Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica
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per rendere <strong>di</strong> nuovo operativo l’apparato industriale <strong>di</strong> tale area, con l’idea che esso avrebbe poi<br />
trainato la crescita dell’intero paese. In questo senso i risultati furono deludenti. Allo stesso tempo,<br />
gli effetti delle leggi <strong>di</strong> riforma fon<strong>di</strong>aria e l’attività <strong>di</strong> bonifica della “Cassa del Mezzogiorno”<br />
furono modesti e non certo sufficienti a risolvere una situazione che vedeva i red<strong>di</strong>ti conta<strong>di</strong>ni<br />
compressi oltre il limite del sopportabile da rapporti <strong>di</strong> produzione arcaici e da un peso eccessivo<br />
della ren<strong>di</strong>ta fon<strong>di</strong>aria.<br />
Tra il 1954 e la fine degli anni ‘60 l’economia italiana fece un fortissimo balzo in avanti,<br />
registrando solo una breve fase <strong>di</strong> crisi nel biennio 1963-64. La scarsa domanda interna e la<br />
mancanza <strong>di</strong> una <strong>politica</strong> pubblica espansiva portarono l’Italia a scegliere un sentiero <strong>di</strong> sviluppo<br />
basato sull’esportazione, una scelta che fu favorita anche dall’abbassamento delle barriere<br />
commerciali e dalle politiche keynesiane adottate da altri paesi, in particolare da Austria, Olanda,<br />
Svezia ed Inghilterra 33 .<br />
La scelta <strong>di</strong> questo sentiero <strong>di</strong> sviluppo ebbe un duplice effetto. Da un lato, provocò un<br />
accentuato dualismo tra un settore moderno ad alta intensità <strong>di</strong> capitale - la cui produzione era<br />
rivolta all’estero e che era localizzato prevalentemente nelle regioni del nord- ed un settore meno<br />
efficiente, ad alta intensità <strong>di</strong> lavoro, che produceva soprattutto per il mercato interno. Dall’altro,<br />
non consentì la crescita del livello occupazionale che nel corso degli anni ‘50 rimase<br />
sostanzialmente costante e nel decennio successivo registrò una <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> quasi il 4%. La<br />
necessità <strong>di</strong> rimanere competitivi sul mercato internazionale fu, infatti, perseguita e raggiunta<br />
tramite fortissimi incrementi della produttività 34 che, a partire dalla fine degli anni 50, coinvolsero<br />
anche i settori tra<strong>di</strong>zionalmente ad alta intensità <strong>di</strong> lavoro. Inoltre, anche la ripresa del 1966 fu<br />
caratterizzata da un’ulteriore fase <strong>di</strong> ristrutturazione organizzativa che provocò una <strong>di</strong>minuzione<br />
della elasticità occupazione prodotto.<br />
In presenza <strong>di</strong> una popolazione in età lavorativa stazionaria, le conseguenze sarebbero state<br />
limitate. Di fatto, tra il 1950 ed il 1970 la popolazione in età lavorativa del nostro paese aumentò<br />
notevolmente. Secondo le stime delle N.U., l’incremento fu <strong>di</strong> quasi 4 milioni <strong>di</strong> unità (+12,7%), il<br />
che comportò una significativa riduzione del rapporto tra popolazione attiva e popolazione in età<br />
lavorativa, valutabile in almeno 9 punti percentuali. Dietro questo dato complessivo si cela una<br />
<strong>di</strong>namica demografica complessa e territorialmente <strong>di</strong>fferenziata.<br />
In primo luogo, esso è il risultato <strong>di</strong> quasi 16 milioni <strong>di</strong> entrate e <strong>di</strong> 8,4 milioni <strong>di</strong> uscite che<br />
produssero un saldo generazionale <strong>di</strong> oltre 7,5 milioni <strong>di</strong> unità (Tav. 2.5). Poiché le morti tra i 15<br />
ed i 59 anni possono essere stimate a poco più <strong>di</strong> 100.000 all’anno, in assenza <strong>di</strong> flussi migratori, la<br />
popolazione in età lavorativa sarebbe aumentata <strong>di</strong> quasi 5,5 milioni <strong>di</strong> unità, vale a <strong>di</strong>re del 17,6%<br />
nel corso del ventennio. Ciò porta a valutare in circa 1,5 milioni gli espatri definitivi <strong>di</strong> persone in<br />
età lavorativa, un dato abbastanza coerente con quello dei bilanci demografici.<br />
Tav. 2.5 - Italia; popolazione in età lavorativa; bilanci demografici dal 1950-55 al 1966-70<br />
PEL anno<br />
iniziale del<br />
quinquennio<br />
Entr. Gen. Us. Gen. Saldo Gen. Morti SN SM ST<br />
PEL anno<br />
finale del<br />
quinquennio<br />
1950-55 30.817 4.130 1.874 2.256 517 1.739 -326 1413 32.230<br />
1956-60 32.230 3.774 1.936 1.838 526 1.312 -450 862 33.092<br />
1961-65 33.092 4.190 2.156 2.034 539 1.495 -332 1163 34.255<br />
1966-70 34.255 3.857 2431 1426 545 881 -401 480 34.735<br />
1950-70 15.951 8.397 7.554 2.127 5.427 -1.509 3918<br />
Fonte: Nazioni Unite<br />
Per quanto riguarda la <strong>di</strong>namica temporale possiamo osservare che le entrate nella<br />
popolazione in età lavorativa riflettono le vicende storiche ed istituzionali del nostro paese. Gli<br />
33 Si veda: M. Bruni e L. De Luca, Unemployment and labour market flexibility, 1993; G. Faustini, L’obiettivo<br />
occupazione nell’esperienza italiana, Loescher, 1984; A. Graziani, L’economia italiana dal 1945 ad oggi, <strong>Il</strong> Mulino,<br />
1989<br />
34 Tra il 1960 ed il 1973 la produttività del lavoro dell’economia italiana crebbe in me<strong>di</strong>a al 6,3%, un valore più elevato<br />
<strong>di</strong> quelli registrati da Francia (5,4%), Germania (4,6%) e Regno Unito (3,6%). Decisamente più modeste le performance<br />
<strong>di</strong> Canada (2,8%) e Stati Uniti (2,2%). Si veda M. Bruni e L. De Luca, op. cit. e OCSE, Economic Outlook, Parigi,<br />
1991.<br />
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