11.07.2015 Views

Atti della Presentazione - Fondazione Edison

Atti della Presentazione - Fondazione Edison

Atti della Presentazione - Fondazione Edison

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Enrico LettaGrazie alla <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong>, graziealla casa editrice “Il Mulino” cheda sempre cura i libri <strong>della</strong> <strong>Fondazione</strong><strong>Edison</strong>, grazie a Marco Fortisper le ricerche e i dati che ci propone.E grazie per questa occasionedi confronto in un momento come quello attualein cui tutti siamo desiderosi di comprenderequanto è accaduto negli ultimi mesi e di capirecome il nostro Paese possa uscire più forte, o almenoevitare di uscire più debole, da questa crisidi cui l’Italia non ha nessuna colpa, come giustamentediceva prima Alberto Quadrio Curzio. Sitratta infatti, come bene argomenta anche MarcoFortis nel suo volume “La crisi mondiale e l’Italia”,di una crisi originata dall’economia americanache per anni è stata “drogata” con un aumentoesponenziale dell’indebitamento privato, vale adire del debito di famiglie, imprese, banche.Su come l’Italia potrà uscire più forte da questacrisi concentrerò il mio intervento.Quello che in queste ore sta accadendo nel mercatoautomobilistico da molti è portato comeesempio – e anch’io lo faccio in partenza – delleoccasioni che l’attuale situazione può offrirci lequali, se colte con intelligenza e con tempismo,possono non soltanto risolverci dei problemi, mafarci fare dei passi in avanti rispetto ai nostri dati dipartenza.Per motivi del tutto casuali mi trovo oggi a prenderparte a questo dibattito subito prima dell’incontroche oggi pomeriggio avrò con il ConsiglioDirettivo del Distretto <strong>della</strong> ceramica di Sassuolo –come periodicamente faccio da diversi anni – percercare di capire la vicenda di una azienda inparticolare, la Iris Ceramica di cui parla ancheMarco Fortis alle pagine 143-144 del suo libro,che come noto ha deciso di aprire la proceduradi messa in liquidazione. Con questa sua decisionetale azienda, che rappresenta uno dei maggiorigruppi nazionali nel settore delle piastrelle, èdiventata un po’ il simbolo di un possibile rischiodi cui voglio parlare: il rischio di deindustrializzazionedel nostro Paese.La <strong>Fondazione</strong> <strong>Edison</strong> ci ricorda costantemente lacaratteristica tutta italiana data dall’elevato numerodi imprenditori che costituiscono il nostro sistemaproduttivo, e che fanno del nostro Paese ununicum; sono, infatti, circa 4 milioni gli imprenditoriche lavorano sul territorio, molti dei quali sonoex dipendenti; quest’ultimo lo ritengo un a-spetto da sottolineare perché il fatto che granparte degli imprenditori italiani abbiano vissutol’esperienza lavorativa da ex dipendenti rende iltessuto imprenditoriale italiano totalmente diversorispetto agli altri.Porto il paragone <strong>della</strong> Francia che, diversamenteda noi, ha alcune decine di grandi imprese globali,diciamo 50; il governo francese può intervenire,e sicuramente interverrà se necessario, a sostegnodi ciascuna di esse in questo momento dicrisi; quando la crisi terminerà i 50 “campioni”francesi ci saranno ancora tutti, o se non sarannotutti 50, saranno 48, ma la Francia potrà ripartireda lì. Noi, invece, non abbiamo un elevato numerodi grandi imprese. Ma abbiamo 4 milioni diimprenditori che giorno dopo giorno affrontanola difficile situazione di crisi in cui si sono venuti atrovare; e che ogni giorno si pongono la domandase sia conveniente tenere duro in questa fasedi difficoltà o se invece non sia più ragionevoleseguire l’esempio dell’azienda del distretto <strong>della</strong>ceramica cui accennavo prima, e decidere quindidi cessare la propria attività. Questi 4 milioni diimprenditori sono infatti persone che hanno lavoratoper anni, riuscendo a costruirsi una ricchezza,grande o piccola che sia, e che oggi vedonola lista degli ordinativi per i successivi 6-9 mesisostanzialmente in bianco. Ciascuno di essi, legittimamente,può domandarsi se adesso, che è rimastoancora del “fieno in cascina”, non sia megliofermarsi, mettendo in sicurezza se stessi, lapropria famiglia e i propri dipendenti – facendolonel modo meno traumatico possibile – piuttostoche andare avanti, correndo il rischio di buttarevia il ”fieno” che è rimasto, nel tentativo di resisterein una condizione di incertezza: questi imprenditori,che magari hanno alle spalle 20 o 30 annidi attività lavorativa, ogni mattina alzano una saracinesca,reale o virtuale, senza sapere quale saràl’esito del proprio lavoro alla fine <strong>della</strong> giornata.Pertanto, la questione principale che dobbiamoaffrontare è la seguente: dobbiamo far di tuttoperché alla fine <strong>della</strong> crisi questi 4 milioni di imprenditorici siano ancora tutti e non diventino lametà di quelli che sono oggi, e che rimanganotali non trasformando la loro attività in attività direndita; anzi, il nostro obiettivo deve essere quellodi far sì che, dopo le intemperie <strong>della</strong> crisi, gli imprenditoriitaliani abbiano la scorza ancora piùdura. Perché la Francia, che qui porto come e-sempio, le sue 50 imprese a scala mondiale lemanterrà tali e lo farà, se necessario, attraversoazioni anche pubbliche.Credo, quindi, che il rischio di deindustrializzazio-5<strong>Atti</strong> presentazione libro “La crisi mondiale e l’Italia” ‐ Milano, 27 aprile 2009

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!