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Il futuro demografico dell'Italia - Dipartimento di Economia politica

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isolta nel passaggio da uno stato <strong>di</strong> equilibrio ad un altro stato <strong>di</strong> equilibrio, caratterizzati entrambi<br />

da modeste tassi <strong>di</strong> crescita naturale, si <strong>di</strong>mostrava così totalmente infondata. In questo caso, però,<br />

non solo ci si è resi subito conto delle implicazioni del fenomeno, ma la letteratura internazionale<br />

ha cominciato ad essere inondata da catastrofiche visioni del <strong>futuro</strong> nelle quali le popolazioni dei<br />

paesi sviluppati erano presentate come specie in via <strong>di</strong> estinzione. Le proiezioni demografiche e le<br />

loro applicazioni al mercato del lavoro ci presentano situazioni caratterizzate da una popolazione<br />

totale in netta <strong>di</strong>minuzione, una popolazione in età lavorativa che registrerebbe una contrazione<br />

ancora più pronunciata, e quin<strong>di</strong> non in grado <strong>di</strong> fare fronte alle esigenze occupazionali generate<br />

dalla crescita economica e che imporrebbe la contrazione della produzione nazionale e la<br />

delocalizzazione degli impianti produttivi, una progressiva crescita del numero degli anziani che<br />

finirebbero per rappresentare oltre un terzo della popolazione totale e schiaccerebbero sotto il loro<br />

peso il sistema pensionistico e previdenziale, un progressivo allargarsi della <strong>di</strong>fferenza tra il<br />

numero dei nati e dei morti che ad esempio nell’Italia del 2050 sarebbe prossimo o supererebbe, a<br />

seconda delle stime, le 200.000 unità.<br />

Un altro aspetto sorprendente della letteratura demografica ed economica dell’ultimo<br />

trentennio è che se la compresenza dei due fenomeni, caduta dei tassi <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà nei paesi<br />

sviluppati e accelerazione dei flussi migratori verso gli stessi paesi, è stata rilevata da numerosi<br />

stu<strong>di</strong>osi, ben pochi hanno postulato un chiaro rapporto <strong>di</strong> causalità fra questi due fenomeni.<br />

Un’inevitabile conseguenza <strong>di</strong> questi fallimenti analitici è stata l’incapacità <strong>di</strong> prevedere<br />

l’andamento dei flussi migratori da parte degli Istituti, nazionali ed internazionali, preposti alla<br />

formulazione <strong>di</strong> scenari demografici. Ciò ha determinato la formulazioni <strong>di</strong> scenari <strong>di</strong> calo<br />

<strong>demografico</strong> continuamente contraddetti dalla realtà e quin<strong>di</strong> continui adeguamenti verso l’alto<br />

delle previsioni.<br />

Se il metro <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio dei modelli demografici ed economici dei flussi migratori e delle<br />

proiezioni demografiche dovesse essere quello proposto da M. Friedman: “La vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> un<br />

modello deve essere giu<strong>di</strong>cata dalle sue capacità previsive” ai sostenitori <strong>di</strong> tali modelli non<br />

rimarrebbe che gettare a mare la loro cassetta degli attrezzi. Personalmente non con<strong>di</strong>vido la<br />

posizione <strong>di</strong> M. Friedman e ritengo che sia più opportuno giu<strong>di</strong>care i modelli sulla base del<br />

realismo e della coerenza delle loro ipotesi con la realtà che intendono rappresentare dato che solo<br />

queste con<strong>di</strong>zioni possono, a mio avviso, portare a previsioni corrette o in caso <strong>di</strong> fallimento<br />

consentire un’analisi del fallimento stesso. Cercherò, pertanto, <strong>di</strong> mostrare che questi sistemi logici<br />

sono errati proprio in questa prospettiva, il che rende in<strong>di</strong>spensabile una loro riformulazione.<br />

I crescenti flussi migratori che s’in<strong>di</strong>rizzano dai paesi poveri verso i paesi ricchi <strong>di</strong>fferiscono<br />

dalle forme precedenti <strong>di</strong> trasferimento forzato <strong>di</strong> forza lavoro per una maggiore livello <strong>di</strong><br />

“volontarietà”, ma la loro <strong>di</strong>rezione, la loro consistenza e la loro struttura sono, come è sempre<br />

stato, determinate dal rapporto tra <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> forza lavoro autoctona ed esigenze della struttura<br />

produttiva e dal tentativo delle imprese <strong>di</strong> ridurre i costi <strong>di</strong> produzione. È vero che la scia <strong>di</strong> sangue<br />

degli attuali flussi migratori, per quanto pesante, è certamente inferiore in termini assoluti a quella<br />

del trasferimento <strong>di</strong> schiavi e <strong>di</strong> para schiavi che hanno caratterizzato il mondo fin ben oltre l’inizio<br />

del XX secolo, un fenomeno che fra l’altro è ben lungi dall’essere scomparso, ma le unità <strong>di</strong><br />

misura e <strong>di</strong> sensibilità <strong>di</strong> una società che si sente e si professa molto più progre<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> quelle del<br />

passato dovrebbero rendere l’orrore per quanto sta succedendo oggi attorno a noi ancora maggiore.<br />

<strong>Il</strong> fatto che ciò non stia avvenendo apre inquietanti spiragli sull’essenza della natura umana e sugli<br />

effetti che l’egoismo può avere sulla capacità <strong>di</strong> leggere ed interpretare la realtà.<br />

L’altra <strong>di</strong>fferenza è l’origine del fabbisogno <strong>di</strong> forza lavoro. Nel passato la carenza <strong>di</strong> forza<br />

lavoro ha avuto le determinanti più <strong>di</strong>verse: la definizione del ruolo dei citta<strong>di</strong>ni nel processo<br />

produttivo (Grecia), la necessità <strong>di</strong> sostituire la forza lavoro agricola destinata al servizio militare<br />

(Roma), il genoci<strong>di</strong>o della popolazione autoctona (America latina), uno sviluppo del contesto<br />

produttivo <strong>di</strong> gran lunga maggiore <strong>di</strong> quello della popolazione residente (Stati Uniti, Australia). Al<br />

momento attuale il fabbisogno è generato per la prima volta da un fenomeno <strong>demografico</strong><br />

endogeno non violento, la denatalità generata dal sempre più <strong>di</strong>ffuso potere <strong>di</strong> controllo in<strong>di</strong>viduale<br />

sulla procreazione e dalle caratteristiche socio economiche delle società più ricche. La denatalità<br />

porta inevitabilmente ad un a progressiva riduzione delle entrate nella popolazione in età lavorativa<br />

e quin<strong>di</strong> delle entrate nelle forze <strong>di</strong> lavoro e, colà dove il fenomeno è stato particolarmente<br />

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