />

Le perplessità sono le seguenti:<br />

– è rispettato il requisito dell’indicazione dell’ammontare massimo dell’aumento anche<br />

facendo riferimento ad un importo “comprensivo del sovrapprezzo”?<br />

– gli amministratori sono liberi di scegliere le categorie di azioni da emettere?<br />

– gli amministratori non hanno ritenuto di attivare il procedimento di cui al sesto comma<br />

dell’art. 2441, in quanto si riservano di effettuarlo – eventualmente – in occasione delle<br />

delibere consiliari delegate: è stata solo predisposta una relazione, a norma dell’art. 3<br />

del d.m. 437/1998, nella quale la proposta di delibera viene motivata genericamente con<br />

l’esigenza di assicurare al Consiglio di Gestione “la necessaria flessibilità e tempestività<br />

di esecuzione di operazioni sul capitale, cogliendo le condizioni più favorevoli che si dovessero<br />

presentare sul mercato. Al momento la Società sta valutando varie possibilità<br />

per il raggiungimento dei propri obiettivi, che includono anche contatti con investitori potenzialmente<br />

interessati ad investimenti nel capitale della società, allo stato comunque in<br />

una fase embrionale”;<br />

– tale motivazione (che si ritiene vada introdotta nella clausola statutaria che autorizza la<br />

delega) è sufficiente per la (potenziale) esclusione del diritto di opzione dei soci?;<br />

– posto che si è creata una divergenza tra la Massima n. 8 del Consiglio notarile di Milano<br />

(che ritiene non necessario il parere dell’organo di controllo, in quanto in sede di delibera<br />

assembleare è ben difficile che sia stato determinato il prezzo di emissione) e la<br />

nuovissima massima del Triveneto H.G.29 (la quale al contrario, maggiormente aderente<br />

al dettato normativo, ritiene necessario che l’organo di controllo si pronunci due volte, la<br />

prima sui criteri astratti di determinazione del prezzo di emissione e la seconda sulla<br />

congruità del prezzo medesimo determinata dalla delibera consiliare), è consentita la i-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 263


Aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione - Quesito n. 189-2010/I<br />

scrizione nel Registro Imprese di una delibera assembleare di delega priva del procedimento<br />

di cui al 2441, sesto comma?<br />

Si risponde sinteticamente ai quesiti posti:<br />

1) L’art. 2443 c.c. richiede che la delega agli amministratori stabilisca un ammontare<br />

massimo fino al quale il capitale può essere aumentato. La decisione di prevedere un<br />

importo massimo “comprensivo del sovrapprezzo”, se pure potenzialmente idoneo a determinare<br />

qualche complicazione sul piano del calcolo, non sembra in assoluto contrasto<br />

con il dato normativo. Un importo massimo, invero, è implicitamente fissato, ma si collocherà<br />

necessariamente al di sotto di quanto indicato nello statuto.<br />

Da un punto di vista letterale si ravvisa un’incongruenza con il dato normativo, in<br />

quanto l’importo massimo non è fissato in un valore positivo; e tuttavia, se la ratio della<br />

norma è quella di limitare la discrezionalità degli amministratori nell’aumento del capitale<br />

sociale (operazione che si traduce necessariamente in un maggiore investimento da parte<br />

dei soci, o in una diluizione della propria partecipazione), la previsione in questione<br />

potrebbe non essere in contrasto con essa.<br />

La formulazione adottata nel caso in esame, tuttavia, pare censurabile da un altro<br />

punto di vista: essa fa riferimento alla generica possibilità di escludere il diritto di opzione.<br />

Sul punto, la dottrina [P.G. MARCHETTI, Gli aumenti di capitale, in AA.VV., Il nuovo ordinamento<br />

delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Milano, 2003, 281; C.A.<br />

BUSI, S.p.a. – s.r.l. Operazioni sul capitale, Milano, 2004, 333; S. CERRATO, sub art.<br />

2443, in Il nuovo diritto societario. Commentario diretto da Cottino-Bonfante-Cagnasso-<br />

Montalenti, vol. II, Bologna, 2004, 1562; G.A.M. TRIMARCHI, L’aumento del capitale sociale,<br />

Milano, 2007, 339] ritiene necessario che si specifichi in base a quale disposizione gli<br />

amministratori siano autorizzati ad escludere il diritto di opzione (e cioè se per aumenti<br />

da liberarsi in natura, o quando lo esiga l’interesse della società), nonché la misura del<br />

capitale che debba essere interessata dall’esclusione o dalla limitazione del diritto di opzione.<br />

Tali indicazioni, nel caso di specie, sembrano mancare.<br />

2) Deve ritenersi che gli amministratori non possano avere libertà assoluta con riguardo<br />

alle categorie di azioni da emettere, ma che la delega debba chiarire se possono<br />

essere emesse azioni di categorie diverse rispetto a quelle già esistenti, specificandone<br />

caratteristiche e tipologia. Inoltre, ove già esistano diverse categorie di azioni, dovrà valutarsi<br />

l’eventuale lesione dei diritti di taluna di esse, in modo tale da poter richiedere<br />

l’approvazione della relativa assemblea speciale ex art. 2376 c.c.<br />

3) L’ambigua formulazione del primo comma dell’art. 2443 c.c. genera una questione<br />

interpretativa preliminare, risolta in modo difforme sia dalla dottrina, sia dai c.d. “orientamenti<br />

notarili” (segnatamente, Massima n. 8 del Consiglio Notarile di Milano, Orientamenti<br />

H.G.15 e 29 del Triveneto).<br />

È controverso, infatti, se l’applicazione “in quanto compatibile” dell’art. 2441, comma<br />

6, c.c., di cui al secondo periodo del primo comma dell’art. 2443 c.c., riguardi la delibera<br />

assembleare di delega o la deliberazione del consiglio di amministrazione che attua<br />

l’aumento di capitale. Dal punto di vista letterale, sembra preferibile ritenere che il riferimento<br />

sia alla delibera consiliare, posto che la prima parte della disposizione si riferisce<br />

264<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

alla delega in sede di atto costitutivo, nella quale l’esplicazione del procedimento preassembleare<br />

di cui all’art. 2441, comma 6, c.c., non può evidentemente aver luogo; inoltre,<br />

l’espressione “in questo caso” è riferita al momento dell’adozione della deliberazione<br />

di aumento [in questo senso MARCHETTI, op. cit., 281; conforme BUSI, op. cit., 331; F.<br />

GUERRERA, sub art. 2443, in Società di capitali. Commentario a cura di Niccolini-Stagno<br />

d’Alcontres, Napoli, 2004, 1190].<br />

Secondo le massime del Triveneto, invece, l’art. 2441, comma 6, dovrebbe applicarsi<br />

sia alla deliberazione di delega, sia alla deliberazione consiliare di aumento del capitale<br />

sociale; in particolare, anche in sede di attribuzione della delega in sede assembleare<br />

dovrebbe essere predisposto il parere dell’organo di controllo che, non potendo avere ad<br />

oggetto la “congruità del prezzo di emissione delle azioni”, ovviamente non ancora fissato,<br />

dovrebbe avere ad oggetto “la congruità dei criteri di determinazione del prezzo di<br />

emissione cui il consiglio di amministrazione dovrà attenersi”.<br />

Altra parte della dottrina [CERRATO, op. cit., 1558 ss.] ritiene ugualmente applicabile<br />

ad entrambe le deliberazioni il riferimento all’art. 2441, comma 6, muovendo da una prospettiva<br />

opposta rispetto a quella degli autori sopra richiamati: intende cioè il richiamo al<br />

sesto comma dell’art. 2441 come concepito essenzialmente con riguardo alla deliberazione<br />

assembleare di delega (dovendo, tuttavia, rilevare che tale lettura è possibile solo<br />

ammettendo una duplice “imprecisione” della norma, 1558), per poi riconoscere che la<br />

lettera della legge induce a ritenere applicabile la disposizione “anche alla fase deliberativa<br />

dell’organo amministrativo” (corsivo dell’A., 1575).<br />

La massima del Consiglio Notarile di Milano suggerisce invece un’applicazione distinta<br />

dei precetti di cui all’art. 2441, comma 6: nella sede assembleare di attribuzione<br />

della delega si richiede esclusivamente la presentazione della relazione illustrativa degli<br />

amministratori (priva dell’indicazione dei criteri adottati per determinare il prezzo di emissione),<br />

mentre gli altri adempimenti (cautele per la determinazione del prezzo di emissione;<br />

parere di congruità dell’organo di controllo) saranno osservati in sede di deliberazione<br />

consiliare.<br />

In ragione dell’obiettiva ambiguità del dato normativo, e della ragionevole sostenibilità<br />

di tutte le opinioni sopra ricordate, questo Ufficio Studi non ritiene opportuno, in questa<br />

sede, esprimere una propensione per una di esse. Dal punto di vista della responsabilità<br />

notarile, si osserva che in presenza di contrasti di dottrina e giurisprudenza non può essere<br />

censurato il comportamento del notaio costretto, inevitabilmente, ad effettuare una<br />

scelta sul piano operativo.<br />

Nel caso di specie, pertanto, anche in mancanza della relazione dell’organo di controllo<br />

la deliberazione potrebbe essere ugualmente iscrivibile, ove il notaio reputi preferibile<br />

aderire alla tesi che intende il richiamo all’art. 2441, comma 6, c.c. come riferibile solo<br />

alla deliberazione consiliare, ovvero che intenda tale norma applicabile anche alla deliberazione<br />

assembleare di delega, ma il limite di compatibilità venga interpretato nel<br />

senso di escludere la necessità di tale adempimento.<br />

4) Maggiore consenso si registra, invece, quanto all’interpretazione dell’ultimo periodo<br />

del primo comma dell’art. 2443 c.c., ove si richiede che lo statuto determini i criteri cui<br />

gli amministratori devono attenersi.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 265


Aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione - Quesito n. 189-2010/I<br />

La clausola dovrebbe infatti precisare “quale tipologia di conferimenti in natura o quali<br />

tipi di interessi e situazioni potranno giustificare l’attivazione da parte del consiglio della<br />

delibera di aumento di capitale rispettivamente ex art. 2441, quinto comma e quarto<br />

comma, prima e seconda parte” [così MARCHETTI, op. cit., 281].<br />

Si sottolinea correttamente che tali criteri non possono esaurirsi “nel mero richiamo al<br />

linguaggio legislativo”, ma che invece sia necessario “uno sforzo selettivo maggiore di<br />

quei parametri astratti che assegnino all’organo delegato l’esercizio «controllato»<br />

dell’esclusione o limitazione del diritto d’opzione calibrato, cioè, ad esigenze in generale<br />

prevalutate dai soci” [in questi termini TRIMARCHI, op. cit., 340].<br />

Seppure si possa ritenere ammissibile “una descrizione in termini ampi della ragione<br />

o delle ragioni di interesse sociale per il perseguimento delle quali la delega è richiesta”,<br />

non è consentito limitarsi “ad enunciazioni di carattere assolutamente generico (quali<br />

quelle di «acquisire nuove risorse» o «accrescere la liquidità dell’impresa», «migliorare<br />

la debt/equiy ratio» o analoghe) o a catalogazioni omnicomprensive dalle quali non e-<br />

merga alcuna reale indicazione” [così CERRATO, op. cit., 1571].<br />

Il notaio, pertanto, dovrà valutare se la proposta di clausola suggerita dagli amministratori<br />

soddisfi quanto richiesto dalla legge: al riguardo, l’obbligo concerne la necessità<br />

di verificare la sussistenza di tali criteri e che essi appaiano motivati sul piano della consequenzialità<br />

logica, non potendo invece sindacare il merito della valutazione ivi espressa.<br />

Ad avviso di chi scrive, i termini entro i quali la clausola è redatta peccano di eccessiva<br />

genericità.<br />

266<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Trasformazione di consorzio con attività esterna<br />

in s.r.l. consortile, maggioranza richiesta,<br />

voto per teste o per quote e assegnazione<br />

delle partecipazioni<br />

Quesito n. 192-2010/I<br />

Antonio Ruotolo<br />

Si prospetta il seguente quesito:<br />

Il notaio è richiesto di ricevere un atto di trasformazione di consorzio con attività esterna in<br />

società consortile a responsabilità limitata. L’atto costitutivo prevede che le modificazioni<br />

del consorzio debbano essere deliberate con la maggioranza dei due terzi; l’art. 2500-<br />

octies c.c. prevede che sia sufficiente il voto favorevole della maggioranza dei consorziati.<br />

Si chiede, pertanto, quale quorum dovrà trovare applicazione, se il voto debba essere<br />

espresso per quote o per teste e come debbano essere divise le quote del capitale sociale,<br />

dato che originariamente le società consorziate avevano una stessa partecipazione<br />

al fondo consortile, ma sono poi intervenute variazioni, non solo con il recesso di alcuni<br />

ed il subentro di altri, ma anche negli assetti, dal momento che in più casi alcune<br />

società si sono fuse tra loro ed altre si sono scisse.<br />

A) LA MAGGIORANZA RICHIESTA PER LA TRASFORMAZIONE DEI CONSORZI<br />

Occorre preliminarmente dar conto della possibile configurazione dell’operazione in<br />

esame:<br />

– in termini di trasformazione eterogenea atipica (e di qui il problema della applicabilità<br />

o meno dell’art. 2500-octies, c.c.);<br />

– ovvero in termini di trasformazione sì atipica (perché non contemplata dal legislatore)<br />

ma omogenea, in quanto si resterebbe nell’ambito della causa consortile, mentre ad<br />

essere modificata sarebbe solo la struttura organizzativa, laddove si acceda ad una ricostruzione<br />

che limiti l’eterogeneità dell’operazione al solo mutamento causale. In tale ultima<br />

prospettiva, peraltro, non si porrebbe alcun problema di applicabilità dell’art. 2500-<br />

octies, c.c.<br />

Pur essendo meritevole di un apposito approfondimento, l’analisi di tale questione<br />

può esser rinviata ad altra sede, perché, per l’economia del presente parere, la soluzione<br />

in ordine al primo punto non muta: nel caso in cui si consideri l’operazione come trasformazione<br />

omogenea atipica, non vi sarebbe alcuna ragione di applicare il disposto<br />

dell’art. 2500-octies; ove, invece, si ritenga trattarsi di trasformazione eterogenea atipica<br />

Studi e Materiali – 1/2011 267


Trasformazione di consorzio in s.r.l. consortile – Quesito n. 192-2010/I<br />

(riconducendo il significato della eterogeneità anche alla modificazione della struttura,<br />

inalterata la causa), la citata norma cede il passo alla previsione contenuta nel contratto<br />

di consorzio per le ragioni espresse nel prosieguo.<br />

L’art. 2500-octies c.c. stabilisce che “la deliberazione di trasformazione deve essere<br />

assunta, nei consorzi, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati”.<br />

L’art. 2607 c.c., a sua volta, dispone che “il contratto, se non è diversamente convenuto,<br />

non può essere modificato senza il consenso di tutti i consorziati”. Nel caso di specie, invece,<br />

l’atto costitutivo prevede che sia sufficiente il voto favorevole dei 2/3 dei consorziati.<br />

Ora, nel caso di specie, non v’è dubbio che, pur trattandosi di trasformazione eterogenea<br />

atipica (essendo contemplato solo il passaggio da consorzio in società di capitali)<br />

lo schema organizzativo di approdo della trasformazione atipica ha caratteristiche omogenee<br />

con lo schema organizzativo di approdo di una trasformazione tipica (società consortile:<br />

struttura organizzativa capitalistica e scopo mutualistico consortile), il che consente<br />

di escludere la necessità di un consenso unanime, invece richiesto laddove tale<br />

omogeneità manchi [MALTONI, La trasformazione eterogenea: in generale, in TASSINARI-<br />

MALTONI, La trasformazione delle società, Milano, 2005, 227 s.].<br />

In definitiva l’alternativa è fra l’applicazione della regola sulla trasformazione da consorzio<br />

in società capitalistica e la regola, dettata dall’autonomia privata, per la modifica<br />

del contratto di consorzio.<br />

Nel primo senso, va rilevato come il tenore letterale della norma (“deve essere assunta”)<br />

abbia indotto parte della dottrina a ritenere che per la trasformazione non possano<br />

essere previste maggioranze diverse (né verso l’alto, né verso il basso) da quelle<br />

stabilite dall’art. 2500-octies [CIVERRA, Le operazioni di trasformazione, Milano, 2004,<br />

148; SARALE, sub art. 2500-octies, in COTTINO-BONFANTE-CAGNASSO-MONTALENTI, Il nuovo<br />

diritto societario. Commentario, ***, Bologna, 2004, 2295].<br />

Nel secondo senso, tuttavia, può rilevarsi come, in via più generale, elementi interpretativi<br />

utili siano desumibili dalla disciplina della trasformazione omogenea progressiva,<br />

nella quale l’art. 2500-ter c.c. consente all’autonomia privata di derogare verso l’alto<br />

alle maggioranze ivi previste (“Salvo diversa disposizione del contratto sociale, la trasformazione<br />

di società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della<br />

maggioranza dei soci …”) [FRANCH, sub art. 2500-octies, in MARCHETTI-BIANCHI-GHEZZI-<br />

NOTARI, Commentario alla riforma delle società, Trasformazione – Fusione – Scissione,<br />

Milano, 2006, 371].<br />

Accedendo a tale ultima interpretazione, che in linea di principio appare preferibile<br />

sul piano sistematico, la previsione del contratto di consorzio che impone per le modifiche<br />

la maggioranza dei due terzi dei consorziati dovrebbe prevalere rispetto alla regola<br />

legale della maggioranza assoluta.<br />

B) VOTO PER QUOTE O PER TESTE<br />

Preliminarmente, va chiarito che, stante l’inequivoco tenore letterale della norme citate<br />

(sia l’art. 2500-octies che l’art. 2607 fanno riferimento ai “consorziati” e non ai partecipanti),<br />

il quorum deliberativo deve essere calcolato tenuto conto dei partecipanti al con-<br />

268<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

sorzio [così BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano,<br />

1985, 324], e non degli intervenuti in assemblea [in tal senso FRANCESCHELLI, Consorzi<br />

per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma,<br />

1992, 139, ad eccezione però dei consorzi di contingentamento].<br />

La questione della applicabilità del principio del voto per teste o del voto per quote,<br />

nel silenzio del contratto di consorzio [l’autonomia dei consorziati può liberamente stabilire<br />

l’uno o l’altro principio: BORGIOLI, Consorzi e società consortili, cit., 325] è dibattuta,<br />

pur prevalendo la tesi favorevole alla regola del voto capitario [ASCARELLI, Teoria della<br />

concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 124; GHIRON, La concorrenza e i consorzi,<br />

in Tratt. Vassalli, X, I, Torino, 1949; GUGLIELMETTI, La concorrenza e i consorzi, in<br />

Tratt. Vassalli, X, 1, Torino, 1970, 338; MOSCO, I consorzi tra imprenditori, Milano, 1988,<br />

181; MINERVINI, La concorrenza e i consorzi, in Tratt. Grosso-Santoro Passarelli, Milano,<br />

1965, 86] dandosi rilievo allo scopo sostanzialmente mutualistico del contratto in questione,<br />

assimilabile sotto questo aspetto alla realtà cooperativa.<br />

Non manca, tuttavia, chi ritiene che valga in via di principio la regola capitalistica, sulla<br />

premessa che le quote di partecipazione dei consorziati sono normalmente proporzionate<br />

alla dimensione ed alla capacità produttiva delle rispettive imprese in funzione dell’operazione<br />

consortile, mentre la regola del voto per teste varrebbe solo per i consorzi<br />

caratterizzati da un essenziale interesse paritetico, come ad es. quelli tra “piccole e medie<br />

imprese” (ex l. 21 maggio 1981, n. 240) per i quali, appunto, è stabilito un limite massimo<br />

della partecipazione [BORGIOLI, Consorzi e società consortili, cit., 326; VOLPE PU-<br />

TZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tratt. Galgano,<br />

IV, Padova, 1981, 403; FRANCESCHELLI, Consorzi per il coordinamento della produzione e<br />

degli scambi, in Comm. Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1992, 139, solo con riferimento<br />

ai consorzi per il contingentamento].<br />

Più precisamente, laddove all’interno del consorzio si ravvisi un interesse di natura<br />

economica quantitativamente diverso per i singoli consorziati, consacrato ufficialmente<br />

nell’atto costitutivo attraverso l’indicazione di partecipazioni diseguali tra loro, sarà opportuno<br />

calcolare la maggioranza assembleare “per quote” anziché “per teste” [VOLPE<br />

PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, cit., 402]<br />

Aderendo a tale, più recente, impostazione, la soluzione, in definitiva, dipende dalla<br />

rilevanza e dalla conseguente diversificazione quantitativa che, a livello organizzativo, si<br />

dà nel contratto di consorzio agli interessi economici dei singoli consorziati.<br />

C) LA ASSEGNAZIONE DELLE QUOTE DEL CAPITALE SOCIALE<br />

NELLA SOCIETÀ CONSORTILE RISULTANTE DALLA TRASFORMAZIONE<br />

Le vicende che hanno riguardato le imprese consorziate (fusioni e scissioni) si dovrebbero<br />

riflettere specularmente sulle quote di partecipazione di ciascuna di esse al fondo<br />

consortile, stante il principio di continuità che connota anche le fusioni e le scissioni.<br />

Il che dovrebbe anche riflettersi in sede di applicazione del disposto dell’art. 2500-<br />

quater, c.c., che la miglior dottrina ritiene operante anche nell’ipotesi al vaglio, giacché<br />

Studi e Materiali – 1/2011 269


Trasformazione di consorzio in s.r.l. consortile – Quesito n. 192-2010/I<br />

trattasi di un criterio di assegnazione delle azioni o delle partecipazioni in società di capitali<br />

che è espressione del principio tradizionalmente accolto secondo il quale la trasformazione<br />

lascia immutata la partecipazione [MALTONI, La trasformazione eterogenea: in<br />

generale, in TASSINARI-MALTONI, La trasformazione delle società, cit., 205]; con la conseguenza<br />

che le quote di partecipazione al capitale sociale a seguito della trasformazione<br />

corrisponderanno a quelle di partecipazione al fondo consortile [MALTONI, Consorzi, società<br />

consortili e trasformazione, in TASSINARI-MALTONI, La trasformazione delle società,<br />

cit., 254].<br />

270<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Oggetto sociale di s.r.l.:<br />

servizi di mediazione e conciliazione<br />

Quesito n. 193-2010/I<br />

Alessandra Paolini<br />

Si espone la seguente fattispecie:<br />

una società a responsabilità limitata, già operativa nell’ambito della prestazione di servizi di<br />

varia natura alle aziende, intende ora integrare il proprio oggetto sociale con il riferimento<br />

alla prestazione di ogni sevizio riguardante il ricorso alla mediazione, alla conciliazione, all’arbitrato<br />

e a tutte le tecniche e procedure di risoluzione alternativa delle controversie.<br />

Si chiede, pertanto, se le nuove attività disciplinate dal D.Lgs. 28/2010 siano compatibili<br />

con altre attività e non incorrano nel divieto di cui all’art. 5, comma 3, della l. 39/1989.<br />

L’art. 16 del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione<br />

delle controversie civili e commerciali, prevede che “gli enti pubblici o privati,<br />

che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati,<br />

su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie<br />

di cui all’articolo 2 del presente decreto”.<br />

L’art. 1, lett. d), del D.Lgs. 28/2010 definisce l’organismo come l’ente pubblico o privato,<br />

presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione.<br />

Tali organismi devono essere iscritti in apposito registro, la cui formazione e organizzazione<br />

sarà disciplinata da appositi decreti del Ministro della giustizia. Allo stato attuale,<br />

ci si trova ancora in una fase “transitoria”: sino all’emanazione di tali decreti si deve ancora<br />

far riferimento alle disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia n. 222 del 23<br />

luglio 2004, e n. 223 del 23 luglio 2004.<br />

Nel d.m. 222 del 2004 si prevede che gli organismi di conciliazione possono avere<br />

una duplice natura: l’art. 4, infatti, dispone che “nel registro sono iscritti, a domanda, gli<br />

organismi di conciliazione costituiti da enti pubblici o privati o che costituiscono autonomi<br />

soggetti di diritto pubblico o di diritto privato”.<br />

Da un lato, dunque, secondo il decreto, gli organismi di conciliazione possono essere<br />

emanazione di enti già esistenti, ed in questo caso non assumono autonoma soggettività;<br />

oppure, in alternativa, possono essere costituiti autonomi soggetti di diritto.<br />

In entrambi i casi, il legislatore non detta specifiche limitazioni, per cui risulta propendere<br />

per una totale “neutralità” sia degli enti di cui alla prima ipotesi (il d.m. 222/2004 definisce<br />

quale «ente privato» qualsiasi soggetto, diverso dalla persona fisica, di diritto privato<br />

), sia della forma giuridica da assumere nella seconda ipotesi (costituzione di un autonomo<br />

soggetto di diritto).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 271


Oggetto sociale di s.r.l.: servizi di mediazione e conciliazione - Quesito n. 193-2010/I<br />

Quanto agli «organismi di conciliazione», l’art. 1, comma 1, lett. f), del d.m. 222 li definisce<br />

in termini di organizzazione di persone e mezzi stabilmente destinata, anche in<br />

via non esclusiva, all’erogazione dei servizi di conciliazione.<br />

Occorre quindi sottolineare con particolare attenzione come l’attività degli organismi<br />

non possa coincidere con la prestazione del conciliatore – da intendersi come prestazione<br />

“professionale” – che presuppone sempre lo svolgimento da parte della singola persona<br />

fisica. I mediatori, ex art. 1, D.Lgs. 28/2010 (così come i conciliatori di cui alla lett.<br />

e), dell’art. 1 del d.m. 222), sono le persone fisiche che, individualmente o collegialmente,<br />

svolgono la prestazione del servizio di conciliazione rimanendo prive, in ogni caso,<br />

del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo.<br />

È l’erogazione del servizio di mediazione o di conciliazione, invece, a essere effettuata<br />

dall’organismo (lett. f)).<br />

Sicuramente le scelte lessicali compiute nel d.m. 222 (con il riferimento in entrambe<br />

le definizioni al servizio di conciliazione ) non appaiono particolarmente perspicue, ma le<br />

ulteriori indicazioni provenienti dal corpus normativo in materia permettono di chiarire<br />

come la vera e propria prestazione del conciliatore o dei conciliatori resti sempre personale,<br />

e non imputabile, quindi, all’organismo. Il D.Lgs. 28 del 2010 conferma tale soluzione,<br />

facendo espresso riferimento all’organismo come all’ente presso il quale può svolgersi<br />

il procedimento di mediazione.<br />

Una volta chiarita la natura dell’attività che la società andrà a svolgere, si può fornire<br />

puntuale risposta al quesito prospettato.<br />

Il citato d.m. 23 luglio 2004, n. 222, nel fornire la definizione di “organismo all’art. 1, lett.<br />

f), chiarisce espressamente che esso è “l’organizzazione di persone e mezzi che, anche in<br />

via non esclusiva, è stabilmente destinata all’erogazione del servizio di conciliazione”.<br />

All’art. 4, ove si prescrivono i criteri per l’iscrizione nel registro, si fa espresso riferimento<br />

alla verifica della forma giuridica dell’ente o dell’organismo, del suo grado di autonomia,<br />

nonché della compatibilità della sua attività con l’oggetto sociale o lo scopo associativo,<br />

senza però che sul punto siano dettate specifiche limitazioni.<br />

La conclusione positiva all’ammissibilità della coesistenza di attività diverse nella<br />

clausola dell’oggetto sociale, insieme a quelle di mediazione e conciliazione, non è ostacolata<br />

al tenore della l. 39/1989, in materia di mediazione: per un’articolata riflessione su<br />

quest’ultima affermazione si rinvia al Quesito n. 119-2008/I – Oggetto sociale – “commercio<br />

ed intermediazione di rifiuti” (Alessandra Paolini) pubblicato in CNN Notizie del<br />

10 settembre 2008.<br />

272<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Dimissioni e “prorogatio” del collegio sindacale<br />

nella s.r.l. Essenzialità della relazione dell’organo di<br />

controllo nella riduzione di capitale ex art. 2482-bis<br />

Quesito n. 194-2010/I<br />

Daniela Boggiali – Antonio Ruotolo<br />

Si prospetta la seguente fattispecie:<br />

“La Alfa S.r.l., con originario capitale di euro 40000, ha accertato, nel bilancio al<br />

31.12.2009 (approvato il 30.06.2010), una perdita superiore al terzo dello stesso. Nell’assemblea<br />

che ha approvato il bilancio non è stata assunta alcuna delibera in merito alla<br />

perdita.<br />

Tutti i membri del Collegio Sindacale si sono dimessi e i soci non hanno provveduto alla<br />

loro sostituzione. Oggi la società vorrebbe ridurre il capitale, ex art. 2482-bis c.c., in ragione<br />

della perdita accertata e quindi, previo annullamento di tutte le riserve, ad euro<br />

100.000,00. I soci non intendono nominare un nuovo collegio, nel presupposto che la delibera<br />

di riduzione non ne renderà più obbligatoria la nomina (lo statuto nulla dice al riguardo).<br />

Il precedente collegio non è più disponibile a prestare la propria opera a favore<br />

della società. La situazione patrimoniale in aggiornamento, predisposta dall’organo amministrativo<br />

per essere approvata dall’Assemblea, non è pertanto accompagnata dalla<br />

relazione del Collegio, né potrà esserlo in quanto i soci non intendono in alcun modo a-<br />

derire alle richieste in tal senso.<br />

Può comunque la delibera essere validamente assunta (i soci sono tutti d’accordo, quindi<br />

sarebbe unanime) o la relativa iscrizione dovrebbe preferibilmente essere respinta in<br />

quanto delibera assunta in violazione del procedimento legale, che prescrive la presentazione<br />

delle osservazioni del Collegio Sindacale?”<br />

Occorre, in primo luogo, verificare se, in caso di dimissioni del collegio sindacale,<br />

operi o meno la prorogatio, così come, in forza di espressa previsione normativa (art.<br />

2385 c.c.) avviene per l’organo amministrativo.<br />

Il problema della applicabilità dell’istituto della prorogatio all’ipotesi di dimissioni di<br />

componenti il collegio sindacale ha dato luogo, in dottrina e in giurisprudenza, a due diverse<br />

posizioni.<br />

Occorre muovere dalla premessa per cui ogni sindaco può rinunciare alla carica in<br />

qualunque momento ma, se manca una giusta causa, la società può chiedergli il risarcimento<br />

del danno, salvo il caso in cui la rinuncia avvenga in seguito ad operazioni straordinarie<br />

che abbiano mutato le maggioranze azionarie. In presenza di giusta causa (ad<br />

es. scoperta di irregolarità amministrative nella gestione), è opportuno che il sindaco<br />

Studi e Materiali – 1/2011 273


Dimissioni e “prorogatio” del collegio sindacale nella s.r.l. – Quesito n. 194-2010/I<br />

spieghi i motivi della sua scelta nella lettera di rinuncia e in uno o più verbali delle verifiche<br />

effettuate.<br />

Le dimissioni non escludono la responsabilità del sindaco se egli non si attiva per<br />

evitare che gli amministratori pongano in essere atti pregiudizievoli alla società o non fa<br />

quanto possibile per ridurre al massimo l’entità dei danni già provocati (Trib. Genova 5<br />

giugno 1992), ad esempio convocando l’assemblea ai fini della ricomposizione del collegio<br />

sindacale, qualora gli amministratori non vi provvedano [Pret. Milano 25 luglio 1983,<br />

in Giur. comm., 1984, II, 202].<br />

Il dato normativo non appare risolutivo per la soluzione del problema.<br />

L’art. 2400 c.c. si limita a prevedere, al comma 1, ultimo periodo, che “la cessazione<br />

dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito”,<br />

espressamente riconducendo alla scadenza del termine il regime di prorogatio.<br />

Mentre, l’art. 2401 c.c. disciplina la sostituzione, stabilendo che “in caso di morte, di rinunzia<br />

o di decadenza di un sindaco, subentrano i supplenti in ordine di età, nel rispetto<br />

dell’articolo 2397, secondo comma. I nuovi sindaci restano in carica fino alla prossima assemblea,<br />

la quale deve provvedere alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per<br />

l’integrazione del collegio, nel rispetto dell’articolo 2397, secondo comma. I nuovi nominati<br />

scadono insieme con quelli in carica”. La norma, quindi, non riconduce espressamente la<br />

prorogatio al caso di dimissioni che comportano, comunque, il subentro del supplente.<br />

Per quanto riguarda, invece, l’organo amministrativo, l’art. 2385 c.c., norma ispirata<br />

al principio di continuità delle funzioni dell’organo gestionale, prevede che “L’amministratore<br />

che rinunzia all’ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d’amministrazione<br />

e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane<br />

in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento<br />

in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei<br />

nuovi amministratori.<br />

La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento<br />

in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito”.<br />

Manca, quindi, nella disciplina del collegio sindacale, una norma del tenore di quella<br />

prevista dal comma 1 dell’art. 2385 c.c., il che pone il problema della sua possibile applicazione<br />

analogica anche ai sindaci.<br />

Tuttavia, pure nel silenzio della norma – e nonostante la riforma abbia introdotto e-<br />

spressamente un’ipotesi di prorogatio solo con riferimento alla cessazione dalla carica<br />

per scadenza del termine (art. 2400 c.c.), argomento sul quale si fondano le tesi contrarie<br />

alla prorogatio [TALICE, Applicabilità della prorogatio ai sindaci rinunzianti dopo la riforma<br />

del diritto societario, in Società, 2008, 24 ss.; RIGHINI, Violazione dell’obbligo di i-<br />

stituzione del collegio sindacale nelle società di capitali. Conseguenze ed effetti, in Riv.<br />

dott. comm., 2010, 115 ss. V., anche, l’Orientamento del Comitato Triveneto dei Notai<br />

H.E.1. In giurisprudenza, ante riforma, Trib. Monza 26 aprile 2001, in Società, 2001,<br />

1229] – sembra preferibile concludere per l’operatività dell’istituto.<br />

Nel caso, quindi, in cui più sindaci si dimettano simultaneamente e con l’ingresso dei<br />

supplenti non sia completato il collegio, ovvero anche questi ultimi presentino le dimissioni,<br />

dovranno considerarsi in carica i sindaci ultimi dimissionari [prima della riforma, COTTINO,<br />

274<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Diritto commerciale, I, 2, Le società, Padova, 1999, 451; CAVALLI, I sindaci, in Tratt. Colombo-Portale,<br />

5, Torino, 1988, 45; ID., Il collegio sindacale, in Società per azioni, in Giur. sist.<br />

Bigiavi, Torino, 1996, 662; TEDESCHI, Il collegio sindacale, sub artt. 2397-2408, in Commentario<br />

Schlesinger, Milano, 1992, 77 ss. In giurisprudenza, Trib. di Roma 27 aprile 1998,<br />

in Società, 1998, 1442. Successivamente alla riforma, MAGNANI, sub art. 2401, in Commentario<br />

Marchetti-Bianchi-Ghezzi-Notari, Milano, 2005, 147; DOMENICHINI, sub artt. 2400-2041,<br />

in Società di capitali. Commentario, a cura di Niccolini-Stagno d’Alcontres, II, Napoli, 2004,<br />

744 s.; AMBROSINI, sub artt. 2400-2402, in Il nuovo diritto societario. Commentario, a cura di<br />

Cottino-Bonfante-Cagnasso-Montalenti, *, Bologna, 2004, 886 s.].<br />

L’ordinamento, infatti, mira ad evitare soluzioni di continuità nel funzionamento degli<br />

organi essenziali della società, e rispetto al perseguimento di tale finalità non appare<br />

ostativa la regola contenuta nel secondo comma dell’art. 1727 c.c., a mente del<br />

quale il recesso ha efficacia immediata ove sia dovuto a giusta causa ed ha invece efficacia<br />

differita al decorso del termine di preavviso quando manchi una giusta causa.<br />

“Quella testé enunciata, infatti, è una regola di carattere generale in ambito civilistico,<br />

che in tanto trova applicazione in quanto non vi siano princìpi diversi, qual è appunto,<br />

nelle società di capitali, l’esigenza di non pregiudicare il funzionamento dell’organo di<br />

controllo completo di tutti i suoi componenti; esigenza che si ricava oggi chiaramente<br />

dal tenore dell’art. 2400, 1° c., ult. parte” [così AMBROSINI, sub artt. 2400-2402, cit., 886].<br />

Si rileva, pertanto, come il complesso della disciplina degli organi sociali lascia intendere<br />

che il legislatore ha considerato l’interesse alla completezza del collegio di grado poziore<br />

rispetto all’interesse del singolo componente a cessare dalla carica, sicché, se a dimettersi<br />

sia un sindaco, l’interesse del primo allo scioglimento del rapporto non può prevalere sull’eventuale<br />

interesse della società alla completezza dell’organo. Né pare ostativa rispetto<br />

alla soluzione accolta l’obiezione secondo la quale l’estensione ai sindaci dimissionari della<br />

regola della prorogatio condurrebbe alla paradossale conseguenza che, ove costoro cessino<br />

di svolgere le loro mansioni, e gli amministratori non si attivino per la loro sostituzione,<br />

la società opererebbe con un collegio sindacale tale soltanto sulla carta e ciò in contrasto<br />

con la regola che senza Collegio sindacale la s.p.a. non può funzionare.<br />

L’inerzia degli amministratori, infatti, porterebbe al medesimo risultato anche nel caso di<br />

efficacia immediata delle dimissioni dei sindaci: questi – è ben vero – non sarebbero più<br />

considerati in carica, ma la società sarebbe, a quel punto, addirittura priva dell’organo di<br />

controllo, con l’aggravante, per così dire, che l’assemblea non potrebbe venire convocata<br />

dai sindaci ex art. 2406 [così, ancora, Ambrosini, sub artt. 2400-2402, cit., 887].<br />

Occorre, a questo punto, verificare se, nel caso di specie, le dimissioni del collegio<br />

sindacale – per il quale, comunque, opererebbe la prorogatio – possa considerarsi indifferente<br />

rispetto all’assunzione delle delibera di riduzione del capitale, valutando se le osservazioni<br />

del collegio cui fa riferimento l’art. 2482-bis c.c. siano elemento essenziale<br />

della fattispecie, precisandosi, sin d’ora, che è invece chiaramente irrilevante la circostanza<br />

che, successivamente alla delibera di riduzione, il capitale della società sarà sotto<br />

la soglia prevista dall’art. 2477 c.c. per la nomina dell’organo.<br />

Diversamente da quanto disposto dall’art. 2446 per la riduzione di capitale nelle<br />

s.p.a., nell’ambito della disciplina delle S.r.l., l’art. 2482-bis, comma 2, secondo periodo,<br />

Studi e Materiali – 1/2011 275


Dimissioni e “prorogatio” del collegio sindacale nella s.r.l. – Quesito n. 194-2010/I<br />

consente ai soci di derogare statutariamente al diritto di prendere visione della relazione<br />

degli amministratori e delle osservazioni del collegio sindacale; norma che la dottrina<br />

tende a ritenere legittimante non solo una deroga al preventivo deposito presso la sede<br />

sociale di tale documentazione (ricorrendo, quindi, ad altre forme di comunicazione), ma<br />

anche la stessa rinunziabilità all’informazione preventiva.<br />

Per questa via, relazione ed osservazioni potrebbero, in definitiva, esser presentate<br />

direttamente in assemblea, senza cioè che i soci ne abbiano una previa visione [ABRIANI,<br />

La riduzione del capitale sociale nella s.p.a. e nella S.r.l., in Fondazione Italiana per il<br />

Notariato, Le operazioni sul capitale sociale, Milano 2008, 90; MAGLIULO, Le modificazioni<br />

dell’atto costitutivo, in CACCAVALE-MAGLIULO-MALTONI-TASSINARI, La riforma della società<br />

a responsabilità limitata, Milano, 2003, 459; SPOLIDORO, La riduzione del capitale nella<br />

S.r.l., in Riv. soc., 2007, 2 ss. Contra, in giurisprudenza, Trib. Napoli 28 dicembre 2004,<br />

in Giur. comm., 2005, II, 796 ss., secondo cui si tratta di un diritto individuale ed intangibile<br />

di informazione preassembleare].<br />

La stessa dottrina, tuttavia, pur ammettendo la derogabilità al diritto di informazione<br />

preassembleare, ritiene invece imprescindibile, in tutte le società di capitali, la presentazione,<br />

durante l’assise assembleare, della relazione degli amministratori e delle osservazioni<br />

dell’organo di controllo o dei revisori, che in tal caso dovranno essere redatte per iscritto<br />

[ABRIANI, La riduzione del capitale sociale nella s.p.a. e nella S.r.l., cit., 91].<br />

Ciò posto, occorre valutare quali siano le conseguenze, sotto il profilo della iscrivibilità<br />

della delibera di riduzione, della mancanza delle osservazioni del collegio sindacale, analisi<br />

che si riconduce, in definitiva, alla verifica dell’esistenza di profili lesivi degli interessi di terzi.<br />

Ebbene, si deve dare conto che già sotto il profilo documentale, proprio in ragione<br />

dell’interesse dei terzi al riscontro della correttezza dell’operazioni di riduzione, parte della<br />

dottrina ritiene necessaria l’allegazione delle osservazioni al verbale [SPOLIDORO, La<br />

riduzione del capitale nella S.r.l., cit.; SFAMENI, Perdita del capitale sociale e bilancio<br />

straordinario, Milano, 2004; BARTALENA, sub artt. 2480-2482-quater, in NICCOLINI-STAGNO<br />

D’ALCONTRES, Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, 1674. Contra, TRIMARCHI,<br />

Le riduzioni del capitale sociale, Milano, 2010, 242] laddove la prassi, rilevata l’assenza<br />

di norme che ne impongano l’allegazione (o il deposito presso il registro delle imprese) è<br />

diversamente orientata [indicazioni in ABRIANI, La riduzione del capitale sociale nella<br />

s.p.a. e nella S.r.l., cit., 91].<br />

La giurisprudenza ha affermato l’irregolarità, con conseguente non iscrivibilità, della<br />

delibera di riduzione del capitale carente del “requisito essenziale” della relazione<br />

dell’organo di controllo [Trib. Napoli 6 dicembre 1995, in Società, 1996, 460, secondo cui<br />

“la cruciale funzione di controllo sull’andamento della gestione e di garanzia dei soci e<br />

dei creditori, demandata al collegio sindacale, va indiscutibilmente attuata anche nel delicato<br />

momento della riduzione del capitale, visto che l’art. 2446 c.c. richiede che all’assemblea<br />

convocata per i provvedimenti sul capitale deve essere sottoposta una relazione<br />

sulla situazione patrimoniale con le osservazioni del collegio sindacale”. Nello stesso<br />

senso App. Venezia 13 novembre 1997, in Foro. it., 1998, I, 584. In dottrina, QUATRARO-<br />

D’AMORA, Le operazioni sul capitale, I, Milano, 2001, 716].<br />

Tale ricostruzione induce quindi a distinguere i due profili del preventivo deposito delle<br />

276<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

osservazioni presso la sede sociale (che attiene esclusivamente all’interesse dei soci e la<br />

cui mancanza non può dar luogo a non iscrivibilità della delibera) e della presentazione<br />

della documentazione in assemblea (prevista nell’interesse generale, contenente i riferimenti<br />

necessari per controllare la ricorrenza del presupposto di legittimità della riduzione e,<br />

quindi, incidente, in caso di omissione, sulla iscrivibilità della delibera) [in tal senso Associazione<br />

Disiano Preite, Il nuovo diritto delle società, Bologna, 2006, 305; Busi, S.p.a. –<br />

S.r.l. Operazioni sul capitale, Milano, 2004, 445. Da ultimo, TRIMARCHI, Le riduzioni del capitale<br />

sociale, cit., 242, il quale sottolinea come “il mancato deposito dei documenti al vaglio<br />

non esclude che gli stessi debbano essere evidenziati nel corso dei lavori assembleari<br />

e lì adeguatamente spiegati ai soci. E ciò, dal momento che tali documenti sono pur sempre<br />

quelli dai quali emergono le perdite e che contengono le spiegazioni correlate alla sua<br />

origine, e quindi gli unici che possono presiedere all’adozione degli opportuni provvedimenti<br />

di cui è parola nelle norme più volte citate. Sicché la loro assenza in sede assembleare<br />

non può che determinare l’illegittimità della delibera, probabilmente nella più grave formula<br />

della nullità della stessa da riconnettersi all’illiceità del suo oggetto”].<br />

Allo stato attuale della dottrina e della giurisprudenza, appare quindi necessario considerare,<br />

sul piano operativo, la presentazione della documentazione in assemblea come<br />

requisito essenziale.<br />

Ciò nonostante, sia pur dovendo rinviare la questione ad un successivo approfondimento<br />

in ragione della tempistica del quesito, non può tacersi la sussistenza di argomentazioni<br />

di carattere contrario, quali la circostanza che, come si è visto, non v’è un obbligo<br />

di deposito presso il registro delle imprese o di allegazione al verbale, elemento, questo,<br />

che porterebbe a ritenere che l’interesse tutelato è solo quello dei soci e non dei terzi,<br />

come conferma la stessa derogabilità dell’obbligo di preventivo deposito presso la sede<br />

sociale; la circostanza che, in definitiva, le osservazioni del collegio sindacale non rilevano<br />

ai fini della formazione della volontà sociale, che si fonda sul dato numerico reso dagli<br />

amministratori nella relazione, e rispetto alla quale volontà le osservazioni rappresentano<br />

una garanzia, sempre nei confronti dei soci; la dubbia effettiva rilevanza delle suddette<br />

osservazioni in sede di riscontro da parte dei terzi sui presupposti della riduzione.<br />

Profili, questi ora accennati, che meriterebbero un approfondimento, ma rispetto ai<br />

quali si deve ricordare l’orientamento pressoché costante che attribuisce alle osservazioni<br />

del collegio sindacale il carattere di requisito essenziale della fattispecie.<br />

Tornando ora all’ipotesi al vaglio, sembra doversi concludere, per quanto sopra sostenuto,<br />

per la necessità della redazione, da parte dei sindaci ancorché dimissionari ma<br />

in prorogatio, delle osservazioni alla relazione sulla situazione patrimoniale, requisito essenziale<br />

per la delibera di riduzione.<br />

Laddove questi non provvedano, al di là dei profili di responsabilità nei confronti della<br />

società, gli amministratori dovranno procedere tempestivamente alla convocazione dei<br />

soci per la sostituzione dei sindaci.<br />

La circostanza che dopo la delibera di riduzione verrà meno l’obbligo per la società di<br />

esser munita di collegio sindacale ai sensi dell’art. 2477 c.c. è irrilevante, posto che è solo<br />

dopo tale delibera che il capitale risulterà al di sotto della soglia dei 120.000 euro,<br />

mentre attualmente si rientra “nei casi previsti dall’articolo 2477”.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 277


V CONGRESSO NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE<br />

“IL TRUST IN ITALIA” SESTRI LEVANTE, 12 - 14 MAGGIO 2011<br />

PROGRAMMA DELLE GIORNATE<br />

VENERDI’ MATTINA<br />

Dalle 9:00 alle 13:00<br />

VENERDI’ POMERIGGIO<br />

Dalle 14:00 alle 18:00<br />

SABATO MATTINA<br />

Dalle 9:00 alle 13:00<br />

SABATO POMERIGGIO<br />

Dalle 14:00 alle 18:00<br />

SALA 1<br />

Arbitrato, Conciliazione,<br />

Mediazione<br />

Coordina:<br />

Pasquale Macchiarelli, Notaio in<br />

Napoli<br />

SALA 1<br />

Applicazioni innovative<br />

Coordina:<br />

Barbara Franceschini, Notaio in<br />

Roma<br />

SALA 1<br />

Diritto di famiglia<br />

Coordina:<br />

Patrizia Dibari, Avvocato in Bari<br />

SALA 1<br />

Diritto fallimentare<br />

Coordina:<br />

Annapaola Tonelli, Avvocato in<br />

Bologna<br />

SALA 2<br />

Diritto straniero dei trust<br />

Coordina:<br />

Paolo Panico, Private Trustees SA<br />

Lussemburgo, Ginevra, Docente Università<br />

di Sassari<br />

SALA 2<br />

Clausole di atti istitutivi e contratti di<br />

affidamento fiduciario<br />

Coordina:<br />

Maurizio Lupoi, Professore Ordinario<br />

Sistemi Giuridici Comparati Università di<br />

Genova, Presidente Associazione “Il trust<br />

in Italia”<br />

SALA 2<br />

Contabilità e rendiconto<br />

Coordina:<br />

Giuseppe Lepore, Ragioniere<br />

Commercialista in Savona<br />

SALA 2<br />

Trust e enti pubblici<br />

Coordina:<br />

Roberto D’Imperio, Dottore<br />

Commercialista in Novara<br />

La partcipazione al Congresso è riservata agli iscritti all’Associazione “Il trust in Italia”<br />

La quota comprende un volume con le relazioni, le colazioni di lavoro, i coffee break e la cena di gala<br />

del 13 maggio presso la Fondazione Mediaterraneo.<br />

Sono inoltre previste diverse attività extra congressuali, per informazioni sull’evento e per conoscere lo stato degli<br />

accreditamenti visita il sito www.ipsoa.it/congressotrust<br />

Per informazioni e iscrizioni<br />

Scuola di Formazione Ipsoa<br />

• Tel: 02/82476.404 – 409 – 428<br />

• e- mail: formazione.ipsoa@wki.it<br />

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www.ipsoa.it/congressotrust


Divieto per i Comuni sotto i 30.000 abitanti<br />

di costituire o partecipare a società<br />

e farmacie comunali<br />

Quesito n. 195-2010/I<br />

Antonio Ruotolo<br />

Si chiede se, alla luce delle vigenti disposizioni di legge, un Comune con meno di 30.000<br />

abitanti sia legittimato a costituire una società a responsabilità limitata, per la gestione di<br />

una farmacia comunale.<br />

Detto comune, tra l’altro, vorrebbe assumere una partecipazione al capitale minoritaria<br />

(nella misura del 40%) ed individuare il socio privato (chiamato a sottoscrivere la partecipazione<br />

del restante 60%) attraverso una gara di evidenza pubblica di livello europeo.<br />

La questione è stata, in via generale affrontata, all’indomani dell’entrata in vigore del<br />

decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, oggi convertito con legge 31 luglio 2010, n. 122,<br />

dalla risposta a Quesito n.125-2010/I [Limiti alla partecipazione dei comuni con meno di<br />

30.000 abitanti a società, est. Ruotolo, in CNN Notizie del 16 giugno 2010], le cui considerazioni<br />

qui si riproducono:<br />

«L’art. 14, comma 32, del d.l. 78 del 31 maggio 2010, vieta ai Comuni con popolazione<br />

inferiore a 30.000 abitanti di costituire società, “fermo quanto previsto dall’art. 3,<br />

commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”.<br />

Il comma 27 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 dispone che al fine di tutelare la<br />

concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo<br />

30 marzo 2001, n. 165 (e, quindi, anche i Comuni), “non possono costituire società<br />

aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie<br />

per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente<br />

partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”.<br />

Sul presupposto che l’in house providing legittimi una funzionalizzazione dell’organizzazione<br />

tipologicamente societaria al perseguimento di finalità istituzionali del socio –<br />

ente pubblico, si chiede se sia ancora possibile, alla luce del nuovo decreto n. 78, procedere<br />

alla divisata costituzione della s.r.l. da parte di un Comune con popolazione inferiore<br />

a 30.000 abitanti.<br />

La ratio della norma, volta al contingentamento della spesa pubblica, sembra porre il<br />

limite di cui al comma 32 dell’art. 14 del decreto legge come un limite ulteriore, in aggiunta<br />

a quelli previsti dalla legge finanziaria per il 2008.<br />

Quest’ultima, infatti, consente la costituzione ed il mantenimento delle partecipazioni<br />

da parte di enti pubblici, a patto che l’oggetto sociale delle società riguardi attività di pro-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 279


Costituzione o partecipazione a società e farmacie comunali – Quesito n. 195-2010/I<br />

duzione di beni e servizi strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali<br />

dell’ente.<br />

Il comma 32, invece, esclude sostanzialmente la capacità – per i comuni con meno di<br />

30.000 abitanti, e salvo il caso in cui la società sia costituita da più comuni, anche al di<br />

sotto dei 30.000 abitanti – di costituire o partecipare a società, imponendo peraltro la liquidazione<br />

delle società già esistenti ovvero la cessione delle partecipazioni già detenute<br />

entro il 31 dicembre 2010.<br />

In tal senso sembra far propendere il chiaro tenore letterale della norma (“Fermo<br />

quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i<br />

comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro<br />

il 31 dicembre 2010 (oggi, a seguito della conversione in legge, il termine è quello del 31<br />

dicembre 2011, n.d.r.) i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data<br />

di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni. La disposizione<br />

di cui al presente comma non si applica alle società, con partecipazione paritaria<br />

ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni<br />

la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione<br />

compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola<br />

società; entro il 31 dicembre 2010 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società<br />

già costituite”).<br />

In sostanza la nuova norma consente, per i Comuni sotto i 30.000 abitanti, quale unica<br />

modalità di conferimento della gestione dei servizi pubblici locali quella prevista dalla<br />

lettera a) del comma 2 dell’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, e cioè “a favore di<br />

imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure<br />

competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la<br />

Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei<br />

principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,<br />

parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità”.<br />

Mentre, non appare più consentito né il conferimento a società a partecipazione mista<br />

pubblica e privata ai sensi della lett. b ), né l’affidamento a favore di società a capitale<br />

interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la<br />

gestione cosiddetta “in house” ai sensi del comma 3 dello stesso art. 23-bis».<br />

Ciò posto, e prima di esaminare, nello specifico, la questione delle farmacie comunali,<br />

va altresì rilevato come alla norma, rimasta per il resto sostanzialmente invariata dopo<br />

la conversione in legge eccettuato il differimento del termine al 31 dicembre 2011, è stato<br />

aggiunto un ulteriore periodo in cui si prevede che “Con decreto del Ministro per i rapporti<br />

con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri dell’economia e<br />

delle finanze e per le riforme per il federalismo, da emanare entro novanta giorni dalla<br />

data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinate<br />

le modalità attuative del presente comma nonché ulteriori ipotesi di esclusione dal<br />

relativo ambito di applicazione”.<br />

Tale previsione impone, quindi, di considerare le conclusioni che seguiranno necessariamente<br />

come provvisorie, in attesa, appunto, degli ulteriori sviluppi che, sul piano<br />

normativo, avrà la materia, specie con riguardo al settore oggetto del quesito.<br />

280<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Le interpretazioni sin qui affacciatesi riguardo la portata dell’art. 14, comma 32, possono<br />

sostanzialmente ricondursi a due:<br />

– L’interpretazione letterale che fa leva sul contenuto del primo periodo («fermo<br />

quanto previsto dall’articolo 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244,<br />

i comuni...»;) quest’ultimo, nel prevedere che «è sempre ammessa la costituzione di società<br />

che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali<br />

società da parte delle amministrazioni» porterebbe alla conclusione per cui tali società<br />

possono ancora essere partecipate dagli enti locali fino a 30mila abitanti laddove abbiano<br />

ad oggetto i servizi pubblici locali, a rilevanza economica o meno, la gestione delle<br />

farmacie comunali e l’attività di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi locali,<br />

le attività di realizzazione e gestione di strutture o infrastrutture.<br />

– L’interpretazione sistematica, che è poi sostanzialmente quella accolta nella citata<br />

risposta a quesito, in base alla quale il rinvio all’articolo 3, commi 27, 28 e 29, della Finanziaria<br />

2008 deve essere letto come un restringimento della capacità degli enti locali<br />

fino a 30 mila abitanti, ammettendo la detenzione di partecipazioni solo in società strettamente<br />

necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente per quelli con<br />

popolazione più elevata. A tale linea di pensiero sembra rifarsi anche l’Associazione Nazionale<br />

dei Comuni d’Italia nel Documento presentato alla Commissione V Bilancio del<br />

Senato, laddove si paventa che la norma determini “un divieto assoluto per i Comuni entro<br />

la soglia demografica indicata di costituire ogni tipo di società”; e, soprattutto, la Corte<br />

dei conti (sezione delle autonomie, deliberazione 14/AUT/2010/FRG) che afferma come<br />

«nel ribadire la vigenza dei vincoli previsti dal sopra citato articolo 3, commi 27, 28 e 29<br />

della Legge finanziaria 2008, con la manovra finanziaria 2010 il legislatore ha, infatti, vietato<br />

espressamente la costituzione di società ai comuni con popolazione inferiore a<br />

30.000 abitanti i quali, entro il 31 dicembre 2010, dovranno mettere in liquidazione quelle<br />

già costituite ovvero cederne le partecipazioni».<br />

In sostanza, tale interpretazione porta a ritenere che i Comuni sotto soglia non possano<br />

costituire società neppure per servizi di interesse generale, a prescindere, poi, dal<br />

fatto che ciò concretizzi un servizio pubblico locale o generale.<br />

Sotto tale profilo, neppure il raffronto con la disciplina dei servizi pubblici locali, recentemente<br />

oggetto dell’ennesima revisione che non appare neppure esser quella definitiva,<br />

sembra esser di particolare ausilio.<br />

Quest’ultima, oggi contenuta essenzialmente nell’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008,<br />

n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 esclude dalla propria disciplina alcuni<br />

settori: la distribuzione del gas naturale; la distribuzione dell’energia elettrica; il trasporto<br />

ferroviario regionale; la gestione delle farmacie comunali, quest’ultima proprio in ragione<br />

del fatto che ha poco in comune con le caratteristiche dei servizi pubblici locali.<br />

È vero che l’opinione prevalente, al di là del richiamo alla legge 142 contenuto nell’originaria<br />

normativa di settore, è per l’inquadramento delle farmacie comunali nell’ambito<br />

dei servizi pubblici locali. Vari sono, infatti, gli elementi formali e sostanziali che depongono<br />

nel senso della “qualificabilità in termini di servizio pubblico locale di quella parte<br />

del più generale servizio di assistenza farmaceutica che viene gestito direttamente e in<br />

concreto dai comuni mediante farmacie ad essi assegnate in titolarità e la cui gestione è<br />

Studi e Materiali – 1/2011 281


Costituzione o partecipazione a società e farmacie comunali – Quesito n. 195-2010/I<br />

rimessa per intero alle loro scelte, a partire da quelle attinenti alla formula organizzativa<br />

da assumere. Si ricordi innanzitutto che da sempre, e in particolare fin dal T.U. sulla municipalizzazione<br />

del 1925, a funzioni di livello sovracomunale in materia di programmazione<br />

e controllo, si contrappone l’attribuzione al comune come suo servizio dei compiti<br />

di gestione di farmacie nell’ambito del suo territorio, attribuzione in seguito mai espressamente<br />

superata. Inoltre il riconoscimento di poteri speciali di prelazione con riferimento<br />

alle sedi previste sul suo territorio e la stessa programmazione su scala comunale (ancorché<br />

operata in sede sovracomunale) della distribuzione territoriale, sono ulteriori indizi<br />

che confortano l’impressione che, per quanto riguarda la sua erogazione a mezzo di<br />

strutture di diretta pertinenza comunale, possa essere considerato un servizio di livello<br />

comunale e comunque che nella scelta dei modelli organizzativi per la sua gestione il<br />

comune possa fare riferimento al sistema operante per la gestione dei servizi locali” [così,<br />

DE PETRIS, La gestione delle farmacie comunali in forma societaria. Modelli generali e<br />

modelli di settore, in AA.VV., La gestione delle farmacie comunali: modelli e problemi giuridici,<br />

Trento, 2006, 61 ss.]. Non manca, tuttavia, chi diversamente ritiene che il servizio<br />

farmaceutico sia un servizio pubblico in titolarità regionale anche quando venga effettuato<br />

tramite le farmacie comunali, pur pervenendo alla conclusione per cui trovano applicazione,<br />

quanto alle forme di gestione, le disposizioni sui servizi pubblici locali, [COLOM-<br />

BARI, La nuova disciplina dei servizi pubblici locali e farmaci comunali: inderogabilità, integrazione<br />

o specialità, ibidem, 25 ss.].<br />

Occorre, peraltro, considerare come la disciplina dei modelli gestionali sia stata, per<br />

lungo tempo, rinvenuta dalla giurisprudenza amministrativa [Cons. Stato, sez. V, n.<br />

2110/2007] proprio nell’art. 113 del D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.) oggi abrogato nelle parti<br />

incompatibili dal citato art. 23-bis, – piuttosto che nella legge 2 aprile 1968, n. 475.<br />

Tanto che oggi, a causa dell’esclusione, ci si chiede se le farmacie comunali possano<br />

essere gestite nelle forme previste dalla precedente disciplina contenuta nell’art. 113<br />

del testo unico, e quindi si applichino le modalità di gestione ivi previste (affidamento a<br />

terzi, società mista, gestione in house), oppure quelle anteriori (legge del 475 del 1968:<br />

a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra comuni per le<br />

gestione delle farmacie di cui sono gli unici titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite<br />

tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino<br />

servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità).<br />

Invero, in dottrina, c’è chi rileva come «lo scopo dell’esclusione è di sottrarre il settore<br />

all’applicazione delle novità apportate dalla revisione delle modalità di affidamento,<br />

che consiste essenzialmente nel considerare l’in house modalità eccezionale e non più<br />

normale di gestione; e non di sovvertire la situazione precedente (introducendo, in questo<br />

caso, una controriforma). È ragionevole ritenere che il legislatore, inserendo l’esclusione<br />

anche delle farmacie, intendesse conservare per esse l’in house providing. Decisivo<br />

è poi il rilievo che la normativa della legge del 1968, la quale consente soltanto la<br />

scelta tra autoproduzione del servizio e società di capitali con i farmacisti dipendenti di<br />

quelle stesse farmacie, esclude l’affidamento a terzi con gara e non conosce le cautele<br />

con cui la giurisprudenza comunitaria ha circondato la gestione diretta, è nettamente<br />

contraria ai principi del Trattato già CE, ora TFUE, e a quelli che in via interpretativa ne<br />

282<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

sono stati desunti. Si tratta dunque di una normativa che dovrebbe essere disapplicata<br />

dai giudici italiani. Per essere sostituita con l’unica disciplina individuabile, quella vigente<br />

prima dell’intervento legislativo del 2009» [così VIGNERI, La riforma dei servizi pubblici locali.<br />

Valutazioni e prospettive, in www.astrid-online.it].<br />

Se tale effettivamente fosse l’intenzione del legislatore, allora vi sarebbe lo spazio<br />

per ritenere assolutamente “speciale” la disciplina delle farmacie comunali, e ciò a prescindere<br />

dalla riconducibilità o meno al servizio pubblico locale, e quindi considerare le<br />

farmacie comunali fuori dell’ambito di applicazione anche del d.l. 78/2010.<br />

In questo senso, recentemente, si è sostanzialmente espressa la Corte dei Conti Sezione<br />

Regionale di Controllo per la Lombardia, con la pronuncia 861/2010 del 15 settembre<br />

2010, la quale, accogliendo l’interpretazione che rinviene nel comma 32 dell’art.<br />

14 la finalità di limitare la partecipazione azionaria degli enti locali, ritiene che la norma in<br />

questione abbia carattere generale ed è diretta a disciplinare la partecipazione dei Comuni<br />

nelle società di capitali, che dovrà essere orientata, sul piano degli scopi, dall’art. 3,<br />

comma 27, della legge finanziaria per il 2008, e, sul piano quantitativo, dalla previsione<br />

del comma 32. Non mancandosi, tuttavia, di precisare come “in alcuni casi il legislatore<br />

ha previsto che alcune attività e funzioni dei Comuni debbano essere svolte per il tramite<br />

della costituzione di specifiche società di capitali ed è evidente che trattandosi di disposizioni<br />

normative di carattere speciale non risultano abrogate dal combinato disposto degli<br />

art. 3, c. 27 della legge n. 244 del 2007 e 14, c. 32 del d.l. n. 78, conv. in l. n. 122 del<br />

2010, ma continuano ad esplicare i loro effetti”. Da che, ne deriverebbe quindi che nelle<br />

ipotesi in cui lo strumento societario è previsto espressamente dalla disciplina di settore,<br />

esso continuerebbe ad essere utilizzabile, perché previsione di legge speciale, e quindi<br />

non travolta dal d.l. 78, che contiene, invece, un divieto generale.<br />

Si tratta, comunque, di una questione sulla quale il legislatore dovrebbe intervenire a<br />

breve con una norma chiarificatrice, stante anche il termine di 90 giorni per l’emanazione<br />

del relativo decreto come previsto dal comma 32.<br />

Sul piano operativo, in ogni caso, la ricevibilità dell’atto costitutivo presenta, attualmente,<br />

un altissimo tasso di opinabilità. Sarebbe, pertanto consigliabile, attendere tale normativa,<br />

o quanto meno ulteriori conferme dell’orientamento giurisprudenziale da ultimo citato,<br />

onde acquisire ulteriori elementi che possano corroborare la soluzione affermativa.<br />

Postilla: si segnala che, successivamente alla estensione della risposta a quesito, si<br />

è reperita un’ulteriore pronuncia: Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la<br />

Regione Puglia, 22/7/2010 n. 76, secondo cui l’art. 14, c. 32 del d.l. n. 78 del 2010 – in<br />

corso di conversione – stabilisce che “Fermo restando quanto previsto dall’art. 3, commi<br />

27, 28 e 29 della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (l.f. 2008), i comuni con popolazione inferiore<br />

a 30.000 abitanti non possono costituire società…”. Detta norma, che pone un e-<br />

spresso divieto di costituzione di società partecipate per i Comuni aventi popolazione inferiore<br />

a 30.000 abitanti, ha una latitudine molto ampia perché si riferisce a tutte le società<br />

partecipate, senza distinguere in alcun modo in relazione al settore di attività in cui<br />

operano ovvero alla circostanza che esse abbiano proceduto all’emissione di strumenti<br />

finanziari quotati su mercati regolamentati. Tuttavia, il citato c. 32 fa specificatamente<br />

Studi e Materiali – 1/2011 283


Costituzione o partecipazione a società e farmacie comunali – Quesito n. 195-2010/I<br />

salvo l’art. 3, commi 27, 28 e 29 della l. n. 244 del 2007 (l.f. 2008) che, pertanto, rimane<br />

in vigore per espresso dettato normativo. Pertanto, l’art. 14, c. 32, cit. non osta alla costituzione<br />

di società che integrino i presupposti di cui all’art. 3, c. 27 e ss. della legge finanziaria<br />

del 2008, a patto che l’assunzione di nuove partecipazioni sia autorizzata con delibera<br />

motivata che accerti la sussistenza dei presupposti di cui al c. 27” dell’art. 3 della l.f.<br />

2008. La partecipazione societaria potrà comunque essere acquisita anche nel caso di<br />

attività non strettamente necessarie al perseguimento dei fini istituzionali dell’Ente qualora<br />

si tratti di servizi di interesse generale, che presentino un favorevole impatto sulla collettività<br />

locale (massima tratta da www.dirittodeiservizipubblici.it).<br />

Si segnala, inoltre, che nella legge di stabilità 2011, nel testo definitivamente approvato<br />

dal Senato il 7 dicembre scorso, il comma 117 dell’art. unico dispone che “Ai fini dell’applicazione<br />

dell’articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con<br />

modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al comma 32 del medesimo articolo 14,<br />

dopo il secondo periodo è inserito il seguente: ‘Le disposizioni di cui al secondo periodo<br />

non si applicano ai comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti nel caso in cui le società<br />

già costituite abbiano avuto il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi’”.<br />

284<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Fallimento: procedure competitive<br />

e intervento del notaio<br />

Quesito n. 197-2010/I<br />

Daniela Boggiali<br />

Si prospetta la seguente fattispecie:<br />

Nell’ambito di un procedimento fallimentare, il curatore vorrebbe organizzare una gara<br />

tra offerenti per procedere alla vendita “competitiva” di immobili ai sensi dell’art. 107 L.F.<br />

richiedendo al notaio, oltre che di ricevere le buste contenenti le offerte, di redigere il verbale<br />

di gara.<br />

Si chiede se il notaio sia legittimato a ricevere il predetto verbale, anche alla luce della<br />

questione relativa alla ricevibilità dei c.d. verbali di “constatazione”, e, in caso di risposta<br />

positiva, se sia necessaria e sufficiente una delega da parte dell’autorità giudiziaria.<br />

L’art. 107 L.F. stabilisce che “le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in<br />

esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure<br />

competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo<br />

il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate<br />

forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”.<br />

Il meccanismo delle procedure competitive è funzionale alla scelta del “miglior contraente”,<br />

la quale sembra essere garantita in presenza dei seguenti requisiti:<br />

– sistema incrementale di offerte;<br />

– adeguata pubblicità;<br />

– trasparenza (attraverso la comunicazione alle parti);<br />

– regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell'offerente.<br />

– completa e assoluta apertura al pubblico interessato [in tal senso D’Adamo, Le procedure<br />

competitive all’interno della riforma della liquidazione dell’attivo, in Studi e Materiali,<br />

2008, 1240].<br />

Le procedure competitive, pur essendo gestite dal curatore, conservano la loro natura<br />

di vendita coattiva, in quanto l’attività del curatore viene svolta sotto il controllo del<br />

giudice delegato il quale, da un lato, autorizza l’esecuzione degli atti conformi a quelli<br />

previsti nel programma di liquidazione e, dall’altro lato, ha il potere di sospendere le operazioni<br />

di vendita [IOZZO, La liquidazione dell’attivo, in Le nuove procedure concorsuali.<br />

Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, Bologna, 2008, 279].<br />

Poiché, però, la procedura di liquidazione del bene viene effettuata dal curatore direttamente,<br />

e non più dal giudice, l’atto di trasferimento assume la natura di atto tra privati e<br />

non consiste più in un provvedimento giudiziario.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 285


Fallimento: procedure competitive e intervento del notaio – Quesito n. 197-2010/I<br />

Nel caso, quindi, di procedura competitiva avente ad oggetto l’alienazione di un immobile,<br />

il curatore può procedere alla verbalizzazione della fase di aggiudicazione del bene<br />

all’offerente divenuto aggiudicatario, ma sarà poi necessario recarsi da un notaio per provvedere<br />

al materiale e regolare trasferimento del bene aggiudicato attraverso la stipula di un<br />

contratto di compravendita, il quale è soggetto alla disciplina civilistica in materia di compravendita,<br />

compresa, ad esempio, la forma scritta ex art. 1350 c.c. richiesta per la validità<br />

del trasferimento dei beni immobili, e la forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata<br />

richiesta per l’iscrizione nei registri immobiliari dall’art. 2657 c.c.<br />

Il notaio che – in caso di vendita effettuata dal curatore – provvede alla redazione<br />

dell’atto di trasferimento, agisce in base alla richiesta di una delle parti e non è, invece,<br />

un delegato del giudice, in quanto la liquidazione dell’attivo è un’attività del curatore e dei<br />

creditori [D’ADAMO, Le procedure competitive all’interno della riforma della liquidazione<br />

dell’attivo, cit., 1237, rileva che «la alienazione dei beni è effettuata, salvo ipotesi di delega,<br />

dal curatore da solo senza l’autorità giudiziaria, quindi l'atto di trasferimento è atto<br />

di parte e non provvedimento giudiziario e di conseguenza il notaio che stipula l’atto di<br />

parte è il notaio delle parti e non della procedura fallimentare»).<br />

Esiste, poi, un secondo modo attraverso il quale il notaio potrebbe essere chiamato<br />

ad intervenire nelle procedure competitive di vendita dei beni del fallimento.<br />

L’art. 104-ter, comma 3, L.F. prevede che il curatore possa essere autorizzato dal<br />

giudice delegato ad affidare ad altri professionisti alcune incombenze della procedura di<br />

liquidazione dell’attivo.<br />

Tra tali professionisti appare suscettibile di rientrare il notaio, il quale ad esempio potrebbe<br />

ricevere l’incarico di procedere alla vendita di un compendio immobiliare.<br />

In merito a tale possibilità, sembrano prospettabili due soluzioni:<br />

– vi è chi sostiene che il “professionista” notaio cui è affidata la vendita ai sensi<br />

dell’art. 104-ter, comma 3, L.F. non sarebbe più un delegato del giudice, bensì un delegato<br />

del curatore, i cui atti sono sottoposti ad analitica verifica da parte del giudice delegato<br />

e sono opponibili, secondo una parte della dottrina, con gli stessi strumenti con i<br />

quali ci si oppone agli atti del curatore; il professionista delegato ex art. 104-ter L.F. sarebbe,<br />

quindi, portatore di un potere di rappresentanza del curatore nel compimento dei<br />

singoli atti delegati [TRENTINI, Controllo sugli atti del professionista delegato alla vendita<br />

del fallimento, nota a Cass. 11 maggio 2007, n. 10925, in Il Fallimento, 2007, 1163 ss.];<br />

– diversamente, si ritiene che il notaio delegato rimanga un ausiliario del giudice delegato<br />

in quanto il potere che legittima la nomina da parte del curatore e a cui è sottoposto<br />

l’atto di nomina stesso deriva geneticamente dal giudice delegato; in tal caso appare,<br />

però, dubbio che il notaio nominato ex art. 104-ter L.F. possa essere considerato un delegato<br />

del giudice alla stregua di quanto avviene nelle esecuzioni individuali con l’art.<br />

591-bis c.p.c. [D’ADAMO, Le procedure competitive all’interno della riforma della liquidazione<br />

dell’attivo, cit., 1244].<br />

Esiste, infine, la possibilità che il curatore, ai sensi del comma 2 dell’art. 107 L.F.,<br />

preveda nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili<br />

registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di<br />

procedura civile in quanto compatibili.<br />

286<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Ciò significa che se al giudice viene richiesto di liquidare i beni del fallito secondo le<br />

regole del codice di procedura civile, egli ha altresì la facoltà di nominare a sua volta un<br />

proprio delegato alla vendita ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c.<br />

In tale ipotesi, il notaio – per effetto di una delega conferita in base al combinato disposto<br />

degli artt. 107, comma 2, L.F. e 591-bis c.p.c. – dovrebbe essere qualificato come<br />

un vero e proprio sostituto del giudice in conformità alla disciplina in materia di esecuzioni<br />

immobiliari, che viene richiamata nei limiti della compatibilità [D’ADAMO, Le procedure<br />

competitive all’interno della riforma della liquidazione dell’attivo, cit., 1244].<br />

In merito al caso prospettato, occorre verificare il contenuto dell’incarico conferito al<br />

Notaio dal curatore fallimentare.<br />

Dal quesito risulta che al Notaio viene richiesto di redigere il verbale di gara, oltre a<br />

ricevere le buste contenenti le offerte, ma non si evince con chiarezza se la gestione della<br />

procedura competitiva resti al curatore, oppure se la stessa venga affidata al notaio.<br />

In quest’ultimo caso, il notaio sarebbe un delegato ex art. 104-ter, comma 3, L.F. e<br />

occorrerebbe l’autorizzazione del giudice delegato.<br />

Se, invece, la gestione della procedura rimane in capo al curatore, il notaio viene chiamato<br />

in qualità di professionista a redigere il verbale della gara e, in quanto “notaio di parte”,<br />

non occorre alcuna delega da parte dell’autorità giudiziaria, essendo sufficiente il solo<br />

conferimento dell’incarico alla redazione dell’atto.<br />

In questa ipotesi non sembra venire in rilievo la questione dell’ammissibilità dei verbali<br />

constatazione.<br />

Sono, infatti, definiti verbali di constatazione «i verbali che il notaio è chiamato a redigere,<br />

caratterizzati dal fatto di documentare esclusivamente circostanze di fatto riscontrate<br />

direttamente dal notaio, prive del tutto di significato sul piano della documentazione<br />

negoziale» [CASU, v. Verbale di constatazione, in Dizionario giuridico del notariato, Milano,<br />

2006, 1081].<br />

L’espletamento di una procedura competitiva non può essere considerato come<br />

un’attività priva di rilevanza negoziale, in quanto consiste in un’attività diretta ad individuare<br />

il miglior offerente e a consentire, conseguentemente, l’aggiudicazione del bene in<br />

favore di quest’ultimo.<br />

Pertanto, anche se la procedura competitiva costituisce una fase di un procedimento<br />

di vendita coattiva inserita nell’ambito del processo fallimentare, attraverso l’espletamento<br />

della gara si manifesta la volontà dei partecipanti di acquistare il bene alle condizioni<br />

fissate dal curatore in conformità del programma di liquidazione e ciò consente, altresì,<br />

di individuare l’offerta migliore, con conseguente aggiudicazione del bene.<br />

In particolare l’aggiudicazione, oltre a rappresentare l’atto conclusivo del procedimento<br />

di gara, perché accerta con efficacia costitutiva l’offerta più vantaggiosa, crea il<br />

vincolo giuridico che consente il successivo trasferimento del bene in esecuzione dell’esito<br />

della gara [sulla base di analoghe argomentazioni è riconosciuta la natura negoziale<br />

dei verbali di aggiudicazione nel sistema di contrattazione tra privati e pubblica amministrazione,<br />

anche quando dopo l’aggiudicazione debba seguire la stipulazione di un contratto<br />

formale tra la Pubblica Amministrazione e il soggetto prescelto; in tal senso, Interpretazione<br />

della dottrina e della giurisprudenza circa i rapporti tra verbale di aggiudica-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 287


Fallimento: procedure competitive e intervento del notaio – Quesito n. 197-2010/I<br />

zione per asta pubblica e successivo contratto formale, studio n. 230 del 7 novembre<br />

1968, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi su argomenti di interesse notarile, VII,<br />

Roma, 1970, 143 ss.].<br />

In considerazione, dunque, della rilevanza negoziale dell’espletamento della procedura<br />

competitiva, il notaio può, qualora vi sia la richiesta del curatore fallimentare, ricevere<br />

il relativo verbale di gara. In tale ipotesi, non ricorrendo la fattispecie della delega<br />

all’espletamento delle procedure competitive ex art. 104-ter, comma 3, L.F., non occorre<br />

l’autorizzazione del giudice delegato.<br />

Trattandosi, inoltre, di attività che il notaio viene chiamato a svolgere in forza di un<br />

incarico professionale, vi è altresì la possibilità per il notaio di ricevere il verbale nella<br />

forma richiesta dalle parti.<br />

Non sembra, infine, che nel caso in esame ricorra la fattispecie di una delega conferita<br />

dal giudice delegato in base al combinato disposto degli artt. 107, comma 2, L.F. e<br />

591-bis c.p.c.<br />

288<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Limiti statutari alla rieleggibilità degli<br />

amministratori nelle cooperative s.p.a.<br />

Quesito n. 202-2010/I<br />

Antonio Ruotolo<br />

Si pone il seguente quesito in materia di limiti alla rieleggibilità degli amministratori di società<br />

cooperativa alla quale si applica la disciplina delle società per azioni.<br />

“Premesso che:<br />

– il D.Lgs. 17/01/2003 n. 6 (“Riforma organica della disciplina delle società di capitali e<br />

società cooperative”), attuativo della riforma in materia di diritto societario, aveva modificato<br />

l'articolo 2542 del codice civile prevedendo al terzo comma, per le società cooperative<br />

alle quali si applica la disciplina delle società per azioni, con decorrenza<br />

dall’1/01/2004, un limite temporale alla rieleggibilità degli amministratori che non poteva<br />

superare i tre mandati consecutivi;<br />

– la società cooperativa “Alfa”, in adeguamento alle innovazioni previste dal nuovo diritto<br />

societario, in data 25/11/2004 con assemblea straordinaria iscritta nel Registro delle Imprese<br />

in data 22/12/2004, ha introdotto nello statuto sociale la clausola che prevede per<br />

gli amministratori il limite di rieleggibilità di tre mandati consecutivi, così come aveva disposto<br />

il novellato testo dell’articolo 2542 c.c.;<br />

– la nuova disposizione statutaria non ha espressamente previsto la sua applicabilità agli<br />

amministratori in carica al momento della modifica;<br />

– lo statuto della società cooperativa “Alfa”, prima di tale modifica, prevedeva la rieleggibilità<br />

degli amministratori senza limiti;<br />

– l’art. 29 D.Lgs. 28/12/2004 n. 310 ha soppresso il terzo comma dell’articolo 2542 del<br />

codice civile, eliminando così il limite massimo di tre mandati consecutivi previsto per gli<br />

amministratori delle società cooperative alle quali si applica la disciplina delle società per<br />

azioni, quale quella in oggetto;<br />

– all’epoca della modifica statutaria che introduceva per gli amministratori il limite di rieleggibilità<br />

di tre mandati consecutivi, alcuni membri del Consiglio di Amministrazione della<br />

società cooperativa “Alfa” erano già in carica e stavano svolgendo il mandato relativo<br />

agli anni 2002, 2003 e 2004;<br />

– gli stessi amministratori sono stati rinominati nel maggio 2005 per gli esercizi 2005,<br />

2006 e 2007 (un mandato) e poi per gli esercizi 2008, 2009 e 2010 (altro mandato).<br />

Si chiede se il limite massimo di tre mandati consecutivi alla rieleggibilità degli amministratori,<br />

attualmente previsto dal vigente statuto sociale della società cooperativa, debba<br />

essere applicato già allo scadere dell’esercizio 2010 agli amministratori che hanno svolto<br />

il loro mandato negli esercizi 2002, 2003 e 2004, i quali avevano accettato l’incarico<br />

Studi e Materiali – 1/2011 289


Limiti statutari alla rieleggibilità degli amministratori – Quesito n. 202-2010/I<br />

quando ancora non vigeva tale limite, ed hanno poi svolto consecutivamente due mandati,<br />

relativi agli esercizi 2005-2006-2007 e 2008-2009-2010.<br />

Riguardo alla portata delle modifiche introdotte all’art. 2542 c.c. dall’art. 29 D.Lgs. 28<br />

dicembre 2004, n. 310, si è a suo tempo precisato [BOGGIALI-PAOLINI-RUOTOLO, Le novità<br />

in tema di cooperative introdotte dal decreto correttivo, in Consiglio Nazionale del Notariato,<br />

Studi e materiali in materia di società cooperative, Milano, 2005, 852 s.] come la<br />

novella avesse eliminato completamente la disposizione che nelle cooperative s.p.a. prevedeva<br />

l’obbligo di inserire nello statuto i limiti al cumulo delle cariche ed alla rieleggibilità<br />

degli amministratori entro il limite massimo di tre mandati consecutivi.<br />

«Il terzo comma dell’art. 2542, c.c., costituiva una peculiarità della disciplina delle<br />

cooperative rispetto alle società per azioni. In materia di s.p.a., infatti, l’art. 2383, c.c.,<br />

consente all’autonomia statutaria di limitare la rieleggibilità degli amministratori, senza<br />

tuttavia dettare limiti specifici.<br />

La ratio del limite di rieleggibilità dei tre mandati consecutivi nelle cooperative s.p.a.<br />

risiedeva nell’esigenza di evitare all’interno della cooperativa la creazione di centri di potere<br />

inamovibili, che sarebbero stati palesemente in contrasto con il principio di democrazia<br />

cooperativa e con il connotato mutualistico della società.<br />

La dottrina, tuttavia, aveva rilevato l’eccessiva severità di tale norma, che avrebbe<br />

potuto creare delle difficoltà operative nelle cooperative di piccole dimensioni e, al tempo<br />

stesso, avrebbe potuto essere oggetto di elusione [BONFANTE, Commento all’art. 2542,<br />

c.c., in Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 2587].<br />

Nella relazione illustrativa al D.Lgs. 310, con riferimento al parere espresso dalla Camera<br />

dei Deputati, si rileva espressamente che il limite di rieleggibilità dei tre mandati è<br />

apparso troppo restrittivo nei confronti dell’autonomia statutaria e fonte di difficoltà operative<br />

evidenziate nella fase di prima applicazione della riforma nel settore cooperativistico.<br />

In particolare, erano sorte difficoltà operative di carattere transitorio in riferimento alla<br />

possibilità di considerare ai fini del computo dei tre mandati, previsti dall’articolo 2542,<br />

terzo comma, c.c., come limite massimo di durata in carica degli amministratori, quello in<br />

corso alla data dell’adeguamento statutario [MORARA, Questioni in tema di amministrazione<br />

e controllo nelle società cooperative, negli Approfondimenti del Gruppo di studio<br />

sulle società cooperative, in Studi e materiali in materia di società cooperative, Milano,<br />

2005, 650, concludeva nel senso della sicura irrilevanza dei mandati già esauriti prima<br />

della entrata in vigore della norma, in quanto iniziati e conclusi quando ancora la norma<br />

limitatrice non esisteva, e, analogamente, della probabile irrilevanza di quelli in corso alla<br />

data dell’adeguamento statutario].<br />

Rimane oggi il dubbio sulla sorte delle limitazioni già introdotte in sede di adeguamento<br />

degli statuti prima dell’entrata in vigore del decreto correttivo, per le quali probabilmente<br />

– seguendo la tesi che privilegia l’interpretazione oggettiva dello statuto – si dovrà<br />

distinguere l’ipotesi in cui lo statuto abbia al riguardo operato un generico rinvio alla<br />

legge o al terzo comma dell’art. 2542 c.c. (venuta meno la norma limitatrice, dovrebbe<br />

intendersi venuta meno anche la clausola che vi fa riferimento), dall’ipotesi in cui, sia pur<br />

con formula meramente ripetitiva di quel precetto, vi sia stata una effettiva regolamenta-<br />

290<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

zione statutaria dei limiti alla rieleggibilità che sarà da intendersi ancora operante, nonostante<br />

l’abrogazione della norma» [così il citato studio, cui aderisce anche VELLA, sub art.<br />

2542, in PRESTI, Società cooperative, in Commentario alla riforma delle società, cur.<br />

MARCHETTI-BIANCHI-GHEZZI-NOTARI, Milano, 2007, 339].<br />

In sostanza, se nello statuto della cooperativa non v’è un mero richiamo all’art. 2542<br />

c.c., ma il divieto della rieleggibilità al terzo mandato è esplicitato nella clausola, il limite<br />

massimo dei tre mandati troverà necessariamente applicazione.<br />

Quanto all’ulteriore profilo, relativo al computo dei tre mandati previsti (originariamente<br />

anche dalla legge ma ora solo) dallo statuto, la questione relativa alla rilevanza di<br />

quello in corso alla data della modifica statutaria venne a suo tempo affrontata in un approfondimento<br />

[MORARA, Questioni in tema di amministrazione e controllo nelle società<br />

cooperative, cit.] sempre nell’ambito dei lavori dedicati al tema delle cooperative dal<br />

Consiglio Nazionale:<br />

«Si chiede se ai fini del computo dei tre mandati, previsti dall’articolo 2542, comma 3,<br />

come limite massimo di durata in carica degli amministratori, non si consideri quello in<br />

corso alla data dell’adeguamento statutario.<br />

Non risulta che la dottrina (né tantomeno la giurisprudenza, data la novità delle norme<br />

in esame) abbia affrontato lo specifico problema di diritto transitorio posto dal quesito,<br />

essendosi concentrata prevalentemente sulla ratio di questa innovativa limitazione alla<br />

rieleggibilità degli amministratori e della sua specificità [MARANO, La riforma delle società,<br />

Società cooperative, artt. 2511-2548 cod. civ., a cura di SANDULLI-SANTORO, IV, Torino,<br />

155-156], in quanto riferita alle sole società cooperative: in materia di s.p.a., infatti,<br />

l’art. 2383 c.c. si limita a consentire che l’autonomia statutaria ponga limiti alla rieleggibilità<br />

degli amministratori, senza tuttavia imporne.<br />

La assoluta novità della disposizione, peraltro, impedisce di poter fare riferimento a<br />

dottrina e giurisprudenza formatasi sotto il vigore del codice antecedente la Riforma, cui<br />

il problema era sconosciuto: la soluzione del quesito andrà perciò ricercata sul filo di ragionamenti<br />

di ordine generale.<br />

In primo luogo, anche se può apparire estraneo al problema che trattiamo, è da considerare<br />

la rilevanza – rispetto al limite alla rieleggibilità posto dall’art. 2543 – dei mandati<br />

già esauriti prima della entrata in vigore della norma: in relazione a questi casi, non si<br />

potrà che concludere che quei mandati non possono essere considerati “utilizzabili” ai fini<br />

del conteggio della triplice rieleggibilità e che, quindi, sono da considerare irrilevanti, in<br />

quanto iniziati e conclusi quando ancora la norma limitatrice non esisteva.<br />

Se vi è consenso su questa conclusione, potremmo anche affermare che lo strumento<br />

interpretativo utilizzato per raggiungerla (la norma entrata successivamente in vigore<br />

non può fondare una limitazione al mandato attribuito e svolto in mancanza della norma<br />

limitatrice) possa avere una (almeno) parziale utilizzabilità anche per il caso che pone il<br />

quesito.<br />

È ben vero che, nel caso di specie, il mandato si ultima dopo l’entrata in vigore della<br />

norma e che quindi il paragone con il caso di cui sopra non è perfettamente risolutivo;<br />

non può di converso nemmeno essere sottovalutato, tuttavia, che il mandato è iniziato e<br />

Studi e Materiali – 1/2011 291


Limiti statutari alla rieleggibilità degli amministratori – Quesito n. 202-2010/I<br />

si è svolto (magari quasi per intero), quando nessuna norma ne prevedeva la conteggiabilità<br />

ai fini di ricavarne un limite alla nuova nomina.<br />

Si potrebbero – anzi – creare situazioni di grave disparità, nel caso in cui all’entrata<br />

in vigore della norma limitatrice il mandato sia stato ormai completamente svolto e che<br />

quindi si lo computi per intero, pur essendosi svolto solo per un periodo estremamente<br />

limitato sotto il vigore del nuovo sistema di limiti.<br />

La stessa conclusione pare confermata dal dato testuale, sol che si valorizzi il fatto<br />

che la norma tratta espressamente di “ri-eleggibilità” per più mandati costitutivi sembra<br />

confermare che quel che la norma regola è la (ri)elezione e che, disponendo per<br />

l’avvenire, ponga solamente il limite che successivamente alla sua entrata in vigore lo<br />

stesso amministratore possa fruire di più di tre elezioni successive alla entrata in vigore<br />

della nuova norma.<br />

Pare tuttavia, che nella grande incertezza che l’interpretazione della norma propone,<br />

sia opportuno che i redattori degli statuti valutino seriamente l’opportunità di introdurre in<br />

statuto una norma transitoria chiarificatrice.<br />

Una ulteriore notazione va comunque operata: il problema che abbiamo trattato si riferisce<br />

al momento della entrata in vigore della norma e non anche del suo recepimento<br />

nello statuto sociale: la elezione alla carica sociale avvenuta dopo l’entrata un vigore della<br />

norma (gennaio 2004), ma prima dell’adeguamento statutario (fino a dicembre 2004)<br />

dovrebbe essere conteggiata quale mandato ai sensi del limite al rinnovo ex art. 2542 ,<br />

co. III».<br />

Siffatta soluzione, pur se prospettata con riguardo all’ipotesi in cui la clausola “poggiava”<br />

su una norma di legge, sembra comunque riproponibile anche con riguardo al caso<br />

in esame, in cui la previsione statutaria della non rieleggibilità è stata introdotta successivamente<br />

all’inizio del mandato: ne deve trarsi, quindi, la conclusione, per cui il primo<br />

mandato al quale si deve far riferimento è quello che è iniziato nel 2005.<br />

292<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Recesso nella s.n.c. e “rinunciabilità”<br />

al termine di preavviso<br />

Quesito n. 206-2010/I<br />

Antonio Ruotolo<br />

Si prospetta il seguente quesito:<br />

Nel contratto di costituzione di una s.n.c., composta di 4 soci, è presente una clausola<br />

che prevede che ciascun socio può recedere liberamente con un preavviso di 6 mesi. Il<br />

20 maggio 2010 uno dei soci comunica il recesso. Gli altri con scrittura privata lo accettano<br />

e cominciano anche la liquidazione della quota.<br />

Si chiede se i 3 soci rimasti, senza far intervenire il recedente, possano oggi (settembre<br />

2010) far constare il recesso e procedere alla riduzione del capitale.<br />

La dichiarazione di recesso non esaurisce di per sé il procedimento di cessazione del<br />

rapporto sociale rispetto al socio che abbia esercitato il recesso.<br />

Nel caso di specie, al termine legale per il preavviso di recesso di tre mesi (previsto<br />

dal comma 3 dell’art. 2285), si sostituisce quello pattizio di 6 mesi.<br />

La previsione di un termine maggiore a quello previsto dal legislatore risponde senza<br />

ombra di dubbio all’interesse degli altri soci e della stessa società, evidentemente collegato<br />

vuoi alla possibilità di eliminare la causa del recesso, vuoi alla necessità di reperire<br />

le risorse necessarie alla successiva liquidazione del socio.<br />

Sotto tale profilo, con il consenso dei soci rimasti, e quello implicito del socio che ha<br />

manifestato la dichiarazione di volere recedere, consistente nella accettazione dei pagamenti<br />

sinora avvenuto in funzione liquidativa, il termine pattizio appare rinunciabile.<br />

Quando il recesso, per effetto della comunicazione agli altri soci, diviene efficace, il<br />

recedente acquista il diritto alla liquidazione della quota, che ai sensi dell’art. 2289 c.c. è<br />

fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento<br />

del rapporto, e il cui pagamento deve avvenire entro sei mesi (nel nostro caso,<br />

termine derogato a due anni) dalla medesima data: sostanzialmente, i soci rimasti, con il<br />

consenso del receduto che qui si evince dall’aver conseguito i pagamenti, possono anticipare<br />

l’effetto dello scioglimento, iniziando quindi sin da subito la liquidazione.<br />

Anche il disposto dell’art. 2290, che colloca la fine del regime di responsabilità illimitata<br />

e solidale al momento del verificarsi dello scioglimento (ed è quindi ricollegato<br />

all’interesse dei terzi creditori), non appare in conflitto con la soluzione adottata.<br />

Infatti, poiché l’art. 2286 fa obbligo della comunicazione del recesso (entro 3 – nel<br />

nostro caso 6 – mesi) solo ai soci, e non v’è alcuna forma di pubblicità diretta ai terzi, il<br />

periodo che intercorre fra la comunicazione ai soci e l’efficacia del recesso è posto a tutela<br />

solo di un interesse della società.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 293


Recesso nella s.n.c. e “rinunciabilità” al termine di preavviso – Quesito n. 206-2010/I<br />

Per i terzi, viceversa, conta il fatto della conoscenza (conoscibilità con mezzi idonei<br />

ai sensi dell’art. 2290, comma 2, c.c.) del recesso, non il fatto che si sia rispettato il termine.<br />

Per costoro, in sostanza, la deroga al termine pattizio di preavviso è irrilevante, riguardando<br />

questa solo i rapporti fra i soci rimasti ed il recedente.<br />

Nel caso di specie, la tutela dei creditori è piuttosto collegata al meccanismo<br />

dell’opposizione, trovando applicazione l’art. 2306 c.c.<br />

294<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Oggetto sociale: mediazione creditizia dopo<br />

il D.Lgs. 141/2010 e novità nella disciplina<br />

transitoria (D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218)<br />

Quesito n. 230-2010/I<br />

Alessandra Paolini<br />

Si chiede se, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, l’attività<br />

di mediazione creditizia sia diventata esclusiva. Nel caso di specie, una società vorrebbe<br />

adottare una deliberazione di modificazione dell’oggetto sociale, in modo tale da prevedere<br />

la “mediazione creditizia e finanziaria” insieme ad altre attività, di natura diversa.<br />

A seguito dell’introduzione dell’art. 128-sexies nel T.U.B. (Titolo VI-bis), l’attività di mediazione<br />

creditizia è diventata esclusiva, in quanto, ai sensi del comma terzo della medesima<br />

disposizione, il mediatore creditizio “può svolgere esclusivamente l’attività indicata al<br />

comma 1” (e cioè mettere in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o<br />

intermediari finanziari previsti dal titolo V con la potenziale clientela per la concessione di<br />

finanziamenti sotto qualsiasi forma), nonché “attività connesse o strumentali”.<br />

Al momento, poiché si è in attesa della costituzione dell’Organismo preposto alla vigilanza<br />

su tali soggetti, di cui all’art. 128-undecies T.U.B., sono sospese le nuove iscrizioni<br />

nell’albo dei mediatori creditizi, ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 141/2010.<br />

I soggetti già iscritti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 141/2010 hanno sei mesi<br />

di tempo, dalla costituzione dell’Organismo, per chiedere l’iscrizione nei nuovi elenchi,<br />

previa presentazione della documentazione attestante il possesso dei requisiti richiesti<br />

per l’esercizio dell’attività ai sensi dell’art. 128-septies T.U.B., tra i quali figura espressamente<br />

l’oggetto sociale conforme ai requisiti di cui all’art. 128-sexies, comma 3.<br />

In conclusione, si deve ritenere che l’oggetto sociale che la società intende assumere<br />

non sia legittimo, in quanto prevede un’attività esclusiva (la mediazione creditizia) insieme<br />

ad altre di natura diversa.<br />

Si suggerisce, infine, di non utilizzare l’espressione “mediazione finanziaria” in quanto<br />

essa non corrisponde a nessuna fattispecie tipica, ma è idonea ad ingenerare confusione<br />

con diverse attività riservate (segnatamente, la “mediazione creditizia”, la “agenzia<br />

in attività finanziaria”, e la “intermediazione finanziaria”; per il divieto di uso abusivo della<br />

parola “finanziaria” v. l’art. 133, co. 1-quater, T.U.B.).<br />

È in corso uno specifico approfondimento da parte della Commissione Studi di Impresa<br />

sulla riforma delle attività finanziarie nel T.U.B.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 295


Oggetto sociale: mediazione creditizia dopo il D.Lgs. 141/2010 – Quesito n. 230-2010/I<br />

Nota di aggiornamento<br />

Successivamente alla stesura del presente parere, è entrato in vigore il D.Lgs. 14 dicembre<br />

2010, n. 218 (pubblicato in G.U. il 18 dicembre 2010, con entrata in vigore il medesimo<br />

giorno della sua pubblicazione), che ha modificato l’art. 26 del D.Lgs. 141/2010,<br />

relativo alla disciplina transitoria.<br />

Si prevede, in particolare:<br />

– che le Autorità competenti provvedono all’emanazione delle disposizioni attuative<br />

del Titolo VI-bis, nonché alla costituzione dell’Organismo competente per la gestione degli<br />

elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria al più tardi entro il 31<br />

dicembre 2011;<br />

– che i soggetti già iscritti in tali elenchi hanno sei mesi di tempo dalla costituzione<br />

dell’Organismo per chiedere l’iscrizione nei nuovi elenchi, previa presentazione della documentazione<br />

attestante il possesso dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività ai<br />

sensi degli articoli 128-quinquies, 128-septies e 128-quaterdecies (con esonero – per i<br />

soggetti che hanno effettivamente svolto l’attività, per uno o più periodi di tempo complessivamente<br />

pari a tre anni nel quinquennio precedente la data di istanza di iscrizione<br />

nell’elenco – dal superamento dell’esame di cui all’articolo 128-quinquies, comma 1, lettera<br />

c), e all’articolo 128-septies, comma 1, lettera e), a condizione che siano giudicati<br />

idonei sulla base di una valutazione, condotta con criteri uniformi e predeterminati, dell’adeguatezza<br />

dell’esperienza professionale maturata);<br />

– che fino al 30 giugno 2011 o, se precedente, fino alla data di costituzione dell’Organismo,<br />

gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi, ivi compresi quelli previsti dall’articolo<br />

17 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, possono continuare ad iscriversi nei rispettivi<br />

elenchi e albi, in base alle disposizioni vigenti alla data del 4 settembre 2010.<br />

Dal tenore del nuovo testo dell’art. 26, D.Lgs. 141/2010, risulta dunque nuovamente<br />

possibile (dal 18 dicembre 2010, e fino alla data del 30 giugno 2011 o, se precedente,<br />

fino alla data di costituzione del nuovo Organismo preposto alla tenuta degli elenchi)<br />

procedere all’iscrizione di mediatori creditizi e di agenti in attività finanziaria in<br />

base alle rispettive discipline previgenti.<br />

296<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Trasferimento di partecipazione di società<br />

consortile in dipendenza di cessione d’azienda<br />

Quesito n. 244-2010/I<br />

Ciro Caccavale – Antonio Ruotolo<br />

Si chiede se in caso di trasferimento di azienda trovi applicazione l’art. 2610 c.c. (con<br />

subentro dell’acquirente nella titolarità della quota di partecipazione a società consortile<br />

a responsabilità limitata) ancorchè nello statuto della s.c.a.r.l. sia prevista l’intrasferibilità<br />

delle partecipazioni.<br />

Il quesito involge tre questioni: l’applicabilità dell’art. 2610 c.c. anche alle società<br />

consortili, la riconducibilità della previsione di intrasferibilità delle partecipazioni al “patto<br />

contrario” di cui allo stesso art. 2610 c.c. e gli effetti della perdita della qualifica di imprenditore<br />

sulla partecipazione alla società consortile.<br />

Quanto al primo profilo [su cui, in particolare, v. MAZZOTTA, sub art. 2615-ter, in A-<br />

briani-Stella Richter Jr., Codice commentato delle società, Torino, 2010, 2843], il problema<br />

involge, in senso più ampio, la sovrapponibilità della forma societaria con lo scopo<br />

consortile o, nella prospettiva opposta, la possibilità di alterare le regole societarie in<br />

funzione degli scopi consortili.<br />

La via più diretta per affermare il subingresso nella società consortile passa, infatti,<br />

per l’applicazione dell’art. 2610, a tenore del quale, per l’appunto “Salvo patto contrario,<br />

in caso di trasferimento a qualunque titolo dell’azienda l’acquirente subentra nel contratto<br />

di consorzio.<br />

Tuttavia, se sussiste una giusta causa, in caso di trasferimento dell’azienda per atto<br />

fra vivi, gli altri consorziati possono deliberare, entro un mese dalla notizia dell’avvenuto<br />

trasferimento, l’esclusione dell’acquirente dal consorzio”.<br />

Conseguentemente, come si è poc’anzi asserito il problema coinvolge la più ampia<br />

questione, ancora a tutt’oggi non del tutto risolta, del rapporto, sul piano della disciplina,<br />

tra forma societaria e scopo consortile: è chiaro, infatti, che se le norme funzionali allo<br />

scopo consortile restino applicabili all’ente che lo persegue ancorché strutturato in forma<br />

societaria, il sub ingresso medesimo si rivela subito fuori discussione.<br />

Le diverse ricostruzioni che la dottrina e la giurisprudenza danno del rapporto fra regole<br />

consortili e regole societarie non impediscono, tuttavia, di affermare, in linea generale,<br />

che, almeno laddove non si tratti di società personali [per le quali l’applicazione sarebbe<br />

preclusa dal carattere personale del contratto e dal generale principio di intrasferibilità<br />

della partecipazione: VOLPE PUTZOLU, Società consortili, in Tratt. Colombo-Portale,<br />

8, Torino, 1992, 280; SARALE, Consorzi e società consortili, in COTTINO-WEIGMANN-<br />

SARALE, Società di persone e consorzi, Padova, 2004, 554], il contrasto fra la regola<br />

Studi e Materiali – 1/2011 297


Trasferimento di partecipazione di società consortile - Quesito n. 244-2010/I<br />

consortile e la regola societaria non sia insuperabile, poiché in tale contesto il subentro<br />

sarebbe una conseguenza dell’inerenza strumentale della partecipazione all’attività imprenditoriale<br />

del dante causa [SPOLIDORO, Le società consortili, Milano 1984, 190; SARA-<br />

LE, Consorzi e società consortili, cit., 554].<br />

In tale prospettiva va ricordato come anche la giurisprudenza di legittimità appaia favorevolmente<br />

orientata: secondo Cass., 4 gennaio 2001, n. 77, in Giur. it., 2001, 1182,<br />

alle società utilizzate in funzione consortile restano applicabili le disposizioni sui consorzi,<br />

in particolare le disposizioni degli artt. 2603, 2609 e 2610 c.c., con riguardo allo scioglimento<br />

del vincolo consortile [in precedenza, v. anche Cass. 4 novembre 1982, n.<br />

5787, in Giur. comm., 1984, II, 568].<br />

V’è, ulteriormente, da aggiungere come, in tempi recenti, si sia sottolineata<br />

l’importanza di un’espressa disciplina dell’esclusione nell’ambito delle S.r.l., che si adatta<br />

particolarmente a quelle con scopo consortile proprio “per i casi in cui il consorziato trasferisca<br />

l’azienda (cfr. art. 2610 c.c.), perda la qualità di imprenditore o cessi di essere<br />

un imprenditore appartenente ad una data categoria rilevante per la società (per oggetto,<br />

dimensioni, ubicazione o ambito territoriale di operatività dell’impresa), risolvendo finalmente<br />

il problema, dibattuto sotto il diritto societario previgente, dell’ammissibilità di<br />

clausole (di recesso e) di esclusione ulteriori rispetto a quelle legalmente tipiche nelle<br />

società consortili che adottano tipi capitalistici” [così CASALE, L’esclusione del socio nella<br />

società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2009, 816 ss.].<br />

A ben vedere, tuttavia, è possibile pervenire alla medesima conclusione, anche facendo<br />

a meno di risolvere la complessa questione, qui evocata, del rapporto dialettico<br />

che intercorre tra società e consorzio, quando l’una diviene strumento dei fini dell’altro.<br />

Soccorre, in tal senso, la previsione dell’art. 2558 c.c., secondo il quale “Se non è pattuito<br />

diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio<br />

dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”.<br />

D’altro canto, se è vero che l’art. 2610 esclude a monte che il consorzio possa considerarsi<br />

contratto di natura personale ai sensi dell’art. 2558, 1° c., ciò è fuori discussione<br />

per le S.p.A. e per le S.r.l., ove la personalizzazione delle partecipazioni (entro i limiti<br />

consentiti per l’uno o l’altro tipo) può dipendere semmai da apposita clausola statutaria,<br />

mentre non può reputarsi vero per le società di persone, nelle quali i mutamenti nella<br />

composizione della compagine costituiscono modifiche contrattuali, richiedenti normalmente<br />

il consenso di tutti i soci, in forza del rapporto fiduciario che intercorre normalmente<br />

fra i consociati e quindi dell’intuitu personae su cui si fonda il relativo contratto sociale<br />

(v. artt. 2252 e 2300 c.c.)<br />

Atteso, dunque, che la cessione d’azienda implica il trasferimento delle partecipazioni<br />

di S.p.A. o di S.r.l. consortile, occorre che tale conclusione venga armonizzata con le regole<br />

di principio che si occupano della opponibilità alle società delle vicende che abbiano ad<br />

oggetto sue azioni o sue quote e, quindi, rispettivamente degli artt. 2355 e 2470 c.c.<br />

In particolare, nella S.r.l., venuta meno la funzione legittimante dell’iscrizione nel libro<br />

soci, il trasferimento delle partecipazioni ha effetto di fronte alla società dal momento del<br />

deposito del relativo atto presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione<br />

è stabilita la sede sociale.<br />

298<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Ne deriva, quindi, riguardo a quest’ultima, che, fermo restando che la cessione di a-<br />

zienda comprende il trasferimento delle quote di S.r.l. consortile nei rapporti tra cedente<br />

e cessionario, il relativo subingresso necessita, per divenire rilevante nei confronti della<br />

società, di essere iscritto nel registro delle imprese.<br />

A tal unico fine, appare necessario allora, che il trasferimento, che pure si verifica ex<br />

lege, o venga nell’atto di cessione d’azienda espressamente menzionato o che in<br />

quest’ultimo vi venga almeno indicata, come facente parte del compendio aziendale, la<br />

quota di partecipazione in questione.<br />

Anche ove si ammetta l’applicabilità dell’art. 2610 c.c. all’ipotesi al vaglio, deve tuttavia<br />

verificarsi se l’intrasferibilità delle partecipazioni, espressamente prevista nell’atto costitutivo,<br />

possa tradursi, nel caso prospettato, in una fattispecie di “patto contrario”<br />

all’automatico trasferimento della partecipazione.<br />

Effettivamente, tale previsione vale ad escludere che la compagine sociale possa<br />

essere alterata nella sua composizione sia direttamente – attraverso un trasferimento diretto<br />

della partecipazione – sia indirettamente, laddove cioè la sostituzione nella titolarità<br />

della quota sia concepita quale effetto della cessione dell’azienda.<br />

Nei casi in cui il subentro automatico sia escluso, v’è da chiedersi, ancora, quali siano<br />

le conseguenze del trasferimento dell’azienda, con conseguente perdita della qualifica<br />

di imprenditore, sul mantenimento della partecipazione consortile.<br />

Va in proposito ricordato come le conseguenze di una previsione di intrasferibilità si<br />

atteggi diversamente per le azioni e per le partecipazioni di S.r.l.<br />

Mentre, infatti, per le S.p.A., lo statuto può vietare il trasferimento delle azioni per un<br />

periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui<br />

il divieto viene introdotto (art. 2355-bis, c.c., limite quinquennale la cui violazione implica,<br />

per la dottrina prevalente, la nullità ovvero la sostituzione automatica con il termine di<br />

cinque anni); nelle S.r.l. la clausola di intrasferibilità è ammessa, riconoscendosi in capo<br />

al socio che non possa cedere la sua partecipazione a causa di una clausola di intrasferibilità<br />

il diritto ad esercitare il recesso (art. 2469 c.c.).<br />

E, ad analoghe considerazioni si possono formulare con riguardo alla previsione di<br />

una clausola di mero gradimento, rispettivamente assoggettabile alle previsioni dell’art.<br />

2355-bis nella S.p.A. (e quindi inefficace se non prevede, a carico della società o degli<br />

altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell’alienante) e 2469 (che legittima<br />

il recesso del socio).<br />

Si consideri, peraltro, come la questione del gradimento abbia una specifica rilevanza<br />

nella materia consortile, dato che, come affermano gli Autori che propendono per<br />

l’applicabilità dell’art. 2610 c.c. alla società consortile, il subentro non è mai propriamente<br />

automatico, quand’anche previsto da apposita clausola dell’atto costitutivo, ma è sempre<br />

subordinato al gradimento da parte degli organi sociali [BORGIOLI, Consorzi e società<br />

consortili, in Tratt. Cicu-Messineo, 1985, 208].<br />

Quindi, tornando all’ipotesi in esame, da un lato, la clausola di intrasferibilità della<br />

partecipazione sembrerebbe impedire il subentro ex art. 2610 c.c. in caso di cessione<br />

dell’azienda, comportando altresì il diritto di recesso ex art. 2469, comma 2.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 299


Trasferimento di partecipazione di società consortile - Quesito n. 244-2010/I<br />

Dall’altro lato l’ipotizzata perdita della qualifica di imprenditore dovrebbe implicare,<br />

anche in assenza di un’apposita regolamentazione statutaria, il venir meno dei requisiti<br />

soggettivi per la partecipazione alla società consortile e l’inidoneità ad adempiere gli obblighi<br />

consortili, con conseguente integrazione di un’ipotesi d’esclusione per giusta causa<br />

del socio la quale, tuttavia, apre l’ulteriore profilo problematico legato alla applicazione<br />

della regola consortile (art. 2609 c.c.) o societaria (art. 2473-bis c.c.).<br />

Invero, sotto tale profilo, normalmente, lo statuto prevede il recesso del socio non più<br />

in grado di concorrere allo scopo societario (consortile), e per la S.r.l. si prevede anche<br />

l’esclusione a tutela società (laddove, nella S.p.A., in assenza di una previsione analoga<br />

a quella dell’art. 2473-bis c.c., l’autonomia statutaria è incline a ricorrere allo strumento<br />

delle azioni riscattabili, ex art. 2437-sexies c.c., introdotte proprio per surrogare alle esigenze<br />

tipiche dell’esclusione).<br />

Laddove ciò non si verifichi, il problema si risolve facendo applicazione del principio<br />

sotteso alla disciplina del recesso e dell’esclusione di consorzio, rispetto alla quale, fermo<br />

restando il dibattito in ordine alla necessità di una previsione espressa o meno di<br />

cause diverse da quella in discorso [la mancata indicazione delle cause di recesso ed<br />

esclusione non consentirebbe lo scioglimento particolare e troverebbe applicazione il rimedio<br />

della risoluzione per FERRI, Consorzio. Teoria generale e consorzi industriali, in<br />

Enc. Dir., IX, Milano, 1981, 377, ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali,<br />

Milano, 1960, 120; MARASÀ, Consorzi e società consortili, Torino, 1990, 120. Diversamente<br />

VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi,<br />

in Tratt. Galgano, IV, 1981, 383, che giustifica l’applicazione della disciplina della risoluzione<br />

solo ai consorzi interni], nessuno dubita sulla circostanza che la perdita della<br />

qualità di imprenditore o dei requisiti di ammissione determini l’uscita dal consorzio, operando<br />

ad un tempo sia come causa di recesso che come causa di esclusione [SARALE,<br />

Consorzi e società consortili, cit., 500 s.; MINERVINI, Concorrenza e consorzi, in Tratt.<br />

Grosso-Santoro Passarelli, VI, Milano, 1966, 89, che afferma trattarsi di cause di scioglimento<br />

ex se del vincolo; FRANCESCHELLI, Dei consorzi per il coordinamento della produzione<br />

e degli scambi, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992, 155; VOLPE<br />

PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, cit., 387. In<br />

giurisprudenza, Cass. 4 novembre 1982, n. 5787, in Foro it., 1983, I, 1657, che si esprime<br />

in termini di decadenza].<br />

Invero, quando il socio non abbia più i requisiti che obbiettivamente ne giustifichino la<br />

sua partecipazione, la permanenza nella società resterebbe priva di fondamento e, in<br />

definitiva, si rivelerebbe manchevole di causa.<br />

Altra questione è quella dell’entità della liquidazione delle quote.<br />

La problematicità attiene, qui, alla circostanza che, se si desse prevalenza assoluta<br />

alla regola consortile [che, come si è visto, è avallata da pronunce della Suprema Corte.<br />

Ma contra, VOLPE PUTZOLU, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli<br />

scambi, cit., 428, che ritiene che la norma riguardi i soli consorzi senza attività esterna]<br />

ne dovrebbe conseguire che l’effetto sia sì quello dell’accrescimento proporzionale della<br />

quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso a quelle degli altri, ma resterebbe<br />

aperta la questione del riconoscimento allo stesso di un diritto alla liquidazione<br />

300<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

della quota, nel senso di diritto al controvalore in denaro della propria partecipazione al<br />

patrimonio consortile o almeno alla ripetizione di quanto apportato al consorzio.<br />

Questione che larga parte della dottrina tende a risolvere in senso negativo, argomentando<br />

dal combinato disposto della previsione dell’accrescimento contenuta nell’art.<br />

2609 c.c. e quella dell’art. 2614 c.c., che sancisce la regola di indivisibilità del fondo comune,<br />

[MOSCO, I consorzi tra imprenditori, Milano 1988, 213; GUGLIELMETTI, La concorrenza<br />

e in consorzi, in Tratt. Vassalli, Torino, 1970, 370; FERRI, Consorzio. Teoria generale<br />

e consorzi industriali, in Enc. Dir., Milano 1961, IX; SARALE, Consorzi e società consortili,<br />

cit., 519]; mentre altri autori limitano siffatta conseguenza ai soli consorzi di contingentamento<br />

e non anche a quelli di coordinamento [ASCARELLI, Teoria della concorrenza<br />

e dei beni immateriali, cit., 125; FRANCESCHELLI, Dei consorzi per il coordinamento<br />

della produzione e degli scambi, cit., 150; BORGIOLI, Consorzi e società consortili, cit.,<br />

462; MARASÀ, Consorzi e società consortili, cit., 70].<br />

Invero, la questione viene risolta dalla dottrina più recente, con un contemperamento<br />

fra regola consortile e regola societaria, riconoscendosi al socio escluso o receduto il diritto<br />

alla liquidazione della propria quota al valore nominale [sul punto, si rinvia a C. CAC-<br />

CAVALE, La liquidazione della partecipazione del socio receduto nelle società consortili, in<br />

corso di pubblicazione].<br />

Studi e Materiali – 1/2011 301


S.r.l. farmacia comunale e trasferimento di quote<br />

Quesito n. 250-2010/I<br />

Antonio Ruotolo<br />

Si chiede un parere sulla legittimità della donazione di quota di S.r.l. farmacia comunale<br />

da parte di uno dei soci farmacisti ad altro farmacista (avente tutti i requisiti di legge per<br />

gestire una farmacia) alla luce delle peculiari clausole statutarie che prevedono il diritto<br />

di prelazione in favore degli altri soci e della normativa sulle società a partecipazione<br />

pubblica.<br />

Se sul piano della clausola di prelazione non sembrano sussistere particolari problemi<br />

(l’operatività della prelazione è esclusa dalla gratuità del trasferimento), tuttavia l’atto<br />

non appare in alcun modo ricevibile stante l’attività svolta dalla società.<br />

Trattandosi, infatti, di farmacia comunale [sul tema, GUIDA, L’oggetto sociale della<br />

società di gestione di farmacia e riflessi notarili, in Studi e Materiali, 2009, 1084 ss.] che<br />

opera sul modello misto pubblico/privato, trovano applicazione le stringenti regole che<br />

disciplinano l’ingresso del socio privato nella società.<br />

Viene in questione l’art. 9 della legge 2 aprile 1968, n. 475, come modificato dall’art.<br />

10 della legge 8 novembre 1991, n. 362, il quale, a proposito delle farmacie comunali,<br />

dispone che: “La titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione<br />

a seguito della revisione della pianta organica può essere assunta per la metà<br />

dal comune. Le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite, ai sensi<br />

della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle seguenti forme:<br />

a) in economia;<br />

b) a mezzo di azienda speciale;<br />

c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;<br />

d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento<br />

della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia<br />

la titolarità. All’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente<br />

tra il comune e gli anzidetti farmacisti.<br />

Nel caso che la sede della farmacia resasi vacante o di nuova istituzione accolga<br />

uno o più ospedali civili, il diritto alla prelazione per l’assunzione della gestione spetta rispettivamente<br />

all’amministrazione dell’unico ospedale o di quello avente il maggior numero<br />

di posti-letto.<br />

Quando la farmacia vacante o di nuova istituzione sia unica, la prelazione prevista ai<br />

commi precedenti si esercita alternativamente al concorso previsto al precedente articolo<br />

3, tenendo presenti le prelazioni previste nei due commi precedenti per determinare l’inizio<br />

dell’alternanza.<br />

302<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Quando il numero delle farmacie vacanti e di nuova istituzione risulti dispari la preferenza<br />

spetta, per l’unità eccedente, al comune.<br />

Sono escluse dalla prelazione e sono messe a concorso le farmacie il cui precedente<br />

titolare abbia il figlio o, in difetto di figli, il coniuge farmacista purché iscritti all’albo.<br />

Nei casi di prelazione previsti dal presente articolo restano salvi gli obblighi contemplati<br />

dall’art. 110 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n.<br />

1265”.<br />

Nella disciplina delle farmacie comunali, è quindi prevista, fra le forma di gestione (oltre<br />

a quelle in economia, a mezzo di azienda speciale e a mezzo di consorzi tra comuni<br />

per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari), anche quella “a mezzo di società<br />

di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della<br />

società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità”. Con la precisazione<br />

che “all’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro<br />

dipendente tra il comune e gli anzidetti farmacisti” (art. 9, lett. d) della legge 2 aprile<br />

1968, n. 475).<br />

Importante rilevare come tale disposizione richiami espressamente la disciplina dei<br />

servizi pubblici locali (si precisa, infatti, che “le farmacie di cui sono titolari i comuni possono<br />

essere gestite, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142”).<br />

Quest’ultima, oggi contenuta essenzialmente nell’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008,<br />

n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 esclude dalla propria disciplina alcuni<br />

settori: la distribuzione del gas naturale; la distribuzione dell’energia elettrica; il trasporto<br />

ferroviario regionale; la gestione delle farmacie comunali, quest’ultima proprio in ragione<br />

del fatto che ha poco in comune con le caratteristiche dei servizi pubblici locali.<br />

È vero che l’opinione prevalente, al di là del richiamo alla legge 142 contenuto<br />

nell’originaria normativa di settore, è per l’inquadramento delle farmacie comunali<br />

nell’ambito dei servizi pubblici locali. Vari sono, infatti, gli elementi formali e sostanziali<br />

che depongono nel senso della “qualificabilità in termini di servizio pubblico locale di<br />

quella parte del più generale servizio di assistenza farmaceutica che viene gestito direttamente<br />

e in concreto dai comuni mediante farmacie ad essi assegnate in titolarità e la<br />

cui gestione è rimessa per intero alle loro scelte, a partire da quelle attinenti alla formula<br />

organizzativa da assumere. Si ricordi innanzitutto che da sempre, e in particolare fin dal<br />

T.U. sulla municipalizzazione del 1925, a funzioni di livello sovracomunale in materia di<br />

programmazione e controllo, si contrappone l’attribuzione al comune come suo servizio<br />

dei compiti di gestione di farmacie nell’ambito del suo territorio, attribuzione in seguito<br />

mai espressamente superata. Inoltre il riconoscimento di poteri speciali di prelazione con<br />

riferimento alle sedi previste sul suo territorio e la stessa programmazione su scala comunale<br />

(ancorché operata in sede sovracomunale) della distribuzione territoriale, sono<br />

ulteriori indizi che confortano l’impressione che, per quanto riguarda la sua erogazione a<br />

mezzo di strutture di diretta pertinenza comunale, possa essere considerato un servizio<br />

di livello comunale e comunque che nella scelta dei modelli organizzativi per la sua gestione<br />

il comune possa fare riferimento al sistema operante per la gestione dei servizi locali”<br />

[così, DE PETRIS, La gestione delle farmacie comunali in forma societaria. Modelli<br />

generali e modelli di settore, in AA.VV., La gestione delle farmacie comunali: modelli e<br />

Studi e Materiali – 1/2011 303


S.r.l. farmacia comunale e trasferimento di quote – Quesito n. 250-2010/I<br />

problemi giuridici, Trento, 2006, 61 ss.]. Non manca, tuttavia, chi diversamente ritiene<br />

che il servizio farmaceutico sia un servizio pubblico in titolarità regionale anche quando<br />

venga effettuato tramite le farmacie comunali, pur pervenendo alla conclusione per cui<br />

trovano applicazione, quanto alle forme di gestione, le disposizioni sui servizi pubblici locali,<br />

[COLOMBARI, La nuova disciplina dei servizi pubblici locali e farmaci comunali: inderogabilità,<br />

integrazione o specialità, ibidem, 25 ss.].<br />

Occorre, peraltro, considerare come la disciplina dei modelli gestionali sia stata, per<br />

lungo tempo, rinvenuta dalla giurisprudenza amministrativa [Cons. Stato, sez. V, n.<br />

2110/2007] proprio nell’art. 113 del D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.) oggi abrogato nelle parti<br />

incompatibili dal citato art. 23-bis, – piuttosto che nella legge 2 aprile 1968, n. 475.<br />

Tanto che oggi, a causa dell’esclusione, ci si chiede se le farmacie comunali possano<br />

essere gestite nelle forme previste dalla precedente disciplina contenuta nell’art. 113<br />

del testo unico, e quindi si applichino le modalità di gestione ivi previste (affidamento a<br />

terzi, società mista, gestione in house), oppure quelle anteriori (legge del 475 del 1968:<br />

a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra comuni per le<br />

gestione delle farmacie di cui sono gli unici titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite<br />

tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino<br />

servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità).<br />

Invero, in dottrina, c’è chi rileva come «lo scopo dell’esclusione è di sottrarre il settore<br />

all’applicazione delle novità apportate dalla revisione delle modalità di affidamento,<br />

che consiste essenzialmente nel considerare l’in house modalità eccezionale e non più<br />

normale di gestione; e non di sovvertire la situazione precedente (introducendo, in questo<br />

caso, una controriforma). È ragionevole ritenere che il legislatore, inserendo l’esclusione<br />

anche delle farmacie, intendesse conservare per esse l’in house providing. Decisivo<br />

è poi il rilievo che la normativa della legge del 1968, la quale consente soltanto la<br />

scelta tra autoproduzione del servizio e società di capitali con i farmacisti dipendenti di<br />

quelle stesse farmacie, esclude l’affidamento a terzi con gara e non conosce le cautele<br />

con cui la giurisprudenza comunitaria ha circondato la gestione diretta, è nettamente<br />

contraria ai principi del Trattato già CE, ora TFUE, e a quelli che in via interpretativa ne<br />

sono stati desunti. Si tratta dunque di una normativa che dovrebbe essere disapplicata<br />

dai giudici italiani. Per essere sostituita con l’unica disciplina individuabile, quella vigente<br />

prima dell’intervento legislativo del 2009» [così VIGNERI, La riforma dei servizi pubblici locali.<br />

Valutazioni e prospettive, in www.astrid-online.it].<br />

Resta il fatto che, a meno di voler ipotizzare l’implicita abrogazione del riferimento alla<br />

legge 8 giugno 1990, n. 142, ovvero di considerare tale riferimento come un rinvio “fisso”<br />

alla normativa del 1990, la disciplina dell’art. 9 va riletta alla luce della normativa sui<br />

servizi pubblici e, soprattutto, dei principi che regolano il partnernariato pubblico/privato,<br />

per i quali l’ingresso di un socio in una società mista presuppone l’espletamento di una<br />

procedura di evidenza pubblica e da questa non può prescindere [sul punto, GUIDA, A-<br />

spetti e problemi della circolazione delle partecipazioni, in GUERRERA (cur.), Le società a<br />

partecipazione pubblica, Torino, 2010, 167 ss.; ID., La circolazione delle partecipazioni,<br />

Relazione al Convegno Le società a partecipazione pubblica, Siracusa, 16 ottobre 2010,<br />

in corso di pubblicazione, e consultato grazie alla consueta cortesia dell’A.].<br />

304<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti d’Impresa<br />

Principio, quest’ultimo, affermato dalla consolidata giurisprudenza [ex multis, Cons.<br />

Stato, sez. V, 12 febbraio 1998, n. 192, in Foro Amm.: Cons. Stato 1998, 432; Cons.<br />

Stato, sez V., 19 settembre 2000, sent. n. 4850, in www.diritto2000.it; Cons. Stato, sez.<br />

V, 22 maggio 2001, sent. n. 2835, in www.diritto2000.it.], ed ormai recepito anche a livello<br />

normativo con l’art. 23-bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito in legge<br />

6 agosto 2008, n. 133.<br />

L’inderogabilità delle procedure di evidenza pubblica (richiesta sia per l’affidamento<br />

del servizio ad un soggetto a partecipazione totalmente privata che per la scelta del partner<br />

privato, con il sistema della gara c.d. a doppio oggetto, per il caso in cui il servizio<br />

sia affidato ad una società mista, che della prima modalità costituisce un’alternativa) trova,<br />

infatti, un’eccezione solo nell’ipotesi delle società in house, che si connotano, peraltro,<br />

per la partecipazione pubblica totalitaria e per la intrasferibilità delle azioni o delle<br />

quote.<br />

E qui si pongono, in definitiva, due alternative:<br />

– si ritiene che la forma mista presupponga e non possa prescindere dalla presenza<br />

di soci farmacisti ex dipendenti (come previsto dall’art. 9). Ma in tal caso non sembrerebbe<br />

ipotizzabile nessun trasferimento (oneroso o gratuito) della partecipazione, ma solo<br />

la via del recesso quale strumento per il disimpegno del socio;<br />

– o, se si ammette la possibilità di una partecipazione di soggetti diversi, sarà allora<br />

invece ipotizzabile anche una compartecipazione con soggetti che non siano ex dipendenti,<br />

ma scelti, in tal caso, con procedure di evidenza pubblica.<br />

A conferma di quanto sopra evidenziato, occorre ricordare come, recentemente il<br />

Consiglio di Stato [Cons. Stato, sez. V, 18 dicembre 2009, n. 8376, in<br />

www.dirittodeiservizipubblici.it) assumendo quale punto di partenza il principio generale<br />

sancito dall’art. 1 comma 2 del D.Lgs. n. 163/2006 – secondo il quale casi in cui le norme<br />

vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione<br />

di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di<br />

evidenza pubblica – ha ritenuto che – “ogniqualvolta – attraverso il ricorso ad operazioni<br />

di carattere straordinario destinate a mutare la compagine di una società che abbia ottenuto<br />

l’affidamento diretto o tramite gara di un servizio pubblico – si pervenga al risultato<br />

di dar vita a una società mista oppure, alternativamente, al risultato di modificare il profilo<br />

soggettivo del gestore del servizio pubblico già affidato (mediante l’associazione al capitale<br />

e alla gestione di nuove figure imprenditoriali o la sostanziale sostituzione delle imprese<br />

originariamente affidatarie), allora si realizza in via derivata anche un diverso affidamento<br />

del servizio pubblico”.<br />

In definitiva, la prospettata donazione si porrebbe in contrasto con tali principi e costituirebbe<br />

uno strumento per eludere le norme dettate con finalità di tutela della trasparenza<br />

e della concorrenza, in ossequio ad istanze recepite dal legislatore e dalla giurisprudenza<br />

nazionale e che provengono dalla giurisprudenza comunitaria.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 305


Consorzio tra comuni con attività esterna<br />

Quesito n. 251-2010/I<br />

Daniela Boggiali – Antonio Ruotolo<br />

Si chiede se un consorzio tra comuni con attività esterna iscritto al Registro delle Imprese<br />

con la forma giuridica “Consorzio di cui al d.lgs. 267/2000”, possa, in virtù dell’ingresso<br />

nel consorzio anche un soggetto avente la natura giuridica di imprenditore (trattasi di<br />

una società a responsabilità limitata avente come oggetto sociale l’attività immobiliare) e<br />

con una modifica statutaria, eliminare il riferimento al t.u. enti locali, regolamentando così<br />

lo stesso solo ai sensi della disciplina del Codice Civile.<br />

Alla questione è stata già data risposta con il parere n. 50-2010/I, in CNN Notizie del<br />

24 marzo 2010, che concludeva in senso sostanzialmente negativo.<br />

Rispetto alla fattispecie prospettata nel precedente, qui la variante è rappresentata<br />

dall’ingresso di un soggetto imprenditore.<br />

Tuttavia l’ingresso nel consorzio di un solo soggetto imprenditore non sembra modificare<br />

le conclusioni.<br />

Anche volendo dare risposta positiva alla questione relativa alla partecipazione al<br />

consorzio di soggetti non imprenditori (e qualificando, comunque, il rapporto che, nell’istituto<br />

disciplinato dagli art. 2602 ss. in termini di rapporto collaborativo atipico, nel senso<br />

precisato nel precedente parere), resta il fatto che la struttura consortile vedrebbe la partecipazione<br />

di un solo soggetto imprenditore.<br />

L’art. 2602 c.c., definisce infatti, il consorzio come il contratto con cui “più imprenditori<br />

costituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate<br />

fasi delle rispettive imprese”, da che se ne desume che, anche ammettendo<br />

che al consorzio possano aderire soggetti diversi, a condizione che tale adesione sia<br />

funzionale all’attuazione dello scopo consortile, elemento necessario è che vi sia la presenza<br />

di «più imprenditori».<br />

Conclusione, questa, che trova conferma anche laddove lo scopo consortile venga<br />

perseguito in forma societaria, escludendosi lo struttura unipersonale: il richiamo a tutte<br />

le forme organizzative societarie, fatto dall’art. 2615-ter, opera infatti solo nei limiti della<br />

compatibilità e della idoneità delle stesse al perseguimento degli scopi consortili individuati<br />

dall’art. 2602 c.c. La disciplina della «causa» consortile, in definitiva, prevale su<br />

quella propria della «forma» organizzativa societaria adottata [DI RIENZO, Gli effetti della<br />

riforma sulla disciplina delle società consortili, in Riv. soc., 2006, 209].<br />

In ogni caso, laddove si abbia l’intervento di più soggetti imprenditori, deve comunque<br />

ricordarsi come l’approdo alla struttura consortile ex art. 2602 c.c. non possa essere<br />

l’esito di una semplice modificazione statutaria, ma questo può solo conseguire ad una<br />

trasformazione ai sensi dell’art. 115 T.U.E.L. (da consorzio misto a società) e dell’art.<br />

2500-septies c.c. (da società a consorzio), che può essere realizzata anche in un unico<br />

contesto (analogamente a quanto più volte sostenuto con riferimento ad altre trasformazioni<br />

eterogenee atipiche).<br />

306<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Imposta di bollo applicabile a planimetrie<br />

e certificati energetici allegati ad atti notarili<br />

Quesito n. 135-2010/T<br />

Annarita Lomonaco<br />

Si chiede di conoscere se le planimetrie catastali e i certificati energetici, o le copie conformi<br />

degli stessi, allegati ad atti notarili siano soggetti all’imposta di bollo autonomamente<br />

rispetto a questi ultimi.<br />

Nel “Prontuario per l’applicazione dell’imposta di bollo dovuta per adempimenti mediante<br />

modello unico informatico” [Studio n. 153-2008/T, est. G. Petteruti, in CNN Notizie<br />

del 20 giugno 2008] si afferma che il bollo forfetario comprende, tra gli altri, «gli allegati<br />

non soggetti al bollo fin dall’origine». In particolare si precisa (cfr. nt. 3) che «riguardo a-<br />

gli allegati soggetti a bollo in caso d’uso, a seguito della ris. Agenzia delle Entrate n.<br />

194/E del 16 maggio 2008, può ritenersi che il bollo forfetario comprenda anche il bollo<br />

in parola, che sarebbe dovuto su detti allegati e che dovrebbe corrispondersi al momento<br />

della registrazione».<br />

Devono scontare, invece, autonomamente l’imposta di bollo (in quanto non compresa<br />

nel bollo forfetario) gli allegati soggetti a bollo fin dall’origine.<br />

La citata ris. n. 194 afferma, infatti, che «gli importi forfettari indicati nell'art. 1, comma<br />

1-bis, della tariffa dell'imposta di bollo devono intendersi riferiti all'atto principale e a<br />

quelli, da esso dipendenti, finalizzati all'espletamento dei necessari adempimenti nei rispettivi<br />

pubblici registri (ad esempio, copia per la trascrizione e la registrazione, nota di<br />

trascrizione e iscrizione). Resta inteso che gli atti o documenti esterni all'atto principale<br />

che, per tecnica redazionale, siano dal medesimo richiamati come allegati non vanno<br />

assoggettati autonomamente all'imposta di bollo qualora per gli stessi l'assolvimento del<br />

tributo non sia dovuto sin dall'origine, ossia, dal momento della loro formazione (ad e-<br />

sempio, fotografie). Al contrario, altri atti o documenti rilasciati o ricevuti da pubblici ufficiali<br />

o pubbliche autorità che per loro natura siano soggetti all'imposta fin dall'origine (ad<br />

esempio le procure, autorizzazioni, certificati di destinazione urbanistica,ecc), ancorché<br />

allegati all'atto principale, devono assolvere l'imposta di bollo autonomamente secondo<br />

le indicazioni della tariffa».<br />

Ne consegue che, nelle fattispecie oggetto del quesito, il bollo forfetario comprende<br />

anche le planimetrie rilasciate dal catasto in copia non autentica ed i certificati energetici<br />

allegati all’atto notarile in originale cartaceo, in quanto documenti non soggetti<br />

all’imposta di bollo fin dall’origine.<br />

Nel caso in cui, invece, siano allegate all’atto notarile le copie autentiche di detti documenti,<br />

si ritiene che l’imposta di bollo sia dovuta per questi atti autonomamente, in<br />

Studi e Materiali – 1/2011 307


Planimetrie e certificati energetici allegati (Imposta di bollo) - Quesito n. 135-2010/T<br />

quanto non compresa nel bollo forfetario, poiché per le copie dichiarate conformi<br />

l’imposta, salva specifica disposizione, è dovuta fin dall’origine, indipendentemente dal<br />

trattamento stabilito per l’originale [cfr. art. 1, nota 1, e art. 4 della tariffa parte prima<br />

d.P.R. n. 642/1972. Cfr. altresì PETRELLI, Imposta di bollo da applicarsi sulle planimetrie<br />

allegate alle copie degli atti notarili, Studio n. 505-bis approvato dalla Commissione Studi<br />

Tributari il 13 settembre 1996].<br />

308<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Trasferimento per causa di morte di azienda<br />

in affitto e regolarizzazione società di fatto<br />

Quesito n. 172-2010/T<br />

Annarita Lomonaco<br />

Si chiede di conoscere, nell’ipotesi in cui una comunione ereditaria fra i figli del de cuius<br />

abbia ad oggetto, fra i vari beni, un’azienda (di cui fa parte anche un bene immobile) affittata<br />

da tempo dal de cuius medesimo ad una s.r.l. (di cui sono soci solo alcuni figli) e<br />

volendo gli eredi procedere alla “regolarizzazione della comunione ereditaria in una<br />

s.n.c. di cui sono soci tutti i figli”, proseguendo (e rinnovando alla scadenza) il contratto<br />

di affitto con la s.r.l., quale sia la tassazione in relazione alla successione mortis causa<br />

ed in relazione alla suddetta regolarizzazione.<br />

La normativa di riferimento, la cui applicabilità va valutata con riguardo alla fattispecie<br />

prospettata, è rappresentata per quanto concerne la successione mortis causa dall’art.<br />

3 comma 4-ter D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, ai sensi del quale «i trasferimenti, effettuati<br />

anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile<br />

a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di<br />

azioni non sono soggetti all’imposta. [...] Il beneficio si applica a condizione che gli aventi<br />

causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo<br />

non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente<br />

alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione<br />

in tal senso. Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente<br />

comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della<br />

sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre<br />

1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima<br />

avrebbe dovuto essere pagata» (inoltre, i suddetti trasferimenti non sono soggetti alle imposte<br />

ipotecaria e catastale, per effetto del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, ed all’art. 10<br />

del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347).<br />

Per quanto riguarda la “regolarizzazione della comunione ereditaria in una s.n.c.”, se<br />

per essa si intende la regolarizzazione della società di fatto derivante dalla comunione<br />

ereditaria, le norme di riferimento sono rappresentate, per l’imposta di registro, dall’art. 4<br />

comma 1 lett. e) della tariffa, parte prima, d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ai sensi del quale<br />

l’imposta è dovuta in misura fissa per la «e) regolarizzazione di società di fatto, derivanti<br />

da comunione ereditaria di azienda, tra eredi che continuano in forma societaria l’esercizio<br />

dell’impresa» e dalla nota II al medesimo art., secondo la quale «l’imposta di cui alla<br />

lettera e) si applica se l’atto di regolarizzazione è registrato entro un anno dall’apertura<br />

della successione. In ogni altro caso di regolarizzazione di società di fatto, ancorché de-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 309


Trasferimento per causa di morte di azienda in affitto – Quesito n. 172-2010/T<br />

rivanti da comunioni ereditarie, l’imposta si applica a norma dell’articolo 22 del testo unico»;<br />

per l’imposta ipotecaria dall’art. 4 della tariffa, D.Lgs. n. 347/1990, secondo il quale<br />

l’imposta è dovuta in misura fissa per le trascrizioni di «atti di regolarizzazione di società<br />

di fatto derivanti da comunione ereditaria di azienda registrati entro un anno dall’apertura<br />

della successione» e dalla relativa nota, secondo la quale «se gli atti di regolarizzazione<br />

di cui contro sono registrati dopo un anno dall’apertura della successione si applica l’imposta<br />

proporzionale indicata dall’articolo 1»; per quella catastale dall’art. 10, comma 2,<br />

D.Lgs. 347/1990, secondo cui l’imposta è dovuta in misura fissa per le volture «eseguite<br />

in dipendenza di atti di regolarizzazione di società di fatto, derivanti da comunione ereditaria<br />

di azienda registrati entro un anno dall’apertura della successione» [su tale disciplina<br />

cfr. le osservazioni di PETRELLI, Regime fiscale dei conferimenti in società ed enti, in<br />

Studi e Materiali, 2003, 630].<br />

Elemento comune alle disposizioni indicate appare essere “la continuità dell’esercizio<br />

dell’impresa” da parte degli eredi, continuità che nel caso concreto oggetto del quesito<br />

non può essere assicurata stante l’esistenza ed il proseguimento del contratto di affitto<br />

dell’azienda ereditata con la s.r.l.<br />

Con riferimento specifico all’art. 3, comma 4-ter, cit., nello studio n. 43-2007/T, (BASI-<br />

LAVECCHIA-PISCHETOLA, Tassazione dei patti di famiglia e dei trasferimenti di cui all’art. 1<br />

comma 78 legge 27.12.2006 n. 296, in Studi e Materiali, 2008, 604 s.] si osserva come<br />

«il trasferimento non soggetto ad imposta secondo quanto disposto dal cit. comma 78, in<br />

riferimento all’azienda o ad un suo ramo, deve riguardare un “complesso di beni organizzati<br />

dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (art. 2555 c.c.), ove pertanto l’organizzazione<br />

viene a configurarsi quale elemento coagulante del compendio trasferito; ma<br />

è evidente che la produttività potrebbe essere solo potenziale (e non già attuale). In senso<br />

più restrittivo invece si potrebbe ipotizzare che l’attività sia almeno iniziata, pur non<br />

essendosi formato un vero e proprio valore di avviamento. In ogni caso il dettato normativo<br />

non richiede nel disponente e nell’attualità del trasferimento la “qualitas” di imprenditore<br />

in senso tecnico, pur dovendosi ragionevolmente ritenere che il trattamento fiscale<br />

agevolato sia finalizzato proprio alla conservazione dell’integrità funzionale dell’impresa<br />

esercitata (o da esercitare) tramite il compendio trasferito (o un suo ramo). Sicché laddove<br />

questo collegamento funzionale tra i beni strumentali si affievolisse o comunque risultasse<br />

non qualificativo dell’oggetto del trasferimento, si dovrebbe coerentemente negare<br />

l’applicazione di quel trattamento. [...] basti pensare all’ipotesi del proprietario dell’azienda<br />

concessa in affitto, che si preoccupi di garantire, alla scadenza dell’affitto, la<br />

continuità di gestione dell’impresa o all’azienda affittata (o concessa in comodato) al<br />

medesimo discendente destinatario del trasferimento. In tali fattispecie, sembrerebbe<br />

almeno incongruo – rispetto alle finalità conservative [rectius: non dispersive] perseguite<br />

dal legislatore – pretendere nel disponente la titolarità attuale di quella qualifica ai fini<br />

dell’applicazione del trattamento agevolato».<br />

Tuttavia, anche volendo ritenere irrilevante, ai fini dell’applicazione del comma 4-ter,<br />

cit., la mancanza “attuale” della qualifica imprenditoriale del de cuius (che ha affittato la<br />

sua unica azienda), la prosecuzione ed il rinnovo alla scadenza del contratto di affitto<br />

dell’azienda da parte degli eredi ostano alla soddisfazione della condizione prevista dal<br />

310<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Tributari<br />

citato comma 4-ter, relativa al proseguimento dell’esercizio dell’attività di impresa (il<br />

quale potrebbe, peraltro, essere realizzato – a determinate condizioni – anche mediante<br />

il conferimento dell’azienda in una società. Sul punto cfr. Agenzia delle entrate, circ. n.<br />

3/E del 22 gennaio 2008 e ris. n. 341/E del 23 novembre 2007) per un periodo di cinque<br />

anni dalla data del trasferimento (proseguimento in relazione al quale gli eredi devono<br />

anche espressamente rendere una dichiarazione, contestualmente alla presentazione<br />

della dichiarazione di successione).<br />

In presenza di un contratto di affitto di (unica) azienda, infatti, l’attività di impresa che<br />

viene svolta mediante quel complesso organizzato dei beni (cfr. art. 2555 c.c.) non è più<br />

esercitata dal concedente/proprietario ma dall’affittuario.<br />

Pertanto, nel caso di specie, gli eredi dell’azienda – che continui ad essere affittata<br />

ad un soggetto terzo (quale deve essere considerata la s.r.l. affittuaria, essendo irrilevante<br />

che soci della stessa siano alcuni degli eredi) – non potrebbero proseguire l’esercizio<br />

dell’attività di impresa, rendendo la dichiarazione prevista dal citato comma 4-ter.<br />

Ne consegue che il trasferimento mortis causa dell’azienda, comprensiva di un bene<br />

immobile, deve essere assoggettato all’imposta di successione (salva l’applicazione delle<br />

franchigie) ed alle imposte ipotecaria e catastale.<br />

La medesima ragione (ossia l’impossibilità per gli eredi di esercitare l’attività di impresa<br />

mediante l’azienda affittata a terzi) induce a dubitare della possibilità di configurare una società<br />

(di fatto) tra gli eredi, trattandosi di una società che non avrebbe la materiale disponibilità<br />

dell’azienda necessaria per l’effettivo esercizio dell’attività economica (e ciò nel presupposto<br />

che la consistenza dell’azienda affittata coincida con quella dell’azienda conferita),<br />

rinvenendosi in tal caso una fattispecie inquadrabile nell’ambito della previsione dell’art.<br />

2248 c.c. [cfr. GALGANO, Comunione di impresa, società di fatto e conferimento immobiliare,<br />

in Contratto e impresa, 1988, 689 s., secondo il quale, nel caso in cui un imprenditore<br />

commerciale muoia ed i suoi figli ne ereditino l’azienda, «se l’azienda venisse data in affitto<br />

ad un terzo, e gli eredi si dividessero il corrispettivo dell’affitto, non ci sarebbe alcun dubbio:<br />

gli eredi si limiterebbero al solo godimento dei beni comuni, ed il loro interno rapporto resterebbe<br />

un semplice rapporto di comunione, regolato dal terzo libro del codice civile»;<br />

CARRATO, Comunione incidentale ereditaria e società di fatto, nota a Trib. Nocera inferiore<br />

ord. 26 marzo 1999, in Vita notar., 1999, 635; Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto<br />

delle società, Milano, 2006, 37. V. altresì Ris. n. 310881 del 30 ottobre 1989; MALTONI-<br />

TASSINARI, La trasformazione delle società, Milano, 2005, 301].<br />

In conclusione, nella fattispecie oggetto del quesito, la circostanza che l’azienda in<br />

comunione ereditaria sia concessa in affitto ad altro soggetto appare precludere la configurabilità,<br />

in relazione alla medesima azienda, di una società di fatto, da regolarizzare<br />

(e, parimenti, appare precludere la possibilità di trasformare la comunione di azienda in<br />

società).<br />

Studi e Materiali – 1/2011 311


In tema di “plusvalenze immobiliari<br />

– cessione di parcheggi a raso”<br />

Quesito n. 183-2010/T<br />

Maria Concetta Cignarella<br />

Si prospetta la seguente fattispecie.<br />

Tizio è proprietario di un’area edificabile destinata alla realizzazione di parcheggi a raso<br />

o interrati (zona F9 – parcheggi privati di uso pubblico). Tizio deve decidere se vendere<br />

in blocco l’area ad una società che realizzerà parcheggi, previa rivalutazione dell’area,<br />

oppure se realizzare lui, direttamente, i parcheggi e venderli a terzi fruitori, il tutto previa<br />

rivalutazione.<br />

Si chiede, pertanto, come devono considerarsi gli eventuali parcheggi a raso accatastati<br />

come C6 (aree edificabili, immobili “costruiti” o tertium genus) e con quali conseguenze.<br />

In altre parole, Lei intende sapere se l’eventuale rivalutazione dell’area edificabile viene<br />

persa nel caso in cui siano venduti i parcheggi accatastati al catasto fabbricati come C6.<br />

Si chiede, inoltre, se nel caso in cui i parcheggi a raso, accatastati in C/6, siano venduti<br />

entro 5 anni dall’accatastamento si determini plusvalenza ex art. 67, lett. b), prima parte,<br />

del Tuir.<br />

Occorre preliminarmente ricordare che, in base all’attuale formulazione, il citato art. 67,<br />

comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 917/1986 contempla l’imponibilità delle “plusvalenze realizzate<br />

mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più<br />

di cinque anni, esclusi quelli acquistati per successione e le unità urbane che per la maggior<br />

parte del tempo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite<br />

ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze<br />

realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione<br />

edificatoria secondo strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.<br />

Al fine di appurare se la cessione di parcheggi a raso di cui trattasi sia suscettibile di<br />

determinare plusvalenza immobiliare ai sensi della seconda parte dell’art. 67, comma 1,<br />

lettera b) menzionato, appare indispensabile stabilire se gli immobili di cui si discute sono<br />

riconducibili ai “beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni” oppure ai<br />

“terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria”; si ricorda, in proposito, che con la locuzione<br />

“beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni” è pacifico che il legislatore<br />

abbia voluto riferirsi a tutti gli immobili diversi dai terreni edificabili e, quindi, in<br />

generale ai fabbricati ed ai terreni agricoli [cfr. Studio CNN n. 60-2006/T, Finanziaria<br />

2006 – Imposta sostitutiva sulle plusvalenze da cessioni immobiliari, est. BELLINI, in CNN<br />

Notizie del 25 maggio 2006, e Studio CNN n. 34-2006/T, Legge finanziaria 2006 – Individuazione<br />

e calcolo delle plusvalenze immobiliari, est. CIGNARELLA].<br />

312<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Tributari<br />

A tal riguardo, considerato che nel Codice civile non è dato rivenire una distinzione<br />

tra “fabbricati” e “terreni” e che la molteplicità di tipologie di beni immobili è in contrasto<br />

con la rigidità delle due categorie di riferimento, la dottrina si è di conseguenza a lungo<br />

interrogata sulla delimitazione di tali concetti.<br />

Nonostante in proposito siano stati diversi i criteri individuati dagli autori, appare preferibile<br />

l’orientamento secondo cui si deve ricorrere ad una nozione di “terreno” per così<br />

dire residuale, nel senso di ritenere tale ogni immobile diverso da un edificio inteso come<br />

“manufatto rilevante a fini urbanistici” [per un’attenta disamina dei diversi criteri indicati in<br />

dottrina per distinguere la fattispecie di “terreno” da quella di “edificio”, si rinvia a TRAPA-<br />

NI, La circolazione giuridica dei terreni, Milano, 2007, 8 ss.].<br />

Sono dunque da considerarsi “terreni” tutti gli immobili privi di tale qualità, indipendentemente<br />

dalla capacità edificatoria dei medesimi e dall’incorporazione di opere di urbanizzazione<br />

(quali strade, fognature, allacciamenti elettrici, idrici, telefonici eccetera)<br />

[cfr. AA.VV., Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato, Milano, 1999, 15<br />

ss.]. In linea di massima, sono “terreni” non solo quegli immobili assolutamente privi di<br />

manufatti urbanisticamente rilevanti, ma anche quelli sui quali siano state compiute opere<br />

tali da non incidere tuttavia sulla precedente destinazione d’uso dei detti immobili, secondo<br />

la legislazione urbanistica statale e regionale vigente [in questo senso anche SAN-<br />

TARCANGELO, Condono edilizio, Milano, 1991, 209 ss.].<br />

Prendendo le mosse dal ritenere “terreni” tutti quegli immobili sui quali non siano state<br />

eseguite opere urbanisticamente rilevanti, si dovrebbe concludere per un’esclusione<br />

da tale categoria delle cosiddette “aree attrezzate”; ed infatti, sulla scorta delle considerazioni<br />

riferite, è possibile ascrivere le “aree attrezzate”, non già alla fattispecie dei terreni,<br />

ma a quella degli edifici, sul presupposto che su tali aree sono state realizzati interventi<br />

di un certo rilievo urbanistico o, comunque, opere che non abbiano lasciato immutata<br />

la destinazione originaria dell’area [TRAPANI, op. cit., 15 ss.].<br />

Riferendo le considerazioni svolte alla fattispecie prospettata, appare assolutamente<br />

plausibile ricondurre alla categoria di edifici, e non di terreni, i posti auto o, in senso lato, i<br />

parcheggi scoperti. In questo caso, infatti, appare determinante il dato per cui non acquista<br />

più rilevanza giuridica il mero terreno, bensì il terreno quale oggetto di una peculiare trasformazione<br />

urbanistica. È evidente, pertanto, che l’elemento discriminante emergerà da<br />

un esame complessivo di carattere squisitamente urbanistico. Ed infatti, a titolo esemplificativo,<br />

la mera edificazione di un muretto di recinzione intorno ad un terreno scoperto o la<br />

semplice copertura con asfalto non costituiscono opere di rilevante portata urbanistica, atte,<br />

cioè, a modificare profondamente od in via tendenzialmente definitiva la destinazione<br />

dell’area; diversamente, se a tali interventi si accompagnano realizzazioni più complesse e<br />

tali da incidere radicalmente sulla precedente situazione di fatto e da consentire una differente<br />

fruizione dell’area, occorrerà concludere che si è in presenza di un “manufatto rilevante<br />

a fini urbanistici” e, quindi, non di un “terreno”, bensì di un “edificio”.<br />

Ai fini che qui rilevano, occorre appurare pertanto se le aree di cui trattasi abbiano perso<br />

o meno il connotato di “terreni” ed acquistato quello di aree urbane (aree edificate) o<br />

comunque destinate ad altra attività del tutto estranea alle utilizzazioni proprie dei terreni.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 313


Plusvalenze immobiliari – cessione di parcheggi a raso – Quesito n. 183-2010/T<br />

Conclusivamente, per stabilire se la fattispecie prospettata integri la prima oppure la<br />

seconda parte dell’art. 67, comma 1, lettera b) del Tuir, si dovrà appurare se di fatto tale<br />

ipotesi di alienazione si configuri come cessione infraquinquennale di beni immobili acquistati<br />

o costruiti da non più di cinque anni ovvero come cessione di terreni suscettibili<br />

di utilizzazione edificatoria. Detta verifica dovrà svolgersi, come riferito, effettuando una<br />

valutazione della concreta portata degli interventi di carattere urbanistico effettivamente<br />

svolti sull’area di cui trattasi. Ed infatti, come dianzi descritto, solo laddove l’immobile in<br />

questione non sia stato interessato da interventi rilevanti ai fini urbanistici la sua alienazione<br />

si configurerà come cessione dell’area, integrando di conseguenza la seconda<br />

parte della lettera b) del summenzionato art. 67 del Tuir; diversamente, la sussistenza di<br />

consistenti interventi edilizi, avendo mutato il connotato del bene da “terreno” in “edificio”,<br />

fa sì che la cessione in parola integri la fattispecie di cui alla prima parte della lettera<br />

b) del più volte richiamato art. 67 del Tuir.<br />

Pertanto, ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalenza imponibile, laddove<br />

si appuri che la cessione dei beni in parola integri la prima parte della lettera b) dell’art.<br />

67 citato, si dovrà aver riguardo ai criteri stabiliti dall’art. 68, comma 1, del Tuir; e, dunque,<br />

si dovrà procedere a sottrarre al corrispettivo per la cessione il costo di costruzione<br />

dei predetti beni, aumentato di ogni eventuale costo inerente. Diversamente, laddove si<br />

verifichi che i beni di cui trattasi sono qualificabili come aree, integrando la fattispecie di<br />

cui alla seconda parte della lettera b) dell’art. 67, per i criteri di calcolo occorrerà riferirsi<br />

all’art. 68, comma 2, del Tuir e solo in tale ipotesi si potrà fruire dell’eventuale costo rivalutato,<br />

ai sensi dell’art. l’art. 2, comma, 229, della legge n. 191/2009 (Manovra finanziaria<br />

2010) che, come noto, ha riaperto i termini per la rideterminazione del valore delle partecipazioni<br />

sociali e dei terreni edificabili e con destinazione agricola.<br />

314<br />

Studi e Materiali – 1/2011


IVA – Assegnazione a socio di fabbricato<br />

strumentale acquistato da un privato<br />

Quesito n. 210-2010/T<br />

Annarita Lomonaco<br />

Si chiede di conoscere se l’assegnazione al socio, effettuata da una società in liquidazione,<br />

di un fabbricato strumentale per natura acquistato da un soggetto privato sia e-<br />

sente dall’IVA ai sensi dell’art. 10 n. 27-quinquies d.P.R. n. 633/1972. Si chiede, inoltre,<br />

se la medesima tassazione si applichi agli atti di compravendita.<br />

Con riferimento all’ipotesi dell’assegnazione al socio, in linea generale l’art. 2, comma<br />

2, n. 6, d.P.R. n. 633/1972 stabilisce che «costituiscono inoltre cessioni di beni: […]<br />

6) le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo e oggetto nonché<br />

le assegnazioni e le analoghe operazioni fatte da altri enti privati o pubblici, compresi i<br />

consorzi e le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica».<br />

Per stabilire se dette operazioni rientrino nel campo di applicazione dell’Iva, tuttavia,<br />

occorre tener presente anche il disposto del n. 5 del medesimo comma, ai sensi del quale<br />

costituiscono cessioni di beni «la destinazione di beni all’uso o al consumo personale<br />

o familiare dell’imprenditore o di coloro i quali esercitano un’arte o una professione o ad<br />

altre finalità estranee alla impresa o all’esercizio dell’arte o della professione, anche se<br />

determinata da cessazione dell’attività, con esclusione di quei beni per i quali non è stata<br />

operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta di cui all’articolo 19».<br />

L’Amministrazione finanziaria, infatti, aderendo ad un orientamento della giurisprudenza<br />

comunitaria, ritiene che «l’assegnazione di beni al socio realizza un’ipotesi di destinazione<br />

a finalità estranee all’esercizio di impresa che deve essere ricondotta all’articolo<br />

5, paragrafo 6 della VI Direttiva 77/388/CEE (ora articolo 16 della Direttiva<br />

2006/112/CE), il quale – secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle<br />

Comunità Europee (causa C-322/99 e C-323/99) – deve essere interpretato nel senso<br />

che un bene dell’impresa destinato all’uso privato dell’imprenditore o a finalità estranee<br />

all’impresa, non deve essere assoggettato ad IVA se tale bene non abbia consentito la<br />

deduzione dell’IVA in ragione del suo acquisto presso un soggetto privato». Ne deriva il<br />

principio secondo il quale l’art. 2 comma 2 n. 6 cit. non si applica se l’assegnazione al<br />

socio ha oggetto beni per i quali non è stata detratta l’Iva al momento dell’acquisto [Agenzia<br />

delle Entrate, ris. 191 del 23 luglio 2009, ris. 194 del 17 giugno 2002, circ. n. 40<br />

del 13 maggio 2002; PORTALE, Imposta sul valore aggiunto, Milano, 2005, 20, MANDÒ-<br />

MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2010, 29].<br />

Studi e Materiali – 1/2011 315


IVA – Assegnazione a socio di fabbricato strumentale – Quesito n. 210-2010/T<br />

Nel caso di specie, pertanto, l’assegnazione al socio di un fabbricato strumentale acquistato<br />

presso un privato rappresenta un’operazione esclusa dal campo di applicazione<br />

dell’Iva, con conseguente assoggettamento all’imposta di registro.<br />

Con riferimento alla seconda ipotesi prospettata nel quesito, in cui la società venda il<br />

bene acquistato dal soggetto privato, trattandosi di un’operazione rilevante agli effetti<br />

dell’Iva (ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 633/1972), occorre verificare quale disposizione del<br />

medesimo testo unico debba essere applicata.<br />

È da escludere che si tratti di un’operazione esente dall’Iva ai sensi dell’art. 10, n. 27-<br />

quinquies, cit.<br />

La disposizione citata prevede, infatti, che siano esenti dall’IVA «le cessioni che hanno<br />

per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa<br />

imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis 1 e 19-bis 2 ». L’esenzione ricorre, quindi, a<br />

condizione che nell’acquisto originario vi sia stata un’operazione assoggettata ad Iva e<br />

che l’imposta non sia stata detratta a seguito di esplicito divieto contenuto nei richiamati<br />

articoli 19, 19-bis 1 e 19-bis 2 [cfr. PORTALE, Imposta sul valore aggiunto, cit., 325]. In particolare<br />

si tratta di un’esenzione che compete in ipotesi di indetraibilità derivante da ragioni<br />

di natura soggettiva, riferite cioè a soggetti che svolgendo esclusivamente attività e-<br />

senti non acquisiscono il diritto alla detrazione, o da ragioni oggettive, legate a particolari<br />

categorie di beni per i quali è previsto specificamente un regime di indetraibilità [così A-<br />

genzia delle Entrate, ris. 23 luglio 2009, n. 191; MANDÒ-MANDÒ, Manuale dell’imposta sul<br />

valore aggiunto, cit., 288 s.].<br />

Ciò comporta che l’esenzione in esame non trovi applicazione nel caso di cessione<br />

avente ad oggetto un bene acquistato da un privato, considerato che l’acquisto da privati<br />

è un’operazione esclusa dal campo di applicazione dell’Iva [cfr. sul punto BELLINI-FORTE-<br />

LOMONACO, Note riepilogative sul tema delle cessioni di fabbricati effettuate da soggetti<br />

passivi IVA, Studio n. 144-2007/T, in Studi e Materiali, 2/2007, al quale si rinvia anche<br />

per un approfondimento relativo alla definizione dell’ambito applicativo di tale norma in<br />

relazione alle previsioni di cui ai nn. 8-bis e 8-ter del medesimo articolo 10, diretto ad individuare<br />

quale norma, tra tutte quelle che prevedono l’esenzione dal tributo nel sistema<br />

dell’Iva, debba essere prioritariamente applicata].<br />

Nello stesso senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate, sottolineando come<br />

non sia possibile «estendere la previsione esentativa […] alle cessioni di quei beni per i<br />

quali la detrazione non è stata esercitata perché non si è subita la rivalsa dell’imposta.<br />

Condizione questa che può verificarsi qualora l’acquisto sia stato effettuato presso un<br />

privato (che in quanto tale non ha il potere di esercitare la rivalsa)» [Agenzia delle Entrate,<br />

ris. n. 17 giugno 2002, n. 194. V. altresì circ. 21 maggio 1999, n. 112/E; MANDÒ-<br />

MANDÒ, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, cit., 288].<br />

Nel caso di specie, dunque, la cessione, avendo ad oggetto un fabbricato strumentale,<br />

è disciplinata dall’art. 10, n. 8-ter, d.P.R. n. 633/1972, cit. ed è imponibile o esente<br />

dall’Iva in base alla ricorrenza (o meno) delle condizioni di cui alla norma da ultimo citata<br />

[cfr. BELLINI-FORTE-LOMONACO, Note riepilogative sul tema delle cessioni di fabbricati effettuate<br />

da soggetti passivi IVA, Studio n. 144-2007/T, cit.].<br />

316<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Imposte ipotecaria e catastale applicabili<br />

in caso di regolarizzazione di società di fatto<br />

con conferimento di azienda comprendente<br />

beni immobili<br />

Quesito n. 216-2010/T<br />

Annarita Lomonaco<br />

Si chiede di conoscere in quale misura siano applicabili le imposte ipotecaria e catastale<br />

nell’ipotesi di regolarizzazione in una s.n.c. di una società di fatto, costituita fra i beneficiari<br />

di una donazione di azienda comprendente beni immobili. In particolare, nel caso di specie<br />

(ove un imprenditore individuale dona l’azienda, comprendente beni immobili, ai figli, i quali<br />

si impegnano a continuare per cinque anni l’esercizio dell’attività di impresa e contestualmente<br />

regolarizzano la società di fatto tra essi costituita) l’Agenzia delle entrate richiede<br />

per la regolarizzazione della società di fatto con il conferimento dell’azienda il pagamento<br />

dell’imposta di registro in misura fissa e delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale,<br />

sulla base di quanto sostenuto nella ris. n. 341/E del 23 novembre 2007.<br />

La citata risoluzione – nell’esaminare il trattamento fiscale applicabile, ai fini delle imposte<br />

dirette e di quelle indirette, nel caso in cui il titolare di un’azienda, comprensiva di<br />

immobili, intenda donarla ai figli, i quali dichiarino nell’atto di donazione di voler continuare<br />

l’esercizio dell’impresa per un periodo non inferiore ai cinque anni e di regolarizzare la<br />

società di fatto che verrà a costituirsi in una delle società tipiche – precisa che «la regolarizzazione<br />

del rapporto societario di fatto che i donatari intendono effettuare nell’atto di<br />

donazione, comporta la costituzione di una società mediante conferimento di azienda<br />

comprensiva di immobile ed è, quindi, soggetta all’imposta di registro in misura fissa ai<br />

sensi dell’articolo 4, lett. a), numero 3), della Tariffa, Parte prima, allegata al Testo Unico<br />

concernente l’imposta di registro, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR) e<br />

alle imposte ipotecaria e catastale nella misura proporzionale ordinariamente prevista<br />

dal TUIC». L’Agenzia richiama, quindi, per l’imposta di registro la voce della tariffa relativa<br />

al conferimento di azienda (art. 4, lett. a, n. 3), mentre per le imposte ipotecaria e catastale,<br />

che ritiene dovute “nella misura proporzionale ordinariamente applicabile”, non<br />

indica riferimenti normativi né fornisce alcuna argomentazione.<br />

Invero, nel testo unico delle imposte ipotecaria e catastale (D.Lgs. 31 ottobre 1990,<br />

n. 347) è dettata una disciplina specifica per la regolarizzazione delle società di fatto, ma<br />

limitatamente alle fattispecie derivanti da comunione ereditaria. Più precisamente, ai<br />

sensi dell’art. 4 della tariffa, D.Lgs. n. 347/1990, cit., l’imposta ipotecaria è dovuta in misura<br />

fissa per le trascrizioni di «atti di regolarizzazione di società di fatto derivanti da co-<br />

Studi e Materiali – 1/2011 317


Imposte ipotecaria e catastale (società di fatto) – Quesito n. 216-2010/T<br />

munione ereditaria di azienda registrati entro un anno dall’apertura della successione»,<br />

ma la relativa nota aggiunge che «se gli atti di regolarizzazione di cui contro sono registrati<br />

dopo un anno dall’apertura della successione si applica l’imposta proporzionale indicata<br />

dall’articolo 1». Quanto all’imposta catastale, l’art. 10, comma 2, D.Lgs. 347/1990<br />

dispone che essa è dovuta in misura fissa per le volture «eseguite in dipendenza di atti di<br />

regolarizzazione di società di fatto, derivanti da comunione ereditaria di azienda registrati<br />

entro un anno dall’apertura della successione». Si potrebbe, pertanto, ritenere che il legislatore<br />

abbia «qui inteso – con la previsione della più gravosa imposta proporzionale –<br />

sanzionare una particolare fattispecie, che è quella della regolarizzazione dopo l’anno<br />

dall’apertura della successione» [PETRELLI, Regime fiscale dei conferimenti in società ed<br />

enti, in Studi e Materiali, 2003, 630].<br />

Pur prescindendo in questa sede da un approfondimento relativo all’interpretazione<br />

della nota all’art. 4 della tariffa, allegata al D.Lgs. n. 347/1990, cit., va sottolineato come,<br />

in ogni caso, anche una lettura della norma nel senso dell’applicazione delle imposte<br />

ipotecaria e catastale in misura proporzionale non potrebbe che essere limitata alla specifica<br />

fattispecie testualmente oggetto delle citate disposizioni, ossia alla regolarizzazione<br />

(dopo l’anno) di società di fatto derivante da comunione ereditaria di azienda [v. PE-<br />

TRELLI, Regime fiscale dei conferimenti in società ed enti, cit., 632, il quale evidenzia come<br />

la previsione dell’imposta proporzionale, che rappresenta una deroga al regime ordinario<br />

applicabile ai conferimenti di azienda, debba essere interpretata restrittivamente,<br />

trattandosi di norma eccezionale].<br />

Per le altre ipotesi di regolarizzazione di società di fatto, ossia per quelle non derivanti<br />

da comunione ereditaria di azienda, per individuare il trattamento fiscale applicabile<br />

occorre considerare che di regola il fondamento della tassazione è rappresentato dal<br />

conferimento, e la misura della tassazione dipende pertanto dall’oggetto del conferimento<br />

medesimo [cfr. PETRELLI, Regime fiscale dei conferimenti in società ed enti, cit., 631 s.<br />

Per approfondimenti sulla rilevanza, ai fini della tassazione, dei conferimenti nella società<br />

di fatto o effettuati praticamente con l’atto di regolarizzazione stesso, cfr. altresì ARNA-<br />

O, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 2005, 351 ss.; BUSANI, L’imposta di registro,<br />

Milano, 2009, 485 ss. ed ivi ulteriori citazioni].<br />

Ne deriva che, laddove oggetto del conferimento sia un’azienda comprensiva di immobili,<br />

le imposte ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa ai sensi dell’art. 4<br />

della tariffa cit. e dell’art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 347/1990, cit., i quali prevedono testualmente<br />

la suddetta misura fissa, rispettivamente, per le trascrizioni e per le volture<br />

eseguite in dipendenza di “atti di conferimento di aziende o di complessi aziendali relativi<br />

a singoli rami dell’impresa”; pertanto, non è assolutamente condivisibile la precisazione<br />

contenuta nella ris. 341/E del 2007, cit., relativa all’applicabilità delle imposte in esame in<br />

misura proporzionale [l’erroneità di una tale affermazione è stata evidenziata anche in<br />

dottrina; sul punto v. MASTROIACOVO, Non è soggetto ad imposizione il passaggio generazionale<br />

dell’azienda, in Corr. trib., 2008, 330; BUSANI, L’imposta di registro, cit., 485 nt.,<br />

220 il quale osserva con riferimento alla ris. n. 347 cit. che «l’Amministrazione è incorsa<br />

nell’infortunio di ritenere applicabile, stante la presenza di un immobile nel patrimonio a-<br />

318<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Tributari<br />

ziendale, l’imposta proporzionale ipotecaria e catastale, anziché l’imposta fissa». Evidenzia<br />

la “svista” anche Assonime, circolare n. 77 del 6 dicembre 2007].<br />

Infine, è appena il caso di precisare che, per quanto riguarda le imposte indirette, le<br />

conclusioni relative alla misura delle imposte ipotecaria e catastale non muterebbero anche<br />

qualora nella specifica fattispecie oggetto del quesito – che presenta notevoli criticità<br />

sotto il profilo civilistico e delle imposte dirette – non si ravvisasse la regolarizzazione di<br />

una società di fatto, ma la costituzione ex novo di una società con conferimento di a-<br />

zienda, ovvero una trasformazione eterogenea di comunione di azienda in società.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 319


Copia cartacea di documento informatico<br />

(art. 57-bis, comma 2, l.n.)<br />

Quesito n. 8-2010/IG<br />

Mauro Leo<br />

In relazione alle richieste di chiarimenti sulla nuova procedura di cui all’art. 57-bis, comma<br />

2, l.n., e segnatamente in ordine alla sussistenza o meno dell’obbligo di annotare a<br />

repertorio la copia ivi contemplata, si segnala che non è possibile allo stato prospettare<br />

una risposta definitiva.<br />

Come emerge dal quesito che si pubblica, esistono infatti almeno due possibili linee interpretative,<br />

entrambe fondate su percorsi argomentativi sostenibili, che impediscono di<br />

pervenire ad una interpretazione univoca.<br />

Per quanto da più parti ed in misura prevalente siano state manifestate opinioni orientate<br />

verso la non necessità della repertoriazione, il Consiglio Nazionale, dovendo tenere nella<br />

giusta considerazione anche le opposte e comprensibili opinioni, ha avviato contatti con<br />

il Ministero della Giustizia che, investito dell’argomento, emanerà le sue istruzioni agli<br />

Archivi Notarili.<br />

In attesa di tali istruzioni può essere in ogni caso ricordato che lo svolgimento della procedura<br />

di verificazione della validità del certificato di firma, che rende riproducibile nel formato<br />

cartaceo il documento informatico trasmesso per posta elettronica, unitamente all’attestazione<br />

delle operazioni svolte, attribuiscono al documento ottenuto piena validità formale.<br />

Pertanto, in considerazione del fatto che la prospettiva della repertoriazione non incide<br />

sulla validità e idoneità formale del documento, che non esiste un orientamento ufficiale<br />

espresso da parte degli Archivi su questo aspetto, e soprattutto che si è in fase di prima<br />

applicazione della novella in uno scenario inedito, sul quale sono in corso approfondimenti,<br />

esprimiamo l’opinione che, allo stato delle analisi e delle riflessioni in corso, non<br />

sia censurabile in alcun modo l’operato di chi, in fase di prima applicazione, ha ritenuto<br />

di non dar corso alla repertoriazione. (Guido De Rosa – Roberto Braccio)<br />

Si prospetta il seguente quesito:<br />

Il notaio è richiesto di ricevere un atto di trasformazione di consorzio con attività esterna in<br />

società consortile a responsabilità limitata. L’atto costitutivo prevede che le modificazioni<br />

del consorzio debbano essere deliberate con la maggioranza dei due terzi; l’art. 2500-<br />

octies c.c. prevede che sia sufficiente il voto favorevole della maggioranza dei consorziati.<br />

Nell’ipotesi in cui il notaio debba allegare ad un atto pubblico o ad scrittura privata autenticata<br />

redatti su supporto cartaceo, una copia informatica di procura redatta su originale cartaceo,<br />

si chiede quale sia la procedura per effettuare la copia cartacea da tale copia informatica,<br />

ed inoltre se la copia così ottenuta debba o meno essere annotata a repertorio.<br />

320<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Informatica<br />

Il quesito verte sulla possibilità, oggi riconosciuta al notaio a seguito della recente<br />

novellazione della legge notarile, di impiegare la nuova procedura di “conversione” del<br />

supporto che incorpora il documento – da informatico a cartaceo – da allegare all’atto<br />

notarile.<br />

È necessario premettere che la novità legislativa ha una tale portata innovativa sulla<br />

funzione di documentazione fino ad ora svolta da notaio, da non consentire a questa<br />

primissima riflessione, di esprimere una posizione definitiva sulla questione prospettata,<br />

che costituirà oggetto di un successivo approfondimento.<br />

Il recente D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 110 ha espressamente previsto tale ipotesi, introducendo<br />

nel corpo della legge notarile l’art. 57-bis che al secondo comma stabilisce:<br />

“Quando un documento informatico deve essere allegato ad un atto pubblico o ad una<br />

scrittura privata da autenticare, redatti su supporto cartaceo, il notaio ne allega copia<br />

conforme ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, formata<br />

sullo stesso supporto”.<br />

L’art. 23 del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale) a cui l’art. 57-<br />

bis genericamente rinvia, al comma 2-bis stabilisce che “le copie su supporto cartaceo di<br />

documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma<br />

digitale, sostituiscono ad ogni effetto di legge l’originale da cui sono tratte se la loro conformità<br />

all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò<br />

autorizzato”.<br />

L’elemento che deve essere dunque verificato dal pubblico ufficiale è l’accertamento<br />

della validità del “documento informatico” esibito, nel caso di specie la copia di un documento<br />

che nasce come cartaceo.<br />

Trattandosi di copia informatica di documento cartaceo è al comma 3 dell’art. 23 del<br />

CAD che occorre far riferimento. È stabilito infatti che “i documenti informatici contenenti<br />

copia o riproduzione di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli<br />

atti e documenti amministrativi di ogni tipo, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati<br />

e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del<br />

codice civile, se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia,<br />

una firma digitale o altra firma elettronica qualificata”.<br />

Tale previsione oltre a ribadire la necessità della verifica in capo al destinatario del<br />

documento, della vigenza del certificato di firma apposta sulla copia informatica (secondo<br />

le regole tecniche di cui all’art. 71 CAD) equipara l’efficacia probatoria di quest’ultima<br />

a quella di cui agli articoli 2714 e 2715 originariamente riferiti alle copie rilasciate in modo<br />

tradizionale.<br />

Stabilito normativamente che la copia informatica di documento cartaceo ha il valore<br />

di prova privilegiata ex art. 2714, c. 2, c.c., il notaio estrarrà legittimamente copia cartacea<br />

dalla copia informatica ai sensi dell’art. 57-bis, c. 2, procedendo alle operazioni che<br />

a tale scopo devono essere poste in essere secondo quanto riportato nello studio CNN<br />

3-2006/IG [in CNN Studi e Materiali, 2007, 463 ed al quale si rinvia per ulteriori approfondimenti],<br />

e cioè sostanzialmente:<br />

Studi e Materiali – 1/2011 321


Copia cartacea di documento informatico - Quesito n. 8-2010/IG<br />

– la verifica della provenienza della sottoscrizione attraverso gli strumenti a sua disposizione<br />

(verifica presso il certificatore della firma elettronica o digitale, e della sua validità<br />

al momento della sottoscrizione);<br />

– l’attestazione dei risultati delle verifiche effettuate, o quanto meno della conformità<br />

all’originale in tutte le sue componenti.<br />

Eseguite queste operazioni la copia cartacea ottenuta è senz’altro valida e può essere<br />

allegata.<br />

Quanto al secondo quesito legato alla repertoriazione della copia cartacea di cui<br />

all’art. 57-bis, c. 2, l.n., il dubbio nasce dalla possibilità di far rientrare o meno la fattispecie<br />

in esame, nella deroga alla regola generale sulla repertoriazione delle copie ed e-<br />

stratti di cui all’art. 2 del r.d.l. 14 luglio 1937, n. 1666.<br />

Potrebbe infatti sostenersi l’estraneità della fattispecie in esame dal perimetro applicativo<br />

di questa disposizione, già solo ritenendo che la spedizione per posta elettronica<br />

della copia informatica, non rientri nella nozione di “esibizione” di cui all’art. 1 del citato<br />

r.d.l., termine pensato per i soli documenti cartacei.<br />

Ma soprattutto vi sarebbe l’argomento legato all’attività svolta dal notaio in questo<br />

frangente, ove si ritenga che quella prevista dall’art. 57-bis non sia una tipica attività notarile<br />

di estrazione di copia, ma un’attività di tipo meramente “tecnico” (in cui il notaio<br />

procede ad una verificazione della validità del certificato di firma che consente la riproduzione<br />

cartacea del documento) ovvero un’attività amministrativa.<br />

Sotto questo profilo potrebbe rilevare il diverso valore della copia ottenuta ex art. 57-<br />

bis, c. 2, l.n. rispetto a quella autentica disciplinata dall’art. 2714 c.c., che fa riferimento a<br />

copie che “fanno fede come l’originale”. In tal senso non solo la diversa formulazione del<br />

comma 2-bis dell’art. 23 CAD che si riferisce alle copie che, più semplicemente,<br />

“…sostituiscono ad ogni effetto di legge l’originale…”, ma anche nel rinvio “esterno” della<br />

legge notarile al D.Lgs. n. 82/2005.<br />

Potrebbe quindi ritenersi che avendo creato il D.Lgs. n. 110/2010 una compenetrazione<br />

tra i due blocchi di norme, l’esplicazione della tipica attività notarile di rilascio copie,<br />

nella sola eccezione dell’art. 57-bis, possa avvenire all’interno del sistema della documentazione<br />

amministrativa, con la conseguenza della non obbligatorietà della repertoriazione<br />

ex legge n. 390/1971.<br />

Al contrario, ove si ritenga che quella prevista dall’art. 57-bis sia una tipica attività notarile<br />

di estrazione di copia (cartacea) dalla copia informatica “esibita” al notaio, troverà<br />

applicazione l’art. 2 del r.d.l. n. 1666/1937 – e quindi la necessità di annotare a repertorio<br />

– dal momento che si è in presenza di un documento (la copia informatica esibita) che<br />

non è conservato dal notaio ma è invece un documento “circolante” [sul punto Studio<br />

CNN 3-2006/IG cit.].<br />

È la natura “circolante” dell’originale che impone che la copia conforme sia annotata<br />

a repertorio, per avere traccia dell’attività notarile di certificazione della copia (copia che<br />

a sua volta riprenderà a “circolare”) anche per il caso in cui l’originale vada smarrito. È<br />

solo in presenza di documenti depositati (e quindi nati come non “circolanti”) che non si<br />

presenterà l’esigenza della repertoriazione, essendo sempre possibile collazionare la<br />

copia con l’originale.<br />

322<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Quesiti Informatica<br />

Si aggiunga che dall’art. 23 del CAD non si evincono argomenti per sostenere che<br />

l’attività definita di “copia” dall’art. 57-bis l.n., sia da ricondurre ad un’attività di tecnica informatica<br />

o comunque di tipo amministrativo; il momento peculiare della procedura di rilascio<br />

di copie, infatti, e cioè la conformità della copia ottenuta all’originale informatico<br />

sottoscritto con firma digitale, continua ad essere ribadito anche nella nuova disciplina<br />

(cfr. commi 2-bis e 4 dell’art. 23 CAD).<br />

Né sotto questo profilo appare di particolare pregio l’argomento basato sulla matrice<br />

dell’art. 23, come noto derivato dalla normativa in materia di documentazione amministrativa<br />

(tale norma ha sostituito l’art. 20 del T.U. n. 445/2000 il quale a sua volta aveva<br />

sostituito l’art. 14 della legge n. 15 del 1968).<br />

Infatti, così come nella vigenza della disciplina sulla documentazione amministrativa,<br />

non si era mai dubitato che la contemporanea applicazione di queste norme e di quelle della<br />

legge notarile all’attività di rilascio copie svolta dal notaio, ne mutassero la fisionomia, facendola<br />

degradare a semplice attività di tipo amministrativo; allo stesso modo non sembra<br />

potersi ragionevolmente sostenere che la stessa attività, svolta oggi dal notaio mediante<br />

l’impiego della tecnologia informatica in forza dell’art. 23 CAD richiamato dall’art. 57-bis<br />

l.n., innesti nella legge notarile accanto alle funzioni tipicamente notarili un compito di tipo<br />

amministrativo o di altro genere, al fine di risolvere il problema della disomogeneità di supporto<br />

tra il documento ricevuto (cartaceo) e quello da allegare (informatico).<br />

Tali conclusioni non escludono ovviamente che ove la copia ottenuta ex art. 57-bis<br />

sia destinata ad essere impiegata nei rapporti con la Pubblica Amministrazione essa non<br />

andrà annotata a repertorio ai sensi della l. 11 maggio 1971 n. 390 [S. CHIBBARO-M. MO-<br />

LINARI, Dal documento informatico alla carta e viceversa: la copia conforme rivisitata, in<br />

Federnotizie, maggio 2010].<br />

Si ricorda infine che quanto alla mancata annotazione a repertorio, la sanzione contemplata<br />

dall’art. 22 del suddetto r.d.l. – a seguito delle successive modifiche normative<br />

– è quella della sanzione amministrativa “da lire 10.000 a lire 25.000” oltre naturalmente<br />

all’eventuale recupero delle somme non versate a titolo di tassa d’archivio.<br />

Con riferimento ai profili disciplinari la non annotazione a repertorio comporta la violazione<br />

dell’art. 62 l.n. sanzionata dall’art. 137 l.n. con la pena pecuniaria da 5 euro a 45<br />

euro. Trattandosi di infrazione punibile con la sola sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art.<br />

145-bis l.n. il notaio che non sia recidivo nella stessa infrazione, può prevenire il procedimento<br />

o interromperne il corso prima della decisione definitiva, pagando una somma<br />

corrispondente ad un terzo del massimo previsto per la infrazione contestata, oltre le<br />

spese del procedimento.<br />

Studi e Materiali – 1/2011 323


Di imminente uscita<br />

Alberto Maffei Alberti<br />

commentario breve<br />

al<br />

DIRITTO<br />

DELLE SOCIETÀ<br />

Seconda edizione<br />

È un commento sistematico articolo per articolo che<br />

organizza la giurisprudenza e la dottrina più rilevanti sotto<br />

il testo della norma in paragrafi titolati.<br />

Il commentario ha per oggetto le disposizioni dettate nel<br />

Titolo V delle società, dagli artt. 2247 – 2548 e 2615 ter<br />

del Codice Civile, nonché le norme del Testo unico in<br />

materia di intermediazione finanziaria.<br />

In questa edizione numerose sono le novità, fra le quali:<br />

• D.Lgs. 29-11-2010 n. 224: disposizioni integrative<br />

e correttive del decreto legislativo 4 agosto 2008, n.<br />

142, recante attuazione della direttiva 2006/68/CE<br />

che modifica la direttiva 77/91/CEE relativamente<br />

alla costituzione delle società per azioni, nonché alla<br />

salvaguardia e alle modificazioni del loro capitale<br />

sociale.<br />

• D.Lgs. 30-12-2010 n. 259: recepimento delle Raccomandazioni<br />

della Commissione europea 2004/913/CE<br />

e 2009/385/CE in materia di remunerazione degli amministratori<br />

delle società quotate.<br />

Alessio Zaccaria<br />

commentario breve<br />

al<br />

DIRITTO<br />

DELLA FAMIGLIA<br />

Seconda edizione<br />

In questa seconda edizione del Commentario breve al<br />

diritto della famiglia si trovano significativi ampliamenti di<br />

tutti i commenti già presenti nella precedente edizione.<br />

Si segnalano in particolare: il nuovo commento<br />

all’Ordinamento dello stato civile; le parti del commentario<br />

dedicate al diritto del lavoro e all’amministrazione<br />

di sostegno, tematiche, queste, negli ultimi tempi<br />

rapidamente e in modo consistente evolutesi.<br />

Non mancano, naturalmente, le novità, fra le quali:<br />

• il commento alla disciplina penalistica concernente<br />

la sottrazione e il trattenimento di minore all’estero,<br />

introdotta dalla l. n. 94/2009;<br />

• i commenti, in materia di alimenti, al Regolamento<br />

(CE) 4/2009 e al Protocollo dell’Aja 23 novembre<br />

2007, fondamentali per le novità introdotte nel<br />

contenzioso transfrontaliero, in materia di alimenti<br />

dovuti.<br />

Disponibile presso le nostre agenzie<br />

Maggiori informazioni sui prodotti sul sito www.cedam.com<br />

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SERVIZIO CLIENTI CEDAM<br />

Informazioni commerciali: tel.: 02.82476707 • e-mail: info.commerciali@cedam.com<br />

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INDICE ANALITICO


Indice analitico<br />

INDICE ANALITICO<br />

AZIENDA<br />

– azienda in comunione ereditaria concessa in affitto<br />

(regolarizzazione della società di fatto – aspetti fiscali) .............................. 309<br />

– conferimento di azienda comprendente beni immobili<br />

(regolarizzazione della società di fatto – trattamento fiscale applicabile –<br />

imposte dovute in misura fissa)................................................................... 317<br />

– trasferimento di partecipazione di società consortile<br />

in dipendenza di cessione d’azienda (art. 2610 c.c.) .................................. 297<br />

CATASTO<br />

– applicazione del bollo forfetario a planimetrie catastali<br />

in copia non autentica.................................................................................. 307<br />

– applicazione dell’imposta di bollo a planimetrie catastali<br />

in copia autentica......................................................................................... 307<br />

– dichiarazione di aggiornamento catastale (d.l. n. 78 del 2010)....................... 3<br />

– dichiarazione dell’intestatario dell’immobile della conformità<br />

allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie (sulla base<br />

delle disposizioni vigenti in materia catastale – d.l. n. 78 del 2010).......... 3, 17<br />

– emersione della reale consistenza catastale in sede di atto notarile<br />

(d.l. n. 78 del 2010).......................................................................................... 3<br />

– indicazione dell’identificazione catastale e riferimento<br />

alle planimetrie depositate in catasto (d.l. n. 78 del 2010) ........................ 3, 17<br />

CERTIFICAZIONE ENERGETICA<br />

– applicazione del bollo forfetario ai certificati energetici<br />

allegati all’atto notarile in originale cartaceo................................................ 307<br />

– applicazione dell’imposta di bollo ai certificati energetici<br />

allegati all’atto notarile in copia autentica.................................................... 307<br />

CESSIONE<br />

– assegnazione a socio di fabbricato strumentale<br />

acquistato da un privato .............................................................................. 315<br />

– di immobili facenti parte di una comunione ereditaria<br />

d’azienda (nel corso di trasformazione in s.r.l.<br />

e prima del decorso di 60 gg. dagli adempimenti pubblicitari) .................... 249<br />

– di immobili da parte di cooperative edilizie<br />

(determinazione della base imponibile IVA) ................................................ 129<br />

– di immobili costituenti patrimonio stabile da parte di ente<br />

avente la natura d’istituto religioso (regime delle autorizzazioni)................ 236<br />

Studi e Materiali – 1/2011 329


Indice analitico<br />

– di immobili (d.l. n. 78 del 2010 – emersione della reale<br />

consistenza catastale in sede di atto notarile)................................................. 3<br />

– di parcheggi a raso (plusvalenze immobiliari – valutazione concreta<br />

della portata degli interventi urbanistici sull’area interessata)..................... 312<br />

– trasferimento di edifici e certificazione energetica....................................... 181<br />

COMMERCIABILITÀ DEGLI IMMOBILI<br />

– alienazione di beni immobili facenti parte del patrimonio stabile<br />

(regime delle autorizzazioni)........................................................................ 236<br />

– circolazione immobiliare: beni oggetto della norma e nullità dell’atto<br />

(d.l. n. 78 del 2010, conv. con l. n. 122 del 2010) ......................................... 17<br />

– immobile “ante 1967” (con varianti al progetto originario non autorizzate)<br />

trasferito a seguito di procedura esecutiva.................................................. 243<br />

COMUNIONE<br />

– di diritti reali su fabbricati esistenti (d.l. n. 78 del 2010 –<br />

emersione della reale consistenza catastale in sede di atto notarile) ............. 3<br />

– ereditaria d’azienda: trasformazione in s.r.l................................................. 249<br />

– ereditaria: regolarizzazione della società di fatto derivante<br />

dalla comunione (aspetti fiscali) .................................................................. 309<br />

CONCILIAZIONE<br />

– oggetto sociale di s.r.l.: servizi di mediazione e conciliazione .................... 271<br />

– organismi di conciliazione (natura giuridica – decreti ministeriali) .............. 271<br />

CONSORZI<br />

– confidi: mantenimento o rinnovamento del consenso relativamente<br />

a garanzie prestate in favore dei propri soci (in seguito alla cessazione<br />

da parte di questi ultimi dell’attività d’impresa)............................................ 253<br />

– consorzio tra comuni con attività esterna: ingresso di un soggetto<br />

avente la natura giuridica d’imprenditore..................................................... 306<br />

– diritto alla liquidazione del socio escluso o receduto................................... 297<br />

– di cooperative edilizie (assegnazione di immobili – base imponibile IVA) .. 129<br />

– disciplina applicabile alle società consortili ................................................. 259<br />

– modificazione dei finanziamenti garantiti dai confidi per crisi<br />

dell’impresa socia o per cessazione dell’attività d’imprenditore<br />

da parte del socio: sorte delle garanzie....................................................... 253<br />

– perdita della qualità di imprenditore ed uscita dal consorzio....................... 297<br />

– previsione dell’esclusione del socio in caso d’inadempimento<br />

di tutte le obbligazioni previste dallo statuto (società per azioni consortile) 259<br />

– rapporto tra forma societaria e scopo consortile ......................................... 297<br />

– società per azioni consortile: clausola di esclusione dei soci<br />

(quorum per la delibera) .............................................................................. 259<br />

330<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Indice analitico<br />

– trasferimento di partecipazione (di s.p.a. e di s.r.l. consortile)<br />

in dipendenza di cessione d’azienda (art. 2610 c.c.) .................................. 297<br />

– trasformazione di consorzio con attività esterna in s.r.l. consortile<br />

(quorum per la delibera, tipologia di voto e quote di partecipazione<br />

al capitale sociale) ....................................................................................... 267<br />

COOPERATIVE<br />

– edilizie (assegnazione di immobili – base imponibile IVA).......................... 129<br />

DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E DIRITTO COMUNITARIO<br />

– accertamento dei poteri rappresentativi di società inglesi<br />

(riflessi sull’attività notarile).......................................................................... 163<br />

– caratteristiche delle società inglesi.............................................................. 163<br />

– conferimento d’immobile sito all’estero (Stati Uniti):<br />

modalità per procedere al conferimento (l. n. 218 del 1995)....................... 257<br />

– divieto di abuso del diritto (tributario) (onere della prova<br />

ed applicazione del principio del divieto di abuso) ...................................... 157<br />

– divieto di abuso del diritto (tributario)<br />

(casi pratici – poteri e doveri del notaio)...................................................... 177<br />

– fallimenti intracomunitari (reg. CE n. 1346/2000 – disciplina e riflessi<br />

sull’attività notarile) ...................................................................................... 143<br />

– influenza del diritto comunitario sull’ordinamento interno ........................... 141<br />

– legge applicabile ai patti successori (qualificazione<br />

e compatibilità con l’ordine pubblico internazionale)................................... 173<br />

– procedura d’insolvenza transfrontaliera (reg. CE n. 1346/2000)................. 143<br />

– rappresentanza di società inglesi ................................................................ 163<br />

– trasferimenti transfrontalieri di sede statutaria (art. 25 dip)......................... 151<br />

– trasferimento di sede con e senza cambio di legge societaria.................... 151<br />

– trasferibilità della sede sociale in ambito comunitario<br />

(trattato CE e giurisprudenza della Corte di Giustizia CE) .......................... 151<br />

DOCUMENTO INFORMATICO<br />

– allegazione di documento informatico ad atto pubblico<br />

o scrittura privata autenticata (art. 57-bis, comma 2, l.not.) ........................ 320<br />

– annotazione a repertorio della copia cartacea<br />

del documento informatico (art. 57-bis, comma 2, l.not.) ............................ 320<br />

– documento informatico contenente la riproduzione<br />

di atti pubblici, scritture private e atti amministrativi .................................... 320<br />

– estrazione di copia cartacea della copia informatica da allegare ad un atto<br />

pubblico o ad una scrittura privata (art. 57-bis, comma 2, l.not.) ................ 320<br />

DONAZIONI<br />

– con riserva di usufrutto successivo (da parte di nudo proprietario)............. 233<br />

Studi e Materiali – 1/2011 331


Indice analitico<br />

– di quota di s.r.l. che gestisce una farmacia comunale<br />

(clausola di prelazione)................................................................................ 302<br />

EDIFICI<br />

– attestato di certificazione energetica (contenuto e caratteristiche) ............. 181<br />

– certificazione energetica (profili operativi; legislazione regionale<br />

e ruolo del notaio)........................................................................................ 181<br />

– edifici da dotare di certificazione energetica (ed eventuali ipotesi<br />

di esclusione dall’obbligo di dotazione) ....................................................... 181<br />

– trasferimento di edifici e certificazione energetica....................................... 181<br />

EDILIZIA RESIDENZIALE<br />

– assegnazione di immobili da parte di cooperative edilizie<br />

(determinazione della base imponibile IVA) ................................................ 129<br />

ENTE ECCLESIASTICO<br />

– alienazione di beni immobili facenti parte del patrimonio stabile<br />

(regime delle autorizzazioni)........................................................................ 236<br />

– nozione e distinzione tra persone giuridiche canoniche pubbliche<br />

e persone giuridiche canoniche private....................................................... 236<br />

ESECUZIONE FORZATA<br />

– commerciabilità immobile “ante 1967” (con varianti al progetto originario<br />

non autorizzate) trasferito a seguito di procedura esecutiva....................... 243<br />

– esenzione dalle nullità previste dalla normativa urbanistica<br />

del trasferimento operato in sede di procedura esecutiva........................... 243<br />

FALLIMENTO<br />

– liquidazione dei beni del fallito secondo le regole del codice civile<br />

(delega alle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c.) ............................. 285<br />

– procedure competitive di vendita dei beni del fallimento ex art. 107 l.fall.<br />

(notaio incaricato dal curatore della redazione del verbale di gara)............ 285<br />

– procedura d’insolvenza transfrontaliera (reg. CE n. 1346/2000)................. 143<br />

FARMACIE<br />

– donazione di quota di s.r.l. che gestisce una farmacia comunale<br />

(clausola di prelazione)................................................................................ 302<br />

– s.r.l. che gestisce una farmacia comunale (partecipata da Comune<br />

con meno di 30.000 abitanti – problematiche) ............................................ 279<br />

FONDI<br />

– fondo intercluso (costituzione di servitù coattiva di passaggio) .................. 245<br />

– servitù a favore e a carico di fondi di proprietà del medesimo soggetto<br />

(applicazione del principio nemini res sua servit)........................................ 245<br />

332<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Indice analitico<br />

IMPOSTE<br />

– divieto di abuso del diritto (tributario) (onere della prova ed applicazione<br />

del principio del divieto di abuso) ................................................................ 157<br />

IMPOSTA DI BOLLO<br />

– applicazione del bollo forfetario a planimetrie catastali in copia<br />

non autentica ed ai certificati energetici allegati all’atto notarile<br />

in originale cartaceo .................................................................................... 307<br />

– applicazione dell’imposta di bollo a planimetrie catastali in copia<br />

autentica ed ai certificati energetici allegati all’atto notarile<br />

in copia autentica......................................................................................... 307<br />

IMPOSTA DI REGISTRO<br />

– assegnazione a socio di fabbricato strumentale acquistato<br />

da un privato................................................................................................ 315<br />

– cessione di parcheggi a raso (plusvalenze immobiliari – valutazione<br />

concreta della portata degli interventi urbanistici sull’area interessata)...... 312<br />

– regolarizzazione della società di fatto derivante<br />

dalla comunione ereditaria .......................................................................... 309<br />

IMPOSTE IPOTECARIA E CATASTALE<br />

– regolarizzazione della società di fatto derivante<br />

dalla comunione ereditaria .......................................................................... 309<br />

– regolarizzazione della società di fatto con conferimento di azienda<br />

comprendente beni immobili (trattamento fiscale applicabile –<br />

imposte dovute in misura fissa)................................................................... 317<br />

IMPOSTA DI SUCCESSIONE<br />

– regolarizzazione della società di fatto derivante dalla comunione<br />

ereditaria (in presenza di un contratto di affitto dell’azienda in comunione) 309<br />

IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO<br />

– assegnazione a socio di fabbricato strumentale acquistato da un privato.. 315<br />

– atti di assegnazione di immobili da parte di cooperative edilizie<br />

(determinazione della base imponibile)....................................................... 129<br />

– cessione di immobili facenti parte di una comunione ereditaria d’azienda<br />

(nel corso di trasformazione in s.r.l. e prima del decorso di 60 gg.<br />

dagli adempimenti pubblicitari).................................................................... 249<br />

IPOTECA<br />

– annotazione a margine dell’iscrizione ipotecaria di un atto<br />

di identificazione catastale........................................................................... 229<br />

– ipoteca su cosa futura (art. 2823 c.c.) ......................................................... 229<br />

– iscrizione ipotecaria e trascrizione dell’acquisto (art. 2644 c.c.) ................. 229<br />

Studi e Materiali – 1/2011 333


Indice analitico<br />

– iscrizione ipotecaria su terreno (estensione alla futura<br />

costruzione ex art. 2811 c.c.) ...................................................................... 229<br />

IMPRESA<br />

– trasferimento della qualifica d’impresa nel caso di conferimento<br />

d’azienda (comunione ereditaria d’azienda che si trasforma in s.r.l. –<br />

impresa costruttrice) .................................................................................... 249<br />

MUTUO<br />

– ipotecario (permuta di bene presente con bene futuro) .............................. 229<br />

NOTAIO<br />

– certificazione energetica degli edifici (ruolo del notaio)............................... 181<br />

– incarico a procedere alla vendita del compendio immobiliare<br />

(art. 104-ter, comma 3, l.fall.) ...................................................................... 285<br />

– liquidazione dei beni del fallito secondo le regole del codice civile<br />

(delega al notaio delle operazioni di vendita ex art. 591-bis c.p.c.<br />

e art. 107, comma 2, l.fall.) .......................................................................... 285<br />

NOTAIO – ATTI NOTARILI<br />

– allegazione di documento informatico ad atto pubblico<br />

o scrittura privata autenticata (art. 57-bis, comma 2, l.not.) ........................ 320<br />

– annotazione a repertorio della copia cartacea del documento informatico<br />

(art. 57-bis, comma 2, l.not.)........................................................................ 320<br />

– attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato<br />

alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale<br />

in luogo della dichiarazione di parte .............................................................. 17<br />

– circolazione immobiliare (d.l. n. 78 del 2010 – emersione<br />

della reale consistenza catastale in sede di atto notarile)............................... 3<br />

– costituzione della società (controllo di legalità di tipo “omologatorio”) .......... 77<br />

– dichiarazione dell’intestatario dell’immobile della conformità<br />

allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie<br />

(sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale)........................ 3, 17<br />

– documento informatico contenente la riproduzione<br />

di atti pubblici, scritture private e atti amministrativi .................................... 320<br />

– donazione di quota di s.r.l. che gestisce una farmacia comunale<br />

(operatività della clausola di prelazione – atto irricevibile) .......................... 302<br />

– estrazione di copia cartacea della copia informatica da allegare ad un atto<br />

pubblico o ad una scrittura privata (art. 57-bis, comma 2, l.not.) ................ 320<br />

– indicazione dell’identificazione catastale e riferimento<br />

alla planimetrie depositate in catasto ........................................................ 3, 17<br />

– pubblicità della rettifica certificata dal notaio<br />

(nell’ambito dei registri immobiliari) ............................................................... 49<br />

334<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Indice analitico<br />

– rettifica certificata dal notaio (art. 59-bis l. not. – natura e struttura<br />

della rettifica: ambito di applicazione e limiti di utilizzazione)........................ 49<br />

– rettifica degli errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti<br />

alla redazione degli atti pubblici e delle scritture private autenticate<br />

(rettifica certificata dal notaio – art. 59-bis l. not.).......................................... 49<br />

– rettifica e incarico delle parti .......................................................................... 49<br />

– società per azioni quotata: aumento del capitale con esclusione<br />

del diritto di opzione (iscrizione nel Registro delle Imprese<br />

della delibera assembleare di delega)......................................................... 263<br />

– trasferimento di proprietà d’immobile aggiudicato<br />

nella vendita “competitiva” ex art. 107 l.fall.<br />

(redazione del verbale di gara – ammissibilità) ........................................... 285<br />

PERMUTA<br />

– di bene presente con bene futuro (natura giuridica).................................... 229<br />

PUBBLICITÀ<br />

– presentazione della nota di trascrizione relativa<br />

all’atto di rettifica “certificata” ......................................................................... 49<br />

– pubblicità della rettifica certificata dal notaio<br />

(nell’ambito dei registri immobiliari) ............................................................... 49<br />

REGISTRI IMMOBILIARI<br />

– pubblicità della rettifica certificata dal notaio<br />

(nell’ambito dei registri immobiliari) ............................................................... 49<br />

SERVITÙ<br />

– fondo intercluso (costituzione di servitù coattiva di passaggio) .................. 245<br />

– modi di costituzione delle servitù coattive ................................................... 245<br />

– servitù a favore e a carico di fondi di proprietà del medesimo soggetto<br />

(applicazione del principio nemini res sua servit)........................................ 245<br />

SOCIETÀ<br />

– accertamento dei poteri rappresentativi di società inglesi<br />

(riflessi sull’attività notarile).......................................................................... 163<br />

– assegnazione a socio di fabbricato strumentale acquistato da un privato<br />

(aspetti fiscali).............................................................................................. 315<br />

– autorizzazioni per la costituzione della società<br />

(per l’esercizio di determinate attività)........................................................... 77<br />

– caratteristiche delle società inglesi.............................................................. 163<br />

– costituzione di società e indicazione dell’oggetto sociale ............................. 77<br />

– disciplina applicabile alle società consortili ................................................. 259<br />

– illiceità dell’oggetto sociale ............................................................................ 77<br />

– oggetto sociale (nozione e vincoli normativi)................................................. 77<br />

Studi e Materiali – 1/2011 335


Indice analitico<br />

– oggetto sociale (funzione e determinatezza)................................................. 77<br />

– oggetto sociale (formulazione) ...................................................................... 77<br />

– oggetto sociale: mediazione creditizia (disciplina transitoria –<br />

D.Lgs. n. 218 del 2010) ............................................................................... 295<br />

– rappresentanza di società inglesi ................................................................ 163<br />

– regolarizzazione della società di fatto derivante<br />

dalla comunione ereditaria .......................................................................... 309<br />

– regolarizzazione della società di fatto con conferimento<br />

di azienda comprendente beni immobili (trattamento fiscale applicabile –<br />

imposte dovute in misura fissa) ................................................................... 317<br />

– trasformazione in società di capitali di una comunione ereditaria<br />

di azienda (principio di continuità individuato nell’esistenza<br />

dell’azienda – deroga alla disciplina del conferimento di azienda) ............. 249<br />

SOCIETÀ COOPERATIVE<br />

– alle quali si applica la disciplina delle s.p.a.:<br />

limiti statutari alla rieleggibilità degli amministratori..................................... 289<br />

SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO<br />

– recesso del socio e “rinunciabilità” al termine di preavviso ......................... 293<br />

SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA<br />

– avente ad oggetto l’attività di gestione di una farmacia comunale.............. 279<br />

– collegio sindacale: dimissioni e prorogatio .................................................. 273<br />

– conferimento d’immobile sito all’estero (Stati Uniti)..................................... 257<br />

– delibera di riduzione del capitale sociale: mancanza<br />

delle osservazioni del collegio sindacale ed iscrivibilità<br />

della delibera (profili lesivi degli interessi dei terzi) ..................................... 273<br />

– delibera di riduzione del capitale sociale: essenzialità<br />

della relazione sulla situazione patrimoniale da parte<br />

dei sindaci dimissionari ma in prorogatio .................................................... 273<br />

– donazione di quota di s.r.l. che gestisce una farmacia comunale<br />

(clausola di prelazione)................................................................................ 302<br />

– oggetto sociale: servizi di mediazione e conciliazione ................................ 271<br />

– per la gestione di farmacia comunale (partecipata da Comune<br />

con meno di 30.000 abitanti – problematiche) ............................................ 279<br />

– trasformazione di consorzio con attività esterna in s.r.l. consortile<br />

(quorum per la delibera, tipologia di voto e quote di partecipazione<br />

al capitale sociale) ....................................................................................... 267<br />

– trasformazione di comunione ereditaria d’azienda in s.r.l.<br />

(trasformazione eterogenea ex art. 2500-octies c.c.).................................. 249<br />

336<br />

Studi e Materiali – 1/2011


Indice analitico<br />

SOCIETÀ PER AZIONI<br />

– consortile: clausola di esclusione dei soci (quorum per la delibera –<br />

rinvio alla disciplina dei consorzi) ................................................................ 259<br />

– natura, fasi e modificazione delle procedure delle operazioni<br />

con parti correlate........................................................................................ 117<br />

– operazioni con parti correlate (disciplina e profili notarili) ........................... 117<br />

– previsione dell’esclusione del socio in caso d’inadempimento di tutte<br />

le obbligazioni previste dallo statuto (rinvio alla disciplina dei consorzi)..... 259<br />

– procedimento di adozione delle regole (procedure) della società<br />

con azioni quotate in un mercato regolamentato o diffuse tra il pubblico ... 117<br />

– quotata: aumento del capitale con esclusione del diritto di opzione (iscrizione<br />

nel Registro delle Imprese della delibera assembleare di delega).............. 263<br />

– regolamento Consob recante le disposizioni in materia di operazioni<br />

con parti correlate.......................................................................................... 77<br />

– rapporti tra le procedure delle operazioni con parti correlate e lo statuto<br />

societario (modificazioni allo statuto – previsioni statutarie) ......................... 77<br />

SUCCESSIONI<br />

– legge applicabile ai patti successori (qualificazione e compatibilità<br />

con l’ordine pubblico internazionale) ........................................................... 173<br />

– regolarizzazione della società di fatto derivante dalla comunione<br />

ereditaria (aspetti fiscali).............................................................................. 309<br />

TRASCRIZIONE<br />

– iscrizione ipotecaria e trascrizione dell’acquisto (art. 2644 c.c.) ................. 229<br />

– permuta di bene presente con bene futuro ................................................. 229<br />

– presentazione della nota di trascrizione relativa<br />

all’atto di rettifica “certificata” ......................................................................... 49<br />

USUFRUTTO<br />

– donazione con riserva di usufrutto successivo<br />

(da parte di nudo proprietario)..................................................................... 233<br />

Studi e Materiali – 1/2011 337

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