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4. [PDF] Il carcere visto da dentro - Assemblea Legislativa

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Carcere e nonviolenza<strong>da</strong> parte dell’autoctono. In particolare i gruppidi migranti, in relazione alla loro capacità diintegrarsi sul territorio, riescono a contrattualizzarespazi all’interno del <strong>carcere</strong>. Non sivuole qui azzar<strong>da</strong>re una sovrapposizione traetnia e occupazione dello spazio, ma sembrache determinati gruppi organizzati, come quellocomposto <strong>da</strong> persone albanesi, all’internodel <strong>carcere</strong> riesca a sottrarre determinati spaziai siciliani, in relazione a proprie caratteristichedi coesione interna e forza contrattualenello stesso linguaggio deviante. Al contrario,chi all’esterno vive la disaggregazione dellospazio metropolitano con scarse capacità dicontrapposizione, entra nella catena bassa delcircuito criminale in situazione di emarginazionesocio-relazionale ed economica.In <strong>carcere</strong> lo status si acquista in base alle propriepossibilità, in termini economici, sociali erelazionali. Chi era tossicodipendente fuori losarà anche adesso con la sostituzione dell’eroinacon lo psicofarmaco. Chi lavorava per qualcunofuori, adesso in <strong>carcere</strong> sarà il suo affiliatoo comunque riprodurrà le dinamiche esterneall’interno della quotidianità detentiva.<strong>Il</strong> siciliano gioca sempre in casaAll’interno del <strong>carcere</strong> si gioca il secondo tempodi una partita iniziata all’esterno, tra diversesquadre di atleti, ognuno portatore di unbagaglio fatto di identificazioni culturali, appartenenzedi linguaggio criminale e stati socio-relazionalied economici differenti. In questavisione occorre specificare che il sicilianogioca sempre in casa, nonostante nel propriogruppo subisca una ulteriore suddivisione trapalermitani, catanesi e trapanesi, agganciati atre differenti zone di controllo mafioso.Lo straniero invece subisce pratiche vittimizzantireali e simboliche. Solitamente arriva aPalermo come trasferito <strong>da</strong> altri istituti. Questodetermina pesanti conseguenze nel soddisfacimentodella prima esigenza, il contattocon la famiglia, e impedisce di fatto la fruizionedi benefici penitenziari in quanto sradicala persona straniera <strong>da</strong>i luoghi dove haun pur minimo sostegno socio-relazionale efamiliare. La pericolosità sociale dell’immigratorisulta così “costruita” per soddisfareesigenze di decompressione del carico detentivodegli Istituti del Centro-Nord Italia. Così,chi fuori conduceva un ruolo marginale nellacatena criminale, <strong>dentro</strong> continuerà a recitarelo stesso ruolo, con l’aggravante dell’assolutaindigenza economica. L’impossibilità ad accederea forme di lavoro intramurario o di sostegnoeconomico contribuiscono a riprodurreall’interno la figura dell’immigrato marginalee indesiderato, che agisce sulla base del nulla,infrange spesso il codice socio-relazionalecondiviso e subisce l’etichettamento.La consapevolezza della propriadiscriminazioneLo stigma della pericolosità ostativa dei beneficialimenta nel detenuto straniero la sensazioneche ogni suo diritto venga valutatocon la lente della discriminazione sulla basedell’appartenenza culturale. La difficoltà chesente di avere nel parlare il linguaggio diffusodella detenzione lo condiziona altresì adentrare in un gioco di molteplicità, <strong>da</strong>l palcoscenicoal camerino, situazione schizofrenicache non poche volte attiva pratiche di vittimizzazionepsicologica.<strong>Il</strong> contesto sociale esterno sembra determinantenel definire le condizioni socio-relazionalisoggiacenti alla lettura dello spaziointerno al <strong>carcere</strong>. Se in altri istituti cisono gruppi di stranieri in grado di giocareun ruolo non secon<strong>da</strong>rio, a Palermo il siciliano,forte della coesione vissuta all’internodel proprio gruppo e in un <strong>carcere</strong> della suacittà, si confronta in maniera diversa conqueste spinte di espansione ed occupazione,appunto perché utilizzano regole e codici diversi<strong>da</strong> quelli che sussistono in Istituti doveè meno diffuso un “sentire mafioso”.Infine, lo straniero spesso viene dipinto comecolui che non ha niente <strong>da</strong> perdere, ingestibilee capace di compromettere l’ordine interno.Ma attualmente lo straniero detenuto,senza niente fuori e niente <strong>dentro</strong>, costrettoa pensarsi integrato nello spazio delle economieglobali, ha solo l’opportunità di sceglieree recitare il ruolo del “cosmopolita senza permessodi soggiorno”, che attraversa lo spazioe matura competenze funzionali alla sopravvivenzanella parte.L’istituto dell’espulsione come misura sostitutivararamente trova una concreta attuazione.Sono molti gli stranieri che vorrebberoan<strong>da</strong>re via, ma questo desiderio si scontracon condizioni obiettive legate a burocraziae disponibilità di cassa.19

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