Dubai - febbraio 2007 Saldanha Bay - marzo/aprile 2007
Davide da Napoli e Paolo da Genova; poi, Lino da Livorno, Domenico (Mimmo) da Augusta e Stefano da Ravenna. Sono i volontari che hanno formato le due pattuglie partite in avanscoperta in missioni estere, nell’inedito fronte dell’off-shore. Missioni a Dubai e Saldanha Bay, dove è stata formata l’altrettanto inedita partnership italo-olandese che lancia le strategie di lavoro degli ormeggiatori italiani ben oltre i confini nazionali. Ed è sotto questo profilo che è da rimarcare come i cinque porti di partenza degli ‘esploratori’ assumano sentore emblematico, ravvisando sia la elevata egemonia dei livelli professionali raggiunti dalla categoria sia la sua intrinseca compattezza. E, ovviamente, riproponendo in chiave strettamente operativa l’abilità e l’intelligenza professionale già sciorinata ai colleghi di Rotterdam nel loro ambiente di lavoro, traendone ammirato consenso. Tali caratteristiche si ritrovano nelle ‘note’ redatte al termine dell’iniziale esperienza arabica e sudafricana dai ‘capipattuglia’: Paolo Oneto e Lino Capozzi, quest’ultimo accreditato da Angopi quale coordinatore dell’intera iniziativa. Tanto a Dubai quanto a Saldanha Bay le operazioni si sono snodate al meglio facendo perno sulle capacità del team formato dagli ormeggiatori olandesi e italiani. La sequenza delle operazioni li ha visti sicuri protagonisti in ogni fase di un lavoro moltiplicato per dimensioni, pericolosità e difficoltà. E ciò in ogni azione: dalla sistemazione razionale delle attrezzature alla preparazione e impiego delle catenarie e dei cavi d’ormeggio sino alle fasi finali del posizionamento <strong>della</strong> gigantesca struttura metallica sulla nave autoaffondante che doveva trasportarla nei campi petroliferi off-shore. “Un’esperienza entusiasmante, professionalmente molto gratificante”, l’ha definita Oneto, parco di parole, ma ben più esaustivo nella sua relazione tecnica. Nella quale si può individuare anche le locali carenze professionali, che avrebbero potuto compromettere l’operazione, ma anche attentare all’incolumità fisica degli uomini. E quindi comprendere i motivi che spingono la società committente ad affidare il lavoro a personale esperto e di ottima levatura professionale. Tema, questo, riproposto nella realtà di Saldanha Bay nonché nel commento di Capozzi, che nel suo ruolo di coordinatore l’ha articolato sia in chiave tecnica sia sotto l’aspetto organizzativo volto al futuro; proiezione questa elaborata a più voci, avendo coinvolto anche le esperienze di ogni componente di entrambe le squadre. Da queste conversazioni “è risultato evidente che i prossimi uomini che dovranno partire devono esercitarsi per ottenere una buona conoscenza dell’inglese tecnico-marittimo, quello codificato per comunicazioni radio nonché l’inglese conversato al telefono per comprendere le indicazioni sulle operazioni, spesso impartite la sera telefonicamente per il giorno successivo”, osserva Capozzi. Che, riguardo la capacità operativa, “ i nostri sono stati numerose volte d’esempio anche per mansioni non strettamente legate all’operazione off-shore”, ma che sarebbero poi risultate essenziali nell’economia del lavoro. Per cui, squadre italiane attente alla pulizia del ponte e dei locali delle barge, dell’ordine tenuto nelle zone di lavoro, delle piccole manutenzioni necessarie per un migliore utilizzo degli attrezzi, e via elencando. Con evidente soddisfazione Capozzi riporta che “è risultata evidentissima la maggiore abilità e conoscenza dei nostri nelle arti prettamente marinaresche ‘di bordo’ acquisita nella vera navigazione e ben diversa dalla preparazione <strong>della</strong> scuola olandese per ormeggiatori. Dunque, il lavoro da svolgere è in pratica come se si fosse a bordo ai posti di manovra”. Ritenuta dal coordinatore una circostanza da migliorare è stata l’insufficienza numerica <strong>della</strong> squadra italo – olandese, ovvero di personale esperto. “In quanto le operazioni da effettuare in barca affidate a gente locale sono state svolte in modo altamente pericoloso e dal risultato insoddisfacente, al punto che anche qui siamo dovuti intervenire per spiegare e illustrare come distendere i cavi con la barca previa raccolta di abbondante imbando, come abbozzare i cavi stessi in barca, eccetera... Non si rendevano neanche conto <strong>della</strong> differenza tra sotto e sopravento, mettendo a repentaglio la sicurezza di chi lavorava e delle attrezzature stesse”. Insomma, tutte cose che in pratica gli ormeggiatori italiani svolgono ogni giorno a casa propria, “ma che i locali non avevano proprio idea di come fare”.