Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto - casaregi
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Abuso <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
<strong>Recesso</strong> <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>, <strong>buona</strong><br />
<strong>fede</strong> e <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
Svolgimento <strong>del</strong> processo<br />
Tra il 1992 ed il 1996 gli attuali ricorrenti, tutti ex concessionari<br />
<strong>del</strong>la Renault Italia spa, furono revocati dalla<br />
stessa società, sulla base <strong>del</strong>la facoltà di recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong><br />
previsto dall’art. 12 <strong>del</strong> contratto di concessione di vendita.<br />
Poiché in tale condotta fu ravvisato un comportamento<br />
abusivo, e comunque illecito da parte <strong>del</strong>la Renault Italia<br />
spa, fu fondata la Associazione Concessionari Revocati,<br />
con lo scopo di «programmare, provvedere, sviluppare,<br />
organizzare, gestire ogni iniziativa ed attività idonea alla<br />
tutela e difesa, nonché alla rappresentanza, dei diritti dei<br />
Concessionari d’auto revocati dalle case automobilistiche<br />
(concessionari) aventi sede nel territorio italiano».<br />
L’Associazione ed i concessionari revocati convenivano,<br />
quindi, la Renault Italia spa davanti al tribunale di Ro-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106 - Pres. Varrone - Rel. Urban - P. M.<br />
Destro - A. G. c. Renault Italia S.p.a.<br />
I<br />
Di fronte <strong>ad</strong> un recesso non qualificato il giudice non può esimersi dal valutare le circostanze allegate dai destinatari<br />
<strong>del</strong>l’atto di recesso, quali impeditive <strong>del</strong> suo esercizio, o quali fondanti un <strong>diritto</strong> al risarcimento per il<br />
suo abusivo esercizio.<br />
II<br />
L’esercizio <strong>del</strong> potere contrattuale (di recesso) riconosciuto dall’autonomia privata deve essere posto in essere<br />
nel rispetto di determinati canoni generali - quali quello <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva, <strong>del</strong>la lealtà dei comportamenti<br />
e <strong>del</strong>la correttezza (alla luce dei quali devono essere interpretati gli stessi atti di autonomia contrattuale.<br />
Il fine da perseguire è quello di evitare che il <strong>diritto</strong> soggettivo possa sconfinare nell’arbitrio. Da ciò<br />
il rilievo <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> nell’esercizio <strong>del</strong> proprio <strong>diritto</strong>.<br />
III<br />
L’irrilevanza, per il <strong>diritto</strong>, <strong>del</strong>le ragioni che sono a monte <strong>del</strong>la conclusione ed esecuzione di un determinato<br />
rapporto negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un controllo da parte <strong>del</strong> giudice, al fine di valutare se l’esercizio<br />
<strong>del</strong>la facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei princìpi<br />
espressione dei canoni generali <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, <strong>del</strong>la lealtà e <strong>del</strong>la correttezza.<br />
IV<br />
In ipotesi di eventuale, provata disparità di forze tra i contraenti, la verifica giudiziale <strong>del</strong> carattere abusivo o<br />
meno <strong>del</strong> recesso può prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli<br />
atti emulativi, ma non <strong>del</strong>le fattispecie di <strong>abuso</strong> di potere contrattuale o di dipendenza economica<br />
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI<br />
Conforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.<br />
Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.<br />
ma, allo scopo di ottenere la declaratoria di illegittimità<br />
<strong>del</strong> recesso per <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, e la conseguente condanna<br />
<strong>del</strong>la Renault Italia spa al risarcimento dei danni<br />
subiti per effetto <strong>del</strong>l’abusivo recesso.<br />
Renault Italia spa si costituiva chiedendo il rigetto <strong>del</strong>la<br />
domanda, con la condanna alle spese.<br />
Il tribunale, con sentenza in data 11 giugno 2001, rigettava<br />
la domanda compensando le spese.<br />
Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che,<br />
con sentenza <strong>del</strong> 13 gennaio 2005, rigettava gli appelli<br />
proposti dall’Associazione e dai concessionari, che condannava<br />
al pagamento <strong>del</strong>le spese.<br />
Riteneva, in particolare, la Corte di merito che la previsione<br />
<strong>del</strong> recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> in favore <strong>del</strong>la Renault Italia<br />
rendesse superfluo ogni controllo causale sull’esercizio di<br />
tale potere.<br />
I contratti 1/2010 5
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
Hanno proposto ricorso principale per cassazione affidato<br />
a cinque motivi illustrati da memoria i soggetti indicati<br />
in epigrafe.<br />
Resiste con controricorso la Renault Italia spa che ha,<br />
anche, proposto ricorso incidentale affidato <strong>ad</strong> un motivo.<br />
Motivi <strong>del</strong>la decisione<br />
Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale -<br />
vanno riuniti ai sensi <strong>del</strong>l’art. 335 c.p.c..<br />
Ricorso principale.<br />
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano la<br />
violazione e falsa applicazione <strong>del</strong>l’art. 216 c.p.c. in relazione<br />
all’art. 158 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4).<br />
Sostengono che la sentenza impugnata sia affetta da nullità<br />
per vizi relativi alla costituzione <strong>del</strong> giudice, vale a dire<br />
per «mancanza di collegialità nella decisione testimoniata<br />
dal fatto che la sentenza impugnata risulta estesa il<br />
28 settembre 2004, ossia molto prima che fosse tenuta la<br />
camera di consiglio <strong>del</strong> 12 ottobre 2004».<br />
Il motivo non è fondato.<br />
L’apposizione in calce alla sentenza <strong>del</strong>la data <strong>del</strong> 28 settembre<br />
2004, invece di quella <strong>del</strong> 12 ottobre 2004 (data<br />
in cui si è tenuta la camera di consiglio) risulta frutto di<br />
un semplice errore materiale, posto che - come risulta dagli<br />
atti - nella data <strong>del</strong> 28 settembre 2004 la Corte di merito<br />
si era già riunita in camera di consiglio per l’esame<br />
<strong>del</strong>l’appello.<br />
Peraltro, l’errore materiale commesso è stato emendato attraverso<br />
il procedimento di correzione ex artt. 287 e 288<br />
c.p.c., con ordinanza emessa in data 25 maggio 2005 - a seguito<br />
di scioglimento <strong>del</strong>la riserva <strong>ad</strong>ottata all’udienza collegiale<br />
<strong>del</strong> 24 maggio 2005 - <strong>del</strong> seguente tenore: «corregge<br />
la sentenza <strong>del</strong>la Corte di Appello di Roma n. 136 depositata<br />
il 13 gennaio 2005 nel senso che dove è scritto, alla<br />
fine <strong>del</strong>la sentenza e dopo la parola Roma, “28 settembre<br />
2004” deve intendersi scritto “12 ottobre 2004”, disponendo<br />
che la cancelleria effettui l’annotazione di rito».<br />
La correzione così effettuata rende inammissibile la censura,<br />
posto che i ricorrenti non denunciano la correttezza<br />
<strong>del</strong> procedimento <strong>ad</strong>ottato, di correzione <strong>del</strong>l’errore materiale<br />
contenuto nella sentenza impugnata.<br />
Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa<br />
applicazione <strong>del</strong>le clausole generali <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, ed<br />
in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia<br />
privata e <strong>del</strong>la conseguente non applicabilità<br />
<strong>del</strong>la figura <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> all’esercizio <strong>del</strong> recesso<br />
<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175<br />
e 1375 c.c.).<br />
Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione<br />
<strong>del</strong>l’art. 2043 c.c.; contr<strong>ad</strong>dittorietà <strong>del</strong>la motivazione<br />
sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5).<br />
Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione<br />
<strong>del</strong>le disposizioni sull’agenzia ed errata valutazione<br />
<strong>del</strong>la giurisprudenza tedesca in materia (art. 360<br />
c.p.c., n. 3).<br />
Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che<br />
si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate,<br />
vanno esaminati congiuntamente.<br />
6<br />
Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le<br />
ragioni che seguono.<br />
Costituiscono principii generali <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> <strong>del</strong>le obbligazioni<br />
quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale<br />
debbono comportarsi secondo le regole <strong>del</strong>la correttezza<br />
(art. 1175 c.c.) e che l’esecuzione dei contratti debba<br />
avvenire secondo <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> (art. 1375 c.c.).<br />
In tema di contratti, il principio <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva,<br />
cioè <strong>del</strong>la reciproca lealtà di condotta, deve presiedere<br />
all’esecuzione <strong>del</strong> contratto, così come alla sua formazione<br />
ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo<br />
in ogni sua fase (Cass. 5 marzo 2009 n.<br />
5348; Cass. 11 giugno 2008 n. 15476).<br />
Ne consegue che la clausola generale di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> e correttezza<br />
è operante, tanto sul piano dei comportamenti<br />
<strong>del</strong> debitore e <strong>del</strong> creditore nell’ambito <strong>del</strong> singolo rapporto<br />
obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano<br />
<strong>del</strong> complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione<br />
<strong>del</strong> contratto (art. 1375 cod. civ.).<br />
I principii di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> e correttezza, <strong>del</strong> resto, sono entrati,<br />
nel tessuto connettivo <strong>del</strong>l’ordinamento giuridico.<br />
L’obbligo di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva o correttezza costituisce,<br />
infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di<br />
un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione<br />
è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le<br />
altre, Cass. 15 febbraio 2007 n. 3462).<br />
Una volta collocato nel qu<strong>ad</strong>ro dei valori introdotto dalla<br />
Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso<br />
come una specificazione degli “inderogabili doveri di<br />
solidarietà sociale” imposti dall’art. 2 Cost., e la sua rilevanza<br />
si esplica nell’imporre, a ciascuna <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong><br />
rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare<br />
gli interessi <strong>del</strong>l’altra, a prescindere dall’esistenza<br />
di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente<br />
stabilito da singole norme di legge.<br />
In questa prospettiva, si è pervenuti <strong>ad</strong> affermare che il<br />
criterio <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> costituisce strumento, per il giudice,<br />
atto a controllare, anche in senso modificativo od<br />
integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia<br />
<strong>del</strong> giusto equilibrio degli opposti interessi.<br />
La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, così<br />
si esprimeva: (il principio di correttezza e <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>)<br />
«richiama nella sfera <strong>del</strong> creditore la considerazione <strong>del</strong>l’interesse<br />
<strong>del</strong> debitore e nella sfera <strong>del</strong> debitore il giusto<br />
riguardo all’interesse <strong>del</strong> creditore», operando, quindi,<br />
come un criterio di reciprocità.<br />
In sintesi, disporre di un potere non è condizione sufficiente<br />
di un suo legittimo esercizio se, nella situazione<br />
data, la patologia <strong>del</strong> rapporto può essere superata facendo<br />
ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti<br />
in modo più proporzionato.<br />
In questa ottica la clausola generale <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> ex<br />
artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell’ambito<br />
dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di<br />
posizione dominante.<br />
La <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, in sostanza, serve a mantenere il rapporto<br />
giuridico nei binari <strong>del</strong>l’equilibrio e <strong>del</strong>la proporzione.<br />
Criterio rivelatore <strong>del</strong>la violazione <strong>del</strong>l’obbligo di <strong>buona</strong><br />
<strong>fede</strong> oggettiva è quello <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
I contratti 1/2010
Gli elementi costitutivi <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> - ricostruiti<br />
attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono<br />
i seguenti: 1) la titolarità di un <strong>diritto</strong> soggettivo in capo<br />
<strong>ad</strong> un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio<br />
di quel <strong>diritto</strong> possa essere effettuato secondo una pluralità<br />
di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la<br />
circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente<br />
rispettoso <strong>del</strong>la cornice attributiva di quel <strong>diritto</strong>,<br />
sia svolto secondo modalità censurabili rispetto <strong>ad</strong> un criterio<br />
di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza<br />
che, a causa di una tale modalità di esercizio, si<br />
verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio<br />
<strong>del</strong> titolare <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.<br />
L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, quindi, lungi dal presupporre una violazione<br />
in senso formale, <strong>del</strong>inea l’utilizzazione alterata<br />
<strong>del</strong>lo schema formale <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, finalizzata al conseguimento<br />
di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati<br />
dal Legislatore.<br />
È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il<br />
potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di<br />
esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva <strong>del</strong>l’atto rispetto<br />
al potere che lo prevede.<br />
Come conseguenze di tale, eventuale <strong>abuso</strong>, l’ordinamento<br />
pone una regola generale, nel senso di rifiutare la<br />
tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione<br />
<strong>del</strong>le corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti<br />
contrari alla <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva.<br />
E nella formula <strong>del</strong>la mancanza di tutela, sta la finalità di<br />
impedire che possano essere conseguiti o conservati i<br />
vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di<br />
per sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da<br />
alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza,<br />
che è regola cui l’ordinamento fa espresso richiamo<br />
nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.<br />
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, in<br />
via generale, l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
La cultura giuridica degli anni ‘30 fondava l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>,<br />
più che su di un principio giuridico, su di un concetto<br />
di natura etico morale, con la conseguenza che colui<br />
che ne abusava era considerato meritevole di biasimo,<br />
ma non di sanzione giuridica.<br />
Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per<br />
la certezza - o quantomeno prevedibilità <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> - in<br />
considerazione <strong>del</strong>la grande latitudine di potere che una<br />
clausola generale, come quella <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>,<br />
avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa,<br />
nella stesura definitiva <strong>del</strong> codice civile italiano <strong>del</strong><br />
1942, quella norma <strong>del</strong> progetto preliminare (art. 7) che<br />
proclamava, in termini generali, che «nessuno può esercitare<br />
il proprio <strong>diritto</strong> in contrasto con lo scopo per il<br />
quale il <strong>diritto</strong> medesimo gli è stato riconosciuto» (così<br />
ponendosi l’ordinamento italiano in contrasto con altri<br />
ordinamenti, <strong>ad</strong> es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo,<br />
invece, <strong>ad</strong> una norma di carattere generale, norme<br />
specifiche che consentissero di sanzionare l’<strong>abuso</strong> in relazione<br />
a particolari categorie di diritti.<br />
Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico,<br />
un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
rimeditata attenzione da parte <strong>del</strong>la Corte di legittimità<br />
(v. applicazioni <strong>del</strong> principio in Cass. 8 aprile 2009 n.<br />
8481; Cass. 20 marzo 2009 n. 6800; Cass. 17 ottobre<br />
2008 n. 29776; Cass. 4 giugno 2008 n. 14759; Cass. 11<br />
maggio 2007 n. 10838).<br />
Così, in materia societaria è stato sindacato, in una <strong>del</strong>iberazione<br />
assembleare di scioglimento <strong>del</strong>la società, l’esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di voto sotto l’aspetto <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> di potere,<br />
ritenendo principio generale <strong>del</strong> nostro ordinamento,<br />
anche al di fuori <strong>del</strong> campo societario, quello di non<br />
abusare dei propri diritti - con approfittamento di una posizione<br />
di supremazia - con l’imposizione, nelle <strong>del</strong>ibere<br />
assembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto da<br />
una clausola generale quale la correttezza e <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
(contrattuale).<br />
In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto secondo<br />
<strong>buona</strong> <strong>fede</strong> e correttezza nei loro rapporti reciproci,<br />
ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione è<br />
integrativa <strong>del</strong> contratto sociale, nel senso di imporre il<br />
rispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sono<br />
portatrici.<br />
E la conseguenza è quella <strong>del</strong>la invalidità <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ibera,<br />
se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato esercitato<br />
allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero<br />
risulti in concreto preordinato <strong>ad</strong> avvantaggiare ingiustificatamente<br />
i soci di maggioranza in danno di quelli<br />
di minoranza, in violazione <strong>del</strong> canone generale di<br />
<strong>buona</strong> <strong>fede</strong> nell’esecuzione <strong>del</strong> contratto (v. Cass. 11 giugno<br />
2003 n. 9353).<br />
Con il rilievo che tale canone generale non impone ai<br />
soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma<br />
rileva soltanto come limite esterno all’esercizio di una<br />
pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli<br />
opposti interessi (Cass. 12 dicembre 2005 n. 27387).<br />
Ancora, sempre nell’ambito societario, la materia <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> è stata esaminata con riferimento alla<br />
qualità di socio ed all’<strong>ad</strong>empimento secondo <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
<strong>del</strong>le obbligazioni societarie ai fini <strong>del</strong>la sua esclusione<br />
dalla società (Cass. 19 dicembre 2008 n. 29776), ed al fenomeno<br />
<strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong>la personalità giuridica quando essa<br />
costituisca uno schermo formale per eludere la più rigida<br />
applicazione <strong>del</strong>la legge (v. anche Cass. 25 gennaio<br />
2000 n. 804; Cass. 16 maggio 2007 n. 11258).<br />
In tal caso, proprio richiamando l’<strong>abuso</strong>, ne sarà possibile,<br />
per così dire, il suo “disvelamento” (piercing the corporate<br />
veil).<br />
Nell’ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte riconosciuto<br />
che, in ossequio al principio per cui il contratto<br />
deve essere eseguito secondo <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> (art. 1375<br />
cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una banca<br />
dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente<br />
consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi<br />
illegittimo ove in concreto assuma connotati <strong>del</strong><br />
tutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21 maggio 1997 n.<br />
4538; Cass. 14 luglio 2000 n. 9321; Cass. 21 febbario<br />
2003 n. 2642).<br />
E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è stato<br />
ritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che,<br />
nel regolare tali rapporti, consenta all’istituto di credito<br />
I contratti 1/2010 7
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi dei<br />
diversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, in<br />
qualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la contestazione<br />
sollevata dal cliente che, a fronte <strong>del</strong>la intervenuta<br />
operazione di compensazione, lamenti di non esserne<br />
stato prontamente informato e di essere andato incontro,<br />
per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli,<br />
impone al giudice di merito di valutare il comportamento<br />
<strong>del</strong>la banca alla stregua <strong>del</strong> fondamentale principio<br />
<strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> nella esecuzione <strong>del</strong> contratto. Con la<br />
conseguenza, in caso contrario, <strong>del</strong> riconoscimento a carico<br />
<strong>del</strong>la banca, di una responsabilità per risarcimento<br />
dei danni (Cass. 28 settembre 2005 n. 18947).<br />
In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono stati<br />
applicati, in particolare, con riferimento al contratto di<br />
mediazione (Cass. 5 marzo 2009 n. 5348), al contratto di<br />
sale and lease back connesso al divieto di patto commissorio<br />
ex art. 2744 c.c., (Cass. 16 ottobre 1995 n. 10805;<br />
Cass. 26 giugno 2001 n. 8742; Cass. 22 marzo 2007 n.<br />
6969; Cass. 8 aprile 2009 n. 8481), ed al contratto autonomo<br />
di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1 ottobre 1999 n.<br />
10864; Cass. 28 luglio 2004 n. 14239; Cass. 7 marzo 2007<br />
n. 5273).<br />
Del principio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> è stato, da ultimo, fatto<br />
frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul riconoscimento<br />
<strong>del</strong>l’esistenza di un generale principio antielusivo<br />
(v. per tutte S.U. 23 ottobre 2008 nn. 30055,<br />
30056, 30057).<br />
Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di ritenere<br />
ormai acclarato che anche il principio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong> è uno dei criteri di selezione, con riferimento al<br />
quale esaminare anche i rapporti negoziali che nascono<br />
da atti di autonomia privata, e valutare le condotte che,<br />
nell’ambito <strong>del</strong>la formazione ed esecuzione degli stessi, le<br />
parti contrattuali <strong>ad</strong>ottano.<br />
Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione.<br />
Oggi, i principii <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva, e <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce<br />
dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42<br />
Cost. - e <strong>del</strong>la stessa qualificazione dei diritti soggettivi<br />
assoluti.<br />
In questa prospettiva i due principii si integrano a vicenda,<br />
costituendo la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> un canone generale cui ancorare<br />
la condotta <strong>del</strong>le parti, anche di un rapporto privatistico<br />
e l’interpretazione <strong>del</strong>l’atto giuridico di autonomia<br />
privata e, prospettando l’<strong>abuso</strong>, la necessità di una<br />
correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi<br />
sono conferiti.<br />
Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita<br />
dall’ordinamento, si avrà <strong>abuso</strong>.<br />
In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni<br />
limiti esterni <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> ne determinerà il suo abusivo<br />
esercizio.<br />
Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve,<br />
ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata.<br />
La struttura argomentativa <strong>del</strong>la sentenza si sviluppa secondo<br />
i seguenti passaggi logici:<br />
1) il giudice non ha alcuna possibilità di controllo sull’atto<br />
di autonomia privata;<br />
8<br />
«2) la previsione contrattuale <strong>del</strong> recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> dal<br />
contratto non consente, quindi, da parte <strong>del</strong> giudice, il<br />
sindacato su tale atto, non essendo necessario alcun controllo<br />
causale circa l’esercizio <strong>del</strong> potere, perché un tale<br />
potere rientra nella libertà di scelta <strong>del</strong>l’operatore economico<br />
in un libero mercato;<br />
3) La Renault Italia non doveva tenere conto anche <strong>del</strong>l’interesse<br />
<strong>del</strong>la controparte o di interessi diversi da quello<br />
che essa aveva alla risoluzione <strong>del</strong> rapporto»;<br />
4) la insussistenza di un’ipotesi di recesso illegittimo<br />
comporta la non pertinenza <strong>del</strong> richiamo agli artt. 1175 e<br />
1375 c.c.;<br />
5) i principii di correttezza e <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> non creano obbligazioni<br />
autonome, ma rilevano soltanto per verificare<br />
il puntuale <strong>ad</strong>empimento di obblighi riconducibili a determinati<br />
rapporti;<br />
6) Non sono presenti nel caso in esame i principi enucleati<br />
dalla giurisprudenza in tema di <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>; e<br />
ciò perché «La sussistenza di un atto di <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
(speculare ai cosiddetti atti emulativi) postula il concorso<br />
di un elemento oggettivo, consistente nell’assenza di<br />
utilità per il titolare <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, e di un elemento soggettivo<br />
costituito dall’animus nocendi, ossia l’intenzione di<br />
nuocere o di recare molestia <strong>ad</strong> altri»;<br />
7) «Il mercato, concepito quale luogo <strong>del</strong>la libertà di iniziativa<br />
economica (garantita dalla Costituzione), presuppone<br />
l’esistenza di soggetti economici in gr<strong>ad</strong>o di esercitare<br />
i diritti di libertà in questione e cioè soggetti effettivamente<br />
responsabili <strong>del</strong>le scelte d’impresa <strong>ad</strong> essi formalmente<br />
imputabili. La nozione di mercato libero presuppone<br />
che il gioco <strong>del</strong>la concorrenza venga attuato da<br />
soggetti in gr<strong>ad</strong>o di autodeterminarsi»;<br />
8) Alla libertà di modificare l’assetto di vendita, da parte<br />
<strong>del</strong>la Renault Italia spa, conseguiva che il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong><br />
rappresentava, per il titolare di tale facoltà, «il mezzo<br />
più conveniente per realizzare tale fine: non sussiste,<br />
quindi, l’<strong>abuso</strong>»;<br />
9) La impossibilità di ipotizzare «un potere <strong>del</strong> giudice di<br />
controllo diretto sugli atti di autonomia privata, in mancanza<br />
di un atto normativo che specifichi come attuare<br />
tale astratta tutela», produce, come effetto, quello <strong>del</strong>la<br />
introduzione di «un controllo di opportunità e di ragionevolezza<br />
sull’esercizio <strong>del</strong> potere di recesso; al che consegue<br />
una valutazione politica, non giurisdizionale <strong>del</strong>l’atto»;<br />
10) La impossibilità di procedere <strong>ad</strong> un giudizio di ragionevolezza<br />
in ambito privatistico e, particolarmente, «in<br />
ambito contrattuale in cui i valori di riferimento non sono<br />
unitari, ma sono <strong>ad</strong>dirittura contrapposti e la composizione<br />
<strong>del</strong> conflitto avviene proprio seguendo i parametri<br />
legali <strong>del</strong>l’incontro <strong>del</strong>le volontà su una causa eletta<br />
dall’ordinamento come meritevole di tutela» fa sì che<br />
«Solo allorché ricorrono contrasti con norme imperative,<br />
può essere sanzionato l’esercizio di una facoltà, ma al<br />
di fuori di queste ipotesi tipiche, normativamente previste,<br />
residua la più ampia libertà <strong>del</strong>la autonomia privata».<br />
Le affermazioni contenute nella sentenza impugnata non<br />
sono condivisibili sotto diversi profili.<br />
Punto di partenza dal quale conviene prendere le mosse è<br />
I contratti 1/2010
quello che non è compito <strong>del</strong> giudice valutare le scelte<br />
imprenditoriali <strong>del</strong>le parti in causa che siano soggetti<br />
economici, scelte che sono, ovviamente, al di fuori <strong>del</strong><br />
sindacato giurisdizionale.<br />
Diversamente, quando, nell’ambito <strong>del</strong>l’attività imprenditoriale,<br />
vengono posti in essere atti di autonomia privata<br />
che coinvolgono - <strong>ad</strong> es. nei contratti d’impresa - gli<br />
interessi, anche contrastanti, <strong>del</strong>le diverse parti contrattuali.<br />
In questo caso, nell’ipotesi in cui il rapporto evolva in<br />
chiave patologica e sia richiesto l’intervento <strong>del</strong> giudice,<br />
a quest’ultimo spetta di interpretare il contratto, ai fini<br />
<strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong>la comune intenzione dei contraenti.<br />
Ciò vuoi significare che l’atto di autonomia privata è, pur<br />
sempre, soggetto al controllo giurisdizionale.<br />
Gli strumenti di interpretazione <strong>del</strong> contratto sono rappresentati:<br />
il primo, dal senso letterale <strong>del</strong>le parole e <strong>del</strong>le<br />
espressioni utilizzate; con la conseguente preclusione<br />
<strong>del</strong> ricorso <strong>ad</strong> altri criteri interpretativi, quando la comune<br />
volontà <strong>del</strong>le parti emerga in modo certo ed immediato<br />
dalle espressioni <strong>ad</strong>operate, e sia talmente chiara da<br />
precludere la ricerca di una volontà diversa; con l’<strong>ad</strong>ozione<br />
eventuale degli altri criteri interpretativi, comunque,<br />
di natura sussidiaria.<br />
Ma il contratto e le clausole che lo compongono - ai sensi<br />
<strong>del</strong>l’art. 1366 c.c. - debbono essere interpretati anche<br />
secondo <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>.<br />
Non soltanto.<br />
Il principio <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva, cioè <strong>del</strong>la reciproca<br />
lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nel<br />
suo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione, ed, essendo<br />
espressione <strong>del</strong> dovere di solidarietà fondato sull’art.<br />
2 Cost., impone a ciascuna <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong> rapporto<br />
obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli<br />
interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici<br />
obblighi contrattuali o di norme specifiche.<br />
La sua violazione, pertanto, costituisce di per sé in<strong>ad</strong>empimento<br />
e può comportare l’obbligo di risarcire il danno<br />
che ne sia derivato (v. anche S.U. 15 novembre 2007 n.<br />
23726; Cass. 22 gennaio 2009 n. 1618; Cass. 6 giugno<br />
2008 n. 21250; Cass. 27 ottobre 2006 n. 23273; Cass. 7<br />
giugno 2006 n. 13345; Cass. 11 gennaio 2006 n. 264).<br />
Il criterio <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> costituisce, quindi, uno strumento,<br />
per il giudice, finalizzato al controllo - anche in<br />
senso modificativo o integrativo - <strong>del</strong>lo statuto negoziale;<br />
e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti<br />
interessi (v. S.U. 15 novembre 2007 n. 23726 ed i richiami<br />
ivi contenuti).<br />
Il giudice, quindi, nell’interpretazione secondo <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
<strong>del</strong> contratto, deve operare nell’ottica <strong>del</strong>l’equilibrio<br />
fra i detti interessi.<br />
Ed è su questa base che la Corte di merito avrebbe dovuto<br />
valutare ed interpretare le clausole <strong>del</strong> contratto - in<br />
particolare quella che prevedeva il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> - anche<br />
al fine di riconoscere l’eventuale <strong>diritto</strong> al risarcimento<br />
<strong>del</strong> danno per l’esercizio di tale facoltà in modo<br />
non conforme alla correttezza ed alla <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>.<br />
Sotto questo profilo, pertanto, dovrà essere riesaminato il<br />
materiale probatorio acquisito.<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
In sostanza la Corte di merito - di fronte <strong>ad</strong> un recesso<br />
non qualificato - non poteva esimersi dal valutare le circostanze<br />
allegate dai destinatari <strong>del</strong>l’atto di recesso, quali<br />
impeditive <strong>del</strong> suo esercizio, o quali fondanti un <strong>diritto</strong><br />
al risarcimento per il suo abusivo esercizio.<br />
Anche con riferimento all’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, le indicazioni<br />
fornite dalla Corte di merito non possono essere seguite.<br />
Il controllo <strong>del</strong> giudice sul carattere abusivo degli atti di<br />
autonomia privata è stato pienamente riconosciuto dalla<br />
giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità,<br />
cui si è fatto cenno.<br />
La conseguenza è l’irrilevanza, sotto questo aspetto, <strong>del</strong>le<br />
considerazioni svolte in tema di libertà economica e di libero<br />
mercato.<br />
Nessun dubbio che le scelte decisionali in materia economica<br />
non siano oggetto di sindacato giurisdizionale,<br />
rientrando nelle prerogative <strong>del</strong>l’imprenditore operante<br />
nel mercato, che si assume il rischio economico <strong>del</strong>le<br />
scelte effettuate.<br />
Ma, in questo contesto, l’esercizio <strong>del</strong> potere contrattuale<br />
riconosciutogli dall’autonomia privata, deve essere posto<br />
in essere nel rispetto di determinati canoni generali -<br />
quali quello appunto <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva, <strong>del</strong>la<br />
lealtà dei comportamenti e <strong>del</strong>le correttezza - alla luce dei<br />
quali debbono essere interpretati gli stessi atti di autonomia<br />
contrattuale.<br />
Ed il fine da perseguire è quello di evitare che il <strong>diritto</strong><br />
soggettivo, che spetta a qualunque consociato che ne sia<br />
portatore, possa sconfinare nell’arbitrio.<br />
Da ciò il rilievo <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> nell’esercizio <strong>del</strong> proprio <strong>diritto</strong>.<br />
La libertà di scelta economica <strong>del</strong>l’imprenditore, pertanto,<br />
in sé e per sé, non è minimamente scalfita; ciò che è<br />
censurato è l’<strong>abuso</strong>, ma non di tale scelta, sebbene <strong>del</strong>l’atto<br />
di autonomia contrattuale che, in virtù di tale scelta,<br />
è stato posto in essere.<br />
L’irrilevanza, per il <strong>diritto</strong>, <strong>del</strong>le ragioni che sono a monte<br />
<strong>del</strong>la conclusione ed esecuzione di un determinato rapporto<br />
negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un controllo<br />
da parte <strong>del</strong> giudice, al fine di valutare se l’esercizio<br />
<strong>del</strong>la facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia<br />
operato in chiave elusiva dei principii espressione dei<br />
canoni generali <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, <strong>del</strong>la lealtà e <strong>del</strong>la correttezza.<br />
Di qui il rilievo riconosciuto dall’ordinamento - al fine di<br />
evitare un abusivo esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> - ai canoni generali<br />
di interpretazione contrattuale.<br />
Ed in questa ottica, il controllo e l’interpretazione <strong>del</strong>l’atto<br />
di autonomia privata dovrà essere condotto tenendo<br />
presenti le posizioni <strong>del</strong>le parti, al fine di valutare se<br />
posizioni di supremazia di una di esse e di eventuale dipendenza,<br />
anche economica, <strong>del</strong>l’altra siano stati forieri<br />
di comportamenti abusivi, posti in essere per raggiungere<br />
i fini che la parte si è prefissata.<br />
Per questa ragione il giudice, nel controllare ed interpretare<br />
l’atto di autonomia privata, deve operare ed interpretare<br />
l’atto anche in funzione <strong>del</strong> contemperamento<br />
degli opposti interessi <strong>del</strong>le parti contrattuali.<br />
I contratti 1/2010 9
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
Erra, pertanto, il giudice di merito quando afferma che vi<br />
è un’impossibilità di procedere <strong>ad</strong> un giudizio di ragionevolezza<br />
in ambito contrattuale, escludendo che lo stesso<br />
possa controllare l’esercizio <strong>del</strong> potere di recesso; ritenendo<br />
che, diversamente si tratterebbe di una valutazione<br />
politica.<br />
Il problema non è politico, ma squisitamente giuridico ed<br />
investe i rimedi contro l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong>l’autonomia privata e<br />
dei rapporti di forza sul mercato, problemi questi che sono<br />
oggetto di attenzione da parte di tutti gli ordinamenti<br />
contemporanei, a causa <strong>del</strong>l’incremento <strong>del</strong>le situazioni<br />
di disparità di forze fra gli operatori economici.<br />
Al giudicante è richiesta, attraverso il controllo e l’interpretazione<br />
<strong>del</strong>l’atto di recesso - al fine di affermarne od<br />
escluderne il suo esercizio abusivo, condotto alla luce dei<br />
principii più volte enunciati - proprio ed esclusivamente<br />
una valutazione giuridica.<br />
Le considerazioni tutte effettuate consentono, quindi, di<br />
concludere che la Corte di merito abbia errato quando ha<br />
<strong>ad</strong>ottato le seguenti proposizioni argomentative:<br />
1) che la sussistenza di un atto di <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> sia soltanto<br />
speculare agli atti emulativi e postuli il concorso di<br />
un elemento oggettivo, consistente nell’assenza di utilità<br />
per il titolare <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, e di un elemento soggettivo costituito<br />
dall’animus nocendi;<br />
2) che, stabilito che la Renault Italia era libera di modificare<br />
l’assetto di vendita, il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> era il mezzo<br />
più conveniente per realizzare tale fine; al che conseguirebbe<br />
l’insussistenza <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong>;<br />
3) che, una volta che l’ordinamento abbia apprestato un<br />
dato istituto, spetta all’autonomia <strong>del</strong>le parti utilizzarlo o<br />
meno;<br />
4) che non sussista la possibilità di utilizzare un giudizio<br />
di ragionevolezza in ambito privatistico - in particolare<br />
contrattuale - in cui i valori di riferimento non solo non<br />
sono unitari, ma sono <strong>ad</strong>dirittura contrapposti;<br />
5) che nessuna valutazione <strong>del</strong>le posizioni contrattuali<br />
<strong>del</strong>le parti - soggetti deboli e soggetti economicamente<br />
“forti” -, anche con riferimento alle condizioni tutte oggetto<br />
<strong>del</strong>la previsione contrattuale, rientri nella sfera di<br />
valutazione complessiva <strong>del</strong> Giudicante.<br />
La Corte di merito ha affermato che l’<strong>abuso</strong> fosse configurabile<br />
in termini di volontà di nuocere, ovvero in termini<br />
di “neutralità”; nel senso cioè che, una volta che<br />
l’ordinamento aveva previsto il mezzo (<strong>diritto</strong> di recesso)<br />
per conseguire quel dato fine (scioglimento dal contratto<br />
di concessione di vendita), erano indifferenti le modalità<br />
<strong>del</strong> suo concreto esercizio.<br />
Ma il problema non è questo.<br />
Il problema è che la valutazione di un tale atto deve essere<br />
condotta in termini di “conflittualità”. Ovvero: posto<br />
che si verte in tema di interessi contrapposti, di cui erano<br />
portatrici le parti, il punto rilevante è quello <strong>del</strong>la proporzionalità<br />
dei mezzi usati.<br />
Proporzionalità che esprime una certa procedimentalizzazione<br />
nell’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso (per es. attraverso<br />
la previsione di trattative, il riconoscimento di indennità<br />
ecc.).<br />
In questo senso, la Corte di appello non poteva esimersi<br />
10<br />
da un tale controllo condotto, secondo le linee guida<br />
esposte, anche, quindi, sotto il profilo <strong>del</strong>l’eventuale <strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso, come operato.<br />
In concreto, avrebbe dovuto valutare - e tale esame spetta<br />
ora al giudice <strong>del</strong> rinvio - se il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> previsto<br />
dalle condizioni contrattuali, era stato attuato con<br />
modalità e per perseguire fini diversi ed ulteriori rispetto<br />
a quelli consentiti.<br />
Ed in questo esame si sarebbe dovuta avvalere <strong>del</strong> materiale<br />
probatorio acquisito, esaminato e valutato alla luce<br />
dei principii oggi indicati, al fine di valutare - anche sotto<br />
il profilo <strong>del</strong> suo <strong>abuso</strong> - l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> riconosciuto.<br />
In ipotesi, poi, di eventuale, provata disparità di forze fra<br />
i contraenti, la verifica giudiziale <strong>del</strong> carattere abusivo o<br />
meno <strong>del</strong> recesso deve essere più ampia e rigorosa, e può<br />
prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere:<br />
elementi questi tipici degli atti emulativi, ma non<br />
<strong>del</strong>le fattispecie di <strong>abuso</strong> di potere contrattuale o di dipendenza<br />
economica.<br />
Le conseguenze, cui condurrebbe l’interpretazione proposta<br />
dalla sentenza impugnata, sono inaccettabili.<br />
La esclusione <strong>del</strong>la valorizzazione e valutazione <strong>del</strong>la<br />
<strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva e <strong>del</strong>la rilevanza anche <strong>del</strong>l’eventuale<br />
esercizio abusivo <strong>del</strong> recesso, infatti, consentirebbero<br />
che il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> si trasformi in un recesso, arbitrario,<br />
cioè <strong>ad</strong> libitum, di sicuro non consentito dall’ordinamento<br />
giuridico.<br />
Il giudice <strong>del</strong> rinvio, quindi, dovrà riesaminare la questione,<br />
tenendo conto <strong>del</strong>le indicazioni fornite e dei principii<br />
enunciati, al fine di riconoscere o meno il carattere<br />
abusivo <strong>del</strong> recesso e l’eventuale, consequenziale <strong>diritto</strong><br />
al risarcimento <strong>del</strong> danni subiti.<br />
Tutto ciò in chiave di contemperamento dei diritti e degli<br />
interessi <strong>del</strong>le parti in causa, in una prospettiva anche<br />
di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici.<br />
Le conclusioni raggiunte consentono di ritenere irrilevante,<br />
e, quindi, superfluo l’esame degli ulteriori profili di<br />
censura proposti.<br />
I temi <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> di dipendenza economica e <strong>del</strong>la applicabilità<br />
analogica od estensiva <strong>del</strong>la normativa in materia<br />
di subfornitura (in particolare L. 18 giugno 1998, n.<br />
172, art. 9) non hanno costituito oggetto di specifica<br />
censura contenuta nei motivi di ricorso.<br />
Quanto alle analogie riscontrate dai ricorrenti fra il contratto<br />
di concessione di vendita e quella di agenzia, ai fini<br />
<strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> dei concessionari a percepire<br />
una somma a titolo di indennità, poi, <strong>ad</strong> un sommario<br />
esame - il quale, peraltro, si presenterebbe superfluo<br />
ai fini che qui interessano, per le conclusioni raggiunte<br />
sui temi in precedenza trattati - si presentano di<br />
dubbia praticabilità.<br />
Il contratto di concessione di vendita, infatti, per la sua<br />
struttura e la sua funzione economico-sociale, presenta<br />
aspetti che lo avvicinano al contratto di somministrazione,<br />
ma non può, però essere inqu<strong>ad</strong>rato in uno schema<br />
contrattuale tipico, trattandosi, invece, di un contratto<br />
innominato, che si caratterizza per una complessa funzio-<br />
I contratti 1/2010
ne di scambio e di collaborazione e consiste, sul piano<br />
strutturale, in un contratto - qu<strong>ad</strong>ro o contratto normativo<br />
(Cass. 17 dicembre 1990, n. 11960), dal quale deriva<br />
l’obbligo di stipulare singoli contratti di compravendita,<br />
ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferimento<br />
dei prodotti, alle condizioni fissate nell’accordo<br />
iniziale (v. anche Cass. 22 febbraio 1999 n. 1469; Cass.<br />
11 giugno 2009 n. 13568).<br />
Proprio una tale struttura e funzione economica, che<br />
esclude profili rilevanti di collaborazione, sembra doverlo<br />
porre al di fuori <strong>del</strong>l’area di affinità con il contratto di<br />
agenzia (v. anche Cass. 21 luglio 1994 n. 6819).<br />
Con il quinto motivo (subordinato) i ricorrenti principali<br />
denunciano la mancata compensazione <strong>del</strong>le spese relative<br />
al giudizio di appello da parte <strong>del</strong>la Corte di merito.<br />
Il motivo resta assorbito dalle conclusioni raggiunte in<br />
ordine ai motivi che precedono. Ricorso incidentale Con<br />
unico motivo la resistente e ricorrente incidentale denuncia<br />
la omessa motivazione sull’appello incidentale<br />
proposto dalla Renault Italia spa, relativamente alla liquidazione<br />
<strong>del</strong>le spese <strong>del</strong> giudizio di primo gr<strong>ad</strong>o.<br />
Anche questo motivo, in materia di spese, resta assorbito<br />
IL COMMENTO<br />
di Giovanni D’Amico<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
dalle conclusioni raggiunte in ordine ai motivi <strong>del</strong> ricorso<br />
principale che precedono.<br />
Il giudice <strong>del</strong> rinvio, dovrà, infatti, procedere <strong>ad</strong> una nuova<br />
ed autonoma regolamentazione <strong>del</strong>le spese <strong>del</strong> processo.<br />
Conclusivamente, va rigettato il primo motivo <strong>del</strong> ricorso<br />
principale;<br />
vanno accolti, nei limiti di cui in motivazione, il secondo,<br />
terzo e quarto motivo; vanno dichiarati assorbiti il<br />
quinto motivo ed il ricorso incidentale.<br />
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi,<br />
come accolti, e la causa va rimessa alla Corte d’Appello<br />
di Roma in diversa composizione.<br />
Il giudice <strong>del</strong> rinvio si pronuncerà anche sulle spese <strong>del</strong><br />
giudizio di cassazione.<br />
P.Q.M.<br />
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo <strong>del</strong> ricorso<br />
principale. Accoglie, nei limiti di cui in motivazione,<br />
il secondo, terzo e quarto motivo. Dichiara assorbiti il<br />
quinto, nonché il ricorso incidentale. Cassa in relazione<br />
e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma<br />
in diversa composizione.<br />
La Nota focalizza l’attenzione sul rapporto tra controllo <strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> attuato attraverso il criterio<br />
<strong>del</strong>l’”<strong>abuso</strong>” e controllo attuato attraverso il canone <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>. Mentre la sentenza in commento sovrappone<br />
i due tipi di giudizio e di valutazione, l’autore avanza la tesi secondo cui “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>” e “<strong>buona</strong><br />
<strong>fede</strong>” rappresentano nozioni distinte, e danno vita a “tecniche” di controllo degli atti di esercizio dei diritti<br />
diverse sia sotto il profilo dei presupposti sia sotto il profilo dei rimedi.<br />
Il fatto<br />
Nel marzo <strong>del</strong> 1997 un rilevante numero di ex concessionari<br />
auto Renault citavano in giudizio Renault<br />
Italia SpA esponendo che tra il 1992 e il 1996 la società<br />
convenuta aveva «inopinatamente e inaspettatamente»<br />
esercitato il recesso dai contratti di concessione<br />
di vendita intercorrenti con gli attori (e<br />
che avevano una durata media di circa dieci anni).<br />
In particolare gli attori (dopo aver sottolineato la situazione<br />
di “dipendenza economica” dalla controparte<br />
(argomentavano che il <strong>diritto</strong> di recedere <strong>ad</strong><br />
<strong>nutum</strong> attribuito contrattualmente alla Renault<br />
(contraente forte) era stato comunque esercitato<br />
dalla società convenuta con modalità “abusive”<br />
(contrarie a <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>) perché: a) la recedente<br />
aveva, sollecitando l’effettuazione di nuovi investimenti,<br />
suscitato nei concessionari un legittimo affidamento<br />
nella continuazione <strong>del</strong> rapporto; b) pur<br />
avendo intimato il recesso a quasi 200 concessiona-<br />
ri, la rete di vendita non risultava ridotta, in quanto<br />
molti “territori contrattuali” (zone) già serviti dai<br />
concessionari “revocati”, erano stati inseriti in una<br />
nuova rete di vendita, formata per lo più da ex dirigenti<br />
<strong>del</strong>la Renault (da essa indotti a dimissioni<br />
spontanee, in cambio di una “fuoriuscita morbida”<br />
dalla struttura); c) scorrettamente la società convenuta<br />
aveva “pubblicizzato” sulla stampa locale la<br />
cessazione <strong>del</strong> rapporto di concessione con un annuncio<br />
che rendeva nota questa cessazione alla<br />
clientela.<br />
Ciò premesso, gli attori - sulla base <strong>del</strong>la asserita esistenza<br />
di “profonde analogie” intercorrenti tra il<br />
contratto di concessione di vendita in esclusiva e<br />
quello di agenzia (chiedevano che (analogamente a<br />
quanto previsto per l’ipotesi di scioglimento di quest’ultimo<br />
contratto) venisse riconosciuto anche a loro<br />
favore il <strong>diritto</strong> <strong>ad</strong> una indennità per la perdita di<br />
clientela oltre il risarcimento dei danni.<br />
I contratti 1/2010 11
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
La società convenuta replicava che: a) <strong>del</strong> tutto infondato<br />
era l’assunto <strong>del</strong>la preordinazione dei recessi intimati<br />
agli attori <strong>ad</strong> una ipotetica sistemazione dei propri<br />
dipendenti dimissionari, l<strong>ad</strong>dove invece essi si collocavano<br />
nel qu<strong>ad</strong>ro di una complessa e vasta ristrutturazione<br />
<strong>del</strong>la rete di vendita, determinata dalla notevole<br />
flessione <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>l’auto, iniziata nel 1992 e<br />
proseguita negli anni successivi; b) la detta ristrutturazione<br />
si poneva in linea con la finalità <strong>del</strong>la normativa<br />
comunitaria in materia, la quale mirava a garantire<br />
un’<strong>ad</strong>eguata assistenza alla clientela (finalità a cui era<br />
diretta anche la ristrutturazione <strong>del</strong>la rete di vendita,<br />
attuata dalla Renault anche al fine di migliorare i servizi<br />
ai clienti); c) che era stato attribuito un congruo<br />
termine di preavviso; d) che infondata era l’analogia<br />
che gli attori intravvedevano con rapporti contrattuali<br />
(agenzia, franchising) che lo stesso legislatore<br />
comunitario aveva provveduto a tenere distinti dalla<br />
concessione di vendita; e) che, in particolare, la<br />
ratio <strong>del</strong>l’indennità di fine rapporto riconosciuta a<br />
favore <strong>del</strong>l’agente (nel contratto di agenzia) risiede<br />
nel riconoscere un corrispettivo per l’apporto (non<br />
remunerato dalle provvigioni) al preponente di una<br />
clientela fissa, apporto che non è ravvisabile nel<br />
contratto di concessione di vendita; f) infine, anche<br />
le richieste di risarcimento <strong>del</strong> danno per spese ed<br />
oneri asseritamente sostenuti dai concessionari, erano<br />
infondate in quanto si trattava di esborsi effettuati<br />
nell’<strong>ad</strong>empimento di precisi obblighi contrattuali.<br />
Le decisioni dei due gr<strong>ad</strong>i di merito<br />
Il Tribunale Roma decideva sulla domanda dei concessionari<br />
nel 2001, respingendola (1).<br />
Pur riconoscendo che il concessionario è la parte<br />
“debole” <strong>del</strong> rapporto contrattuale, destinato in via<br />
di principio a subire i mo<strong>del</strong>li pattizi dall’altro predisposti,<br />
il giudice romano osserva che i concessionari,<br />
per altro verso, «operano attraverso strutture produttive<br />
e in un tipo di mercato sufficientemente duttili ed<br />
idonei pertanto <strong>ad</strong> assorbire i trasformismi necessari alla<br />
conservazione <strong>del</strong>l’impresa, anche in caso di cessazione<br />
<strong>del</strong> rapporto con l’originario produttore», come sarebbe<br />
stato dimostrato anche nel caso di specie dalla circostanza<br />
(allegata dalla società convenuta) che molti<br />
dei concessionari revocati erano già passati alla rete<br />
di altri produttori.<br />
Del resto, alla luce <strong>del</strong>la stessa normativa comunitaria<br />
(ammesso che essa sia interpretabile come volta<br />
a tutelare i concessionari (quali ipotetica parte “debole”<br />
<strong>del</strong> rapporto contrattuale) (2) (costituisce un<br />
indice molto significativo, a parere <strong>del</strong> Tribunale di<br />
Roma, da un lato la circostanza che comunque «si<br />
12<br />
sia ritenuto sufficiente ai fini <strong>del</strong>la legittimità <strong>del</strong> recesso<br />
<strong>del</strong> produttore il termine di preavviso di un anno,almeno<br />
secondo il regolamento vigente nell’epoca in cui sono intervenute<br />
le revoche che hanno interessato gli attori (3),<br />
dall’altro che non sia stato previsto a favore <strong>del</strong> concessionario<br />
revocato alcuno dei presidi che assistono la cessazione<br />
<strong>del</strong> rapporto <strong>del</strong> contraente debole in altre ben<br />
note fattispecie negoziali, come quella di agenzia....»<br />
(4).<br />
Note:<br />
(1) Cfr. Trib. Roma, Sez. III, 11 giugno 2001, n. 22540 (giud. Amedola).<br />
Trattandosi di una pronuncia inedita, abbiamo ritenuto opportuno<br />
riportare nel testo ampie citazioni tratte dalla motivazione.<br />
(2) Cosa che il Tribunale di Roma contesta, in quanto - così si<br />
esprime l’estensore <strong>del</strong>la sentenza («<strong>ad</strong> un esame scevro da<br />
apriorismi sembra ... che l’ottica <strong>del</strong>la regolamentazione comunitaria<br />
sia più quella <strong>del</strong>la razionalità <strong>del</strong>la distribuzione, in vista<br />
<strong>del</strong>la salvaguardia <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong> consumatore, che non<br />
quella <strong>del</strong>la tutela di un ipotetico contraente debole». Senza entrare<br />
nel merito di questo profilo - che è rimasto estraneo alla<br />
pronuncia <strong>del</strong>la Cassazione che qui si commenta -, ci limitiamo a<br />
ricordare che il legislatore europeo disciplina il rapporto di concessione<br />
di vendita (ivi compreso l’aspetto concernente il recesso<br />
<strong>del</strong> concedente) nell’ambito di regolamenti di esenzione per<br />
categoria ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 81 par. 3 Trattato<br />
CE (in successione temporale, v. Regolamento <strong>del</strong>la Commissione<br />
n. 123/85 <strong>del</strong> 12 dicembre 1984, in vigore sino al 30 giugno<br />
1995; Regolamento <strong>del</strong>la Commissione n. 1475/95 <strong>del</strong> 28<br />
giugno 1995, in vigore sino al 30 settembre 2002; infine, Regolamento<br />
<strong>del</strong>la Commissione n. 1400/02 <strong>del</strong> 31 luglio 2002, attualmente<br />
in vigore e la cui efficacia cesserà il 31 maggio 2010,<br />
sc<strong>ad</strong>enza in vista <strong>del</strong>la quale nel mese di luglio <strong>del</strong> 2009 la Commissione<br />
ha emanato una Comunicazione dal titolo «Il futuro<br />
qu<strong>ad</strong>ro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore<br />
automobilistico»: v. Commissione CE, COM(2009) 388 def.,<br />
<strong>del</strong> 22 luglio 2009). Su tale normativa si veda, con ampiezza di<br />
analisi e di riferimenti, P. Fabbio, Note sulla terminazione dei rapporti<br />
di distribuzione automobilistica integrata, tra <strong>diritto</strong> comunitario<br />
e nazionale, in Riv. dir. comm., 2004, II, 1 (commento a Trib.<br />
Roma 5 novembre 2003, Soc. Autofur c. Società Renault Italia).<br />
(3) Cfr. art. 5, comma 2, <strong>del</strong> Regolamento Ce n. 123/1985, citato<br />
nella nota precedente.<br />
(4) Il Tribunale di Roma, nella sentenza di cui riferiamo, dal canto<br />
suo esclude che possano applicarsi analogicamente al contratto<br />
(atipico) di concessione di vendita, le norme relative al contratto<br />
di franchising e, più ancora, quelle <strong>del</strong> contratto di agenzia (norme<br />
che i concessionari che avevano subito il recesso avevano<br />
invocato ai fini di vedersi riconosciuto il <strong>diritto</strong> <strong>ad</strong> una “indennità<br />
di clientela”). Quanto al primo, il Tribunale osserva che l’asserita<br />
“similitudine” con il franchising - ammessane la sussistenza - resterebbe<br />
priva di effetto, perché «nel rapporto contrattuale di<br />
franchising è inesistente il <strong>diritto</strong> all’indennità di clientela». Rispetto<br />
all’agenzia, poi, sono evidenti - sempre a giudizio <strong>del</strong> Tribunale<br />
di Roma (le differenze: nel contratto di agenzia, il <strong>diritto</strong><br />
<strong>del</strong>l’agente all’indennità di clientela trova il suo fondamento nella<br />
circostanza che l’attività <strong>del</strong>l’agente è indirizzata in via diretta<br />
e immediata all’incremento degli affari <strong>del</strong> preponente; nella<br />
concessione di vendita, invece, il concessionario agisce verso i<br />
consumatori “in proprio”, onde resta preclusa ogni applicazione<br />
estensiva o analogica <strong>del</strong>l’istituto <strong>del</strong>l’indennità di cessazione<br />
<strong>del</strong> rapporto. Anche su questo profilo (marginale nella pronuncia<br />
<strong>del</strong>la Cassazione in commento (pronuncia che, peraltro - almeno<br />
su questo punto, e in continuità con un consolidato orientamen-<br />
(segue)<br />
I contratti 1/2010
Infine, la sentenza <strong>del</strong> Tribunale di Roma respinge<br />
anche la deduzione dei concessionari circa un (preteso)<br />
“<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso” da parte <strong>del</strong>la<br />
concedente, osservando: a) quanto alla affermazione<br />
secondo cui l’intera operazione di ristrutturazione<br />
<strong>del</strong>la rete fosse stata posta in essere dalla concedente<br />
al solo fine di “piazzare” alcuni dei suoi ex dirigenti<br />
(che «riesce invero davvero difficile ipotizzare che<br />
un’impresa <strong>del</strong>le dimensioni di quella <strong>del</strong>la convenuta<br />
non fosse in gr<strong>ad</strong>o di assorbire in maniera più naturale la<br />
cessazione <strong>del</strong> rapporto con un ristretto numero di dipendenti<br />
e avesse pertanto bisogno di ricorrere <strong>ad</strong> una scelta<br />
così traumatica e potenzialmente destabilizzante come<br />
una diffusa revoca dei rapporti di concessione in atto»;<br />
b) quanto alla colpevole induzione nei concessionari<br />
<strong>del</strong>l’affidamento (ragionevole) circa la continuazione<br />
<strong>del</strong> rapporto (nonostante la notificazione <strong>del</strong><br />
preavviso di recesso) (che «non si vede come esso [id<br />
est: il ragionevole affidamento] possa essere stato ingenerato<br />
dalla richiesta di <strong>ad</strong>eguamento <strong>del</strong>le strutture e <strong>del</strong><br />
capitale investito, una volta che non viene neppure dedotto<br />
che la richiesta stessa era estranea alla normale gestione<br />
<strong>del</strong> contratto e/o che è avvenuta con modalità ex<br />
se incompatibili - secondo una ragionevole interpretazione<br />
- con una sua interruzione a breve termine».<br />
Proposto appello avverso la pronuncia <strong>del</strong> Tribunale,<br />
la Corte d’appello capitolina ha confermato la<br />
sentenza impugnata (5), incentrando la propria decisione<br />
sul tema <strong>del</strong>la sindacabilità <strong>del</strong> recesso alla<br />
luce <strong>del</strong> principio che vieta l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
Mentre il Tribunale aveva (implicitamente) ammesso<br />
tale sindacabilità, pur concludendo che nel caso di<br />
specie non potesse riscontarsi alcun esercizio abusivo<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso, la Corte d’appello sembrerebbe<br />
(almeno apparentemente) (6) escludere in r<strong>ad</strong>ice<br />
che l’atto di esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso da parte<br />
<strong>del</strong>la società concedente potesse essere sottoposto a<br />
sindacato da parte <strong>del</strong> giudice. «...Una volta stabilito<br />
che la Renault era titolare <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso <strong>ad</strong><br />
<strong>nutum</strong> (osservano i giudici d’appello (correttamente<br />
il Tribunale ha escluso di poter esercitare un controllo<br />
<strong>del</strong>l’atto di autonomia. Se l’autonomia privata<br />
ha riconosciuto la possibilità di recedere dal contratto,<br />
non è necessario alcun controllo causale circa l’esercizio<br />
<strong>del</strong> potere....» (7).<br />
Ragionare diversamente - aggiungono i giudici <strong>del</strong>la<br />
Corte d’appello (avviando un ragionamento, che<br />
rappresenta la parte certamente più discutibile <strong>del</strong>la<br />
sentenza) (significherebbe «introdurre un controllo<br />
di opportunità e di ragionevolezza sull’esercizio <strong>del</strong><br />
potere di recesso, (...) una valutazione politica, non<br />
giurisdizionale», che finirebbe per intaccare «diritti<br />
fondamentali di rilevanza costituzionale, quali la li-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
bera iniziativa economica privata, da inqu<strong>ad</strong>rare<br />
nell’autonomia privata, a cui si applica la riserva che<br />
soltanto la legge può limitarne la libertà (artt. 13,<br />
secondo e ult. comma, art. 14 secondo e terzo comma,<br />
art. 15 secondo comma, art. 16, art. 18 primo<br />
comma, art. 21, terzo, quinto e sesto comma, Costituzione)<br />
(...)». La Corte d’appello, infine, così conclude:<br />
«(...) Vi è un’impossibilità di procedere <strong>ad</strong> un<br />
giudizio di ragionevolezza in ambito privatistico e, particolarmente,<br />
in ambito contrattuale (...) Solo allorché<br />
ricorrono contrasti con norme imperative, può essere<br />
sanzionato l’esercizio di una facoltà, ma al di fuori<br />
di queste ipotesi tipiche, normativamente previste,<br />
residua la ampia libertà <strong>del</strong>la autonomia privata,<br />
che si è detto, costituisce la regola fondamentale<br />
(...)».<br />
La sentenza <strong>del</strong>la Cassazione<br />
Sono proprio le ultime affermazioni (riportate alla<br />
fine <strong>del</strong> paragrafo precedente) <strong>del</strong>la Corte d’appello<br />
di Roma a formare oggetto di risoluta critica da par-<br />
I contratti 1/2010 13<br />
Note:<br />
(continua nota 4)<br />
to <strong>del</strong> Supremo Collegio - sembra concordare con le valutazioni<br />
operate dai giudici di merito) (non ci soffermiamo in particolare,<br />
limitandoci a rinviare per un sintetico qu<strong>ad</strong>ro <strong>del</strong>la questione e<br />
per il richiamo alle principali posizioni dottrinali e giurisprudenziali,<br />
oltre che per alcuni raffronti comparatistici, a Baldi-Venezia, Il<br />
contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, 8 a<br />
ed., Milano, 2008, 109 ss., spec. 124 ss.<br />
(5) App. Roma, 18 gennaio 2005, n. 136, inedita. Come per la<br />
sentenza di primo gr<strong>ad</strong>o, il carattere inedito <strong>del</strong>la pronuncia in<br />
esame giustifica la scelta di effettuare con una certa larghezza<br />
citazioni testuali di brani <strong>del</strong>la motivazione.<br />
(6) Vedremo più avanti come l’affermazione dei giudici di appello<br />
che riportiamo subito infra nel testo possa, in realtà, essere interpretata<br />
in altro (e più corretto) significato, che non sia quello<br />
di una r<strong>ad</strong>icale (e aprioristica) esclusione <strong>del</strong>la sindacabilità in base<br />
al criterio <strong>del</strong> divieto di <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
(7) Il brano citato prosegue, poi, così: «....In altri termini la Renault<br />
Italia non necessariamente doveva tener conto <strong>del</strong>l’interesse<br />
<strong>del</strong>la controparte o di interessi diversi da quello che essa<br />
aveva alla risoluzione <strong>del</strong> rapporto. L’interesse in questione poteva<br />
anche consistere nel determinare la cessazione dei rapporti<br />
contrattuali in corso proprio al fine di realizzare una rete di vendita<br />
più razionale o più rispondente ai propri interessi (anche<br />
quello di inserire nella vendita eventi propri dipendenti e così alleggerire<br />
gli oneri produttivi). Anche in tal caso trattasi di scelta<br />
imprenditoriale visto che era modificato l’assetto di vendita,<br />
scelta che non era diretta tanto a creare danno all’altro contraente<br />
quanto di ottenere un risparmio mediante la riduzione<br />
<strong>del</strong> personale collocandolo nella rete distributiva...». Del resto, i<br />
giudici non mancano di sottolineare, <strong>ad</strong> ogni buon conto, come il<br />
recesso avesse riguardato un numero rilevante di concessionari<br />
(dai 395 iniziali si era passati ai 205 attuali), il che dimostra(va)<br />
«che si è trattato di una scelta imprenditoriale circa l’organizzazione<br />
di vendita e, quindi, il recesso non era evidentemente suscettibile<br />
<strong>del</strong>la qualificazione in termini di illiceità, ai sensi degli<br />
artt. 1343 e 1344 c.c., restando esclusa anche la configurabilità<br />
di un atto discriminatorio».
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
te <strong>del</strong>la Cassazione, nella sentenza che qui si commenta.<br />
I giudici <strong>del</strong> Supremo Collegio premettono che<br />
«l’obbligo di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva o correttezza costituisce<br />
... un autonomo dovere giuridico, espressione<br />
di un generale principio di solidarietà sociale, la<br />
cui costituzionalizzazione è ormai pacifica», e che la<br />
rilevanza di tale obbligo «si esplica nell’imporre a<br />
ciascuna <strong>del</strong>le parti <strong>del</strong> rapporto obbligatorio il dovere<br />
di agire in modo da preservare gli interessi <strong>del</strong>l’altra, a<br />
prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali<br />
o di quanto espressamente stabilito da singole<br />
norme di legge» (8), sicché - prosegue la sentenza<br />
in esame (il criterio <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> costituisce<br />
«strumento, per il giudice, atto a controllare, anche<br />
in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale,<br />
in funzione di garanzia <strong>del</strong> giusto equilibrio degli<br />
opposti interessi» (9).<br />
La pronuncia si sofferma poi sui rapporti tra <strong>buona</strong><br />
<strong>fede</strong> e (divieto di) <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, con una serie di<br />
affermazioni per la verità non sempre lineari. Si asserisce,<br />
infatti, dapprima che l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> sarebbe<br />
un «criterio rivelatore <strong>del</strong>la violazione <strong>del</strong>l’obbligo<br />
di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva», ma poco più<br />
avanti il rapporto (tra i due concetti) sembra invertirsi,<br />
l<strong>ad</strong>dove in particolare i giudici osservano che<br />
con il divieto <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> «l’ordinamento pone una<br />
regola generale (10), nel senso di rifiutare la tutela<br />
ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione <strong>del</strong>le<br />
corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti<br />
contrari alla <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> oggettiva» (con il che,<br />
appunto, sembrerebbe, questa volta, la contrarietà <strong>del</strong><br />
comportamento a <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> <strong>ad</strong> essere prospettata<br />
quale criterio rivelatore <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>)(11).<br />
Dal richiamo, poi, alle numerose (e, in verità, alquanto<br />
eterogenee) pronunce (12) in cui la stessa<br />
Cassazione ha negli ultimi anni fatto applicazione<br />
<strong>del</strong> principio <strong>del</strong> (divieto di) <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, la<br />
sentenza in commento trae la conclusione secondo<br />
cui sarebbe da ritenere «ormai acclarato che anche<br />
il principio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> è uno dei criteri di<br />
selezione, con riferimento al quale esaminare anche<br />
i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia<br />
privata, e valutare le condotte che, nell’ambito<br />
<strong>del</strong>la formazione ed esecuzione degli stessi, le parti<br />
contrattuali <strong>ad</strong>ottano».<br />
A questo punto, e alla luce <strong>del</strong>le premesse così individuate,<br />
i giudici passano infine all’esame e alla critica<br />
<strong>del</strong>la sentenza impugnata.<br />
È bensì vero - essi osservano - che «non è compito<br />
<strong>del</strong> giudice valutare le scelte imprenditoriali», ma<br />
ciò non vale «quando, nell’ambito <strong>del</strong>l’attività imprenditoriale,<br />
vengono posti in essere atti di autono-<br />
14<br />
mia privata», che sono (nel caso in cui sorga controversia<br />
tra le parti) sottoposti al potere di interpretazione<br />
(e dunque al controllo) <strong>del</strong> giudice.<br />
In particolare - secondo la Cassazione −, nell’interpretare<br />
il contratto (e le clausole che lo compongono)<br />
ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1366 c.c. (13), il giudice deve<br />
operare nell’ottica <strong>del</strong>l’equilibrio fra gli interessi<br />
<strong>del</strong>le parti, onde la Corte d’appello di Roma avrebbe<br />
(potuto e) dovuto «valutare e interpretare le clausole<br />
<strong>del</strong> contratto - in particolare quella che prevedeva<br />
il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> - anche al fine di riconoscere<br />
l’eventuale <strong>diritto</strong> al risarcimento <strong>del</strong> danno per l’esercizio<br />
di tale facoltà in modo non conforme alla<br />
correttezza e alla <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>» (14).<br />
Note:<br />
(8) Si noti come, nel brano citato, la Corte in realtà modifichi (inconsapevolmente?)<br />
la corrente definizione <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, che<br />
si legge in (ormai) numerose sue precedenti pronunce: «atteggiamento<br />
di cooperazione e di solidarietà che impone a ciascuna<br />
<strong>del</strong>le parti di tenere, al di là degli specifici obblighi scaturenti dal<br />
vincolo contrattuale e dal dovere <strong>del</strong> neminem laedere, quei<br />
comportamenti che senza comportare apprezzabile sacrificio a<br />
suo carico risultino idonei a salvaguardare gli interessi <strong>del</strong>l’altra<br />
parte» (cfr., <strong>ad</strong> es., Cass. 22 novembre 2000, n. 15066; Cass. 11<br />
gennaio 2006, n. 264; Cass. 7 giugno 2006, n. 13345). È agevole<br />
osservare che manca, nel brano citato nel testo, l’inciso che<br />
abbiamo evidenziato in corsivo nella “definizione” or ora riportata.<br />
Il senso <strong>del</strong>la formula ne risulta alquanto modificato, e su un<br />
profilo tutt’altro che marginale.<br />
(9) I corsivi sono aggiunti.<br />
(10) Qualche riga più avanti si legge, peraltro, una frase <strong>del</strong> tutto<br />
opposta, e cioè che «nel nostro codice non esiste una norma<br />
che sanzioni, in via generale, l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>».<br />
(11) È probabile - comunque - che i giudici utilizzino “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong>” e “contrarietà a <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>” come formule equivalenti<br />
ed interscambiabili. In un (altro) passaggio <strong>del</strong>la motivazione, peraltro,<br />
si legge che «i due principi si integrano a vicenda, costituendo<br />
la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> un canone generale cui ancorare la condotta<br />
<strong>del</strong>le parti anche di un rapporto privatistico e l’interpretazione<br />
<strong>del</strong>l’atto giuridico di autonomia privata, e prospettando l’<strong>abuso</strong><br />
la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo<br />
scopo per i quali essi sono conferiti».<br />
(12) Nei settori più disparati <strong>del</strong>l’ordinamento: dal <strong>diritto</strong> tributario<br />
- dove il principio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> è invocato come sinonimo<br />
di una «clausola generale antielusiva» che si vorrebbe presente<br />
nel sistema (al <strong>diritto</strong> societario, dove si è molto discusso<br />
<strong>ad</strong> es. di “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> voto” da parte <strong>del</strong>la maggioranza ai danni<br />
<strong>del</strong>la minoranza.<br />
(13) Poco prima - nella motivazione <strong>del</strong>la pronuncia - si legge peraltro<br />
l’affermazione (che sembrerebbe in contrasto con quanto<br />
viene detto subito dopo) secondo la quale il primo strumento di<br />
interpretazione è costituito dal senso letterale <strong>del</strong>le parole e <strong>del</strong>le<br />
espressioni <strong>ad</strong>operate, «con la conseguente preclusione <strong>del</strong><br />
ricorso <strong>ad</strong> altri criteri interpretativi, quando la comune volontà<br />
<strong>del</strong>le parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni<br />
<strong>ad</strong>operate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una<br />
volontà diversa...».<br />
(14) Si noti - invero - come impropriamente la sentenza <strong>del</strong>la Cassazione<br />
invochi qui, al fine di fondare il <strong>diritto</strong> al risarcimento <strong>del</strong><br />
danno, la regola sull’interpretazione <strong>del</strong> contratto secondo <strong>buona</strong><br />
<strong>fede</strong>. Le regole di interpretazione (e anche quella di cui all’art.<br />
(segue)<br />
I contratti 1/2010
Secondo i giudici <strong>del</strong> Supremo Collegio non esiste<br />
(contrariamente a quanto affermato dalla Corte<br />
d’appello) alcuna impossibilità di procedere <strong>ad</strong> un<br />
giudizio di ragionevolezza in ambito contrattuale, né<br />
può dirsi che una siffatta valutazione sia una “valutazione<br />
politica” e non giuridica.<br />
Quanto, poi, agli indici rivelatori <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong>, la sentenza<br />
<strong>del</strong>la Cassazione contesta l’idea (fatta propria dai<br />
giudici <strong>del</strong>la Corte d’appello) secondo cui per la configurabilità<br />
di un “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>” occorre accertare<br />
una “volontà di nuocere” (15), ed afferma che rileva<br />
invece la «proporzionalità dei mezzi usati» (16).<br />
La sentenza <strong>del</strong>la Cassazione da ultimo rib<strong>ad</strong>isce,<br />
nella parte finale, l’inaccettabilità <strong>del</strong>le conseguenze<br />
cui (a suo dire) condurrebbe la posizione sostenuta<br />
dalla Corte d’appello di Roma: «La esclusione<br />
<strong>del</strong>la valorizzazione e valutazione <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
oggettiva e <strong>del</strong>la rilevanza anche <strong>del</strong>l’eventuale<br />
esercizio abusivo <strong>del</strong> recesso, infatti, consentirebbero<br />
- concludono i giudici <strong>del</strong> Supremo Collegio (che<br />
il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> si trasformi in un recesso arbitrario,<br />
cioè <strong>ad</strong> libitum, di sicuro non consentito dall’ordinamento<br />
giuridico (...)».<br />
Prime osservazioni<br />
Non c’è dubbio che la decisione <strong>del</strong>la Cassazione (di<br />
cui abbiamo sopra riportato i passaggi essenziali)<br />
(17) susciti più d’una perplessità con riferimento all’esito<br />
(or ora ricordato) cui essa approda (18).<br />
Proprio questo esito sembra far riemergere, infatti, i<br />
timori (che da sempre accompagnano, per vero, la<br />
controversa nozione di “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>”) che l’ammissione<br />
di un sindacato giudiziale <strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong> possa finire per infliggere un vulnus alla certezza<br />
<strong>del</strong>le situazioni giuridiche (e <strong>del</strong> loro contenuto)<br />
e, in definitiva, alla certezza <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
Il caso <strong>del</strong> recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> - che è la fattispecie con<br />
la quale si confrontavano i giudici nella vicenda in<br />
esame (esemplifica assai bene il “rischio” di cui si<br />
parla, al tempo stesso offrendo un terreno che consente<br />
di mettere in evidenza quali dovrebbero essere<br />
(in una prospettiva corretta) natura e limiti <strong>del</strong> controllo<br />
<strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> attraverso il criterio<br />
(<strong>del</strong> divieto) <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> (19).<br />
È noto come, nei contratti a tempo indeterminato -<br />
se pur con alcune importanti eccezioni (20) (si ri-<br />
Note:<br />
(continua nota 14)<br />
1366 c.c.), infatti, servono (solo) a ricostruire il significato <strong>del</strong>le<br />
clausole contrattuali, e dunque a stabilire quali diritti e quali (corrispondenti)<br />
situazioni passive scaturiscano dal contratto, e con<br />
quale contenuto. Dopodiché un eventuale risarcimento <strong>del</strong> danno<br />
che - come ipotizzano i giudici <strong>del</strong> Supremo Collegio (si ricol-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
leghi all’esercizio di uno di tali diritti (derivanti dal contratto) in<br />
maniera non conforme al canone di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, troverà il suo<br />
fondamento non nell’art. 1366 c.c. (che fa riferimento <strong>ad</strong> una attività<br />
- l’interpretazione - che di per sé ha natura “intellettuale”; e<br />
ciò anche a sorvolare sulla questione di chi sia l’effettivo destinatario<br />
<strong>del</strong>la regola in esame, se le parti o non piuttosto il giudice),<br />
ma semmai nell(a violazione <strong>del</strong>l’) art. 1375 c.c.<br />
(15) Più avanti, i giudici <strong>del</strong>la Cassazione osservano che «In ipotesi<br />
di eventuale, provata disparità di forza fra i contraenti, la verifica<br />
giudiziale <strong>del</strong> carattere abusivo o meno <strong>del</strong> recesso deve<br />
essere più ampia e rigorosa, e può prescindere dal dolo e dalla<br />
specifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli atti<br />
emulativi, ma non <strong>del</strong>le fattispecie di <strong>abuso</strong> di potere contrattuale<br />
o di dipendenza economica».<br />
(16) Oscuro è, peraltro, il brano immediatamente seguente, l<strong>ad</strong>dove<br />
i giudici <strong>del</strong> Supremo collegio affermano che codesta proporzionalità<br />
«esprime una certa procedimentalizzazione nell’esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso (per es. attraverso la previsione di<br />
trattative, il riconoscimento di indennità ecc.)».<br />
(17) Per una prima valutazione <strong>del</strong>la sentenza v. Macario, <strong>Recesso</strong><br />
<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> e valutazione di abusività nei contratti tra imprese:<br />
spunti da una recente sentenza <strong>del</strong>la Cassazione, in Corr. giur.,<br />
2009, 1577 ss., il quale si sofferma anche (in particolare nella seconda<br />
parte <strong>del</strong> contributo) su alcune problematiche che attengono<br />
specificamente al contratto di concessione di vendita quale<br />
fattispecie ascrivibile all’area <strong>del</strong> c.d. “terzo contratto”, ossia<br />
<strong>del</strong> contratto tra imprese in situazione di diseguale potere contrattuale<br />
(cfr. AA.VV., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti-G. Villa,<br />
Bologna, 2008, passim). Profilo, quest’ultimo, che non verrà esaminato<br />
nel presente Commento.<br />
(18) A ciò si aggiunga che l’iter argomentativo seguito dai giudici<br />
appare, in diversi passaggi (alcuni dei quali già segnalati nelle pagine<br />
precedenti), poco lineare, se non <strong>ad</strong>dirittura confuso.<br />
(19) Controllo che - come vedremo più avanti - deve, a nostro avviso,<br />
ammettersi in via di principio, ma <strong>del</strong>imitandone rigorosamente<br />
l’ambito e le modalità.<br />
(20) La più rilevante di tali eccezioni è costituita dal rapporto di lavoro<br />
subordinato, dal quale il datore di lavoro non può liberamente<br />
sciogliersi unilateralmente (ossia, appunto, mediante recesso),<br />
perché la legge richiede comunque l’esistenza di una “giusta causa”<br />
o di un “giustificato motivo”. Per quanto riguarda il rapporto<br />
contrattuale che qui interessa (ossia, la concessione di vendita),<br />
merita di essere evidenziato che il Regolamento comunitario di<br />
esenzione n. 1400/02 <strong>del</strong> 31 luglio 2002 (attualmente vigente), innovando<br />
rispetto ai regolamenti precedenti, ha introdotto (ai fini<br />
<strong>del</strong>l’esenzione di cui all’art. 81 par.3 Trattato CE) uno specifico<br />
“onere” di motivazione a carico <strong>del</strong> recedente (v. art. 3 par.4 reg.<br />
cit., il quale recita testualmente che «L’esenzione si applica a condizione<br />
che l’accordo verticale concluso con un distributore o riparatore<br />
preveda che un fornitore che intenda recedere da un accordo<br />
ne dia notifica per iscritto e specifichi i motivi particolareggiati,<br />
obiettivi e trasparenti <strong>del</strong> recesso», norma che - come si<br />
evince dal Considerando n. 9 <strong>del</strong> Regolamento è stata introdotta<br />
«onde evitare che un fornitore receda da un accordo perché un<br />
distributore o riparatore tiene un comportamento atto a stimolare<br />
la concorrenza, come <strong>ad</strong> es. ....l’attività multimarca ...»; sul punto<br />
si veda anche l’Opuscolo esplicativo al Regolamento n. 1400/02,<br />
predisposto dalla Direzione generale <strong>del</strong>la concorrenza <strong>del</strong>la<br />
Commissione europea, dove al par. 5.3.8., ancor più esplicitamente,<br />
si legge che «questa condizione [id est: l’onere di motivazione<br />
<strong>del</strong> recesso] è stata introdotta per impedire <strong>ad</strong> un fornitore<br />
di sciogliere un contratto perché un distributore o un riparatore<br />
tengono comportamenti che favoriscono la concorrenza, come le<br />
vendite attive e passive a consumatori stranieri, le vendite di marche<br />
di altri fornitori o il subappalto dei servizi di riparazione e manutenzione»).<br />
Sulla questione <strong>del</strong>la idoneità <strong>del</strong>le norme dettate<br />
con i regolamenti d’esenzione per categoria di perseguire, oltre<br />
che obiettivi di tutela <strong>del</strong>la concorrenza (per i quali tali norme sono<br />
specificamente dettate) anche finalità proprie <strong>del</strong>la tutela prettamente<br />
“privatistica”, v. Fabbio, op. cit., spec. par. 3.<br />
I contratti 1/2010 15
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
tenga generalmente accordata alle parti la possibilità<br />
di recedere (<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>) dal rapporto, dando alla<br />
controparte un congruo preavviso (21). Si tratta di<br />
una regola che (sebbene non formulata espressamente,<br />
viene considerata implicita nel sistema, in<br />
quanto espressione di un principio generale (di ordine<br />
pubblico) in base al quale devono considerarsi<br />
inammissibili vincoli personali perpetui o comunque<br />
a tempo indeterminato (22).<br />
Le disposizioni da cui si desume tale regola sono<br />
molteplici (23), e si tratta di norme che (considerata<br />
la ratio che le ispira (sembrerebbero certamente<br />
da considerarsi inderogabili, quanto meno nel senso<br />
che non dovrebbe ritenersi consentito all’autonomia<br />
privata di escludere (per quanto detto) la recedibilità<br />
da un rapporto a tempo indeterminato (24).<br />
Non può invece ritenersi preclusa all’autonomia privata<br />
la possibilità di prevedere la necessità che l’esercizio<br />
<strong>del</strong> recesso (anche da un contratto a tempo<br />
indeterminato) sia “giustificato” (analogamente a<br />
quanto avviene - in linea di principio - per lo scioglimento<br />
unilaterale anticipato da un contratto a termine)<br />
(25), mentre per quanto concerne il profilo<br />
<strong>del</strong>la durata <strong>del</strong> periodo di preavviso, sebbene esso<br />
sia tendenzialmente rimesso alla volontà <strong>del</strong>le parti,<br />
va evidenziato come non di r<strong>ad</strong>o il legislatore regoli<br />
questo aspetto con previsioni (anziché di carattere<br />
dispositivo o suppletivo) di natura imperativa (con<br />
conseguente limitazione, ancora una volta, <strong>del</strong>l’autonomia<br />
privata) (26).<br />
Note:<br />
(21) Cfr. Franzoni, Degli effetti <strong>del</strong> contratto, in AA.VV., Commentario<br />
<strong>del</strong> codice civile a cura di Schlesinger, Milano, 1998,<br />
sub art. 1373, 325-326, ove si legge che «nei rapporti a tempo<br />
indeterminato, qualora manchi la facoltà attribuita <strong>ad</strong> una parte di<br />
<strong>ad</strong>ire il giudice per la fissazione <strong>del</strong> termine, il recesso si configura<br />
come rimedio di carattere sussidiario e generale nel contempo<br />
(...) Avendo il recesso una portata generale, sarà dato<br />
ogni qualvolta il legislatore non abbia diversamente disposto,<br />
con il solo limite <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, che può comportare<br />
l’osservanza di un preavviso, seppure non previsto nel contratto<br />
...» (corsivo aggiunto).<br />
(22) È questa la giustificazione che viene solitamente prospettata<br />
in dottrina: cfr., nella letteratura sul tema <strong>del</strong>l’ultimo cinquantennio,<br />
in part., Mancini, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro,<br />
I, Individuazione <strong>del</strong>la fattispecie. Il recesso ordinario, Milano,<br />
1962; Galgano, Degli effetti <strong>del</strong> contratto, in Commentario<br />
<strong>del</strong> codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993,<br />
62 (il quale osserva che, al fine di evitare vincoli perpetui, la legge<br />
impiega le due figure <strong>del</strong> termine finale e <strong>del</strong> recesso legale);<br />
Franzoni, Degli effetti <strong>del</strong> contratto, cit., 323 (ove si osserva<br />
esplicitamente che «il divieto dei vincoli perpetui è espressivo di<br />
un principio di ordine pubblico» e si giustifica in virtù <strong>del</strong>l’esistenza<br />
di detto “principio” la possibilità di attribuire portata “generale”<br />
al recesso, sebbene questo sia per altro verso un istituto<br />
che deroga alla regola <strong>del</strong>l’art. 1372 c.c. circa la forza vincolante<br />
<strong>del</strong> contratto per ciascun singolo contraente); Roselli, Il recesso<br />
dal contratto, in Trattato di <strong>diritto</strong> privato, diretto da Bes-<br />
16<br />
sone, XIII, Il contratto in generale, 5, Torino, 2002, 268-69. In<br />
difformità da questa opinione v. Gabrielli-P<strong>ad</strong>ovini, voce <strong>Recesso</strong><br />
(dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, 1988, 29 ss., i quali obiettano che<br />
la mancanza di un termine finale non necessariamente comporta<br />
la perpetuità <strong>del</strong> vincolo, poiché «il disinteresse manifestato in<br />
ordine alla durata <strong>del</strong> rapporto non implica affatto interesse alla<br />
perpetuità <strong>del</strong>lo stesso» (onde - secondo questi autori - l’attribuzione<br />
di un potere di recesso in mancanza di un termine finale va<br />
spiegata diversamente, e «non corrisponde <strong>ad</strong> una valutazione<br />
negativa <strong>del</strong> vincolo da parte <strong>del</strong>l’ordinamento»). Al che si è, tuttavia,<br />
replicato che «se manca un termine finale, il rapporto è sicuramente<br />
a tempo indeterminato», e anche quest’ultimo tipo di<br />
rapporto «seppure in misura minore rispetto al vincolo perpetuo,<br />
è causa di quella limitazione all’esercizio <strong>del</strong>l’autonomia privata<br />
che i rimedi dettati in numerose disposizioni [tra cui il <strong>diritto</strong> di recesso]<br />
tendono <strong>ad</strong> evitare ...» (così Franzoni, Degli effetti <strong>del</strong><br />
contratto, cit., 325).<br />
(23) Un elenco di tali disposizioni si legge in De Nova, Il recesso,<br />
in Sacco-De Nova, Il contratto, 2, in Trattato di <strong>diritto</strong> civile, diretto<br />
da R. Sacco, Torino, 2004, 737-738.<br />
(24) È diffusa la tesi che configura il <strong>diritto</strong> di recesso dai contratti<br />
a tempo indeterminato come “recesso determinativo”, ossia<br />
come atto che serve a determinare l’oggetto <strong>del</strong> contratto,<br />
<strong>del</strong>imitandolo dal punto di vista <strong>del</strong>la durata <strong>del</strong>la prestazione: v.<br />
in part., Gabrielli-P<strong>ad</strong>ovini, <strong>Recesso</strong>, cit., 29 ss., e la letteratura<br />
ivi citata, cui <strong>ad</strong>de, <strong>ad</strong> es., Sirena, I recessi unilaterali, in Roppo,<br />
Trattato <strong>del</strong> contratto, III, Effetti, a cura di M. Costanza, Milano,<br />
2006, 113 ss., spec. 117, 121. Al riguardo v. anche Franzoni, Degli<br />
effetti <strong>del</strong> contratto, cit., 339 (ove si legge che «il ricorso al<br />
giudice per la fissazione di un termine o il recesso costituiscono<br />
modalità alternative per l’integrazione <strong>del</strong> contratto, qualora il<br />
rapporto sia di durata e manchi la previsione <strong>del</strong>la sc<strong>ad</strong>enza»), e<br />
340 (ove si precisa che «Nella funzione determinativa non va ...<br />
compresa quella di rendere determinato l’oggetto <strong>del</strong>la prestazione<br />
dedotto in contratto», osservandosi che nei contratti di durata<br />
«la determinabilità <strong>del</strong>la prestazione non è in funzione <strong>del</strong>la<br />
possibilità di indicare un termine finale, ma <strong>del</strong>la persistenza <strong>del</strong>l’interesse<br />
di almeno una parte a ricevere la prestazione continuativa»,<br />
e così - <strong>ad</strong> es. - «il corrispettivo di una somministrazione<br />
deve essere pattuito a prescindere dalla durata <strong>del</strong> rapporto<br />
che può non essere prefissata, senza che da ciò derivi una indeterminatezza<br />
<strong>del</strong>l’oggetto <strong>del</strong> contratto, da determinarsi successivamente<br />
con il recesso...»).<br />
(25) Si può tanto prevedere che la possibilità di recesso sia collegata<br />
alla sussistenza di determinate “cause” già predeterminate,<br />
sia che essa richieda soltanto l’esistenza (generica) di “una<br />
causa”, nel qual ultimo caso si tratterebbe più che altro di un<br />
onere di motivazione che verrebbe posto a carico <strong>del</strong> recedente.<br />
(26) Il profilo <strong>del</strong> preavviso (di recesso) è variamente disciplinato<br />
dal legislatore. Ad es. l’art. 1569 c.c. statuisce che si può recedere<br />
dalla somministrazione (a tempo indeterminato) dando<br />
preavviso entro il termine pattuito o in quello stabilito dagli usi<br />
ovvero, in mancanza, in un “termine congruo” avuto riguardo alla<br />
natura <strong>del</strong>la somministrazione. Nel contratto di agenzia a tempo<br />
indeterminato, l’art. 1750 c.c. prevede che il recesso (<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>)<br />
possa essere esercitato con un preavviso, la cui determinazione<br />
viene lasciata alla autonomia dei contraenti, ma questa<br />
volta con fissazione legale di limiti “minimi” (limiti che arrivano<br />
sino a sei mesi nel caso di contratto che duri da sei anni o più).<br />
Nel contratto di affiliazione commerciale, la norma <strong>del</strong>l’art. 3 l. n.<br />
129 <strong>del</strong> 2004, che regola propriamente la durata minima <strong>del</strong> contratto<br />
(disponendo che essa deve essere sufficiente all’ammortamento<br />
degli investimenti effettuati dall’affiliato, e comunque<br />
non può essere inferiore a tre anni), consente probabilmente di<br />
desumere (implicitamente) una regola di non recedibilità dal contratto<br />
di affiliazione commerciale (ma v. anche la nota seguente)<br />
in ipotesi stipulato a tempo indeterminato se non siano trascorsi<br />
almeno tre anni dall’inizio <strong>del</strong> rapporto (e salva naturalmente la<br />
ordinaria possibilità di risoluzione <strong>del</strong> contratto per in<strong>ad</strong>empimento).<br />
I contratti 1/2010
Quel che comunque preme sottolineare è che, nei<br />
casi in cui opera (in assenza di diversa pattuizione)<br />
la regola (generale) <strong>del</strong>la libera recedibilità (salvo<br />
preavviso) da un rapporto a tempo indeterminato<br />
(27), in luogo di una regola di recedibilità (che potremmo<br />
definire, per distinguerla dalla prima) “causale”<br />
(28), ciò non può che significare che il legislatore<br />
ha valutato tale forma di recesso come congrua<br />
rispetto agli interessi (particolari e generali) rilevanti<br />
(29).<br />
In tale situazione, ammettere un sindacato sulla<br />
“causa” <strong>del</strong> recesso (30) - causa che, per quanto appena<br />
detto, deve in questo caso ritenersi irrilevante<br />
(significherebbe introdurre un tipo di controllo che<br />
in thesi è stato escluso (in tale forma di recesso) dal<br />
legislatore (31).<br />
La conclusione così raggiunta, e cioè l’esclusione<br />
<strong>del</strong>la possibilità (nel caso considerato) di un controllo<br />
alla stregua <strong>del</strong> criterio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
(32), vale - sia ben chiaro - proprio (e solo) perché,<br />
in ipotesi, ci si trova di fronte <strong>ad</strong> un recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>,<br />
e non <strong>ad</strong> un recesso che debba essere “motivato”<br />
(o meglio: debba risultare sorretto da una determinata<br />
“causa”) (33).<br />
Infatti, il (tipo di) controllo <strong>del</strong>l’atto di esercizio <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong>, che il sindacato basato sullo strumento <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
implica, si fonda essenzialmente - come indica<br />
una formula assai diffusa (sull’accertamento di<br />
una deviazione <strong>del</strong>l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> rispetto allo<br />
“scopo” per il quale il <strong>diritto</strong> stesso è stato attribuito<br />
(34). Ma lo “scopo” per il quale il <strong>diritto</strong> di recesso<br />
<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> - nelle varie ipotesi in cui esso opera - viene<br />
ammesso dal legislatore (che avrebbe, in teoria,<br />
potuto prevedere una regola opposta, di recesso<br />
“causale”), è, appunto, non altro che quello di consentire<br />
al recedente di potersi sciogliere dal contratto<br />
(di norma, dando un preavviso alla controparte)<br />
senza la necessità di <strong>ad</strong>durre alcuna particolare motivazione<br />
(e/o alcuna causa giustificatrice). Questo “scopo”<br />
non è, dunque, violato se il contraente recede “immotivatamente”,<br />
e pertanto non può censurarsi l’esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> sotto il profilo <strong>del</strong>la “causa” (rectius:<br />
motivo) che lo ha determinato, quale che sia<br />
tale causa, perché così facendo (lo si ripete) si introdurrebbe<br />
ex post una (nuova) qualificazione <strong>del</strong> di-<br />
Note:<br />
(27) Si potrebbe osservare che dal principio (di ordine pubblico)<br />
secondo il quale l’ordinamento non ammette (e comunque non<br />
favorisce) l’esistenza di vincoli perpetui, deriva semplicemente<br />
la necessità di riconoscere alla parte di un rapporto a tempo indeterminato<br />
una facoltà di “recesso”, non anche una facoltà di<br />
recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>, ossia immotivato. Se si accedesse a questo<br />
ordine di idee, si aprirebbe la str<strong>ad</strong>a all’idea che - se un dato con-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
tratto non è regolato (contratto atipico), o non contiene in sede di<br />
disciplina legale alcuna previsione in ordine alla facoltà di recesso<br />
(l’interprete possa colmare la “lacuna” anche pervenendo in<br />
thesi al riconoscimento sì di un potere di recesso, ma tuttavia di<br />
un potere di recesso non libero bensì subordinato alla sussistenza<br />
di una “giustificazione”. Conclusione alla quale - oltre che dalla<br />
eventuale applicazione analogica di specifiche previsioni in tal<br />
senso contenute nella disciplina di un contratto “simile” -, l’interprete<br />
potrebbe ritenersi legittimato a pervenire magari in applicazione<br />
<strong>del</strong> canone di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>. Osserviamo, tuttavia, che:<br />
a) una recedibilità (dai rapporti a tempo indeterminato) eventualmente<br />
subordinata non solo all’onere di un (congruo) preavviso,<br />
ma anche alla sussistenza di una “causa giustificatrice”, potrebbe<br />
non costituire attuazione (piena) <strong>del</strong> principio che vieta la costituzione<br />
e la permanenza di vincoli perpetui. Il bilanciamento<br />
degli interessi (contrapposti) <strong>del</strong>le parti,e in particolare la tutela<br />
<strong>del</strong> contraente che subisce il recesso, pare assicurabile piuttosto<br />
attraverso una <strong>ad</strong>eguata disciplina <strong>del</strong> profilo <strong>del</strong> “preavviso”; b)<br />
desumere dal canone di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> uno specifico obbligo/onere<br />
di motivazione <strong>del</strong> recesso presuppone che si <strong>ad</strong>erisca all’indirizzo<br />
(diffuso, ma tutt’altro che pacifico) secondo cui la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
- anche nel nostro ordinamento - può essere configurata come<br />
uno strumento di controllo <strong>del</strong>l’autonomia privata, in particolare<br />
sia nel senso di costituire un parametro di validità <strong>del</strong> contratto<br />
e/o <strong>del</strong>le clausole contrattuali, sia nel senso di porsi come fonte<br />
di obblighi e/o di oneri ulteriori (integrativi) rispetto a quelli previsti<br />
dall’autonomia privata. Sulla figura <strong>del</strong> recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> cfr.,<br />
specificamente, Sangiorgi, Rapporti di durata e recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>,<br />
Milano, 1965.<br />
(28) Nel senso “forte”, di recesso possibile solo in presenza di<br />
determinate “cause” (più o meno tassativamente individuate),<br />
ovvero nel senso “debole”, di recesso che debba essere accompagnato<br />
da una “motivazione”. V. supra, nota 25.<br />
(29) Cfr. Roselli, op. cit., 276, dove - con riferimento alle fattispecie<br />
di recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> (si osserva che «in tanto il legislatore<br />
permette il recesso di questo tipo in quanto ritiene di poter attenuare<br />
la forza vincolante <strong>del</strong> contratto, senza pregiudizio di interessi<br />
particolarmente rilevanti sotto il profilo socio-economico o<br />
<strong>ad</strong>dirittura tutelati a livello costituzionale».<br />
(30) La causa (rectius: il motivo) <strong>del</strong> recesso potrebbe essere stato<br />
esplicitato dal recedente (sebbene la legge non lo richieda), o<br />
comunque risultare dagli atti di causa.<br />
(31) Se, infatti, non è richiesta una “causa” per recedere, non c’è<br />
neanche un “oggetto” su cui esercitare un controllo in questa direzione;<br />
e, quand’anche, accidentalmente, il motivo (o scopo) <strong>del</strong><br />
recesso risultasse enunciato e/o fosse comunque individuabile<br />
(v. la nota precedente), non per questo esso cesserebbe di essere<br />
irrilevante, né per questo diventerebbe possibile un suo sindacato.<br />
(32) Sul problema (più generale) se vi siano figure di <strong>diritto</strong> non<br />
suscettibili di “<strong>abuso</strong>” v. Breccia, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, in Diritto privato1997,<br />
III, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, P<strong>ad</strong>ova, 1998, 5 ss., 72 ss. (e ivi<br />
il richiamo alla distinzione tra droits discrétionnaires o non causés<br />
da un lato e droits contrôlés o droits causés dall’altro).<br />
(33) Intendiamo dire che un controllo basato sul criterio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> sarebbe ben possibile con riferimento a fattispecie<br />
di recesso “qualificato” (e dunque, non <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>), come pure -<br />
più in generale (con riferimento all’esercizio di altri diritti soggettivi.<br />
In ogni caso, poi - come vedremo nel paragrafo seguente<br />
(l’esclusione <strong>del</strong> controllo in base al criterio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong>, non<br />
esclude che anche l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong><br />
debba avvenire in conformità al canone <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>.<br />
(34) Quello indicato nel testo è, in verità, solo uno dei criteri che<br />
vengono indicati (e sono, talora, anche “codificati” legislativamente)<br />
come indici di un esercizio “abusivo” <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (si veda<br />
in proposito Breccia, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, cit., 26-27), ma è anche<br />
quello che meglio si presta a ricomprendere (e, per così dire, <strong>ad</strong><br />
assorbire) gli altri (intenzione esclusiva di nuocere, inammissibile<br />
sproporzione tra l’interesse perseguito e quello sacrificato, ecc.)<br />
I contratti 1/2010 17
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
ritto (nel senso che si trasformerebbe un <strong>diritto</strong> di<br />
recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> in un recesso “causale”) <strong>ad</strong> opera<br />
<strong>del</strong> giudice.<br />
Su questo punto, allora, va riconosciuto che la sentenza<br />
<strong>del</strong>la Corte d’appello di Roma probabilmente<br />
non merita(va) le censure che le sono state rivolte<br />
dalla Cassazione. Quando, infatti, i giudici <strong>del</strong>la<br />
Corte d’appello scrivono - come già si è ricordato -<br />
che «(...) se l’autonomia privata ha riconosciuto la possibilità<br />
di recedere dal contratto, non è necessario alcun<br />
controllo causale circa l’esercizio <strong>del</strong> potere (…)», essi<br />
non intendono probabilmente dire cosa diversa da<br />
quella che abbiamo appena precisato: e cioè che va<br />
mantenuta ferma la differenza tra un <strong>diritto</strong> di recesso<br />
per dir così qualificato (rispetto al quale si giustifica<br />
un controllo “causale” <strong>del</strong>l’atto di esercizio <strong>del</strong>la<br />
prerogativa) (35) e un <strong>diritto</strong> di recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong><br />
(qual era quello previsto, nella fattispecie in esame,<br />
dal contratto a favore <strong>del</strong>la Renault), il quale ultimo<br />
invece prescinde da una “causa” giustificatrice di cui<br />
debba accertarsi la ricorrenza in concreto.<br />
La differenza tra il sindacato <strong>del</strong>l’esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> alla stregua <strong>del</strong> criterio<br />
<strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> (<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>), e il sindacato<br />
alla stregua <strong>del</strong> canone <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
Dire che, nel caso di specie, l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
(trattandosi di un recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> (non era sindacabile<br />
alla stregua <strong>del</strong> criterio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> (<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>)<br />
in quanto esso sfuggiva (per il suo stesso contenuto)<br />
<strong>ad</strong> un controllo di tipo “causale” (nel senso or ora<br />
precisato), non significa peraltro escludere che tale<br />
esercizio sia (fosse) sottratto come tale a qualsivoglia<br />
(altra) forma di controllo da parte <strong>del</strong> giudice (36).<br />
In particolare deve riconoscersi che anche l’esercizio<br />
di un <strong>diritto</strong> di recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>, se pur sfugga<br />
(come appena detto) <strong>ad</strong> un controllo di tipo teleologico,<br />
non si sottrae invece <strong>ad</strong> un controllo in ordine<br />
alle modalità con le quali il recesso risulti (nelle circostanze<br />
date) esercitato. Non si sottrae, insomma,<br />
<strong>ad</strong> un controllo in base al canone <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>,<br />
che costituisce fondamentale criterio di valutazione<br />
<strong>del</strong> comportamento <strong>del</strong>le parti nell’esecuzione <strong>del</strong><br />
contratto (art. 1375 c.c.) (37).<br />
Ha dunque ragione - sul piano <strong>del</strong>l’affermazione di<br />
principio - la Cassazione quando, nella sentenza in<br />
commento, sostiene la sottoposizione <strong>del</strong>l’atto di<br />
esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso (che veniva in considerazione<br />
nel caso di specie) al criterio valutativo<br />
<strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>. Ma questa affermazione è, al contempo,<br />
un’affermazione che si palesa erronea nel<br />
momento in cui i giudici che la fanno mostrano di<br />
ritenere che tale controllo si identifichi con il con-<br />
18<br />
trollo alla stregua <strong>del</strong> criterio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
È questo il punto fondamentale sul quale intendiamo<br />
richiamare l’attenzione in queste pagine. È noto,<br />
infatti, come una <strong>del</strong>le più recenti ed approfondite<br />
indagini sul tema <strong>del</strong>l’”<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>”, sia pervenuta<br />
alla conclusione secondo cui tale concetto,<br />
sebbene si sottragga alle obiezioni di contr<strong>ad</strong>dittorietà<br />
“logica” che da sempre vengono sollevate nei<br />
suoi confronti, non sfugga tuttavia <strong>ad</strong> un ulteriore (e<br />
decisivo) rilievo: quello di essere, in definitiva, un<br />
concetto superfluo (una “superfetazione”), in quan-<br />
Note:<br />
(35) E può, pertanto, verificarsi una discrasia tra lo/gli scopo/i per<br />
il/i quale/i il <strong>diritto</strong> di recesso è ammesso, e lo scopo concreto in<br />
vista <strong>del</strong> quale esso è stato esercitato.<br />
(36) Come invece sembrerebbe affermare la sentenza <strong>del</strong>la Corte<br />
d’appello di Roma, che - se così fosse - sarebbe certamente<br />
non condivisibile con riferimento a tale affermazione “di principio”.<br />
(37) È questo un punto che può considerarsi ormai abbastanza<br />
consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza. Quanto alla prima<br />
si veda <strong>ad</strong> es. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano,<br />
2000, 740-741 (secondo il quale il rispetto <strong>del</strong> principio di <strong>buona</strong><br />
<strong>fede</strong> esige, fra l’altro, che il potere di recesso unilaterale sia<br />
esercitato in maniera da salvaguardare l’interesse <strong>del</strong>l’altra parte<br />
se ciò non comporti per il recedente un apprezzabile sacrificio:<br />
«così - scrive B. - l’importanza che il rapporto può avere per la<br />
parte, e la difficoltà di trovare un immediato rimpiazzo, possono<br />
richiedere che l’atto di recesso sia comunicato con un congruo<br />
preavviso»; corsivo nostro); Santoro, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso<br />
<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>, in Contr. e impr., 1986, 766 ss. (quest’a. - che muove,<br />
peraltro, dalla identificazione tra “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>” ed esercizio<br />
“scorretto” o di mala <strong>fede</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (configura l’ipotesi <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
in presenza di un “affidamento” <strong>del</strong>la controparte e <strong>del</strong>la<br />
mancanza di una “giusta causa” che renda ragione <strong>del</strong>l’atto<br />
abdicativo, e per parare l’obiezione secondo cui in tal modo si finisce<br />
per eliminare qualsiasi differenza tra il recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> e<br />
le altre ipotesi per le quali il legislatore prevede l’esistenza di una<br />
“giusta causa”, osserva che la distinzione permarrebbe, oltre<br />
che per la diversa distribuzione <strong>del</strong>l’onere <strong>del</strong>la prova [nel caso di<br />
recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> spettando a chi subisce il recesso l’onere di<br />
dimostrare il carattere “affatto inopinato <strong>del</strong> recesso”], anche<br />
perché nel caso di recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> l’assenza di una attendibile<br />
ragione non viene in rilievo in sé, ma solo quale indice di un<br />
esercizio “scorretto” <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>); C. Scognamiglio, Il nuovo <strong>diritto</strong><br />
dei contratti: <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> e recesso dal contratto, in AA.VV., Il<br />
nuovo <strong>diritto</strong> dei contratti. Problemi e prospettive, a cura di F. Di<br />
Marzio, Milano, 2001, 357 ss. Quanto alla giurisprudenza, va soprattutto<br />
menzionata quella in materia di esercizio “abusivo”<br />
(rectius: di mala <strong>fede</strong>) <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso <strong>del</strong>la banca dal contratto<br />
di apertura di credito a tempo indeterminato (v., tra le ormai<br />
numerose pronunce sul punto, nell’arco di poco più di un decennio:<br />
Cass. 21 maggio 1997, n. 4538, in Giust. civ., 1998, I,<br />
509, con nota di Costanza; Cass. 14 luglio 2000, n. 9321, in Corr.<br />
giur., 2000, 1479 ss, con nota di Di Majo, La <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> correttiva<br />
di regole contrattuali; nonché Cass. 21 febbraio 2003, n.<br />
2642, in Giust. civ. Mass. 2003, 375): su questa giurisprudenza<br />
v. anche Galgano, Abuso <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>: l’arbitrario recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong><br />
<strong>del</strong>la banca, in Contr. e impr., 1998, 18 ss., Baraldi, Le “mobili<br />
frontiere” <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>: l’arbitrario recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> dall’apertura<br />
di credito a tempo indeterminato, in Contr. e impr.,<br />
2001, 927, e, nella più recente manualistica, D’Amico, Comportamento<br />
<strong>del</strong> creditore. Mora accipiendi, in AA.VV., Diritto civile,<br />
III, Obbligazioni, 1, Il rapporto obbligatorio, a cura di Lipari-Rescigno,<br />
Milano, 2009, 218 ss.<br />
I contratti 1/2010
to destinato a coprire un terreno già occupato (e a<br />
svolgere una funzione già assolta) dal criterio <strong>del</strong>la<br />
<strong>buona</strong> <strong>fede</strong> (38).<br />
Chi scrive ritiene invece che i due concetti (come<br />
già si è accennato (non siano coincidenti (39). Rimane,<br />
però, ancora da assolvere (sia pur con la sinteticità<br />
che l’occasione richiede) l’onere di indicare<br />
nel modo il più possibile chiaro in cosa il criterio<br />
<strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> si differenzi da quello <strong>del</strong>la<br />
<strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, sul terreno <strong>del</strong> controllo degli atti di<br />
esercizio di un <strong>diritto</strong> (o, più in generale, di una<br />
“prerogativa” soggettiva) (40).<br />
Come in altra occasione si è avuto modo di sottolineare<br />
(41), il controllo (di tipo “causale”) che il<br />
principio che vieta l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> consente rispetto<br />
agli atti di esercizio di un “<strong>diritto</strong>” mira essenzialmente<br />
a verificare che attraverso tale esercizio il<br />
titolare <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> non cerchi di appropriarsi di “utilità”<br />
diverse ed ulteriori rispetto a quelle che con l’attribuzione<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> l’ordinamento intende assicurargli.<br />
Si tratta di una situazione diversa - va subito precisato<br />
(da quella in cui il <strong>diritto</strong> sia (in ipotesi) esercitato<br />
fuori dalla ricorrenza dei presupposti ai quali l’ordinamento<br />
ricollega il suo sorgere e/o la possibilità<br />
<strong>del</strong> suo esercizio. Anche in quest’ultimo caso (al pari<br />
di quello in cui si “abusa” <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di cui si è titolari),<br />
il soggetto mira <strong>ad</strong> appropriarsi di utilità che<br />
non gli spettano; solo che (a differenza di quel che acc<strong>ad</strong>e<br />
nel caso di “<strong>abuso</strong>” (si tratta proprio <strong>del</strong>le utilità<br />
che ineriscono (in astratto) al contenuto di quel<br />
<strong>diritto</strong> (e non di utilità diverse e ulteriori) e che però<br />
in concreto non sono legittimamente pretendibili,<br />
essendo assenti (in ipotesi) i presupposti per il sorgere<br />
e/o per l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>; sicché, sindacando<br />
l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> si contesta in realtà l’esistenza<br />
stessa <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (42).<br />
Quando, invece, si ragiona in termini di “<strong>abuso</strong>” la<br />
situazione è - in un certo senso (opposta rispetto a<br />
quella appena descritta. In ipotesi, esistono infatti,<br />
questa volta, tutti i presupposti ai quali l’ordinamento<br />
ricollega il sorgere e/o la possibilità di esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, e il soggetto è quindi pienamente legittimato<br />
<strong>ad</strong> appropriarsi <strong>del</strong>le utilità che l’attribuzione<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> gli assicura. Può darsi, però - come sopra<br />
Note:<br />
(38) Cfr. Sacco, Il <strong>diritto</strong> soggettivo. L’esercizio e l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>,<br />
in Trattato di <strong>diritto</strong> civile, diretto da Sacco, Torino, 2001,<br />
373 (ove si legge: «....La dottrina <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> non contiene contr<strong>ad</strong>dizioni,<br />
né errori ... Ma la dottrina <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> è superflua...<br />
Essa è in qualche caso un medio logico inutile; negli altri casi un<br />
inutile doppione. L’inclusione di una categoria parassita non vale<br />
<strong>ad</strong> arricchire il sistema <strong>del</strong> giurista; lo rende più confuso»); e v.<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
anche, con riferimento a questo profilo, Gentili, A proposito de<br />
“Il <strong>diritto</strong> soggettivo”, in Riv. dir. civ., 2004, II, 367. La sovrapposizione<br />
tra <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> e <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> è abbastanza diffusa in<br />
dottrina (oltre che in giurisprudenza, come dimostra la sentenza<br />
qui in commento): cfr. <strong>ad</strong> es. - volendo limitarsi a due citazioni<br />
che si collocano rispettivamente all’inizio e alla fine <strong>del</strong>l’ultimo<br />
cinquantennio (Natoli, Note preliminari <strong>ad</strong> una teoria <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir.<br />
proc. civ., 1958, 26 ss., e Galgano, Trattato di <strong>diritto</strong> civile, II, P<strong>ad</strong>ova,<br />
2009, 556, spec. 568 ss. (il quale intitola il cap. XV «Il dovere<br />
di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> e l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>», anche se poi quest’ultimo<br />
a. concretamente prospetta un’interferenza tra i due criteri<br />
solo a proposito <strong>del</strong>l’esecuzione <strong>del</strong> contratto, osservando che<br />
«la violazione <strong>del</strong> dovere di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> nell’esecuzione <strong>del</strong> contratto<br />
può anche configurarsi come <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>», e fa l’esempio<br />
- fra l’altro - <strong>del</strong> recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> dal contratto di apertura<br />
di credito). Riguardo a tale sovrapposizione va intanto osservato<br />
come - anche a tacere degli altri argomenti cui alludiamo<br />
nel testo (la possibilità di fondare l’<strong>abuso</strong> sulla regola di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
sembra avere una sua plausibilità (ma solo, comunque, in via<br />
di posizione astratta <strong>del</strong> problema), per quanto riguarda il nostro<br />
ordinamento, solo in materia di diritti “relativi” e più in generale<br />
di diritti scaturenti da un contratto: diritti per il cui esercizio, appunto,<br />
il legislatore enuncia (negli artt. 1175 e 1375 c.c.) il criterio<br />
<strong>del</strong>la correttezza/<strong>buona</strong> <strong>fede</strong> (ed è, infatti, limitatamente a<br />
questo ambito che le due nozioni vengono accostate, <strong>ad</strong> es., in<br />
Rescigno, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, in Riv. dir. civ., 1965, I, 225 ss.,<br />
232; e v. anche Cattaneo, Buona <strong>fede</strong> obiettiva e <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>,<br />
in Riv.trim. dir. proc. civ., 1971, 634 ss.), che non trova riscontro<br />
invece (almeno esplicitamente) nella disciplina di altri diritti<br />
(<strong>ad</strong> es. il <strong>diritto</strong> di proprietà), per i quali pure si può porre un<br />
problema di esercizio “abusivo”. Diverso è il caso di altri ordinamenti,<br />
come <strong>ad</strong> es. quello svizzero (che è, fra l’altro, uno degli ordinamenti<br />
che “codifica” espressamente il divieto di <strong>abuso</strong> <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong> in termini generali), nel quale la norma che prevede l’<strong>abuso</strong><br />
(art. 2 <strong>del</strong> cod. civ. svizzero: «1. Ognuno è tenuto <strong>ad</strong> agire secondo<br />
la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> così nell’esercizio dei propri diritti come nell’<strong>ad</strong>empimento<br />
dei propri obblighi. (2. Il manifesto <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> proprio<br />
<strong>diritto</strong> non è protetto dalla legge») istituisce uno stretto legame<br />
tra questa figura e la violazione <strong>del</strong> dovere di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>.<br />
(39) Sebbene con una impostazione diversa da quella sostenuta<br />
in queste pagine, considera indebita la sovrapposizione tra (divieto<br />
di) “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>” e regola di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> anche Restivo,<br />
Contributo <strong>ad</strong> una teoria <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, Milano, 2007,<br />
passim, e spec. 147 ss.<br />
(40) Per la necessità di non escludere dall’ambito di operatività<br />
<strong>del</strong> principio che vieta l’<strong>abuso</strong>, le libertà e più in generale l’esercizio<br />
di semplici “prerogative” accordate <strong>ad</strong> un soggetto, v. per<br />
tutti la fondamentale indagine di Rescigno, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>,<br />
cit., 225 ss., e, più di recente, Breccia, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, cit., 69<br />
ss. In particolare, sulla possibilità di (e sui limiti entro cui è possibile)<br />
ricondurre al principio in esame anche il c.d. «<strong>abuso</strong> <strong>del</strong>la libertà<br />
contrattuale» sia consentito anche il rinvio a D’Amico, L’<strong>abuso</strong><br />
di autonomia negoziale: nozione e rimedi, Relazione svolto<br />
all’Incontro di studio di Siena, 18 settembre 2009 sul tema “La<br />
formazione <strong>del</strong> contratto”, in corso di pubblicazione. Per una nozione<br />
più ampia di “<strong>abuso</strong> contrattuale” (quale ipotesi comunque<br />
riconducibile allo schema <strong>del</strong>l’«<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>» v., invece,<br />
Di Marzio, voce Abuso contrattuale, in Enc. giur., 2007, I, 1 ss.<br />
(41) Il riferimento è a D’Amico, L’<strong>abuso</strong> di autonomia negoziale:<br />
nozione e rimedi, cit. alla nota precedente.<br />
(42) Si pensi - per restare nel campo <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso (all’ipotesi<br />
in cui un datore di lavoro effettui un licenziamento “in<br />
tronco” di un lavoratore, in mancanza di una “giusta causa” di<br />
recesso dal rapporto di lavoro. Costituisce un’ipotesi di esercizio<br />
“illegittimo” <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso (e non di “<strong>abuso</strong>”) anche quella<br />
in cui sia dichiarata “fittiziamente” (simulatamente) la presenza<br />
di un certa causa <strong>del</strong> licenziamento, che in realtà avviene per<br />
motivi diversi (<strong>ad</strong> es. per “liberarsi” di un lavoratore “scomodo”,<br />
perché impegnato sindacalmente).<br />
I contratti 1/2010 19
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
si accennava - che il soggetto eserciti il potere che<br />
gli è attribuito, non per conseguire queste utilità, che<br />
ineriscono alla situazione di vantaggio di cui è titolare,<br />
bensì (essenzialmente) per conseguire altre e diverse<br />
utilità.<br />
La situazione descritta è presa, in verità, in considerazione<br />
dal nostro legislatore con riferimento (non<br />
tanto all’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> già verificatosi, quanto<br />
piuttosto) alla minaccia di far valere un <strong>diritto</strong>, diretta<br />
a conseguire “vantaggi ingiusti”, ipotesi disciplinata<br />
dall’art. 1438 c.c. (43). Questa norma rende annullabile<br />
l’atto di autonomia quando la “minaccia” di<br />
esercitare il <strong>diritto</strong> (minaccia che, in sé considerata,<br />
non potrebbe certo dirsi “illecita”) sia posta in essere<br />
non tanto per manifestare l’intenzione di “pretendere”<br />
le utilità che ineriscono al <strong>diritto</strong> in questione,<br />
quanto piuttosto per esercitare una (indebita) “pressione”<br />
sull’altra parte, costringendola (o, comunque,<br />
cercando di indurla) a concludere un contratto, alle<br />
utilità scaturenti dal quale (diverse - com’è chiaro -<br />
dalle utilità che ineriscono al <strong>diritto</strong> di cui si prospetta<br />
l’esercizio) mira evidentemente l’autore <strong>del</strong>la<br />
minaccia (44).<br />
Si potrebbe osservare che l’ordinamento sanziona<br />
questo comportamento con l’annullabilità <strong>del</strong> contratto,<br />
e che la situazione ipotizzata dalla norma sia perciò<br />
quella in cui la minaccia abbia avuto effetto, e il minacciato<br />
(in cambio <strong>del</strong>l’impegno <strong>del</strong> minacciante di<br />
astenersi (magari solo per un certo tempo) dall’esercizio<br />
<strong>del</strong> suo <strong>diritto</strong> (45) (abbia dunque “accettato” di concludere<br />
il contratto in tal modo “estorto”. Nulla direbbe<br />
invece la norma con riferimento alla situazione<br />
opposta, ossia alla situazione in cui il minacciato non<br />
abbia ceduto al “ricatto”, e il minacciante abbia dato<br />
seguito alla minaccia, esercitando il <strong>diritto</strong>.<br />
Tuttavia (anche ammesso ciò (non c’è dubbio che, se<br />
pur indirettamente, dall’art. 1438 c.c. si desuma una<br />
chiara qualificazione negativa (46) <strong>del</strong> comportamento<br />
di chi attraverso l(a minaccia di) esercizio <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong> miri a procurarsi utilità diverse e ulteriori rispetto<br />
a quelle che il contenuto <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> garantisce.<br />
Certo, per riprendere il ragionamento precedente,<br />
se il tentativo fallisce e queste (diverse e ulteriori)<br />
utilità non vengono conseguite, si può anche pensare<br />
che l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (che a quel punto sarà in<br />
gr<strong>ad</strong>o di procurare al suo titolare nulla più di quanto<br />
legittimamente gli spetta) non sia (o, se si vuole: torni<br />
a non essere) soggetto a sindacato e a censura.<br />
Ma questa conclusione (anche a volerle dare credito<br />
nella formulazione appena riferita (non si attaglia<br />
comunque all’ipotesi che stiamo facendo, che è diversa.<br />
L’ipotesi che consideriamo, infatti, è quella<br />
che attraverso l’esercizio <strong>del</strong> proprio <strong>diritto</strong> (si miri<br />
20<br />
<strong>ad</strong> ottenere e) si ottenga effettivamente (a spese <strong>del</strong>la<br />
controparte) un’utilità non rientrante (come tale)<br />
nel contenuto <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, cosicché possa senz’altro<br />
dirsi che il <strong>diritto</strong> è stato “utilizzato” per uno scopo<br />
diverso da quello che ne aveva giustificato l’attribuzione<br />
al suo titolare. In altre parole, il soggetto, esercitando<br />
con queste finalità il <strong>diritto</strong>, consegue bensì<br />
le utilità che ineriscono al <strong>diritto</strong> stesso, ma consegue<br />
altresì (a spese <strong>del</strong>la controparte) <strong>del</strong>le utilità<br />
ulteriori, che costituiscono il vero motivo per il quale<br />
il <strong>diritto</strong> è stato esercitato (47).<br />
Ora, non sembra dubbio che, generalizzando il<br />
“principio” che (al di là <strong>del</strong>la fattispecie specifica<br />
considerata dalla norma) si desume dall’art. 1438<br />
c.c., un simile comportamento non possa non dirsi<br />
riprovato dall’ordinamento, siccome comportamento<br />
che merita appunto di essere qualificato come<br />
“<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>”, e che ricorre dunque quando l’esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> è posto in essere essenzialmente (se<br />
non, <strong>ad</strong>dirittura, unicamente) per conseguire un “risultato”<br />
diverso da quello che costituisce l’utilità garantita<br />
dall’ordinamento attraverso quel <strong>diritto</strong> (48).<br />
Note:<br />
(43) Per il richiamo (fra le altre) alla disposizione <strong>del</strong>l’art. 1438<br />
c.c., nella materia <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, v. già Natoli, Note preliminari,<br />
cit., 34 ss., e, più di recente, Sacco, L’esercizio e l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, cit., 355 ss. (dove l’art. 1438 c.c. viene - riassumendo<br />
le indicazioni provenienti dalle analisi dottrinali - individuato come<br />
uno dei momenti di emersione normativa <strong>del</strong>la riprovazione<br />
<strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong>). Sulla fattispecie <strong>del</strong>l’art. 1438 c.c. ci permettiamo di<br />
rinviare a D’Amico, voce Violenza (dir. priv.), in Enc. dir., XLVI,<br />
1993, 858 ss., spec. 870 ss. (ed ivi ulteriori riferimenti).<br />
(44) Il vantaggio “ingiusto”, di cui parla la norma in esame, è un<br />
vantaggio non dovuto, un vantaggio che non rientra nel contenuto<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di cui si minaccia l’esercizio.<br />
(45) Cfr. Del Prato, La minaccia di far valere un <strong>diritto</strong>, P<strong>ad</strong>ova,<br />
1990.<br />
(46) Tanto da assimilare il comportamento considerato a quello<br />
di chi estorca il contratto attraverso la minaccia di un male “ingiusto”<br />
(cioè di un male che il minacciato non è tenuto a subire,<br />
non essendoci in ipotesi un “<strong>diritto</strong>” <strong>del</strong> minacciante di infliggere<br />
tale male).<br />
(47) Il fatto che nel testo si parli di “motivo”, non deve far pensare<br />
che ci si intenda riferire <strong>ad</strong> una componente “psicologica”<br />
(o comunque “soggettiva”). Deve essere chiaro, infatti, che l’indagine<br />
che l’interprete deve compiere al fine di accertare l’”<strong>abuso</strong>”<br />
è un’indagine eminentemente (ed esclusivamente) “oggettiva”,<br />
volta <strong>ad</strong> accertare se dall’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> sia stata tratta<br />
una “utilità” diversa e ulteriore rispetto a quelle assicurate di<br />
per sé dal contenuto <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, e se questa utilità sia il vero scopo<br />
(nel senso, appunto, oggettivo di “risultato”) al quale l’esercizio<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> era diretto.<br />
(48) La disposizione <strong>del</strong>l’art. 1438 c.c. appare così il dato normativo<br />
che forse meglio consente di enucleare i caratteri <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>. Meglio (sicuramente (<strong>del</strong>l’art. 833 c.c. (relativo alla<br />
classica figura <strong>del</strong>la aemulatio), nel quale (<strong>ad</strong> es.) appare discutibile,<br />
perché troppo restrittivo, il requisito rappresentato dalla assenza<br />
di qualsiasi utilità per l’autore <strong>del</strong>l’atto di esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>.<br />
I contratti 1/2010
Restando nel campo <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso, potrebbe<br />
ricorrere la fattispecie <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> - a volere tentare<br />
una prima “concretizzazione” <strong>del</strong>la direttiva appena<br />
enunciata (se (in presenza dei presupposti che ne<br />
consentono l’esercizio) il recesso venga posto in essere<br />
non tanto per porre termine al rapporto, quanto<br />
piuttosto per indurre (<strong>ad</strong> es. durante il decorso <strong>del</strong><br />
periodo di preavviso) la controparte a “rinunciare”<br />
(in vista di una revoca <strong>del</strong> recesso) <strong>ad</strong> alcune pretese<br />
(derivanti dal pregresso svolgimento <strong>del</strong> rapporto),<br />
o per “rinegoziare” un rinnovo <strong>del</strong> rapporto a<br />
condizioni più vantaggiose (49) e da una posizione<br />
di maggiore “forza” (derivante dal timore <strong>del</strong>la controparte<br />
che la relazione contrattuale possa interrompersi<br />
definitivamente)(50).<br />
Nei rapporti tra imprese, in cui una <strong>del</strong>le parti si trovi<br />
in situazione di “dipendenza economica” rispetto<br />
all’altra, la situazione descritta potrebbe integrare<br />
(oggi), più specificamente, gli estremi <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> di<br />
dipendenza economica (art. 9 d.lgs. n. 192 <strong>del</strong> 1998,<br />
sulla c.d. subfornitura), che il legislatore ha previsto<br />
possa consistere anche nella interruzione arbitraria<br />
<strong>del</strong>la relazione contrattuale (51): con la conseguenza<br />
che - ove ciò si verifichi - il rimedio non sarà<br />
quello (generale) che normalmente consegue all’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (e cioè: il risarcimento <strong>del</strong> danno)<br />
(52), ma sarà lo “speciale” rimedio “invalidatorio”<br />
previsto dal cit. art. 9 l. n. 192 <strong>del</strong> 1998 (53).<br />
La fattispecie <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> di dipendenza economica, da<br />
ultimo richiamata, è peraltro (è bene precisarlo (in<br />
sé considerata, una fattispecie di <strong>abuso</strong> di una situazione<br />
di fatto, non di <strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (54): anche quan-<br />
Note:<br />
(49) È opportuno, peraltro, sottolineare che la rinegoziazione <strong>del</strong>le<br />
condizioni contrattuali, dopo aver esercitato il recesso dal rapporto,<br />
non è di per sé indice di un comportamento di “<strong>abuso</strong>”<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso. Può ben darsi infatti che una parte si sia riservata<br />
nel contratto la facoltà di recedere (e che l’altra parte abbia<br />
accordato tale facoltà) proprio al fine di disporre di uno strumento<br />
per potersi sciogliere dal vincolo in presenza di una mutata<br />
situazione di mercato, o, comunque, di un cambimento <strong>del</strong>le<br />
condizioni dalle quali deriva la convenienza (soggettiva) <strong>del</strong>l’operazione.<br />
In tal caso, rinegoziare con la medesima controparte<br />
le condizioni <strong>del</strong> rapporto, al fine di pervenire (eventualmente) alla<br />
stipula di un nuovo (e più conveniente) contratto, non costituisce<br />
di per sé un comportamento che denoti l’abusività <strong>del</strong> precedente<br />
recesso.<br />
(50) Si tratta di fattispecie che - come è agevole intuire - potrebbero,<br />
ricorrendo tutti gli altri presupposti, integrare l’ipotesi di cui<br />
all’art. 1438 c.c. (alla quale si è sopra fatto riferimento): così <strong>ad</strong><br />
es. nel caso in cui la (minaccia de)l recesso sia prospettata al fine<br />
di concludere una transazione vantaggiosa, oppure per stipulare<br />
un accordo modificativo e/o novativo dei precedenti patti<br />
(anche in questo caso, a condizioni vantaggiose per il virtuale<br />
“recedente”). V. anche quando diciamo subito infra (nel testo e<br />
nella nota seguente), a proposito <strong>del</strong>la qualificabilità di tali fattispecie<br />
(quando ineriscano a un contratto tra imprese) anche alla<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
stregua <strong>del</strong>l’art. 9 l. subfornitura (ove ricorrano, ovviamente, tutti<br />
gli altri elementi richiesti da tale norma), con la possibilità però<br />
in tal caso che sia diverso anche il rimedio (la nullità, anziché l’annullabilità<br />
ex art. 1438 c.c. o il mero risarcimento <strong>del</strong> danno).<br />
(51) Va, peraltro, osservato che non sembra questo il caso <strong>del</strong>la<br />
fattispecie decisa nei tre gr<strong>ad</strong>i di giudizio conclusisi con la sentenza<br />
<strong>del</strong>la Cassazione n. 20106/2009. In primo luogo perché, nel<br />
caso concreto, all’epoca dei fatti (ossia all’epoca in cui era stato<br />
esercitato il <strong>diritto</strong> di recesso) la legge 18 luglio 1998, n. 192 sulla<br />
subfornitura non era ancora stata emanata (per una fattispecie<br />
in cui, invece, poteva - almeno astrattamente (trovare applicazione<br />
ratione temporis la disciplina <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> di dipendenza economica,<br />
v. la già citata ordinanza di Trib. Roma 27-10/5-11-2003, Autofur<br />
s.r.l. c. Renault Italia S.p.a., che ha peraltro negato in concreto<br />
la ricorrenza nella specie di una ipotesi integrante gli estremi<br />
di cui all’art. 9 l. subforn. ). In secondo luogo perché,<br />
quand’anche tale legge fosse già stata in vigore, non sembra che<br />
il recesso concretamente esercitato dalla Renault nei confronti<br />
dei suoi concessionari presentasse carattere “abusivo”, nel senso<br />
che abbiamo cercato di precisare nel testo (appropriazione -<br />
nei confronti <strong>del</strong>la controparte (di una utilità diversa e ulteriore rispetto<br />
a quelle assicurate dal contenuto <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>).<br />
(52) V. anche infra, nota 63.<br />
(53) La fattispecie <strong>del</strong>l’art. 9 richiede la presenza di elementi<br />
“specificanti” (rispetto al “generico” contesto, nel quale può verificarsi<br />
un “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>”), che giustificano la più “specifica”<br />
sanzione disposta dal legislatore rispetto al semplice risarcimento<br />
<strong>del</strong> danno: tra tali elementi, va ricordato in particolare quello<br />
per cui una <strong>del</strong>le imprese contraenti deve trovarsi in una situazione<br />
di “dipendenza economica”, e cioè in una situazione che in<br />
particolare si caratterizzi per la mancanza di una reale possibilità<br />
di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Mentre quindi -<br />
per dirla altrimenti e in maniera semplificata - un “generico” <strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di recesso dà luogo (e poteva dar luogo anche prima<br />
<strong>del</strong>la l. n. 192 <strong>del</strong> 1998) <strong>ad</strong> una reazione in termini meramente<br />
“risarcitori”, un recesso che risulti (oggi) integrare la fattispecie<br />
“specifica” di un <strong>abuso</strong> di dipendenza economica sarà suscettibile<br />
di implicare l’applicazione di un rimedio non solo di tipo risarcitorio,<br />
ma altresì di tipo “reale” (nullità <strong>del</strong> recesso; a meno che<br />
si escluda che la formula di cui al 3° comma <strong>del</strong>l’art. 9 l. n. 192<br />
<strong>del</strong> 1998 possa essere applicata, sia pure in via di interpretazione<br />
estensiva anche <strong>ad</strong> atti unilaterali - oltre che ai “patti” (attraverso<br />
i quali possa essersi realizzato un “<strong>abuso</strong>” di dipendenza economica).<br />
Il che dà ragione <strong>del</strong> novum introdotto, anche sotto il profilo<br />
considerato, dalla legge sulla subfornitura.<br />
(54) Con l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, l’ipotesi <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> di dipendenza<br />
economica ha in comune la circostanza che anche qui colui che<br />
“abusa” cerca di ottenere “vantaggi” ai quali non ha “<strong>diritto</strong>”<br />
(per la descrizione <strong>del</strong> fenomeno, e per i doverosi riferimenti bibliografici,<br />
si consentito il rinvio a D’Amico, Il terzo contratto. La<br />
formazione, in AA.VV., Il terzo contratto a cura di G. Gitti-G. Villa,<br />
Bologna, 2008, 61 ss.). Per la distinzione tra “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>” e<br />
“<strong>abuso</strong> di una situazione di fatto” v. (per una più ampia argomentazione)<br />
D’Amico, L’<strong>abuso</strong> di autonomia negoziale: fattispecie<br />
e rimedi, cit. Come già accennato supra, alla nota 50, secondo<br />
peraltro un orientamento alquanto diffuso, sarebbe possibile<br />
ricondurre al concetto e alla problematica <strong>del</strong>l’”<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>”<br />
anche le situazioni di “<strong>abuso</strong>” <strong>del</strong> potere contrattuale (nelle varie<br />
configurazioni che possono assumere: <strong>abuso</strong> di posizione dominante,<br />
<strong>abuso</strong> di dipendenza economica, clausole “abusive” nei<br />
contratti dei consumatori, ecc.): cfr., <strong>ad</strong> es., oltre Di Marzio, Abuso<br />
contrattuale, già citato, Macario, Abuso di autonomia negoziale<br />
e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola<br />
generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 663 ss.; Breccia, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>,<br />
cit., passim e spec. 37 ss.; Sacco, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong>la libertà contrattuale,<br />
in Diritto privato 1997, cit., passim. Posizione questa<br />
che è, <strong>ad</strong> un tempo, causa ed effetto (a nostro avviso (<strong>del</strong>la sovrapposizione<br />
tra “<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>” e regola di “<strong>buona</strong> <strong>fede</strong>” (v.<br />
supra, testo e nt. 38), che non a caso è fondamentalmente “assunta”<br />
(sia pure in prospettive diverse) dagli autori or ora citati.<br />
I contratti 1/2010 21
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
do l’<strong>abuso</strong> ex art. 9 l. n. 192 <strong>del</strong> 1998 si realizzi attraverso<br />
l’esercizio “strumentale” di un <strong>diritto</strong> (55)<br />
(<strong>ad</strong> es. di recesso), ciò che appare scriminante (ai fini<br />
<strong>del</strong>la possibilità di ritenere sussistente la fattispecie<br />
in esame) è che il comportamento “abusivo”<br />
(56) sia (stato) reso possibile non (tanto e non solo)<br />
dalla titolarità <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> esercitato, quanto piuttosto<br />
dalla situazione di “dipendenza economica” in<br />
cui si trova la controparte.<br />
Per concludere su questo punto, merita di essere infine<br />
evidenziato che il sindacato degli atti di esercizio<br />
dei diritti attraverso la tecnica <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
(e cioè attraverso un controllo “causale”) deve ritenersi,<br />
per sua natura, idoneo a condurre alla affermazione<br />
<strong>del</strong>la sussistenza <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> solo in ipotesi (tendenzialmente)<br />
limitate e circoscritte. E in tal senso i criteri<br />
che solitamente vengono valorizzati dalle dottrine<br />
sull’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (l’intenzione di nuocere, e, soprattutto,<br />
la circostanza che lo scopo ulteriore che attraverso<br />
l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> si persegue appaia come lo<br />
scopo essenziale, se non l’unico, per il quale il <strong>diritto</strong><br />
stesso è stato esercitato) possono fornire <strong>del</strong>le utili direttive<br />
per evitare che il controllo sull’esercizio dei diritti<br />
veicoli forme di valutazione giudiziale eccessivamente<br />
ampie e, in definitiva, improprie (57).<br />
Limitazioni alle quali si sottrae il (diverso) tipo di<br />
“controllo” che viene posto in essere quando si valuta<br />
l’esercizio dei diritti (in particolare: dei diritti che<br />
scaturiscono da un contratto) attraverso il canone<br />
<strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> in executivis, sancito dall’art. 1375<br />
c.c.<br />
La differenza tra le due forme di “sindacato” (per venire<br />
così al punto centrale e al contempo conclusivo<br />
<strong>del</strong> ragionamento che, sia pur sinteticamente, si è<br />
inteso svolgere in queste pagine (va precisamente riposta<br />
in ciò, che mentre l’applicazione <strong>del</strong>la tecnica<br />
<strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> implica (come già visto) un<br />
controllo “causale” <strong>del</strong>l’atto di esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
(perché mira <strong>ad</strong> evitare che quest’atto di esercizio<br />
possa ipoteticamente essere stato posto in essere per<br />
conseguire uno scopo/risultato diverso e ulteriore rispetto<br />
alle utilità che l’ordinamento garantisce al titolare<br />
<strong>del</strong>la situazione giuridica attiva), nel caso in<br />
cui il controllo sull’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> viene operato<br />
attraverso il canone <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> non si sindaca<br />
lo “scopo” per il quale tale esercizio è avvenuto<br />
(scopo che, in thesi, si deve immaginare corrispondente<br />
alla finalità per la quale è avvenuta l’attribuzione<br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>), ma si censurano piuttosto le modalità<br />
con le quali esso si è realizzato (58), modalità<br />
Note:<br />
(55) Ciò che non sempre acc<strong>ad</strong>e, ben potendosi avere compor-<br />
22<br />
tamenti “abusivi” ex art. 9 L. 192/98 che non consistono in atti<br />
di esercizio di un “<strong>diritto</strong>”.<br />
(56) Rectius: contrario a <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>. È il caso di ricordare che<br />
(anche prima <strong>del</strong>l’introduzione <strong>del</strong>la legge sulla subfornitura, e<br />
senza invocare la teorica <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (la dottrina aveva<br />
fatto ricorso al principio di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> come principio idoneo a<br />
governare «il <strong>del</strong>icato intreccio di interessi provocato dalla fine<br />
<strong>del</strong>la cooperazione tra i partners» nei rapporti di distribuzione integrata<br />
(cfr. Pardolesi, voce Contratti di distribuzione, in Enc.<br />
giur. Treccani, IX, 1988, 8 ss.; e, già prima, Id., I contratti di distribuzione,<br />
Napoli, 1979, 299 ss.). In questa prospettiva, era<br />
stata sollevata in particolare «l’esigenza di proteggere il concessionario<br />
e gli investimenti da lui compiuti contro il pericolo di recesso<br />
unilaterale o <strong>del</strong> mancato rinnovo da parte <strong>del</strong> produttore»,<br />
e - prendendo appunto a base il principio di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> (art.<br />
1375 c.c.), oltre che alcune disposizioni specifiche (artt. 1671,<br />
2237 e 1727 c.c.) (si era proposto di considerare illecito il recesso<br />
intimato dal concedente (senza giusta causa) prima che fosse<br />
trascorso un lasso di tempo sufficiente <strong>ad</strong> accordare al concessionario<br />
una ragionevole chance di recupero degli investimenti<br />
che lo scioglimento rende irrecuperabili, e di riconoscergli conseguentemente<br />
una tutela risarcitoria (cfr. Pardolesi, I contratti<br />
di distribuzione, cit., 323 ss.; e v. anche Cagnasso, La concessione<br />
di vendita. Problemi di qualificazione, Milano, 1983, 118<br />
ss.).<br />
(57) Il pericolo è, soprattutto, che attraverso l’esigenza di reprimere<br />
gli “abusi” si finiscano per introdurre forme di controllo<br />
che possano rimettere in discussione diritti e/o prerogative riconosciute<br />
dall’ordinamento ai soggetti. Bisogna evitare <strong>ad</strong> es. che<br />
attraverso il controllo sull’<strong>abuso</strong> il giudice arrivi a sindacare il merito<br />
<strong>del</strong>le scelte imprenditoriali, quando queste debbano ritenersi<br />
essenzialmente libere in quanto incidenti sul rischio che l’imprenditore<br />
assume nello svolgimento <strong>del</strong>la propria attività (<strong>ad</strong><br />
es.: esigenze di ristrutturazione <strong>del</strong>la rete di vendita, che siano<br />
poste a base <strong>del</strong> recesso; come avveniva nella vicenda di cui ci<br />
stiamo occupando). Peraltro va osservato che l’esperienza giurisprudenziale,<br />
in un campo abbastanza emblematico qual è quello<br />
dei licenziamenti dei lavoratori subordinati, mostra come i giudici<br />
si guardino bene dal sindacare (in presenza di un giustificato<br />
motivo “oggettivo”, e in particolare di un licenziamento per ristrutturazione<br />
aziendale) il merito <strong>del</strong>le scelte <strong>del</strong>l’imprenditore,<br />
mostrando così consapevolezza che un tale sindacato finirebbe<br />
per risolversi nella lesione <strong>del</strong>la fondamentale libertà di iniziativa<br />
economica privata, tutelata dall’art. 41 Cost.<br />
(58) La distinzione tra i due profili - va ammesso -, per quanto<br />
chiara sul piano concettuale, può in concreto (e in relazione a determinate<br />
fattispecie) rivelarsi difficile da operare. Emblematico<br />
è, <strong>ad</strong> es., il caso <strong>del</strong>le “clausole vessatorie” o “abusive” (fattispecie<br />
che a nostro avviso va inqu<strong>ad</strong>rata nel fenomeno <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>: v. D’Amico, L’<strong>abuso</strong> di autonomia negoziale nei<br />
contratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2005, I, spec. 646 ss.):<br />
e, infatti, l’utilizzazione <strong>del</strong>lo speciale “potere” di autonomia<br />
contrattuale (che l’ordinamento accorda all’imprenditore consentendogli<br />
di <strong>ad</strong>operare “condizioni generali di contratto”) per<br />
uno “scopo” diverso da quello per il quale quel potere è accordato<br />
(profilo che consente, appunto, di richiamare lo schema <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong>) si intreccia con la violazione <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong><br />
(si veda la definizione di clausola vessatoria ora contenuta nell’art.<br />
33 cod. cons., e sempre che si accetti di interpretare la<br />
“<strong>buona</strong> <strong>fede</strong>” cui allude questa norma come <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> in senso<br />
oggettivo, e non come <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> in senso soggettivo). Un<br />
esempio speculare è fornito dall’ipotesi <strong>del</strong>l’”<strong>abuso</strong>” di dipendenza<br />
economica (fattispecie che a nostro avviso non va inqu<strong>ad</strong>rata<br />
nel fenomeno <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>), la quale pure mostra<br />
come la violazione <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> possa in taluni casi emergere<br />
proprio attraverso la considerazione <strong>del</strong>lo scopo <strong>del</strong> comportamento<br />
(scopo che - nell’ipotesi di “<strong>abuso</strong>” di dipendenza economica<br />
(consiste nel tentativo <strong>del</strong>l’imprenditore in posizione di<br />
dominanza relativa di appropriarsi, in sede di svolgimento <strong>del</strong><br />
rapporto, di una parte <strong>del</strong>l’utile che in base al contratto spetterebbe<br />
alla controparte contrattuale).<br />
I contratti 1/2010
che per l’appunto possono essere tali da fare ritenere<br />
sleale la condotta <strong>del</strong> contraente (59) (<strong>ad</strong> es.: recesso<br />
improvviso, esercitato nonostante il comportamento<br />
precedente <strong>del</strong> recedente abbia colposamente<br />
indotto nella controparte il legittimo affidamento<br />
circa la continuazione <strong>del</strong> rapporto) (60).<br />
Tornando alla vicenda concreta che veniva in rilievo<br />
nel caso di specie, appare chiaro allora che ciò<br />
che i concessionari “revocati” lamentavano - assumendo<br />
che il recesso era risultato (nonostante l’avvenuta<br />
intimazione <strong>del</strong> “preavviso”) inaspettato e<br />
sorprendente, avendo la società concedente col proprio<br />
comportamento ingenerato il legittimo affidamento<br />
circa la continuazione <strong>del</strong> rapporto - era proprio<br />
una violazione <strong>del</strong> dovere di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, più<br />
che un “<strong>abuso</strong>” <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> (di recesso) (61).<br />
Violazione il cui accertamento - se è vero quanto si<br />
è cercato in queste pagine di argomentare - da un lato<br />
non è condizionato e “circoscritto” dalla necessità<br />
di riscontrare particolari circostanze “(de-)qualificanti”<br />
(<strong>ad</strong> es. il dolo, inteso come intenzione di<br />
nuocere) (62), ma dall’altro deve limitarsi <strong>ad</strong> un<br />
controllo di tipo esclusivamente “procedurale” (il<br />
controllo sulle modalità <strong>del</strong>l’agire), che non può<br />
spingersi a sindacare i motivi (o lo “scopo”) per il<br />
quale il recesso (<strong>ad</strong> <strong>nutum</strong>) è stato posto in essere<br />
(63).<br />
Il non avere tenuto distinti questi (diversi) piani è<br />
uno degli errori che possono imputarsi alla pronuncia<br />
commentata, la quale (non riuscendo a cogliere<br />
il distinto modo di operare <strong>del</strong> criterio <strong>del</strong>l’<strong>abuso</strong> e<br />
di quello <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, e anzi realizzando una<br />
(indebita) commistione e confusione tra queste (diverse)<br />
tecniche di controllo degli atti di esercizio dei<br />
diritti - finisce non solo per non risolvere il problema<br />
<strong>del</strong> rapporto tra <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> ed <strong>abuso</strong>, ma anche<br />
per rendere più confuso il profilo teorico di ciascuno<br />
di questi due “concetti”, che si vede attribuite caratteristiche<br />
e funzioni che non gli sono proprie e che<br />
sono invece proprie <strong>del</strong>l’altro.<br />
Note:<br />
(59) È l’indicazione che si ricava dalla giurisprudenza, già sopra<br />
citata, sul recesso <strong>ad</strong> <strong>nutum</strong> dal contratto di apertura di credito a<br />
tempo indeterminato (v. supra, nota 37).<br />
(60) La valutazione di questo profilo (che attiene, peraltro, <strong>ad</strong> una<br />
tipica questione di fatto) non era mancata - come già si è avuto<br />
modo di segnalare (nei due gr<strong>ad</strong>i di merito <strong>del</strong> giudizio relativo alla<br />
vicenda in esame (e soprattutto nel primo). L’esistenza di un<br />
“legittimo affidamento” (nella prosecuzione <strong>del</strong> rapporto) era<br />
stata, in particolare, esclusa con due argomentazioni: a) anzitutto<br />
perché il supposto “affidamento” sarebbe dovuto sorgere a<br />
recesso già intimato (e in pendenza <strong>del</strong> termine di preavviso), il<br />
che già di per sé indeboliva la tesi dei concessionari; b) in secondo<br />
luogo perché l’effettuazione di (ulteriori) “investimenti”<br />
(anche, talora, con apertura di nuove sedi) da parte dei conces-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
sionari era avvenuta per iniziativa di questi ultimi e non su sollecitazione<br />
<strong>del</strong>la società concedente, e comunque rientrava nell’ambito<br />
<strong>del</strong>l’osservanza degli obblighi contrattuali alla quale i<br />
concessionari erano tenuti anche in pendenza <strong>del</strong> preavviso di<br />
recesso (<strong>del</strong>la durata di un anno) e sino alla data di scioglimento<br />
<strong>del</strong> rapporto. Attesa l’insindacabilità nel merito di queste valutazioni<br />
nel giudizio in Cassazione, i giudici <strong>del</strong> Supremo Collegio<br />
avrebbero potuto ritenere (eventualmente) contr<strong>ad</strong>dittoria e/o illogica<br />
la motivazione sul punto dei giudici di merito. Essi, invece,<br />
hanno scelto la str<strong>ad</strong>a di cassare (con rinvio) la sentenza impugnata,<br />
per erronea interpretazione e applicazione di principi di <strong>diritto</strong><br />
(in particolare <strong>del</strong> principio che vieta l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>), rimettendo<br />
al giudice <strong>del</strong> rinvio una valutazione fattuale che in<br />
realtà era stata già effettuata (e che evidentemente la Cassazione<br />
non ha condiviso).<br />
(61) V. anche la nota precedente.<br />
(62) La terminologia è quella di Sacco (op. cit., 326,341), il quale<br />
individua (descrittivamente) l’atto “abusivo” come «l’atto reso<br />
tale da circostanze concomitanti che lo dequalificano».<br />
(63) Anche sul piano dei rimedi - come si è avuto modo, sia pure<br />
incidentalmente, di accennare nel corso di questa Nota (<strong>abuso</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>diritto</strong> e violazione <strong>del</strong>la <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> si pongono su piani diversi.<br />
Mentre, infatti, la violazione <strong>del</strong> dovere di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong> (fattispecie<br />
<strong>del</strong>l’esercizio “scorretto” di un <strong>diritto</strong> in sede di esecuzione<br />
<strong>del</strong> contratto) comporta come tale un rimedio di tipo risarcitorio,<br />
l’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> - sebbene anch’esso sanzionato tendenzialmente<br />
attraverso una forma di “responsabilità” (lascia<br />
aperta la possibilità di una tutela (per così dire) “reale”, che si<br />
esprima attraverso rimedi diversi dal mero risarcimento <strong>del</strong> danno<br />
(sul punto v. <strong>ad</strong> es. Breccia, L’<strong>abuso</strong> <strong>del</strong> <strong>diritto</strong>, cit., 30 ss.).<br />
I contratti 1/2010 23
Causa <strong>del</strong> contratto<br />
Motivi in fraudem legis<br />
e motivi contra legem<br />
Svolgimento <strong>del</strong> processo<br />
Con sentenza non definitiva in data 1-22 giugno 1999 il<br />
Tribunale di Lecce accoglieva - definendone i limiti temporali<br />
- la domanda proposta da V. G., che aveva chiesto<br />
la solidale condanna di F. R. e <strong>del</strong> Consorzio di Vigilanza<br />
I Falchi al risarcimento dei danni arrecatigli a causa <strong>del</strong>la<br />
cessazione anticipata <strong>del</strong> contratto decennale relativo<br />
alla consulenza tecnica che gli era stata affidata.<br />
Con sentenza in data 18 giugno-20 novembre 2003 la<br />
Corte d’Appello di Lecce, accogliendo per quanto di ragione<br />
l’impugnazione immediata <strong>del</strong> F., dichiarava la nullità<br />
<strong>del</strong> contratto da costui stipulato con il V. di cui, per<br />
l’effetto, rigettava la domanda, così come rigettava la domanda<br />
riconvenzionale spiegata dal Consorzio.<br />
La Corte territoriale osservava (per quanto interessa:<br />
l’eccezione di nullità <strong>del</strong> giudizio di primo gr<strong>ad</strong>o era comunque<br />
infondata, poiché la causa non sarebbe potuta<br />
regredire in primo gr<strong>ad</strong>o e decisa dal giudice <strong>del</strong> lavoro; il<br />
contratto de quo era mallo per illiceità <strong>del</strong> motivo unico<br />
e comune che aveva determinato le parti a concluderlo,<br />
perseguendo finalità contrarie a norme di ordine pubblico,<br />
quali certamente sono le disposizioni di cui al r.d. 18<br />
giugno 1931, n. 773, artt. 133 e 136 (T.u.l.p.s.), le quali<br />
assoggettano <strong>ad</strong> autorizzazione prefettizia l’esercizio e l’attività<br />
di vigilanza e custodia esercitata per mezzo di guardie<br />
particolari giurate.<br />
Avverso la suddetta sentenza il V. ha proposto ricorso per<br />
cassazione affidato a tre motivi.<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 9 luglio 2009, n. 16130 - Pres. Varrone - Rel. Massera - P.m. De<br />
Nunzio - V. G. c. F. R.<br />
Il motivo illecito - che, se comune <strong>ad</strong> entrambe le parti, quando sia stato il solo a determinarne la volontà, comporta<br />
la nullità <strong>del</strong> contratto - si identifica con una finalità vietata dall’ordinamento, poiché contraria a norma<br />
imperativa o ai principi <strong>del</strong>l’ordine pubblico o <strong>del</strong> buon costume, ovvero poiché diretta <strong>ad</strong> eludere, mediante<br />
detta stipulazione, una norma imperativa. La valutazione compiuta al riguardo dal giudice di merito è insindacabile<br />
in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivata. (Nella specie è stata confermata la<br />
sentenza impugnata con cui si era ritenuta la nullità di un contratto di vigilanza e custodia a mezzo guardie<br />
giurate, per averne i contraenti stabilito l’operatività anche in zone territoriali, in cui la società commissionaria<br />
non era abilitata <strong>ad</strong> operare, così eludendo le norme imperative che assoggettano tale attività <strong>ad</strong> autorizzazione<br />
prefettizia).<br />
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI<br />
Conforme Cass., Sez. Un., 25 ottobre 1993, n. 10603, in Corr. giur., 1994, 181<br />
Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti<br />
Il F. ha proposto ricorso incidentale condizionato articolato<br />
in sei motivi, cui il V. ha resistito con controricorso<br />
Il Consorzio di Vigilanza I Falchi non ha espletato difese.<br />
Motivi <strong>del</strong>la decisione<br />
I due ricorsi vanno riuniti ai sensi <strong>del</strong>l’art. 335 c.p.c..<br />
Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia<br />
violazione <strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. e vizio di motivazione <strong>del</strong>la<br />
sentenza impugnata l<strong>ad</strong>dove essa ha ritenuto che il contratto<br />
all’origine <strong>del</strong>la controversia fosse stato ispirato<br />
dalla volontà di eludere le disposizione di ordine pubblico<br />
che stabiliscono i limiti di operatività degli istituti di<br />
vigilanza privata, consentendo alla società, di cui il V. era<br />
amministratore, di estendere la sua attività anche in zone<br />
territoriali in cui non era abilitata <strong>ad</strong> operare, mentre ha<br />
poi affermato che il F. era interessato all’acquisizione <strong>del</strong>la<br />
fideiussione di L. 150.000.000 offerta dal V. al Consorzio<br />
di cui l’intimato era presidente.<br />
Con il secondo motivo lamenta violazione ancora <strong>del</strong>l’art.<br />
1345 c.c. e vizio di motivazione sul rilievo che la<br />
stessa sentenza impugnata aveva riconosciuto che il F. era<br />
stato mosso a concludere il negozio dal motivo ulteriore<br />
di acquisire la fideiussione, ma aveva erroneamente ritenuto<br />
sufficiente la consapevolezza e condivisione da parte<br />
<strong>del</strong> medesimo <strong>del</strong> fine perseguito dal V.<br />
Le due censure, che sono connesse e, pertanto, si prestano<br />
a trattazione congiunta, risultano infondate.<br />
La norma di riferimento (art. 1345 c.c.) sancisce la nul-<br />
I contratti 3/2010 239
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
lità <strong>del</strong> contratto allorché le parti si siano determinate a<br />
concluderlo esclusivamente per un motivo illecito, comune<br />
<strong>ad</strong> entrambe.<br />
La giurisprudenza ha sempre e costantemente affermato il<br />
condivisibile principio secondo cui la nullità <strong>del</strong> contratto<br />
per illiceità dei motivi ricorre - ai sensi degli artt. 1418<br />
e 1345 c.c. - quando il motivo illecito sia stato il solo a determinare<br />
la volontà <strong>del</strong>le parti e sia comune <strong>ad</strong> entrambe<br />
nel senso che i due contraenti si sono ispirati al perseguimento<br />
<strong>del</strong>la stessa finalità illecita. La valutazione compiuta<br />
a tale riguardo dal giudice <strong>del</strong> merito, alla stregua <strong>del</strong>le<br />
risultanze processuali acquisite, è insindacabile in sede di<br />
legittimità, se congruamente e correttamente motivata.<br />
L’elaborazione giurisprudenziale ha anche chiarito che il<br />
motivo illecito - che se comune <strong>ad</strong> entrambe le parti e determinante<br />
per la stipulazione, determina la nullità <strong>del</strong><br />
contratto - si identifica con una finalità vietata dall’ordinamento,<br />
poiché contraria a norma imperativa o ai principi<br />
<strong>del</strong>l’ordine pubblico o <strong>del</strong> buon costume, ovvero poiché<br />
diretta <strong>ad</strong> eludere, mediante detta stipulazione, una<br />
norma imperativa.<br />
La Corte territoriale ha affermato che entrambe le parti<br />
hanno voluto concludere il contratto nella consapevolezza<br />
che con esso sarebbero state eluse le norme d’ordine<br />
pubblico che assoggettano <strong>ad</strong> autorizzazione prefettizia<br />
l’esercizio per mezzo di guardie giurate particolari <strong>del</strong>l’attività<br />
di vigilanza e custodia.<br />
Questa conclusione - frutto di un’indagine di fatto congruamente<br />
motivata e, quindi, idonea a superare il vaglio di<br />
legittimità - riverbera i suoi effetti sul piano giuridico, in<br />
quanto individua il motivo, comune e illecito, che ha determinato<br />
la conclusione <strong>del</strong> contratto e che risulta in esso<br />
esteriorizzato, al di là <strong>del</strong> movente che ha determinato la<br />
volontà negoziale dei contraenti, effettivamente diverso,<br />
poiché - come risulta dalla sentenza impugnata - da una<br />
parte si perseguiva l’intento d’introdursi in territori in cui<br />
erano presenti altri istituti similari, mentre lo scopo <strong>del</strong>l’altra<br />
parte era di acquisire una fideiussione di L. 150.000.000<br />
e tuttavia estraneo alla struttura <strong>del</strong> contratto.<br />
240<br />
IL COMMENTO<br />
di Francesco Sangermano<br />
Giova rib<strong>ad</strong>ire, al riguardo, che l’intento pratico perseguito<br />
da ciascun contraente rappresenta un motivo o impulso<br />
interno, di carattere squisitamente soggettivo ed<br />
estraneo al congegno negoziale, così come le previsioni e<br />
aspettative dei medesimi in ordine al risultato economico<br />
<strong>del</strong> contratto, qualora non trovino alcun riscontro, nel<br />
significato obiettivo e socialmente riconoscibile <strong>del</strong>le rispettive<br />
dichiarazioni negoziali o nelle intrinseca essenza<br />
<strong>del</strong> rapporto, restano confinate nel campo dei semplici<br />
moventi o <strong>del</strong>le soggettive valutazioni circa la convenienza<br />
<strong>del</strong>l’affare, e sono quindi prive di giuridica rilevanza,<br />
perché estranee alla causa giuridica e al contenuto<br />
oggettivo <strong>del</strong> contratto e <strong>del</strong>le obbligazioni che ne derivano.<br />
Con il terzo motivo il ricorrente assume che la sentenza<br />
ha violato gli artt. 1345 e 1394 c.c. avendo ritenuto che<br />
il motivo illecito ritenuto comune al F. e al V. potesse essere<br />
esteso anche al Consorzio nel nome e per conto <strong>del</strong><br />
quale il primo aveva contrattato e negoziato; senza considerare<br />
che il consentire alla società rappresentata dal V.<br />
di penetrare nella zona di operatività <strong>del</strong> Consorzio aveva<br />
posto il F. in conflitto di interessi con quest’ultimo.<br />
La censura è inammissibile per novità poiché non risulta<br />
essere stata prospettata avanti alla Corte territoriale (in<br />
caso contrario, in ottemperanza al principio di autosufficienza<br />
<strong>del</strong> ricorso per cassazione, il ricorrente avrebbe dovuto<br />
offrire <strong>ad</strong>eguata dimostrazione). Inoltre essa postula<br />
un’indagine di fatto che non può essere effettuata in questa<br />
sede.<br />
Il rigetto <strong>del</strong> ricorso principale determina l’assorbimento<br />
di quello incidentale condizionato <strong>del</strong> F..<br />
La natura e l’oggetto <strong>del</strong>la causa e le tesi rispettivamente<br />
sostenute dalle parti consigliano la compensazione <strong>del</strong>le<br />
spese <strong>del</strong> giudizio di cassazione.<br />
P.Q.M.<br />
Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito<br />
l’incidentale condizionato. Spese <strong>del</strong> giudizio di cassazione<br />
compensate.<br />
La Suprema Corte rib<strong>ad</strong>isce la definizione <strong>del</strong> motivo illecito - che, se comune <strong>ad</strong> entrambe le parti e sia stato<br />
il solo a determinarne la volontà negoziale, provoca la nullità <strong>del</strong> contratto ex art. 1345 c.c. - identificandolo<br />
con una finalità vietata dall’ordinamento giuridico, in quanto contraria a norme imperative, ordine pubblico<br />
o buon costume, ovvero in quanto diretta <strong>ad</strong> eludere, mediante il negozio, una norma imperativa.<br />
La fattispecie oggetto <strong>del</strong> giudizio<br />
Nella vicenda in esame la fattispecie portata al vaglio<br />
<strong>del</strong>la Suprema Corte concerneva, come è dato<br />
ricavare dalla lettura <strong>del</strong>la breve motivazione <strong>del</strong>la<br />
sentenza, un contratto stipulato tra due parti per la<br />
fornitura di servizi di vigilanza e custodia per mezzo<br />
di guardie giurate. Dalla concisa statuizione è possibile,<br />
infatti, evincere che una <strong>del</strong>le parti era l’amministratore<br />
<strong>del</strong>la società concessionaria <strong>del</strong> servizio,<br />
mentre l’altra ricopriva la carica di presidente di un<br />
I contratti 3/2010
consorzio avente per oggetto anch’esso lo svolgimento<br />
di attività di vigilanza privata. Tuttavia, era<br />
emerso in sede di giudizio di merito (ed in particolare<br />
in sede di appello) che la finalità fondamentale<br />
<strong>del</strong> predetto contratto fosse di consentire alla società<br />
commissionaria di estendere l’operatività dei<br />
propri servizi di vigilanza e custodia anche in un ambito<br />
territoriale rispetto al quale la società stessa non<br />
era, però, abilitata a svolgere le prestazioni. È da premettere<br />
ed evidenziare, in ogni caso, che nella ricostruzione<br />
<strong>del</strong> giudizio si legge inizialmente - in maniera<br />
imprecisa e contr<strong>ad</strong>dittoria - una differente<br />
qualificazione <strong>del</strong> contratto de quo operata dal giudice<br />
di prime cure: invero, nella fase processuale culminata<br />
nella sentenza non definitiva <strong>del</strong> Tribunale<br />
di Lecce il nomen juris <strong>del</strong> negozio è identificato in<br />
una consulenza tecnica affidata alla società concessionaria.<br />
Nel prosieguo <strong>del</strong>la narrativa <strong>del</strong>l’iter giudiziale,<br />
invece, il negozio è interpretato e qualificato<br />
come contratto di vigilanza privata sia dalla Corte di<br />
Appello di Lecce, sia dalla Corte di Cassazione ed<br />
alla luce di tale configurazione viene esercitato il<br />
sindacato di legittimità <strong>del</strong>la Suprema Corte.<br />
Il commento, pertanto, in mancanza di elementi e<br />
presupposti di fatto differenti che non è dato ricavare<br />
dalla laconica decisione, si baserà su tale ultima<br />
qualificazione, anche perché in vari punti <strong>del</strong>la sentenza<br />
si richiama significativamente l’attenzione<br />
sulla tipologia di prestazioni oggetto <strong>del</strong> contratto<br />
coincidenti proprio con la fornitura di servizi di vigilanza.<br />
Ma vi è di più. Nella sentenza in esame si parla in alcuni<br />
punti <strong>del</strong>la motivazione, come si è visto sopra,<br />
di illiceità <strong>del</strong>la finalità <strong>del</strong> contratto de quo per elusione<br />
di norme di ordine pubblico (1), volendo con<br />
ciò, evidentemente, alludere a norme imperative<br />
aventi <strong>ad</strong> oggetto la regolamentazione dei compiti<br />
di polizia e sicurezza. In ogni caso, il ricorrente (amministratore<br />
<strong>del</strong>la società concessionaria) aveva<br />
censurato la sentenza <strong>del</strong>la Corte di Appello - che<br />
aveva riformato la decisione di primo gr<strong>ad</strong>o, dichiarando<br />
la nullità <strong>del</strong> contratto de quo - sulla base di<br />
tre motivi fondamentali.<br />
I primi due motivi, evidentemente connessi, lamentavano<br />
in sostanza l’erroneità <strong>del</strong>la statuizione, in<br />
quanto nella vicenda concreta avrebbe fatto difetto<br />
ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. l’esclusività <strong>del</strong> motivo comune<br />
ed illecito. Invero, secondo il ricorrente, la<br />
controparte avrebbe concluso il contratto perché<br />
interessata all’acquisizione di una fideiussione offerta<br />
dal ricorrente stesso (quale amministratore <strong>del</strong>la<br />
società concessionaria <strong>del</strong> servizio) al consorzio in<br />
cui egli ricopriva la carica di presidente. Al contem-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
po, vi era stata solo consapevolezza e non una effettiva<br />
e strutturale condivisione economica <strong>del</strong>la finalità<br />
perseguita dal ricorrente di estendere l’operatività<br />
<strong>del</strong> servizio di vigilanza in zone in cui mancavano<br />
le prescritte autorizzazioni. Di qui l’inapplicabilità<br />
<strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. per esservi stato un motivo ulteriore<br />
(che avrebbe escluso l’esclusività <strong>del</strong> movente<br />
stesso) e, comunque, la mera conoscenza <strong>del</strong>l’illiceità<br />
<strong>del</strong> motivo stesso.<br />
La Cassazione, per contro, nel sottolineare la congruità<br />
degli apprezzamenti di fatto svolti dalla Corte<br />
territoriale, ha evidenziato, altresì, la corretta applicazione<br />
<strong>del</strong> principio in tema di illiceità ex art. 1345<br />
c.c. (2) posto che entrambe le parti hanno voluto<br />
concludere il contratto nella consapevolezza che<br />
con esso sarebbero state eluse le norme d’ordine<br />
pubblico (rectius: norme imperative) che assoggettano<br />
<strong>ad</strong> autorizzazione prefettizia l’esercizio per mezzo<br />
di guardie giurate particolari <strong>del</strong>l’attività di vigilanza<br />
e custodia. In particolare, il giudice di legittimità<br />
rileva che essenziale è «il motivo, comune e illecito,<br />
che ha determinato la conclusione <strong>del</strong> contratto e<br />
che risulta in esso esteriorizzato, al di là <strong>del</strong> movente<br />
che ha determinato la volontà dei contraenti, effettivamente<br />
diverso, poiché - come risulta dalla<br />
sentenza impugnata - da una parte si perseguiva l’intento<br />
di introdursi in territori in cui erano presenti<br />
altri istituti similari, mentre lo scopo <strong>del</strong>l’altra parte<br />
era di acquisire una fideiussione di Lit. 150.000.000<br />
e tuttavia era estraneo alla struttura <strong>del</strong> contratto».<br />
Orbene, prosegue la Corte, «l’intento pratico perseguito<br />
da ciascun contraente rappresenta un motivo<br />
o impulso interno, di carattere squisitamente soggettivo<br />
ed estraneo al congegno negoziale, così come le<br />
previsioni e le aspettative dei medesimi in ordine al<br />
risultato economico <strong>del</strong> contratto, qualora non trovino<br />
alcun riscontro, nel significato obiettivo e socialmente<br />
riconoscibile <strong>del</strong>le rispettive dichiarazioni<br />
negoziali o nella intrinseca essenza <strong>del</strong> rapporto,<br />
restano confinate nel campo dei semplici moventi o<br />
I contratti 3/2010 241<br />
Note:<br />
(1) Sui principi di ordine pubblico v. per tutti, G.B. Ferri, Ordine<br />
pubblico, buon costume e teoria <strong>del</strong> contratto, Milano, 1970, ove<br />
anche l’indicazione per cui l’ordine pubblico e il buon costume<br />
operano quali criteri di liceità distinti e residuali rispetto alle norme<br />
imperative. Per una più risalente configurazione, invece, <strong>del</strong>l’ordine<br />
pubblico come complesso <strong>del</strong>le norme imperative v. J.<br />
Carbonnier, Droit civil, Paris, 1962, 385.<br />
(2) Sulla fattispecie di cui all’art. 1345 c.c. si veda in dottrina: G.<br />
Palermo, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970; V.<br />
Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001, 412 ss.;<br />
C. Scognamiglio, Problemi <strong>del</strong>la causa e <strong>del</strong> tipo, in Trattato <strong>del</strong><br />
contratto, diretto da V. Roppo, II, Regolamento, a cura di G. Venturi,<br />
Milano, 2006, 169 ss.
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
<strong>del</strong>le soggettive valutazioni circa la convenienza<br />
<strong>del</strong>l’affare, e sono quindi prive di giuridica rilevanza,<br />
perché estranee alla causa giuridica e al contenuto<br />
oggettivo <strong>del</strong> contratto e <strong>del</strong>le obbligazioni che ne<br />
derivano».<br />
Il terzo motivo, concernente un asserito conflitto di<br />
interessi ex art. 1394 c.c. tra il presidente <strong>del</strong> consorzio<br />
e l’ente dal primo presieduto e l’impossibilità<br />
di estendere la comunanza <strong>del</strong> motivo illecito anche<br />
al consorzio, viene correttamente disatteso dalla Suprema<br />
Corte in quanto argomento per la prima volta<br />
sollevato in sede di legittimità.<br />
Si rende necessario, a questo punto, soffermare l’attenzione<br />
sulle tematiche complesse e reciprocamente<br />
interdipendenti <strong>del</strong>la causa, dei motivi e <strong>del</strong>la relativa<br />
illiceità anche per frode alla legge in quanto la<br />
definizione di motivo illecito ex art. 1345 c.c. avallata<br />
dal giudice di legittimità e che determina la<br />
reiezione <strong>del</strong> ricorso, contempla, in maniera evidente,<br />
sia la diretta illiceità <strong>del</strong> movente comune, sia, in<br />
questo qu<strong>ad</strong>ro, quella indiretta per essere il motivo<br />
finalizzato <strong>ad</strong> eludere una norma imperativa.<br />
La definizione di motivo tra causa<br />
e interessi degli autori <strong>del</strong> negozio giuridico<br />
È nota l’affermazione tr<strong>ad</strong>izionale <strong>del</strong>la più autorevole<br />
dottrina civilistica per cui mentre la causa costituisce<br />
il motivo tipico, la funzione che il negozio<br />
è idoneo da sé e in maniera uguale in tutti i casi a<br />
realizzare, le funzioni ulteriori, variabili e mutevoli,<br />
sono i motivi che per tale ragione rimarrebbero fuori<br />
dal congegno negoziale (3).<br />
I motivi (4), in altre parole, costituiscono rappresentazioni<br />
soggettive <strong>del</strong>l’autore o degli autori <strong>del</strong><br />
negozio che inducono il soggetto o le parti alla formazione<br />
e/o stipulazione <strong>del</strong>l’atto negoziale. Essi,<br />
come tali, non avrebbero giuridica rilevanza, tranne<br />
nelle ipotesi di loro eventuale illiceità, ovvero per la<br />
particolarità <strong>del</strong>la specie di negozio (<strong>ad</strong> esempio, nel<br />
testamento) che richiede una disciplina <strong>ad</strong> hoc, o,<br />
infine, di una loro espressa contemplazione nel contratto<br />
in virtù <strong>del</strong> ricorso <strong>ad</strong> elementi accidentali (5)<br />
come, tra gli altri, la condizione. I motivi, in quest’ultimo<br />
caso, acquistano allora rilevanza, penetrando<br />
nella struttura <strong>del</strong>l’atto e ne diventano una<br />
modalità che influisce sulla validità e sull’efficacia<br />
(6) (come acc<strong>ad</strong>e, appunto, nel contratto sottoposto<br />
<strong>ad</strong> una condizione di differente tipologia). Invero,<br />
in questa prospettiva, ci si troverebbe in presenza<br />
«di previsioni di carattere eccezionale, da ricollegarsi<br />
alla peculiare natura di taluni negozi giuridici<br />
(quali il testamento e la donazione) ed alla più ampia<br />
possibilità di indagine <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong>l’autore,<br />
242<br />
che in essi si offrirebbe; ovvero da ricondursi all’esigenza<br />
di una puntuale repressione <strong>del</strong>le finalità illecite,<br />
sottese all’atto» (7). Le affermazioni or ora riportate<br />
e che per lungo tempo sono rimaste come<br />
convinzioni pressoché granitiche e monolitiche nella<br />
dottrina e nelle aule dei tribunali, sono state ritenute<br />
coerenti con la configurazione classica <strong>del</strong>la<br />
causa come funzione astratta o funzione economicosociale<br />
(8) (che finisce per confondersi con il tipo<br />
contrattuale). In altre parole, se la causa è la funzione<br />
tipica <strong>del</strong> negozio, il motivo quale ragione individuale,<br />
movente, finalità o rappresentazione soggettiva<br />
dei contraenti non può normalmente acquistare<br />
citt<strong>ad</strong>inanza giuridica se non in forza <strong>del</strong>la specificità<br />
<strong>del</strong> negozio ovvero - in negativo - attraverso la<br />
previsione sanzionatoria <strong>del</strong>la nullità - per l’illiceità<br />
<strong>del</strong>l’atto di cui ha costituito l’impulso o l’antecedente<br />
(9). Sennonché da tempo la dottrina civilistica<br />
nello sforzo sistematico, ma anche applicativo, di<br />
fornire una <strong>ad</strong>eguata rappresentazione degli interessi<br />
negoziali espressi dalla causa, è pervenuta <strong>ad</strong> una<br />
differente configurazione <strong>del</strong>la stessa, espressa dalla<br />
nota definizione di causa quale funzione economicoindividuale.<br />
Invero, «di fronte <strong>ad</strong> un contratto con-<br />
Note:<br />
(3) F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> civile, Napoli,<br />
rist., 1989, 128 e 178-179.<br />
(4) Sui motivi v. G.M. Deiana, Motivi nel <strong>diritto</strong> privato, Torino,<br />
1939; M. Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano,<br />
1975; L. Ricca, voce Motivi, in Enc. dir., XXVII, 1977, 268 ss..; G.<br />
Ferrando, voce Motivi, in Enc. giur. Treccani, XX, 1990; C. Scognamiglio,<br />
voce Motivo (<strong>del</strong> negozio giuridico), in Dig. disc. priv.,<br />
4ª ed., XII, 1994, 466 ss.<br />
(5) Cfr. D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, in AA.VV., I contratti<br />
in generale, a cura di E. Gabrielli, in Trattato <strong>del</strong> contratto, diretto<br />
da P. Rescigno-E. Gabrielli, 2ª ed., Torino, 2006, 625: «si dice comunemente<br />
che il motivo può essere reso rilevante mediante<br />
apposizione al contratto o <strong>ad</strong> altro atto dispositivo di una condizione:<br />
(…) in effetti, la condizione, subordinando gli effetti al verificarsi<br />
o al venir meno di una determinata situazione, integra la<br />
causa <strong>del</strong> contratto».<br />
(6) F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> civile, Napoli,<br />
rist., 1989, 128 e 178-179.<br />
(7) Così C. Scognamiglio, voce Motivo (<strong>del</strong> negozio giuridico), in<br />
Dig. disc. priv., 4ª ed., XII, 1994, 470, cui si deve una <strong>del</strong>le più recenti<br />
e persuasive ricostruzioni sistematiche ed operative dei<br />
motivi quali interessi contrattuali giuridicamente rilevanti. Cfr., al<br />
riguardo, <strong>del</strong> medesimo autore, Interpretazione <strong>del</strong> contratto e<br />
interessi dei contraenti, P<strong>ad</strong>ova, 1992.<br />
(8) Concezione che trova in E. Betti, Teoria generale <strong>del</strong> negozio<br />
giuridico, rist, Napoli, 1994, il più autorevole teorico.<br />
(9) Cfr. F. Gazzoni, Manuale <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> privato, Napoli, 2006, 830:<br />
«Per la dottrina che identifica causa e tipo, la distinzione tra causa<br />
e motivo è chiara e netta: tutto ciò che non entra a far parte<br />
<strong>del</strong>la funzione economico-sociale <strong>del</strong> contratto è causalmente irrilevante,<br />
cosicché si tratterà solo di verificare se il motivo si sia<br />
risolto in una clausola accessoria <strong>del</strong> contratto, come tale rilevante,<br />
o sia restato al di fuori <strong>del</strong>lo schema contrattuale, come<br />
tale non rilevando, salvo in caso di illiceità».<br />
I contratti 3/2010
creto non è sufficiente rilevare che lo schema astratto,<br />
a cui esso corrisponde, è stato riconosciuto<br />
<strong>ad</strong>empiere <strong>ad</strong> una funzione socialmente utile, ma è<br />
necessario altresì valutare in concreto il modo in cui<br />
lo schema astratto è stato utilizzato» (10). Se così è,<br />
è chiaro che il concetto e lo stesso ruolo di motivo<br />
<strong>del</strong> negozio deve essere necessariamente rivisto o,<br />
più esattamente, ridefinito in maniera rispondente<br />
alle caratteristiche concrete di ogni regola contrattuale.<br />
Ridefinizione concettuale <strong>del</strong>la nozione di<br />
motivo, che ne evidenzia la possibile emersione al di<br />
là <strong>del</strong>le mere ipotesi di illiceità e di cui la fattispecie<br />
contemplata dall’art. 1345 c.c. costituisce l’espressione,<br />
in questo razionale rovesciamento di prospettiva,<br />
di una serie di parametri normativi da cui ricavare,<br />
questa volta in positivo, una nuova definizione giuridicamente<br />
rilevante di interessi-motivi leciti dei<br />
contraenti. Questi ultimi quando se ne accerti in via<br />
interpretativa il carattere lecito, comune e determinante<br />
(così come simmetricamente avviene per il<br />
caso <strong>del</strong>la loro illiceità ex art. 1345 c.c.) (11) non<br />
costituiscono più un dato soggettivo o psicologico,<br />
bensì un profilo caratterizzante la stessa operazione<br />
contrattuale concreta Invero, «quando si ha riguardo<br />
alla funzione pratica che le parti hanno effettivamente<br />
assegnato al loro accordo, devono allora rilevare<br />
anche i “motivi”, se questi non siano rimasti<br />
nella sfera interna di ciascuna parte ma si siano<br />
obiettivizzati nel contratto, divenendo interessi che il<br />
contratto è diretto a realizzare» (12).<br />
In questo qu<strong>ad</strong>ro, il controllo circa l’esistenza e congruità<br />
<strong>del</strong>l’elemento causale può realizzarsi in virtù<br />
di una valutazione di quei motivi-interessi leciti e rilevanti<br />
e rispetto ai quali i mo<strong>del</strong>li causali astratti rimangono<br />
sullo sfondo (13). Invero, già nella filosofia<br />
<strong>del</strong>la disposizione <strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. ciò che assume<br />
rilievo giuridico «non è il dato puramente psicologico<br />
- e che come tale, resterebbe pur sempre indifferente<br />
per l’ordinamento - costituito dal motivo<br />
riprovevole <strong>del</strong>le parti, ma l’emersione di un loro<br />
concreto interesse, che si riveli illecito alla stregua<br />
dei criteri di valutazione recepiti dal sistema normativo»<br />
(14).<br />
Gli interessi dei contraenti contra legem<br />
e gli interessi in fraudem legis<br />
nella prospettiva <strong>del</strong>l’illiceità <strong>del</strong>la causa<br />
Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, i motivi<br />
ben rilevano giuridicamente quando si oggettivano<br />
nel contratto quali interessi comuni e determinanti<br />
l’operazione negoziale. In questo contesto, fondamentale<br />
per la loro emersione si presenterà il momento<br />
interpretativo (15) ex artt. 1362 ss. c.c., qua-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
le necessario momento <strong>del</strong> successivo giudizio di liceità-meritevolezza<br />
<strong>del</strong> contratto concretamente<br />
posto in essere. Invero, nel momento in cui l’art.<br />
1345 c.c. statuisce che «il contratto è illecito quando<br />
le parti si sono determinate a concluderlo esclusivamente<br />
per un motivo illecito comune <strong>ad</strong> entrambe»<br />
è chiaro che esso rinvia ai criteri previsti<br />
nell’art. 1343 c.c. in tema di causa illecita. Il motivo-interesse<br />
nell’accezione sopra chiarita sarà, pertanto,<br />
illecito se risulti contrario a norme imperative,<br />
ordine pubblico o buon costume (16). In caso affermativo<br />
il contratto non sarà meritevole di tutela<br />
e la regola privata sarà sanzionata con la nullità <strong>del</strong><br />
negozio. In particolare, in giurisprudenza come in<br />
dottrina vi è - sulla base <strong>del</strong> tenore <strong>del</strong>la disposizione<br />
<strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. - concordia nel ritenere che la<br />
finalità repressiva <strong>del</strong>l’agire negoziale illecito si realizzi<br />
solo di fronte <strong>ad</strong> un motivo particolarmente<br />
qualificato e cioè che sia stato comune <strong>ad</strong> entrambe<br />
le parti, unico e determinante (17). Si tratta, in ogni<br />
caso, di interessi che permeano la causa <strong>del</strong> contratto<br />
nel segno riprovevole di una illiceità contra legem.<br />
In altre parole, nella fattispecie di cui all’art. 1345<br />
c.c. l’interesse dei contraenti è rivolto in maniera diretta<br />
alla violazione dei suoi canoni fondamentali in<br />
materia di meritevolezza. Tuttavia, nella giurisprudenza<br />
<strong>del</strong>la Corte di Cassazione relativa all’illiceità<br />
<strong>del</strong> motivo, così come in alcune pronunce di merito<br />
(18), e nella stessa sentenza in commento, la defini-<br />
I contratti 3/2010 243<br />
Note:<br />
(10) G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria <strong>del</strong> negozio giuridico, Milano,<br />
1966, 358, cui si deve la concezione <strong>del</strong>la causa come funzione<br />
economico-individuale.<br />
(11)D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, cit., 622-623: «Il requisito<br />
<strong>del</strong>la comunanza significa che non basta, perché il contratto<br />
sia nullo, che il motivo illecito di uno dei contraenti sia noto alla<br />
controparte; occorre che la controparte ne sia partecipe, e cioè<br />
che miri a trarne vantaggio».<br />
(12) C.M. Bianca, Il contratto. Diritto civile, III, Milano, 2001, 461.<br />
(13) C. Scognamiglio, voce Motivo (<strong>del</strong> negozio giuridico), in Dig.<br />
disc. priv., 4ª ed., XII, 1994, 475.<br />
(14) C. Scognamiglio, Problemi <strong>del</strong>la causa e <strong>del</strong> tipo, in Trattato<br />
<strong>del</strong> contratto, diretto da V. Roppo, II, Regolamento, a cura di G.<br />
Venturi, Milano, 2006, p. 171.<br />
(15) Cfr. diffusamente, C. Scognamiglio, Interpretazione <strong>del</strong> contratto<br />
e interessi dei contraenti, P<strong>ad</strong>ova, 1992.<br />
(16) Cfr. D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, cit., 622: «Motivo illecito<br />
vuol dire contrario a norme imperative, all’ordine pubblico<br />
o al buon costume».<br />
(17) C. Scognamiglio, Problemi <strong>del</strong>la causa e <strong>del</strong> tipo, cit., 170.<br />
(18) Sull’art. 1345 v. nella giurisprudenza di legittimità: Cass.<br />
Sez. Un., 25 ottobre 1993, n. 10603: «Il motivo illecito - che, se<br />
comune <strong>ad</strong> entrambe le parti e determinante per la stipulazione,<br />
determina la nullità <strong>del</strong> contratto - si identifica con una finalità<br />
vietata dall’ordinamento, poiché contraria a norma imperativa o<br />
(segue)
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
zione di motivo ex art. 1345 c.c, spesso viene accostata<br />
a quella di un motivo non direttamente illecito,<br />
bensì a quella di motivo che ha eluso norme imperative.<br />
In sostanza, nelle massime giurisprudenziali sembrano<br />
riecheggiare antiche e recenti dispute sul contratto<br />
contra legem e su quello in fraudem legis ex art.<br />
1344 c.c (19).; dispute che la nuova definizione di<br />
causa come funzione economico-individuale avrebbe,<br />
secondo un determinato punto di vista, finito<br />
per ridimensionare. Al riguardo, ricorre spesso l’affermazione<br />
secondo la quale la disposizione <strong>del</strong>l’art.<br />
1344 c.c. si spiegherebbe e si giustificherebbe nella<br />
prospettiva classica <strong>del</strong>la causa come funzione economico-sociale.<br />
Invero, se in quest’ultima concezione<br />
la problematica <strong>del</strong>la causa è accostata se non<br />
identificata con quella <strong>del</strong> tipo contrattuale, ne conseguirebbe<br />
che una causa di un contratto tipico non<br />
potrebbe essere mai in sé illecita (se il tipo è già ammesso<br />
e positivamente valutato dalla legge), ma al<br />
massimo potrebbe essere reputata illecita quando il<br />
negozio sia stato utilizzato per aggirare ed eludere in<br />
concreto una norma imperativa (20). Al contrario,<br />
nella diversa configurazione <strong>del</strong>la causa come funzione<br />
economico-individuale, l’interesse elusivo<br />
perseguito tenderebbe a far rientrare la fattispecie<br />
fraudolenta in quella di illiceità tout court . Il ragionamento,<br />
in realtà, si espone a due obiezioni fondamentali.<br />
In primo luogo, la formulazione <strong>del</strong>la norma<br />
era stata concepita essenzialmente per disciplinare,<br />
molto più semplicemente, l’ipotesi di una illiceità<br />
non direttamente avvenuta contra legem . La<br />
norma, in altre parole, anche se in virtù di una non<br />
felice formulazione, vuol significare che se non è<br />
possibile dichiarare immediatamente l’illiceità per<br />
violazione diretta di una norma imperativa, se ne<br />
può, tuttavia, affermare una illiceità fraudolenta: in<br />
questo senso va interpretata l’espressione “si reputa”;<br />
terminologia scelta anche per sottrarre la definizione<br />
<strong>ad</strong> incerte opzioni teoriche spesso sottese alla frode<br />
alla legge (21) . In secondo luogo, anche nella<br />
teorica <strong>del</strong>la causa come funzione economico-sociale<br />
- stante la previsione espressa <strong>del</strong>l’art. 1343 c.c.<br />
sull’illiceità <strong>del</strong>la causa valevole per ogni tipologia<br />
di contratto - si ammetteva che «la qualifica d’illiceità<br />
di una causa risulta non già da un contrapposto<br />
fra causa in senso oggettivo - che sarebbe lecita - e<br />
“causa in senso soggettivo” che invece si assume<br />
possa essere anche illecita, bensì da un raffronto fra<br />
la causa in sé - concepita astrattamente, prescindendo<br />
dalla sua concreta messa in opera - e la causa data,<br />
ravvisata nel suo concreto funzionamento, e pertanto<br />
inqu<strong>ad</strong>rata nelle circostanze specifiche <strong>del</strong> concreto<br />
244<br />
negozio. Il contrapposto che si esprime nella qualifica<br />
d’illiceità è, insomma, non fra causa oggettiva e<br />
una pretesa “causa soggettiva”, che non avrebbe<br />
senso, bensì fra considerazione astratta e considerazione<br />
concreta di una data causa nel suo pratico funzionamento»<br />
(22). In questo qu<strong>ad</strong>ro, la lettura coordinata<br />
e sistematica degli artt. 1343 e 1345 c.c. fa<br />
comprendere ed emergere pienamente che per l’illiceità<br />
<strong>del</strong>la causa <strong>del</strong> contratto, pur se appartenente<br />
ai contratti nominati, la determinazione illecita deve<br />
essere comune <strong>ad</strong> entrambe le parti (23). In questo<br />
contesto, la disposizione di cui all’art. 1344 c.c.<br />
è, invero, importante soprattutto per una indicazione<br />
ermeneutica decisiva in termini di individuazione <strong>del</strong>l’interesse<br />
in fraudem legis che si realizza normalmente<br />
(anche se non sempre) attraverso non il singolo<br />
Note:<br />
(continua nota 18)<br />
ai principi <strong>del</strong>l’ordine pubblico o <strong>del</strong> buon costume, ovvero poiché<br />
diretta <strong>ad</strong> eludere mediante detta stipulazione, una norma<br />
imperativa. Pertanto, l’intento <strong>del</strong>le parti di recare pregiudizio al<br />
altri, ove non sia riconducibile <strong>ad</strong> una di tali fattispecie non è illecito,<br />
non rinvenendosi nell’ordinamento una norma che sancisca<br />
in via generale, come per il contratto in frode alla legge, l’invalidità<br />
<strong>del</strong> contratto in frode dei terzi, ai quali invece l’ordinamento<br />
accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di pregiudizio<br />
che essi possono risentire dall’altrui attività negoziale». Per una<br />
sostanziale confluenza <strong>del</strong>la frode alla legge con il motivo illecito<br />
v. nella giurisprudenza di merito App. Napoli, 23 marzo 2001, in<br />
Riv. giur. lav., 2002, II, 283 ss., con nota di A. Serreti, nonché<br />
Trib. Nocera Inferiore 29 maggio 2001, ibidem, II, 564 ss., con<br />
nota di A. Trimboli.<br />
(19) Sul negozio in frode alla legge cfr. ex multis: L. Carraro, Il negozio<br />
in frode alla legge, P<strong>ad</strong>ova, 1943; G. Giacobbe, voce Frode<br />
alla legge, in Enc. dir., XVIII, 1969, 73 e ss; U. Morello, Frode alla<br />
legge, Milano, 1969; F. Di Marzio, Frode alla legge nei contratti,<br />
in Giust. civ., II, 1998, II, 573 ss.; U. Breccia, Frode alla legge,<br />
in Il contratto in generale, III, Trattato Bessone, Torino, 1999, 258<br />
ss.; D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, cit., 628 ss.; S. Nardi,<br />
Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano, 2006; G. Cricenti,<br />
I contratti in frode alla legge, 2ª ed., Milano, 2007.<br />
(20) Per la riproposizione di tale spiegazione <strong>del</strong>la ratio <strong>del</strong>l’art.<br />
1344 c.c. v. ancor di recente G.Passagnoli, Il contratto illecito, in<br />
Trattato <strong>del</strong> contratto, diretto da V. Roppo, II, Regolamento, a cura<br />
di G. Venturi, Milano, 2006, 479: «È evidente l’ipotesi presupposta<br />
dal legislatore <strong>del</strong> ‘42: un contratto con causa in sé lecita<br />
che, grazie <strong>ad</strong> artifizi fraudolenti viene in concreto utilizzato per<br />
utilizzare il risultato vietato dalla legge. In tale frangente la causa,<br />
pur non essendo tale, si reputa illecita e ne discende la nullità <strong>del</strong><br />
contratto».<br />
(21) Cfr. esattamente e chiaramente U. Morello, voce Frode alla<br />
legge, in Dig. disc. priv., 4ª ed., Torino, 1992, 504-505: «Si tratta<br />
di una norma che qualifica espressamente come illecito il contratto<br />
che (pur non potendo direttamente essere considerato illecito<br />
per contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico o al<br />
buon costume) sia peraltro da considerare tale perché si ritiene<br />
“eluda norme imperative o principi di ordine pubblico o regole di<br />
buon costume”».<br />
(22) E. Betti, Teoria generale <strong>del</strong> negozio giuridico, Napoli, 1994,<br />
rist., 384-386.<br />
(23) E. Betti, op. cit., 387.<br />
I contratti 3/2010
contratto (24), bensì inserendosi in un contesto negoziale<br />
o prenegoziale più ampio (<strong>ad</strong> es. in termini di<br />
sequenza proposta-offerta-contratto etc.) (25), che<br />
se non rivela immediatamente l’illiceità <strong>del</strong> contratto<br />
in sé e per sé considerato svela, tuttavia, l’illiceità<br />
<strong>del</strong>l’affare (26) e <strong>del</strong>la vicenda negoziale complessivamente<br />
valutata e considerata. In questo qu<strong>ad</strong>ro,<br />
sono noti i principali indirizzi dottrinali sul negozio<br />
in frode alla legge e, soprattutto, la prospettiva e gli<br />
approcci soggettivi/oggettivi al relativo fenomeno<br />
(27). Quel che preme evidenziare in questa sede tuttavia,<br />
è la qualificazione <strong>del</strong> motivo-interesse in frode<br />
alla legge. Al riguardo, è interessante notare che<br />
il più autorevole teorico <strong>del</strong>la causa come funzione<br />
economico-sociale, in una decisa replica al Carraro<br />
(28) che negava l’applicabilità <strong>del</strong>l’art. 1344 c.c.<br />
qualora il motivo in fraudem legis fosse comune (perché<br />
altrimenti, secondo la sua impostazione, si rientrerebbe<br />
nell’art. 1345 c.c, in quanto sarebbe, in<br />
ogni caso, condizione necessaria e sufficiente per la<br />
fattispecie ex art. 1344 c.c.che il motivo fraudolento<br />
risieda solo in una parte), osservava che quest’ultimo<br />
argomento «si infrange contro il criterio <strong>del</strong>l’irrilevanza<br />
<strong>del</strong> motivo individuale», mentre il primo<br />
«appare inconsistente sol che si consideri che l’ipotesi<br />
di motivo illecito comune non elimina né<br />
esclude la fattispecie <strong>del</strong> negozio in fraudem legis, facendola<br />
ric<strong>ad</strong>ere sotto la disciplina <strong>del</strong>l’art. 1345,<br />
perché il motivo (meglio si direbbe l’intento) comune<br />
rivolto <strong>ad</strong> eludere indirettamente la legge può<br />
sempre distinguersi dall’intento tendente a violarla<br />
direttamente» (29). E di ciò, oltretutto, si ha significativa<br />
testimonianza nella Relazione al Re sul codice<br />
civile (n. 80).<br />
È da sottolineare, ancora, il fatto - come si è visto sopra<br />
- che lo stesso Emilio Betti riconosceva come in<br />
tema di illiceità <strong>del</strong>la causa, sia decisivo il suo apprezzamento<br />
in senso concreto, come scopo o intento comune<br />
dei contraenti (30). Orbene, se ciò già valeva<br />
nella prospettiva <strong>del</strong>la configurazione tr<strong>ad</strong>izionale<br />
<strong>del</strong>la causa, ci sembra che analogo ragionamento (in<br />
termini di concretezza <strong>del</strong>la funzione) possa e debba<br />
rib<strong>ad</strong>irsi - malgr<strong>ad</strong>o un diffuso convincimento contrario<br />
(31) - anche nell’attuale contesto giurisprudenziale<br />
e dottrinale che attribuisce un valore sistematico<br />
e pratico decisivi alla causa come funzione economico-individuale<br />
e ai motivi-interessi dei contraenti,<br />
una volta respinto l’assunto per cui l’art. 1344 c.c. si<br />
comprendeva e giustificava solo nell’ottica <strong>del</strong>la causa<br />
commista con il tipo. In pratica, dopo aver ricostruito<br />
in via interpretativa il significato concreto<br />
<strong>del</strong>l’operazione negoziale - eventualmente complessa<br />
in termini di pluralità (32) di rapporti-negozi-atti pre-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
negoziali etc. - e valutata l’incidenza e la sussistenza<br />
<strong>del</strong>l’interesse fraudolento, il giudice ben potrà qualificare<br />
come in fraudem legis il contratto sorretto da interessi<br />
degli autori non direttamente apprezzabili come<br />
interessi contra legem. Se è vero che in termini di<br />
conseguenze giuridiche, la sanzione sarà la medesima<br />
in entrambe le fattispecie (33) (nullità <strong>del</strong> contratto)<br />
non è men vero che l’astratta liceità <strong>del</strong> singolo nego-<br />
I contratti 3/2010 245<br />
Note:<br />
(24) Per S. Pugliatti, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia,<br />
in Diritto civile. Metodo-teoria-pratica, Milano, 1951, 383-<br />
384 e 385-386, «la frode si ha quando uno schema negoziale si<br />
<strong>ad</strong>opera come mezzo per eludere una norma imperativa. L’intento<br />
pratico, dunque, si divide in due frammenti: il primo di essi<br />
costituisce la causa materiale <strong>del</strong> negozio, ma anche la base<br />
per il conseguimento <strong>del</strong>lo scopo ulteriore, consistente nella elusione<br />
<strong>del</strong>la norma imperativa (e qui si rinviene l’altro frammento)».<br />
Invero, «l’ipotesi <strong>del</strong>la violazione di legge si <strong>del</strong>inea per via<br />
<strong>del</strong> contrasto immediato e diretto tra il risultato <strong>del</strong> negozio e il<br />
contenuto <strong>del</strong> divieto legale; quella <strong>del</strong>la fraus legi, suppone un<br />
itinerario indiretto, mediante la degr<strong>ad</strong>azione <strong>del</strong> negozio principale<br />
a strumento, attraverso l’influenza <strong>del</strong>l’accordo fraudatorio.<br />
Una ipotesi particolare di collegamento negoziale, nella quale se<br />
non una causa illecita, si può benissimo postulare una causa reputata<br />
illecita».<br />
(25) Cfr. D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, in AA.VV., I contratti<br />
in generale, a cura di E. Gabrielli, in Trattato <strong>del</strong> contratto, diretto<br />
da P. Rescigno-E. Gabrielli, 2ª ed., Torino, 2006, 630.<br />
(26) G. Palermo, Funzione illecita e autonomia privata, Milano,<br />
1970, 68.<br />
(27) Sulla configurazione <strong>del</strong> negozio in frode alla legge in base<br />
all’indirizzo oggettivo o soggettivo v. G.B. Ferri, Rilevanza <strong>del</strong>lo<br />
scopo nei crediti speciali, in Saggi di <strong>diritto</strong> civile, Rimini, 1994,<br />
600-601.<br />
(28) Cui si deve l’importante opera Il negozio in frode alla legge,<br />
P<strong>ad</strong>ova, 1943.<br />
(29) Così E. Betti, Teoria generale <strong>del</strong> negozio giuridico, Napoli,<br />
1994, rist., nt. 35, p. 385.<br />
(30) Cfr. C. Scognamiglio, Problemi <strong>del</strong>la causa e <strong>del</strong> tipo, II, Regolamento,<br />
a cura di G. Venturi, in Trattato <strong>del</strong> contratto, diretto<br />
da V. Roppo, Milano, 2006, 167, nota 4.<br />
(31) Convincimento, invero, che nasce appunto dall’idea per cui<br />
nella teorica <strong>del</strong>la causa come funzione economico-sociale non<br />
potrebbe darsi illiceità diretta <strong>del</strong>la causa <strong>del</strong> contratto tipico, bensì<br />
solo indiretta e cioè in fraudem legis: mentre è lo stesso E. Betti,<br />
come si è visto, a smentire tale assunto in virtù di una considerazione<br />
<strong>del</strong>l’illiceità <strong>del</strong>la causa in concreto mediante il combinato<br />
disposto degli artt. 1343 e 1345 c.c., che l’illustre studioso non poteva<br />
non evidenziare. Diversamente, F. Santoro-Passarelli, Dottrine<br />
generali <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> civile, Napoli, rist., 1989, 187: «(…) nei negozi<br />
a causa predeterminata la stessa non può essere che lecita».<br />
(32) Cfr. D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, cit., 631, per il quale<br />
il carattere fraudolento <strong>del</strong> contratto può emergere «dal coordinamento<br />
con altri atti, può darsi che siano atti di uno solo dei<br />
contraenti, o contratti intercorsi con una parte differente; quando<br />
risulti da circostanze di fatto, può darsi che siano circostanze<br />
estranee alla sfera di controllo di uno dei contraenti, e perciò da<br />
questi ignorate». Occorrerebbe allora perché la nullità per frode<br />
alla legge possa essere dichiarata, la verifica <strong>del</strong>l’«insussistenza<br />
nei contraenti di affidamenti meritevoli di protezione».<br />
(33) Cfr. S. Pugliatti, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia,<br />
in Diritto civile. Metodo-teoria-pratica, Milano, 1951, 369-<br />
370.
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
zio - realizzato non immediatamente in dispregio di<br />
una norma imperativa - verrà <strong>ad</strong> essere smascherata<br />
in concreto - sul piano <strong>del</strong>l’illiceità - dalla ricostruzione<br />
e dall’individuazione degli interessi fraudolenti e<br />
per così dire di “aggiramento” <strong>del</strong>la legge, consentendo<br />
al giudice una motivazione sistematicamente coerente<br />
e soprattutto una statuizione non inficiata - sotto<br />
il profilo <strong>del</strong>la congruità - da una lettura scorretta<br />
<strong>del</strong>le risultanze di causa. Al contempo, la configurazione<br />
dei motivi illeciti e fraudolenti quali interessi in<br />
senso tecnico (34), secondo la ricostruzione dottrinale<br />
più recente, dei contraenti permette di inqu<strong>ad</strong>rare la<br />
problematica in questione nell’ambito <strong>del</strong>la causa senza<br />
ricorrere <strong>ad</strong> una nozione di intento (35) sistematicamente<br />
più incerta, come avevano fatto autorevoli<br />
studiosi per evitare una commistione <strong>del</strong>l’art. 1345<br />
con l’art. 1344 c.c.<br />
Orbene, nella sentenza in commento si rinvengono<br />
non poche imprecisioni e ambiguità terminologiche.<br />
In primo luogo, si afferma che il movente che<br />
ha determinato la volontà negoziale sarebbe effettivamente<br />
diverso (perché una parte perseguiva l’intento<br />
di procurarsi una fideiussione, mentre l’altra<br />
voleva introdursi in territori ove operavano altri imprenditori<br />
<strong>del</strong> ramo <strong>del</strong>la vigilanza privata). Tale variabile<br />
movente sarebbe, quindi, differente dal riscontrato<br />
motivo volto a concludere un contratto<br />
eludendo le norme in materia di autorizzazione prefettizia.<br />
Il rilievo - non <strong>ad</strong>eguatamente esplicato - rivela,<br />
in realtà, l’opzione per la configurazione <strong>del</strong><br />
motivo fraudolento quale interesse dei contraenti<br />
diverso ed ulteriore (36) rispetto alle specifiche finalità<br />
economiche <strong>del</strong> negozio in frode alla legge.<br />
In tale contesto, i diversi moventi sarebbero tuttavia<br />
privi, in ogni caso, di rilevanza giuridica se non trovino<br />
riscontro alcuno nel significato obiettivo e socialmente<br />
riconoscibile <strong>del</strong>le rispettive dichiarazioni<br />
negoziali. Quest’ultima affermazione è nel caso<br />
concreto in esame per certi versi davvero par<strong>ad</strong>ossale<br />
sul piano ermeneutico ex artt. 1362 ss., posto che<br />
i predetti moventi erano evidentemente emersi nel<br />
giudizio e come tali erano stati individuati come caratterizzanti<br />
la vicenda negoziale . Al contempo, il<br />
“movente” <strong>del</strong>la volontà di acquisire la fideiussione<br />
offerta dalla controparte ben poteva rivelare il procedimento<br />
negoziale in fraudem legis. In altre parole,<br />
se quel contratto di vigilanza è stato qualificato come<br />
operazione elusiva di norme imperative e quindi<br />
come negozio non immediatamente contra legem, è<br />
chiaro che ciò è avvenuto in virtù di una lettura globale<br />
dei rapporti economici e giuridici sussistenti tra<br />
consorzio, società concessionaria e le persone fisiche<br />
che ricoprivano la carica di legali rappresentanti de-<br />
246<br />
gli enti collettivi. La finalità di eludere le norme in<br />
materia di autorizzazione prefettizia all’esercizio <strong>del</strong>l’attività<br />
di vigilanza e custodia private, poteva essere<br />
apprezzata proprio alla luce di tali indici e riscontri<br />
univoci, concordanti e significativi. Nel caso di<br />
specie l’interesse contrattuale determinante (estendere<br />
in fraudem legis - perché non immediatamente<br />
contrario a norme imperative - l’operatività territoriale<br />
<strong>del</strong> servizio di vigilanza) trovava una significativa<br />
convergenza economica in capo ai due contraenti<br />
(37). Del resto una visione atomistica di tale<br />
contratto, senza un suo inserimento nel qu<strong>ad</strong>ro<br />
complessivo <strong>del</strong>la situazione contrattuale ed economica<br />
sussistente tra le parti non riuscirebbe agevole<br />
nella prospettiva <strong>del</strong> motivo-interesse fraudolento<br />
che avrebbe eluso le norme imperative. Perché <strong>del</strong>le<br />
due l’una: o dal contratto si ricava in via immediata<br />
che la finalità oggettivata (o causa intesa come<br />
funzione economico-individuale) è quella di esercitare<br />
senza autorizzazione, e allora la causa è ictu oculi<br />
illecita perché direttamente contraria a norme imperative,<br />
senza necessità di complicate indagini sui<br />
motivi-interessi volti <strong>ad</strong> eludere norme imperative;<br />
oppure ciò non è, e allora l’illiceità <strong>del</strong> contratto<br />
consegue <strong>ad</strong> una valutazione <strong>del</strong>l’operazione negoziale<br />
e <strong>del</strong>la causa (38)inqu<strong>ad</strong>rate nel contesto dei<br />
Note:<br />
(34) Ricostruzione che si deve a C. Scognamiglio, Interpretazione<br />
<strong>del</strong> contratto e interessi dei contraenti, P<strong>ad</strong>ova, 1992.<br />
(35) Cfr. G.B. Ferri, Rilevanza <strong>del</strong>lo scopo nei crediti speciali, cit.,<br />
604.<br />
(36) Cfr. F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> civile,<br />
Napoli, rist., 1989, 192.<br />
(37) Come analogamente avviene per la qualificazione giurisprudenziale<br />
in termini di rilevanza <strong>del</strong> motivo determinante, ove al di<br />
là <strong>del</strong>le massime che richiedono l’identità <strong>del</strong> motivo comune in<br />
entrambe le parti - pena l’inapplicabilità <strong>del</strong>l’art. 1345 c.c. - si riscontra<br />
anche l’orientamento per cui è sufficiente l’esistenza di<br />
un vantaggio economico in capo <strong>ad</strong> una parte che trae così consapevolmente<br />
profitto dal motivo determinante la volontà <strong>del</strong>l’altra.<br />
Nel caso di specie il vantaggio era qui rappresentato dalla<br />
“controprestazione” essenziale e auspicata <strong>del</strong>l’ottenimento <strong>del</strong>la<br />
fideiussione. Cfr. Cass. 25 giugno 1951, n. 1693. Contrario, invece,<br />
alla necessaria sussistenza <strong>del</strong> carattere comune <strong>del</strong>l’interesse<br />
fraudolento è D. Carusi, La disciplina <strong>del</strong>la causa, cit., 632.<br />
(38) Cfr. G.B. Ferri, Rilevanza <strong>del</strong>lo scopo nei crediti speciali, cit.,<br />
606-607: «(…) appare esatta la soluzione legislativa data alla frode<br />
alla legge nell’art. 1344 c.c., quando l’aggancia alla problematica<br />
<strong>del</strong>la causa. Se questo è vero, tre appaiono le immediate e<br />
concatenate conseguenze: 1) che la frode non è che un modo di<br />
essere <strong>del</strong>l’illiceità <strong>del</strong>la causa; 2) che, pertanto, la frode alla legge<br />
non costituisce una figura autonoma di illiceità, ma una forma<br />
di violazione <strong>del</strong>la norma; 3) che le differenze tra negozio in fraudem<br />
legis e negozio contra legem (di cui agli artt. 1343 e 1345<br />
c.c.) tendono necessariamente a sfumare nel senso prospettato<br />
dalle teorie oggettivistiche,le quali hanno posto a fondamento<br />
appunto <strong>del</strong>le differenze tra frode alla legge e negozio contrariuo<br />
alal legge il modo in cui la violazione si attua; violazione “diretta”<br />
nel negozio contra legem, “indiretta” in quello fraudolento».<br />
I contratti 3/2010
apporti imprenditoriali, anche non formalizzati tra<br />
le parti, che consenta di disvelarne la finalità fraudolenta<br />
e giuridicamente rilevante ex art. 1344 c.c.<br />
Ed in quest’ottica si può condividere l’affermazione<br />
per cui l’interesse fraudolento permea e caratterizza<br />
la causa <strong>del</strong> contratto provocandone una illiceità<br />
non per violazione diretta, bensì per «violazione indiretta<br />
e non apparente che, mentre fa salva la lettera<br />
<strong>del</strong>la norma ne travisa la finalità e ne elude il divieto,<br />
<strong>ad</strong>operando uno strumento legale contro la<br />
sua destinazione» (39). In altri termini, gli interessi-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
motivi fraudolenti rivelano sul piano interpretativo<br />
ex artt. 1362 ss. c.c. l’operazione elusiva dei contraenti<br />
- di norma, economicamente e giuridicamente<br />
complessa - in maniera tale da comportare la<br />
nullità <strong>del</strong> contratto per illiceità <strong>del</strong>la causa <strong>del</strong> negozio<br />
realizzato in frode alla legge.<br />
I contratti 3/2010 247<br />
Nota:<br />
(39) E. Betti, Teoria generale <strong>del</strong> negozio giuridico, Napoli, 1994,<br />
rist., 379.
Requisiti <strong>del</strong> contratto<br />
Patto di opzione<br />
e negozi preparatori<br />
Svolgimento <strong>del</strong> processo<br />
Con citazione notificata il 25 novembre 2003 B. F., premesso<br />
che con scrittura 18 settembre 2002 la s.a.s. H. di L. V. e<br />
C. con sede in Bari le aveva concesso la opzione per l’acquisto<br />
<strong>del</strong>l’esercizio commerciale di birreria sito in Bari, via Turati<br />
n. 22/24 per un valore di cessione di euro 36.151,98, dietro<br />
corrispettivo di euro 2.582,28 versati contestualmente,<br />
con l’accordo che la somma sarebbe stata restituita in caso di<br />
mancato esercizio <strong>del</strong>la opzione entro il 31 ottobre 2002, e<br />
che, non avendo essa esercitato la opzione, aveva richiesto<br />
senza esito la restituzione <strong>del</strong>la somma versata, ha convenuto<br />
in giudizio la società, chiedendone la condanna alla restituzione<br />
<strong>del</strong>la somma di euro 2.582,28 oltre interessi e rivalutazione,<br />
o in subordine di un indennizzo a titolo di arricchimento<br />
senza causa, con vittoria di spese.<br />
Si è costituita la convenuta con comparsa 8 gennaio<br />
2004, assumendo di avere <strong>diritto</strong>, in base alla scrittura, di<br />
trattenere la somma, costituendo essa il corrispettivo <strong>del</strong>la<br />
opzione attribuita alla B. e dalla stessa volontariamente<br />
non esercitata.<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
TRIBUNALE DI BARI, Sez. II, 23 giugno 2009, n. 2218 - Giud. Di Lalla - B. F. c. H. s.a.s.<br />
Il patto di opzione, disciplinato dall’art. 1331 c.c., costituisce, a differenza <strong>del</strong>la proposta irrevocabile, un negozio<br />
giuridico bilaterale, la cui causa consiste nell’assunzione <strong>del</strong>l’obbligo per una <strong>del</strong>le parti di mantenere<br />
ferma, per il tempo pattuito, la proposta relativamente alla conclusione di un ulteriore contratto, con correlativa<br />
attribuzione all’altra parte <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di decidere circa la conclusione <strong>del</strong> contratto entro quel medesimo<br />
tempo. Per tale ragione, esso deve contenere tutti gli elementi essenziali <strong>del</strong> contratto finale, in modo da consentire<br />
la conclusione di tale contratto nel momento e per effetto <strong>del</strong>l’<strong>ad</strong>esione <strong>del</strong>l’altra parte senza necessità<br />
di ulteriori pattuizioni, profilandosi in caso contrario l’ipotesi di un mero “accordo preparatorio” destinato<br />
<strong>ad</strong> inserirsi nell’iter formativo <strong>del</strong> nuovo contratto. In sostanza, il patto di opzione si risolve in un contratto<br />
“strumentale”, gratuito od oneroso, destinato a realizzare e <strong>ad</strong> esaurire la sua funzione con il perfezionamento<br />
<strong>del</strong> contratto finale, finalità perseguita con l’attribuzione al promissario di un potere di scelta in ordine<br />
alla stipula o meno <strong>del</strong> medesimo entro un tempo determinato, potere a fronte <strong>del</strong> quale il promittente è posto<br />
in una situazione di mera soggezione. In quanto dotato di propria funzione e di propri effetti, il patto di opzione<br />
conserva dunque un suo gr<strong>ad</strong>o di autonomia strutturale e funzionale, nel senso che, mentre resta pur sempre<br />
vincolato o collegato al contratto finale, rispetto al quale svolge la funzione di negozio preparatorio, non<br />
è tuttavia assorbito dal contratto stesso.<br />
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI<br />
Conforme Cass. 10 ottobre 2003, n. 15142, in Mass. Giust. civ., 2003, 2331; Cass. 25 febbraio 1998, n. 2017, in<br />
Giust. civ., 1999, I, 2809. Cass. 26 marzo 1997, n. 2692, in Mass. Giust. civ., 1997, 469. Cass. 7 aprile<br />
1987, n. 3339, ivi, 1987, 968; Cass. 11 ottobre 1986, n. 5950, in Vita not., 1986, 1215 e in Giur. it.,<br />
1987, I, 1, 1626; in Nuova giur. civ., 1987, I, 522; Cass. 25 maggio 1983, n. 3625, in Mass. Giust. civ.,<br />
1983, 1281; Cass. 6 aprile 1981, n. 1944, in Giust. civ., 1981, I, 2272<br />
Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti.<br />
Ammesso ed espletato l’interrogatorio formale deferito al<br />
legale rappresentante <strong>del</strong>la società convenuta, la causa,<br />
sulle conclusioni precisate dalla parti alla udienza <strong>del</strong> 27<br />
dicembre 2007, è stata riservata in decisione, con successivo<br />
deposito <strong>del</strong>le comparse conclusionali. La convenuta<br />
ha depositato memoria di replica.<br />
Motivi <strong>del</strong>la decisione<br />
È documentato in atti che con scrittura 18 settembre<br />
2002 la s.a.s. H. di L. V. e C. aveva concesso a B. F. opzione<br />
per l’acquisto <strong>del</strong>l’esercizio commerciale di pub-birreria<br />
sito in Bari, via Turati n. 22/24 per un valore di cessione<br />
di euro 36.151,98, comprensivo <strong>del</strong>le attrezzature e<br />
<strong>del</strong>l’avviamento; che la opzione era stata convenuta a titolo<br />
oneroso, per il prezzo di euro 2.582,28; che la somma<br />
era stata contestualmente versata dalla B.; che la opzione<br />
avrebbe dovuto esercitarsi entro il 31 ottobre 2002; che il<br />
corrispettivo <strong>del</strong>la cessione sarebbe stato versato, quanto<br />
<strong>ad</strong> euro 23.240,56 alla firma <strong>del</strong>l’atto di vendita <strong>del</strong>la<br />
azienda e quanto <strong>ad</strong> euro 10.329,14 in quattro rate men-<br />
I contratti 2/2010 149
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
sili a partire dal mese successivo; che L. V. si era obbligato,<br />
per il caso di esercizio <strong>del</strong>la opzione, <strong>ad</strong> operare come<br />
preposto commerciale sino alla acquisizione da parte <strong>del</strong><br />
nuovo titolare <strong>del</strong>la iscrizione al REC. Risulta altresì dagli<br />
atti che la B. non aveva esercitato la opzione nel termine;<br />
e che successivamente aveva richiesto, senza esito,<br />
la restituzione <strong>del</strong>l’importo di euro 2.582,28.<br />
La attrice ha assunto che, in base <strong>ad</strong> accordo implicito, la<br />
somma avrebbe dovuto essere restituita nella ipotesi di<br />
mancato esercizio <strong>del</strong>la opzione; e in ogni caso che, non<br />
essendo intervenuto tale esercizio, il trasferimento patrimoniale<br />
restava privo di causa.<br />
Ciò posto, si osserva che la domanda è infondata.<br />
Come è noto, il patto di opzione, disciplinato dall’art.<br />
1331 c.c., costituisce, a differenza <strong>del</strong>la proposta irrevocabile,<br />
un negozio giuridico bilaterale, la cui causa consiste<br />
nella assunzione <strong>del</strong>l’obbligo per una <strong>del</strong>le parti di<br />
mantenere ferma per il tempo pattuito la proposta relativamente<br />
alla conclusione di un ulteriore contratto, con<br />
correlativa attribuzione all’altra parte <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di decidere<br />
circa la conclusione <strong>del</strong> contratto entro quel medesimo<br />
tempo. Per tale ragione, esso deve contenere tutti<br />
gli elementi essenziali <strong>del</strong> contratto finale, in modo da<br />
consentire la conclusione di tale contratto nel momento<br />
e per effetto <strong>del</strong>la <strong>ad</strong>esione <strong>del</strong>l’altra parte senza necessità<br />
di ulteriori pattuizioni, profilandosi in caso contrario la<br />
ipotesi di mero accordo preparatorio destinato <strong>ad</strong> inserirsi<br />
nell’iter formativo <strong>del</strong> nuovo contratto. In sostanza, il<br />
patto di opzione si risolve in un contratto "strumentale",<br />
gratuito od oneroso, destinato a realizzare e <strong>ad</strong> esaurire la<br />
sua funzione con il perfezionamento <strong>del</strong> contratto finale,<br />
finalità perseguita con la attribuzione al promissario di un<br />
potere di scelta in ordine alla stipula o meno <strong>del</strong> medesimo<br />
entro un tempo determinato, potere a fronte <strong>del</strong> quale<br />
il promittente è posto in una situazione di mera soggezione.<br />
In quanto dotato di propria funzione e di propri effetti,<br />
il patto di opzione conserva dunque un suo gr<strong>ad</strong>o di<br />
autonomia strutturale e funzionale, nel senso che, mentre<br />
resta pur sempre vincolato o collegato al contratto finale,<br />
rispetto al quale svolge la funzione di negozio preparatorio,<br />
non è tuttavia assorbito dal contratto stesso.<br />
In concreto, la scrittura <strong>del</strong> 18 settembre 2002 racchiudeva<br />
un patto di opzione per l’acquisto <strong>del</strong>la azienda, indicando<br />
tutti gli elementi <strong>del</strong> contratto finale e precisando<br />
il termine entro il quale la opzione avrebbe dovuto essere<br />
esercitata. Correlativamente, la scrittura indicava in<br />
modo espresso e non equivoco che la concessione <strong>del</strong> <strong>diritto</strong><br />
di opzione aveva carattere oneroso e determinava il<br />
corrispettivo nell’importo di euro 2.582,28, versato contestualmente<br />
alla firma dalla parte beneficiaria <strong>del</strong>la opzione.<br />
La specificazione <strong>del</strong> carattere oneroso <strong>del</strong> negozio<br />
era di per sé idonea a denotare, sul piano <strong>del</strong>la interpretazione<br />
letterale e logica, che le parti avessero concordato,<br />
come corrispettivo <strong>del</strong> vincolo di una di essa alla proposta,<br />
il versamento di un somma di danaro. Sul piano<br />
generale, poi, la pattuizione <strong>del</strong>la onerosità rispondeva a<br />
causa meritevole di tutela, atteso che, da un lato, il negozio<br />
di opzione conservava la sua autonomia nel regolamento<br />
degli opposti interessi, e che, dall’altro lato, era<br />
150<br />
ben giustificato che la parte, che si obbligava a mantenere<br />
ferma la proposta per un dato termine, vincolando così<br />
la propria autonomia ed attribuendo all’altra il <strong>diritto</strong><br />
di accettare o meno la proposta entro lo stesso termine,<br />
beneficiasse di un corrispettivo per il sacrificio riveniente<br />
dal vincolo assunto e dalla concessione <strong>del</strong>la facoltà di<br />
scelta alla controparte. È evidente come, nella ipotesi di<br />
mancato esercizio <strong>del</strong>la opzione, il corrispettivo versato<br />
non fosse privo di causa giustificativa, trovando al contrario<br />
la propria giustificazione nella prestazione a carico<br />
<strong>del</strong> promittente, concretantesi appunto nella assunzione<br />
<strong>del</strong> vincolo mediante sottoposizione alla facoltà di scelta<br />
attribuita al promissario.<br />
Dalla scrittura non emerge alcun elemento che induca a<br />
far ritenere che la società avesse assunto l’obbligo di restituire<br />
il corrispettivo <strong>del</strong>la opzione in caso di mancato<br />
esercizio <strong>del</strong>la stessa. Siffatto obbligo non può desumersi<br />
dalla mera circostanza che, in caso di esercizio <strong>del</strong>la opzione<br />
da parte <strong>del</strong>la B., la somma versata sarebbe stata<br />
conteggiata nel prezzo di cessione <strong>del</strong>la azienda, dovendo<br />
la acquirente corrispondere la ulteriore somma di<br />
33.569,70 (+ 2.582,28 = 36.151,98). Tale circostanza denota<br />
soltanto che in base alle intese negoziali, ove la opzione<br />
fosse stata esercitata, la somma versata sarebbe stata<br />
imputata al prezzo complessivo <strong>del</strong>la vendita, e che,<br />
ove la opzione non fosse stata esercitata, la somma avrebbe<br />
invece rappresentato il mero corrispettivo <strong>del</strong> vincolo<br />
cui il promittente si era, senza risultato, sottoposto. Ritenere<br />
che dalla ricomprensione <strong>del</strong> corrispettivo <strong>del</strong>la opzione<br />
nel prezzo complessivo <strong>del</strong>la vendita <strong>del</strong>la azienda<br />
possa desumersi l’obbligo <strong>del</strong>la società promittente di restituire,<br />
in caso di mancato esercizio <strong>del</strong>la opzione, il corrispettivo<br />
ricevuto per la stessa, significa puramente e<br />
semplicemente affermare che il <strong>diritto</strong> di opzione, in sé e<br />
per sé, era stato concesso a titolo gratuito, conclusione<br />
insanabilmente in contrasto con la espressa previsione di<br />
onerosità risultante dal contratto.<br />
Sulla base <strong>del</strong>le esposte considerazioni, la domanda deve<br />
essere rigettata. Le spese seguono la soccombenza, come<br />
da dispositivo<br />
P.Q.M.<br />
pronunciando sulla domanda proposta da B. F. nei confronti<br />
<strong>del</strong>la s.a.s. H. di L. V. e C. con sede in Bari con citazione<br />
notificata il 25 novembre 2003, così provvede:<br />
1) rigetta la domanda;<br />
2) condanna la B. alla rifusione in favore <strong>del</strong>la convenuta<br />
<strong>del</strong>le spese <strong>del</strong> giudizio, liquidate in difetto di nota in<br />
euro 1.100,00 (di cui 650,00 onorario) oltre accessori e<br />
distratte in favore <strong>del</strong>l’avv. C. M. dichiaratosi anticipatario.<br />
I contratti 2/2010
Il caso<br />
Dagli atti <strong>del</strong> processo emerge che H. aveva concesso<br />
a B. F. un’opzione per l’acquisto di un pub-birreria<br />
per un valore di cessione di euro 36.151,98. L’opzione<br />
era stata convenuta a titolo oneroso per il prezzo<br />
di euro 2.582,28, somma che era stata contestualmente<br />
versata da B. F. L’opzione avrebbe dovuto<br />
esercitarsi entro il 31 ottobre 2002 ed il pagamento<br />
<strong>del</strong> corrispettivo era stato stabilito quanto <strong>ad</strong> euro<br />
23.240,56 alla stipula e quanto <strong>ad</strong> euro 10.329,14 in<br />
quattro rate successive.<br />
La B. F. non aveva esercitato l’opzione nel termine<br />
e, successivamente, aveva richiesto, senza esito, la<br />
restituzione <strong>del</strong>l’importo di euro 2.582,28, assumendo<br />
che, in base <strong>ad</strong> accordo implicito, la somma<br />
avrebbe dovuto essere restituita nell’ipotesi di mancato<br />
esercizio <strong>del</strong>l’opzione (e che in ogni caso, non<br />
essendo intervenuto tale esercizio, il trasferimento<br />
patrimoniale restava privo di causa).<br />
Si è costituita la convenuta assumendo di avere <strong>diritto</strong>,<br />
in base alla scrittura privata, di trattenere la<br />
somma, costituendo essa il corrispettivo <strong>del</strong>l’opzione<br />
attribuita a B. F., liberamente non esercitata.<br />
Il Tribunale ha accertato che la scrittura privata <strong>del</strong><br />
18 settembre 2002 racchiudeva un patto di opzione<br />
per l’acquisto <strong>del</strong>l’azienda, indicando tutti gli elementi<br />
<strong>del</strong> contratto finale e precisando il termine entro<br />
il quale l’opzione avrebbe dovuto essere esercitata,<br />
indicando in modo espresso e non equivoco che<br />
la concessione <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di opzione aveva carattere<br />
oneroso, essendo determinato a tal fine il corrispettivo<br />
versato. Anche nell’ipotesi di mancato esercizio<br />
<strong>del</strong>l’opzione, il corrispettivo versato non sarebbe stato<br />
privo di causa giustificativa, costituendo la contropartita<br />
per l’assunzione <strong>del</strong> vincolo di irrevocabilità.<br />
Un obbligo di restituzione non può altresì desumersi<br />
dalla mera circostanza che, in caso di esercizio<br />
<strong>del</strong>la opzione, la somma versata sarebbe stata conteggiata<br />
nel prezzo di cessione <strong>del</strong>la azienda.<br />
I caratteri <strong>del</strong> patto di opzione<br />
L’opzione rientra in quei negozi preparatori il cui scopo<br />
consiste nel facilitare la conclusione di contratti<br />
IL COMMENTO<br />
di Santo Logoteta<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
La sentenza in commento indica brevemente i requisiti affinché un negozio possa essere considerato un<br />
patto di opzione e <strong>del</strong>inea taluni tratti distintivi rispetto a fattispecie affini quali, nel caso di specie, la proposta<br />
irrevocabile. Nella motivazione sono contenute anche alcune considerazioni circa la causa <strong>del</strong> patto di opzione<br />
e la natura onerosa ovvero gratuita <strong>del</strong> medesimo.<br />
definitivi. Tra le varie figure che verranno esaminate<br />
brevemente qui di seguito (contratto preliminare,<br />
preliminare unilaterale, proposta irrevocabile e opzione<br />
stessa) emergono tratti distintivi sia con riferimento<br />
alla natura giuridica, sia agli effetti (1).<br />
Il comma 1 <strong>del</strong>l’art. 1331 c.c. recita: «quando le parti<br />
convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria<br />
dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno,<br />
la dichiarazione <strong>del</strong>la prima si considera quale proposta irrevocabile<br />
per gli effetti previsti dall’art. 1329»(2).<br />
L’opzione è un contratto che vincola il promittente,<br />
il quale non può revocare la promessa; non importa<br />
invece alcun obbligo per il promissario (salvo quello,<br />
eventuale di pagare un corrispettivo, c.d. premio)<br />
che conserva la facoltà di accettare o rifiutare la promessa<br />
(3). Da una diversa prospettiva, il patto di opzione<br />
si concretizza nella rinuncia convenzionale al<br />
<strong>diritto</strong> di revoca di una proposta contrattuale (4).<br />
I contratti 2/2010 151<br />
Note:<br />
(1) F. Realmonte, Introduzione, in I rapporti giuridici preparatori, a<br />
cura di F. Realmonte, Milano, 1996, XXI, individua l’unitarietà <strong>del</strong>le<br />
fattispecie preparatorie «non più <strong>ad</strong> un generico livello funzionale,<br />
bensì sotto il profilo <strong>del</strong>l’effetto che ne costituisce il minimo<br />
comune denominatore: sostituire cioè ai generici obblighi legali,<br />
nascenti dal principio di <strong>buona</strong> <strong>fede</strong>, una serie di obblighi che l’intervento<br />
<strong>del</strong>la manifestazione di volontà <strong>del</strong>le parti consente di individuare,<br />
nel loro oggetto e ambito di tutela specifico».<br />
(2) La figura <strong>del</strong>l’opzione è stata disciplinata per la prima volta nel<br />
codice civile <strong>del</strong> 1942. Il legislatore, come risulta dalla Relazione<br />
<strong>del</strong> Guardasigilli al codice civile (al n. 610), non è voluto intervenire<br />
nel dibattito relativo alla natura giuridica <strong>del</strong>l’opzione (aldilà <strong>del</strong>la<br />
specificazione che si tratta di un contratto, in contrapposizione<br />
alla proposta irrevocabile che è invece un atto unilaterale), ma ha<br />
inteso disciplinarne esclusivamente l’effetto pratico. Il contrasto<br />
di opinioni con riguardo alla natura giuridica <strong>del</strong>l’opzione, peraltro<br />
già vivo nel nostro Paese a seguito <strong>del</strong>la controversia Bocconi v.<br />
La Rinascente, non è stato dunque risolto dall’intervento <strong>del</strong> legislatore<br />
<strong>del</strong> 1942. Con l’art. 1331 c.c. il legislatore ha stabilito, in<br />
modo chiaro e definitivo, l’efficacia finale <strong>del</strong> patto di irrevocabilità<br />
<strong>del</strong>la dichiarazione contrattuale (in contrapposizione a quanti riconoscevano<br />
un effetto meramente obbligatorio).<br />
(3) Tra le altre, cfr. Cass. 13 luglio 1967, n. 1739, in Giust. civ.,<br />
1967, I, 1584; in Giur. it., 1969, I, 1, 1414.<br />
(4) In questo senso R. Sgroi, in C. Ruperto, La giurisprudenza sul<br />
codice civile, Delle Obbligazioni, II, a cura di R. Sgroi, Milano,<br />
2005, 1121. In senso conforme Cass. 27 marzo 1952, n. 826;<br />
Cass. 19 maggio 1959, n. 1333; Cass. Sez. Un., 21 luglio 1949,<br />
n. 1917 in Foro It., 1949, I, 1050.
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
Con riguardo al tempo in cui l’opzione può essere<br />
concessa, la legge nulla dispone. Nel silenzio si deve<br />
desumere che la concessione <strong>del</strong>l’opzione possa essere<br />
contestuale alla formulazione <strong>del</strong>la proposta contrattuale<br />
o successiva <strong>ad</strong> essa (5).<br />
Si potrebbe affermare che l’opzione è un contratto<br />
che esaurisce la sua funzione con la sua stessa conclusione,<br />
mediante cui si attribuisce alla proposta il<br />
carattere <strong>del</strong>l’irrevocabilità, ed all’opzionario il <strong>diritto</strong><br />
potestativo di accettare (6). Il contratto principale<br />
si concluderà, con effetti ex nunc, mediante accettazione<br />
(successiva) <strong>del</strong>la proposta, per il tramite <strong>del</strong>la<br />
dichiarazione unilaterale <strong>del</strong>l’opzionario (resa irrevocabile<br />
per effetto <strong>del</strong> contratto di opzione) (7).<br />
Con la stipula <strong>del</strong> contratto di opzione le parti non<br />
intendono creare una situazione giuridica definitiva,<br />
ma piuttosto una situazione provvisoria e preparatoria<br />
di quella finale, che sarà determinata dal contratto<br />
principale per il tramite di un complesso regolamento<br />
d’interessi che disciplina sia la parte provvisoria<br />
e preparatoria, sia il contratto definitivo (8).<br />
Autorevole dottrina ha criticato la visione riduttiva<br />
<strong>del</strong>l’opzione quale mero patto sull’irrevocabilità <strong>del</strong>la<br />
proposta, riportando l’opzione nel “pacchetto<br />
contrattuale” perfetto in tutti i suoi termini che<br />
l’opzionario può accettare o meno nei termini stabiliti<br />
(9). Anche secondo la giurisprudenza di legittimità<br />
l’istituto <strong>del</strong>l’opzione di cui all’art. 1331 c.c. si<br />
inserisce nell’ambito di una più complessa fattispecie<br />
a formazione progressiva costituita inizialmente<br />
da un accordo avente <strong>ad</strong> oggetto la irrevocabilità<br />
<strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> promittente e, successivamente,<br />
dalla (eventuale) accettazione <strong>del</strong> promissario che,<br />
saldandosi con la precedente proposta, perfeziona il<br />
nuovo negozio giuridico, così che soltanto successivamente<br />
alla conclusione <strong>del</strong> contratto di opzione,<br />
il promissario, con riferimento al contratto definitivo,<br />
può incorrere in responsabilità precontrattuale<br />
se abbia ingenerato il ragionevole affidamento nella<br />
conclusione di tale contratto rifiutandone, poi, la<br />
stipulazione (10).<br />
I requisiti <strong>del</strong> contratto di opzione<br />
È da escludere che si tratti di opzione quando la proposta<br />
irrevocabile oggetto <strong>del</strong> patto stesso contenga<br />
solo alcuni elementi essenziali e non il completo regolamento<br />
negoziale, poiché l’eventuale accettazione<br />
di una tale proposta non potrebbe perfezionare il<br />
contratto, essendo richiesta la formazione <strong>del</strong> consenso<br />
sugli altri elementi non contenuti nella proposta<br />
stessa (11). L’accordo deve abbracciare l’intero<br />
contenuto <strong>del</strong> contratto definitivo (12).<br />
Il legislatore <strong>del</strong> 1942 ha attribuito all’opzione il ca-<br />
152<br />
rattere <strong>del</strong>la tipicità, esonerando l’interprete dal<br />
compito di verificare, caso per caso, l’esistenza di<br />
una “causa sufficiente” da giustificare la costituzione<br />
<strong>del</strong> rapporto giuridico tra le parti (13). La causa <strong>del</strong>l’opzione<br />
è costituita dalla funzione di rendere fissa<br />
ed irrevocabile, per volontà di entrambe le parti e<br />
per un dato tempo (14), la proposta relativa al con-<br />
Note:<br />
(5) Così A. Chianale, voce Opzione, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIII,<br />
1995, 140, secondo cui, in ogni caso, la circostanza che l’opzionario<br />
possa speculare, durante il tempo fissato per l’esercizio <strong>del</strong>l’opzione,<br />
di eventuali variazioni <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la prestazione dedotta<br />
nel contratto costituisce la funzione principale <strong>del</strong>l’opzione.<br />
(6) G. Gioffrè, La sopravvivenza <strong>del</strong> contratto principale all’invalidità<br />
<strong>del</strong>l’opzione, in Riv. dir. civ., 2001, 2, 174. In senso parzialmente<br />
contrario V. Carbone, I requisiti <strong>del</strong>l’opzione, in Corr. giur.,<br />
1993, 12, 55 ss., secondo cui l’accettazione <strong>del</strong>la proposta ferma<br />
costituisce normale accettazione di una proposta contrattuale<br />
e non esercizio di un <strong>diritto</strong> potestativo.<br />
(7) Come osserva G. Lombardi, op. cit., 808, qualora il contratto<br />
principale sia un contratto traslativo, tale effetto conseguirà direttamente<br />
per il solo fatto che l’opzione sia stata esercitata, secondo<br />
il regolamento negoziale predefinito dalle parti nel medesimo<br />
patto d’opzione.<br />
(8) Così G. Lombardi, op. cit., 808.<br />
(9) V. Carbone, op. cit., 55 ss.<br />
(10) Così Cass. 25 febbraio 1998, n. 2017, in Giust. civ., 1999, I,<br />
2809 (con nota critica di F. Rossi secondo cui invece avrebbe dovuto<br />
trovare applicazione la figura <strong>del</strong>la condizione unilaterale), in<br />
cui si afferma che «successivamente alla stipulazione <strong>del</strong> contratto<br />
di opzione, ossia all’accordo avente <strong>ad</strong> oggetto l’irrevocabilità<br />
<strong>del</strong>la proposta <strong>del</strong> promittente e la facoltà <strong>del</strong> promissario<br />
di decidere discrezionalmente se accettarla o meno, incorre in<br />
responsabilità precontrattuale, che può essere fatta valere in<br />
giudizio solo con apposita domanda di accertamento, l’opzionario<br />
che ingeneri nella controparte il ragionevole affidamento nel<br />
perfezionamento <strong>del</strong> contratto definitivo e non intenda, invece,<br />
accettarne la conclusione». Si veda anche R. Sgroi, op. cit., 241.<br />
(11) Così V. Carbone, op. cit., 55 ss.<br />
(12) L’opzione non rappresenta un atto prenegoziale, ma costituisce<br />
un accordo con cui si conferisce all’oblato il potere di decisione<br />
rispetto alla stipula <strong>del</strong> negozio, con la conseguenza che<br />
il contenuto di questo deve essere già determinato in tutti i suoi<br />
elementi. In realtà l’opzione contiene tutti gli elementi solo per<br />
relationem, essendo la proposta oggetto <strong>del</strong>l’opzione a fissarli.<br />
(13) In questo senso G. Gabrielli, voce Opzione, in Enc. giur.<br />
Treccani, XXI, 1990, 1.<br />
(14) Il decorso <strong>del</strong> termine concesso per l’esercizio <strong>del</strong>l’opzione<br />
senza che l’opzionario eserciti tale <strong>diritto</strong> potestativo fa venire<br />
meno sia il vincolo di irrevocabilità, sia la proposta <strong>del</strong> contratto<br />
definitivo oggetto <strong>del</strong>l’opzione. Secondo la giurisprudenza (Cass.<br />
7 maggio 1992, n. 5423, in Giust. civ., 1992, I, 3039, con nota di<br />
N. Di Mauro) «la manifestazione di volontà di <strong>ad</strong>erire all’offerta,<br />
se sopravviene tardivamente, equivale <strong>ad</strong> una nuova proposta<br />
proveniente dal soggetto che nel patto di opzione aveva la posizione<br />
più favorevole: tale proposta, pertanto, è inidonea a vincolare<br />
in contratto l’originario offerente salvo che questi non l’accetti».<br />
Con riferimento alla necessità che l’irrevocabilità <strong>del</strong>la<br />
proposta abbia un termine determinato, App. Milano 11 marzo<br />
1997 ha statuito che «nel nostro ordinamento non sono ammessi<br />
impegni irrevocabili a vendere che abbiano durata indeterminata,<br />
poiché essi si risolvono in una limitazione <strong>del</strong> potere<br />
di alienazione e in definitiva in una restrizione <strong>del</strong> principio di libera<br />
circolazione dei beni».<br />
I contratti 2/2010
tratto definitivo (15). La parte vincolata spesso riceve<br />
un premio quale corrispettivo a fronte <strong>del</strong>lo stato<br />
di soggezione cui è sottoposta in forza <strong>del</strong>l’opzione.<br />
Altre volte la concessione <strong>del</strong>l’opzione trova ragione<br />
in un ulteriore contratto (rappresentandone una<br />
clausola), ovvero si collega <strong>ad</strong> altro rapporto contrattuale<br />
o, ancora, rappresenta l’<strong>ad</strong>empimento di<br />
un dovere morale. Tuttavia, anche nel caso in cui<br />
non vi sia alcun interesse estrinseco <strong>del</strong> soggetto<br />
passivo, non si dovrebbe giungere <strong>ad</strong> affermare la<br />
nullità <strong>del</strong> contratto di opzione per mancanza di<br />
causa (16). L’interesse patrimoniale, anche mediato,<br />
<strong>del</strong>l’offerente costituisce la giustificazione economico-sociale<br />
<strong>del</strong> patto di opzione, poiché l’assunzione<br />
di un obbligo può risultare diretto al conseguimento<br />
di un interesse o di un vantaggio patrimonialmente<br />
rilevante pur non configurandosi una controprestazione<br />
quale il premio, superando il controllo di meritevolezza<br />
(17). Con riguardo all’onerosità <strong>del</strong>l’opzione,<br />
nella sentenza in commento l’attore sosteneva<br />
la gratuità <strong>del</strong>l’opzione, ma il Tribunale ha ritenuto<br />
che fosse stato, inequivocabilmente, concordato<br />
un corrispettivo a fronte <strong>del</strong>l’opzione (18).<br />
Con riferimento all’oggetto potremmo definire l’opzione<br />
un “contratto neutro” che può essere utilizzato<br />
per la conclusione di contratti di ogni tipo: traslativo,<br />
obbligatorio, definitivo o preparatorio (19).<br />
Qualora la legge richieda per il contratto definitivo<br />
una particolare forma <strong>ad</strong> substantiam, la proposta oggetto<br />
<strong>del</strong> patto di opzione e la dichiarazione di esercizio<br />
<strong>del</strong>l’opzione stessa (e dunque di accettazione<br />
<strong>del</strong> contratto definitivo) dovranno avere la forma richiesta<br />
per il contratto definitivo (20).<br />
Distinzione con la proposta irrevocabile:<br />
l’opzione come negozio giuridico bilaterale<br />
Il concedente di un’opzione ha il medesimo interesse<br />
di chi formula una proposta irrevocabile, ma potrebbe<br />
avere un interesse ulteriore, quale quello <strong>ad</strong><br />
ottenere un corrispettivo (21). Questi due negozi<br />
hanno in comune gli effetti giuridici in forza <strong>del</strong> rinvio<br />
operato dall’art. 1331 c.c.<br />
Taluni Autori (22) rintracciano nella proposta irre-<br />
Note:<br />
(15) G. Tamburrino, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva<br />
<strong>del</strong> contratto, Milano, 1991, 86.<br />
(16) Così G. Gabrielli, op. cit., 2, secondo cui la circostanza che<br />
nella materia affine <strong>del</strong>la prelazione convenzionale si consideri<br />
nulla una tale pattuizione (salvo che sussistano i requisiti, sostanziali<br />
e formali <strong>del</strong>la donazione), non deve condurre alle medesime<br />
conclusioni per l’opzione, proprio perché, a differenza<br />
<strong>del</strong>l’opzione, il patto di prelazione non è legalmente tipizzato, almeno<br />
come negozio autonomo (le stesse considerazioni sono<br />
prospettate dalla dottrina francese con riguardo alla promesse<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
unilatérale de contrat ovvero alla option non essendo un contratto<br />
nominato nell’ordinamento francese). L’Autore fa riferimento<br />
altresì ai contratti di deposito, trasporto o mandato, validi, indipendentemente<br />
dalla sussistenza di un interesse <strong>del</strong> soggetto<br />
passivo, in quanto legalmente tipizzati sulla base <strong>del</strong>la prestazione<br />
promessa da una sola <strong>del</strong>le parti. In senso contrario R. Sacco,<br />
Il contratto, in Trattato Vassalli, Torino, 1975, 225 ss., secondo<br />
cui, con riferimento alla proposta irrevocabile, la concessione di<br />
un termine effettuata senza corrispettivo con lo scopo di consentire<br />
all’oblato la possibilità di speculare è da ricondurre nell’ambito<br />
<strong>del</strong>la disciplina <strong>del</strong>la donazione in quanto determinata<br />
dal c.d. spirito di liberalità. G. Lombardi, op. cit., 810, cita una<br />
sentenza <strong>del</strong>la Suprema Corte (Cass. 11 marzo 1996, n. 2001, in<br />
Giur. comm., 1996, II, 643 ss.; in Foro it., 1996, I, 122) relativa <strong>ad</strong><br />
una fattispecie di cessione di credito senza corrispettivo tra società<br />
facenti parte <strong>del</strong> medesimo gruppo, in cui è stata ritenuta<br />
valida una tale tipologia di cessione, poiché «l’assenza di corrispettivo,<br />
se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito<br />
(così distinguendoli da quelli a titolo oneroso) non basta invece<br />
<strong>ad</strong> individuare i caratteri <strong>del</strong>la donazione».<br />
(17) Così G. Lombardi, op. cit., 810 ss., secondo cui può essere<br />
che il sacrificio sopportato in forza <strong>del</strong>l’impegno di irrevocabilità<br />
si inserisca in un contesto nel quale esso risulti bilanciato da altri<br />
vantaggi, anche indiretti. Il compito <strong>del</strong>l’interprete dovrà estendersi<br />
all’analisi <strong>del</strong>l’intera operazione e <strong>del</strong> contesto. Nel caso di<br />
opzione concessa a titolo gratuito dovrebbe risultare dal contesto<br />
negoziale, a scanso di equivoci, un interesse giuridicamente<br />
rilevante, eliminando così in r<strong>ad</strong>ice ogni dubbio circa la validità di<br />
un tale contratto.<br />
(18) Non verrà qui approfondito il tema <strong>del</strong>l’eventuale applicabilità<br />
<strong>del</strong>l’art. 1333 c.c. (che disciplina la fattispecie <strong>del</strong> contratto<br />
con obbligazioni per il solo proponente), qualora non sia stato determinato<br />
un premio o altra attribuzione giustificativa a fronte<br />
<strong>del</strong>la concessione <strong>del</strong>l’opzione. Sull’onerosità si veda App. Milano<br />
11 marzo 1997, in Giur. it., 1998, 344, con nota di F. Pernazza,<br />
secondo cui «l’obbligazione assunta dal proponente di tenere<br />
ferma la propria proposta per il tempo convenuto, in base al principio<br />
di causalità, in tanto può validamente sorgere, in quanto essa<br />
trovi una contropartita in analoghi impegni - a carattere preliminare<br />
o preparatorio - posti a carico <strong>del</strong>la parte nei cui confronti<br />
viene fatta la proposta, ovvero venga pattuito per essa un corrispettivo<br />
in denaro (c.d. premio); è pertanto nulla l’attribuzione <strong>del</strong><br />
<strong>diritto</strong> di opzione avvenuta senza specificazione di alcun titolo<br />
che la giustifichi o la renda meritevole di tutela secondo l’orientamento<br />
giuridico». In senso contrario R. Sacco, Il contratto, in<br />
Trattato <strong>diritto</strong> civile, diretto da Sacco, Milano, 1993, II, 311 ss.,<br />
secondo cui l’opzione differisce dalla clausola di irrevocabilità<br />
<strong>del</strong>la proposta perché si appoggia <strong>ad</strong> una causa onerosa. Per un<br />
approfondimento sul tema si vedano, tra gli altri, G. Lombardi, È<br />
valida la c.d. opzione gratuita?, in Corr. giur., 1997, 808 ss. e M.<br />
Ventricini, Il contratto d’opzione: le problematiche, l’ammissibilità<br />
<strong>del</strong>la mancata previsione di un corrispettivo (c.d. “opzione<br />
gratuita”) e il rapporto con l’art. 1333 c.c., in Giust. civ., 2005, II,<br />
297 ss.<br />
(19) È ormai unanime l’opinione che l’opzione possa essere concessa<br />
anche in relazione <strong>ad</strong> un ulteriore contratto preparatorio<br />
(<strong>ad</strong> esempio, un contratto preliminare).<br />
(20) In questo senso A. Chianale, op. cit., 140, secondo cui il patto<br />
di irrevocabilità è soggetto all’onere formale imposto per il<br />
contratto definitivo, in applicazione estensiva <strong>del</strong>l’art. 1351 cod.<br />
civ.; tale norma vale infatti per il preliminare unilaterale che costituisce<br />
un vincolo minore <strong>del</strong>l’opzione. Sul requisito <strong>del</strong>la forma<br />
si veda F. Borrello, Il patto di opzione. Forma e modalità di esercizio,<br />
in questa Rivista, 2003, 1109 ss.<br />
(21) V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, 160.<br />
(22) Tra gli altri in questo senso R. Favale, Opzione - art. 1331,<br />
in Il codice civile commentato diretto da F. Busnelli, Milano,<br />
2009, che cita anche G. Gabrielli, Il rapporto giuridico prepara-<br />
(segue)<br />
I contratti 2/2010 153
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
vocabile e nell’opzione contesti totalmente differenti.<br />
Si tratterà di proposta irrevocabile quando «la<br />
formulazione <strong>del</strong> futuro ed eventuale regolamento d’interessi<br />
è opera <strong>del</strong> solo proponente, il quale autonomamente<br />
decide di porsi in una situazione giuridica di soggezione,<br />
nella fiducia di poter in tal modo facilitare la<br />
conclusione di un affare che gli preme»; di opzione<br />
«quando la formulazione avviene a opera di entrambe le<br />
parti e la soggezione <strong>del</strong>l’una è direttamente voluta anche<br />
dall’altra, tant’è vero che il sacrificio comportato dalla<br />
soggezione medesima trova di regola un compenso o, in<br />
via immediata, attraverso la pattuizione <strong>del</strong> c.d. premio,<br />
oppure, indirettamente, attraverso il conseguimento di<br />
altri vantaggi» e dunque il soggetto favorito non è un<br />
mero spettatore. Nell’opzione l’impegno a non revocare<br />
costituisce l’oggetto non di un atto prenegoziale,<br />
qual è invece la proposta, ma di un contratto che,<br />
ai sensi <strong>del</strong>l’art. 1372 c.c., non può sciogliersi che<br />
per mutuo consenso <strong>del</strong>le parti o per le altre cause<br />
ammesse dalla legge. La diversità tra opzione (contratto)<br />
e proposta irrevocabile (atto prenegoziale)<br />
(23) è riscontrabile anche nel tenore letterale <strong>del</strong>l’art.<br />
1331 c.c., secondo cui l’opzione «si considera<br />
proposta irrevocabile», escludendo in r<strong>ad</strong>ice un’identica<br />
natura ed evidenziando che tale identificazione<br />
viene <strong>ad</strong>operata solo per attribuirgli gli effetti di cui<br />
all’art. 1329 c.c. (24). Trattandosi di un negozio giuridico<br />
bilaterale, inoltre, entrambi i contraenti partecipano<br />
alla determinazione <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong> contratto<br />
(25).<br />
Opzione e contratto preliminare<br />
Le obbligazioni nascenti da un contratto preliminare<br />
sono indiscutibilmente diverse rispetto a quelle di<br />
un contratto di opzione. Mentre nel primo caso sorge,<br />
in capo <strong>ad</strong> entrambe le parti, l’obbligo di stipulare<br />
un successivo contratto c.d. definitivo, mediante<br />
l’opzione si concede all’opzionario il <strong>diritto</strong> di costituire<br />
il contratto ai termini ed alle condizioni previste<br />
dall’opzione e nei limiti dalla stessa previsti, se e<br />
quando, nel rispetto dei termini <strong>del</strong>l’opzione, l’operazione<br />
gli parrà conveniente. L’opzionario, anziché<br />
essere soggetto <strong>ad</strong> un obbligo, risulta essere titolare<br />
di un <strong>diritto</strong> potestativo, cui corrisponde una posizione<br />
di soggezione <strong>del</strong> concedente (26). Tramite<br />
l’esercizio <strong>del</strong>l’opzione attraverso una dichiarazione<br />
unilaterale, l’opzionario costituisce un negozio che<br />
incide sulla sfera giuridica altrui (27). Come osservato<br />
dalla Suprema Corte il patto di opzione non è,<br />
al contrario <strong>del</strong> preliminare, «una semplice promessa,<br />
ma è espressione immediata e definitiva <strong>del</strong>la volontà di<br />
stipula <strong>del</strong> contratto finale»(28). La giurisprudenza ha<br />
ammesso che il patto di opzione possa essere oggetto<br />
154<br />
di un contratto preliminare, poiché l’opzione è qualcosa<br />
in più e di diverso di un mero pactum de contrahendo<br />
(29) e, viceversa, che il contratto preliminare<br />
possa essere oggetto di un’opzione (30).<br />
Note:<br />
(continua nota 22)<br />
torio, Milano, 1974. E. Panzarini, Il contratto di opzione, I, Struttura<br />
e funzioni, Milano, 2007, 185 ss., sostiene altresì che tra<br />
le due figure vi sia una distinzione riferibile alla durata <strong>del</strong> vincolo,<br />
individuando la funzione <strong>del</strong>l’opzione nella «protrazione<br />
<strong>del</strong> termine di irrevocabilità <strong>del</strong>la dichiarazione di una parte oltre<br />
la durata (massima) concepibile e giustificata nell’ambito<br />
<strong>del</strong>la formazione per mezzo <strong>del</strong>lo scambio <strong>del</strong>la proposta e <strong>del</strong>l’accettazione».<br />
Nel dubbio dovrebbe comunque trovare applicazione<br />
l’art. 1371 c.c., a favore <strong>del</strong> riconoscimento di una proposta<br />
irrevocabile.<br />
(23) In questo senso Cass. 7 aprile 1987, n. 3339, secondo cui<br />
«l’opzione, a differenza <strong>del</strong>la proposta irrevocabile, ha natura di<br />
negozio giuridico bilaterale; mentre, infatti, nella proposta irrevocabile<br />
vi è una parte che avanza una proposta contrattuale ed<br />
unilateralmente si impegna a mantenerla ferma per un certo<br />
tempo, nella opzione vi sono due parti che convengono che una<br />
di esse resti vincolata dalla propria dichiarazione mentre l’altra<br />
resta libera di accettarla o meno; in entrambi i casi, perciò, vi è<br />
una proposta contrattuale irrevocabile ma mentre nel primo (art.<br />
1329 cod. civ.) la irrevocabilità dipende esclusivamente dalla volontà,<br />
dall’impegno unilaterale <strong>del</strong> proponente, nel secondo (art.<br />
1331 cod. civ.) la irrevocabilità dipende da una convenzione tra le<br />
parti, le cui volontà devono quindi essere espresse ed incontrarsi».<br />
(24) Si veda M. Dell’Utri, Patto di opzione, risoluzione <strong>del</strong> contratto<br />
e responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. civ., 1997, I, 5,<br />
733, che osserva come il rinvio <strong>del</strong> codice alla disciplina <strong>del</strong>la<br />
proposta irrevocabile sia limitato quo<strong>ad</strong> effectum. Sul punto anche<br />
G. Gioffrè, op. cit., 175 ss.; V. Roppo, op. cit., 161 ss., secondo<br />
cui la distinzione tra la due figure appare più sfumata di<br />
fronte <strong>ad</strong> ipotesi di opzione concessa a titolo gratuito. Più approfonditamente,<br />
C. Romeo, Opzione e proposta irrevocabile:<br />
analogie e differenze, in questa Rivista, 1999, 349 ss.<br />
(25) A tal proposito App. Milano, 11 marzo 1997, ha statuito che,<br />
«a differenza che nella proposta irrevocabile ove la fonte <strong>del</strong>la irretrattabilità<br />
è costituita dalla volontà unilaterale <strong>del</strong> proponente<br />
e dalla fissazione di un termine («si impegna per un certo periodo...»)<br />
nell’opzione tale irretrattabilità deriva da una vera e propria<br />
convenzione tra proponente e controparte ossia da un incontro<br />
di volontà tra queste parti».<br />
(26) C.M. Bianca, Diritto civile, Milano, 1998, 3, 200.<br />
(27) Si veda App. Milano, 11 marzo 1997, secondo cui «la differenza<br />
tra contratto preliminare e opzione viene individuata in relazione<br />
al fatto che mentre il primo comporta l’obbligo <strong>del</strong>le parti<br />
di concludere il contratto definitivo, l’opzione non prevede alcun<br />
obbligo di fare; mentre, in altri termini, nel preliminare, per<br />
dar luogo al contratto definitivo occorre una nuova espressione<br />
<strong>del</strong>la volontà di entrambe le parti, nella opzione è viceversa sufficiente<br />
la volontà unilaterale <strong>del</strong>la parte nei cui confronti è stata<br />
fatta la proposta e questo perché il proponente impegnandosi a<br />
tenere ferma la sua proposta ha già prestato il consenso alla stipula<br />
<strong>del</strong> definitivo».<br />
(28) Cfr. Cass. 25 maggio 1983, n. 3625.<br />
(29) Cfr. Cass. 30 luglio 1947, n. 1248, in Giur. compl. cass. civ.,<br />
1947, III, 403, con nota di A. De Martini.<br />
(30) Così R. Sgroi, loc. cit., che cita alcune massime giurisprudenziali<br />
(Cass. 14 dicembre 1960, n. 3247, in Giust. civ., 1961,<br />
(segue)<br />
I contratti 2/2010
Il contratto preliminare unilaterale soddisfa l’esigenza,<br />
diversa, di dare al beneficiario il potere<br />
esclusivo in merito all’eventuale conclusione <strong>del</strong><br />
contratto definitivo (31). Nel caso di preliminare<br />
unilaterale, in cui l’obbligo a concludere il contratto<br />
definitivo investe solo una <strong>del</strong>le parti, entrambe<br />
dovranno comunque prestare il consenso per formare<br />
il nuovo contratto definitivo. Nell’opzione,<br />
invece, il concedente l’opzione ha già prestato, al<br />
momento <strong>del</strong>la stipula <strong>del</strong> primo contratto (di opzione<br />
appunto), il suo assenso definitivo al futuro<br />
assetto contrattuale definitivo (32). Come nel contratto<br />
preliminare tr<strong>ad</strong>izionale, anche in questo caso<br />
sarà necessario, perché si producano gli effetti<br />
definitivi perseguiti dal contratto, un successivo incontro<br />
di volontà dei contraenti originari (33), non<br />
essendo a tal fine sufficiente una dichiarazione unilaterale<br />
<strong>del</strong> soggetto beneficiario <strong>del</strong> preliminare<br />
unilaterale. Diversamente da quest’ultimo, l’opzione<br />
costituisce un elemento di una fattispecie a formazione<br />
progressiva costituita inizialmente da un<br />
accordo avente <strong>ad</strong> oggetto l’irrevocabilità <strong>del</strong>la proposta<br />
e poi dall’accettazione <strong>del</strong> promissario, mediante<br />
cui si perfeziona il contratto (34). Non bisogna<br />
trascurare la circostanza che la posizione <strong>del</strong><br />
promittente nel preliminare è di obbligo mentre,<br />
come già detto, il concedente l’opzione si trova in<br />
uno stato di soggezione, con tutte le conseguenze<br />
che derivano dal trovarsi nell’una o nell’altra situazione<br />
giuridica.<br />
Ulteriore differenza riguarda il regime di opponibilità<br />
ai terzi: il preliminare può essere trascritto, non<br />
invece l’opzione, almeno secondo la tesi tr<strong>ad</strong>izionale<br />
(35).<br />
Per concludere, diversamente dal preliminare, nell’opzione<br />
l’eventuale inerzia <strong>del</strong> concedente non è<br />
d’ostacolo alla conclusione <strong>del</strong> contratto definitivo,<br />
né può in alcun modo favorirla.<br />
Conclusioni<br />
L’istituto <strong>del</strong>l’opzione soddisfa importanti esigenze<br />
di natura commerciale. In forza di tale contratto<br />
l’opzionario ha dalla sua un certo lasso di tempo per<br />
riflettere se concludere o meno il contratto definitivo<br />
(che come ripetuto più volte, si costituisce mediante<br />
dichiarazione unilaterale, senza necessità di<br />
intervento <strong>del</strong> concedente l’opzione), senza dover<br />
correre il rischio che, nelle more <strong>del</strong>la riflessione,<br />
l’offerente concluda con terzi soggetti un contratto<br />
incompatibile con l’oggetto <strong>del</strong>l’opzione. Tale libertà<br />
di riflettere può avere o non avere un prezzo,<br />
non incidendo tale aspetto sulla validità <strong>del</strong>l’opzione<br />
a condizione che ricorrano gli altri requisiti pre-<br />
Giurisprudenza<br />
Contratti in generale<br />
scritti dalla legge e meglio precisati dalla giurisprudenza.<br />
I contratti 2/2010 155<br />
Note:<br />
(continua nota 30)<br />
I, 853; in Riv. dir. comm., 1961, II, 327) secondo cui non sussiste<br />
incompatibilità tra il patto d’opzione ed il contratto preliminare<br />
quando risulti che le parti abbiano inteso vincolarsi alla stipula<br />
di un preliminare. Come già detto, l’esercizio <strong>del</strong> <strong>diritto</strong> di<br />
opzione può dar luogo, a seconda <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong>le parti, sia<br />
<strong>ad</strong> un contratto definitivo, con immediati effetti costitutivi o<br />
traslativi, sia <strong>ad</strong> un contratto preliminare a contenuto obbligatorio.<br />
(31) Così D. M. Frenda, L’opzione, in Obblig. e cont., 2007, 361,<br />
cui contrappone l’esigenza <strong>del</strong> contratto preliminare bilaterale,<br />
concluso perché entrambi i contraenti vogliono rendere vincolante<br />
la conclusione di un dato contratto.<br />
(32) Per la distinzione tra le due figure si veda Cass. 11 ottobre<br />
1986, n. 5950, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 525, con nota<br />
di R. De Matteis; in Giur. it., 1987, I, 1626.<br />
(33) Ovvero, come osservato da V. Roppo, op. cit., 658, il contratto<br />
definitivo potrà essere costituito per via giudiziale se, in<strong>ad</strong>empiuto<br />
l’obbligo di contrarre, il promissario chieda il rimedio in<br />
forma specifica di cui all’art. 2932 c.c.<br />
(34) Si veda Cass. 11 ottobre 1986, n. 5950, secondo cui «il patto<br />
d’opzione, disciplinato dall’art. 1331 cod. civ., il quale ha in comune<br />
con il cosiddetto contratto preliminare unilaterale l’assunzione<br />
<strong>del</strong>l’obbligazione da parte di un solo contraente, si distingue<br />
per l’eventuale successivo iter <strong>del</strong>la vicenda negoziale, in<br />
quanto, a differenza di detto preliminare unilaterale, che è contratto<br />
perfetto ed autonomo rispetto al contratto definitivo, l’opzione<br />
medesima configura elemento di una fattispecie a formazione<br />
successiva, costituita inizialmente da un accordo avente<br />
<strong>ad</strong> oggetto l’irrevocabilità <strong>del</strong>la proposta e poi dall’accettazione<br />
<strong>del</strong> promissario, che, saldandosi con la prima, perfeziona il contratto<br />
(sempreché venga espressa nella forma prescritta per il<br />
contratto stesso, e, quindi, nel caso di trasferimento immobiliare,<br />
per iscritto)». Sul punto anche Cass. 26 marzo 1997, n. 2692,<br />
in Mass. Foro it., 1997, 247.<br />
(35) Su tale aspetto si veda V. Roppo, op. cit., 658.