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Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto - casaregi

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consorzio avente per oggetto anch’esso lo svolgimento<br />

di attività di vigilanza privata. Tuttavia, era<br />

emerso in sede di giudizio di merito (ed in particolare<br />

in sede di appello) che la finalità fondamentale<br />

<strong>del</strong> predetto contratto fosse di consentire alla società<br />

commissionaria di estendere l’operatività dei<br />

propri servizi di vigilanza e custodia anche in un ambito<br />

territoriale rispetto al quale la società stessa non<br />

era, però, abilitata a svolgere le prestazioni. È da premettere<br />

ed evidenziare, in ogni caso, che nella ricostruzione<br />

<strong>del</strong> giudizio si legge inizialmente - in maniera<br />

imprecisa e contr<strong>ad</strong>dittoria - una differente<br />

qualificazione <strong>del</strong> contratto de quo operata dal giudice<br />

di prime cure: invero, nella fase processuale culminata<br />

nella sentenza non definitiva <strong>del</strong> Tribunale<br />

di Lecce il nomen juris <strong>del</strong> negozio è identificato in<br />

una consulenza tecnica affidata alla società concessionaria.<br />

Nel prosieguo <strong>del</strong>la narrativa <strong>del</strong>l’iter giudiziale,<br />

invece, il negozio è interpretato e qualificato<br />

come contratto di vigilanza privata sia dalla Corte di<br />

Appello di Lecce, sia dalla Corte di Cassazione ed<br />

alla luce di tale configurazione viene esercitato il<br />

sindacato di legittimità <strong>del</strong>la Suprema Corte.<br />

Il commento, pertanto, in mancanza di elementi e<br />

presupposti di fatto differenti che non è dato ricavare<br />

dalla laconica decisione, si baserà su tale ultima<br />

qualificazione, anche perché in vari punti <strong>del</strong>la sentenza<br />

si richiama significativamente l’attenzione<br />

sulla tipologia di prestazioni oggetto <strong>del</strong> contratto<br />

coincidenti proprio con la fornitura di servizi di vigilanza.<br />

Ma vi è di più. Nella sentenza in esame si parla in alcuni<br />

punti <strong>del</strong>la motivazione, come si è visto sopra,<br />

di illiceità <strong>del</strong>la finalità <strong>del</strong> contratto de quo per elusione<br />

di norme di ordine pubblico (1), volendo con<br />

ciò, evidentemente, alludere a norme imperative<br />

aventi <strong>ad</strong> oggetto la regolamentazione dei compiti<br />

di polizia e sicurezza. In ogni caso, il ricorrente (amministratore<br />

<strong>del</strong>la società concessionaria) aveva<br />

censurato la sentenza <strong>del</strong>la Corte di Appello - che<br />

aveva riformato la decisione di primo gr<strong>ad</strong>o, dichiarando<br />

la nullità <strong>del</strong> contratto de quo - sulla base di<br />

tre motivi fondamentali.<br />

I primi due motivi, evidentemente connessi, lamentavano<br />

in sostanza l’erroneità <strong>del</strong>la statuizione, in<br />

quanto nella vicenda concreta avrebbe fatto difetto<br />

ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. l’esclusività <strong>del</strong> motivo comune<br />

ed illecito. Invero, secondo il ricorrente, la<br />

controparte avrebbe concluso il contratto perché<br />

interessata all’acquisizione di una fideiussione offerta<br />

dal ricorrente stesso (quale amministratore <strong>del</strong>la<br />

società concessionaria <strong>del</strong> servizio) al consorzio in<br />

cui egli ricopriva la carica di presidente. Al contem-<br />

Giurisprudenza<br />

Contratti in generale<br />

po, vi era stata solo consapevolezza e non una effettiva<br />

e strutturale condivisione economica <strong>del</strong>la finalità<br />

perseguita dal ricorrente di estendere l’operatività<br />

<strong>del</strong> servizio di vigilanza in zone in cui mancavano<br />

le prescritte autorizzazioni. Di qui l’inapplicabilità<br />

<strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. per esservi stato un motivo ulteriore<br />

(che avrebbe escluso l’esclusività <strong>del</strong> movente<br />

stesso) e, comunque, la mera conoscenza <strong>del</strong>l’illiceità<br />

<strong>del</strong> motivo stesso.<br />

La Cassazione, per contro, nel sottolineare la congruità<br />

degli apprezzamenti di fatto svolti dalla Corte<br />

territoriale, ha evidenziato, altresì, la corretta applicazione<br />

<strong>del</strong> principio in tema di illiceità ex art. 1345<br />

c.c. (2) posto che entrambe le parti hanno voluto<br />

concludere il contratto nella consapevolezza che<br />

con esso sarebbero state eluse le norme d’ordine<br />

pubblico (rectius: norme imperative) che assoggettano<br />

<strong>ad</strong> autorizzazione prefettizia l’esercizio per mezzo<br />

di guardie giurate particolari <strong>del</strong>l’attività di vigilanza<br />

e custodia. In particolare, il giudice di legittimità<br />

rileva che essenziale è «il motivo, comune e illecito,<br />

che ha determinato la conclusione <strong>del</strong> contratto e<br />

che risulta in esso esteriorizzato, al di là <strong>del</strong> movente<br />

che ha determinato la volontà dei contraenti, effettivamente<br />

diverso, poiché - come risulta dalla<br />

sentenza impugnata - da una parte si perseguiva l’intento<br />

di introdursi in territori in cui erano presenti<br />

altri istituti similari, mentre lo scopo <strong>del</strong>l’altra parte<br />

era di acquisire una fideiussione di Lit. 150.000.000<br />

e tuttavia era estraneo alla struttura <strong>del</strong> contratto».<br />

Orbene, prosegue la Corte, «l’intento pratico perseguito<br />

da ciascun contraente rappresenta un motivo<br />

o impulso interno, di carattere squisitamente soggettivo<br />

ed estraneo al congegno negoziale, così come le<br />

previsioni e le aspettative dei medesimi in ordine al<br />

risultato economico <strong>del</strong> contratto, qualora non trovino<br />

alcun riscontro, nel significato obiettivo e socialmente<br />

riconoscibile <strong>del</strong>le rispettive dichiarazioni<br />

negoziali o nella intrinseca essenza <strong>del</strong> rapporto,<br />

restano confinate nel campo dei semplici moventi o<br />

I contratti 3/2010 241<br />

Note:<br />

(1) Sui principi di ordine pubblico v. per tutti, G.B. Ferri, Ordine<br />

pubblico, buon costume e teoria <strong>del</strong> contratto, Milano, 1970, ove<br />

anche l’indicazione per cui l’ordine pubblico e il buon costume<br />

operano quali criteri di liceità distinti e residuali rispetto alle norme<br />

imperative. Per una più risalente configurazione, invece, <strong>del</strong>l’ordine<br />

pubblico come complesso <strong>del</strong>le norme imperative v. J.<br />

Carbonnier, Droit civil, Paris, 1962, 385.<br />

(2) Sulla fattispecie di cui all’art. 1345 c.c. si veda in dottrina: G.<br />

Palermo, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970; V.<br />

Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001, 412 ss.;<br />

C. Scognamiglio, Problemi <strong>del</strong>la causa e <strong>del</strong> tipo, in Trattato <strong>del</strong><br />

contratto, diretto da V. Roppo, II, Regolamento, a cura di G. Venturi,<br />

Milano, 2006, 169 ss.

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