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La storia del colore rosso scelto dagli operai e dai “ribelli” - Anpi

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ta rossa a quei tempi qui nonsi può più, siamo costretti afarti...”. Lei rispondeva: “Maguarda, la camicetta rossa ame piace, io non faccio malea nessuno: è una camicetta!Te la porti nera e io la portorossa”... E così è arrivato ilgiorno <strong>del</strong>l’olio di ricino.Quando ha fatto per entrarein fabbrica con la camicettarossa c’erano lì quattro fascistie han detto: “Ida, c’è arrivatoil momento che tu lobevi, così la camicetta rossanon la metti più”. E questapovera donna l’ha dovutobere. Gliene hanno dato unquarto, ciò vuol dire che eraun bel botticino. Per ingoiarglielobene, due la tenevanoe uno le tappava il naso,poi le hanno messo dentrol’imbuto e hanno vuotatogiù l’olio, l’ha dovuto ingoiarecosì». E un <strong>operai</strong>o diVilladossola: «Io mi ricordoche c’era un certo Ravaioli,lo chiamavano Nìn, era unodi quelli a cui il <strong>rosso</strong> piacevae ha preso <strong>del</strong>le belle sberleper quello! Portava sempreun fazzolettino <strong>rosso</strong> duranteil fascio e beveva il caffè inuna trattoria dove andavanoanche i fascisti. Questa eraun po’ una provocazione eallora, oltre a dirgli di toglierequesto fazzolettino, lo invitavanoad andare a casa,perché alle nove lui dovevarientrare, cosa che non succedeva.E lì c’erano poi le battute[veniva malmenato]. Ecco, alloraera così» (Gualtiero Caprilei).Nei paesi, in modo forse più riconoscibileche nelle città, compiereatti <strong>del</strong> genere significò essere messiall’indice, divenire l’esempio negativoda additare e da cui fuggire.Di conseguenza le comunità localinel perpetuare i propri codici comportamentalispesso tennero conto<strong>del</strong>le norme dettate dal regime, rispettandolee compiacendo le gerarchie<strong>del</strong> potere. Vi furono peròpaesi e paesi: in quelli dov’era radicatoil verbo socialista si osò conmaggiore decisione, si vissero forseminori discriminazioni anche se sipagarono i dovuti costi. Sovente,poi, l’esercizio <strong>del</strong>le violenze nonCamice rosse dal Museo <strong>del</strong> Risorgimento di Bologna.fu compito dei compaesani, ma diquelli dei borghi vicini. Fatti dicampanile si innestarono in questionipolitiche e viceversa.A Piana dei Monti, sul lago d’Orta,«C’era una politica diversa... –narra Remo Perolio –. Qui eranogià piuttosto rossi che neri. Al circolovenivano a comandare loro [ifascisti di un borgo vicino] e quelliche non avevano la tessera...».Un giorno, infatti, un manipolo difascisti entrò nella scuola <strong>del</strong> paeseper punire il maestro, reo di avercantato Bandiera rossa al circolo.«Era il primo anno che andavo ascuola – prosegue l’uomo – e li hovisti tutti in divisa, era il ’37 circa.Sono venuti dentro e gli han datouna sberla. Lui aveva su la cravattarossa, l’han preso, gli hanmesso la testa sulla stufa, hanlevato il coperchio e gli hannobruciato la cravatta».Coinvolti in queste vicendesono anche i bambini e gliadolescenti, ai quali si impediscedi indossare capi di <strong>colore</strong><strong>rosso</strong>.«Ecco cosa ricordo bene <strong>del</strong>fascismo… – dice l’ossolanaAnna Zanelli –. Io andavoavanti e indietro da Villa aPallanzeno, dove facevo labambinaia da una famiglia.Avevo undici, dodici anni,era il ’43, e una mattina ioavevo un abito <strong>rosso</strong>. Avevoquello perché c’era una famigliache stava meglio <strong>del</strong>lamia e mi passava i vestiti <strong>del</strong>lafiglia che aveva due annipiù di me. Sono arrivata lì inbicicletta e i fascisti m’hanfermata, ero una ragazzina, em’han detto che se il giornodopo mi avessero rivista conl’abito <strong>rosso</strong> mi avrebberopicchiata. Ecco, lì ricordo diaver preso paura, sì». E IvanaDell’Olmo, staffetta partigiana:«Una volta mio fratelloaveva una maglia rossa eun fascista gliel’ha fatta togliere.I fascisti non ti lasciavanoportare roba rossa e setu volevi qualcosa di <strong>rosso</strong>dovevi comprare il colorantee tingerlo. Come ha fattomia mamma quando i partigianivolevano i foulard rossi:ha preso la stoffa, l’ha fattabollire e c’ha messo il colorante<strong>rosso</strong> per tingerla».Un <strong>colore</strong> resistenteInevitabile, quindi, che durante laResistenza il <strong>rosso</strong> assurse a potentesegno di riscatto morale e politico.In questo periodo, a fianco<strong>del</strong>le tragedie che la guerra civiletrascinava con sé, ripresero vigorele sfide e le beffe <strong>del</strong> primo dopoguerra.<strong>La</strong> cultura popolare riesumòil valore <strong>del</strong> comico: la derisionee lo scherno <strong>del</strong>l’avversario tornaronoa essere strumenti di lottae sventolarono nuovamente lebandiere rosse. Racconta SergioCampana, partigiano garibaldino:«<strong>La</strong> prima bandiera rossa messa almio paese, Gozzano, e parlo <strong>del</strong>patria indipendente l 18 dicembre 2011 l 15

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